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LUGLIO 2022
Prossimamente il 4° Festival
Beethoven a Villa Durio di Varallo organizzato
da M.G. Bianchi
Il
29, il 30 e il 31 luglio 2022 si terra il 4°
Festival Beethoven per Musica a Villa Durio. Il
Festival organizzato da Massimo Giuseppe Bianchi
a Varallo Sesia è oramai una rassegna
consolidata e prestigiosa che prevede quest'anno
la presenza di importanti solisti quali Emma
Rizza al violino, Matteo Rocchi alla
viola,
Caterina Isaia al violoncello e, naturalmente,
Massimo Giuseppe Bianchi al pianoforte. I
concerti prevedono la presenza
numericamente maggiore di musiche di Beethoven,
ma anche di musicisti quali Dotzauer,
Sostakovich, Brahms e Debussy. I tre concerti
avranno luogo nel cortile del Palazzo dei Musei
di Varallo ad un costo di 5 euro. Un Festival
assolutamente da non perdere!
25 luglio 2022 C.G.
Presentato al MaMu
il Cd lisztiano di
Eliana Grasso
Presentato al MaMu- Magazzino
Musica di via Soave 3 a Milano il Cd di Eliana
Grasso "Liszt Piano trascriptions".
Il
musicista e docente Andrea Massimo Grassi ha
introdotto il tardo pomeriggio musicale parlando
in modo esaustivo delle tascrizioni di brani
orchestrali o cameristici operate dai grandi
musicisti nel corso della storia, per arrivare
infine a Franz Liszt, probabilmente il più
grande trascrittore e rielaboratore esistito.
Quindi Eliana Grasso ha presentato ed ha esguito
con grande espressività e perfezione tecnica
quattro tra i lavori che compongono il valido Cd
recentemente uscito per Velut Luna e
precisamente: di Verdi-Liszt la Danza sacra e
il duetto finale da Aida, di Chopin-Liszt
Frühling ( dai Sei canti polacchi), di
Schubert-Liszt Serenade ed infine di
Liszt Mephisto Waltz n.1 a sua volta
trascrizione pianistica dall'originale brano
orchestrale. Un brindisi tra gli intervenuti e
la bravissima interprete ha concluso il
bellissimo incontro.
9 luglio 2022 C.G.
AfteRite e Lore,
due balletti di
Wayne McGregor al Teatro alla Scala
Musica splendida quella di
Igor Stravinskij per i due balletti di Wayne
McGregor in scena in questi giorni al Teatro
alla Scala. Le bellissime coreografie che il
regista e coreografo britannico
ha recentemente realizzato sono AfteRite
e Lore. Il primo per la prima volta in
scena in Italia, dopo le rappresentazioni del
Metropolitan di New York del 2018; il secondo,
in
prima
assoluta mondiale, è una nuova produzione
scaligera. Due lavori differenti, che trovano
nelle timbriche dei capolavori stravinskiani
quali Sacre du printemps e Les noces
un punto d'unione. Il Sacre venne
composto nel 1913 e Les noces nel 1923.
Hanno in comune le ostinate poliritmie pagane,
sapientemente dosate dal grande musicista russo
per realizzare una varietà di timbriche divenute
celebri soprattutto nel primo lavoro orchestrale.
Nel secondo brano, quello più raramente eseguito
ma di incredibile resa musicale, la formazione
strumentale cameristico-corale prevedeva la
presenza di ben quattro pianoforti, con
altrettanti pianisti quali Davide Cabassi,
Giorgio Martano, Andrea Rebaudengo e Marcello
Spaccarotella. Il Coro preparato splendidamente
da Alberto Malazzi, ha trovato anche quattro
incisivi timbri solistici nelle voci del soprano
Karine Babajanyan, del mezzosoprano Olga Savova,
del tenore Vasili Efimov e del basso Alexei
Botnarciuk, ai quali si aggiunge anche Alberto
Rota, basso profondo del Coro.
Il
grande coreografo ha realizzato un' altrettanta
varietà d'interventi particolarmente efficaci
per il corpo di ballo, con parti solistiche, di
coppia e di gruppo in entrambe le coreografie.
La direzione musicale eccellente di Koen Kessel s,
alla testa dell'Orchestra del Teatro alla Scala
per AfteRite e dell'ampio gruppo
strumentale e corale per Lore,
è stata in perfetta sinergia con la splendida
componente coreografica. In AfteRite il ritorno
di Alessandra Ferri quale personaggio centrale
del numeroso corpo di ballo è stato eccellente
sotto ogni profilo, apprezzato al termine dal
pubblico con applausi particolarmente fragorosi.
La riuscita coreografica di entrambi i lavori ha
trovato il fondamentale supporto delle scene e
dei costumi di Viki Mortimet, nelle perfette
illuminazioni di Lucy Carte per AfteRite e di
Jon Clark per Lore. Nel secondo lavoro sono
risultate importantissime la realizzazioni
grafica e di Film design di Ravi
Deepres per una varietà di effetti perfettamente
integrati e di raffinata resa visiva. Ricordiamo
almeno qualche nome degli ottimi solisti che
hanno portato al successo le rappresentazioni
già effettuate tra cui la sesta, da me vista.
Oltre la straordinaria Alessandra Ferri, Marco
Agostino, Martina Arduino, Caterina Bianchi,
Nicola Del Freo, Christian Fagetti, Maria Celeste Losa, Valerio Lunadei,
Mattia Semperboni, Gioacchino Starace, Virna
Toppi, Navrin Turnbull, Rinaldo Venuti in
AfteRite e Timofej Andrijashenko, Claudio
Coviello, Agnese Di Clemente, Domenico Di
Cristo, Nicoletta Manni, Alice Marianiin Lore.
Questa sera settima ed ultima messinscena. Da
non perdere! Dal 9 al 16 luglio ritorna
Giselle. (Foto di Brescia e Amisano
dall'Archivio Scaligero).
7 luglio 2022 Cesare
Guzzardella
Pianotime
in Conservatorio
L'ottima iniziativa
denominata Pianotime, pensata dai docenti
di pianoforte del Conservatorio "G. Verdi" di
Milano, ha trovato riscontro nel successo
della
splendida serata svoltasi ieri sera nel chiostro
del Conservatorio. Sette giovani pianisti, tra i
migliori dell'importante Istituzione musicale
italiana, hanno offerto un saggio delle loro
qualità interpretative, offrendo al
numerosissimo pubblico intervenuto alcuni brani
di un vasto repertorio che spaziava da Beethoven
sino a Prokofiev e Gershwin. In ordine di salita
sul palcoscenico abbiamo ascoltato: Elisabetta
Galindo Pacheco, Margherita Righetti, Andrea
Canino, Edoardo Braga, Giorgio Paolo Nicita,
Sonia Candellone e Virgilio Volante. Tutti
bravissimi! Da segnalare comunque alcuni brani
particolarmente convincenti, a mio parere, ad
iniziare dai tre Intermezzi op.18 di
Brahms (n.1-2-4) interpretati con sicurezza ed
equilibrio dalla Galindo Pacheco, alla rara
Ballade di Claude Debussy eseguita con
disinvoltura dalla Righetti; di ottima resa
espressiva l'Allegro in si minore op.8 di
Schumann eseguito dal giovanissimo Andrea Canino
dopo un buon Liszt ( Un sospiro). Tra gli
ultimi saliti sul palcoscenico eccellente la
resa disinvolta ed espressiva di Sonia
Candellone nei virtuosistici Sarcasmes op.17
di Prokofiev e di valida estroversione ed
equilibrio formale la conclusiva Rhapsody in
blue di George Gershwin interpretata da
Volante. Ottima dunque la serata, che troverà
una cadenza bimensile di altri saggi pianistici
nella Sala delle conferenze della biblioteca del
medesimo Conservatorio.
6 luglio 2022 Cesare
Guzzardella
Arcadi Volodos
al Teatro alla Scala per la rassegna "I Grandi
Pianisti"
Doveva esserci Daniel
Trifonov alla Scala. All'ultimo minuto non
potendo venire, è stato rimpiazzato da un altro grande
del concertismo mondiale. Il russo Arcadi
Voldolos, venuto in febbraio in Conservatorio,
ha pensato bene di rifare il medesimo concerto,
con solo alcuni dei cinque bis differenti.
Certamente le qualità espresse sono state ancora
di altissimo livello ed hanno reso pienamente
soddisfatto il pubblico presente in teatro.
Rimane il
fatto
di aver mantenuto lo stesso impaginato, cosa
assai diffusa tra molti fuoriclasse del pianismo
mondiale, che girano per un anno le sale
concertistiche con il medesimo programma. A
parte questo, dobbiamo ribadire il giudizio
espresso in febbraio ascoltando prima Schubert
con la corposa Sonata in re maggiore D 850
, un lavoro scritto in età matura dal viennese,
precisamente nel 1825. La classicità della
sonata si articola in quattro movimenti
ricalcando il sonatismo beethoveniano, ma
introducendo una varietà melodica tipica solo
del viennese. Volodos si è rivelato anche ieri
sera un eccellente interprete schubertiano,
capace di una straordinaria discorsività mediata
da un peso delle dinamiche espresse in modo
esemplare. Passando da una leggerezza quasi
impercettibile dei pianissimo, sino alle robuste
esternazioni dei momenti più concitati. La
chiarezza espressiva si è rivelata con timbriche
forse ancor più scavate e di luminosa resa
espressiva.
Dopo
il breve intervallo il tutto Schumann riproposto
evidenziava prima le Kinderszenen op.15 e
poi la Fantasia in do maggiore op.17.
Questa volta, distanziando le due opere da
applausi e da una fugace uscita dal palcoscenico,
- cosa che in Sala Verdi non era avvenuta avendo
eseguito le due opere senza interruzione-
Volodos ha espresso ancor più profondità
espressiva nella celebre raccolta dei tredici
brevi brani dedicati ai giovanissimi, con alcune
vette di esemplare resa interpretativa. Ha poi
ridefinito con grande maestria i tre grandi
movimenti che compongono la Fantasia in do
maggiore op.17, resa con virtuosismo mediato
da grande capacità riflessiva ed estemporanea
resa discorsiva. Momento di grande pianismo
quella dei cinque bis, ancora una volta concessi.
Partendo dal noto Vogel als Prophet
dall'op.82 di Schumann arrivando a Liadov
col Preludio op.40 n.3 in re minore, a
Scriabin con il Poéme op.71 n.2 e a
conclusione il Mompou della Musica
Callada dal vol.4, Lento. Interpretazioni
memorabili. Applausi intensi in un teatro con
purtroppo molti posti liberi.
4 luglio 2022 Cesare
Guzzardella
GIUGNO 2022
Finalmente
un nuovo Rigoletto
alla Scala
La seconda rappresentazione
di Rigoletto, per la regia di Mario Martone e la
direzione di Michele Gamba, ha trovato a
conclusione della serata meritati e sostenuti
applausi. Certo, il bravissimo regista
napoletano, attualmente anche sullo schermo dei
cinema con l'ottimo film Nostalgia, interpretato
dallo
straordinario Pierfrancesco Favino, non c'era
sul palcoscenico per il finale. Ma gli altri,
con lo straordinario cast vocale si, e gli
applausi convinti per tutti si sono fatti
sentire a lungo. Il Teatro alla Scala era al
completo con un pubblico quasi completamente
senza mascherina. Dopo quasi trent'anni
dall'ultimo Rigoletto scaligero, rappresentato
con successo moltissime volte, questo
cambiamento, con una nuova produzione scaligera ,
ci voleva. Un cambiamento in senso moderno, per
quanto riguarda regia e scenografie, con quelle
ottime di Margherita Palli. La valida direzione
di Michele Gamba ci è sembrata spesso legata al
ritmo imposto dalla regia nei momenti più
concitati, con un'energia musicale straripante
di timbriche, ma con un ritorno ai "normali"
andamenti nel sottolineare con rispetto e
qualità la miriade di arie meravigliose presenti
in Rigoletto.
Comunque
una lettura, quella del direttore quasi
quarantenne, complessivamente di spessore. Le
scene rotanti su più livelli, con arredi ricchi
e poveri, secondo una divisione di classe molto
marcata, così voluta da Martone, ci è piaciuta
assai, soprattutto quella moderna ambientazione
dei "ricchi". L'eccessivo contrasto di classe ha
fatto già molto discutere, e non vorrei
soffermarmi troppo su motivazioni politiche in
un contesto musicale dove il geniale lavoro di
Verdi, reso in modo straordinario dal cast
vocale, risulta essere pienamente dominante e
sovrastante. Voci di eccellente qualità quindi
quelle del mongolo Amartuvshin Enkhbat, un
Rigoletto limpido, voluminoso ed
intensamente espressivo; della statunitense
Nadine Sierra, una Gilda con splendida
timbrica, intensa e voluminosa in tutti i
registri, voce, insieme a quella di
Rigoletto,
più applaudita. Di ottima qualità le altre.
Bellissimi i colori di Piero Pretti, un Duca
di Mantova scintillante nei colori e di
ottima presenza scenica; ottima anche Marina
Viotti in Maddalena, con timbro sicuro e
determinato nel suo non facile ruolo. Di grande
caratura lo Sparafucile di Gianluca
Buratto, con timbro chiarissimo, voluminoso e
pastoso. Di rilievo tutti gli altri. Le scene
ben articolate, hanno trovato molto bravi
attorialmente tutti i protagonisti e i
comprimari, in una regia molto attenta ad ogni
movimento per una positiva ed esplicativa
presenza scenica. Bene i costumi di Ursula
Patzak, le luci di Pasquale Mari e la componente
coreografica di Daniela Schiavone. I pochi
secondi finali contestati alla Prima
rappresentazione, e di cui hanno molto parlato i
giornali, con quella insurrezione dei
subordinati alla ricca e superficiale borghesia,
che si conclude con la strage dei "cattivi",
paragonata da molti al finale del bellissimo
Parasite, film del regista sud-coreano Bong
Joon-ho, è ben poca cosa rispetto al finale
cinematografico. Una conclusione politica a mio
avviso non troppo adeguata all'arte verdiana.
Per il resto tutto di ottima qualità, anche la
parte corale preparata benissimo
da Alberto Malazzi. Da non perdere le prossime
rappresentazioni previste per il 27 e il 30
giugno e il 2, il 5, l' 8 e 11 luglio (
Foto di Marco Brescia e Rudy Amisano
dall'Archivio del Teatro alla Scala)
24 giugno 2022 Cesare
Guzzardella
Festa della musica
all'Università Cattolica milanese
Una serata di rilevante
interesse musicale e culturale quello offerto
ieri sera nell'Aula Magna dell'Università
Cattolica di Milano. Una Festa della Musica
che ha voluto concludere l'anno accademico
proponendo un
impaginato musicale in omaggio al
compositore inglese Ralph Vaughan Williams per i
150 anni dalla nascita, anniversario ricordato
dal prof. Enrico Reggiani, docente di
letteratura inglese e responsabile dello Studium
Musicale d'Ateneo dell'università. Sottolineando
l'importanza della musica inglese, un po'
dimenticata in Italia, Reggiani insieme a
Martino Tosi, coordinatore delle attività
musicali, ha motivato la scelta
dell'interessante impaginato che con ottime
esecuzioni ha rivelato le qualità degli studenti
impegnati da anni nella musica, sia come
strumentisti che nel Coro polifonico. Tra i
brani eseguiti, la maggior parte hanno trovato
l'ottima direzione di Mariateresa Amenduni. Il celebre The Lark Ascending, di Ralpf
Vaughan Williams, interpretato benissimo dalla
compagine orchestrale e dalla violinista solista
Anna Pederielli, era inserito nell'impaginato
tra brani di Thomas Tallis, di Joseph Bodin de
Boismortier, di Georg Philipp Telemann, di John
Rutter, ma anche di Mozart con il celebre
Soave sia il vento, terzettino da Così fan
tutte, eseguito con espressività dalle tre voci
soliste nell' ottimo contesto strumentale e corale. A conclusione, il celebre Pomp and circumstance
op. 39 n.1 di Edward Elgar è stato reso con
efficace espressività dall'Orchestra e dal Coro
sempre nella precisa e dettagliata direzione
della Amenduni. Tra i brani eseguiti segnaliamo
anche quello di Stravinskij con il Pater
Noster interpretato con estremo
equilibrio
vocale e nitore dal Coro a cappella e tra quelli
di John Rutter, noto compositore britannico,
soprattutto tra gli ambienti universitari,
The Lord is my shepherd, brano di grande
resa strumentale e vocale. Applausi calorosi dal
numerosissimo pubblico che gremiva la bellissima
aula magna ed eccellente il bis proposto con un
Gaudeamus Igitur, inno universitario
internazionale, eseguito splendidamente.
22 giugno 2022 Cesare
Guzzardella
Il film di Damiano
Michieletto
"Gianni Schicchi" agli Amici del Loggione di
Milano
L'ultimo incontro della
rassegna Lieti Calici organizzata da
Mario Marcarini agli Amici del Loggione del
Teatro alla Scala, prevedeva la visione del
bellissimo film Gianni Schicchi di
Damiano Michieletto, dalla nota e
divertente
opera di Giacomo Puccini. Il lavoro è di
particolare interesse perchè unisce alle musiche
pucciniane eseguite ottimamente dall' Orchestra
del Teatro Comunale di Bologna diretta da
Stefano Montanari, le ottime voci dei
protagonisti cantate in presa diretta durante la
realizzazione, come spiegato dagli ospiti
intervenuti: Damiano Michieletto- da remoto- ,
Roberto Frontali (Gianni Schicchi) , e Bruno
Taddia (Betto) Ma è soprattutto l'eccellente
resa cinematografica, studiata nei dettaglie e
con ottima personalizzazione dal regista
Michieletto, che il Gianni Schicchi
cinematografico trova una valida ragione di
realizzazione. La vicenda, tradotta dalle
splendide sequenze girate sia in
interni
che in esterni, e riunite con un eccellente
montaggio, risulta facilmente comprensibile
anche da chi non è abituato a frequentare i
teatri lirici. Un film quindi che da maggiore
possibilità di conoscenza del genio pucciniano.
Michieletto, oltre ad aver parlato
dell'esperienza fatta, ha anticipato una
probabile possibilità per un'ulteriore
realizzazione lirica attraverso il cinema. I due
cantanti-attori presenti nella sala gremita di
partecipanti, hanno poi raccontato nei dettagli
l'esperienza svolta evidenziando il lavoro
intenso nelle settimane di ripresa, riprese
svolte davanti a decine di lavoranti che con
impegno e dedizione, insieme a tutti i
protagonisti sono arrivati alla valida
realizzazione. Un pranzo finale, con ottimi vini,
ha concluso la splendida giornata domenicale
degli Amici del Loggione di via Silvio Pellico.
Ad ottobre incomincierà una nuova serie
d'incontri e di concerti. Siete tutti invitati!
20 giugno 2022 C.G.
Enrico Rava
e Francesco Grillo ai
Bagni Misteriosi
Alla sera diventa un luogo
magico quello denominato Bagni
Misteriosi, spazio milanese localizzato di
fianco al Teatro Parenti. Di giorno le piscine
accolgono
i bagnanti. La sera gli spettacoli, musicali e
teatrali, portano il pubblico a riempire le
gradinate e l'ampia pedana galleggiante posta
sulla piscina maggiore. Ieri, in una calda
giornata, fortunatamente seguita da una fresca
aria arrivata al calare della luce, il Duo Jazz
formato dal celebre trombettista ottantaduenne
Enrico Rava e dal più giovane pianista Francesco
Grillo - musicista impegnato non solo nel jazz
ma anche nel repertorio classico-, ha sostenuto
un valido concerto eseguendo brani soprattutto
di Rava ma anche di Jobim, di Bruno Martino e
standards jazz di altri compositori. L'ottima
intesa dei due protagonisti ha permesso di
delineare un impaginato con una decina di lavori
che hanno evidenziato
il
timbro caldo ed espressivo della tromba di Rava
e le abilità jazzistiche di Grillo, pianista
sostenuto da una tecnica classica liberata in
una forma improvvisata tipica del migliore jazz.
L'efficace resa stilistica di entrambi i
musicisti ha ben delineato la componente
melodica assai interiorizzata e ricca di
profonda espressività di Rava, e le articolate
armonizzazioni di Grillo, espresse con una
ritmica incisiva ben delineata. Tra i brani
eseguiti ricordiamo almeno Certi angoli
segreti, Thank You Come Again e
Bandoleros di Rava, Retrato em branco e
preto di Jobim e la celebre Estate di
Bruno Martino. Il 21 giugno i Bagni Misteriosi
vedranno la presenza di Paolo Fresu, Petra
Magoni e I Virtuosi di Roma diretti da Paolo
Silvestri per una festa della musica con brani
dal classico al pop, da Bach a David Bowie. Da
non perdere.
17 giugno 2022 Cesare
Guzzardella
La Gioconda di
Ponchielli al
Teatro alla Scala
È un opera di grande
teatralità La Gioconda di Ponchielli,
allestita in questi giorni al Teatro alla Scala
per la regia di Davide Livermore, regista
abituato
alla grandiosità delle messinscene
teatrali, qui coadiuvato dalle diversificate
scenografie Giò Forma, dai costumi di Mariana
Fracasso, dalle luci di Antonio Castro, dai
video D-Wok e dalla coreografia di Frédéric
Olivieri. Un insieme di collaboratori ritrovati
anche in altre opere, che fanno della
grandiosità elemento essenziale e che in questa
Gioconda, su libretto di Arrigo Boito, trova
nelle ampie e luminose scenografie veneziane -
rese sia fisicamente che con valide proiezioni-
elementi ispiratori. È un'opera certamente
complessa quella del compositore cremonese:
quattro atti, con gli ultimi due espressi
insieme e separati solo da pochi minuti di sosta.
Mancava dal Teatro alla Scala da venticinque
anni l'opera che rimane essere l'unica del
compositore eseguita in tutti i teatri lirici e
che è riconosciuta dal grande pubblico grazie
alla celebre Danza delle ore, momento
musicale molto atteso sul palco scaligero ed
espresso con creatività dagli allievi della
scuola di ballo della Scala preparati benissimo
da Frédéric Olivieri.
Nella rappresentazione
vista, la terza, l'impressione complessiva di
questa lunga serata, al netto dei due non brevi
intervalli, è positiva ma non entusiasmante.
Probabilmente la causa è nella complessità di
una vicenda a volte dispersiva, che vuole
accontentare tutti i numerosi protagonisti
presenti e comunque ben rappresentati dal valido
cast vocale. Almeno sei le voci importanti,
unite poi all'eccellente Coro della Scala di
Alberto Malazzi e all'ottimo Coro di voci
bianche preparato da Bruno Casoni. Certamente le
varie e molto interessanti musiche di
Ponchielli, tra Romanticismo e Verismo, sono
state ben dirette da Frédéric Chaslin, che è
riuscito anche a mettere in risalto le voci
soliste e gli importanti momenti corali. Nella
terza replica vista, la Gioconda era
nella voce di Irina Churilova, voce dal timbro
chiaro e potente nei registri alti, forse la più
apprezzata, al termine della rappresentazione,
dal pubblico che gremiva il teatro. La voce
della Churilova ha trovato antagonista quella di
Daniela Barcellona, una Laura Adorno di
qualità anche attoriali, con timbro ottimamente
impostato in tutti i registri. Di spessore il
timbro chiaro e deciso di Erwin Schrott, un
Alvise Badoèro freddamente determinato e
risoluto nel mettere alla condanna mortale la
moglie Laura.
Certamente
di qualità Anna Maria Chiuri, La cieca,
una presenza scenica importante, con ottimo
timbro in tutti i registri. Sicuro e deciso il
timbro di Roberto Frontali, un Barnaba
chiaro ed intensamente espressivo. Valido anche
Stefano Colla, un ottimo Enzo Grimaldo
valido in tutti i registri. Bravi tutti
gli altri. Applausi sostenuti al termine con
qualche spettatore uscito prima del termine per
la lunghezza di un'opera che meritava una
probabilmente impossibile ma necessaria, sintesi.
Da vedere. Prossime repliche previste per il 18,
il 21 e il 25 giugno. ( foto di
Brescia e Amisano dall'Archivio della Scala)
15 giugno 2022 Cesare
Guzzardella
GIUGNO
2022
Ingrid Carbone
ai "Lieti Calici"
di via Silvio Pellico a Milano
Per la fortunata rassegna
musicale "Lieti Calici", organizzata da
Mario Marcarini, l'ospite pomeridiano
dell'incontro organizzato agli Amici del
Loggione
del Teatro alla Scala di via Silvio Pellico 6 a
Milano era la pianista calabrese Ingrid Carbone.
Abbiamo recentemente parlato sul nostro giornale
delle sue apprezzate incisioni discografiche
riguardanti soprattutto, ma non solo, Franz
Lizst. Questo incontro-concerto, presentato da
Marcarini di fronte ad un numerosissimo pubblico,
riguardava tutt'altro. Il napoletano Ruggiero
Leoncavallo, noto operista per pochi titoli -
tra cui il celeberrimo Pagliacci- , pur
avendo composto oltre quaranta opere, è stato un
eccellente
pianista ed anche autore di parecchi brani
pianistici. Tranne che per pochissimi numeri,
quasi tutte le composizioni sono andate nel
dimenticatoio. Ingrid Carbone ha il merito di
avere ricercato decine di brani del compositore
e di aver realizzato un doppio Cd che uscirà
prossimamente con ben trentasei brani. Ieri ne
ha selezionati sette, prima parlandone e poi
eseguendoli con coinvolgente espressività al
pianoforte. I brani di Leoncavallo, tutti
particolarmente melodici, hanno rivelato
influenze legate ai
molteplici luoghi dove il musicista visse per
alcuni anni, dall'Egitto alla Spagna, dalla
Francia agli Stati Uniti. La Carbone ha proposto
Gondola, Chanson d'amour, Granadinas,
Menuette d'Arlequine, Cortège de Pulcinella,
Primo bacio e Tarantella, con una
musicalità molto italiana assai apprezzata dal
pubblico che ha tributato, al termine, intensi e
calorosi applausi. Molto bello il fuori
programma concesso dalla Carbone col
virtuosistico O Polichinelo di Villa
Lobos. A conclusione il classico ottimo brindisi
e deliziosi piattì con prodotti tipici.
12 giugno 2022 Cesare
Guzzardella
Giovanni Sollima
e la PFM
al Teatro Dal Verme con
l'Orchestra de I Pomeriggi
La rassegna "Panorami
sonori" iniziata al Teatro Dal Verme con
l'Orchestra de "I Pomeriggi musicali" ha trovato
il violoncellista-compositore Giovanni Sollima
anche direttore dell'orchestra. Nella prima
parte della serata, l'impaginato scelto
prevedeva tre brani dello stesso Sollima quali,
Terra con variazioni, Aquilarco n.2 e
n.3, tutti per
violoncello
e orchestra, intervallati da due brevi ma
efficaci brani di Henry Purcell ( 1659- 1695),
precisamente The Cold Song e Strike
The Viol. Già in passato abbiamo rimarcato
le qualità dei lavori del musicista palermitano,
improntati ad una musicalità ricca di sottili
melodie derivanti dalle culture popolari più
antiche e da una rilevante componente
mediterranea, con evidenti influssi dei
territori asiatici e nord-africani. L'ottima
coordinazione di Sollima violoncellista, con la
contemporanea direzione orchestrale, ha portato
a valide escuzioni dei tre lavori
rispettivamente del 2015 il primo, e del 1998.
Di raffinata qualità i due brani secenteschi
dell'inglese Purcell,
il
primo di maggiore impatto melodico e il secondo
di ampia valenza ritmica con importante rapporto
dialettico tra il solista e gli efficacissimi
archi. La seconda parte della serata, molto
apprezzata dal numerosissimo
pubblico presente, ha trovato ospiti di Sollima
e dell'Orchestra il noto gruppo di rock
progressivo della PFM - Premiata Forneria
Marconi-, formazione che trovò grande successo
in Italia, e in parte anche all'estero ,
soprattutto negli anni
'70 e '80. Ricordo con piacere di aver assistito
nel 1972 al
cinema-teatro Massimo - divenuto
poi il frequentatissimo Auditorium - ad
un
loro concerto con brani tratti dal 33 giri
Storia di un minuto, grande successo
discografico di quei magici
anni. La scelta operata dal gruppo e da Sollima
di proporre una serie di brani tratti da Verdi (Nabucco
ecc.), Prokofiev (Romeo e Giulietta), Rossini (Guglielmo
Tell) e anche della stessa PFM, con il noto
brano È festa ( Celebration nella
versione inglese), in una specie di suite
unitaria
di circa 40 minuti, pur con discutibile resa
acustica, ha riscosso uno straordinario successo.
Purtroppo il contrasto tra i suoni naturali
dell'orchestra e l'imponente amplificazioni di
batteria, tastiere, basso e violino elettrico,
ha creato una miscela di timbriche imprecise,
troppo roboanti, con un effetto - passatemi il
termine- da "balera". Le sicure qualità di
musicisti come Franz Di Cioccio alla batteria,
Patrick Djivas al basso, Lucio Fabbri al violino,
dell'antica formazione, e degli altri ottimi
esponenti, sono parzialmente emerse. Rimane
comunque l'apprezzamento del pubblico, con i
moltissimi giovani presenti, motivati dalla
presenza dei validi protagonisti trainati dall'
indiscutibile talento di Giovanni Sollima.
Giovedì prossimo, per questa rassegna, ci sarà
il pianista Alessandro Taverna e il direttore
Ryan McAdams in musiche di Gershwin. Da non
perdere!
10 giugno 2022 Cesare Guzzardella
Fazil Say per
la Società dei Concerti
Il pianista turco Fazil Say è
finalmente ritornato in Sala Verdi in
Conservatorio per la Fondazione La Società
dei Concerti, recuperando una serata che
avrebbe dovuto svolgersi nel mese di marzo. Da
anni ascoltiamo Say nel repertorio classico e
anche nel suo, essendo un affermato compositore.
Le due attività, quella d'interprete e quella di
compositore, sono legate da una personale
visione della musica che rendono l'artista
certamente unico per modi interpretativi e
compositivi. Molto conosciuto nella sua terra
d'origine, Say ha acquisito notorietà in Italia
e in Europa grazie anche ad alcune pecurialità
stilistiche e gestuali che hanno dato a lui un
apprezzamento interessante di musicista 'trasversale",
aperto al jazz e alle
melodie tonali ricche di
innovazioni timbriche. Generalmente anche un
pubblico più giovane del consueto segue i suoi
concerti, come del resto accade per un altro
interprete e compositore quale l'italiano
Giovanni Sollima. I due, attraverso due
strumenti diversi, il violoncello per il
musicista siciliano, hanno in comune un modo
molto mediterraneo d'intendere la musica e un
medesimo approccio "creativo" nell'eseguire la
musica classica. Nel bellissimo concerto,
ascoltato ieri, due lavori sono stati eseguiti
senza intervallo, ed hanno trovato grande
successo al termine delle rispettive esecuzioni.
Le celebri Variazioni Goldberg di J.S
Bach hanno occupato la parte più cospicua della
serata, mentre il recente brano di Say, Yeni
hayat - Nuova vita (2021), la parte
conclusiva. Le ottime Goldberg di Say hanno
avuto una restituzione decisamente personale e
di ricca esternazione, sino dalla celebre
Aria iniziale - ripetuta a conclusione -
eseguita con luminosa introspezione. Le trenta
Variazioni erano giocate su una varietà
di contrasti molto efficaci, dove le timbriche,
all'occorrenza accentuate e accellerate, oppure
distese e riflessive, con infinite gradazioni
dinamiche, hanno dato vita ad un lavoro dove il
carattere "improvvisatorio", di chi però ha
completamente interiorizzato il materiale,
risulta evidente. Le poche imprecisioni, in
alcune ultime variazioni, non hanno certo
influito sulla qualità interpretativa
complessiva sempre di alto livello. La
componente gestuale, elemento centrale nelle sue
composizioni, trova anche una valida importanza
nei brani classici, e anche in questo valido
Bach. Say tende ad eseguire
l'evento sonoro "vedendolo"
spazialmente e sottolineando le frasi con gesti,
apparentemete scomposti, ma invece perfettamente
funzionali alla resa esecutiva. Dopo le ottime
Goldberg, la sua recente Sonata per
pianoforte op.99 "Yeni hayat" -poco più di
dieci minuti la sua durata- ha ritrovato il suo
tipico personale stile compositivo e la sua
lucida sintesi discorsiva, inserità in un'unità
espressiva di eccellente qualità. Gli effetti
sonori iniziale sulle corde, nella cassa di
risonanza e altri artifizi sono tipici in Say.
Il brano, ricco di suggestioni coloristiche,
utilizza tutta l'estensione della tastiera, in
un contesto di riverbero sonoro che da
spazialità e orchestralità al lavoro. La
gestualità dell'interprete integra perfettamente
il risultato sonoro in una performance
che comunque deve essere anche osservata per
meglio intenderne la valenza artistica
complessiva. Applausi sostenuti al termine del
brano, con molto pubblico entusiasta in piedi e
come bis, ancora un suo brano dal carattere più
melodico, con il suo gusto tipico "alla francese".
9 giugno 2022 Cesare
Guzzardella
Il ritorno in Scala di
Riccardo Chailly
per le Sinfonie e i Cori verdiani
Il ritorno di Riccardo
Chailly al Teatro alla Scala, dopo la breve
pausa, per le ragioni di salute che non gli
hanno permesso il podio per l'opera
Un ballo
in maschera, è stato accolto con entusiasmo
dal numerosissimo pubblico intervenuto alla
Stagione Sinfonica per ascoltare l'Orchestra e
il Coro del
Teatro
alla Scala in musiche verdiane. Il programma,
ricco di brani tratti dalle maggiori opere del
musicista di Roncole, prevedeva Sinfonie,
Cori, Ballabili e Preludi riferiti a
ben nove opere quali Nabucco, I Lombardi alla
prima crociata, Ernani, Don Carlo, Macbeth,
Trovatore, La forza del destino, Aida e Simon
Boccanegra, quest'ultimo proposto nel bis. Nella
prima replica, ascoltata ieri sera, l'effetto
scenico della grande Orchestra del Teatro alla
Scale e dell'imponente Coro scaligero, preparato
e coordinato magistralmente da Alberto Malazzi,
era proporzionato all'impetuosa e pregnante
musica del grande operista, che nella
complessiva esternazione dei diciotto momenti
sinfonico-corali, ha reso evidente il suo
caratteristico e unico linguaggio melodico,
votato anche alla grande musica orchestrale e
corale. Alternando il maggior numero di celebri
brani a pochi altri meno popolari, si è iniziato
dalla Sinfonia, Gli arredi festivi e il
Va', pensiero del Nabucco per arrivare
alle pagine conclusive col Gloria all'Egitto
e Iside dell'Aida. Un arco di tempo di oltre
quarant'anni di composizioni che hanno
evidenziato il genio verdiano e l'attitudine
verdiana esternata con passione ed abilità dal
direttore milanese, per una resa orchestrale e
corale di altissimo livello, nelle quasi due ore
di musica complessiva interpretata con rigore e
taglio netto e preciso. Ricordiamo, come
annunciato anche dal direttore, che le serate
saranno registrate da Decca che le pubblicherà
in disco nel 2023, in vista dei 210 anni dalla
nascita del grande compositore. Mercoledì, 8
giugno, seconda e ultima replica di una serata
assolutamente da non perdere. (foto di
Brescia e Amisano a cura del Teatro alla Scala)
7 giugno 2022 Cesare
Guzzardella
Un filo d'Arianna
per un flauto tutto al femminile
L'iniziativa musicale
proposta questa mattina nella Sala Puccini del
Conservatorio milanese è meritoria per più
ragioni. Quella principale è l'aver proposto
brani di compositrici viventi e del passato, in
un arco
temporale
compreso tra il '700 e i giorni nostri. La
seconda è quella di aver scelto il flauto, in
tutte le sue tipologie, come strumento di
riferimento per i brani scelti, oltrettutto
nelle mani di valide giovani flautiste del
Conservatorio milanese che hanno rivelato l'alto
livello di qualità musicale dell'importante
Istituzione milanese ed italiana. Il progetto, a
cura di Rosalba Montrucchio, docente di flauto
in Conservatorio, prevedeva brani di 1O
compositrici eseguiti partendo dalle più giovani
d'età, per arrivare, andando indietro nel tempo,
sino ad Anna Bon (1740-1767). In ordine di
esecuzione esattamente: Sonia Bo (1960) e
Beatrice Campodonico (1958) docenti di composizione
del
Conservatorio
G.Verdi, Sofia Gubaidulina (1931), certamente la
più nota compositrice russa vivente e
probabilmente la maggiore al mondo, Eugenie
Rocherolle (1939) americana e nota in ambito
cinematografico, quindi le non viventi Germaine
Tailleferre (1892-1983), la meno eseguita del
francese Gruppo dei sei, Mal Bonis (
1858-1937), Lili Boulanger (1893-1918), celebre
didatta, Marie F.C.Grandval (1830-1918), Maria
Theresia von Paradis (1759-1824), e Anna Bon
(1740-1767). A conclusione è stato
aggiunto
un brano per flauto ed arpa ancora della
Grandval, Valse mélanconique. Le ottime
flautiste nei nomi di Cecilia Omini, Arianna
Quaggetto, Alice Maria Pratolongo, Emma
Francesca Ferrari, Linda Facchinetti, Zang
Xiqimo, Ilgaz Duman, Marina Zenobi, Elisabetta
Albert e , unico esponente maschile, Francesco
Paoletti - nella splendida Sonata per cembalo e
flauto traversiere di Anna Bon (con Samantha
Bertuccio)- , hanno interpretato uno o più brani
spesso accompagnate da ottimi pianisti quali:
Paolo Ehrenheim, Francesco Elgorni, Gabriele
Duranti e Naomi Tistarelli. Ottimi tutti i brani
ascoltati, a dimostrazione di come un certo
reportorio al femminile ancora nascosto
debba
essere assolutamente rivalutato. Interessante
poi l'accostamento con le grafiche e i dipinti
proiettati - sempre di artiste al femminile-
durante le esecuzioni. Immagini scelte con
intelligenza, per gli accostamenti alla musica,
da Chiara Macor dall'Accademia d'arte di Napoli,
coadiuvata dalla Graphic Designer Giada Fadoni.
Tra i brani segnaliamo quelli contemporanei di
Sonia Bo con Pax per flauto eseguito con
maestria dalla Omini, ottimo lavoro che mette in
risalto le infinite potenzialità del flauto
traverso in un continuo sonoro dove i forti
contrasti espressivi e le differenti timbriche
vengono esaltate dall'eccellente scrittura
campositiva. Valido anche il brano Variazioni
all'infinito di Beatrice Campodonico,
eseguito bene da Arianna Quaggetto. Lavoro dove
tre diversi flauti, il traverso con il flauto
basso e l'ottavino, si alternano in posizioni
spaziali differenti per una ricca resa
espressiva. Eccellenti poi i due brani della
Gabaidulina con Alice Pretolongo al flauto (al
pianoforte prima Ehrenheim, poi Elgorni) per
Sounds of the Forest e Allegro rustico,
quest'ultimo molto debitore degli insegnamenti
di Prokofiev e
Šostakoviç.
Decisamente piacevole la cordiale e scorrevole
Sonata n.1 di Eugenie Rocherolle con
E.Ferrarri al flauto e Ehrenheim al pianoforte.
Oltre alla già citata raffinata Sonata op.1
n.4 di Anna Bon eseguita benissimo da
Francesco Paoletti, segnaliamo l'ultimo lavoro
della Grandval, Valse mélanconique per
flauto e arpa con i bravissimi Alice Maria
Pratolongo al flauto e Xochiti Derycz all'arpa.
Valide tutte le altre composizioni con i
relativi interpreti. Splendida mattina di musica!
Sabato 11 giugno, alle ore 17.30, seconda parte
con Voce di donna, brani al femminile per
canto e pianoforte.
5 giugno 2022 Cesare
Guzzardella
L'Eurydice di
Dmitri
Kourliandski
per il Festival Milano Musica
Un giusto equilibrio tra
musica e teatro è lo spettacolo visto in una
delle sale del Teatro Elfo-Puccini per il
Festival Milano Musica. Le particolari
timbriche
del russo Dmitri Kurliandski hanno evidenziato
la pièce teatrale Eurydice, une
expérience du noir, dove il soprano Jeanne
Crousaud nel ruolo di Eurydice, anche
elegante attrice, il mimo-attore e poco
danzatore, Dominique Mercy in Orfeo e la
pianista Bianca Chillemi rendevano scenico il
testo tratto dal poema di Nastya Rodionova. La
valida regia di Antoine Gindt ha trovato gli
adeguati rapporti di movimento tra i due
principali protagonisti inserendoli in un
contesto dove i toni cupi - con un inizio
completamente al buio- tratteggiano il dramma
umano di incomunicabilità tra la giovane e bella
Eurydice e l'anziano e trasandato Orfeo. La
musica di Kourliandski,
tra effetti elettronici derivanti dalle lontane
esperienze di musica concreta-elettronica degli
anni '50 e l'eccellente
vocalità
narrativa _alla Berio- dell'ottimo soprano -vocalità
completate da componenti registrate in un
tutt'uno timbrico di eccellente fattura- ,
riesce ad integrarsi in modo unitario con la
scena teatrale in un contesto di decadenza e
chiusura che segnano l'incapacità di
comunicazione. Interessante anche la scansione
del tempo con quelle poche note scandite quasi
ossessivamente dalla brava pianista Chillemi.
Dopo la prima rappresentazione assoluta avvenuta
a Reggio Emilia, anche questa seconda milanese,
perfettamente inserita nel progetto del Festival
Milano Musica, denominato Suoni d'ombra,
ha trovato ottimo riscontro dal numeroso
pubblico intervenuto. Peccato non ci siano
repliche. Molto interessante.
1 giugno 2022 Cesare
Guzzardella
MAGGIO 2022
Sergei Babayan
alle Serate
Musicali
Un concerto di ottima qualità
quello organizzato ieri sera in Conservatorio da
Serate Musicali in ricordo di Giuseppe
Ferreri (Amico e socio fondatire degli Amici
delle Serate Musicali). Sul palcoscenico di Sala
Verdi il pianista
armeno
Sergei Babayan ha eseguito un programma vario e
ricco di importanti lavori. Iniziando da
Bach-Busoni con la nota Ciaccona dalla
Partita n.2 in re minore, Babayan ha
rivelato subito una musicalità timbricamente
voluminosa per un brano reso in modo "organistico"
e certamente espressivo. Passando a timbriche
più delicate con alcuni lieder di Schubert,
nella rivitazione di Franz Liszt, Babayan ha
espresso colori più interiori, evidenziando in
modo chiaro le melodie schubertiane nelle
complesse articolazioni dell'ungherese. Dei noti
lieder ha eseguito Der Müller un der Bach,
Gretchen am Spinnrade e Auf dem Wasser zu
singen. Con i quattro brani di Sergej
Rachmaninov - due Étude-tableau (op.39
n.5 e n.1) e due Momenti musicali op.16
(n.2 e il n.6) , Babayan ha dato una svolta in
senso virtuosistico alla serata, attraverso
interpretazioni di grande valenza musicale per
sintesi discorsiva e pregnanza espressiva.
La
completa interiorizzazione di ogni elemento
scritto in partitura e la restituzione
estemporanea di ogni brano, ha messo in risalto
modalità pianistiche di grande impatto
coloristico nelle complesse definizioni dei
piani sonori, voluminosi ma limpidi in
espressività. Interpretazioni le sue che
ricordavano quelle del grande Lazar Berman. La
seconda parte del concerto è stata introdotta da
un ottimo Liszt con la Ballata n.2 in si
minore cui è subito seguita la celebre
schumanniana Kreisleriana n.16.
Un'esecuzione, quest'ultima di assoluta
rilevanza estetica, dove la sintesi discorsiva
di alcuni movimenti si alternava a timbriche
introverse e riflessive dei momenti maggiormente
melodici. Una visione chiara e coerente quella
dell'interprete, per una restituzione
complessivamente eccellente. Applausi calorosi
da un pubblico purtroppo non numeroso e un bis
concesso con la celebre Aria iniziale
delle Variazioni Goldberg di J. S.Bach,
eseguita con intensa luminosità. Un grande
pianista Babayan, proveniente dalla migliore
scuola pianistica russa, che speriamo di
riascoltare presto.
31 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Corrado Giuffredi e
Leonora Armellini agli Amici del Loggione del
Teatro alla Scala per i Lieti Calici
Un tardo pomeriggio di
qualità quello organizzato da Mario Marcarini in
via Silvio Pellico a Milano. La rassegna
Lieti Calici sta mietendo successi grazie
alla presenza di protagonisti di chiara fama
internazionale. È anche il caso della giovane
pianista Leonora Armellini,
recentemente
premiata al Concorso Internazionale F. Chopin
di Varsavia ( 5° meritato posto), prima
donna italiana ad ottenere quel prestigioso
premio; ma anche del noto e meno giovane Corrado
Giuffredi, tra i migliori clarinettisti italiani.
Ma è il programma scelto dal duo che ha reso
ancor più interessante questo incontro. Un breve
impaginato incentrato sulle originali parti del
clarinetto tratte da opere di Cherubini,
Rossini, Bellini, Mercadante , Ponchielli,
Verdi e due rarità di Giovanni Pacini, tutti
compositori lirici. La parte orchestrale è stata
trascritta per pianoforte ed eseguita benissimo
dall'Armellini, per una restituzione, con la
principale voce clarinettistica, di eccellente
resa qualitativa. Giuffredi ha introdotto ogni
brano, chiarendo dettagli inerenti l'opera, la
parte clarinettistica e i primi storici
interpreti degli interventi solistici.
Dall'incontrò tra i protagonisti nascerà a breve
anche un Cd prodotto da un'importante casa
discografica. Due i bis concessi:
prima, in solitaria, un' eccellente e rara Tarantella
di Chopin che ci ha ancora rivelato le
eccellenti qualità espressive dell'Armellini e il suo talento per
la musica del genio polacco; poi la più celebre
aria per clarinetto inserita in un'opera quale
la pucciniana E lucevan le stelle da
Tosca. Applausi dal numerosissimo pubblico
intervenuto e poi
un ottimo brindisi con
eccellenti degustazioni di vini offerti
dall'azienda Giulio Ferraris accompagnati da
ottime tartine, salumi e primi piatti, con
anche una lasagna doc.
29 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
L'Orchestra Sinfonica
di Milano al Lirico Gaber per la
Sinfonia "La resurrezione" di Gustav Mahler
Dopo quasi venticinque anni,
l'Orchestra Sinfonica e il Coro Sinfonico di
Milano sono tornati al Teatro Lirico, oggi
Teatro Lirico "G.Gaber", per un concerto
diretto da Claus Peter Flor,
direttore
musicale della compagine milanese.
Una
serata importante, che ha segnato una
transizione tra la stagione musicale 2021-22 con
quella prossima già delineata da una splendida
programmazione che avrà luogo nella sede
dell'Auditorium milanese con un primo concerto,
come è consuetudine, al Teatro alla Scala. Il
Lirico, elegante e con adeguata acustica per i
concerti, era al completo: appassionati venuti
per ascoltare la Sinfonia n.2 in re minore "
La Resurrezione" per soli, coro e orchestra
di Gustav Mahler. Voci soliste erano il soprano
inglese Sarah Fox e il mezzosoprano di origine
tedesca Eva Vogel. Il monumentale lavoro di
Mahler,
quasi
novanta minuti la durata in cinque ampie parti,
è del 1894, con prima esecuzione berlinese
avvenuta nell'anno successivo. L'ottima
interpretazione ascoltata, ha trovato
l'eccellenza direttoriale di Flor che è riuscito
a far confluire le qualità dell'orchestra
milanese, con gli ottimi interventi solistici,
prima della Vogel, poi della Fox, e l'eccellente
coralità del Coro preparato da Massimo Fiocchi
Malaspina. Di grande espressività
l'interpretazione complessiva, con resa al
massimo nei momenti più concitati e volumetrici,
e perfetto equilibrio dinamico nei piani sonori.
Pubblico soddisfatto al termine e lunghi e
fragorosi applausi finali.
28 maggio 2022 Cesare Guzzardella
Benedetto Lupo
e l'Orchestra de I
pomeriggi Musicali per il Rach3
Un programma interamemte
russo ha concluso la stagione ufficiale 2021-22
del Dal Verme e dell'Orchestra de I Pomeriggi
Musicali. Il direttore principale James
Feddeck ha interpretato
brani
celebri di repertorio con il Concerto per
pianoforte e orchestra n.3 op. 30 di Sergej
Rachmaninov e la Sinfonia n.5 in mi minore
op.64 di P.I.
Čaikovskij.
Nel
celebre
Rach3
al pianoforte c'era Benedetto Lupo che ha
trovato una valida resa interpretativa ben
coadiuvato dall' orchestra. Il concerto, celebre
per la presenza di una componente melodica di
evidente pregnanza romantica, ha anche
situazioni di estremo virtuosismo superate molto
bene da Lupo, nella sua
esemplare
discorsività. Applausi
fragorosi e due bis concessi da Lupo al termine,
con il noto Giugno da Le stagioni
di
Čaikovskij ed un intenso Preludio di
Scriabin. Di ottima resa complessiva la Sinfonia
n.5 di Čaikovskij, lavoro complesso,
ricco di ampie melodie tratte dal folclore russo
e inserite splendidamente nel contesto sinfonico.
Ancor più di qualità il
sorprendente Finale con un Allegro vivace
reso con grande energia da Feddeck che ha
strappato fragorosi apllausi dalla numerosissima
platea presente. Sabato alle ore 17.00 la
replica. Da non perdere.
27 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Grigory Sokolov
per la Società dei
Concerti
È dal 29 maggio del 2019 che
il pianista russo Grigory Sokolov non veniva a
Milano. L'assenza dalle sale da concerto nei due
anni successivi, motivata dall'evidente
situazione
pandemica
di questi anni, è finalmente stata interrotta
dall'imperdibile serata tenuta ieri sera in
Conservatorio, ancora per la Fondazione La
Società dei Concerti. Come sempre tra i
pianisti più attesi, Sokolov rimane tra i pochi
interpreti che riempiono le sale da concerto
anche in questo momento di non conclusa
emergenza sanitaria. L'impaginato classico, di
straordinario interesse, prevedeva Beethoven con
le 15 Variazioni e Fuga op.35 (1802),
Brahms con i Tre intermezzi op.117 (1892)
e, dopo l'intervallo Schumann con la
Kreisleriana op.16 (1838) . Tre importanti
lavori restituiti in modo personale dal grande
pianista russo, come è sua consuetudine. L'
Op.35, nota per avere in sé
il celebre tema presente nella Sinfonia n.3 "Eroica",
ha trovato un Sokolov cesellatore del suono.
Un'interpretazione chiara, trasparente, molto
analitica e dilatata, che stupisce per
l'equilibrio complessivo perfetto nell'andamento
volutamente riflessivo, che evita contrasti
marcati negli andamenti tra alcune variazioni.
Il
taglio scelto, luminoso e spesso incisivo,
rendono unica la sua interpretazione. Di
altrettanta personalizzazione i Tre
Intermezzi op.117, definiti da colori
sfumati ed ombreggiati, ben delineati nei
particolari per una definizione introspettiva di
rilevante valenza estetica. La celebre
Kreisleriana di Robert Schumann, nelle sue
intense otto parti, ha ancora trovato la
sicurezza precisa e calibrata, nelle mani del
grande pianista. Personali le timbriche, come
personale la gestualità di Sokolov per una
restituzione ancora di altissima qualità, dove
la riflessione entra con prepotenza nel
carattere improvvisatorio del brano,
stravolgendo esperienze cui siamo abituati e
facendoci scoprire particolari che in altre
esecuzioni, pur valide, sfuggono. Il classico
concerto nel concerto, con numerosi bis sono
cosa oramai consolidata. Ancora una volta sono
sei quelli concessi con generosità da
Sokolov, alcuni brevi ed altri corposi. Il primo
con Brahms e la Ballata op.118 n.3 , due
mirabili Rachmaninov con i Preludi dall'Op.23
il n.9 e il n.10 , quindi due
Chopin, entrambi straordinari, con la Mazurca
in la minore op.68 n.2 di straordinaria
limpidezza e il Preludio n.21 di potenza
scultorea. Per finire, tra interminabili
applausi, con Scriabin e il suo Preludio
op.11 n.4. Pubblico entusiasta per un
grandissimo del pianoforte.
26 maggio 2022 Cesare Guzzardella
Il gruppo cameristico
Achrome ensemble
al Museo del Novecento
La musica contemporanea ha
trovato oggi espressione nel pomeriggio musicale
organizzato al Museo del Novecento milanese. In
Sala Fontana abbiamo avuto l'occasione di
ascoltare
musiche
di Vittorio Fellegara ( 1927-2011) ad opera del
Achrome ensemble, gruppo cameristico
diretto da Marcello Parolini. Questa formazione
è risultata anche vincitrice del Premio
Vittorio Fellegara, premio biennale
culturale istituito dal 2013 e consegnato oggi
dalla moglie del grande compositore e didatta
milanese, la pianista Tiziana Moneta Fellegara.
Cinque i brani proposti dall'Ensemble, in
differenti formazioni, per lavori scritti dal
compositore tra il 1980 e il 1994.
Wintermusic
per violino, violoncello e
pianoforte, Herbstmusik per quartetto
d'archi, Nuit d'été per pianoforte e
quartetto d'archi, Wiegenlied per
clarinetto e pianoforte e il conclusivo
Berceuse per flauto e pianoforte. Le ottime
interpretazioni espresse dal gruppo,
specializzato nella musica del Secondo Novecento
e contemporanea, hanno rivelato le qualità di
Fellegara. Era un musicista colto, in
controtendenza rispetto a molto compositori di
quel periodo, lagato alla tonalità, espressa
però in modo
evoluto e con un linguaggio molto
personale, innovativo, raffinato e riconoscibile.
Tutti bravi gli strumentisti ad arco nei nomi di
Mariani, Rigamonti e in aggiunta alla formazione
consueta, Negri e Malandrin, il pianista
Gabriele Rota, il clarinettista Stefano Merighi
e la flautista Antonella Bini. Martedì prossimo,
nel medesimo luogo si terrà un concerto dedicato
a Sylvano Bussotti.
24 maggio 2022 Cesare Guzzardella
La
chitarra di
MANUEL BARRUECO alle
SERATE MUSICALI
Non di frequente si ascolta
la chitarra in concerto e quando ciò accade si
rimane stupiti della completezza melodico-
armonica di questo strumento a sei corde che
abbisogna di un ascolto adeguato; dove
l'attenzione dell'ascoltatore deve andare
incontro ai volumi contenuti della cassa
armonica per comprenderne la ricchezza e la
raffinatezza timbrica. Manuel Barrueco,
chitarrista
cubano, è tra i più noti virtuosi di questo
strumento e da anni è ospite di Serate
Musicali. Nel concerto di ieri sera ha dato
sfoggio delle sue eccellenti qualità
interpretative con brani tipici per questo
strumento. Alcuni di essi composti appositamente
per lo strumento a sei corde, altri in
trascrizione da originali strumenti a tastiera,
quali clavicembalo, organo o pianoforte. I primi
due brani del corposo impaginato, sono un
esempio di quest'ultimo caso. L'Aria con
Variazione detta “La Frescobalda” di
Girolamo Frescobaldi (1583-1643),
originariamente per strumenti a tastiera, ha
trovato un'eccellente trascrizione per la
chitarra ed è entrata prepotentemente nel
repertorio chitarristico per la sua sorprendente
resa qualitativa.
Anche nel caso di Domenico
Scarlatti (1685-1757), le sue Sonate ( ne ha
composte circa 550), originariamente per
clavicembalo e poi per pianoforte, hanno
notevoli trascrizioni chitarristiche che
assolutamente non sminuiscono la geniale portata
espressiva. Barrueco, con perfezione tecnica,
grande espressività, definita da raffinatezza
coloristica, ha dato una lezione interpretativa
di queste straordinarie pagine introduttive,
eseguendo, dopo le bellissime variazioni di
Frescobaldi, le Sonate K392-32-380-208-209
di Scarlatti. I brani successivi hanno
rivelato un approccio più propriamente
chitarristico. Erano dello spagnolo Dionisio
Aguado ( 1784-1849), del messicano Manuel Maria
Ponce ( 1882-1948), del cubano Ignacio Servantes
(1847-1905) e dello spagnolo Joaquin Malats (
1872-1912). Le raffinatezze coloristiche di
Barrueco si sono disvelate in tutti i lavori,
dal notevole Fandango Varié op.16 di
Aguado, alla deliziosa Sonatina Meridional in
re maggiore di Ponce, dalle cinque Danze
cubane di Cervantes, ai raffinatissimi brani
di Malats, ovvero la cubana Morena, la
Serenata Ãndaluza e la Serenata Èspañola.
In queste ultime Barrueco ha dato ancor più
sfoggio di eleganza sopraffina nel delineare
timbriche sfumate, dettagliate e ricche di
elementi virtuosistici sapientemente dosati.
Applausi fragorosi al termine, in una Sala Verdi
con molti appassionati chitarristi. Due i bis
generosamente concessi: un noto brano di De
Falla, la Danza del la molinera, dal
balletto El sombreros de tres picos, e
una raffinata trascrizione della ancor più
celebre beethoveniana Per Elisa.
Splendido concerto!
24 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Teatro alla Scala al completo
per l'ultima replica di Un ballo in maschera
Anche all'ultima replica, la
settima rappresentazione di Un ballo in
maschera di Verdi, il Teatro alla Scala al
completo ha trovato un pubblico entusiasta
dell'ottimo lavoro del registra,
scenografo
e costumista Marco Arturo Marelli. La
messinscena, tradizionale ma con un utilizzo
completo ed intelligente del grande palco
scaligero, ha permesso un coinvolgimento
appassionato, movimentato e funzionale alla
drammaturgia, del cast vocale, del coro e delle
comparse presenti. Valide anche le illuminazione
di Marco Filibek. La dinamicità delle scene, con
quelle eccellenti quinte mobili che
trasformavano, di volta in volta, la scena in
modo vario e particolarmente volumetrico, hanno
permesso un ottimo inserimento dei protagonisti
nei tre atti. Il melodramma, tra i più
rappresentati di Verdi, composto su libretto di
Antonio Somma, ebbe all'epoca problemi di
censura che comportarono continue modifiche sino
alla prima messinscena del Teatro Apollo di Roma
nel 1859.
All'ultima
recita, quella da me vista, la direzione di
Giampaolo Bisanti, che si era alternato sul
podio con Nicola Luisotti ( entrambi in
sostituzione di Chailly indisposto), ci è
apparsa di spessore, ricca di energia e duttile
in un lavoro musicale tra i più complessi ed
interessanti di Giuseppe Verdi. Il cast vocale,
di ottima rilevanza complessiva, ha trovato le
voci di maggior pregio - ed anche le più
applaudite- in Sondra Radvanovsky, un' Amelia
ottima anche attorialmente, e con alto livello
vocale nei frangenti di maggior volumetria; in
Ludovic Tézier, un Renato dalla voce
robusta, penetrante in ogni registro, di
indubbia espressività e con presenza scenica
sicura e risolutiva. Ottimo il Riccardo
di Francesco Meli, voce timbricamente bella,
luminosa,
omogenea nella sua evoluzione. L'Oscar di
Federica Guida ha visto una voce di qualità in
un contesto attoriale perfetto per un ruolo che
rendeva più morbida la drammatica vicenda. Di
forza espressiva e di valida presenza scenica
Okka Von Der Damerau in Ulrica e
bravissimi tutti gli atri. Come sempre al top
il Coro della Scala curato da Alberto Malazzi.
Ricordiamo la prossima opera in calendario con
La Gioconda di Amilcare Ponchielli con
sei rappresentazioni previste per il
7-11-14-18-21 e 25 giugno. Da non perdere!!!
( Prime due foto Foto di M.Brescia e
R.Amisano
dall'Archivio del Teatro alla Scala)
23 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Andrea Lucchesini al 31°
Festival Milano Musica per Berio, Bartòk,
Vacchi e Liszt
Il 31°Festival Milano
Musica ha portato in Sala Verdi, al
Conservatorio milanese, il pianista toscano
Andrea Lucchesini per un programma variegato,
naturalmente avendo come componente centrale la
musica contemporanea o del Novecento, ma con
anche un brano classico importantissimo quale la
Sonata in Si minore di Franz Liszt,
eseguita dopo
l'intervallo. Luciano Berio
(1925-2003), grande compositore del Secondo
Novecento, compose poca musica per solo
pianoforte. I brani più noti sono i Six
Encores, sei brevi miniature pianistiche
eseguite anche singolarmente come bis e composte
in un lungo arco di tempo, dal 1965 sino al
1990. Lucchesini, storico interprete di questo
importante lavoro, ha colto in modo adeguato,
con timbriche ricche di colori e profondità
interpretativa ,
i sei brevissimi momenti musicali
che ripercorrono, con particolare sintesi, i
modi compositivi della seconda parte del
Novecento. La maggiormente
nota Wasserklavier,
del 1965, rappresenta il momento melodico e
tonale in un contesto diversificato con
frangenti atonali o frizzanti come l'ultimo
Feurklavier. Il brano successivo, la
Sonata per pianoforte di Béla Bartòk è del
1926 ed è l'unica nel suo genere composta dal
grandissimo ungherese. Accostabile per stile
compositivo ai suoi concerti pianistici, si
evolve nei classici tre movimenti e cioè
Allegro moderato, Sostenuto e pesante
e Allegro molto. L'eccellente
interpretazione di Lucchesini ha evidenziato in
modo
chiaro gli elementi di contrasto del
difficile brano imperniato, come spesso accade
in Bartòk, in accentuazioni ritmiche, spesso
irregolari e marcate, non mancando comunque di
riferimenti melodici riferiti al folclore della
sua terra. Il
recente brano del bolognese Fabio
Vacchi (1949)- in prima esecuzione assoluta-
ha
concluso con successo la prima parte del
concerto.
La
Sonata n.2 per pianoforte del noto
compositore è stata terminata nel dicembre 2020
e concepita nei momenti più cupi della pandemia.
Articolata in due parti, dalla durata
complessiva di quasi quattordici minuti, è un
lavoro interessante per l'uso particolare del
pianoforte inteso come strumento diffusivo di
timbriche ampie, ricche di armonie e di discreta
estroversione. Inizia con accordi compatti e
sostenuti che poi si riverberano in parti più
ampie della tastiera, per un'esternazione di
progressiva accentuazione coloristica giocata su
rese dinamiche sottili e spesso di pregnante
esternazione. La presenza in lontananza di una
melodia popolare segmentata da un taglio
armonico netto e preciso, rende il brano
ancorato ad un riferimento tonale, anche se
l'elemento coloristico, assimilabile a certe
atmosfere impressionistiche, è riconoscibile
come elemento centrale di un lavoro che sembra
voler uscire dalla logica pianistica per una più
ampia e corale rappresentazione musicale.
Eccellente Lucchesini nell'articolare in modo
netto e preciso l'articolata composizione di
Fabio Vacchi.Il pianista
era visibilmente soddisfatto al
termine dell'esecuzione. Applausi
fragorosi dal pubblico presente in Sala Verdi
anche a Fabio Vacchi, salito sul palcoscenico e
molto contento dell'interpretazione. La
celebre Sonata in Si minore di Liszt ha
concluso il programma ufficiale. Eccellente la
resa di Lucchesini, giocata su un'esecuzione
ricca di contrasti, dai momenti più marcati e
voluminosi, ad altri di più introversa presenza
melodica, per delineare il motivo conduttore che
ha reso celebre questo capolavoro.
Un'interpretazione robusta, ricca di energia e di equilibrio
complessivo, pur nella complessa restituzione.
Due i bis concessi da Lucchesini: prima
un'interessantissima e rara Variazione sul
tema di Diabelli di Franz Schubert sul noto
tema reso celebre da Beethoven, eseguita con
illuminata espressività; poi un eccellente
Domenico Scarlatti con una Sonata tra le meno
celebri, ma di grande valore musicale. Ancora
applausi fragorosi. Concerto splendido!
21 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Ingrid Fliter all'Università
Cattolica per
"Il Pianoforte in Ateneo"
Il progetto "Il Pianoforte
in Ateneo" ha visto ieri sera nell' Aula
Magna dell'Università Cattolica milanese un
concerto con la pianista argentina Ingrid Fliter.
il Maestro Davide
Cabassi,
docente presso il Conservatorio di Milano, e il
Prof. Enrico Reggiani, direttore dello Studium
Musicale di Ateneo, sono
gli artefici di questa felice iniziativa che
unisce il mondo culturale iniversitario ad una
delle più importanti componenti della cultura,
quella musicale, per un'unione di linguaggi
utili allo sviluppo delle conoscenze. Tema della
serata era "Verso la luce: forme del pianismo
tonale". L'argomento introdotto con
limpidezza dal prof. Reggiani ha trovato una
corretta delucidazione del concetto di "tonalità",
utilizzato in modo più rigoroso dai primi
decenni del '700, fino ai nostri giorni. La luce,
cui Reggiani si riferisce, che nasce dai
contrasti dei toni,
è
quella emersa nelle bellissime composizioni
interpretate ottimamente dalla Fliter. Haydn,
Scarlatti e Schumann, i compositori scelti dalla
nota interprete, ben si addicono a rappresentare
la luminosità del mondo tonale. Eccellente la
Sonata in mi minore Hob.XVI N.34
introduttiva di J.Haydn, con una Fliter di
eccelsa fluidità nel rendere bene i geometrici
contrasti dei tre movimenti. Ottima anche la
Sonata in do diesis minore K247 di Domenico
Scarlatti, brano tra i più sviluppati del grande
musicista napoletano. La Fliter ha voluto
eseguirla quasi come introduzione ai celebri
Studi Sinfonici op.13 di Robert
Schumann,
una composizione tra le più interessanti del
grande romantico tedesco. Una serie di momenti
musicali ricchi di contrasti, spesso anche di
grande voluminosità, con caratteristiche appunto
"sinfoniche" per il complesso armonico
espresso. Una luce a volte tenue, a volte
intensa quella emersa nell'ottima
interpretazione della Fliter. Ingrid ha voluto
terminare il complesso lavoro inserendo alla
fine uno degli Studi più parcellizzati in
termine di quantità di note, da lei centellinate
con intensa profondità espressiva. Applausi
sostenuti dal numeroso pubblico intervenuto e
tre ottimi bis concessi dall'interprete con uno
Schumann (movimento centrale della Sonata n.2) e
due Chopin ( un Valzer e lo Studio "Minute")
eseguiti ottimamente.
20 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Serata memorabile per
Juan Diego Flórez al
Teatro alla Scala con undici bis
Il tenore Juan Diego Flórez è
stato accolto da un Teatro alla Scala al
completo per il suo recital dedicato -
nel programma ufficiale- quasi esclusivamente ad
autori italiani, ad eccezione di Christoph
Willibald Gluck con O del mio dolce ardor
da Paride ed Elena, brano introduttivo. Il
pianoforte di Vincenzo Scalera- da decenni
affermato come accompagnatore
di grandissimi interpreti quali Bergonzi,
Caballé, Carreras, Gencer, Scotto, Valentini
Terrani,
Ricciarelli,
Kabaivanska, e molti altri - ha trovato ottimi
dosaggi coloristici per evidenziare le qualità
del grande quarantanovenne tenore peruviano. Ma
non solo il predisposto impaginato ha reso ampio
ed importante questo recital. Il gran
finale, con oltre cinquanta minuti di bis
strappati da un pubblico entusiasta che aveva
voglia del bel canto, dopo un lungo periodo di
tregua pandemica, sono stati concessi con
immensa generosità latina dal grande interprete.
La serata, dopo il primo Gluck, procedeva con
Caccini, Carissimi, Bellini, Rossini e, dopo
l'intervallo con Tosti, Donizetti, Verdi e
Puccini. Tra i numerosi brani, due brevi pezzi
pianistici di Rossini con la rara Danse
sibérienne n.12, e di Verdi con la
Romanza senza parole in fa maggiore,
facevano per pochi minuti riposare la voce di
Flórez, e rivelavano ancor più le qualità di un
pianista doc quale Vincenzo Scalera. Tra
i brani dell'impaginato per canto e pianoforte,
ben quattordici, citiamo almeno La Ricordanza
di Bellini- riconosciuta come aria più
celebre nei Puritani-
La
speranza più soave da Semiramide di Rossini,
i celebri Sogno e Aprile dai tre
brani eseguiti di Francesco Paolo Tosti, quindi
Brezza del suol natio... Dal più remoto
esilio da I due Foscari di Giuseppe
Verdi e quello conclusivo con Torna ai felici
dí da Le Villi di Giacomo Puccini. Una
carellata già numerosa che ha rivelato la
splendida tenuta vocale del grandissimo tenore
per una emissione dalle tenui timbriche di
velata coloratura e all'occorenza di grande
forza espressiva, con ardite volumetrie
applauditussime al termine di ogni brano.
Applausi fragorosi, interminabili a conclusione
del programma ufficiale e quindi inizio del
"concerto nel concerto". Undici bis
aspettavano Flórez che entrava prima nel mondo
più "popolare", tra napoletano e latino,
impugnando la chitarra e accompagnandosi in
quattro brani quali
Core
'ngrato di Salvatore Cardillo, Piel
Canela (Me importas tu, y tu, y tu) ,
poi Guantanamera intonata anche
coralmente dal pubblico e Cucurrucucú Paloma
di Tomás Méndez, Il rientro in scena di
Scalera portava ancora al celebre Ah! Mes
amis dal donizettiano La Fille du Régiment,
Pourquoi me réveiller dal Werther di
Massenet, poi ancora il brano latino Jurame,
quindi Che gelida manina da Bohème,
il verdiano La donna è mobile da
Rigoletto , e poi, cavallo di battaglia di Del
Monaco e anche di
Claudio Villa,
Granada e.... ancora Puccini con il
classico Nessun Dorma dalla Turandot.
Applausi interminabili. Memorabile.
19 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Prossimamente per "Musica a
Villa Durio" di Varallo Sesia Valentina
Ciardelli e Massimo Giuseppe Bianchi in concerto
Domenica 22 Maggio nel Salone
dell’Incoraggiamento di Palazzo dei Musei alle
ore 17.30 si terrà
un
concerto per duo di contrabbasso e pianoforte .
Accanto a Valentina Ciardelli, compositrice
oltre che contrabassista ci sarà Massimo
Giuseppe Bianchi, pianoforte, al quale è
dedicata un’opera scritta dalla giovane artista.
Dice Bianchi "Ho incontrato Valentina Ciardelli
alcuni anni fa, ne ho apprezzato subito
l’energia e sensibilità artistica. Speravo di
poterla proporre al pubblico di Musica a Villa
Durio nel 2020, dopo due anni riusciamo
finalmente a concretizzare il progetto.
Suoneremo un
repertorio
per contrabbasso e pianoforte che spazierà dal
Don Giovanni di Mozart, a Gershwin, passando per
West Side Story di Bernstein per concludere con
Frank Zappa.”I biglietti dei concerti sono
acquistabili da subito sul sito Eventbrite al
link
https://bit.ly/MVD42 oppure, come di
consueto, prima dei concerti al prezzo di 10
euro, mentre i bambini e i ragazzi fino a 12
anni entrano gratis.Sarà possibile prenotare
contattando il numero di Musica a Villa Durio,
388 255 42 10, anche con messaggio whatsapp. Per
tutte le informazioni è a disposizione l’email:
info@musicavilladurio. (Foto dall'Ufficio Stampa
di Varallo Valsesia)
18 maggio dalla redazione
Pedro Amaral e l'Orchestra
Sinfonica Nazionale
della Rai per il Festival Milano Musica
Il 31° Festival Milano
Musica è approdato ieri sera al Teatro alla
Scala per un importante concerto sinfonico.
L'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai era
diretta da Pedro Amaral in brani di Sofija
Gubajdulina (1931), Arvo Pärt (1935) e Dmitrij
Šostakoviç (1906-1975). La
presenza del virtuoso violinista Vadim Repin ha
impegnato i primi due lavori. Il primo,
Dialog:
Ich und Du - Concerto per violino e orchestra
n.3, è stato realizzato dalla compositrice
russa nel 2018. Un brano, in prima esecuzione
italiana, che rivela il segno forte della
Gubajdulina nei circa venti minuti di una musica
giocata sul rapporto tra il violino solista e
l'orchestra, con ruolo importante nella sezione
percussiva. Un dialogo coinvolgente, dove le
abilità espressive di Vadim Repin sono risultate
evidenti, unitamente alle pregnanti timbriche
dell'Orchestra, una compagine di altissimo
livello, specializzata nel repertorio del
Novecento e contemporaneo. Di alta qualità la
direzione del portoghese Amaral, che ha saputo
dosare con chiarezza espressiva i colori
contrastati della ricca tavolozza orchestrale.
Anche il brano dell'estone Arvo Pärt,
La
Sindone,
per violino e orchestra,
ha trovato una resa eccellente sia nel violino
di Rapin che nelle sezioni orchestrali. È un
lavoro del 2006 rivisitato più volte, sino alla
versione ascoltata del 2022 in prima esecuzione
italiana. I caratteri tipici del compositore,
molto interiorizzati e di profonda riflessione
religiosa, emergono nel breve ma sostanzioso
brano,
soprattutto nella sua parte centrale, pur
alternandosi a situazione di voluminosa
estroversione per una resa complessiva ricca di
carica espressiva. Dopo l'intervallo, la
Sinfonia n.15 in la maggiore op.141, ultima
del genere di Dmitrij
Šostakoviç,
ci ha portato in mondo musicale ricco di
caratteri differenziati. Composta nel 1971, ed
eseguita l'anno successivo con la direzione di
Maksim, figlio del compositore, la Sinfonia
trova ispirati e diversificati riferimenti, sia
con chiare citazioni da Rossini o Wagner, che da
modalità stilistiche differenti, con riferimenti
settecenteschi o di certo neoclassicismo
stravinskiano, sino all'impronta dodecafonica.
Una sorta d'interessante collage che tende a
svanire nel nulla terminando in uno stato di
sensazione d'impenetrabilità. Splendida
l'interpretazione di Amaral, per una resa
orchestrale di alto livello. Fragorosi applausi
dal numeroso pubblico intervenuto.
17 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
L'Orchestra Sinfonica di
Milano diretta da
Stanislav Kochanovsky in collaborazione con
Milano Musica
Un concerto particolarmente
interessante quello dell'Orchestra Sinfonica di
Milano che segna anche la collaborazione con la
rassegna di musica contemporanea di Milano
Musica da poco iniziata. Tre lavori, due del
polacco Witold Lutoslawski (1913-1994) e uno
dell'ungherese Bela Bartók (1881-1945), hanno
segnato il pomeriggio domenicale di ieri nella
replica da me
ascoltata.
Un direttore di indubbia valenza quale il russo
- di Pietroburgo- Stanislav Kochanovsky ha
proposto prima Musica funebre per orchestra
d'archi (1958) e Chantefleurs et
Chantefables (1989-90) del polacco e, dopo
il breve intervallo, il Divertimento per
orchestra d'archi (1939) dell'ungherese.
Sono lavori accomunati da evidenti capacità, per
entrambi i compositori, di grande orchestrazione.
La Musica funebre di Lutoslawski è dedicata a
Bartòk, a dimostrazione di quanto il polacca sia
debitore, specie nelle modalità compositive,
all'ungherese. Le atmosfere cupe e incisive del
breve brano in quattro parti segnano un primo
personale stile del grande
compositore.
Il secondo brano, dal carattere completamente
diverso, con situazioni anche spensierate, si
affida ad una voce di soprano, quella della
bravissima Lucja Szablewska, per nove brevi
poesie di Robert Desnos con temi legati a fiori
ed animali. Il lavoro scritto negli ultimi anni
di vita dell'autore, è un gioiello di eleganza
per un eccellente resa del soprano polacco in
felice consonanza con i colori orchestrali. La
conclusiva e più nota pagina di Bartòk, nella
sua tipica felice ed efficace scrittura per
archi, rivela ancora le qualità del russo
Kochanovsky,
direttore dal gesto elegante, sicuro e profondo,
che ha ben messo in rilievo le eccellenti
timbriche dell'Orchestra Sinfonica di Milano,
ottima in tutti i lavori eseguiti. Applausi
convinti dal pubblico presente in Auditorium.
Prossimo appuntamento per l'Orchestra Sinfonica
di Milano previsto per il 19 il 20 e il 22
maggio con il pianista Volodin e il celebre
Rach3. Per il Festival Milano Musica e la sua
Stagione di musica contemporanea importante è il
concerto di questa sera alla Scala con
l'Orchestra della Rai e il violinista Repin. Da
non perdere entrambi i concerti.
16 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Francesco Libetta
rivela Paisiello agli Amici del Loggione
Un valido incontro con il
pianista Francesco Libetta, svoltosi agli Amici
del Loggione del
Teatro
alla Scala, ha evidenziato la figura del
compositore Giovanni Paisiello ( Taranto 1740-
Napoli 1816), uno dei migliori rappresentanti
della scuola napoletana. La lezione-concerto di
Libetta, organizzata da Mario Marcarini, è stata
l'occasione per la presentazione di un suo
recente Cd. Libetta ha giustamente messo in
risalto il lato più nascosto di Paisiello,
quello legato alla produzione pianistica. Il
pianista pugliese ha fatto esempi musicali
interpretando
alcuni
brevi brani del suo conterraneo, alla luce di
una semplicità di scrittura che andrebbe
certamente riscoperta nella sua autenticità. I
manoscritti da lui analizzati, autentiche rarità,
hanno rivelato anche il Paisiello anticipatore
del genere del Notturno, genere reso poi celebre
da Chopin. Applausi per l'interprete e il
classico brindisi finale con ottimo vino bianco
e ricco buffet.
15 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
PROSSIMAMENTE: GRAN FINALE AL
CIVICO: IL VIOTTI FESTIVAL CHIUDE CON PAGANINI!
Nella realtà storica,
all'inizio dell'800 Giovan Battista Viotti
lasciò idealmente il testimone all'astro
nascente Niccolò Paganini. È dunque naturale che
sabato 21 maggio (ore 21)
– con
un'interessante anticipazione per le scuole
venerdì 20 maggio alle ore 10
– il XXIV
Viotti
Festival
chiuda il cartellone principale al Teatro Civico
di Vercelli con uno spettacolo teatral-musicale
dedicato proprio a Paganini. Ideato, diretto e
interpretato (insieme a molte ottime attrici) da
Giovanni Mongiano, Niccolò, quanti capricci! è
il nuovo capitolo della fortunata collaborazione
tra la Camerata Ducale (presente in scena con
Guido Rimonda al violino e un ensemble di archi)
e il TeatroLieve di Fontanetto Po, incontro
artistico che si rivela ogni anno quanto mai
felice. Il risultato questa volta è una serata
intensa e divertente, nella quale il vulcanico
Mongiano prende per mano lo spettatore e lo
accompagna alla scoperta (semiseria) della vita
avventurosa e non certo irreprensibile del
violinista “maledetto”
per eccellenza. Quello che, per
intendersi, oggi sarebbe sicuramente una
rockstar. Malato da tempo, Niccolò Paganini, il
più grande violinista di tutti i tempi,
circondato da illustri medici e loschi
ciarlatani, muore a Nizza il 27 maggio 1840 a
seguito di un accidentale ma violento colpo di
tosse. Qui comincia lo spettacolo, perché,
si
sa, a teatro i morti parlano. Niccolò, già
imbalsamato e posto in una teca trasparente,
scopre che gli si vuol negare la sepoltura per
la sua condotta immorale. Irritato dalla
seccante situazione, comincia a raccontare la
sua vita al figlio Achille, rammentando i suoi
strabilianti successi e la genesi di quell’abilità
ineguagliabile che lasciava sbalorditi gli
spettatori. Ma ci sono guai in vista: tra la
folla di ammiratori compare anche la madre di
Achille, Antonia Bianchi, che rivanga la loro
burrascosa relazione. E ancora, per una perfida
coincidenza, ecco intorno a Niccolò le sue
amanti più celebri, da Elisa Bonaparte a
Carlotta Watson, dalla baronessa Hélène von
Dobeneck ad Angiolina Cavanna, tutte sedotte e
abbandonate. E no, non sarà facile difendersi.
(Foto dall'ufficio stampa di Vercelli)
15 maggio dalla redazione
Maxim Francesco Zoni,
un giovane pianista agli Amici del Loggione
del Teatro alla Scala
Ha quindici anni Maxim
Francesco Zoni, talentuoso pianista vincitore
del Concorso per giovani interpreti di Chopin
tenuto recentemente in Svizzera con una giuria
presieduta
nientemeno
che da Martha Argerich. Nel pomeriggio di oggi,
agli Amici del Loggione del Teatro alla Scala
di via Silvio Pellici, l'estroversa
presentazione di Ginevra Costantini Negri e poi
naturalmente di Gino Vezzini, ci ha permesso di
conoscere le doti di Maxim, prima nel suo amato
Chopin e poi in Mozart. Le Mazurche Op.17,
il Notturno n.1 op.27, la Ballata n.1
op.23 e il bis di fine concerto con la
celebre Polonaise op.53 "Eroica", hanno
rivelato una predisposizione naturale al grande
polacco dal giovane interprete. Timbriche chiare,
trasparenza e sicurezza
tecnica
hanno portato a valide interpretazioni, con
maggiori esternazioni qualitative nella
Mazurka op.17 n.4 -resa celebre dal grande
Horowitz- , nella Ballata n. 1 in sol minore
e nella Polacca op.53, certamente di
grande effetto per espressività e quadratura
costruttiva. Valida la resa espressiva della
Sonata n.13 K 333 eseguita dopo il breve
intervallo. Maxim è un pianista con alte
potenzialità che va seguito nel corso del sua
evoluzione d'interprete. Bravissimo! Applausi
sostenuti dal numeroso pubblico intervenuto.
14 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Presentata la Stagione
2022-2023 della
Fondazione La Società dei Concerti con il
"Concerto di Gala degli Artisti in residenza"
Serata particolarmente
riuscita quella di ieri sera in Sala Verdi al
Conservatorio milanese per il "Concerto di Gala
degli Artisti in residenza"
della Fondazione La Società dei Concerti.
Enrica Ciccarelli, Presidente e Direttore
artistico della nota società concertistica, ha
introdotto
la
serata evidenziando la nuova programmazione di
concerti previsti per la Stagione 2022-23. Sarà
il quarantesimo anno di musica dalla nascita
della Fondazione per opera di Antonio Mormone.
Dopo le sentite parole del consigliere artistico
Nazzareno Carusi, sono saliti sul palcoscenico
gli artisti in residenza per il concerto. Il
Trio Kaufman, Giulia Rimonda, Valerio Lisci e
Josef Mossali - era purtroppo assente il
flautista Cristian Lombardi indisposto- hanno
organizzato un impaginato diversificato e ricco
di ottima musica, con alcuni brani del compianto
musicista, pianista e direttore Ezio Bosso, cui
era dedicato il concerto.
Un
brillante Rondò all'ungherese di Haydn -
dal Trio in sol maggiore- ha introdotto
il concerto con Valentina, Chiara e Luca Kaufman
- rispettivamente pianista, violoncellista e
violinista- in perfetta sinergia per una
resa
ottimale in fluidità ed espressione. Una
bellissima trascrizione di Méditation dal
Thaïs di Massenet ha accolto la violinista
Giulia Rimonda e l'arpista Valerio Lisci per
un'interpretazione ancora ricca di sentimento.
Il primo omaggio a Ezio Bosso, a due anni dalla
scomparsa, ha visto di nuovo la Rimonda e Lisci
per il brano Bitter and Sweet, un lavoro
pacato e ricco di suggestioni coloristiche.
Ancora Giulia Rimonda, questa volta col pianista
Josef Mossali, ha concluso la prima parte della
serata con un espressivo Scherzo di
Joahnnes Brahms dalla celebre Sonata FAE.
Dopo il breve intervallo, ancora un omaggio ad
Ezio Bosso con Rain in Your black eyes
eseguito dal Trio Kaufman, affiatatissimi
strumentisti nell'esternazione minimalista di un
lavoro giocato su
poco
note, ma di grande intensità emotiva. Di grande
impatto coloristico e virtuosistico la Grande
fantasia sulla Lucia di Lammermoor che il
compositore E.Paris Alvars ha scritto per arpa.
Notevole la capacità di resa virtuosistica ed
espressiva dell'arpista Valerio Lisci con le sue
"magiche"
timbriche
che hanno definito le bellissime variazioni
delle celebri arie donizettiane. A conclusione
del programma ancora sul palcoscenico Josef
Mossali per la strepitosa Suite da concerto
dallo Schiaccianoci di
Čaikovskij,
nella virtuosistica trascrizione di M.Pletnëv:
sette momenti musicali di
grande efficacia pianistica restituiti con
chiarezza e brillantezza da questo eccellente
giovane interprete. Applausi fragorosi a tutti i
protagonisti saliti sul palcoscenico, ed anche
ad Enrica Ciccarelli, grande organizzatrice
musicale. Una splendida serata.
14 maggio 2022 Cesare Guzzardella
Alessandro Deljavan
diretto da Jacopo Brusa per Fauré e una prima di
un brano di Alessandra Ravera
Ottimo concerto quello di
ieri sera con l' Orchestra de I Pomeriggi
Musicali. La valida direzione di Jacopo
Brusa proponeva tre brani differenti per genere
e periodo di realizzazione.
Partendo
dal recentissimo Arcane, per orchestra di
fiati, prima esecuzione assoluta di un
lavoro di Alessandra Ravera, siamo andati a
ritroso nel tempo con la Ballata per
pianoforte e orchestra Op.19 di Gabriel
Fauré, sino alla celebre Sinfonia n.7 op.92
di L.v. Beethoven, eseguita dopo il breve
intervallo. Il brano cameristico della
compositrice romana Alessandra Ravera (1977),
allieva anche di Azio Corghi e
di Ivan Fedele, è di particolare
interesse per qualità espressiva. L'organico per
strumenti a fiati, sostenuti anche dalle
percussioni, si dipana per circa dodici minuti
di musica esprimendo suggestive ed efficaci
timbriche giocate sulle relazioni degli
strumenti a fiato, tra interventi individuali, a
piccole sezioni, e ampie coralità. La solida
impalcatura costruttiva e gli efficaci
interventi melodici dei bravissimi fiati de I
Pomeriggi, hanno
permesso armonizzazioni piacevoli al primo
ascolto, con timbriche dal sapore orientale e
di
evidente valida resa espressiva. Applausi del
numeroso pubblico anche alla compositrice salita
sul palcoscenico. La Ballata per pianoforte e
orchestra in fa diesis maggiore del francese
Fauré è una delizia alle orecchie più attente.
La leggerezza melodica del bravissimo
compositore è solo la parte superficiale di un
lavoro raffinato, giocato su armonizzazioni
splendide dal punto di vista costruttivo. Non si
poteva trovare meglio di Alessandro Deljavan ad
esprimere l'importantissimo ruolo pianistico.
Deljavan, affermato interprete internazionale,
ha reso in modo particolareggiato e profondo il
delicato gioco melodico, ricco di intrecci,
della Ballata. È stato ben coadiuvato dagli
orchestrali e
dall'attenta
direzione di Brusa. Splendida interpretazione.
Di eccellente qualità il bis concesso dal
solista con la preziosa Mazurca Op.17 n.2 in
mi minore di F. Chopin resa con grande
espressività. Dopo il raro Fauré, la celebre
Settima Sinfonia di Beethoven ha trovato una
direzione energica in Brusa per una valida
restituzione degli orchestrali de I Pomeriggi,
bravi in ogni sezione. Applausi sostenuti dal
numeroso pubblico intervenuto. Sabato alle ore
17.00 si replica. Da non perdere.
13 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Olga Kern diretta da
Roland Böer per la Società dei Concerti
Non capità spesso di
assistere ad una serata di grande qualità come
quella ascoltata ieri sera. Il concerto
organizzato dalla Fondazione La Società dei
Concerti aveva come protagonisti l'Orchestra
dell'Accademia del Teatro alla Scala, il
direttore Roland Boër e una pianista ben
conosciuta
dal pubblico della Società quale Olga Kern. Il
bellissimo impaginato prevedeva due capolavori
della letteratura concertistica e sinfonica
romantica rappresentati dal Concerto n.2 in
Do minore op.18 per pianoforte ed orchestra
di Sergej Rachmaninov e dalla Sinfonia n.2 in
re maggiore op 73 di Johannes Brahms. Se è
lecito esprimere un primo elogio, dobbiamo darlo
ai giovani orchestrali dell'accademia scaligera,
che diretti ottimamente da Böer, hanno eccelso
in entrambi i lavori
fornendo
una resa espressiva degna delle migliori
orchestre. Mettiamo poi su un piedistallo la
bravissima Olga Kern. L'ho ascoltata in
moltissimi concerti, e debbo dire che ieri sera
ha superato se stessa per qualità interpretativa.
Vero è che la Kern è sempre stata un'eccellente
interprete di Rachmaninov, ma ieri il Rack 2,
capolavoro del russo composto tra il 1900 e il
1901, che unisce chiare melodie note ad ogni
pubblico a virtuosismi di incredibile
difficoltà
tecnica, ha trovato una pianista eccelsa, che
con grinta e sicurezza assolute ha superato ogni
difficoltà con apparente semplicità, per una
resa eccellente. Ottima la sinergia con gli
orchestrali, bravi in ogni sezione. Tra i
calorosi applausi del numerosissimo pubblico
intervenuto in Sala Verdi- ricordiamo la non
sempre presenza di molti giovani- la Kern è
stata molto generosa a concedere tre
virtuosistici bis, dopo aver ricordato il popolo
ucraino nella speranza di una rapida fine della
guerra. Prima un noto brano di Mosorskij nella
trascrizione di Rachmaninov, Gopak ;
poi di Claude Debussy Feux d'artifice
reso con incredibile chiarezza virtuosistica e,
per ultimo, il classico Etincelle di
Moszkowsky reso celebre dal grande Vladimir
Horowitz. Dopo l'intervallo, la portentosa
Sinfonia n.2 che il grande amburghese
compose nel 1877, ha esaltato ancor più le
abilita dei giovani orchestrali, di rilievo in
tutte le sezione. Applausi fragorosi al termine
al bravissimo direttore Roland Böer e
all'Orchestra dell'Accademia scaligera. Grande
soddisfazione per tutti in una serata da non
dimenticare.
12 maggio 2022 Cesare Guzzardella
Alexander Gadjiev
alle Serate
Musicali del Conservatorio
Il pianista goriziano
Alexander Gadjiev è salito alla ribalta
internazionale con la recente importante seconda
posizione al prestigioso Concorso
Internazionale Chopin di Varsavia del 2021.
Ieri sera, nel bel concerto organizzato da
Serate Musicali in Conservatorio, ha dato
saggio delle sue qualità d'interprete del grande
polacco impaginando un programma romantico
che
dedicava a Chopin la prima parte del concerto.
La Polacca Fantasia in la bem.maggiore op.61
introduceva la serata ed evidenziava da subito
la cifra stilistica del giovane interprete: le
indubbie qualità tecniche e le timbriche sfumate
ben evidenziate ben si addicevano all'Op.61 di
Chopin, tra le polacche quella più visionaria e
suggestiva. Le Tre Mazurche op.56
continuavano il concerto in un unicum espressivo
in sintonia con il primo brano. La
personalizzazione interpretativa di Gadjiev,
certamente di ottima fattura, è lontana da
quelle dei grandi interpreti storicizzati,
quella dei Cortot, dei Rubinstein, di Lipatti o
dei più vicini Pollini e Zimerman,- solo per
citarne alcuni tra i massimi - e vuole cercare
nuovi orizzonti, cosa non facile da apprezzare
nell'immediato per chi ha orecchie abituate a
riferimenti entrati nella storia interpretativa.
Certamente
Gadjiev
ha espresso frangenti con ottimo stile e valida
creatività musicale. Anche nella celebre
Sonata n.2 in si bem.minore op.35, Gadjiev
ha articolato momenti particolarmente rilevanti
pur non facendo emergere, al primo ascolto, una
chiara unità interpretativà. Dopo il breve
intervallo, un altro grande romantico come
Schumann e la sua Fantasia in do maggiore
op.17 ha trovato una complessiva notevole
resa espressiva. Dalle prime efficaci note del
celebre lavoro è continuata un'esternazione di
ottimo livello. Molto applaudito dal pubblico
intervenuto in Sala Verdi, con molti giovani
presenti, Gadjiev ha concesso poi tre bis
certamente di qualità: il Preludio in do
diesis minore op.45 di Chopin, un eccellente
Debussy con lo Studio n.11 per arpeggi e
l'ottimo Studio op.10 n.8 in Fa maggiore
ancora del polacco. Fragorosi e meritati
applausi. Un pianista da riascoltare con
attenzione.
10 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
L'Orchestra Sinfonica
di Milano
diretta da Hannu Lintu per Bartók e Schumann
"La Verdi", con la nuova
denominazione Orchestra Sinfonica di Milano,
ha visto in questi giorni la direzione di Hannu
Lintu per due brani sinfonici importanti quali
il Concerto per
pianoforte
e orchestra n.3 Sz. 119 di Belá Bartók e la
Sinfonia n.3 in mi bem. maggiore op.97 "Renana"
di Robert Schumann. Il primo lavoro del
compositore ungherese, ascoltato alla replica
domenicale, è un brano maturo composto da Bartók
negli Stati Uniti nel 1945 ed eseguito per la
prima volta nel '46 a Philadelphia per la
direzione di Eugene Ormandy, purtroppo mai
ascoltato dal grande musicista, deceduto poco
dopo la quasi completa realizzazione ( mancavano
solo 13 battute completate
poi dagli appunti da Tibir Serly) . Un
ottimo pianista quale il milanese Luca Buratto
ha sostenuto la parte solistica avendo
chiarissimamente in testa la visione completa
del difficile brano, caratterizzato da grande
virtuosismo ma anche da momenti di pacato
lirismo come nell'intenso Adagio religioso
centrale. L'ottima direzione del finlandese
Hannu Lintu, con resa chiara
in
tutte le sezioni orchestrali, ha sostenuto con
efficacia l'eccellente interpretazione di
Buratto, in un lavoro caratterizzato da una
scrittura tonale ricca di contrasti, dove
soprattutto l'elemento ritmico costruisce
fraseggi articolati, marcati moto bene dal
solista, con perfezione tecnica e discorsività
profonda. Applausi calorosi ai protagonisti e
ottimo il bis solistico con l'amato Schumann
ed il primo dei
Fantasiestucke op.12. La seconda parte del
concerto ci ha portato indietro di quasi cento
anni, al romanticismo di Robert Schumann e la
sua Quarta Sinfonia "Renana" op.97. Si
tratta di un lavoro maturo del compositore
tedesco composto nel 1850 che si sviluppa in ben
cinque movimenti, una rarità per il genere
trattato. La direzione dirompente di Lintu ha
reso molto bene i caratteri schumanniani,
attraverso una restituzione fluida e di ottima
qualità espressiva da parte della Sinfonica di
Milano. Applausi calorosi al termine ai
protagonisti.
9 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
LA VIOLINISTA
GIULIA RIMONDA
E IL MAESTRO EMMANUEL TJEKNAVORIAN PROTAGONISTI
A VERCELLI
Ieri sera, sabato 7 maggio la
XXIV stagione del Viotti Festival, ormai vicina
alla conclusione, ha proposto, nella sala del
Teatro civico di Vercelli, un concerto che
vedeva in programma due pagine tra le più note
dell’intera storia della musica: il Concerto per
violino e orchestra in mi minore op.64 di F.
Mendelssohn-Bartholdy e la sinfonia n.3 in mi
bem. maggiore op.55, universalmente celebre come
l’”Eroica” di L. van Beethoven. A eseguire
questi due immortali capolavori la ventenne
violinista Giulia Rimonda e il Maestro Emmanuel
Tjeknavorian, che sempre più spesso lascia
l’archetto del violino per la bacchetta di
direttore, in questa occasione alla guida della
Camerata ducale. Avevamo già avuto modo di
apprezzare Giulia Rimonda in
un recente recital
cameristico di elementi della Camerata ducale
junior, in cui ci aveva colpito la già matura
autorevolezza interpretativa, unita ad una
scioltezza e sicurezza assolute nei passaggi più
ardui di abilità: uscimmo da quel concerto con
una certezza e con un desiderio: la certezza che
la giovanissima Rimonda è già più che una
semplice promessa e il desiderio di riascoltarla
il più presto possibile. Il concerto di ieri
sera ha appagato il desiderio e confermato
pienamente le certezza. Giulia Rimonda ha ormai
maturato un suo suono, calibrato e tornito con
cura, tanto nei legati quanto negli staccati,
fatto di energia, di morbidezza e duttilità
davvero notevoli nel controllo delle dinamiche,
con un timbro che imprime alle note chiarezza e
calore, sostenuto da una perfetta intonazione,
come ci assicura la somma autorità di uno dei
suoi Maestri, S. Accardo La cavata è sempre
fluida, limpida, tale da consentirle un
fraseggio che con naturalezza sale dalle note
più gravi sino ai vertici di siderali sovracuti,
un fraseggio che è un incessante fervore di
impulsi ritmici e melodici. Più che convincente
la sua interpretazione del Concerto di
Mendelssohn. Fin dall’apertura, in seconda
battuta, dell’Allegro molto appassionato, la
giovane violinista torinese trova la ‘sua’
chiave esecutiva, in unità con l’orchestra, per
dare voce alla tensione che impronta questa
sezione del concerto, non come scomposto
sentimentalismo, o ansimante respiro della
cavata, ma piuttosto come un anelito struggente
che si esprime al meglio, in particolare quando
suona a doppia corda, nel dare voce
all’espansione ascendente della melodia, coi
suoi guizzi che, muovendo dai registri gravi, si
protendono all’acuto e al sovracuto, quasi
attratti dal richiamo di un ignoto al di là del
suono stesso. E’ una sezione ricca di
figurazioni, che l’archetto di Giulia Rimonda
rende con accurata incisività nel dettaglio,
altra virtù dello stile esecutivo di questa
violinista. Più che il ritmo in sé, Rimonda ci è
sembrata ricercare e valorizzare i ‘vertici di
tensione’ che questo capolavoro dissemina nei
momenti più coinvolgenti del primo tempo, ed è
davvero brava nella sezione in cui, alla ripresa
del primo tema dopo l’esposizione del secondo,
il violino deve suonare, quasi protendendosi,
per ben tre volte una nota tenuta, nel registro
sovracuto: qui il sentimento che la solista
comunica all’ascoltatore non ha nulla di
drammatico, o addirittura di straziante, come
per molti interpreti, ma è avvolto da un
indicibile ‘non so che’, una sorta di ‘sete di
infinito’, perfettamente romantica. Ma Rimonda
sa dare anche voce adeguata all’altra componente
di questo stupendo concerto, quella più
affabilmente e teneramente melodica delle due
sezioni esterne del secondo movimento: il
violino qui sa passare dall’energia e dalla
tensione al canto puro, di intensa liricità, in
cui peraltro la calma dell’andamento ritmico
lascia filtrare talora un che di palpitante,
quasi commovente, per poi cambiare ancora suono
nella sezione centrale del movimento, con un
vibrato su doppia corda, che ascende
gradualmente, con superba gestione delle
dinamiche di crescente intensità, fino a
congiungersi in un magico accordo con il tutto
dell’orchestra, come in una sorta di trionfale
rivelazione. Naturalmente queste preziose
qualità di intelligente interprete sono sorrette
da un virtuosismo che le permette di affrontare
senza sforzo, e con assoluta precisione i
passaggi più impervi del concerto
mendelssohniano e in particolare il quarto
tempo, un Rondò sonata dai passaggi vorticosi,
per rapidità di ritmi, ampiezza di intervalli e
quant’altro. Davvero strameritati i lunghissimi
e appassionati applausi del numeroso pubblico
presente, cui Giulia Rimonda ha concesso, come
fuori programma, una appassionata e malinconica
melodia della tradizione popolare ucraina. Il
concerto per violino di Mendelssohn non fa
dell’orchestra un semplice sfondo di
accompagnamento per l’esibizione virtuosistica
del solista: all’opposto di Paganini,
Mendelssohn propone una continua interazione
dialogica tra orchestra e strumento,
che tendono
a integrarsi, più che a contrapporsi. E
Tjeknavorian ha svolto egregiamente il suo ruolo,
curando al meglio i dettagli timbrici e dinamici,
staccando i tempi giusti, sostenendo
perfettamente la solista nei momenti di maggior
tensione della partitura, con una ben calibrata
energia di suono, che non ha mai coperto il
suono dello strumento solista. A Tjeknavorian è
poi toccato dirigere uno dei monumenti sacri
della musica occidentale, l’Eroica. E’ davvero
difficile, oggi, dopo più di due secoli di
esecuzioni, al ritmo di centinaia all’anno con
l’avvento della registrazione, dire qualcosa di
‘nuovo’ su questo mostro sacro della musica. A
nostro avviso il Maestro austro-armeno ha
eseguito bene, facendo suonare al meglio la
Camerata ducale: ne è uscita un’Eroica dalla
sonorità compatta, ma con colori diversi per i
quattro movimenti, (molto ben riuscito per
scelta metronomica e alleggerimento del suono lo
staccato degli archi e la successiva ripresa
dell’oboe, che aprono lo Scherzo, dopo la Marcia
funebre) e densa, grazie anche ad una buona
conduzione dei fiati, anche nel dare ‘peso’ e
densità al suono orchestrale coi loro raddoppi
d’ottava. Volendo indicare uno dei momenti
migliori della direzione di Tjeknavorian
sceglieremmo il fugato del secondo movimento,
dove al direttore riesce perfettamente di unire
alla densità contrappuntistica della sezione un
velo di accorata malinconia di fronte al mistero
del dolore universale. Buona la gestione delle
dinamiche, che eccelle nel gigantesco respiro
dell’inizio e nella cura dei dettagli timbrici e
motivici , che dà il meglio di sé nell’immenso
sviluppo dell’iniziale Allegro con brio. Un gran
bel concerto, che ha riscosso, a giudicare dai
lunghi applausi del pubblico quasi al completo,
un notevole e meritatissimo successo. Un’altra
serata di buona musica che fa onore alla
Camerata ducale, al suo ViottiFestival e a chi
li organizza e li dirige, specie in tempi così
difficili per la musica, l’arte, la cultura
tutta.(Foto dall'ufficio stampa di Vercelli)
Bruno Busca 8 maggio 2022
La West-Eastern Divan
Orchestra alla Scala diretta da Guggeis
Doveva esserci Daniel
Barenboim a dirigere la sua West-Eastern
Divan Orchestra. In convalescenza, è stato
sostutuito dal giovane direttore tedesco Thomas
Guggeis. Guggeis di
recente
lo abbiamo visto alla direzione dell'Orchestra
Sinfonica di Milano, anche insieme ai
fratelli pianisti Jussen, per uno splendido
concerto sinfonico. Ieri sera lo aspettava
l'impaginato predisposto da Barenboim, con il
noto Má vlast (La mia patria) di Bed řich
Smetana, ampio ciclo sinfonico in sei parti
contenente l'arcinota Vltava - La moldava.
Il lavoro del compositore boemo fu composto alla
fine degli anni '70 ed ebbe la prima esecuzione
completa nel 1882, pur avendo parziali
interpretazioni dei singoli poemi negli anni
precedenti. I riferimenti descrittivi
dell'ottima musica di Smetana trovano
valide
rese espressive nelle melodie ispirate dal
repertorio popolare della terra
del compositore.
Sono
orchestrate mirabilmente traendo insegnamento
dalle abili orchestrazioni
di
Berlioz e
di Liszt, musicisti conosciuti
ed amati
da Smetana. L'ottima direzione di Guggeis ha
permesso una valida restituzione interpretativa
dai giovani professori di
un'
orchestra che ricordiamo essere stata fondata
nel 1999 da Daniel Barenboim e dallo studioso
palestinese Edward w.Said con lo scopo di unire
le culture del Medio oriente. Valide tutte le
sezioni della
West-Eastern
Divan
Orchestra, compagine particolarmete equilibrata
nelle timbriche, dagli archi alle arpe, ai fiati,
spesso emersi come solisti in questo ciclo di
poemi, sino alle molto presenti percussioni.
Successo caloroso a tutti i protagonisti al
termine con numerose uscite del direttore in
palcoscenico.
7 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
La Filarmonica della Scala
diretta da Speranza Scappucci
La
direttrice d'orchestra
romana Speranza Scappucci è tornata alla Scala
per un concerto sinfonico classico interpretando brani di
Schubert, Mozart e Mendelssohn. Di recente la
Scappucci
aveva
diretto in Scala il belliniano I Capuleti e i
Montecchi ottenendo un meritato successo di
critica. Questa sera l'impaginato è stato
introdotto dall'Ouverture in Stile
italiano D 590 di Franz Schubert, un esempio
di eccellente sinfonismo nel classico stile del
grande viennese che guarda anche alle future
modalità romantiche. L'interpretazione ascoltata
ha visto un ottimo equilibrio dinamico delle
sezioni orchestrali. La Sinfonia concertante
per fiati e orchestra K297b di W.A.Mozart,
ci ha immerso nel classicismo "galante" tipico
del salisburghese con valide esternazioni
timbriche dei bravissimi quattro solisti
preposti al "concertino" cioè Fabien Thouand
all'oboe, Fabrizio Meloni al
clarinetto, Valentino Zucchiatti al
fagotto e
Danilo
Stagni al corno. Interpretazione
equilibrata dei solisti e particolarmente in
evidenza le prestazioni nel bellissimo
Andantino con variazioni del finale. Dopo il
breve intervallo un'ottima Sinfonia n.4 in la
maggiore op.90 "Italiana" di Felix
Mendelssohn ci ha portato nella sponda romantica
della serata. La chiarezza espositiva della
Scappucci, nella restituzione limpida della
Filarmonica della Scala, ha reso giustizia al
compositore attraverso un'interpretazione molto
italiana per un celebre brano che il musicista
tedesco ha voluto dedicare all'Italia, dopo un
viaggio fatto nel sud dello stivale avvenuto
intorno al 1830. Nel '33 portò a termine il
fortunato lavoro che trova un incipit tra
i più celebri della produzione sinfonica
romantica. L'ottima resa della Filarmonica
scaligera nella bacchetta di Speranza Cappucci
ha entusiasmato il numeroso pubblico presente in
teatro che al termine ha tributato sostenuti
applausi. Lunedì, 9 maggio, seconda e ultima
replica. Da non perdere.
5 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Successo all'ultima
replica di Ariadne auf Naxos
Una Scala al completo per
l'ultima replica di Ariadne auf Naxos,
testimonia il successo per un'opera di Richard
Strauss non facile musicalmente e giocata
soprattutto sulle abilità vocali e
attoriali
dei protagonisti. Un'orchestra di ristrette
dimensioni, con molti frangenti cameristici, ben
delineava gli sviluppi contenutistici del
libretto di Hugo von Hofmannsthal e le efficaci
voci presenti in scena. La valida direzione di
Michael Boder ha dato buona energia alla
riuscita regia di Sven-Eric Bechtolf, alle
originali scene di Rolf Glittenberg, ai colorati
costumi di Marianne Glittenberg illuminati dalle
luci di Jürgen Hoffmann. La messinscena
complessivamente ha rivelato un'unità
d'interventi che hanno reso vitale un'opera
complicata nei contenuti, che trova un valido
compromesso tra situazioni drammatiche e
divertenti. Le due compagnie teatrali presenti
nella vicenda si sono ben amalgamate per
restituire teatralità all'elegante costruzione
scenica. Le ottime voci presenti erano
quelle di Sophie Koch, splendida in tutti i
registri di Der Komponist, di Markus
Werba, valido Ein Musiklehrer, di
Krassimira Stoyanova, ottima Ariadne, di
Erin Morley, con ottima intonazione e perfetta
attorialmente nel ruolo di Zerbinetta, di
Stephen Gould, un adeguato Bacchus.
Ottimo il terzetto delle Ninfe e
bravissimi tutti gli altri. Ricordiamo la
prossima opera in cartellone presente da questa
sera con il verdiano Un ballo in maschera.
Repliche per il 7, 10, 12, 14, 19, 22 maggio. Da
non perdere. ( Foto di M. Brescia e R.
Amisano dall'Archivio del Teatro alla
Scala)
4 maggio 2022 C.G.
Lucas Debargue
alle Serate Musicali del Conservatorio
È un fuoriclasse il francese
Lucas Debargue. Un pianista che oltre ad una
tecnica invidiabile, spesso presente nelle nuove
generazioni di virtuosi, ha una capacità di
rendere personale uno stile interpretativo che,
se pur attento ai dettagli di partitura, gioca
anche sulla forza dirompente della restituzione
sonora. L'impaginato, presentato tutto difilato
al concerto di ieri sera alle "Serate Musicali"
di Sala Verdi, proponeva brani di Franck, Ravel,
Skrjabin e Liszt.
Quello introduttivo, di César
Frank, la Fantasia in la maggiore da "3
Pièces pour grand orgue", era un
trascrizione per pianoforte dello stesso
Debargue: un Andantino reso in modo
espressivo che anticipa le capacità
rielaborative del francese, che ricordiamo avere
molto a cuore l'improvvisazione ed il jazz come
testimonia il finale della serata. Un pianista
quindi "creativo", che se pur capace di
interpretare ottimamente i classici, tende dare,
all'occorrenza ,, un'
impronta personale alle esecuzioni proposte. In
linea con le interpretazioni dei maggiori
pianisti era il secondo ampio lavoro, Gaspard
de la nuit, celebre brano composto da
Maurice Ravel nel 1908 e suddiviso in tre parti:
Ondine, Le gibet e Scarbo.
Debargue ha restituito la coinvolgente
composizione con una trasparenza coloristica
invidiabile. L'accuratezza dei dettagli e gli
evidenti contrasti dinamici, si sono rivelati in
modo esuberante nei due brani laterali,
Ondine e Scarbo. Il pacato Le
gibet centrale, ha trovato una solida
riflessività e un perfetto equilibro meditativo,
sostenuto anche da quella
celebre nota ripetuta
ben 153 volte nel corso dell'esecuzione.
Un'interpretazione complessiva di altissimo
livello quella del francese. La Fantasia in
si minore op.28 di
A.Skrjabin, prima, e la
Fantasia quasi sonata ovvero la "Sonata
Dante" di Franz Liszt poi, hanno ancor più
evidenziato le qualità virtuosistiche di
Debargue. Due esecuzioni dirompenti, ricche di
contrasti perfettamente controllati, che
rivelano le capacità del solista di penetrare la
notazione musicale attraverso una visione ben
precisa della musica. Frangenti esasperati, ma
di una chiarezza espressiva disarmante, sono
emersi soprattutto nella Sonata dedicata al
poeta italiano. Applausi sostenuti al termine e
tre bis concessi da Debargue: le note semplici e
profonde della Sonata n.32 in re minore
di Domenico Scarlatti, uno splendido Erik Satie
con Gnossienne n.1 e per concludere il
celebre Round midnight di Thelonius Monk,
brano jazz rivisitato mirabilmente da Dabergue
con un finale virtuosistico tutto del francese.
Applausi convinti dal pubblico intervenuto in
Conservatorio.
3 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Palazzo Marino in Musica
con Francesco
Manara e Andrea Bacchetti
Oggi, primo maggio, è
iniziata l'undicesima edizione di "Palazzo
Marino in Musica", rassegna musicale
organizzata dal Comune di Milano che propone una
serie di concerti domenicali
offerti
alla cittadinanza milanese alle ore 11.00.
L'offerta musicale di quest'anno indagherà sul
rapporto tra musica e matematica, sia nei
rapporti consolidati tra arte e scienza che dal
punto di vista dei nuovi sistemi di produzione
musicali lagati al mondo digitale e al computer.
Il primo concerto ha visto la presenza di due
affermati interpreti quali il violinista
Francesco Manara ed il pianista Andrea Bacchetti.
Manara, oltre a svolgere un'intensa attività
concertistica solistica, è noto per essere da
trent'anni "spalla"- (primo violino), della
prestigiosa Orchestra del Teatro alla Scala. Il
genovese Andrea Bacchetti da decenni è
riconosciuto come eccellente interprete del
repertorio settecentesco, soprattutto quello di
J.S.Bach. Una Sala Alessi gremita di
appassionati ha
attentamente
ascoltato il programma proposto, denominato
Tre!, che prevedeva brani di Händel, Mozart,
Bartók, Bloch e Saint-Saëns. L'ottima intesa del
duo ha messo in rilievo le qualità classiche di
Bacchetti nel sottolineare con chiarezza
esaustiva ed eccellente equilibrio le splendida
linee melodiche del violino di Manara. La
Sonara op.1 n.4 di Händel e la Sonata in
si bem.maggiore K454 di Mozart hanno messo
in rilievo l'equilibrio "matematico" del duo
giocato su un'evidente chiarezza coloristica. Le
celebri Danze popolari rumene di B.Bartók,
Nigun, adagio non troppo di Ernst Bloch e
Introduzione e Rondó capriccioso di
Camille Saint-Saëns, hanno esaltato l'efficace
virtuosismo di Manara,
violinista
attento ad ogni dettaglio, preciso nei perfetti
sopracuti, e soprattutto molto espressivo,
sostenuto bene dalle armonie pianistiche di
Bacchetti. Splendido anche il bis concesso al
termine con il celeberrimo brano Meditation
dal Thais di J.Massenet eseguito con profonda
espressività melodica. Applausi fragorosi dal
pubblico in una sala al completo. Prossimo
concerto denominato "La sintesi degli opposti" è
previsto per il 5 giugno e troverà Tania Birardi
al clavicembalo
1 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Katia e Marielle
Labèque
al Teatro alla Scala
Ieri sera al Teatro alla
Scala, per la serie "Grandi pianisti alla
Scala" è salito sul palcoscenico il duo
femminile più celebre internazionalmente, quello
formato dalle pianiste Katia e Marielle Labèque.
Da decenni suonano anche da soliste, in
formazioni cameristiche e spesso insieme,
impaginando programmi diversificati, dove la
tradizione classica si unisce sovente al
Novecento e alla musica contemporanea, non
rinunciando a volte a trasgressioni nel mondo
pop
e jazz. Il programma scaligero, presentato
davanti ad un pubblico che riempiva il teatro, è
un esempio di visione a 360 gradi della musica.
Il classicismo di Schubert con la celebre
Fantasia in fa min. D 940 per pianoforte a
quattro mani è stato anticipato dal Claude
Debussy dei Six épigraphes antiques per
due pianoforti. Una musica, quella del francese,
concepita nel 1901 che nasce dalla lettura di
brevi versi poetici dell'amico Pierre Louýs. La
traduzione pianistica è breve, poco più di
tredici minuti di timbriche deliziose, dal
sapore antico, eseguite magistralmente dalle due
celebri sorelle, per un'unità sonora perfetta ed
espressiva nei colori delicati e profondi. Il
romanticismo schubertiano della celebre
Fantasia in Fa minore è del 1828, l'ultimo
anno di vita del genio viennese. Di notevole
profondità e perfetta completezza formale, il
brano è stato interpretato in modo introspettivo
e senza eccessi dalle Labéque, per
un'interpretazione di elevato valore artistico.
E'
con il bellissimo arrangiamento di Michael
Riesman del corposo lavoro dell'americano Philip
Glass, Les Enfants terribles, che la
serata ha preso una piega più vicina ai nostri
tempi. Il lavoro originario per balletto è del
1996, più recente la riuscita versione
pianistica per due pianoforti. L'originario
minimalismo di Glass trova in questo corposo
lavoro formato da un' Ouverture introduttiva e
da dieci brani, un'evoluzione particolarmente
fantasiosa nelle sequenze di elementi ripetuti
con infinite varianti. Le Labèque, conoscitrici
profonde della musica di Glass, hanno restituito
un'interpretazione accurata e intensamente
espressiva, con perfetta sincronia delle parti.
Applausi sostenuti e ben quattro bis concessi
con il bellissimo Debussy iniziale a quattro
mani di Le jardin féerique , ancora
Glass, un brano in stile Boogie Woogie
per due pianoforti e un'ultimo breve e
divertente a quattro mani. Pubblico entusiasta e
continue uscite sul palcoscenico con meritati
applausi.
1 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Prossimamente
a Vercelli Emmanuel Tjeknavorian e Giulia
Rimonda
A volte le cose belle
ritornano. Basterebbe questo per descrivere il
concerto che sabato 7 maggio riporterà in scena
Emmanuel Tjeknavorian nella veste di direttore e
Giulia Rimonda in quella di violino solista
–
accompagnati dalla fedelissima Orchestra
Camerata Ducale –
al Teatro Civico di Vercelli (ore 21, concerto
in abbonamento). Ritornano, proprio così. Perché
Tjeknavorian è già stato in questa stagione
ospite del Festival (per l'occasione come
violinista), e perché entrambi si sono resi
protagonisti nella scorsa edizione di un altro
memorabile
concerto.
Questa è dunque una nuova tappa di un sodalizio
artistico tra due musicisti giovanissimi, un
concerto che dimostra come la genuina voglia di
“fare musica” sappia davvero superare ogni
confine: Giulia è infatti il talento di casa al
Civico, dove ha debuttato in tenerissima età, ed
Emmanuel parte dalla sua Vienna per portare la
sua musica in mezzo mondo. Quando si è così
giovani –
lei è da poco ventenne, lui ventisettenne
– un anno
può fare una grande differenza. Non c'è dunque
da stupirsi se, dopo un primo concerto già molto
denso dal punto di vista musicale, in vista di
questo appuntamento i due protagonisti hanno
deciso di alzare ancora “l'asticella”,
proponendo un programma di incantevole bellezza,
ma indubbiamente di notevole impegno. La serata
si aprirà infatti con Tjeknavorian a dirigere
Rimonda in una vera e propria colonna del
repertorio violinistico universale, ovvero il
meraviglioso Concerto in mi minore op. 64 di
Mendelssohn. Un'opera che richiese al suo autore
ben sette anni di lavoro, e che riesce a
incarnare mirabilmente quell'appassionato
lirismo e quella capacità di rinnovare la
tradizione che è il segno inconfondibile della
grande musica romantica. A seguire, Tjeknavorian
dirigerà l'Orchestra Camerata Ducale in un'altra
composizione che possiamo definire “monumentale”,
ossia la Sinfonia n. 3 di Beethoven, nota a
tutti come l'Eroica. Opera sulla quale sono
stati scritti fiumi di parole, e della quale
possiamo ricordare ora che, sia per i contenuti
musicali sia per la vicenda della dedica, prima
concepita e poi negata, a Napoleone, rappresenta
una svolta fondamentale nella definizione del
ruolo dell'artista e del suo rapporto con la
storia, con gli eventi, insomma con il mondo che
lo circonda. Un concerto che rappresenta dunque
uno dei momenti più significativi dell'intera
stagione, e che si rivolge a tutti gli
appassionati della grande musica, in particolare
ai più giovani.
1 maggio 2022 dalla redazione
APRILE 2022
L' Orchestre de Paris
diretta da Esa-Pekka
Salonen alla Scala
Un concerto di alta qualità
quello ascoltato ieri sera al Teatro alla Scala.
L'Orchestre de Paris, compagine nata nel
1967 e diretta in questi decenni dai più
importanti direttori d'orchestra quali ad
esempio Munch, Karajan, Solti, Barenboim,
Harding e molti altri, ha visto ieri la
direzione del finlandese Esa-Pekka Salonen,
musicista noto anche per le sue valide
composizioni. L'impaginato, incentrato su brani
francesi, ha trovato anche, in posizione
centrale, la Suite da Il Mandarino
meraviglioso dell'ungherese Belà Bartók. La
pacata e introspettiva introduzione della
raveliana Pavane pour une infante defunte
- versione orchestrale da un brano pianistico
composto negli ultimissimi anni dell'800- ha
messo in
risalto
gli eleganti colori dell'orchestra. Il brano
bartókiano eseguito subito dopo, ha stravolto il
clima musicale per una dirompente miscela di
timbriche, dove anche gli strumenti a fiato e
quelli a percussione hanno esternato le loro
rilevanti qualità espressive. L'eccellente
direzione di Esa-Pekka Salonen e la risposta
vigorosa dell'orchestra parigina in questo
suggestivo lavoro, ha evidenziato l'alta cifra
stilistica dei protagonisti. Salonen ha proposto
timbriche contrastanti, taglienti e di grande
impatto emotivo, esternando in modo chiarissimo
i variati elementi ritmici tipici della musica
di Bartòk e presenti in questo brano dela fine
anni '20 del Novecento. Miscelando perfettamente
i colori delle differenti sezioni della grande
orchestra, ha trovato modo di far emergere le
qualità virtuosistiche degli eccellenti
strumentisti, per una restituzione di assoluta
rilevanza estetica. Fragorosi gli applausi. Dopo
il breve intervallo, il ritorno alla musica
francese con la celebre e corposa Symphonie
fantastique di Hector Berlioz ha di nuovo
esaltato le splendide qualità di questa
compagine. Il brano, in cinque ampi movimenti, è
del 1830 e rivela le immense capacità
d'orchestratore di Berlioz, musicista che
rivoluzionerà il modo di fare musica sinfonica.
I movimenti, ricchi di contrasti, hanno rivelato
la duttilità dell'orchestra, dall'elegante Un
bal, tempo di valzer del secondo movimento,
all'energia prorompente dei movimenti finali,
cioè la Marche au supplice e il
conclusivo Songe d'une nuit du Sabbat.
Tutte le sezioni sono state esaltate dalla
decisa ed elegante gestualità nella splendida
direzione di Salonen. Eccellenti i colori degli
ottoni e perfetti i molteplici interventi delle
percussioni. Il numerosissimo pubblico scaligero,
al termine del programma ufficiale, ha esternato
fragorosi e continuati applausi e i generosi
protagonisti hanno concesso ben due bis. Prima
il soffuso ma pregnante colore degli archi nel
Ravel de Le jardin féerique, poi
l'estroverso e fragoroso Wagner con il celebre
Preludio dall'atto terzo del Lohengrin.
Una serata con interpretazioni che rimarranno
indelebili nei ricordi dei più appassionati
spettatori.
30 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
Serata mozartiana
per
l'Orchestra de "I Pomeriggi" diretti da
Alessandro Bonato
Una serata interamente
mozartiana quella ascoltata ieri sera al Dal
Verme. Il giovane direttore Alessandro Bonato
alla guida dell'Orchestra de I Pomeriggi
Musicali ha proposto due brani diversi, per
le timbriche espresse, del grande salisburghese:
un concerto per violino e
orchestra, il N.5
in La maggiore K 219, e un lavoro
cameristico corposo in sei movimenti quale la
Serenata per fiati N.10 in Si bem. maggiore
"Gran Partita" K 361. A sostenere la parte
solistica del noto concerto c'era il violinista
salernitano Gennaro Cardaropoli. L'ultimo
concerto violinistico di Mozart, nei classici
tre movimenti, presenta una rilevante
cantabilità che Cardaropoli ha espresso in modo
eccellente con tocco preciso, luminoso e ben
integrato con la parte orchestrale espressa con
equilibrio da I Pomeriggi. Di qualità le
cadenze solistiche del concerto,
ancor più
indicative delle qualità del solista, tra i
migliori fra gli italiani della sua generazione.
Eccellente il bis solistico con Nel cor più
non mi sento , un classico di Niccolò Paganini
dove il tema ricco di variazione di particolare
virtuosismo, presenta difficoltà tecniche
trascendentali superate con disinvoltura da
Cardaropoli per una resa espressiva di rilevante
qualità. Applausi sostenuti dal numeroso
pubblico intervenuto al Dal Verme ai
protagonisti. Dopo il breve intervallo la "Gran
Partita" mozartiana ha messo in risalto le
qualita degli strumentisti dell'orchestra. Il
bellissimo lavoro - recentemente ascoltato anche
dai bravissimi de "LaVerdi" - ha trovato ancora
eccellente qualità dai colleghi de "I Pomeriggi".
Ottima la direzione di Bonato e la resa
espressiva per un lavoro di evidente
discorsività, con frangenti di estrema bellezza
tipica del genio salisburghese, come nel
pregnante e contrastato Tema con sei
variazioni del finale. Applausi intensi al
temine a tutti gli strumentisti e al direttore.
Sabato alle ore 17.00 si replica. Da non perdere.
29 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
Presentato al Fazioli
Showroom di Milano il Concorso Internazionale
Pianistico"Alessandro Casagrande"
Milano, 28 aprile 2022. Torna
a Terni dall’11 al 17 settembre 2022 il Concorso
Pianistico Internazionale Alessandro Casagrande,
giunto alla 32esima edizione, con la direzione
artistica di Carlo Guaitoli. Il concorso, che
negli anni ha premiato, tra gli altri, Ivo
Pogorelich, Alexander Lonquich, Boris
Petrushansky, Roberto Prosseda, Giuseppe
Andaloro e Herbert Schuch, celebra quest’anno il
centesimo anniversario della nascita del
pianista e compositore a cui è dedicato,
Alessandro Casagrande, prematuramente scomparso
a soli 42 anni.Un’edizione che, non ancora
iniziata, ha già registrato il primo record,
toccando i 189 iscritti. Di questi, 28 sono i
pianisti selezionati da Filippo Gamba, Carlo
Guaitoli, Alberto Miodini, che
parteciperanno
alle fasi finali del concorso a Terni (tre prove
per pianoforte solo e una finale con l’Orchestra
Sinfonica Abruzzese). 12 le nazioni
rappresentate dai candidati: Cina, Giappone,
Italia, Mongolia, Perù, Regno Unito, Russia,
Slovenia, Spagna, Sud Korea, Ucraina, USA. La
giuria del concorso, chiamata a incoronare il
nuovo talento del pianoforte, sarà costituita da
Enrica Ciccarelli (Italia), Romain Descharmes (Francia),
Carlo Guaitoli (Italia), Yuka Imamine (Giappone),
Piers Lane (Australia), Roland Pöntinen (Svezia),
Jerome Rose (USA). Il concorso è stato
presentato oggi presso il Fazioli Showroom di
Milano, alla presenza di Elena Benucci,
Presidente della Fondazione Casagrande, e Carlo
Guaitoli, direttore artistico del concorso. “La
scorsa edizione, 2018/2019, gli iscritti furono
117 –
commenta Elena Benucci – Il risultato di
quest’anno è decisamente inaspettato,
lusinghiero e crediamo non così usuale nel
panorama dei concorsi internazionali,
soprattutto in tempi di pandemia”. “Il numero
eccezionale delle iscrizioni e il livello
altissimo dei pianisti in questa fase di pre-selezioni
hanno reso particolarmente lunghi e complessi i
lavori della prima giuria
– le fa
eco Carlo Guaitoli – Per questo desidero
ringraziare i colleghi Filippo Gamba e Alberto
Miodini che hanno con me condiviso questo
compito molto delicato e desidero congratularmi
con tutti i concorrenti, tra cui numerosissimi
italiani, che hanno dimostrato uno straordinario
livello artistico e professionale. Tutto mi fa
pensare che sarà un’edizione del
Casagrande estremamente ricca, interessante e
avvincente”. In palio un montepremi totale di
37.000 €. Al vincitore anche concerti presso
prestigiose istituzioni musicali in Italia e
all’estero, tra le quali sono già confermate:
Società dei Concerti di Milano, IUC-Istituzione
Universitaria Concerti di Roma, Fazioli Concert
Hall di Sacile, Gioventù Musicale Italiana,
Associazione Lingotto Musica di Torino,
Orchestra Sinfonica Abruzzese, Associazione
Filarmonica Umbra, Amici della Musica di Foligno,
Teatro Comunale di Carpi, Emilia Romagna
Festival. Anche per l’edizione 2022 Fazioli
Pianoforti è content partner del concorso.
L’azienda, fondata nel 1981 dall’ingegnere e
pianista Paolo Fazioli, nel settore è una vera
icona del made in Italy, caratterizzata da
passione per la musica e competenza scientifica,
abilità artigianale, ricerca tecnologica e
severa selezione dei materiali.
28 aprile dalla redazione
Domenica inizia la 42°
edizione di Musica a Villa Durio
Si apre il 1 Maggio, la
Giornata Internazionale del Jazz, con la 42°
edizione di Musica a Villa Durio,
stagione musicale di Città di Varallo, diretta
da Massimo Giuseppe Bianchi. Il calendario degli
concerti comprenderà per quest’anno un’edizione
primaverile, dal 1 Maggio al 12 Giugno 2022,
quindi una pausa estiva ricca di
appuntamenti
musicali tra i quali il tradizionale Festival
Beethoven organizzato in collaborazione con
Musica con le Ali di Milano. I concerti
riprenderanno nel mese di Settembre per
terminare a Dicembre uno straordinario Concerto
di Natale. Musica classica, Jazz, Musica Antica
e la consueta attenzione ai giovani talenti,
vincitori di prestigiosi premi internazionali,
per proporre al pubblico valsesiano un’offerta
di alta qualità e una visione su quanto di nuovo
accade
nella scena musicale internazionale, un
programma di grande qualità che si distingue per
l'alto livello degli interpreti e per le novità.
Il Primo maggio sarà all’insegna del jazz a l
Palazzo dei Musei con il Trio formato da Lorenzo
Bisogno, sax tenore, Manuel Magrini, pianoforte
e Pietro Paris, contrabbasso. Una formazione
giovane ma dalla forte personalità, all’interno
della quale spicca Lorenzo Bisogno, laureatosi
vincitore del Premio Nuovo IMAIE e del Premio
Massimo Urbani. Domenica 8 Maggio 2022, il
controtenore premiato ai Grammy Awards David
Feldman e Massimo Giuseppe Bianchi, pianoforte,
proporranno un programma di grande fascino
dedicato a opere per voce e pianoforte di Elgar,
Vaughan Williams e Britten. Già ospite della
40esima edizione e del 3° Festival
Beethoven,
David Feldman porta a Varallo l’esperienza
maturata nei teatri europei come solista di
importanti formazioni, tra cui i Vox Luminis con
i quali ha appena concluso una lunga tournée tra
Spagna, Francia, Belgio e Olanda. I biglietti
dei concerti sono acquistabili da subito sul
sito Eventbrite al link https:// bit.ly/MVD42
oppure, come di consueto, prima dei concerti al
prezzo di 10 euro, mentre i bambini e i ragazzi
fino a 12 anni entrano gratis.Sarà possibile
prenotare contattando il numero di Musica a
Villa Durio, 388 255 42 10, anche con messaggio
whatsapp. Per tutte le informazioni è a
disposizione l’email: info@musicavilladurio.it (
Foto dall'ufficio Stampa di Musica a Villa Durio)
26-04-2022
Dalla Redazione
LaFil - la Filarmonica
di Milano al Teatro
Lirico "G.Gaber" per Mendelssohn
Un concerto particolarmente
riuscito quello ascoltato ieri al nuovo Teatro
Lirico "Giorgio Gaber". La Filarmonica di Milano
ovvero LaFil, era impegnata in questi
giorni nel "Progetto Mendelssohn 2022".
Una serie di concerti dove a quello di sabato è
seguito il bellissimo
concerto
del tardo pomeriggio di ieri. La recente
orchestra sinfonica LaFil ha eseguito due brani
particolarmente celebri quali il Concerto per
violino e orchestra in mi minore op 64 e la
Sinfonia in la maggiore n.4 "Italiana",
introdotti dalla Ouverture da Concerto op.26
da "Le Ibridi". Sul podio
l'eccellente giovane Felix Mildenberger ha
diretto la compagine orchestrale che ricordiamo
essere formata da prime parti di formazioni
provvenienti da tutta Europa e da giovani
strumentisti selezionati tra i migliori delle
rispettive nazioni. In anni recenti ,
nel 2018 e nel 2019,
la LaFil ha eseguito brani di Schumann
e di Brahms con la direzione di Daniele Gatti.
Si
rimane stupiti per l'alta qualità espressa dalla
LaFil in tutti e tre i lavori proposti.
Nel celebre concerto mendelssohniano, il solista
ventunenne di Stoccolma, Daniel Lozakovich, ha
espresso con grande sensibilità i tre movimenti
del lavoro terminato dal musicista lipsiano nel
1844 ed interpretato dai maggiori virtuosi al
mondo. Lozakovich, oltre alla straordinaria
tecnica, testimoniata dai numerosi concorsi
internazionali vinti, ha rivelato una notevole
sensibilità sostenuta da un tocco molto
interiorizzato, preciso e sicuro, ricco di
morbidi colori, esternati con ampia escursione
dinamica. Eccellente l'equilibrio sinergico
avuto con la direzione di Mildenberger e con
l'orchestra per un'esecuzione complessiva di
alto profilo. Particolarmente espressivo il
brano solistico dei primi del Novecento concesso come
bis: la Dance Rustique dalla Sonata n.5 di Eugene Ysaye.
Le
qualità orchestrali sono emerse sia nella
Ouverture che nella celebre Sinfonia "Italiana",
quattro movimenti, in quest'ultimo brano,
esternati con raffinata direzione da
Mildenberger, per una espressività giocata su
una morbina esecuzione in calibrati contesti
timbrici restituiti con volumetrie mai eccessive,
ma ben pesate ed equilibrate. Applausi calorosi
al termine di ogni brano dalla numerosissima
platea intervenuta nell'elegante teatro, luogo
ottimale per la musica sinfonica. Da ricordare.
25 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
LE PERCUSSIONI DI SIMONE
RUBINO PROTAGONISTE AL VIOTTIFESTIVAL DI
VERCELLI
Ieri sera, 23/04, per il
ViottiFestival il Teatro Civico di Vercelli ha
spalancato le porte ad un concerto di
straordinario interesse, ma anche di (coraggiosa)
rottura con i programmi che esso abitualmente
propone, legati alla grande tradizione
classico-romantica, Protagonista della serata,
vero e proprio one man show, è stato il
ventinovenne percussionista Simone Rubino,
almeno dal 2014, quando ‘si rivelo’’ con un
primo premio al prestigioso Festival ARD di
Monaco di Baviera, assurto a fama di
percussionista tra i più acclamati della sua
generazione per virtuosismo e qualità esecutive.
Dunque un concerto, quello di ieri sera,
dedicato esclusivamente alla musica per
percussioni, il che vale a dire impaginato sul
predominio
assoluto
della musica contemporanea, avendo le
percussioni acquisito solo dal pieno ‘900, nella
musica c.d. ‘classica’ o ‘colta’ che dir si
voglia,, un ruolo di primo piano, sino a essere
valorizzate addirittura come strumenti solistici,
magari integrati dalla musica elettroacustica, a
creare paesaggi sonori del tutto ignoti alla
civiltà musicale del passato. Il filo conduttore
lungo il quale si è dipanato l’ampio programma
del recital è stata l’estrema varietà dei colori,
dei timbri, dei suoni che il variegato mondo
delle percussioni può offrire all’ascoltatore.
Il concerto ha dunque preso l’avvio con un pezzo
del percussionista-compositore tedesco Peter
Sadlo, uno dei maestri e mentori di Rubino:
“Variations on Fuga C II”, titolo che non siamo
riusciti a decifrare (caso non infrequente nella
musica contemporanea). Si tratta di una
composizione per varie specie di membranofoni,
cioè tamburi. Si comincia dunque col ritmo puro,
scatenato in tutta la varietà delle sue
dinamiche, ma in genere con un’agogica tendente
al massimo della velocità, che subito mette in
evidenza il virtuosismo straordinario di questo
percussionista. Il ritmo sembra comporsi in una
sequenza quasi costantemente ripetuta, con
pressoché impercettibili variazioni, evocando
esperienze minimaliste. Tutt’altro mondo sonoro,
quello realizzato dal successivo “Interzones”,
per vibrafono e nastro magnetico, una delle
opere più celebri dell’americano Bruce Hamilton.
Qui la bravura di Rubino si è manifestata nella
capacità di valorizzare al massimo il suono
peculiare del vibrafono, un suono caldo, ma
variabile in un ampio ventaglio di sfumature,
agendo sia sul particolare congegno elettrico
che dà o toglie profondità al suono, sia sul
pedale di smorzamento che regola la durata della
nota emessa. L’Interzones propostoci da Rubino,
associando sapientemente i vari registri del
vibrafono con lo sfondo sonoro del nastro
magnetico, è risultato un pezzo vario ed
eclettico, in cui momenti di sapore jazzistico,
si alternavano ad altri di più rarefatta e quasi
sospesa atmosfera, al limite dell’incantevole..
A
seguire un pezzo che propone, ancora al
vibrafono, un’esperienza musicale di tipo
completamente diverso, in cui l’esecutore non si
limita a suonare lo strumento, ma lo accompagna
con la sua voce, parlando e cantando i testi di
tre poesie di una poetessa italiana
contemporanea. Si tratta di “Io guardo spesso il
cielo” del compositore Lamberto Curtoni: il
titolo è quello di una delle tre poesie della
brava poetessa Mariangela Gualtieri, divenuta
improvvisamente nota anche al grande pubblico
del nostro Paese in occasione dell’ultimo
Festival di Sanremo, quando Jovanotti ha
recitato una sua poesia. Accompagnandosi al
vibrafono, Rubino recita e canta con un discreto
falsetto i versi della Gualtieri. Il suono del
vibrafono si fa delicato, sensuoso, carico di
sfumature e colori diversi: il tutto evoca, in
modo vagamente straniante, un madrigale
cinquecentesco. Nuova tappa di questo percorso,
un pezzo di quello che senz’altro è il
compositore più noto al pubblico, fra quelli in
programma, anche perché autore di celebri
colonne sonore per film, come “La tigre e il
dragone”. Stiamo naturalmente parlando del
cinese Tan Dun, e il pezzo è “Water Spirit”,
cioè la cadenza del “Water concert” per
percussioni e orchestra. Il concerto di Tan Dun
(1998), una delle composizioni più affascinanti
dell’ultimo quarto di secolo, trasforma il
rumore dell’acqua in ritmo e suono, il ritmo e
il suono profondo della vita. E’ lo stesso
risultato che ottiene Rubino, mettendo ancora
una volta in evidenza le peculiari qualità del
suo virtuosismo. Ovviamente, in primo luogo, un
virtuosismo musicale, cioè la capacità di
ricavare da due bacinelle d’acqua i più vari
ritmi ed effetti sonori, sino a far ‘suonare’
l’acqua, ovvero a rendere significativo il
rumore. Ma a integrare questo virtuosismo
musicale interviene questa volta anche quello
corporeo, la capacità di produrre rumori/suoni e
ritmi col proprio corpo, che diviene così parte
essenziale dell’esperienza musicale, in una vera
e propria performance (nel senso propriamente
artistico del termine) di notevole impatto
sull’ascoltatore-spettatore: il battito dei
piedi, l’effetto sonoro generato dal battersi il
volto con le mani etc., uniti agli effetti
sonori creati con l’acqua (dallo sgocciolio allo
sciacquio) creavano un ritmo che organizzava i
rumori al confine del suono: perfetto Rubino nel
coordinare corpo e materiale sonoro prodotto con
l’elemento liquido. L’integrazione corpo/strumento
della performance non è che il primo passo verso
una vera e propria teatralizzazione
dell’esecuzione musicale: ai confini col teatro
è infatti il pezzo dell’americano Casey
Cangelosi, giovane percussionista compositore,
“the voice of a new generation”, come viene
definito oltreoceano . Il suo brano , proposto
ieri sera è tra i suoi più riusciti: “Bad
Touch”, per percussioni e nastro magnetico.
L’esecuzione si colloca già in un’ambientazione
teatrale: sul palcoscenico cala il buio, che
lascia vedere solo le bacchette illuminate
tenute in mano dall’esecutore, pressoché
invisibile. L’interprete muove le bacchette, ma
non suona, il suo si fa gesto di un attore che
muove nello spazio la bacchetta, accompagnando,
‘recitando’ gli eventi sonori del nastro
magnetico, in un’atmosfera inquietante e
surreale, generata dal mix di suoni elettronici,
frammenti di frasi pronunciate da voci umane
registrate, e schemi ritmico-musicali, il tutto
proveniente da un misterioso mondo di tenebre.
La qualità interpretativa di un brano come
questo, senz’altro il più ‘sperimentale’ della
serata con quello di Tan Dun, si misura sulla
capacità di associare e gestire
contemporaneamente, tutte queste diverse e
frammentarie componenti. E, ancora una volta, ci
pare che Rubino abbia assolto al meglio il suo
compito. Caratteristica immancabile nei
programmi proposti da Rubino è la combinazione
della musica moderna e contemporanea con la
tradizione, naturalmente ‘riletta’ nel
linguaggio delle percussioni. E simbolo quasi
archetipico della tradizione è per Rubino J.S.
Bach, ieri sera presente con la sua gloriosa
Ciaccona dalla Partita n.2 BWV 1004, nella
trascrizione per vibrafono del chitarrista e
compositore argentino Eduardo Eguez. Cosa lega
la sperimentazione più ardita, alle frontiere
del rumore e dell’impulso ritmico allo stato
puro e l’armonia del contrappunto barocco?
Rubino risponde, presentando al pubblico questa
Ciaccona, che proprio la trascrizione di
composizioni del passato, in particolare
dell’età barocca, consente di valorizzare la
dimensione armonica e melodica delle percussioni,
oscurata dall’uso che ne ha fatto la musica
contemporanea, privilegiandone la dimensione
ritmico-percussiva. Ciò vale naturalmente
soprattutto per quegli strumenti dotati di una
potenzialità armonica significativa, e di un
suono, come ad es. il vibrafono. Nonostante la
nostra idiosincratica freddezza per le
trascrizioni, dobbiamo riconoscere che questa
Ciaccona in versione per vibrafono non ci ha
disturbato, anzi, l’abbiamo ascoltata non senza
piacere. Tra l’altro non è una semplice
trascrizione a stretto rigor di termini, perché
la parte ‘reale’, cioè l’originale bachiano, è
stata riservata alla mano destra, mentre per la
sinistra è stato scritto una specie di basso
continuo. A parte la funambolica bravura di
Rubino nel padroneggiare tutte le possibilità
offerte dallo strumento, di cui si è fatto cenno
sopra, è stato decisamente interessante il
colore particolare del suono, un timbro scuro,
ma caldo e smaltato in campiture brillanti, che
trasporta il capolavoro bachiano in un mondo
sonoro certo lontanissimo da quello originario
del violino, eppure non privo di una sua
suggestione, evocatrice di certe atmosfere
barocche virate sul grave e sul funebre. Il
programma del concerto vedeva alla conclusione
le “Asventuras per rullante (cioè tamburo)solo”
del tedesco Aleksej Gerassimov: coetaneo e amico
di Rubino e con lui uno dei giovani
percussionisti di più ardito virtuosismo, nonché
compositore, di oggi. Rubino ha suonato il pezzo
dell’amico come una sorprendente ricerca dei più
diversi colori e suoni di cui è capace la
membrana di un tamburo. Dopo una breve
introduzione affidata alla percussione delle
sole bacchette, Rubino si è avventato sul
rullante investendolo con ritmo frenetico e
vorticoso che, ora con le bacchette, ora con una
spazzola, ora con la nuda mano, ora infine, con
mallet da timpani, esplorando le diverse zone
dello strumento, ne ha ricavato una
straordinaria varietà timbrica, unita ad una
gestione davvero ammirevole, delle dinamiche,
dal pianissimo, ai confini del silenzio, al
fortissimo. Nei momenti di più vertiginosa
rapidità, Rubino ci ha fatto venire in mente ciò
che a suo tempo si diceva di Liszt, cioè che
sapesse suonare il pianoforte…con tre mani. Il
pubblico in sala, meno numeroso del solito (evidentemente
qualcuno, per il quale la storia della musica
finisce con l’anno 1899, si sarà spaventato
leggendo il programma) ha salutato con
entusiasmo questo bellissimo concerto,
spellandosi le mani in fragorosi e prolungati
applausi, ricompensati da Rubino con un bis: un
altro pezzo di Curtoni per vibrafono e voce su
un testo poetico della Gualtieri, bello e
struggente. Serata memorabile, che sommessamente
auspichiamo non resti senza seguito.(Foto di M.Reggreve Uff.Stamapa di Vercelli)
24 aprile 2022 Bruno Busca
Il Triplo Concerto di
Beethoven con
Francesca Dego, Edgar Moreau e Filippo Gorini
Una serata di particolare
interesse quella di ieri sera in Auditorium con
la Sinfonica Verdi e il direttore musicale Claus
Perer Flor. Particolarmente attrattivo il brano
di L.v. Beethoven con il suo Triplo concerto
in Do maggiore per, violino, violoncello e
pianoforte op.56, interpretato
da
tre giovani solisti affermati internazionalmente
quali la violinista Francesca Dego, il
violoncellista Edgar Moreau ed il pianista
Filippo Gorini. Una composizione, quella del
genio tedesco, concepita tra il 1803 e il 1804,
con frangenti di altissima qualità espressiva,
dove il concertato tra i tre solisti
protagonisti raggiunge alte vette espressive.
L'ottima direzione di Flor e l'avvincente
restituzione orchestrale dell'Orchestra Verdi,
ha esaltato gli interventi solistici con un
violino, quello della Dego, perfettamente
integrato con gli altri due strumenti e con
rilevanti interventi solistici; con un
violoncello, quello di Moreau, voluminoso e
melodicamente efficacissimo e con un pianoforte,
quello di
Gorini,
preciso e controllato nella perfetta sincronia
d'intervento. L'unità d'intenti del trio e la
resa complessiva hanno contribuito a rendere il
concerto di alto livello espressivo. Il pubblico
presente ha apprezzato l'esecuzione tributando
al termine calorosi applausi e determinando le
numerose uscite in palcoscenico dei protagonisti.
Bellissimo il bis concesso dai tre virtuosi con
un brano di Schumann dai Pezzi fantastici,
il n.3, Duetto. Il concerto beethoveniano
era stato anticipato da un cameristico lavoro di
Mozart: la Serenata n.10 in Si bem. maggiore
K361 "Gran Partita". Sette movimenti
interpretati molto bene da undici strumenti a
fiato e da
un
contrabbasso, tutti strumentisti della Verdi.
Un'esecuzione accurata, nel tipico stile
d'intrattenimento del genio salisburghese, per
un brano concepito intorno al 1783. Applausi
sostenuti. Questa domenica alle 16.00 la
replica. Prossimo concerto invece per il 28
aprile, con repliche il 29 e il primo maggio. In
programma le ultime tre sinfonie di Mozart. Da
non perdere.
23 aprile 2022 Cesare Guzzardella
Ingrid Fliter diretta
da George Pehlivanian
in Chopin
Il concerto di ieri sera al
Dal Verme con l'Orchestra de I Pomeriggi
musicali ha trovato sul podio il direttore
libanese George Pehlivanian per due brani,
differenti per stile, di due
compositori
legati al mondo francese quali Fryderyc Chopin e
Francis Poulenc. Il grande polacco ottenne la
cittadinanza francese nel 1835 e il secondo,
parigino doc, è certamente uno dei principali
musicisti francesi del '900. Il Concerto n.1
per pianoforte ed orchestra in mi minore op 11
di Chopin, tra i più eseguiti al mondo, è
stato sostenuto al pianoforte da una chopiniana
quale l'argentina Ingrid Fliter. La Fliter nel
lontano 2000 vinse infatti il secondo premio al
Concorso Internazionale "F.Chopin" di Varsavia,
avviandosi ad una brillante carriera
concertistica incentrata soprattutto
sulla
musica di quel grande compositore. Notevole la
disinvoltura della Fliter nell'interpretare i
tre movimenti dell' op.11. Elastica, grintosa,
espressiva e corretta nell'esprimere le
timbriche, dando il giusto peso alle note per
difinire l'adeguato equilibrio complessivo. La
pianista ha trovato un ottimo appoggio dalla
valida direzione di Pehlivanian e dai morbidi
timbri dell' orchestra de I Pomeriggi.
Momento di maggiore intensità espressiva nel
movimento centrale Romanza.Larghetto e
massima estroversione e brillantezza nel
Rondò.Vivace del finale. Applausi sostenuti
e due i bis concessi dalla Fliter con due tra i
più
noti
Valzer di Chopin eseguiti con meditata intensa
espressività. Dopo il breve intervallo la
Sinfonietta FP 141 di Poulenc ha cambiato
completamente il clima musicale. Dal deciso
romanticismo al variegato neoclassicismo, con
questo creativo lavoro ricco di fantasia e di
trovate timbriche, per un brano che si esegue
raramente pur essendo di notevole efficacia
musicale. Di qualità l'interpretazione
ascoltata. Sabato alle ore 17.00 si replica. Da
non perdere.
22 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
SABATO A
VERCELLI: UN PASSO OLTRE- LE PERCUSSIONI DI
SIMONE RUBINO AL TEATRO CIVICO
Senza
innovazione non ci sarebbe la musica. Anche ciò
che oggi è considerato “classico” un tempo è
stato “moderno”, e la sua modernità ha sorpreso,
stimolato, magari scandalizzato ma spinto a fare
un passo avanti. È questo lo spirito di una
delle serate più importanti di questo XXIV
Viotti Festival, quella di sabato 23 aprile,
quando
al Teatro Civico di Vercelli (ore 21, concerto
in abbonamento) sul palcoscenico sarà unico
protagonista il giovane percussionista
– piemontese
di nascita e ora acclamato in tutto il mondo
– Simone
Rubino. Un concerto molto atteso, eppure capace
di andare al di là delle aspettative, questo di
Rubino. Siamo infatti di fronte non a un pur
bravissimo esecutore, ma a un artista completo e
inesauribile, nel quale la tecnica mirabolante
si sposa a una carismatica presenza scenica. Le
percussioni, un tempo semplice complemento
dell'orchestra, giungono nelle sue mani al
centro della scena, creando un “mondo sonoro”
inatteso, pieno di sfumature e incredibilmente
affascinante. Un mondo che, tratto
caratteristico di Rubino, fa dialogare antico e
nuovo spaziando tra le epoche e gli stili.Il
programma del concerto è dunque un vero e
proprio viaggio di scoperta, a partire
dall'evocativa versione per vibrafono della
Ciaccona di J. S. Bach (la cui polifonia in
fondo si presta ad essere espressa con le
percussioni) fino al Water Spirit di Tan Dun,
nel quale Rubino manipola con vari tipi di
microfono i suoni prodotti da ciotole, bottiglie
e altri oggetti immersi in bacinelle piene
d'acqua. Sarebbe già molto, ma c'è ancora di più,
ovvero le opere di veri virtuosi quali Alexej
Gerassimez, Peter Sadlo (già maestro proprio di
Rubino), Bruce Hamilton e Casey Cangelosi (definito
“il Paganini dei percussionisti”), nelle quali
la musica dal vivo si sposa spesso alle tracce
preregistrate e il solista dà vita a una vera e
propria performance teatrale. Teatro che ritorna
in chiusura, con Rubino impegnato non solo con
le mani ma anche con la voce in un'opera
sviluppata con Lamberto Curtoni sugli splendidi
testi della poetessa Mariangela Gualtieri.
21 aprile dalla redazione
Micah McLaurin e
Ludovica
Rana per la Società dei Concerti
Un programma incentrato su
Chopin quello ascoltato ieri sera nel concerto
organizzato dalla Fondazione La Società dei
concerti. Il pianista statunitense Micah
McLaurin, ventottenne di Charleston, e la
violoncellista pugliese Ludovica Rana, hanno
completato l'impaginato ufficiale con tre brani
del genio polacco. Nella prima parte della
serata il solo pianoforte dell'eccentrico
McLaurin ha espresso ad introduzione il
Preludio in do diesis minore op.45
seguito
poi dalla corposa Sonata n.2 in si bem.minore
op.35. McLaurin, - artista impegnato anche
nel mondo pop con rilevante presenza sui
"social", pur avendo una solida formazione
classica- ha rivelato una forte personalità,
interpretando con sicurezza e chiarezza
espressiva le note chopiniane. La celebre Sonata
op.35 è stata eseguita con taglio espressivo
sicuro, valido equilibrio nei quattro movimenti
e adeguata personalizzazione. Il frangente più
coinvolgente è stato probabilmente il terzo
movimento Lento, la nota Marcia
funebre, una sezione importante del lavoro,
dove l'interprete ha esaltato bene le evoluzioni
dinamiche nei momenti più intensi ed
espressivi
con eccellenti crescendo; poi un chiarissimo
conclusivo Finale.Presto, il frangente
più "moderno" della produzione chopiniana. Dopo
il breve intervallo, la rara Sonata in sol
minore op.65 per violoncello e pianoforte ha trovato Ludovica Rana in eccellente equilibrio
con la rilevante parte pianistica di McLaurin.
Per l'occasione McLaurin ha cambiato l'abito di
scena. La coinvolgente discorsività del brano
composto da Chopin nel 1845-46 e dedicato
all'amico cellista Auguste Franchomme, è stato
ben sostenuto nella rilevante componente
melodica della espressiva violoncellista, per
un' integrazione di ottima fattura in tutti i
quattro movimenti. Applausi convinti dal
numeroso pubblico intervenuto in Sala Verdi e
tre i bis concessi: prima un intenso brano di
Bach da una Suite per violoncello solo ben
interpretato dalla Rana, poi il solo pianoforte
di McLaurin con un suo originale e virtuosistico
arrangiamento su temi della pop-star Lady Gaga;
a conclusione il duo in un eccellente
Rachmaninov col celebre Vocalise.
Successo meritato.
21 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
IL MAESTRO P. ORIZIO E GUIDO
RIMONDA CON LA CAMERATA DUCALE A VERCELLI
Il concerto del Viotti
Festival di Vercelli
programmato in un primo tempo per tre settimane
fa, per cause di forza maggiore si è dovuto
rinviare a ieri sera, sabato 16 aprile,
sull’abituale palcoscenico del Teatro Civico, in
un recital che vedeva l’orchestra della Camerata
Ducale per l’occasione diretta dal Maestro
Piercarlo Orizio con Guido Rimonda nelle vesti
di violino solista. Il programma proposto per la
serata è stato davvero un bellissimo uovo di
Pasqua, pieno di graditissime ‘sorprese’, vale a
dire di brani quasi tutti di non frequente
esecuzione, tra i quali uno è stato una vera
chicca, per rarità e interesse, di quelle che
non di rado l’orchestra vercellese offre al suo
devoto pubblico: non l’ultimo dei motivi per cui
si fa tanto apprezzare!. Il concerto si è aperto
e si è chiuso all’insegna di Schubert: il primo
brano impaginato era infatti, dalle “Musiche di
scena per Rosamunde regina di Cipro”,
l’”Entr’acte (cioè una composizione di raccordo
tra una scena e l’altra del testo teatrale) n.3,
in Si bem. maggiore. La
melodia
principale di questo breve pezzo è celeberrima,
resa nota da altre due famose opere in cui
Schubert la riprese: l’Andante del Quartetto in
La min. D. 804 (alquanto liberamente) e
soprattutto quel gioiello che è l’Impromptu
pianistico D.935, ove è ripresa tal quale. Ma
l’Entr’acte dalla Rosamunde, in cui quella
melodia sbocciò per la prima volta come un fiore
miracoloso, non è di frequente esecuzione. La
direzione di Orizio ha restituito questo brano
un po’ misconosciuto’ in tutto l’incanto della
sua freschezza: l’Andantino dell’Entr’acte ,
sotto la bacchetta del direttore bresciano, ha
incantato per la raffinatissima scrittura
orchestrale, colla sua inconfondibile timbrica
schubertiana, fatta di impasti delicati e caldi
affidati al vario gioco degli archi e dei fiati,
ma sempre come velata da una sottile nota di
infinita malinconia, che il Maestro ottiene con
il sapiente chiaroscuro delle dinamiche e lo
stacco adatto dei tempi. Aperta e gustata come
si doveva questa prima sorpresa dell’uovo
pasquale confezionato dalla premiata ditta
Rimonda-Orizio, eccoci subito alla supersorpresa
della serata: un brano di Beethoven, crediamo,
poco conosciuto anche ai più assidui
frequentatori delle sale da concerto, un’opera
fuori del catalogo ‘ufficiale’ delle
composizioni beethoveniane, privo di numero
d’opus e scritta da un ‘protobeethoven’
giovanissimo, ancora a Bonn, intorno al 1790,
prima del gran ‘salto’ in quel di Vienna: si
tratta del “Concerto per violino e orchestra in
Do maggiore” WoO 5, in realtà un ampio frammento,
le circa 250 battute del Primo Tempo in Allegro
di quello che sarebbe dovuto essere il primo
concerto per violino di Beethoven e poi lasciato
incompiuto, in quella sorta di ‘torso’ musicale
che ce ne è rimasto. Esistono di questo pezzo
lasciato bruscamente interrotto registrazioni
discografiche, che lo completano con tanto di
cadenza e coda, ma Orizio e Rimonda hanno fatto
benissimo, a nostro avviso, a eseguirlo così
come ci è effettivamente stato lasciato: nel suo
stato di frammento mutilo, una sorta di
michelangiolesco ‘non finito’. Si tratta di un
brano di notevole interesse, in quanto anticipa
alcune caratteristiche del futuro stile
violinistico maturo del Maestro di Bonn. Questo
Beethoven ancor ventenne è già chiaramente al di
là di Mozart: se ne è staccato per una
concezione più monumentalmente sinfonica del
concerto, per una superiore ricchezza e varietà
nell’armonia e soprattutto per una energia e
ricchezza di virtuosismo nel trattamento del
violino, quasi invadente nella sua esuberanza.
Oseremmo dire che in alcuni momenti, più che
Mozart Beethoven tenga presente il nostro Viotti,
considerandolo, a quel tempo, modello più ‘moderno’
e attuale di quello del cigno salisburghese.
Possiamo dunque dire che Rimonda, oggi il più
autorevole interprete e studioso di Viotti, non
solo in Italia, abbia ‘giocato in casa’
nell’eseguire questo brano di Beethoven:
eccellente nell’esecuzione tanto dei momenti più
cantabili, quanto in quelli di più intensa
assertività, con la solita olimpica sicurezza
nel dominio delle parti più improntate al
virtuosismo, Rimonda svariava anche su una
tavolozza di colori ampia e cangiante,
dall’intenso lirismo realizzato con una cavata
calda e morbida, a una più cupa e fremente
energia cui davano voce adeguata i registri più
gravi del suo ‘Noir’. In questo abbozzo di
concerto, l’orchestra si integra col violino in
un costante dialogo, gestito al meglio dalla
Camerata Ducale sotto la guida inappuntabile di
Orizio. Il terzo uscito dall’uovo di Pasqua
offerto ieri sera al pubblico vercellese, un
pezzo ‘minore’ e perciò anch’esso non molto
frequentato di P.I. Ciajkovskij: la Sérénade
mélancolique op.26, brano concertante per
violino e orchestra.
Non
fa certo gridare al capolavoro, ma è senz’altro
un’opera di piacevole ascolto, in cui lo
strumento solista svolge un ruolo essenziale per
conferire all’insieme un tono di soffusa e
pacata cantabilità. Il dialogo tra orchestra e
solista tocca il suo punto più alto proprio in
apertura di pezzo, quando all’introduzione
orchestrale breve, di colore livido e gravido di
inquietudine, con forte presenza degli archi
gravi, segue la voce del violino, appena scurita,
che attacca un canto di, appunto, malinconica
elegia, il tema principale del breve brano:
Rimonda sa far cantare meravigliosamente il suo
strumento, dando al suono dolcezza e cullante
mestizia. Poi, come uno scatto improvviso, dalle
quattro corde spicca il volo un secondo canto,
diverso, più luminoso, che quando viene ripreso
successivamente coi suoi trilli sembra evocare
il libero volo di un fragile uccello, che pare
voler fuggire l’ostinato ripetersi, ad opera
dell’orchestra, del malinconico tema principale,
con cui si conclude mestamente la Sérénade:
bravissimi, ancora una volta Rimonda e Orizio
nel dare voce e colore a questo intrecciarsi di
stati d’animo, di sentimenti, trovando sempre
l’intensità di suono, il timbro, i tempi e le
dinamiche adeguate. Un po’ più noto è il quarto
pezzo in programma, l’Ave Maria di Bruch, in
realtà, ieri sera, presentata come la
trascrizione di una trascrizione. L’Ave Maria
nasce come trascrizione per violoncello e
orchestra, ad opera dello stesso Bruch, della
c.d. ‘Scena della preghiera’ dal suo oratorio
“La croce di fuoco”. Ieri sera ne abbiamo
ascoltato la trascrizione per violino e
orchestra. L’Ave Maria di Bruch è un colloquio
dell’anima col divino espresso con il suono in
luogo della voce. Dopo l’introduzione
orchestrale che prepara con il suo ritmo grave e
solenne il momento sacro, ecco la voce del
violino che dopo una prima sezione, un cantabile
pacato e di sonorità densa, suonata benissimo da
Rimonda, che esprime una volontà di pace dello
spirito, si fa inquieta e agitata, quasi
drammatico anelito al cielo e alla salvezza, che
il violino esprime con improvvisi movimenti di
rapide scale discendenti e ascendenti, di tempi
rapidissimi e sovracuti. Il ritorno alla prima
sezione della preghiera, in cui l’orecchio
coglie benissimo l’illuminarsi del passaggio dal
minore al maggiore, non è però totalmente privo
di inquietudine, come suggerisce un brusco
passaggio di ottave nel violino e una
martellante serie di accordi ribattuti del “tutto”
orchestrale, prima che la preghiera si plachi
finalmente nel suo esito rasserenante. Ancora
una volta, eccellenti Rimonda e Orizio
nell’intesa solista-orchestra, nella scelta dei
tempi e nei risultati raggiunti nella ricerca
dei colori e delle dinamiche. A confermare
l’impressione che la musica da film si sia ormai
conquistata un suo posto nei recital di musica ‘classica’,
sta il bis concesso da Rimonda e Orizio: un
brano da una delle più note colonne sonore mai
scritte, tanto da avere un suo titolo,
indipendente da quello della pellicola per cui
fu composta: “Smile”, scritta da Charlie Chaplin
nel 1936 per il suo film “La vita è bella”. In
chiusura un’opera di immensa celebrità, uno dei
capolavori assoluti di Schubert, la Sinfonia n.8
in si min. universalmente nota come l’Incompiuta.
E’ stato giustamente osservato più volte, come
l’Incompiuta segni l’approdo di Schubert, nel
genere della sinfonia, ad una completa maturità,
emancipata con grande originalità da qualsiasi
modello, a partire da quello beethoveniano.
Eppure, qualcosa dell’empito eroico
beethoveniano, e qualcosa anche di quella
grandiosa unità che caratterizza la Quinta di
Beethoven, ci pare di riconoscerle, sia pur
riespresse con tutt’altro stile compositivo, in
questa creazione schubertiana, tra le più
perfette che la storia della musica conosca.
Diciamo questo perché l’interpretazione di
Orizio, bellissima, ci è parsa valorizzare
precisamente uno Schubert, che, in particolare
nel primo tempo, per drammaticità ed
inquietudine e per trascinante energia eroica,
specie nello sviluppo e nella coda, non sarebbe
neppur pensabile senza l’esperienza
beethoveniana. Quello che più si ammira nella
direzione di Orizio è la cura precisa del
dettaglio timbrico: nessuna voce strumentale è
mai oscurata dal possente magma sonoro del primo
tempo, tutti gli strumenti sono fatti suonare
magnificamente, dai violoncelli e poi violini
che con sfumata malinconia espongono il secondo
tema, come il ricordo lontano di una danza, al
trasognato impasto dei legni cui è affidato il
motivo precedente, agli ottoni, in particolare
ai tre tromboni che nello sviluppo hanno
addirittura parti melodiche. Sempre valida la
scelta delle dinamiche, raffinata nel conferire
il ‘respiro’ giusto all’andamento discendente
che caratterizza tutti i principali temi e
motivi di questa parte dell’Incompiuta. La
bacchetta di Orizio evoca nel secondo tempo, con
altrettanta bravura, l’atmosfera di mesta
rassegnazione che lo impronta: sotto la
bacchetta del Maestro bresciano il suono dei
vari strumenti si fa più leggero, al limite
dell’arabesco, come quella distesa melodia,
prima al clarinetto, poi all’oboe che è il
secondo tema, o l’indimenticabile pianissimo su
cui si spegne il tempo e la sinfonia. Esecuzione
tra le più belle da noi ascoltate negli ultimi
anni di questa meraviglia musicale, degna
conclusione di una serata musicale di grande
qualità, che ha meritato i lunghi applausi del
numeroso pubblico in sala.
17 aprile 2022 Bruno Busca
Presentato alla Scala il
nuovo libro di Francesco Maria Colombo:
L'Aristocratico di Leningrado
L'Aristocratico di Leningrado
- Viaggi tra musica, arte, cinema, letteratura,
fotografia e cocktail, il nuovo libro di
Francesco Maria Colombo è stato presentato al
Ridotto Arturo
Toscanini
del Teatro alla Scala. Colombo è direttore
d'orchestra, giornalista, fotografo, romanziere,
esperto di cocktail e con infiniti altri
interessi. Ha parlato della sua nuova opera
letteraria, in questo speciale tardo pomeriggio
promosso dagli Amici della Scala e dalla casa
editrice Ponte alle Grazie,
insieme
al compositore Filippo del Corno e al musicologo
Emilio Sala. La nota diffusa in rete dice questo
"Questo libro racconta di arte e di artisti:
è la risposta più semplice a chi si chiedesse
cosa troverà in queste pagine. Più precisamente
potremmo parlare, con la terminologia di Walter
Benjamin, di una passeggiata tra costellazioni.
Le stelle sono le arti, gli artisti e le loro
creature; e a mostrarci le costellazioni che li
uniscono, tra un segreto svelato e un gioco del
caso, è l’autore: che ci guida a fare, con i
nostri occhi e le nostre orecchie, le sue stesse
scoperte. Billy Wilder e il Tristano, Rodenbach
e Vertigo di Hitchcock, Karajan e Brigitte
Bardot,
Šostakovič e Truffaut, Nabokov e Brassens: che
cosa li collega? Mentre osserviamo una nuova
costellazione ci sembra di sentire quella musica,
di leggere quelle pagine, di guardare quel film,
di ricordare quella fotografia. Non di rado, la
notte delle costellazioni si rovescia in un
sottosuolo doloroso. Ma intanto sotto quel cielo
abbiamo passeggiato, in buona compagnia".
14 aprile 2022
C.G.
ll pianista Seleem
Ashkar per la Società
dei Concerti
Il pianista israeliano Seleem
Ashkar ha finalmente potuto riprendere i
concerti milanesi dopo i continui rimandi degli
scorsi anni per motivi legati alla pandemia.
Ieri sera, in Conservatorio,
nella
riuscita serata organizzata dalla Società dei
Concerti, ha impaginato un programma
incentrato su Beethoven con due sue corpose
sonate, ma con anche due brani romantici di
Chopin e di Brahms: la Ballata n.3 op.47
del primo e le Due Rapsodie op.79 del
secondo. Il Beethoven di Ashkar è certamente di
ottima fattura: energico, estremamente
equilibrato nella stesura dei movimenti, e
completamente interiorizzato per una
restituzione di alto profilo tecnico-espressivo.
Sia la Sonata in do maggiore op.2 n.3,
eseguita all'inizio della serata, che la celebre
"Appassionata", in fa minore op.57,
terminante il programma ufficiale, hanno trovato
un interprete determinato nella fluente
discorsività di lavori tra i suoi favoriti e nei
quali eccelle. Bene anche i brani degli altri
due
compositori.
Probabilmente meglio la risoluta espressività di
Brahms con le architetture ben delineate delle
due ampie Rapsodie, entrambe con deciso taglio
esecutivo ricco d'intensità, rispetto uno Chopin
che, se pur ben delineato nella sua esposizione,
non ha trovato quel gusto tipico dei grandi
interpreti storicizzati o viventi, soprattutto
ma non solo polacchi. Ottimo il bis concesso con
il celebre Träumerei di Robert Schumann,
settimo brano dalle Kinderszenen Op.15. Applausi
calorosi del pubblico presente in Sala Verdi
ampiamente meritati.
14 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
Danilo Rea e Ramin Bahrami al
Teatro Parenti per FRO
Un concerto particolare
quello di ieri sera al Teatro Parenti. Due noti
musicisti, il pianista classico Ramin Bahrami e
quello jazz Danilo Rea, hanno trovato un punto
d'unione nel nome di J.S.Bach. Conosciamo il
Bach di Bahrami, un ottimo interprete che ha
fatto del grande
genio tedesco una ragione di
vita nella costante interpretazione delle sue
immense opere. Danilo Rea è tra i più affermati
jazzisti italiani con studi musicali classici e
con indubbie capacità d'improvvisazione. È
proprio sulla componente dell'improvvisazione
che è nato "Bach is in the air", uno
spettacolo dove i più celebri brani di Bach, a
partire dalla celebre Aria dalle
Variazioni Goldberg, sono eseguiti
classicamente, come da spartito da Bahrami, e
hanno trovano varianti con spunti jazzistici
nelle mani di Rea. Il risultato , che potrebbe
far rimanere basiti i puristi di Bach, trova
invece una resa estetica interessante dal punto
di vista della creatività musicale, con
frangenti di particolare luminosità.
L'impaginato dopo l'introduzione dell'Aria,
prevedeva brani
tra i più celebri del grande
tedesco, come il Preludio iniziale dal
Clavicembalo ben Temperato, l'Aria sulla
quarta corda, la nota Siciliana e
moltissimi altri. Le varianti melodiche e
armoniche estemporanee di Rea, o l'inserimento
improvviso di brevissimi spezzoni di melodie
molto popolari - c'era anche Gershwin con
Summertime- hanno spesso stravolto l'integrità
bachiana per un Bach-Rea a volte di luminosa
leggerezza, a volte di brutale integrazione,
comunque interessante nella proposta complessiva.
Il numeroso pubblico presente in teatro ha molto
apprezzato l'originale proposta dei due pianisti
in una serata ben organizzata introdotta e
animata da Max Laudadio a favore di FRO -
Federazione radioterapia oncologica- , da oltre
trent'anni vicina ai pazienti oncologici ( www.fro.care
). Sul palco anche il prof.lorenzo Livi, punto
di riferimento per la Radioterapia Oncologica e
altri ospiti che hanno sostenuto l'attività di
FRO. Chi volesse sostenere FRO può fare un
versamento su IBAN IT 29 O
0892270372000000413411 o per il 5x1000 al C.F.
94023880480
13 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
Luisa Sello e Le Agane al
Museo del Novecento
Continuano i pomeriggi
musicali organizzati al Museo del Novecento
milanese. In Sala Fontana alle ore 17.00, un
interessantissimo concerto con un gruppo di sei
flautiste, quelle di
Luisa Sello e de Le
Agane, hanno interpretato brani di nove
musicisti. Ma non è un concerto di soli brani
quello cui abbiamo assistito: è un lavoro di
teatro e danza, dove la musica ha certamente un
ruolo essenziale, ma trova una logica unitaria
d'insieme con tutte le componenti artistiche
presenti, a cominciare dal racconto sulle Agane.
Sono personaggi mitologici particolarmente noti
in Carnia, come spiriti dei corsi d'acqua, che a
volte si trasformano in fate o in streghe. Sono
state raccontate da Luisa Sello, nota flautista
internazionale e ideatrice del riuscito
spettacolo. Rendono ancor più accattivante la
messinscena le coreografie, con passi di danza
sostenute
dalle sei flautiste e ideate da una di
esse - Ilaria Prelaz-, e i costumi, cinque neri e
uno blu- quello della Sello- , spesso integrati
con vivaci foulard e con colorate maschere.
Flauti, flauti in sol, ottavino, flauti basso,
hanno suonato insieme o in alternanza, fermi o
in movimento, unendo brani contemporanei, ricchi
di effetti coloristici, ad altri più "classici"
dal sapore antico. Si sono succeduti brani di
Berthomieu, Baratello, Bichof, Clark, Corazza,
Piazzolla, Selby, Zanettovich e uno della stessa
Luisa Sello denominato Echi. Esecuzioni
raffinate, da perte delle protagoniste, che
hanno rivelato un alto livello tecnico
interpretativo,
sia individualmente che
coralmente. La Sello, a conclusione del
pomeriggio musicale, ha voluto presentare le più
giovani compagne d'avventura, Le Agane
nei nomi di Sara Brumat, Veronica Bortot,
Ksenija Franeta, Tijana Krulj, Ilaria Prelaz.
Due i bis concessi con uno struggente "Il
signore delle cime" di Giuseppe De Marzi e
il celebre Libertango di Astor Piazzolla,
ben arrangiato per sei flauti. Fragorosi
applausi al termine per uno spettacolo
particolarmente originale e certamente di
qualità.
13 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
PROSSIMAMENTE GRANDE SOIRÉE
AL CIVICO: GUIDO RIMONDA DIRETTO DA PIER CARLO
ORIZIO
Sabato 16 aprile 2022 al
Teatro Civico di Vercelli , Via Monte di Pietà
15, ore 21 Guido Rimonda al violino e Pier Carlo
Orizio alla direzione dell' Orchestra Camerata
Ducale eseguiranno musiche di F. Schubert , L.
van Beethoven, P. I. Čajkovskij
e M. Bruch Certe volte
vale la pena
aspettare. Esempio ideale è l'appuntamento che
il XXIV Viotti Festival, aveva in programma per
lo scorso 26 marzo e che purtroppo è stato
rinviato a sabato 16 aprile, sempre al Teatro
Civico di Vercelli. Ne è valsa la pena, si è
detto, perché protagonisti saranno Guido Rimonda,
ovvero il solista residente e fondatore del
Festival, un direttore d'orchestra d'eccezione
come Pier Carlo Orizio e, naturalmente,
l'Orchestra Camerata Ducale, “colonna” della
rassegna concertistica vercellese. La serata
sarà aperta e chiusa da Schubert: allo splendido
ma poco eseguito terzo Entr'acte da Rosamunde “risponderà”
idealmente la celebrata Incompiuta, vero
manifesto della poetica schubertiana il cui
finale mai scritto si dice confluì proprio in un
altro brano di Rosamunde, in un intreccio il cui
mistero forse non sarà mai chiarito. Tra queste
due ammalianti pagine, il pubblico potrà
scoprire il fascino di un'altra opera incompiuta,
ossia il Concerto WoO 5 di Beethoven, ma anche
lo struggente lirismo della Sérénade
Mélancolique di Čajkovskij e la sospesa
perfezione dell'Ave Maria di Bruch, della quale
l'autore fu tanto
soddisfatto da separarla dalla composizione di
cui faceva parte – La croce di fuoco – e
pubblicarla come pagina autonoma.
All'ascolto, una scelta che si rivela quanto mai
condivisibile. (Foto Orizio da Ufficio Stampa di Vercelli)
13 aprile Dalla
redazione
DA VIVALDI A
MORRICONE AL
VIOTTI FESTIVAL DI VERCELLI
Ieri sera, Sabato 9 aprile,
il nuovo appuntamento al Teatro Civico di
Vercelli con il Viotti Festival, organizzato
dalla Camerata Ducale, prevedeva un recital
cameristico, con un duo violoncello-pianoforte
formato da due strumentisti francesi di ormai
consolidata fama internazionale: il giovane
violoncellista (26 anni) Edgar Moreau, vincitore,
tra l’altro di un prestigioso premio Rostropovic
e il pianista David Kadouch, che a soli tredici
anni suonava già al Metropolitan di New York. Il
programma impaginato per l’occasione si
caratterizzava per la varietà stilistica,
cronologica e di ‘genere’ delle composizioni
proposte: da due sonate barocche, una di
Vivaldi, la n. 5 in Mi minore delle 6 dell’op.
14 RV 40, e una di Benedetto Marcello, la n.1
op.2 in Fa maggiore, proseguendo con la Suite
italienne n.1 di Stravinsky ( eseguita però come
seconda composizione della serata) che il
compositore russo-americano trasse nel 1932 dai
brani più famosi del balletto Pulcinella,
trascrivendoli per violoncello e pianoforte e
per concludere con Paganini, di cui si è
eseguita la famosa “Sonata a preghiera” vale a
dire l’Introduzione e Variazioni sulla quarta
corda in Fa minore sul tema ‘Dal tuo
stellato
soglio’ dal Mosé di Rossini, concepita
originariamente per violino solo e orchestra da
camera, ma che poi, dato il successo, ha avuto
diverse trascrizioni, tra cui quella per
violoncello e pianoforte ascoltata ieri sera.
Tra Stravinsky e Paganini Moreau e Kadouch hanno
inserito la versione per violoncello e
pianoforte di brani di tre delle più celebri
musiche da film composte da Ennio Morricone:
quelle per i film “C’era una volta il West”,
“Mission” e “Nuovo cinema Paradiso”. Ci pare
evidente l’idea di musica che ispira un tale
programma, un’idea che ha dominato per quasi due
millenni la musica occidentale profana, cioè
quella di una musica concepita come
intrattenimento, nel senso più nobile del
termine, sia come piacevole appagamento
dell’udito, gradevole flusso di sensazioni
sonore, grazie ad una forma elegante e di
gradevole e raffinata melodiosità e armonia, sia
come esibizione delle capacità virtuosistiche
dell’esecutore. Un’idea di musica che,
intendiamoci, non viene meno con la rivoluzione
romantica che attribuisce alla musica un
significato totalmente nuovo e di abissale
profondità nella vita spirituale dell’uomo, anzi
può affiorare ancora in pieno ‘900, ad es. in
alcuni momenti del neoclassicismo stravinskiano
del “Pulcinella”, che nasce proprio
dall’incantata riscoperta di quel mondo sonoro
di dolce eleganza della musica settecentesca
italiana di Pergolesi (o presunto tale). Insomma,
per citare le parole di Busoni, riportate nel
programma di sala, “Non sentimento o metafisica,
ma musica al cento per cento”. In tale quadro
può rientrare più che legittimamente la musica
da film, destinata ad accompagnare le immagini e
il racconto del genere di spettacolo
d’intrattenimento più tipico della modernità, il
cinema. E i due interpreti hanno perfettamente
dato voce a questa musica “al cento per cento”,
entrambi, ciascuno col proprio strumento,
distinguendosi per un suono di trasparente e
soave leggerezza, per una limpida dolcezza della
cavata melodica, per un suono, insomma
tipicamente ‘francese’, nella sua luminosa
chiarezza. Il ruolo di primo piano della serata
è naturalmente toccato a Moreau. Moreau è un
violoncellista di notevole spessore
interpretativo, capace di dare voce a mondi
sonori molto diversi tra loro: molto bella
l’interpretazione delle sonate ‘da chiesa’ (cioè
con lo schema di successione dei tempi Lento,
Allegro, Lento, Allegro) di Vivaldi e Marcello,
in cui la morbida e delicata cavata del giovane
Maestro francese ha saputo dare pienamente voce,
specie nei due tempi lenti, a quel carattere ‘amorevole
e lamentevole’, che secondo il compositore
secentesco Charpentier sarebbe proprio della
tonalità di mi minore (Vivaldi), ma vale anche
per la composizione di Marcello: un patetismo
tenuto sempre nei limiti di una impeccabile
eleganza formale, con un archetto che stacca le
note, sia nei legati, sia nei balzati, con
ottimo controllo delle dinamiche e un’arcata
melodica di rara fluidità. La duttilità
interpretativa di Moreau appare poi evidente
nella Suite di Stravinsky, dove quell’
ispirazione un po’ grottesca e spiritosa, da
opera buffa, che circola nella Serenata e nel
Finale, trova la sua adeguata espressione nei
pizzicati e nei passaggi rapidi sui registri
bassi, gestiti con notevole abilità, e controllo
efficace dei vari passaggi agogici nel dialogo
con il pianoforte. Infine, con la “Sonata a
preghiera” paganiniana, è emerso in tutta la sua
bravura il Moreau virtuoso, già nella terza
proposta del tema con un ampio ricorso agli
armonici e soprattutto nelle tre variazioni e
nel finale, con una diteggiatura acrobatica su
tempi rapidissimi, salti vertiginosi di ottava e
sovracuti che s’innalzavano ai limiti del
silenzio. Pur svolgendo inevitabilmente un ruolo
non protagonistico, il Kadouch che abbiamo
ascoltato ieri sera ci ha fatto venir voglia di
ascoltarlo da solista: stacca un suono che
unisce perentoria energia e dolce fluidità,
dando alle note, di volta in volta, una delicata
velatura di trasognata malinconia (Vivaldi e
Marcello, il tema della Suite stravinkyana) o la
nettezza allegra del ritmo puntato di una marcia
(il Tempo di marcia, appunto, delle Variazioni
rossiniane di Paganini).E’ stato un ‘partner’
ideale per Moreau, con cui ha mostrato perfetta
intesa. Un breve discorso a parte va riservato
alla presentazione dei brani di Morricone:
niente da ridire sul fatto che la musica da film
entri nelle sale da concerto della c.d. ‘musica
classica’,; del resto avviene ovunque e sempre
più spesso. Semmai ci sarebbe da domandarsi
perché, per quanto ne sappiamo per esperienza
personale, la musica da film sia solo quella di
Morricone e tutt’al più di Rota, quando il ‘900
ci ha regalato tanta altra splendida musica da
film, da Prokofiev a Korngold a Jolivet, tanto
per citare i primi nomi di una folta schiera che
ci vengono in mente. Ma il problema, per quanto
riguarda il recital di ieri sera, non è certo
questo, ma il modo in cui è stata presentata la
musica di Morricone, ovvero in una trascrizione
(ignoriamo se dei due interpreti o di chi altro)
per violoncello e pianoforte. La musica da film,
nella grande maggioranza dei casi e in
particolare nel caso di Morricone, è concepita
per orchestra, vive di effetti orchestrali, il
suo respiro è orchestrale. La suggestione che
emana dalla colonna sonora di “C’era una volta
il West” nasce dalle sempre efficaci e
splendidamente variopinte scelte timbriche di
quel grande allievo di Petrassi che fu Morricone.
Tutto questo mondo sonoro va fatalmente
perdendosi completamente in una trascrizione per
violoncello e pianoforte, fino a rendere quasi
noiosa una musica così coinvolgente quando è
eseguita nella sua veste originale. A parte
questo rilievo, è stato un bel concerto,
applaudito a lungo da un pubblico accorso
numeroso come sempre. Per dovere di cronaca, va
detto che Moreau e Kadouch hanno regalato al
pubblico due bis, che hanno presentato in
inglese, ma di cui non abbiamo capito, né
riconosciuto gli autori. Ce ne scusiamo con gli
eventuali lettori.
10 aprile 2022 Bruno Busca
La Sinfonica Verdi diretta
da Maxime Pascal per
Colasanti, Weill e Bartòk
Tre compositori tra '900 e
contemporaneo sono stati proposti dall'Orchestra
Sinfonica di Milano "G.Verdi", per
l'occasione diretta da Maxime Pascal. Tre brani
che hanno in comune la lontananza dal mondo
romantico e la modernità del nuovo linguaggio
musicale iniziata nel primo decennio del 1900.
Il brano di K.Weill, il Concerto per violino
e orchestra a fiati Op.12 è del 1924, quello
di B.Bartok, Musica per strumenti a corde, a
percussioni e celesta del 1936 e quello
contemporaneo di Silvia Colasanti, Cede
pietati, dolor - Le anime di Medea per orchestra
del 2007. Il primo eseguito in Auditorium
ieri sera, è stato quello della
compositrice
romana. Un lavoro particolarmente espressivo con
un impatto orchestrale ben marcato sin dalle
prime battutte, e una situazione di suggestiva
resa emotiva per le nette e risolute timbriche,
spesso taglienti e ricche di contrasti. In
linguaggio tonale, costruito su linee melodiche
di pochissime note, il brano ispirato dai versi
di Medea di Seneca, ha ancora una volta messo in
rilievo le abilità costruttive della Colasanti,
una tra le più affermate ed eseguite
compositrici italiane e internazionali viventi.
Il successivo brano del sassone Kurt Weill, ha
trovato come protagonista la violinista moldava
Patricia Kopatchinskaja, un'interprete nota
internazionalmente
per
le sue qualità virtuosistiche, soprattutto nel
repertorio novecentesco e contemporaneo, e per
la sua eccentricità che la vede affermarsi anche
gestualmente in modo intelligente, sottolineando
anche mimicamente peculiarità timbriche dei
brani eseguiti. Il concerto di Weill, di rara
esecuzione, è particolarmente interessante per
l'approccio coloristico dell'orchestra a fiati,
il suo utilizzo cameristico con fondamentali
interventi solistici che si sommano o si
alternano al protagonista violino solista
dell'eccellente Kopatchinskaja. I tre ampi
movimenti del corposo lavoro, hanno lo stile
tipico tra espressionismo e Gebrauchsmusik ("musica
d'uso") che ha caratterizzato in parte la musica
tedesca di quegli anni con compositori come
appunto Weill e ancor più Paul Hindemith.
L'influenza del cabaret di Bertolt Brecth si
riscontra in lontananza anche in questo lavoro
di Weill con i pregnanti timbri
dei
fiati e gli interventi del violino aiutati dalla
sorprendente gestualità della solista. Ottima,
come nel precedente brano, la direzione del
giovane direttore francese Maxim Pascal, esperto
nel repertorio contemporaneo e del Novecento.
Divertente il bis concesso dalla Kopatchinskaja:
un suo brano per violino e clarinetto dove ha
coinvolto, nel gioco di relazioni timbriche, il
bravissimo Fausto Ghiazza, primo clarinetto
della Sinfonica Verdi. L'ultimo lavoro di Barto ķ,
il brano più celebre, ha
visto ancora un'eccellente direzione e una
ottima resa espressiva in tutte le sezioni
dell'Orchestra Verdi. Applausi del pubblico
intervenuto e replica da non perdere per
domenica alle ore 16.00.
9 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
La violoncellista Julia
Hagen ai Pomeriggi
Musicali
Il concerto de I Pomeriggi
Musicali diretti da James Feddeck prevedeva
tre lavori, il primo di un compositore vivente,
Andrea Melis, classe 1979, era una prima
esecuzione assoluta.
 Composto
per l'Orchestra de I Pomeriggi Musicali,
Visio Maragdina - Quasi una Passacaglia è un
lavoro di circa dieci minuti di durata, dal
carattere riflessivo, sostenuto da note lunghe
che trovano inizialmente la sezione degli archi
più gravi ad enunciare una pacata melodia poi
appoggiata, ripetuta e ampliata delle altre
sezioni dell'orchestra. Una musica d'atmosfera,
in ambito tonale con una coralità che penetra
con facile assimilazione al primo ascolto. Il
brano, ben costruito, è stato apprezzato dal
pubblico che ha tributato applausi anche al
compositore salito sul palcoscenico. Il secondo
brano era probabilmente il più atteso per la
presenza di una giovane solista al violoncello.
Julia Hagen, è un'emergente cellista
ventisettenne nata a Salisburgo. Si è impegnata
nel bellissimo Concerto
per
violoncello e orchestra n.1 in do maggiore
di F.J.Haydn, un lavoro classico di
straordinaria qualità sia nei movimenti laterali,
il Moderato e l'Allegro molto
finale, sia nella riuscita e pregnante melodia
dell'Adagio centrale. La Hagen ha
espresso con rigore tecnico, ma soprattutto con
elegante espressività, le melodie haydniane
dimostrando un ottimo tocco e una profonda
discorsività nell'esprimere i fraseggi col suo
voluminoso strumento. Splendida l'esecuzione.
Dopo l'intervallo, valida l'interpretazione
della celebre Sinfonia n.3 op.55 "Eroica"
di L v.Beethoven, diretta con piglio energico da
Feddeck per una resa ancor più di valore nell'Allegro
molto. Finale. Fragorosi applausi al termine.
Sabato alle 17.00 si replica. Da non perdere.
8 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
Il Concerto De' Cavalieri e
Vivica Genaux in
Conservatorio
Un' eccellente serata musicale
quella ascoltata ieri sera in Conservatorio ed
organizzata dalla Fondazione La Società dei
Concerti. Il gruppo orchestrale
"Concerto De' Cavalieri ",
diretto da Marcello Di Lisa, è tra le formazioni
barocche più apprezzate in Italia e
internazionalmente.
L'ottimo
impaginato prevedeva brani di Corelli, Händel,
Vivaldi, Hasse, Porpora e Brioschi/Hasse. Alcuni
con l'ausilio dello splendido mezzo-soprano
Vivica Genaux. Il Concerto grosso op.6 n.4
di Arcangelo Corelli, due Concerti di
Vivaldi, tra cui quello per Due violini e
archi op.3 n.5 insieme all'Ouverture
da Rinaldo di Händel hanno ben individuato
l'alta cifra espressiva della formazione
cameristica giocata su una raffinata capacità
coloristica prodotta da tutti i bravissimi
strumentisti. In alternanza con i concerti, le
Arie cantate dalla Genaux sono state
Cara sposa dal Rinando di Händel, Son
qual misera colomba dal Cleofide di J.A.
Hasse, Alto Giove
dal Polifemo di
N.Porpora, Lascia che io pianga ancora
dal Rinaldo e Son qual nave da Artaserse
di Brioschi/Hasse. Tutte hanno fatto emergere la
deliziosa vocalità della statunitense Vivica
Genaux. Una voce dove la perfezione tecnica e
l'agilità sono unite ad un bellezza evidente del
suo timbro e ad una discorsività appassionante.
Applausi fragorosi al termine del programma
ufficiale e un bis altrettanto valido con ancora
Antonio Vivaldi e la sua splendida aria
Agitata da due venti dall'opera Griselda.
7 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
Pierre-Laurent Aimard
per un Bach esemplare
Uno dei più importanti
interpreti di musica del '900 e contemporanea,
ha portato in Conservatorio, in una serata
organizzata dalla Società del Quartetto,
la musica di Johann Sebastian Bach. L'impaginato
prevedeva l'esecuzione completa del Libro
Secondo BWV 870-893 del Clavicembalo ben
temperato, monumento musicale del genio
tedesco, che oltre ad
avere
uno scopo didattico, essendo universalmente
eseguito dagli studenti di Conservatorio,
rappresenta una delle più alte opere di Bach. I
ventiquattro Preludi con le relative Fughe -
oltre due ore la durata complessiva d'esecuzione
- sono stati equamente distribuiti in due parti,
separate dal breve intervallo. Pierre-Laurent
Aimard, francese, classe 1957, non ha bisogno
certo di presentazioni, essendo tra i massimi
specialisti al mondo di Stockhausen, Ligeti,
Benjamin, Boulez, e di molti altri grandi nomi
riferibili al Secondo Novecento e prima di loro
anche di Messiaen. Il fatto che oggi porti nelle
sale da concerto la musica di Bach dimostra la
molteplicità degli interessi di un pianista che
da giovanissimo, a meno di vent'anni, divenne il
solista della parigina Ensemble
Intercontemporain. Come interprete bachiano ci
ha stupito.
Con
una mirabile tenuta tecnico- espressiva ha
elargito un'interpretazione di altissimo livello
in tutti i ventiquattro brani, considerando il
Preludio e la Fuga come elemento unitario.
Stupisce la capacità di Aimard di modulare il
linguaggio stilistico e l'espressività in
ciascuno dei ventiquattro numeri, creando una
varietà incredibile di possibilità d'approccio e
rendendo sempre nuovo l'evento sonoro. Splendidi
i Preludi, alcuni più celebri di altri, e ancor
più mirabili le Fughe, interpretate con una
chiarezza espositiva esemplare nel fare emergere
le singole voci, i contrappunti e la complessa
logica costruttiva del sommo Bach. Dai momenti
di sobria riflessione di alcuni preludi alle
repentine
e leggere discorsività di altri, tutti ci sono
apparsi di pregio, e le fughe, ricche di
chiarezza e di accenti nell'esposizione del tema,
hanno trovato un intreccio nelle ripetizioni
tematiche con escursioni dinamiche esemplari. Un
esempio di grande Bach quello di ieri sera, che
grazie alle mani fatate di Aimard e alla sua
intensità riflessiva ed espressiva, ha fatto
trascorre le oltre due ore di musica
rapidissimamente. Un concerto memorabile, per un
interprete applaiditissimo dal pubblico presente
in Sala Verdi. Splendido il bis concesso con un
brano esemplare di Ligeti, Autunno a Varsavia
- il n.6 dal primo volume di Studi- in
perfetta concordanza con il Bach ascoltato per i
livello delle strutture costruttive e
polifoniche, anche se dal carattere tragico.
Dedicato da Aimard alle vittime della tragica
guerra in Ucraina, come da lui detto poteva
essere titolato Autunno a Kiev o a Maripoul.
Splendida serata.
5 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
Prossimamente a
Vercelli
TRA I SECOLI A PASSO DI
DANZA: MOREAU E KADOUCH AL TEATRO CIVICO. Se è
vero che il tempo ben speso passa in un attimo,
il concerto di sabato 9 aprile al Teatro Civico
di Vercelli (ore 21, concerto in abbonamento),
capace com'è di volare leggero su tre secoli di
musica, apparirà breve come un respiro. Eppure
si tratta di uno degli appuntamenti più
importanti del XXIV Viotti Festival, in quanto
dà il benvenuto a Vercelli a due interpreti
acclamati in tutto il mondo: il violoncellista
Edgar Moreau e il pianista David Kadouch.
Fortemente voluti dalla Camerata Ducale,
organizzatrice del Festival, Moreau e Kadouch
sono arrivati giovanissimi alla ribalta
internazionale e da anni sono una presenza fissa
sui più prestigiosi palcoscenici del mondo,
forti di una musicalità e di un'espressività che
lasciano ammirati sia il pubblico sia la critica.
Quando si esibiscono insieme, come nella serata
vercellese, formano un duo che spicca per la
profondità dell'interpretazione e allo stesso
tempo, in uno dei “miracoli” riservati solo ai
grandi musicisti, per la sublime leggerezza con
cui affrontano il loro repertorio. E il concerto
del Civico è un perfetto esempio delle loro
magistrali capacità: passa infatti con
disinvoltura dal fascinoso Settecento di Vivaldi
e Marcello all'Ottocento di Paganini per
arrivare alla meravigliosa Suite Italienne di
Stravinskij e a un florilegio di celebri pagine
di Ennio Morricone, del tutto a suo agio
– cosa che
avrebbe sicuramente apprezzato – nel confronto
con i “monumenti” della musica classica.
dalla redazione 5 aprile 2022
Giovanni Bertolazzi
alle Serate
Musicali
È un giovane promettente del
concertismo internazionale Giovanni Bertolazzi.
Veronese, classe 1998, ha vinto numerosi
concorsi internazionali e ultimamente, nel 2021,
un 2° Premio al prestigioso Concorso
pianistico internazionale "F.Liszt" di
Budapest. La sua passione per il musicista
ungherese ha trovato esplicazione nel bel
concerto di ieri sera, organizzato in
Conservatorio
da Serate Musicali. Un impaginato
interamente dedicato a Liszt, con brani tra i
più ardui per spessore virtuosistico. Tutti noti
i cinque brani in programma e alcuni di essi
celeberrimi, come Après une lecture du
Dante.Fantasia quasi Sonata, eseguito ad
introduzione e la Sonata in si minore
eseguito al termine del programma ufficiale. Non
si discute l'alto livello tecnico di Bertolazzi.
Quanto alla qualità interpretativa,
complessivamente di rilievo, abbiamo trovato il
pianista in crescendo nel corso delle esecuzioni.
La "Sonata Dante" ha visto un interprete
solido e determinato, a volte eccessivo nelle
volumetrie e nell'uso del pedale di risonanza.
Di maggior pregio il brano conclusivo. La
Sonata in si minore ha trovato un pianista
raffinato, ricco nella tavola dei colori ed
equilibrato nelle esternazioni dinamiche.
Un'interpretazione
certamente di alta qualità. Validi i tre brani
intermedi, dai 12 Studi di esecuzione
trascendentale il n.11 Harmonies du soir
e il n.13 Chasse- neige. Quindi,
ancor più valida, la Rapsodia ungherese n.12
in do diesis minore, di rara chiarezza
espressiva. Tre i bis concessi da Bertolazzi,
tutti di ottima resa: dal virtuosistico e
melodico Vecsey-Cziffra col Valse triste,
al celebre cavallo di battaglia di Arthur
Rubinstein, la Ritual fire danse di
Manuel De Falla, e dopo tanto virtuosismo, la
tranquillità di Bach con l'Aria sulla quarta
corda nella celebre trascrizione pianistica
di Siloti. Ottimo concerto e convinti applausi
del pubblico intervenuto in Sala Verdi.
5 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
Riccardo Chailly
e l'Orchestra
e il Coro della Scala per la Sinfonia n.2 "Resurrezione"
di Mahler
Una delle più monumentali
opere di Gustav Mahler, la Sinfonia n.2 in Do
minore "Resurrezione", ha trovato sul podio
scaligero ieri sera, alla seconda e ultima
replica, Riccardo Chailly. Monumentale non è
soltanto il lavoro in cinque movimenti, ma anche
la compagine orchestrale comprensiva di ampio
Coro e di due voci femminili soliste. La
sinfonia ebbe una
lunga gestazione iniziata nel
1887 ed arrivò a conclusione nel 1894, con una
prima esecuzione a Berlino nel 1896. Chailly è
un esperto di Mahler. La conoscenza del grande
sinfonista maturata nel corso degli anni con
orchestre italiane ed europee, come ad esempio
la Gewandhausorchester Leipzig, hanno portato la
sua cifra direttoriale nelle articolate sinfonie,
ad una raffinata resa espressiva, giocata sulla
cura di ogni dettaglio, sulla chiarezza delle
timbriche e sui giusti equilibri negli impasti
sonori. La risposta al suo coinvolgente gesto,
da parte dell'Orchestra della Scala , del
grandioso Coro curato in modo eccellente da
Alberto Melazzi e delle due ottime voci soliste,
ovvero il soprano Erin Morley e il contralto
Anna Larsson, è stata straordinaria. Una qualità
interpretativa
dove la trasparenza di ogni
frangente musicale è emersa con afficace resa
espressiva, sia nei momenti maggiormente
cameristici che in quelli di grande
estroversione orchestrale e corale, partendo
dall' iniziale Allegro maestoso. Mit durchaus
ernstem und feierlichem Ausdruck, sino al
monumentale Im Tempo des Scherzo. Wild
herausfahrend, rappresentazione della
resurrezione ad una vita ultraterrena. Di
qualità sia la voce della Larsson che quella
della Morley. Applausi fragorosi e numerose
uscite dei protagonisti in un teatro ancora
colmo di pubblico.
( Foto di Brescia e Amisano a cura dell'archivio
della Scala)
4 aprile 2022 Cesare Guzzardella
Maria Gabriella Mariani
alla rassegna milanese
Lieti calici agli "Amici del loggione del
Teatro alla Scala"
Un simpatico e riuscito
incontro musicale e... anche di ottimo aperitivo..,
quello tenuto questa mattina agli Amici del
Loggione della Scala, nella milanese via Silvio
Pellico. Mario Marcarini, organizzatore,
discografico e musicologo, ha portato davanti al
pianoforte della capiente sala degli Amici,
la pianista e compositrice napoletana Maria
Gabriella Mariani. L'artista da alcuni anni vive
a Campobasso, ed è anche autrice di validi
romanzi. Nella breve intervista
concessami,
ha raccontato la sua storia musicale iniziata in
tenera età con studi serissimi di Conservatorio,
e perfezionamenti con il grande Aldo Ciccolini,
dopo aver conosciuto anche Vincenzo Vitale,
grande didatta della scuola napoletana. Come
interprete ha realizzato numerosi Cd aventi come
base la scuola francese di Debussy e Ravel, ma
anche con molto Schumann. La passione
compositiva è avvenuta dopo, nel 2008, per
motivi accasionali, e da allora l'inserimento di
suoi lavori nei concerti, come nei recenti
dischi, è avvenuto puntualmente. Nel valido
concerto di circa un'ora, davanti un numeroso
pubblico, abbiamo ascoltato alcuni suoi brani.
Sono caratterizzati da una parte iniziale
scritta in modo rigoroso sul pentagramna, e da
una finale dove la
Mariani
ha dato sfoggio delle sue abiltà
d'improvvisazione. La sua interessante ed
immediata cifra stilistica, in ambito tonale,
trova riferimenti nel mondo da lei più amato,
quello francese di fine ottocento e dei primi
decenni del '900 (Debussy, Ravel e Poulenc), ma
anche nel repertorio italiano, soprattutto
dell'Italia centrale e del sud. Infatti Il suo
accentuato "lirismo" è una caratteristica
privilegiata, e la sua capacità improvvisatoria
nasce anche dalla sua ricca esperianza in ambito
interpretativo concertistico. Sin dal suo primo
brano, Ologramma: Tema Variazioni, Finale e
Improvvisazione, l'approccio stilistico, dal
taglio tradizionale ma comunque caratterizzante
di un linguaggio personale, è risultato evidente.
Le semplice melodia iniziale, dal sapore antico,
ha subito nel corso dell'esecuzione, variazioni
e complessità armoniche,
sino
a trasformarsi in una sorta di finale senza
fine, improvvisato con valida abilità discorsiva.
Anche nel più breve secondo lavoro presentato,
ha mostrato il suo stile narrativo, legato ai
personaggi che spesso emergono nei suoi romanzi.
Di grande impatto estetico il brano finale,
concesso come bis, titolato Nenè Waltz,
che inizia con un guizzo improvviso
virtuosistico e termina brevemente sempre nel
suo stile improvvisatorio. Una bella mattinata
di musiche con un lieto calice di vino, un
meraviglioso Dolcetto.
3 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
A VERCELLI SERATA
CAMERISTICA CON I GIOVANI DELLA CAMERATA DUCALE
JUNIOR
A
conferma, se mai ce ne fosse bisogno, del ruolo
sempre più importante che con gli anni si è
venuta conquistando la Camerata Ducale nel
panorama delle orchestre italiane, è
l’intelligente ed efficace attenzione che essa
dedica da anni ai giovani musicisti, avviandoli
e formandoli all’attività concertistica, sia in
ambito sinfonico che cameristico. Con un lavoro
attento di selezione e valorizzazione dei più
promettenti diplomati di vari Conservatori
italiani, sostenuto anche da istituzioni come la
romana Accademia Avos Project, la Camerata
Ducale ha ‘figliato’ in questi ultimi anni una
Camerata Ducale Junior, costituita di giovani
strumentisti, di età non superiore ai 25 anni,
protagonista di una stagione musicale sua
propria, che si svolge, con grande successo,
parallelamente al Viotti Festival della Camerata
Ducale ‘senior’. In occasione del recital
cameristico di ieri sera, sabato 2 aprile, nella
splendida cornice del Salone Dugentesco
recentemente restaurato, a rappresentare i
giovani della Camerata ducale junior erano
Giulia Rimonda (violino), Marco Introna (viola)
ed Ettore Pagano (violoncello). Ad accompagnarli
nell’esecuzione dei brani in programma erano
altri due strumentisti, che hanno già raggiunto
la fama nelle sale da concerto e in questa
occasione hanno assolto il compito di Maestri
preparatori dei tre giovani della CDJ,
guidandoli all’esecuzione e poi esibendosi con
loro: si tratta del violinista Andrea Obiso, in
verità di poco più anziano dei suoi tre giovani
allievi/colleghi, ma già primo violino
dell’Orchestra dell’Accademia di S. Cecilia, e
del pianista Massimo Spada, cofondatore, tra
l’altro, di Avos Project. Il programma della
serata prevedeva due composizioni celeberrime
della letteratura cameristica classico-romantica
ottocentesca: il “Trio degli spiriti” (GeisterTrio),
titolo con cui è universalmente conosciuto il
Trio per archi e pianoforte in Re maggiore op.70
n.1 di L. van Beethoven e il Quintetto in Fa
minore per pianoforte e archi di Cesar Franck.
Dunque, come primo pezzo in programma è stato
presentato il Trio degli spiriti, così chiamato
a causa del suo movimento centrale, il cui
motivo, stando ad alcuni suoi appunti, Beethoven
intendeva utilizzare per la scena
dell’apparizione delle streghe in un “Macbeth”,
che poi non compose. Il Trio op.70 n.1 è tra le
opere a nostro avviso più enigmatiche e perciò
più affascinanti di Beethoven: essa vive nel
cuore e nella memoria dell’ascoltatore per il
radicale contrasto tra i due movimenti esterni,
vere esplosioni di energia vitale, energia
cosmica fattasi suono, e un tempo centrale tra i
più desolatamente nichilistici che la musica
conosca, dal timbro livido e tenebroso: come uno
sguardo sugli abissi del nulla, che irrompe come
una vertigine di totale smarrimento
nell’abbandono all’ebbrezza dionisiaca della
vita. Non conosciamo riferimenti a questo Trio
nell’opera di Nietzsche, ma esso ci pare una
delle composizioni più nietzschiane mai
concepite. A eseguire questo capolavoro erano
ieri sera Giulia Rimonda al violino, Ettore
Pagano al violoncello e Massimo Spada al
pianoforte. E, diciamolo subito, è stata
un’esecuzione di altissimo valore. In generale,
possiamo dire che i tre strumentisti hanno
saputo valorizzare pienamente le caratteristiche
di questo splendido monumento musicale, con un
suono ‘spigoloso’ e potente, diremmo ‘demonico’
nei due tempi estremi, realizzato in un dialogo
sempre efficace tra gli archi e il pianoforte,
frutto di sapienza tecnica ed intesa perfetta.
Decisamente bella e coinvolgente l’esecuzione
del Largo centrale, nella quale il perfetto
lavoro sui contrasti dinamici incessanti nel
passaggio continuo tra violino e violoncello del
motivo-chiave di sette note, col sostegno degli
spogli accordi ribattuti del pianoforte,
avvolgeva il movimento in quell’ombra
inquietante che è la sua ‘tinta’ sonora più
appropriata. Più in dettaglio sono da segnalare
alcuni momenti di particolare qualità esecutiva.
Fin dal perentorio attacco dell’iniziale
‘Allegro vivace’, colla fulminante testa del
tema principale, seguito da una sezione di più
distesa cantabilità, l’ascoltatore è stato
colpito dal suono perfettamente calibrato del
violino di Giulia Rimonda, capace di sprigionare
la più intensa energia, come di effondersi in
una linea melodica dal legato morbido e suadente,
con un suono di intensità e potente proiezione,
oltre che di perfetto dominio tecnico, che ha
dato la sua impronta decisiva
all’interpretazione del movimento, in un dialogo
incessante con gli altri due strumenti. Una
bravura e una maturità, quelle di Giulia Rimonda,
che escono pienamente confermate dall’ardua
prova del tempo centrale, dove il suono delle
sue quattro corde ha vibrato, con finezza, di
quella malinconica desolazione che è la cifra
espressiva del pezzo, chiaroscurandola con lo
svariare delle dinamiche dal “sotto voce”
d’esordio ai “fortissimo” e agli “sforzando”
successivi. Una valutazione molto alta è dovuta
anche al violoncello di Pagano, eccellente
sempre nel dialogo col violino e molto accurato
nei dettagli nei momenti in cui ha goduto di una
maggiore autonomia, come nella sezione dello
sviluppo del terzo tempo, poco prima della
ripresa, ove al violoncello l’autore affida una
raffinata e tenera melodia, che col suo brunito
timbro crepuscolare, sembra anticipare Brahms.
Perfetto sostegno ai due archi è stato il
pianoforte di Spada, essenziale, nel tempo
centrale, per creare, con accordi ribattuti e
tremoli, quel clima ‘spettrale’ che lo
caratterizza, così come, nello sviluppo del
primo movimento, ha pennellato una sapiente
sfumatura di color ‘sulfureo’ accompagnando con
un che di tortuoso e oscuro l’iniziale
elaborazione. del primo tema. Seguiva un altro
capolavoro cameristico,
ma di ben altra
concezione e stile musicale, il Quintetto di
Franck. A eseguirlo Giulia Rimonda primo violino,
Andrea Obiso secondo violino, Matteo Introna
viola, Ettore Pagano violoncello e Massimo Spada
al pianoforte. Il quintetto di Franck, con la
sua tendenza al monumentale (più di quaranta
minuti per tre tempi), l’insistente ritorno
ciclico di temi e cellule motiviche, il denso
cromatismo di molti passaggi, crea, sotto
l’influenza della linea Liszt-Wagner che si
andava imponendo negli anni ’70-’80 del XIX sec.
su tanta musica europea, una sorta di onda
musicale montante, che trascina con sé
l’ascoltatore con moto irresistibile, L’ampio
ricorso al cromatismo crea delle zone di
particolare intensità e suggestione ‘sentimentale’
che hanno spesso autorizzato, insieme con
l’indicazione ‘con molto sentimento’ riferita
dall’autore stesso al Lento centrale,
interpretazioni improntate, appunto, ad un
sentimentalismo talora sopra le righe. Non è
stato, per fortuna, il caso dell’interpretazione
ascoltata ieri sera a Vercelli. I giovani
interpreti hanno semmai portato in primo piano,
ancora una volta con potente energia di suono,
un altro aspetto che pure è presente in questo
capolavoro del tardo romanticismo, cioè il
contrasto, che talora si fa drammatico, tra il ‘blocco’
degli archi, guidato con autorevolezza e
sapienza da Giulia Rimonda e il pianoforte; un
contrasto evidente fin da subito, quando il
primo violino apre, con un fortissimo “drammatico”,
come scritto in partitura, , cui risponde, in
antitesi, un “espressivo piano” del pianoforte,
suonato da Spada conferendo al ‘suo’ motivo
un’aura di trasognata sospensione, stile ‘Pelleas
et Melisande’, sfruttando al meglio l’ambiguità
tonale del dominante cromatismo. Impossibile
passare in rassegna i dettagli di un’opera così
densa: non possiamo che ribadire gli elogi per
un gruppo di giovani musicisti che ha sfoggiato
ad alto livello qualità interpretative già
mature, non solo, s’intende, nel dominio tecnico
dei propri strumenti, ma nel controllo delle
dinamiche, nella giusta calibratura agogica,
nella capacità di penetrare le sfumature più
sottili e segrete di una partitura densa e
complessa, di creare, nel dialogo strumentale,
una timbrica, sfumata e di raffinata eleganza,
perfettamente adeguata alle sfumature armoniche
della composizione. Insomma, la CDJ., per quanto
si è visto ieri sera, è già ben più che una
promessa, grazie alle qualità dei suoi giovani
rappresentanti e, naturalmente, alla bravura dei
loro Maestri. Alla fine del concerto, nell’ampio
Salone Dugentesco, tutto esaurito, nonostante la
‘concorrenza’ del concerto di Claudio Baglioni,
che si svolgeva ieri sera al Teatro Civico della
città, sono risuonati a lungo scroscianti e
meritatissimi applausi, seguiti da un bis, la
ripetizione di un brano tratto dal quintetto di
Franck. Serata che ricorderemo a lungo.(Foto dall'ufficio stampa di Vercelli)
3 aprile 2022 Bruno Busca
Honegger con Mozart
e Beethoven diretti da
Thomas Guggeis
Un programma sostanzioso per
il concerto dedicato a Franca Canuti Cervetti,
si è svolto ieri sera con replica di domenica .
Impaginato ricco,
con brani di Honegger, Mozart e
Beethoven. Il movimento sinfonico Pacif 231
del compositore francese, di origine
svizzera, Arthur
Honegger (1892-1955) ha anticipato Mozart. L'Orchestra Sinfonica di
Milano "G.Verdi" diretta da Thomas Guggeis
ha interpretato molto bene questo breve lavoro
di circa sei minuti che, composto nel 1923,
riassume in modo efficace la modernità di una
composizione ispirata dal mondo industriale e
proiettata nel futuro. Il brano, decisamente
Futurista, considerato il periodo di produzione,
è un esempio felice, dal punto di vista timbrico
e coloristico, di un genere innovativo se pur in
ambito tonale. A seguire
il Concerto per due
pianoforti in mi bem maggiore K365 (1779) di
Mozart ha trovato come solisti della testiera
Lucas & Arthur Jussen. Due fratelli affermatissimi nel panorama
internazionale, dotati di un talento
straordinario, che hanno affrontato in modo
efficace il bellissimo concerto mozartiano.
L'eccellente intesa tra i due giovani interpreti,
coadiuvati dalla Sinfonica Verdi, ha portato ad
una valida interpretazione giocata sulla chiara
esposizione e sulla resa espressiva delle
melodie presenti nei classici tre movimenti..
L'alternanza simmetrica
delle parti pianistiche,
e la bellezza melodica è stata sostenuta sino al
notissimo Rondò.Allegro del finale,
apprezzato dal numerosissimo pubblico presente
in Auditorium che al termine ha tributato
fragorosi applausi. I fratelli, visibilmente
soddisfatti, hanno concesso un virtuosistico bis
per due pianoforti con una splendida
rielaborazione di Igor Roma del celebre
Valzer di Johann Strauss da "Il
pipistrello", in chiave ritmica "sud-americana".
Bravissimi! Nella seconda
parte del concerto
l'attesissima Sinfonia "Eroica" di
L.v.Beethoven è stata preceduta dalla lettura
dell'ode manzoniana Il cinque maggio, per
i duecento anni dalla morte di Napoleone. Una
lettura resa con chiarezza espositiva da
Massimiliano Finazzer Flory. Ottima
l'interpretazione di Thomas Guggeis della
Sinfonia n.3 op.55 del genio di Bonn,
restituita con dovizia di particolari ed
espressività dalla Sinfonica Verdi, per un
eccellente equilibrio dinamico complessivo.
Ancora applausi meritatissimi. Da non perdere la
replica di domenica pomeriggio alle ore 16.00
2 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
Meritato successo per il
Don Giovanni
di Robert Carsen alla Scala
È tornato il Don Giovanni
mozartiano per la regia di Robert Carsen.
Sono passati oltre dieci anni dalla medesima
messinscena, allora diretta da Daniel Barenboim.
Nella rappresentazione vista ieri sera, la terza,
il Teatro alla Scala al completo e gli applausi
tributati al termine,
testimoniano
ancora una volta la riuscita complessiva di
un'opera che trova nell'insieme degli interventi
artistico-musicali la sua rilevante riuscita. A
partire dalla direzione dello spagnolo Pablo
Heras-Casado per una visione equilibrata della
partitura, molto rispettosa delle voci e
qualitativamente di rilievo interpretativo. Le
scene minimali di Michael Levine e i validi
costumi di Brigitte Reiffenstuel erano
perfettamente funzionali all'ottima regia di
Carsen- autore anche delle luci insieme a Peter
Van Praet. Una regia studiata per dar corpo
attoriale sostenuto alle voci. I protagonisti in
palcoscenico, molto in movimento e spesso in
unione con le comparse e l'ottimo coro preparato
da Alberto Malazzi, hanno riempito le scene
spesso spoglie con lo sfondo di grandi quinte
che rappresentavano il teatro. Valido il gioco
di specchi subentrato in alcune scene
nei
due lunghi due atti. Di ottima qualità il cast
vocale, completamente diverso rispetto
all'edizione del 2011 e alla ripresa del 2017.
Hanno reso per timbrica e voluminosità tutti i
cantanti, ad iniziare da Christopher Maltman, un
Don Giovanni con voce perfettamente
impostata ed efficace presenza scenica. Stessa
validità per Alex Esposito, voce incisiva e
presenza scenica brillante quella del suo
Leporello, il più applaudito. Sul versante
femminile decisamente di qualità Hanna-Elisabeth
Muller, una Donna Anna di grande presenza
con voce ricca di colori e impositiva nel
porgerla. Ottima attrice. Di qualità Emyli
D'Angelo, una Donna Elvirà elegante con
timbro adeguato al ruolo efficace attorialmente.
Valida Andrea Carrol, una piacevole Zerlina,
con valida emissione ed intonazione e ben
presente in scena. Ancora sul
versante
maschile, di eccellente fattura la timbrica di
Bernard Richter, un Don Ottavio perfetto
nel porsi. Bravo Fabio Capitanucci in Masetto
e rilevante vocalmente Günther Groissböck un
Comendatore impositivo in scena e anche dal
palco centrale illuminato insieme a tutto il
Teatro. Numerosi i riusciti fuori scena con
movimenti anche tra il pubblico presente.
Applausi fragorosi a tutti i protagonisti.
Prossime repliche per il 2, 5, 10 e 12 aprile.
Da non perdere! ( Foto di Brescia -
Amisano dall'Archivio del Teatro alla Scala)
1 aprile 2022 Cesare Guzzardella
PROSSIMAMENTE ANDREA OBISO E
MASSIMO SPADA CON LA CAMERATA DUCALE JUNIOR
Quando
viene riaperto al pubblico un luogo storico che
è parte integrante del patrimonio di una città,
la scelta migliore è quella di guardare al
futuro. È con questo spirito che sabato 2 aprile
(ore 21, concerto fuori abbonamento, ingresso
gratuito sotto i 25 anni) gli spettatori del
XXIV Viotti Festival potranno finalmente
ritrovare lo splendido Salone Dugentesco
– gioiello medievale e tappa fondamentale della
Via Francigena – al termine di una lunga
chiusura dovuta ai lavori di consolidamento
strutturale al piano superiore.
Guardare al futuro, si
è detto. E i protagonisti
della serata non potrebbero incarnare meglio
questo proposito: saranno infatti di scena i
solisti della Camerata Ducale Junior,
l'orchestra under 25 nata dalla Camerata Ducale
ma ormai diventata una brillante e del tutto
autonoma realtà musicale, per l'occasione
rappresentati da Giulia Rimonda al violino,
Matteo Introna alla viola ed Ettore Pagano al
violoncello. Il quintetto verrà completato da
due Maestri preparatori d'assoluta eccezione
come Andrea Obiso al violino e Massimo Spada al
pianoforte, ovvero il meglio della nuova
generazione italiana di concertisti alla
conquista dei palcoscenici internazionali. Oltre
a rappresentare un esempio d'eccezione dal punto
di vista professionale (chi non vorrebbe
ripercorrere i loro passi?), i Maestri
preparatori quest'anno non si limitano a seguire
e indirizzare le prove del concerto, ma si
esibiscono insieme ai giovani della CDJ, dando
prova di grande entusiasmo e coinvolgimento.
Coinvolgimento confermato dalla collaborazione
con Avos Project. In programma : L. van
Beethoven - Trio per archi e pianoforte n. 5,
op. 70 n. 1 Geister trio C. Franck - Quintetto
in fa minore per pianoforte e archi
1
aprile dalla redazione
MARZO 2022
Angela Hewitt
per la Società del
Quartetto
La musica di J.S. Bach, il
principale riferimento per la pianista canadese
Angela Hewitt, è tornata in Conservatorio. Il
concerto organizzato dalla Società del
Quartetto ha visto un
numeroso
pubblico in Sala Verdi, per un'interprete che ha
iniziato la sua carriera concertistica nel nome
del grande compositore tedesco e che da alcuni
decenni prosegue nell'interpretare l'amatissimo,
senza comunque tralasciare altri importanti
compositori. La Hewitt divenne infatti nota al
grande pubblico a metà degli anni '80 dopo
un'importante vittoria ottenuta ad un concorso
pianistico tenuto a Toronto nel 1985 e dedicato
a Bach, e grazie anche all'uscita - per una
prestigiosa casa discografica- di uno splendido
CD dedicato al grande musicista tedesco.
L'impaginato di ieri sera prevedeva i Quattro
Duetti, i Diciotto Piccoli Preludi,
la Fantasia e fuga in la minore , l'Ouverture
in stile francese in si minore e il
Concerto in stile Italiano in fa maggiore.
Naturalmente
di qualità l'interpretazione della Hewitt. Il
suono chiaro, ricco di sfumature ha ben
individuato il gioco d'intrecci tra le parti
della tastiera facendo emergere le linee
melodiche, il ricco contrappunto e ogni
particolare costruttivo. Le sonorità dell'ottimo
Fazioli ben si prestano alla musica barocca e
soprattutto alla musica di Bach, musica precisa,
emotiva ma anche molto razionale, che abbisogna
di precisioni millimetriche per definire le
infinite sue geometrie, e la Hewitt, come
architetto musicale ha pochissimi rivali al suo
livello. Grande successo, con applausi fragorosi
e con due bis ancora bachiani, due corali con il
secondo tra i più celebri: dalla Cantata 147
"Jesus bleibet meine Freude" nella
trascrizione pianistica di Myra Hess. Ottimo
concerto per un'importante interprete.
30 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Giuseppe Gibboni
alle Serate
Musicali
È tornato a Milano il
violinista salernitano Giuseppe Gibboni per un
concerto organizzato da Serate Musicali.
Insieme al pianista Ingmar Lazar, presente in
una parte dei brani, ha impaginato un programma
diversificato con alcuni lavori di Paganini,
musicista a lui legato avendo vinto recentemente
- nel 2021- il prestigioso Premio
Internazionale Paganini di Genova. Il primo
brano era la Sonata n.3 per violino e
pianoforte Op.108 di Johannes
Brahms. Una
sonata celebre anche per quel Presto agitato
che conclude il lavoro, scritto dal grande
amburghese nel 1888 e che spesso viene eseguito
come bis da molti virtuosi. Valida
l'interpretazione. Un netto salto di qualità è
stato riscontrato nei successivi lavori. Il
ventunenne Gibboni ha proposto tre Capricci
dai 24 dell'Op.1 e precisamente il N.1 "L'Arpeggio",
il N.5 e il corposo N.24, un
Tema con variazioni in la minore. Con i
Capricci paganiniani sono emerse in toto le
qualità virtuosistiche ed interpretative di
Gibboni, eccelse nell'esprimere con apparente
facilità virtuosismi d'immensa difficoltà. Di
evidente qualità, anche il brano successivo,
eseguito dopo il breve intervallo, ossia le
Variazioni su un tema tema originale per violino
e pianoforte Op.15 di Henryk Wieniawski
(1835-1880). Il celebre virtuoso violinista e
compositore polacco è debitore della lezione
paganiniana. Anche in questo delizioso lavoro,
Gibboni, in sinergia con l'ottimo Lazar, ha
espresso al meglio le sue naturali qualità per
un'interpretazione di alto livello. Il violino
solo è ritornato nel brano successivo del
compositore russo Alfred Schnittke ( 1934-1998).
Titolato "A Paganini", recupera frammenti
paganiniani, con una sorta di collage
tratt o
da alcuni Capricci, per uno sviluppo
virtuosistico autonomo dove è riconoscibile lo
stile politonale del compositore, caratterizzato
da colori scuri intensamente espressivi. Gibboni
ha trovato la giusta dimensione interpretativa
del difficile lavoro del 1982, attraverso
timbriche precise, dettagliate dominate da
colori scavati e profondi, resi dall'ottimo
violino con voluminosa intensità espressiva .
Originale il finale che prevede un'ultima nota
ottenuta con la "scordatura" della corda più
bassa. Eccellente interpretazione. L'ultimo
brano in programma era la celebre "La
Campanella", dal Concerto n.2 op.7 di
Paganini che ha ancora trovato un evidente
apprezzamento dal pubblico intervenuto. Un
Campanella brillante, raffinata, in ottimo
equilibrio con la parte pianistica eseguita
molto bene dal giovane Lazar. Due i bis concessi,
il primo in duo, con Hora Staccato, un
celebre brano del folclore rumeno di Grigoras
Dinicu (1889-1949), quindi il solista con l'Adagio
dalla Sonata n.1 per violino solo di
J.S.Bach, eseguito splendidamente. Applausi
intensi e prolungati ai protagonisti.
29 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Jader Bignamini
e Domenico Nordio con
l'Orchestra Sinfonica G. Verdi
Programma particolarmente
ricco quello proposto dalla "Sinfonica Verdi"
con l'importante ritorno alla direzione di Jader
Bignamini, attualmente responsabile della
Detroit Symphony Orchestra. Tre i brani
proposti, con una novità della compositrice
romana Silvia Colasanti. Il suo recentissimo
Esercizi per non dire addio per
violino e orchestra è stato proposto come
primo brano. A seguire il Concerto per
violino e orchestra op.61 di L.v. Beethoven
e quindi, dopo il breve intervallo, la
Sinfonia n.9 op.70 di Dmitri
Šostakoviç.
Nei primi due lavori -
non
a caso la serata era titolata "Un violino per
due" - al violino solista c'era l'ottimo
Domenico Nordio. L'intenso e suggestivo concerto
della Colasanti si immerge nei ricordi del
passato, ricordi molto interiorizzati,
attraverso sonorità cupe e frammentate per circa
venti minuti, elargite in un unico movimento. Il
prevalente impianto tonale rende particolarmente
comprensibile il lavoro, giocato su
un'alternanza o una sovrapposizione della parte
solistica con le profonde timbriche orchestrali,
spesso combinate con particolari effetti delle
percussioni. La presenza di una sostenuta
cadenza violinistica, di circa due minuti, resa
con grande espressività da Nordio, assimila il
brano ad un classico concerto violinistico,
anche se risulta evidente il linguaggio attuale
della nota compositrice, tipico dei nostri tempi
ma con solidi agganci alla tradizione
novecentesca, soprattutto europea ma con
influenze mediterranee ed asiatiche. È un lavoro
efficace, di ampio respiro che è stato
commissionato dalla Sinfonica Verdi e che ha
trovato un valido riscontro da parte del
pubblico presente in Auditorium. L'eccellente
direzione di Bignamini,
con
elegante e producente gestualità, si è
riscontrata anche negli altri due importanti
lavori. Eccellenti qualità violinistiche di
Nordio anche nel celebre concerto beethoveniano.
La discorsività del solista è emersa nei tre
movimenti, così come la coinvolgente
espressività delle timbriche dell'Orchestra
Sinfonica Verdi. Ottimo l'equilibrio tra le
parti per una interpretazione dell'Op.61
efficace. Di pregio la Cadenza dell'Allegro
ma non troppo sostenuta da Nordio con grinta
e profondità. Una maggiore volumetria sonora del
dolce e intonatissimo violino di Nordio, avrebbe
reso perfetto il concerto. Di particolare
rilievo il bis solistico concesso da Nordio con
un brano contemporaneo: Intervals dalla
Sonata n.2 op.95 per violino solo di Weinberg. Dopo la pausa, significativa
la Sinfonia n.9 di
Šostakoviç.
Cinque brevi movimenti composti dal russo nel
1945, improntati anche da timbriche spesso
apparentemente scherzose, permeate però da
profonda tragicità. Applausi intensi a tutti i
protagonisti. Domani, alle 16.00, ultima
replica. Da non perdere.
26 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Successo all' ultima
replica di Jewels al Teatro alla Scala
Ieri sera ultima
rappresentazione e ancora meritato successo, per
il belletto Jewels, lavoro coreografico
di George Balanchine ispirato a tre grandi
scuole di danza: il Teatro Mariinskij di San
Pietroburgo, l’Opéra di Parigi e il New York
City Ballet. È in tre parti distinte, e
precisamente: Emeralds su musiche di
Gabriel Fauré, Rubies su musiche di Igor
Stravinskij. e
Diamonds su quelle di P.I.
Čajkovskij. Presentato per la prima volta nel
1967, Jewels ha una coreografia tutta costruita
sulle musiche dei tre grandi compositori. Manca
un testo di riferimento, ma le note orchestrali
e quelle del pianoforte nel balletto centrale,
sono l'unico riferimento. Emeralds e Diamonds
seguono stili classici più
tradizionali, mentre Rubies interpreta una
composizione neoclassica di Stravinskij. I
notevoli costumi di Karinska e le preziose
scenografie di Peter Harvey hanno reso
l'intenzione di Balanchine di voler
rappresentare tre pietre preziose attraverso
passi di danza eleganti e pieni di coerenti
simmetrie. Nella rappresentazione di Emeralds si
sono avvicendati solisti quali Gaia Andreanò,
Nicola Del Freo, Vittoria Valerio, Edoardo
Capolaretti, Alessandra Vassallo, Agnese De
Clemente e Federico Fresi, insieme ad un
sinergico corpo di ballo. Hanno interpretato con
equilibrio le dolci, eleganti e leggere
timbriche del francese Fauré tratte da Pelléas e
Melisande e da Shylock. Ottima la direzione
musicale di Paul Connelly. Ribies è un balletto
moderno, che mostra un Balanchine ancor più
fantasioso e proiettato verso il futuro.Tratto
dal bellissimo Capriccio per pianoforte ed
orchestra di Stravinskij, ci troviamo di
fronte ad una ballerina solista e ad una coppia,
rappresentati dai bravissimi Alice Mariani,
Virna Toppi e Claudio Coviello, in sinergia con
il versatile corpo di ballo.
L'efficace
Capriccio è ottimamente interpretato al
pianoforte da Roberto Cominati e dagli
eccellenti orchestrali. Le particolari e
contrastate timbriche dell'originale lavoro,
sembrano aver ispirato Balanchine nel generare
movenze di danza spettacolari, ricche di
simmetrie e di asimmetrie, in perfetta sintonia
come la musica. Un balletto convincente diretto
con rigore musicale da Connelly. Con Diamonds,
costruito sulle musiche di
Čajkovskij
tratte dalla Sinfonia n.3 (gli ultimi quattro
movimenti), torniamo ad un concezione classica
del balletto: una coppia di solisti, ieri sera
Maria Celeste Lisa e Timofej Andrijashenko, si
oppongono o si integrano nel grande corpo di
ballo scaligero. L'interpretazione di Connelly e
dell'Orchestra del Teatro alla Scala ci
è apparsa sinergica con la parte
coreografiche per un'interpretazione decisamente
valida. Bravissimi i solisti e tutto il corpo di
ballo. Successo di pubblico con numerose uscite
dei protagonisti. Il prossimo balletto sarà
Sylvia dall'11 al 26 maggio con sette
rappresentazioni. Da non perdere. (prima foto di Brescia e Amisano Archivio Scala)
25 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Con “Il pianoforte in Ateneo”
si apre una nuova stagione cameristica
Cinque
pianisti di fama internazionale sul palco
dell’Aula Magna in largo Gemelli da marzo a
ottobre 2022: si apre così la nuova stagione
cameristica in Università Cattolica a Milano
grazie all’accordo tra Kawai Italia e lo Studium
musicale d’Ateneo. La presentazione è avvenuta
lunedì
21
marzo, ore 10, presso la Sala Conferenze della
Biblioteca del Conservatorio “Giuseppe Verdi” Il
pianoforte è quindi il protagonista di una nuova,
straordinaria stagione cameristica milanese in
largo Gemelli, nata dalla collaborazione tra
Università Cattolica e Kawai Pianos di
Hamamatsu, una delle più prestigiose Case
produttrici degli strumenti musicali nel mondo.
Il progetto “Il Pianoforte in Ateneo. La grande
musica a Milano” presentato in una conferenza
stampa lunedì 21 marzo, alle ore 10, presso la
Sala Conferenze del Conservatorio “Giuseppe
Verdi” in via Conservatorio 12 a Milano dove ha
partecipato anche il direttore scientifico del
Progetto Enrico Reggiani, docente di Letteratura
inglese e direttore dello Studium musicale di
Ateneo, e il direttore artistico Maestro Davide
Cabassi. «Cinque pianisti straordinari - Luca
Trabucco, Giuseppe Andaloro, Ingrid Fliter,
Carlo Guaitoli e Roberto Cominati - formano una
sorta di dream team della tastiera, alle cui
mani affidiamo i meravigliosi pianoforti Shigeru
Kawai nella cornice prestigiosa dell'Aula Magna
dell’Università Cattolica. Una nuova stagione di
musica, cultura e bellezza da donare a Milano» -
anticipa Davide Cabassi. Il concerto di apertura
è avvenuto giovedì 24 marzo nell’Aula Magna
dell’Università Cattolica con inizio alle ore
20.45, dedicato a “Maurice Ravel: il piacere
squisito di un’occupazione inutile”. Al
pianoforte Luca Trabucco. Il calendario completo
è il seguente: 24 marzo 2022 Luca Trabucco
(Ravel) 21 aprile 2022 Giuseppe Andaloro
(Chopin, Rachmaninoff, Ravel) ; 9 maggio 2022
Ingrid Fliter (Haydn, Beethoven, Scarlatti,
Schumann) ; 16 giugno 2022 Carlo Guaitoli
(Chopin, Janacek, Prokofiev); 6 ottobre 2022
Roberto Cominati (Chopin, De Falla)
Foto dall'Ufficio Stampa
dell'organizzazione.
dalla redazione 24-03-2022
Joshua Bell
in Conservatorio per la
Società del Quartetto
Il violinista americano
Joshua Bell è tornato ad esibirsi in
Conservatorio per la Società del Quartetto.
Era venuto nel 2018 con un impaginato classico
ed è tornato ancora con quattro autori classici
con brani prevalentemete noti. Schubert,
Beethoven, Bloch e Ravel si sono
succeduti
eseguiti ottimamente anche dal pianista
israeliano Shai Wosner. La giovanile Sonatina
in re maggiore n.1 D 384 di Franz Schubert
ha introdotto la serata. È un brano discorsivo,
immediato e ricco di fresca inventiva che
ricorda, soprattutto nell'Allegro molto
iniziale, Mozart. Bell, in ottima sinergia con
Wosner, ha espresso elegantemete e con efficace
resa espressiva le melodie schubertiane presenti.
Di maggior impegno costruttivo il brano
successivo di L.v. Beethoven con la Sonata
n.7 in do minore op.30 n.2. Un lavoro più
complesso, in quattro movimenti, con una parte
pianistica più importante, che rivela un
compositore maturo lontano dallo stile
settecentesco e dal linguaggio personale. La
solida intesa tra i due strumentisti ha prodotto
un' interpretazione di ottima qualità. Bell,
attento ad ogni dettagli o
e misurato nelle sonorità garbate, precise e
raffinate, ha ben evidenziato la parte solistica,
coadiuvato dall'ottima
armonizzazione
del pianoforte di Wosner. Dopo l'intervallo
cambio di stile e periodo storico con due lavori
del Novecento. Il primo, meno noto, dello
svizzaro- naturalizzato statunitense- Ernest
Bloch con la Baal Shem Suite- Tre quadri di
vita Cassidica. È un brano del 1923
caratterizzato da una suggestiva ricchezza
coloristica definita dalle intense melodie del
violino, che esprime arie meditate con citazioni
della tradizione yiddish. Le note, molto legate,
si succedono con perfetta integrazione dei due
strumenti, riflessive nelle prime due parti del
brano e di giocosa esuberanza nell'estroverso
movimento finale. Eccellente l'interpretazione.
Il
brano
conclusivo, la Sonata n.2 in sol maggiore
di Maurice Ravel, è stato composto tra il 1923 e
il 1927. È in tre movimenti, molto eseguito, con
influenze jazz-blues specie nella seconda parte,
un Blues Moderato. Semplici note del
pianoforte e del violino s'intrecciano definendo
una melodia spezzata ricca di swing. Il
virtuosistico Perpetuum mobile.Allegro
finale ritrova ancora lo spessore virtuosistico
dei protagonisti. Applausi fragorosi e
particolarmente toccante il bis concesso con una
trascrizione per violino. di rara intensità
espressiva, del celebre Notturno postumo n.20
in do diesis minore di F. Chopin. Splendido
concerto.
23 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Steven Isserlis e
Olli Mustonen
per "Serate Musicali"
Una straordinaria intesa tra
due strumentisti quella vista ed ascoltata ieri
sera in Conservatorio al concerto organizzato da
Serate Musicali. Gli estrosi musicisti,
il violoncellista inglese Steven Isserlis ed il
pianista finlandese Olli Mustonen, hanno trovato
unione in quattro brani per violoncello e
pianoforte, resi ottimamente con linguaggio
personale ed estremamente
espressivo.
Iniziando con Felix Mendelssohn (1809–1847)
e le Variazioni concertanti in re maggiore
op.17, i due da subito sono entrati in
sintonia: il pianista con la sua nota tecnica
personale, brillante ed efficace, molto precisa
nella pur evidente gestualità; il cellista con
un'intensa melodicità in perfetta sinergia con
le armonie pianistiche. Il virtuosistico brano,
composto nel 1829 dal grande lipsiano, ha visto
cambiamenti repentini nelle otto variazioni del
delizioso tema iniziale, rese molto bene dal
duo. Decisamente interessanti i due brani
successivi. La Sonata per violoncello e
pianoforte del pianista e compositore Olli
Mustonen (1967) è del 2006 e, nei suoi quattro
movimenti, - Misterioso, Andantino,
Precipitato, Con visione - è un esempio
felice di musica contemporanea, cosa non
scontata. La scrittura, comprensibile, in ambito
tonale con momenti di interessanti e ricercate
dissonanze, rivela riferimenti storici che vanno
da Stravinskij o Prokofiev a certo Messiaen ed
altri ancora. La parte pianistica, ricca di
virtuosismi espressi in modo chiaro da Mustonen,
ha trovato appoggio dall'intensa melodicità di
Isserlis, che è entrato perfettamente nel suo
importante ruolo. Un ottimo lavoro,
meritatamente apprezzato dal numeroso pubblico
presente in Sala
Verdi
con applausi convinti. Il brano successivo, del
ceco Bohuslav Martinů
(1890-1959), ha destato altrettanto interesse ed
è stato reso mirabilmente. La Sonata
per violoncello e pianoforte n.3 è del 1952
ed è molto legata al folclore ceco. La
costruzione, in tre movimenti, è nel tipico
linguaggio del compositore che partendo dal
neoclassicismo del primo Novecento , trova una
personale modalità espressiva, resa bene dal
duo. Il brano che ha concluso il bellissimo
impaginato era quello più noto: la Sonata n.3
in la maggiore op.69 di L.v.Beethoven
(1770-1827). Originalissima l'interpretazione
del duo, con una personalizzazione, in senso
virtuosistico e ritmico, valida e
caratterizzante. Applausi sostenuti dal pubblico
e un bis concesso con un brano intensamente
melodico della compositrice francese Cécile
Chaminade (1857-1954), Sommeil d'Enfant
(1907).
22 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Agli Amici del Loggione
il pianista
Diego Petrella
Un cambio di programma, per
motivi legati alla positività-covid, ha visto la
sostituzione del gruppo cameristico Ensemble
Festa Rustica che doveva presentare il recente
Cd sul
compositore
Francesco Antonio Vallotti, con un ottimo
interprete quale il ventiseienne pianista Diego
Petrella. Di lui avevamo già parlato in
occosione di un concerto del 2020 in
Conservatorio. Vincitore del Premio del
Conservatorio di Milano nel 2019 e di altri
prestigiosi Concorsi internazionali, il
bolognese Petrella ha ancora rivelato le sue
ottime qualità eseguendo con maestria J.S.Bach.
Mario Marcarini, musicologo, organizzatore e
discografico, ha anticipato il breve concerto
parlando di Bach e dei suoi contemporanei al
numeroso pubblico intervenuto
nella
sala degli Amici del loggione della Scala.
Petrella ha eseguito l' Ouverture in Stile
francese n.1 in si minore BWV 831 con
padronanza tecnica e rilevante espressività. Due
i bis concessi prima con Scriabin e il Poema
op.32 n.1 e poi Chopin con un Notturno
. Applausi sostenuti da tutti i numerosi
presenti e delizioso brindisi con un eccellente
vino bianco.
21 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Prossimamente a Vercelli la Camerata Ducale,
Orizio e Rimonda
Sabato
16 aprile 2022 al Teatro Civico, via Monte di
Pietà 15, di Vercelli, la Camerata Ducale con
Guido Rimonda al violino e Pier Carlo Orizio
alla direzione eseguiranno: F. Schubert -
Entr'acte III da Rosamunde, Fürstin von Cypern (Rosamunda,
principessa di Cipro).L. van Beethoven -
Concerto in do maggiore per violino WoO 5, P. I.
Čajkovskij - Sérénade
Mélancolique op. 26,M. Bruch - Ave Maria op. 61,
F. Schubert - Sinfonia n. 8 Incompiuta in si
minore D 759. Da non perdere.
21 marzo 2022
dalla redazione
Ancora grande successo alla
Scala all'ultima replica di Adriana Lecouvreur
Applausi meritati al Teatro
alla Scala a conclusione della settima ed ultima
rappresentazione dell'opera più celebre di
Francesco Cilea (1866-1950), Adriana Lecouvreur.
Cilea, nato a Palmi in Calabria, fu autore non
fecondo, ma con l’Adriana ebbe notorietà
internazionale.
Questi
ha il merito di aver composto un’opera, nel
1902, molto ricca di raffinate melodie, un passo
avanti rispetto al Verismo e se pur con
ambientazione settecentesca, con sonorità a
volte decadenti non lontane da Wagner o da
R.Strauss, ma soprattutto dal sapore pucciniano,
con una componente orchestrale con rilevante
valenza sinfonica. Sonorità che anche in un
allestimento tradizionale, come quello visto
ieri sera in un teatro gremito di pubblico, ha
ancora una valida ragione di essere apprezzato.
La riuscita messinscena, come spesso, accade è
dovuta al complesso delle interazioni di tutte
le componenti artistiche. La
valida regia di David McVicar -ripresa da Justin
Way-, le ottime scenogafie di Charles Edwards
con i
costumi settecenteschi di Brigitte
Reiffenstuel, le adeguate luci di Adam Silverman
e le corrette coreografie di Andrew George,
hanno trovato unione con la riuscita componente
musicale, dall'ottima direzione di Giampaolo
Bisanti, al suo debutto scaligero e
applauditissimo, al coro sempre eccellente di
Alberto Malazzi e, naturalmente, al cast vocale
che ci è apparso di alto livello, con una punta
nella coinvolgente voce di soprano di Maria
Agresta. Un'Adriana, la sua, bravissima
anche attorialmente con bel timbro, chiaro e
delicato ma all'occorrenza incisivo e voluminoso.
Yusif Eyvazov è stato un Maurizio
Conte di
Sassonia vocalmente adeguato in tutti i
registri con valide qualità attoriali. Notevole
la presenza scenica di Judit Kutasi, una
Principessa di Bojillon con voce molto
voluminosa ma anche limpida e particolarmente
ricca di espressività. Validi Alessandro Spina,
adeguato Principe di Bouillon e Carlo
Bosi, l’Abate di Chazeuil. Notevole
Corbelli in Michonnet. Questi ha
sostituito all'ultimo momento Ambrogio Maestri
indisposto. La sua splendida capacità attoriale
ha ben integrato la sua rilevante vocalità.
Bravi tutti gli altri, ballerini compresi.
Un'Adriana Lecouvreur che ha degnamente espresso
il capolavoro teatrale di Francesco Cilea. Da
ricordare! Prossima opera Don Giovanni, dal 27
marzo al 12 aprile con sette rappresentazioni.
(Prime due foto di M. Brescia e Amisano-
Archivio Scala)
20 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Il Festival 5 Giornate
per la musica
contemporanea
È iniziata oggi la
16°edizione del Festival 5 Giornate
dedicato alla musica contemporanea. Si svolge
prevalentemente nel bellissimo spazio dedicato
al Museo del Novecento di Milano per
l'organizzazione musicale di Alessandro
Calcagnile e di Rossella Spinosa. Oggi il
programma
prevedeva
la presenza del gruppo cameristico New Made
Ensemble in brani di Manzoni, Sani,
Ambrosini, Solbiati, Fedele e Sciarrino. Paolo
De Gaspari al clarinetto e Rossella Spinosa al
pianoforte hanno introdotto il concerto con un
lavoro significativo di Giacomo Manzoni del
1988, Frase per pianoforte e clarinetto.
È un breve brano, ottimamente sostenuto
dai
due validi interpreti, dove le solide timbriche
dello strumento a tastiera- con effetti anche
nella cordiera- si alternano ai timbri ricercati
del clarinetto, ricchi di effetti coloristici
ottenuti con una ampia varietà di modi
d'approccio ai timbri. Particolarmente valida
l'interpretazione. Gli altri cinque brani erano
per solo strumento solista.
Prima
il flauto contralto, con l'ottima Birgit Nolte
impegnata in Dialoghi Migranti di Nicola
Sani, un lavoro dove anche la gestualità è utile
nel definire le soffici e discrete volumetrie,
poi il clarinetto basso di De Gaspari per un
corposo pezzo di Claudio Ambrosini denominato
Capriccio, detto l'ermafrodita; quindi
ancora il flauto con un brano di Alessandro
Solbiati, "As if to land.." , lavoro che
come il precedente si snoda utilizzando lo
strumento in una gamma di possibilità totale tra
suoni tondi ed effetti ben miscelati nella
marcata linea compositiva. Di altrettanta
efficacia il successivo brano, sempre per
clarinetto basso, di Ivan Fedele denominato "High-
memoriam Miles Davis".
Vuole
essere un omaggio al grandissimo trombettista e,
la maggior melodicità del lavoro, se comparata
ai brani precedenti, trova anche relazioni col
mondo jazzistico. Precisa e dettagliata
l'interpretazione. A conclusione un originale
brano per flauto di Salvatore Sciarrino,
Immagine Fenicia, suonato molto bene e
caratterizzato da una sorte di note ribattute e
ripetute quasi a creare un effetto eco. Applausi
sostenuti ai tre interpreti al termine. Domani
alle ore 17.30 il secondo appuntamento con brani
di Sani, Castiglioni e Scelsi. Altri
appuntamenti previsti i giorni successivi sino
al 22 marzo, ultima delle 5 giornate di Milano.
Da non perdere.
18 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Il Trio Sitkovetsky
per la Società dei Concerti
La Fondazione Società dei
Concerti ha portato
sul palco di Sala Verdi in Conservatorio
il
Trio Sitkovetsky,
formato dal violonista Alexander Sitkovetsky,
dal violoncellista Isang Enders e dalla pianista
Wu Qian. È un gruppo di livello internazionale
affermato in tutto il
mondo.
Il programma serale, particolarmente corposo,
prevedeva musiche di Beethoven, Schumann e
Ravel. Il Trio in Sol maggiore Op.1 n.2,
del primo grande tedesco, ha introdotto la
serata rivelando l'ottimo equilibrio complessivo
della formazione cameristica. La classicità del
brano in quattro movimenti, composto da
Beethoven in giovane età è stata espressa
ottimamente dal gruppo. La rilevante componente
pianistica, centrale in questo trio, ha trovato
un'interprete precisa, attenta ad ogni dettaglio
e mai eccessiva nelle volumetrie perfettamente
calibrate e in ottima relazione con i due archi,
strumentisti altrettanto precisi ed espressivi.
Il Trio di Maurice Ravel, unico nel suo
genere,
composto nel 1914 da un compositore quasi
quarantenne, ha dato una svolta al clima
classico precedente, mostrando un lato
interpretativo della formazione differente. Il
dosaggio delle timbriche e l'impasto sinergico
nei colori dei tre interpreti, hanno rivelato
sottigliezze del grande compositore francese
proiettate nel secondo Novecento e
caratterizzate da bruschi cambiamenti di tempo e
da volumetrie contrastanti, come quelle degli
ultimi due movimenti: da una lenta e progressiva
Passacaglia ad un folcloristico Animé
finale, esuberante e ricco di accenti. Dopo
il breve intervallo, il Trio in re minore
op.63 di Robert Schumann, composto nel
1847-48, ha stravolto ancora la compagine
cameristica impegnata sul versante romantico,
con arditezze armoniche tipiche del secondo
compositore tedesco e decisamente innovative per
l'epoca. Ancora ottima l'intesa dei tre giovani
interpreti accomunati da un'energica e non
comune passione per il mondo musicale. Toccante
il bis delicato con un breve Beethoven in una
melodia tratta dal folclore ucraino. Applausi
del pubblico decisamente sostenuti e pienamente
meritati.
17 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Meritato successo
al Teatro alla
Scala anche all'ultima replica di Pikovaja
Dama
Sono passati diciassette anni
da quando vidi La Dama di Picche per il
Teatro alla Scala -allora agli Arcimboldi-
nell'insuperata direzione di Yuri Temirkanov.
Ieri in un teatro al completo, l'ultima recita
ha trovato ancora un meritato successo, con
applausi fragorosi protatti per lungo tempo. È
un mix di contributi, tutti validi, quelli che
hanno portato la più importante
opera di
Čaikovskij
al successo milanese. Dopo la
prima
rappresentazione
con il
direttore russo Gergiev, tutte le replica hanno
decretato il trionfo per colui che l'ha
sostitito nelle quattro
repliche previste, Timur
Zanziev,
tra i più applauditi al
termine. I sette quadri, nei tre atti dell'opera
su libretto di Modest, fratello del più
celebrato compositore, tratte dall'omonimo
racconto di Puskin, sono tradizionali nella
messinscena, ma certamente tutti di riuscita e
spesso di spettacolare resa visiva. Hanno visto
l'ottima regia di Matthias Hartman, le
appariscenti scene di Volker Hintermeier,
illuminate a volte in modo luccicante dalle
valide luci di Mathias Märker e i bellissimi costumi di Malte Lubben. Di grande pregio
le coreografie di Paul Blackman, che
in questa
messinscena giocano un ruolo fondamentale,
unitamente alla strepitosa parte corale
preparata da Alberto Malazzi. Per
la componente delle voci soliste non possiammo
che essere soddisfatti, vista la qualità
complessiva a partire dal sempre presente in
scena Najmiddin Mavlyanov ner ruolo del
protagonista Hermann, tenore
significativamente valido in ogni settore
timbrico. Ottima l'incisività e la sua presenza
scenica. L'innamorata Liza ha trovato un
valido soprano in Elena Guseva, molto espressiva
e ancor di più nell'aria forse più bella del
terzo atto, con voce ricca di colori e perfetta
intonazione. Di decisa presenza scenica e
vocalità il
mezzosoprano Julia Zerteva, la
Contessa, e di altrettanto spessore
espressivo il baritono Alexsey Markov, il
principe Eleckij. Citiamo almeno le
altrettanto valide voci di: Yevgeny Akimov in
Čekalinskij, Alexei Botnarciuc in Surin,
Sergey Radchenko in Čaplickij, Roman
Burdenko
nel
Conte
Tomskij, Matias Moncada in Nuramov,
Brayan Ávila Martínez nel
Maestro di cerimonie, Elena Maximova in
Polina e gli altri. Per concludere ottima
la direzione del già citato Zanziev, che oltre a
far emergere con evidenza la componente vocale,
ha
diretto benissimo i professori del Teatro alla
Scala definendo in modo dettagliato i colori
strepitosi di
Čaikovskij,
che, come affermato precedentemente nella
lontana messinscena del 2005, mettono in rilievo
l’anima più russa del
compositore, unitamente alla sua passione per
Mozart con i riferimenti settecenteschi del
secondo atto e alla sfarzosità dell'opera
francese. Un lavoro che rimarrà a lungo nei
ricordi del fortunato pubblico presente alle
cinque rappresentazioni. (prime tre foto di M.Brescia e Amisano
a cura dell'Archivio del Teatro alla Scala)
16 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Il pianista Yevgeny
Sudbin per "Serate
Musicali"
Serate Musicali
da molti anni porta in Sala
Verdi, nel Conservatorio milanese, il pianista
russo, nato a san Pietroburgo, Yevgeny Sudbin.
Ieri il programma, come sempre diversificato, ci
ha permesso di assistere ad una serie di brani
di ampia escursione temporale: da Haydn a Ravel,
passando per Beethoven e Chopin. Un programma
classico dove il brano più vicino ai
nostri
tempi era quel Gaspard de la nuit del
compositore francese che risale al 1908. Il
classicismo di Franz Joseph Haydn (1732-1809)
con la Sonata per pianoforte in si minore
Hob. XVI/32, ha trovato un ottimo interprete
in Sudbin, pianista sicuro e ben attrezzato per
un'ampia gradazione dinamica, espressa con
controllato equilibrio coloristico. Con Ludwig
van Beethoven (1770–1827)
e le Sei Bagatelle per pianoforte op.126,
abbiamo assaporato una valida esecuzione, anche
se forse non sempre omogenea nello spessore
espressivo. La seconda parte della serata, con
la Ballata per pianoforte n.4 in fa minore
op.52 di Fryderyc Chopin (1810-1849) e poi
il già citato Ravel (1875-19), ci è apparsa di
maggiore resa emotiva. La celebre ultima Ballata
del polacco, molto articolata, ricca di
contrasti - dall'intenso melodiare iniziale,
alle complesse
armonizzazioni centrali- è stata
ben intercettata dall'interprete e la sua resa
d'indubbia espressività. Decisamente rilevante
Sudbin nell'ultimo lavoro, Gaspard de la nuit.
I tre corposi momenti, Ondine, Le gibet e
Scarbo, che formano una delle maggiori
opere pianistiche del primo decennio del '900,
hanno visto afficace resa nelle mani del russo,
che ha definito l'intreccio timbrico attraverso
ottimi parametri interpretativi, calibrando in
modo accurato le contrastanti dinamiche ed
esternando solido virtuosismo, nel rispetto
degli equilibri coloristici complessivi. Il
numeroso pubblico intervenuto ha apprezzato
l'interprete, elargendo al termine del programma
ufficiale, fragorosi applausi. Di notevole
qualità i due bis concessi con due Sonate
di Domenico Scarlatti tra le più celebri, di cui
la prima, quella in Fa minore K 466, di
splendido equilibrio estetico esternato con
matura riflessività. Ancora fragorosi gli
applausi.
15 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Il soprano Alexandra
Marcellier e il
direttore Giuseppe Grazioli in La voix
humaine di Francis Poulenc
È tornato alla direzione
dell'Orchestra Sinfonica di Milano "G.Verdi"
Giuseppe Grazioli,
direttore milanese che
abbiamo molte volte ascoltato in repertori a lui
cari, come quelli dedicati al compositore Nino
Rota. Ieri sera due compositori francesi hanno
animato il
palcoscenico
dell'Auditoriun di Largo Mahler: prima George
Bizet con una selezione di suite da l'Arlésienne
(1872), poi Francis Poulenc con La voix
humaine( 1958),dal testo di Jean Cocteau che
ricordiamo essere stato il riferimento del
Gruppo dei Sei, di cui il compositore faceva
parte. Due lavori molto diversi, che hanno in
comune solo l'eleganza e la raffinatezza
musicale tipica dei francesi. Il voluminoso
impatto sonoro dell'Ouverture della prima
serie di Suite ha rivelato subito la splendida
musica di Bizet, giocata su un'evidente capacità
d'orchestrazione delle bellissime melodie
popolari che l'Arlésienne ritrova. La musica,
negli otto momenti scelti per le due serie di
suite, descrive con taglio deciso l’evoluzione
dei personaggi della popolare vicenda ambientata
in Camargue, nei pressi di Arles. Grazioli con
una direzione decisa, esuberante e
particolareggiata, ha plasmato ottimamente gli
splendidi orchestrali della Sinfonica Verdi,
rilevanti in ogni sezione dell'orchestra, una
compagine spesso fragorosa nell'insieme,
come
anche nella seducente Marcia finale di
Farandole, ma con momenti di pacato lirismo
cameristico come nell'Andantino e nel
Menuetto dalla seconda suite. Dopo
l'intervallo c'è stato un deciso cambio di
registro con la celebre piece per voce
recitante e orchestra del secondo parigino,
Poulenc. La semplice ed elegante messinscena era
curata dalla regista Louise Brun, mentre
protagonista in scena, il soprano francese
Alexandra Marcellier. Nell'unico atto, la donna,
raffinata ed elegante, è impegnata costantemente
in una telefonata amorosa che alterna momenti
affettuosi ad altri di crescenti contrasti,
ricchi di tensione, sino alle parole finali con
quell'affranto «Je t’aime» ripetuto più
volte. Poulenc ha in modo geniale espresso
musicalmente
l'originale testo di Cocteau, e l'integrazione
tra la voce, quasi sempre in recitazione ma con
frangenti di alto lirismo vocale, e le pregnanti
sonorità orchestrali, è emersa splendidamente
grazie all'avvincente direzione di Grazioli e
alle qualità attoriali e vocali della Marcellier.
Una voce, la sua, con timbrica perfettamente
adatta al ruolo de " La voix humaine ". Applausi
fragorosi al termine con uscite ripetute dei
protagonisti. Bravissimi. Domenica, alle ore
16.00, l'ultima replica. Assolutamente da non
perdere.
12
marzo 2022 Cesare Guzzardella
Il giovane pianista Antonio
Alessandri diretto
da Valentina Peleggi al Dal Verme
Tre sono i validi motivi
d'interesse per il concerto de I Pomeriggi
Musicali ascoltato ieri sera e in replica
sabato alle ore 17.00: la presenza di un
direttore d'orchestra donna, cosa oramai
pittosto frequente, ma che ancora incuriosisce;
l'inserimento nell'impaginato di un brano di
una
compositrice che rarissimamente si ascolta; un
giovanissimo pianista per un concerto mozartiano.
Valentina Peleggi, che ricordiamo essere
Direttore Musicale della statunitense Richmond
Symphony Orchestra e Direttore Musicale Ospite
in Brasile del Theatro de Opera São Pedro, ha
infatti diretto l'Orchestra de Pomeriggi
Musicali in tre brani tra i quali l'ultimo della
francese Louise Farrenc (1804- 1875), con la sua
Sinfonia n.3 in sol minore op.39. La
Farrenc è stata all'epoca una celebre pianista
di livello internazionale e come compositrice,
autrice di brani pianistici, cameristici e di
tre sinfonie riscoperte solo negli ultimi
decenni. Il brano forse più atteso della serata
è stato probabilmente il secondo con il
Concerto n.13 per pianoforte e orchestra in do
minore K 415 di
W.A.Mozart
per via del giovanissimo pianista milanese
Antonio Alessandri, interprete quindicenne
allievo di Davide Cabassi. Ad introdurre il
concerto, l' Ouverture la Bella Melusina
di F. Mendelssohn ha rivelato la spigliatezza
del direttore nell'affrontare un brano tipico
del musicista tedesco per energia profusa e
naturale discorsività. L'ingresso sul
palcoscenico del Dal Verme di Antonio Alessandri
ha certamente destato interesse sia per la
giovene età dell'interprete che per la scelta di
un brano non facile del grande salisburghese.
Antonio ha affrontato i tre movimenti con
straordinaria disinvoltura, fornendo
un'interpretazione di ottimo livello, con valida
resa
stilistica,
tecnica fluida ben collaudata, sicurezza e
grande musicalità. Certamente un pianista che va
seguito nella sua evoluzione nei prossimi anni.
Energico il bis concesso con lo Studio n.8 in
fa maggiore op.10 di F. Chopin. La Sinfonia
n.3 della Farrenc ha
visto una valida interpretazione della
trentanovenne direttrice. È un lavoro che
risente molto dell'influenza beethoveniana con
uno sguardo nel romanticismo soprattutto
mendelssohniano. Notevole il terzo movimento,
Scherzo.Vivace, di incredibile energia
musicale e con una calibratissima resa dinamica.
Applausi convinti a tutti i protagonisti. Come
accennato, sabato la replica. Da non perdere.
11 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Roberto Prosseda
con l'Orchestra dell'Accademia del Teatro alla
Scala per la Società dei Concerti
L'Orchestra dell'Accademia
del Teatro alla Scala, diretta da Pietro Mianiti,
è stata ospite della Società dei Concerti
per una splendida serata che prevedeva musiche
di Mozar t
e di Schubert. È una formazione di giovanissimi
strumentisti quella vista ed ascoltata in
Conservatorio per due brani di Mozart e uno di
Schubert. Prima il Divertimento per archi n.1
in re maggiore K 136 ed il Concerto per
pianoforte e orchestra n.27 in mi bem. maggiore
K.595; poi il celebre
Quartetto
D810 "La morte e la Fanciulla",
nella trascrizione per orchestra
d'archi di Gustav Mahler. Il Divertimento
mozartiano ha rivelato la fluidità discorsiva
dell'Orchestra dell'Accademia scaligera che,
ottimamente diretta da Mianiti, ha espresso
molto bene la leggerezza, in stile galante, del
giovanile brano che Mozart compose nel marzo del
1772, non ancora sedicenne. Ben evidenziata la
bellezza melodica dei temi presenti nei classici
tre movimenti. Il terzo, un Presto ricco
di folclore scandito da un ritmo ben evidenziato
dagli archi, verrà poi ripetuto come bis al
termine del programma ufficiale. Il brano forse
più atteso, il Concerto K.595, ha visto
la presenza solistica del noto pianista Roberto
Prosseda. Nato a Latina nel 1975, nel corso
della sua brillante carriera si è specializzato
in Mozart, del quale ha inciso in Cd le Sonate e
molti concerti. Prosseda ha interpretato
con
profondità di pensiero e bellezza coloristica il
celebre lavoro che ha nella semplicità delle
melodie proposte un punto di forza. Il concerto
è stato scritto nell' ultimo
anno
di vita del compositore, il 1791, quasi a
simboleggiare di come la semplicità possa
racchiudere profondità di pensiero e rilevante
bellezza estetica. Il pianoforte ha scavato sino
in fondo, evidenziando le semplici note, come
quelle centellinate nel Larghetto
centrale, servite in un piatto dorato ricco di
delizie per le orecchie degli attenti
ascoltatori. Ottima la compagine orchestrale nel
sottolineare la fondamentale parte solistica.
Applausi sostenuti al termine. Due i bis
solistici concessi da Prosseda: prima il
movimento centrale Andante dalla
Sonata in do maggiore K330, interpretata
con
ancora intensa riflessione e profondità
espressiva; quindi, a conclusione, un omaggio ad
Ennio Morricone, dopo aver ricordato il ruolo
positivo della musica nel riappacificare gli
animi umani in questo difficile momento che
stiamo attraversando tra fine covid e vicina
guerra. Di alto spessore l'interpretazione della
versione originale pianistica del noto tema del
film La leggenda del pianista sull' oceano.
Dopo il breve intervallo ancora importante
musica con la schubertiana La Morte e la
Fanciulla. I giovanissimi orchestrali
diretti con maestria da Mianiti, hanno espresso
evidente musicalità nel proporre i quattro
corposi movimenti del noto Quartetto ben
trascritto da Mahler. Ancora più bravi ed
incisivi nel Presto finale, eseguito con
grinta ed energia decisamente matura. Bravissimi!
Applausi fragorosi a tutti i protagonisti.
10 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Il pianista Paul Lewis
per la Società del Quartetto
Pianista affermato
internazionalmente, il quarantanovenne inglese
Paul Lewis ha scelto un impaginato diversificato
per il suo recital tenuto ieri sera in
Sala Verdi al Conservatorio
milanese.
La prevalenza di brani beethoveniani, con due
celebri sonate quali la Patetica (1799) e
l'Appassionata (1804-5), eseguite
all'inizio e alla fine del programma ufficiale,
rivela la passione per il genio di Bonn,
compositore prediletto nella sua imponente
discografia insieme a Schubert (non presente
nell'impaginato). Tra la Sonata n.8 in do
minore op.13 e la Sonata n.23 in fa
minore op.57 di Beethoven, brani di
Sibelius, Debussy e Chopin hanno messo in
risalto ulteriori qualità dell'interprete.
Valida l'interpretazione delle due sonate, con i
momenti migliori nell'Adagio cantabile e
nel Rondò nella Patetica e nell'Allegro
ma non troppo nell'Appassionata. Abbiamo
trovato rilevanti qualità
espressive
nelle rare Sei Bagatelle op.97 (1920) di
Jean Sibelius ed eccellenti nel successivo
Children's Corner (1906-8) di Claude
Debussy, sei brani destinati a giovani
interpreti di apparente facilità, resi da Lewis
con una raffinata esposizione coloristica e un
perfetto equilibrio costruttivo. Di buona
fattura il suo Chopin con la Polonaise-Fantasie
op.61 (1846). Due i bis concessi con un
ottimo Felix Mendelssohn dalle Romanze senza
parole, il n.1 op.19 e il n.3
op.53 eseguiti con fluida e raffinata
discorsività. Applausi sostenuti dal numeroso
pubblico presente i sala. Prossimo concerto il
15 marzo con il Quartetto Emerson.
9 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Freddy Kempf
in Conservatorio per "Serate Musicali"
Riascoltare il pianista
londinese Freddy Kempf, da più di vent'anni
ospite di "Serate Musicali", è sempre un
piacere. Il suo talento virtuosistico non è
soltanto complessa iper-tecnica digitale, ma
supporto per un linguaggio personale di qualità.
Il suo impaginato diversificato, prevedeva brani
di Bach, Chopin, Rachmaninov e
Čaikovskij
di breve e media
durata, e due corpose
composizioni con la Sonata "Appassionata"
di Beethoven e Carnaval di Schumann.
Quello che ha unito brani molto differenti,
inseriti probabilmente per scelta dettata non da
ragioni storiche, ma di piacere personale,
è il modo di interpretare
di Kempf, pianista tout court, che trova
nel virtuosismo, spesso sostenuto con tempi
rapidi, un elemento espressivo del suo
particolare linguaggio certamente ricco di
pathos. Iniziando con un fulmineo Bach, con
il Preludio e fuga n.12 (1742) dal
secondo libro del Clavicembalo ben Temperato,
con il relativo preludio eseguito celermente ma
efficace nella quadratura temporale, Kempf ha
fatto poi un salto di parecchi decenni passando
allo Studio n.1 op.10 (1829-30) di
Chopin. Un'interpretazione brillante, ricca di
accenti e luminosissima. Con l'Allegro
moderato, il n.8 in re minore dagli
Etudes Tableaux op.39 (1916-17) di
Rachmaninov, il quarantacinquenne
pianista si è
spostato di molto nel tempo per poi tornare
indietro di trent'anni con la Dumka op.59 in
do minore (1886) di
Čaikovskij.
Entrambi i brani sono stati eseguiti molto bene,
in piena sintonia col mondo russo. Il primo
brano corposo, la Sonata in fa minore op.57 "Appassionata"
( 1804-05) del genio di Bonn, ha trovato un
virtuoso energico. L'estrema accelerazione dei
tempi laterali, Allegro assai e
Allegro ma non troppo, erano di una coerenza
esemplare nello stile di Kempf, forse lontani
dalla tradizione dei grandi del passato, ma
certamente di alto valore estetico. Anche con
l'ultimo brano in programma, Carnaval op.9
(1834-35), Kempf ha risolto energicamente i
ventidue brevi pezzi che compongono il
capolavoro di Schumann, con alcuni frangenti di
intensa meditazione espressiva, nei
momenti
più moderati. Ottima
interpretazione questa e tutte le altre per un
pianista che, in Italia, andrebbe considerato
maggiormente. Riflessivo e ben interpretato il
bis con il celebre Adagio cantabile dalla
Sonata "Patetica" (1798-99) di Beethoven.
Successo di pubblico e numerose uscite del
protagonista in palcoscenico.
8 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Un duo per tre
celebri brani allo
Spazio Teatro 89
Il concerto cameristico
ascoltato ieri pomeriggio allo Spazio Teatro
89 di Milano ha visto un ottimo duo sul
palcoscenico della piccola ma elegante sale
situata in via Fratelli Zoia 89.
Formato
da due concertisti di fama internazionale, quali
la violinista rumena Anca Vasile Caraman e dal
pianista siciliano Alberto Ferro, il duo ha
scelto tre lavori tra i più eseguiti al mondo
nel repertorio dei due strumenti. La Sonata
in la maggiore di César Franck, la Sonata
n.3 in sol minore di Claude Debussy e
l'ancor più celebre Rapsodia da concerto
Tzigane di Maurice Ravel. Questi lavori non
hanno certo bisogno di presentazioni, come ben
spiegato in apertura di concerto da Luca
Schieppati, pianista e organizzatore della
serata in collaborazione con "Serate musicali"
La sonata ciclica di Franck, del 1886,
con
quel bellissimo ritorno nei quattro movimenti
dei principali temi, è un esempio di grande e
unitaria costruzione del genio belga,
naturalizzato francese. La Sonata di Debussy,
del 1917, con quei rivoluzionari colori ritrova
il musicista francese proiettato nel futuro
della musica novecentesca; mentre la celeberrima
Tzigane, op.76 di Ravel, terminata nel 1924,
vede il trionfo del violino come strumento
virtuosistico e una ricerca timbrica, quella del
secondo francese, anch'essa particolarmente
moderna. Insomma, tre capolavori che nelle mani
dei due bravissimi interpreti hanno certamente
convinto i presenti in sala. Di rilievo la
chiarezza espressiva di entrambi gli
strumentisti. Ottima intesa tra
il
fraseggio dettagliato e ben calibrato nei volumi
di Ferro e il limpido timbro del voluminoso
violino della Vasile Caraman. Di qualità i due
bis concessi, che hanno maggiormente evidenziato
le abilità della violinista: prima un
Capriccio di Niccolò Paganini (Capriccio
n.1) nella trascrizione con pianoforte di
R.Schumann e poi un bellissimo Max Reger con la
rara ma pregnante Romanza in sol maggiore.
Bellissimo concerto per i fortunati e non
numerosi presenti.
7 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Alessandro Taverna
a Villa Necchi Campiglio
La Società del Quartetto, in
collaborazione con il FAI, ha portato alla
rassegna musicale di Villa Necchi Campiglio il
pianista veneziano Alessandra Taverna. Affermato
a livello
internazionale dopo la vittoria del
Concorso di Leed del 2009, Taverna ha proposto
nel suo impaginato due brani di Chopin
inframezzati da un lavoro di Alekandr Skrjabin.
Una scelta che mette in rilievo il mondo
romantico dalla prime note, quella dell'Andante
Spianato e Grande Polonaise brillante Op.22
del polacco, tipiche di un romanticismo melodico
di fase iniziale, sino ai momenti più evoluti
del Presto della Sonata-Fantasia n.2
op.19 del russo Ma già nell'incredibile
Presto della Sonata n.2 in Si bem. minore
op.35 del polacco, eseguito come ultimo
brano, si coglie già una stile compositivo che
si spinge verso nuovi orizzonti espressivi.
Taverna ha ben interpretato i tre lavori e
specie nella celebre Sonata della Marchè
funebre di Chopin ha trovato una valenza
interpretativa di alto spessore, definito da una
dettagliata chiarezza
espositiva che esalta ogni
peculiarità del corposo lavoro. Ottima la
sintesi discorsiva nella Sonata centrale di
Skrjabin. Applausi dal numeroso pubblico
intervenuto ed eccellente il bis concesso con il
Valzer brillante op.34 n.1 di Fryderyk
Chopin. Il prossimo appuntamento della Società
del Quartetto è previsto per martedì 8 marzo
alle 20.30 in Conservatorio col pianista inglese
Paul Lewis, specialista di Beethoven e di
Schubert, eseguirà per l'occasione brani di
Beethoven, Sibelius, Debussy e Chopin. Da non
perdere!
6 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Un omaggio a
Paolo Castaldi al
Teatro dal Verme
L'Orchestra de I Pomeriggi
Musicali, dirett a da
James Feddeck, ha voluto ricordare il
compositore milanese Paolo Castaldi (1930-2021),
a un anno dalla sua scomparsa, eseguendo due
suoi lavori: il primo, più
breve, Refrains per pianoforte e orchestra,
era in prima esecuzione assoluta e il secondo,
Seven Slogans per orchestra, era in due
ampie sezioni di cui
la
prima tripartita. Il compositore, anche saggista
e docente di Conservatorio, ha sin dagli anni
'50 partecipato al dibattito relativo ai nuovi
modi di comporre la musica, inserendonsi in quel
filone di musicisti che partendo da Stravinskij
trovava un linguaggio espressivo molto libero
pur essendo ancorato al mondo tonale. I due
brani proposti ieri sera, che troveranno una
replica sabato alle ore 17.00, sono stati
particolarmente significativi per evidenziare
l'originale stile compositivo di Castaldi che
con modalità assai personali, spesso unisce
frammenti discorsivi del passato in una sorta di
collage e di polistilismo. In Refrains
la parte solistica era affidata alla pianista
Antonella Moretti. Il breve lavoro, meno di nove
minuti la sua durata, era suddiviso in nove
brevissimi momenti musicali. Il pianoforte della
Moretti, ha segnato in modo determinato e
incisivo lo svolgimento di Refrains (2000-2001)
in cui spesso la sovrapposizione di differenti
piani sonori e il rapporto dialettico con lo
strumento solista determinano brevi suggestive
timbriche, spesso improvvisamente interrotte.
Le
sonorità, molto cameristiche, dove anche i legni
e gli ottoni hanno un ruolo fondamentale, hanno
espresso bene questa sorta di neoclassicismo
molto stravinskijano mediato dall'origionale
linguaggo di Castaldi. Ottima la parte
pianistica della Moretti, anche con inserzioni
di brevissima durata. Nel secondo brano, con i
Seven Slogans, brano orchestrale composto
nel 1985-86, le modalità di scrittura hanno lo
stesso orientamento in stile neoclassico, ma
l'evolversi della composizione, più discorsiva e
meno segmentata, ritrova una chiarezza
espressiva ricca di contrasti in un contesto
sempre cameristico. Valida la direzione di
Feddeck e la restituzione dell'Orchestra de I
Pomeriggi. Il concerto è terminato con una
interessante interpretazione della Sinfonia
n.1 in re maggiore D 82 di un Franz Schubert
solo sedicenne. Ottima interpretazione. Applausi
sostenuti dal pubblico presente al Teatro Dal
Verme. Sabato, come già detto, si replica.
4 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Poesie della Merini
e musica al Museo
del Novecento
Dalla collaborazione tra il
Museo del Novecento, NoMus e la Società del
quartetto, è nata una rassegna musicale e
letteraria che ha visto ieri pomeriggio il primo
di una serie d'incontri che
si
terrano in questi mesi. L' "Omaggio ad Alda
Merini" è avvenuto con una lettura-concerto di
alcune pregnanti poesie della scrittrice
milanese e con l'esecuzione di brani dei primi
decenni del '900. Protagonisti di questa
riuscita iniziativa sono stati Elena Zegna, voce
recitante, e la pianista Eliana Grasso.
Alternando poesie ai brani pianistici di
Debussy,
Šostakoviç, Rachmaninov, Skrjabin,
Messiaen, Lutoslawski, Prokofiev, Bartók,
Boulanger e Casella, inseriti in quattro quadri
espositivi, si è venuta a creare ,
nel bellissimo spazio preposto al Museo del
Novecento, una situazione particolarmente
importante dovuta ai contrastanti testi poetici
della Merini, recitati
molto bene dalla Zegna, e dalle espressive e
diversificate composizioni interpretate con
intenso coinvolgimento emotivo dalla bravissima
Grasso.
Tra i brani eseguiti citiamo almeno quello
iniziale con il celebre Clair de lune di
Claude Debussy, il Preludio op.3 n.2 di
Sergej Rachmaninov, un selezione dalle Danze
fantastiche di Dmitri
Šostakoviç,
alcune Danze Fuggitive di Prokofiev,
alcuni brani di Skrjabin e il significativo
brano conclusivo con la rara ma efficace
Toccata in do dies.minore op.6 di A.Casella.
Una serie di brani ben accostati ai caratteri
spesso forti e taglienti di alcune poesie della
Merini, ma anche ad altre di più pacata
espressività. Citiamo tra le poesie almeno
Manicomio, Il dottore agguerrito nella notte,
Sono folle d'amore per la sera, Abbiamo le
nostre notti insonni, L'ora più solare per me,ecc.
Di qualità l'interpretazione pianistica della
Grasso che ha rivelato sicurezza e intensa
partecipazione emotiva in tutti i brani proposti.
Applausi intensi dal numeroso pubblico
intervenuto. Ottima iniziativa!
2 marzo 2022 Cesare Guzzardella
Prossimamente al Civico di
Vercelli l'arpa di Valerio Lisci
Sabato 5 marzo 2022 al Teatro
Civico di Vercelli , Via Monte di Pietà 15, ore
21 si terrà un concerto
dell'arpista Valerio Lisci. In programma N. Rota
- Sarabanda e Toccata; N.C. Bochsa - Rondeau sur
le trio Zitti zitti da Il barbiere di Siviglia
di G. Rossini;F. Mannino - Tre Canzoni;E. Parish
Alvars - Grande fantasie sur des motifs de Lucia
di Lammermoor op. 79;G. Caramiello - Rimembranza
di Napoli op. 6; V. Lisci - La Maschera; E.
Parish Alvars - Sérénade op. 83;W. Posse -
Variazioni su Il Carnevale di Venezia .
DALL'ITALIA VERSO IL MONDO:
AL CIVICO L'ARPA DI VALERIO LISCI
Oltre
a voler proporre al suo pubblico tutto ciò che
di meglio offre oggi la nuova generazione di
concertisti, il XXIV Viotti Festival vuole anche
ampliare gli orizzonti dello spettatore,
portandolo a incontrare repertori e strumenti
meno conosciuti. Due obiettivi ambiziosi che si
fondono in un unico concerto, quello in
programma sabato 5 marzo al Teatro Civico di
Vercelli (ore 21, concerto in abbonamento).
Ovvero, l'appuntamento che vedrà protagonista il
non ancora trentenne Valerio Lisci, “ambasciatore”
nel mondo di uno strumento non comune ma di
grandissimo fascino: l'arpa. Nel corso della
serata, Lisci non solo mostrerà con accattivante
virtuosismo tutta la sorprendente capacità
espressiva dell’arpa, ma proporrà anche un
programma “a tema”. Il concerto si intitola
infatti Italianeggiante, ed è un suggestivo
viaggio verso e attraverso il nostro Paese,
visto sia con gli “occhi musicali” di autori
italiani, sia con la sensibilità di compositori
stranieri che all'Italia si sono ispirati. Si
passerà così per pagine di autori che sono stati
anche grandi arpisti, come Bochsa, Alvars,
Caramiello, Posse e, non certo ultimo, lo stesso
Valerio Lisci che presenterà il suo La Maschera,
ma si scoprirà anche che due protagonisti della
musica scritta per il cinema quali Nino Rota e
Franco Mannino hanno composto per arpa, e con
risultati spettacolari. E poi si viaggerà per
l'Italia, da Napoli e Venezia, assaporando sia
temi popolari sia la musica più “colta”, e si
uscirà dal Civico stupiti che uno strumento
tanto difficile da padroneggiare
– la tecnica
arpistica è estremamente complessa
– possa
riservare così tante emozioni.
1 marzo 2022 dalla redazione
FEBBRAIO 2022
Lorenzo Viotti
dirige la Filarmonica della Scala in
Čaikovskij
e in
Rachmaninov
Il direttore Lorenzo Viotti
tra le repliche della bellissima Tha ïs,
da lui diretta, ha tenuto un concerto sinfonico,
replicato due volte, dirigendo la Filarmonica
della Scala in brani di
Čaikovskij
e Rachmaninov. Dei due compositori sono stati
eseguiti la Serenata in do
maggiore
per archi op.48, che P.I.Čaikovskij compose
nel 1880, e la Sinfonia n.2 in mi minore
op.27 che Sergej Rachmanonov concepì
nel 1907. La compattezza timbrica del lavoro
cameristico del primo russo ha trovato un'
eccellente interpretazione nel gesto asciutto,
essenziale e misurato del giovane direttore
svizzero. La celebre Serenata op.48 è
strutturata in quattro parti e presenta un tema
introduttivo dal carattere profondo e
celebrativo, tema che ritornerà ancora nel corso
del brano e anche alla sua conclusione.
L'atmosfera ricca di nostalgia e tristezza dell'Allegro
iniziale e dell' Elegia trova momenti
di estrema positività nel delizioso Valzer
centrale e nell'estroverso Allegro con
spirito finale, una danza popolare
divertente. Viotti ha trovato il giusto dosaggio
nel definire le sottili timbriche che
definiscono i contrastanti e repentini
cambiamenti del brano, mantenendo un equilibrio
perfetto nelle risoluzioni dinamiche. Bravissimi
gli archettisti della Filarmonica. Ben più
corposa, complessa e virtuosistica la rara
Sinfonia n.2 del secondo russo. L'ampio lavoro,
di quasi sessanta minuti di durate, presenta
situazioni melodiche tipiche del compositore e
frangenti di grandi volumetrie timbrica che
rivelano le alte capacità d'orchestrazione di
Rachmanimov, autore di un lavoro certamente
evoluto considerando il periodo di scrittura. La
Sinfonia, ricca di straordinari impasti
coloristici, è stata resa con maestria da Viotti
per una coinvolgente interpretazione dei
filarmonici scaligeri. Bravissimi in tutte le
sezioni orchestrali, gli strumentisti della
Filarmonica della Scala hanno trovato ancor più
una resa eccellente nell'Allegro vivace
conclusivo. L'Op.27 meriterebbe una più larga
diffusione. Applausi sostenuti in un teatro al
completo e numerose uscite in palcoscenici del
direttore.
28 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
ALEXANDRA DOVGAN
A VERCELLI - QUANDO LA MUSICA ILLUMINA
Ieri sera, sabato 26 febbraio,
il Festival Viotti, nella nuova serata della sua
ventiquattresima stagione, vedeva il debutto, al
Teatro civico di Vercelli, della giovanissima
pianista russa Alexandra Dovgan, quattordicenne
che ha cominciato a segnalarsi da qualche tempo
nel firmamento del concertismo internazionale,
con numerose esibizioni anche in Italia, e la
cui comparsa sui palcoscenici si è già meritata
l’appellativo di ‘evento’, “Lanciata” da
autorevolissimi endorsements, come quello del
connazionale Grigorij Sokolov, che, come si
legge nel programma di sala, assicura che
Alexandra non è più classificabile come un
enfant prodige, ma ha già maturato una
personalità adulta, si è guadagnata la fama di
‘piccolo genio’ della musica, Il pezzo scelto
dalla Dovgan per il suo recital vercellese è
stato uno dei due concerti di Chopin,
precisamente quello indicato come n.2 benché,
come noto, sia stato il primo a essere composto
dal grande polacco: il Concerto in Fa minore
op. 21. Ci pare interessante rilevare che
secondo il programma del ViottiFestival diffuso
a inizio stagione, la Dovgan avrebbe dovuto
eseguire il concerto KV 491 di Mozart, un
concerto che ha il suo
valore
principale nella straordinaria e tragica
tensione espressiva, soprattutto nel primo
tempo. In un’intervista di qualche tempo fa, la
giovanissima pianista russa ha dichiarato di
essere sempre lei a scegliere i pezzi da
eseguire in concerto. Se è così, e non ne
dubitiamo, è evidente che qualcosa ha indotto la
Dovgan a preferire, ad un pezzo di grande
profondità espressiva e dunque di intenso
impegno interpretativo, un pezzo che porta in
primo piano il virtuosismo del solista, specie
nei due tempi esterni, affidando al tempo lento
centrale il compito di dar voce ad un più effuso
afflato espressivo. Insomma, una virata dal
pianismo ‘espressivo’, al ‘pianismo spettacolare’.
Francamente e sinceramente: peccato! Il
programma prevedeva poi l’esecuzione di uno dei
più celebri capolavori del sinfonismo
ottocentesco, la beethoveniana Sinfonia n.6 in
Fa maggiore op.68, universalmente nota come la ‘Pastorale’,
L’orchestra era, come di consueto, la Camerata
Ducale, diretta da Guido Rimonda. Fin dalle
prime battute d’esordio del pianoforte, dopo
l’esposizione orchestrale, nel concerto
chopiniano, la Dovgan mettte in luce le
solidissime basi tecniche del suo pianismo: la
serie di quartine di semicrome in fortissimo con
cui il pianoforte irrompe sulla scena e il
successivo flusso, sempre di quartine di
sedicesimi, che introduce il secondo tema,
scorrevano sulla tastiera con un tocco elastico,
un perfetto equilibrio tra le due mani, un’
energia, capace di proiettare un adeguato volume
di suono, che si sgranava poi negli acuti degli
abbellimenti, in particolare dei trilli, con
cristallina limpidezza. Chi ascolta la Dovgan in
questi brani di alto virtuosismo, non ha però
l’impressione di trovarsi di fronte ad un
virtuosismo esibito e forzato, teso al massimo
della spettacolarità: c’è, nel fraseggio della
giovane russa, un che di sobrio, di genuinamente
spontaneo, che aderisce alla partitura senza
voler strafare: non è, insomma, per usare la
sprezzante espressione di Clara Wieck-Schumann,
“una pestona”. Un po’ piatta, a nostro modesto
parere, l’esecuzione dell’Allegro vivace finale,
in forma di Rondò, dove il fraseggio della
Dovgan, impeccabile nelle parti virtuosistiche,
non è riuscito a rendere pienamente la fresca
leggerezza popolaresca del ritornello né,
soprattutto, quella ambigua vaporosità del
secondo couplet, che è forse la parte più bella
del Finale. Ma la Dovgan ha mostrato cosa può “diventare
da grande” nell’interpretazione di quello che è
il ‘centro spirituale’ del concerto n.2 di
Chopin, cioè il centrale Larghetto. Con
intelligente scelta interpretativa, la solista
russa evita la tentazione peggiore di pezzi come
questi (e di molto Chopin), cioè l’abbandono ad
una languida sognante atmosfera di maniera,
puntando tutto sulla purezza e soprattutto sulla
dimensione interiore della melodia, grazie ad un
tocco che sa tornire suoni perlacei e delicati,
talvolta quasi sfiorati, anche nei numerosi
abbellimenti: quello che la Dovgan ci propone è
un meraviglioso brano musicale improntato ad
un’intimità avvolgente, guidata da un sapiente
controllo delle dinamiche, e che diventa davvero
cosa sublime nel dialogo con il controcanto del
fagotto, nella ripresa, dopo la contrastante
sezione centrale, più mossa e drammatica. Questa
è davvero musica che illumina chi ha il
privilegio di ascoltarla e in questo brano la
Dovgan ha mostrato di essere straordinariamente
adulta . Nei concerti chopiniani, ben si sa,
secondo il gusto Biedermeier dominante negli
anni ‘20-‘30 delll’800, l’orchestra non ha un
grande ruolo, limitandosi ad accompagnare il
protagonista assoluto, il solista. Però Rimonda
è stato bravissimo a guidare la Camerata Ducale
nel seguire, in questo splendido secondo tempo,
il fraseggio della solista, con una grande cura
dei dettagli timbrici, un giusto stacco dei
tempi, un chiaroscuro sottile e avvolgente delle
dinamiche. Davvero un’emozionante esperienza di
ascolto. E la bravura e la maturità ormai solida
di Rimonda come direttore d’orchestra hanno dato
ottima prova di sé nell’esecuzione della
Pastorale. Sotto la pluridecennale guida del suo
fondatore e direttore, la Camerata ducale ha
raggiunto una perfetta trasparenza di suono, che
Rimonda ha in questa occasione valorizzato al
massimo, curando con particolare finezza le
dinamiche e gli impasti timbrici, anzitutto
quelli, decisivi per la Pastorale, fra gli archi
e i fiati, ieri sera in forma strepitosa. Quasi
subito l’ascoltatore è stato colpito, al
comparire del secondo motivo dell’Allegro
iniziale, dal suo trascolorare meravigliosamente
reso, dai violini ai violoncelli, ai flauti: è
cosi cominciato il viaggio in un meraviglioso
mondo di suoni, che ha qualcosa dell’incantesimo
di una magia, sotto la guida della bacchetta di
Rimonda. Anche nei brani che troppe
interpretazioni di esecutori e di critici hanno
banalizzato a puri brani descrittivi di un
postdatato barocco, come la “scena al ruscello”,
l’interpretazione di Rimonda fa prevalere
nettamente le ragioni della musica, come quando
il tema di ‘barcarola’ in semicrome, più che “il
brusio delle mille voci della natura” per citare
il grande Mila, si presenta come una toccante,
tenera danza di una musica luminosa, tersa, che
avvolge nell’ebbrezza di una gioia senza limiti
l’ascoltatore, invitato a immergersi nel sereno
flusso della vita. Dicevamo della bravura dei
fiati ascoltati ieri sera: ci si conceda qui un
elogio particolare dell’oboe che, nel terzo
tempo, espone, con una tenerezza e dolcezza
straordinarie la terza idea del movimento,
accompagnato dall’”ostinato” dei violini. La
climax di questo viaggio nella magica fiaba
sonora della Pastorale veniva poi raggiunta in
quel momento di indicibile incanto, in cui
avviene il trapasso dal fragore della tempesta
allo splendido canto pastorale che domina il
finale, che nell’interpretazione di Rimonda
acquista una dolcezza e un sentimento di intima
felicità riconquistata, che è delle migliori
esecuzioni a noi note di questo capolavoro.
Applausi prolungati di un pubblico che è tornato
a riempire il Teatro Civico e che nella
splendida musica ascoltata ieri sera ha trovato
un po’ di conforto e forse di speranza, in un
periodo di peste e di guerra come quello che
stiamo vivendo. Serata che non dimenticheremo.
Bruno Busca 27 febbraio 2022
Continua il successo
per il Thaïs di Massenet al Teatro alla Scala
Le ultime repliche del
Thaïs alla Scala continuano ad avere un
meritatissimo successo. Anche alla quarta
rappresentazione, vista ieri sera, il pubblico,
in un teatro al completo, ha tributato ripetuti
applausi a tutti i protagonisti. Sono passati
ottant'anni dalle prime rappresentazioni
scaligere dell'opera di Jules Massenet. In piena
seconda guerra mondiale, nel febbraio e nel
marzo
del 1942, vennero date le uniche cinque
rappresentazioni dirette da Gino Marinuzzi.
Vedendo la riuscita messinscena di questi giorni
ci sembra evidente che questo capolavoro
musicale francese mancava da Milano da troppo.
L'apporto dell'originale e articolata musica di
Massenet, composta intorno al 1894, è elemento
strutturale per ogni messinscena. Nella versione
del 1898, quella proposta al Teatro alla Scala
dal direttore Lorenzo Viotti -svizzero di
origine italo-francese- , e dal regista teatrale
francese Olivier Py, il gioco di squadra è stato
esemplare. Le scene e i costumi di pregio di
Pierre-André Weitz hanno disegnato, con resa
efficace, la semplice storia tratta dal romanzo
di Anatole France e riportata nel libretto di
Louis Gallet. La fondamentale parte coreografica
di Ivo Bauchiero, sorretta dell'esemplare musica
del grande compositore francese e dalle adeguate
luci di Bertrand Killy, ha trovato un
inserimento perfetto nel contesto scenografico.
Ricordiamo l'ottimo intervento dei bravissimi
bellerini Beatrice Carbone e Gioacchino Starace
nel famoso intermezzo "Méditation",
tema
che conclude il primo quadro del secondo atto e
che verrà accennato o ripetuto più volte nel
corso dell'opera, anche nella toccante ultima
scena con le voci dei due principali
protagonisti. La componente vocale, di gran
pregio, ha trovato come prime voci e primi
attori, il soprano Marina Rebeka, una Thaïs
di grande spessore che affronta il difficile
ruolo con padronanza vocale esemplare, e il
baritono Lucas Meachem, un Athanaël
giovane cernobita, con timbro sicuro e ricco di
dettagli. Di qualità le altre voci. Segnaliamo
Giovanni Sala, un Nicias di grande
espressivita , Caterina Sala in
Crobyle, Anna Doris Capitelli in Myrtale,
Valentina Pluzhnikova in Albine,
Nicole Wacker La Charmeuse (in
sostituzione di Federica Guida indisposta),
Insung Sim in Palémon, ottimi
insieme agli altri. Naturalmente di grande
qualità il Coro preparato da Alberto
Malazzi. Ultima replica prevista per mercoledì 2
marzo. Da non perdere! (Foto di
Brescia- Amisano dall'Archivio del Teatro alla
Scala)
26 febbraio 2022 Cesare
guzzardella
Giuseppe Gibboni
con l' Orchestra dei
Pomeriggi Musicali per Paganini
Un'occasione da non perdere
quella offerta da I Pomeriggi Musicali
ieri sera. Giuseppe Gibboni, recente vincitore
del "Concorso Internazionale di violino
N.Paganini" di Genova,
uno
dei più prestigiosi al mondo, è venuto al Dal
Verme per eseguire il Concerto n.1 per
violino e orchestra op.6 di Paganini. L'Orchestra
de I Pomeriggi diretta da James Feddeck
aveva iniziato la serata con una valida
interpretazione dell' Ouverture e Scena di
danza da Arianna e Nasso di Richard Strauss.
La serata ha avuto una svolta con la salita sul
palcoscenico del ventenne violinista salernitano.
Proveniente da una famiglia di musicisti,
Gibboni suona da sempre il violino. Esemplare la
sua interpretazione del concerto, forse il più
noto del grande musicista e virtuoso genovese.
La celebre op.6, strutturata in tre ampie parti,
è un mirabile esempio della cantabilità italiana
legata al mondo lirico e a quello strumentale.
Paganini ha impreziosito le sue bellissime arie
con i suoi virtuosismi.
Nella
restituzione del lavoro, Gibboni ha sbalordito
per la bellezza del suo timbro. Una cantabilità
precisa e luminosa, arricchita con i noti
virtuosismi che con abilità esegue con resa
semplice, pur essendo di una complessità
inaudita. Ottima la componente orchestrale nella
direzione di Feddeck. Applausi spontanei dal
pubblico presente alla fine dell'Allegro
maestoso iniziale, e ancor più fragorosi al
termine del concerto. Due splendidi bis concessi
da Gibboni. Prima il Capriccio n.24
sempre del genovese e poi un luminosissimo Bach.
Dopo il breve intervallo, di qualità
l'esecuzione della neoclassica Suite dal
Pulcinella di Igor Stravinskij. Sabato alle
ore 17.00 si replica. Da non perdere!
25 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
La pianista Ying Li
per la
Società dei Concerti in Conservatorio
La Serie Rubino dei concerti
organizzati dalla "Fondazione la Società dei
Concerti" ha ritrovato ieri sera la pianista
cinese Ying Li per un recital variegato e ben
strutturato. Per l'occasione, in concomitanza
con la Settimana della moda milanese, la
pianista si è presentata indossando due eleganti
abiti della stilista Francesca Imperatore. Più
classico il primo, come
classici
erano i brani della prima parte del concerto,
più estroso e ricco di colori il secondo, in
sintonia con i lavori della seconda parte. Ying
Li è stata la vincitrice della prima edizione
del "Premio Internazionale Antonio Mormone",
terminato nel luglio dello scorso anno, ma ha
vinto anche altri importanti concorsi
internazionali, il più recente nell'ottobre del
2021 a New York. Certamente l'alto rilievo della
tecnica pianistica sta diventando una costante
per molti pianisti delle ultime generazioni.
Ying Li oltre ad un formidabile virtuosismo ha
una varietà di timbriche luminose e
dinamicamente ricche. La prima parte del
concerto era dedicata a J. S. Bach con la
Suite Francese n. 5 BWV 816 e a R.Schumann
con la Phantasiestücke op.12. Ottimo il
Bach ascoltato, ricco di luce e perfettamente
strutturato nella successione dei sette
movimenti, con la celebre Gigue finale
d'effetto per l'accentuata ed espressiva ritmica.
Rilevante Schumann con la nota Op.12 ben
rilevata in ogni dettaglio, una
Phantasiestücke, però, non ancora pregna di
spirito romantico. Di particolare qualità la
seconda parte della serata. I brani ascoltati di
Bartók, Albeniz e Ginastera, tutti composti nei
primi decenni del '900, dimostrano
l'attitudine
di molti giovani pianisti ad esprimersi con
maggior rigore nei lavori meno lontani o nel
repertorio contemporaneo. Ying Li dopo aver
ottimamente interpretato la Suite op 14
di Bartók, quattro
movimenti
composti dal compositore ungherese nel 1916, ha
decisamente sbalordito in Albeniz con due brani
tratti da Iberia: prima con Triana
e poi con Fête Dieu à Seville. Con grande
sicurezza ha riempito di colori i contrastati
momenti delle due splendide composizioni. Le sue
qualità ritmiche si sono poi ancor più rivelate
a conclusione del programna ufficiale, con le
più recenti Danzas Argentinas op.2, opera
del compositore argentino Alberto Ginastera del 1937. La vivacità
dei brani laterali - Danza del viejo boyero
e Danza del gaucho matrero- hanno
entusiasmato per padronanza ritmico-percussiva,
mentre il meditato bellissimo brano centrale, la
Danza de la moza donosa, ha rivelato
l'intensa vena melodica dell'interprete.
Successo caloroso con applausi fragorosi dal
numeroso pubblico di Sala Verdi in Conservatorio.
Due i bis concessi dalla bravissima Ying Li:
prima un ottimo virtuosistico Verdi-Liszt con la
celebre Parafrasi dal Rigoletto e poi un
ritorno alla pacatezza con un valido Mozart nell'
Andante cantabile dalla Sonata in si
bem. maggiore K.333. Qualche variante nelle
ultimissime battute, ma comunque di ottima
fattura. Bravissima!
24 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
PROSSIMAMENTE ALEXANDRA
DOVGAN A VERCELLI
Il
talento non ha età: si può riassumere così lo
spirito del concerto che il XXIV Viotti Festival
presenterà al suo pubblico sabato 26 febbraio al
Teatro Civico di Vercelli (ore 21, concerto in
abbonamento),
protagonisti la pianista Alexandra Dovgan e
l'Orchestra Camerata Ducale diretta da Guido
Rimonda. Non ha età perché la Dovgan, che vanta
un presente da solista internazionale
pluripremiata, ha appena 14 anni, una musicalità
purissima, una maturità sorprendente e una
spiccata insofferenza per la definizione di
“enfant prodige”. E la si può capire: la sua
presenza carismatica e la sua solidissima
capacità interpretativa non hanno proprio nulla
di adolescenziale. Ci si troverà dunque di
fronte a una solista a tutti gli effetti già nel
periodo “adulto” del suo percorso artistico, il
che conferma la caratteristica unica del
Festival vercellese, ovvero la capacità di
proporre al suo pubblico tutte le assolute
eccellenze delle nuove generazioni di interpreti.
La Dovgan proporrà il Concerto n. 2 op. 21 di
Fryderyk Chopin, e Chopin, come è risaputo,
rappresenta l'apoteosi del pianoforte. (Foto a
cura dell'ufficio stampa di Vercelli).
23 febbraio dalla redazione
Gidon Kremer
in Conservatorio per i
concerti di Serate Musicali
Le "Serate Musicali" hanno
organizzato un concerto celebrativo per i 75
anni di Gidon Kremer ospitando, oltre al celebre
violinista lettone, la violoncellista Giedré
Dirvanausskaité - da anni strumentista della
Kremerata Baltica- e il più giovane pianista
Georgijs Osokins. L'impaginato diversificato,
con trii di Schumann e Rachmaninov, ha
visto anche due brani
contemporanei:
il primo di Igor Loboda ( 1956)
un Requiem per violino solo, dedicato al popolo ucraino per le infinite
sofferenze subite; il secondo di Victoria Poleva
(1962), un trio in un unico movimento del 2022
in prima esecuzione italiana. È una
caratteristica di Kremer quella di produrre
programmi che spaziano tra differenti periodi
storici, inserendo sempre brani del Novecento e
di musicisti contemporanei. Decine di
compositori infatti, hanno scritto musica per
lui, violinista tra i più riconosciuti del
panorama mondiale. Il corposo Trio con
pianoforte n.3 in sol minore op.110 di
Robert Schumann ha introdotto la serata,
rivelando da subito la cifra qualitativa del
gruppo cameristico. Il brano eseguito per ultimo
di Serjei Rachmaninov, Trio elegiaco in re
minore op.9, opera giovanile del grande
russo, ha sbalordito per qualità prodotta e
sinergie degli interpreti. Tra loro, il pianista
Osokins si è distinto
per sensibilità e
sicurezza, sostenendo un ruolo primario e
dimostrando di penetrare in profondità - come
gli altri interpreti- nella sofferta parte di
questa elegia, opera che trova momenti di
grande riflessione e altri di imponenti
esternazioni volumetriche. Esecuzione esemplare.
Nella parte centrale del concerto i due brani
recenti, di relativamente breve durata, hanno
visto prima l'assolo di Kremer col significativo
Requiem, opera del 2014 del compositore
georgiano Loboda. È un profondo e virtuosistico
lavoro il Requiem, costruito su una canzone
popolare ucraina, variata nelle complesse ed
espressive progressioni melodiche che si
concludono lentamente al ritmo di un
significativo pizzicato ottenuto col dito
mignolo. Il Trio dedicato a Kremer denominato "Amapola",
della compositrice russa Poleva, ha modalità
polistilistiche, con un impianto
melodico-armonico fondamentalnente tonale di
immediata comprensione. Le parti solistiche del
violino e del violoncello intervengono in un
tappeto sonoro pianistico dalle timbriche
luminose, efficacemente introdotte e sviluppate
dal bravissimo Osokins. Lavoro di evidente
qualità, Amapola ha trovato riscontro
favorevole dal numeroso pubblico intervenuto in
Conservatorio. Calorosi applausi al termine del
programma ufficiale, con ripetute uscite in
palcoscenico dei protagonisti. Splendido il bis
concesso con un adattamento strumentale per trio
del noto lied Du bist die Ruh' di Franz Schubert eseguito con intensa
espressività melodica.
22 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
La violinista Carolin
Widmann diretta da Yoel Gamzou per il concerto
di Korngold
Ieri pomeriggio l'
Orchesrra Sinfonica di Milano "G. Verdi" ha
tenuto l'ultima replica del concerto diretto da
Yoel Gamzou per due lavori importanti quali il
Concerto per violino e orchestra in Re
maggiore op. 35 di Erich Wolfgang Korngold e
la Sinfonia n. 1 in Re
maggiore
"Il Titano" di Gustav Mahler. Sono riuscito
ad ascoltare- per sopraggiunti impegni- sola la
prima parte del concerto. Il lavoro del
compositore austriaco E. Wolfgang Korngold, nato
a Brno nel 1897 e morto negli Stati Uniti nel
1957, ha avuto una non breve gestazione che è
durata sino alla prima esecuzione che ebbe luogo
nel 1947 per la bacchetta di Vladimir Golshmann
e il prestigioso violino di Jasha Heifetz. Il
tardo-romanticismo, dal sapore molto nordico, di
questo splendido brano, strutturato nei classici
tre movimenti, ha trovato come protagonista la
violinista tedesca Carolin Widmann, solista di
livello internazionale. La Widmann ha dato una
lettura di altissimo livello coadiuvata
dall'ottima direzione di Yoel Gamzou e dalle
espressive timbriche di tutte le sezioni
orchestrali. Soprattutto il
coinvolgente
Moderato nobile iniziale, il movimento
più corposo, ha rivelato la valenza di un grande
musicista quale Korngold, un tempo noto
soprattutto per le numerose colonne sonore di
film americani, per le quali, per alcuni di essi
ottenne anche premi Oscar. L'incisività e la
discorsività, ricca di espressività, della
Widmann hanno esaltato la ricchezza
virtuosistica di un concerto che vanta anche
un'esemplare orchestrazione, degna di un G.
Mahler o di un R.Strauss. Applausi sostenuti al
termine ai protagonisti e ottimo il bis concesso
dalla violinista con la più nota Sarabanda
di J.S.Bach, interpretata benissimo.
21 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
L'ottimo duo di voce
e pianoforte di M.Eleonora Caminada e di Alfonso
Alberti all'Auditorium G.Di Vittorio
Un concerto di qualità quello
proposto dal Alfonso Alberti, pianista e
musicologo specializzato nella musica del '900 e
contemporanea. Sua l'originale idea di
articolare un programma che propone come
riferimento l'anno 1917: l'anno della
rivoluzione d'ottobre,
l'anno centrale della
Grande guerra, l'anno del primo jazz-Dixieland.
Ha trovato nove noti compositori che avessero
composto in quell'anno brani per voce e
pianoforte, o perlomeno brani che in quell'anno
avessero avuto una prima esecuzione. Da questa
idea, che rivela la varietà di musica di quel
lontano periodo- spesso pensata con stili e
linguaggi molto diversificati- è nato un
concerto che ha avuto come protagonista anche la
bravissima Maria Eleonora Caminada, voce di
soprano. La maggior parte dei brani, spesso
brevissimi, ma con normali tempi per alcuni,
erano di rarissimo ascolto. Lieder, song,
romanze, canti popolari, a partire dai Cinque
canti Op.27 di Sergej Prokofiev, hanno
rivelato l'ottima voce della Caminada e la sua
capacità di passare da un
genere ad altro senza
mai perdere un colpo in termini qualitativi,
insieme, naturalmente, alle indubbie abilità
pianistiche dell'Alberti che ha trovato un
momento centrale, in solitaria, eseguendo
benissimo il Menuet da Le tombeau de
Couperin di Maurice Ravel- composizioni
naturalmente terminate nel '17. Tutti
interessanti e ottimamente interpretati i lavori
presentati dallo stesso Alberti all'Auditorium
della Camera del lavoro G.Di Vittorio.
Segnaliamoli tutti, iniziando dal più melodico e
se vogliamo "tradizionale" Puccini da La rondine
con Ch' il bel sogno di Doretta, con
l'ottima intonazione della Caminada. Non
distante musicalmente da Puccini ancora un
italiano con il rarissimo Ottorino Respighi de
La fine, su testo del poeta indiano di R.
Tagore dalle Cinque liriche, un canto
raffinatissimo che meriterebbe una
larghissima
diffusione. D'impronta
popolare
e - come per il
Prokofiev iniziale- di provenienza dall'est
Europa, le Trois histoires pour enfants
di Igor Stravinskij, fiabe quasi surreali del
musicista russo, e una selezione ( le prime
quattro) dalle Otto canzoni popolari di
Bela Bartók, tutti brevi lavori, anche ben
evidenziati dalla gestualità dalla Caminada. Di
straordinaria resa espressiva, per l'unicità di
linguaggio -un'atonalità spinta- i Quattro
Lieder op.12 di Anton Webern, dove
l'intreccio tra la complessa parte pianistica e
le acrobazie vocali del soprano hanno rivelato
un'eccellente integrazione dei due interpreti.
Dagli Stati Uniti terminiamo con il
melodicissimo George Gershwin di Beautiful
Bird, scritti da un giovanissimo compositore
diciannovenne, e a conclusione, He is There!
un raro Charles Ives a ritmo di marcia.
Lunghi applausi per i protagonisti e come bis di
nuovo "voliamo" con il bellissimo brano
Beautiful Bird di Gershwin. Bravissimi!!
20 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
L'ottima direzione di Diego
Fasolis con I
Pomeriggi Musicali
Un ottimo concerto sinfonico
quello ascoltato ieri sera al Dal Verme con l'
Orchestra de I Pomeriggi Musicali
impegnata in brani di Mozart e Beethoven. A
dirigere la compagine di
strumentisti c'era
Diego Fasolis, raffinato direttore, noto per il
repertorio più lontano nel tempo, spesso
eseguito con l'ausilio di strumenti originali.
Fasolis, modificando l'ordine dei brani in
programma, ha preferito dirigere prima tutto
Beethoven lasciando, dopo il breve intervallo,
la più celebre Sinfonia n. 41 in do maggiore
K 551 “Jupiter” (1788) di W.A.Mozart. La sua
energica modalità direttoriale, minuziosa e
attenta ai dettagli, ha esaltato le qualità dei
bravissimi orchestrali. Partendo con l'ouverture
Le Creature di Prometeo (1801) di
L.V.Beethoven, Fasolis ha dato grinta agli
strumentisti de I Pomeriggi per
un'interpretazione energica dove tutte le
sezioni orchestrali hanno reso in modo adeguato,
anche nelle importanti sezioni di legni e di
ottoni. Anche i brani più corposi con la
Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 36 (1802)
di L.v Beethoven e quindi la "Juppiter"
di Mozart, hanno trovato energia e un equilibrio
stilistico di alto livello nella bacchetta di
Fasolis. Il direttore ha fatto emergere le
timbriche in modo chiaro ed incisivo di ogni
strumento o sezione strumentale. Di grande
rilievo espressivo il Molto allegro,
finale dell'ultima sinfonia mozartiana che oltre
a concludere mirabilmente il ciclo sinfonico del
salisburghese, ha posto fine alla bellissima
serata strappando fragorosi applausi del
numeroso pubblico intervenuto. Ricordiamo la
replica di sabato 19 febbraio alle ore 17.00. Da
non perdere.
18 febbraio Cesare
Guzzardella
Leonora Armellini
in Chopin per la "Fondazione
La Società dei Concerti"
Il programma del concerto
organizzato dalla Fondazione La Società dei
Concerti, ascoltato ieri sera in
Conservatorio, ha trovato sul palcoscenico di
Sala Verdi la Filarmonica del Festival
Pianistico di Brescia e Bergamo diretta da
Pier Carlo Orizio e, al pianoforte, Leonora
Armellini. Il celebre Concerto per pianoforte
e orchestra n.1 in mi minore op. 11 di F..
Chopin
ha rivelato un'eccellente interprete nella
Armellini, pianista che ricordiamo essere
entrata tra i finalisti del più recente e
prestigioso Concorso Internazionale "F Chopin",
conquistando e pienamente meritando, la quinta
posizione. L'interpretazione fornita dalla
Armellini, in piena sinergia con l'orchestra, ci
è apparsa d'eccellente qualità. Una cifra
stilistica, quella della ventinovenne padovana,
che ritrova la migliore tradizione
interpretativa del grande polacco. La sua
espressiva esecuzione ha
rivelato
un tocco brillante, perlato e ricco di sfumature
elargite con equilibrio, sottolineando ogni
dettaglio in modo luminoso. Il suo disinvolto
fraseggio è stato ben evidenziato e sostenuto
dai bravissimi orchestrali della Filarmonica
del Festival Pianistico di Brescia e Bergamo
grazie alla precisa direzione di Pier Carlo
Orizio. I fragorosi applausi - meriratissimi-
per questa esemplare interpretazione, sono
continuati anche dopo i tre bis concessi dalla
pianista. Ancora Chopin con lo Studio n.12
op.10, lo Studio n.1 op.25,
soprattutto il primo eseguito in modo esemplare
per compattezza e scorrevolezza, quindi una
rarità interpretativa
con
l'originale Tarantella del genio polacco
espressa in modo energico dalla pianista
visibilmente soddisfatta. Dopo il breve
intervallo, l'esecuzione della nota Sinfonia
n. 8 in si minore D 759 "Incompiuta"-
seguita dall' Entr’acte n.3 da
Rosamunde- di Franz Schubert, ha rivelato
ancora le sensibili qualità degli orchestrali e
del loro direttore Pier Carlo Orizio. Una
splendida serata.
17 ottobre 2022 Cesare
Guzzardella
Alexandre Kantorow
per la Società del Quartetto
Per la prima volta in
Conservatorio, il pianista francese Alexandre
Kantorow ha tenuto un recital,
organizzato dalla Società del Quartetto.
La sua avviata carriera internazionale deve
molto alla vittoria del prestigioso Concorso
Čaikovskij di Mosca nel 2019.
È un figlio d'arte, avendo come
padre il celebre direttore e violinista
Jean-Jacques Kantorow. L'impaginato
scelto,
con prevalenza di brani altamente virtuosistici,
prevedeva pagine di Schumann, Liszt e Skrjabin.
Il brano introduttivo era una parte tratta da
Weinen, Klagen Sorgen, Zagen di Liszt
dalla Cantata BWV 12 di J.S.Bach. Con la poco
eseguita Sonata n.1 in fa diesis minore op.11
di Robert Schumann , Kantorow ha espresso da
subito la sua elevata cifra stilistica, con
impalcatura tecnica solidissima, dove un tocco
leggero e preciso riesce all'occorrenza trovare
un'esternazione più estroversa e voluminosa.
Valida la sua interpretazione del complesso e
fantasioso brano del compositore tedesco. Di
maggior resa l'ancor più virtuosistica seconda
parte del concerto. Quì è risultato ben
individuato lo spessore musicale di questo
giovane interprete. Prima con il Liszt del Sonetto 104 del Petrarca
da
Italia di ""Années de pèlerinage"", quindi di
Abschied e di La lugubre gondola,
brani maturi dell'ultimo Liszt. Il breve e
visionario poema Verse la flamme op.72 di
Aleksandr Skrjabin, ha rivelato maggiormente
l'attitudine di Kantorow
alle
colorazioni scure, ben delineate dalla profonda
interiorizzazione del tessuto melodico-armonico
e ha evidenziato il suo marcato e preciso
virtuosismo, presente soprattutto nell'ultima
parte del breve lavoro. Con l'ultimo brano
dell'impaginato, il noto Après une lecture de
Dante: Fantasia quasi Sonata, il virtuosismo
lisztiano ha trovato ancora un degno interprete
in Kantorow. Di grande impatto il suo approccio
alla "Dante Sonata", con una visione complessiva
perfettamente calibrata nelle dinamiche e nelle
timbriche, e con una sicurezza nel definire
efficacemente ogni frase, anche quelle di
maggiore difficoltà tecnica. Il pubblico
presente in Sala Verdi è rimasto entusiasta,
tributando, al termine del programma ufficiale,
lunghi e fragorosi applausi. Due i bis concessi,
prima uno strepitoso luminosissimo finale dall'Uccello
di fuoco di Igor Stravinskij e poi un ottimo
Johannes Brahms con la Ballata Op.10 n.2 in re maggiore. Da riascoltare al più presto.
16 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
L'Orchestra Cupiditas
di Pietro Veneri per un interessante Richard
Strauss
È tornata in Conservatorio,
ai concerti organizzati da Serate Musicali,
l' Orchestra Cupiditas e il suo direttore
Pietro Veneri. La compagine orchestrale, formata
prevalentemente da giovanissimi di età compresa
tra i quattordici e ventotto anni, ha questa
volta interpretato due brani certamente
impegnativi. Il primo, di straordinario
interesse, era una trascrizione per violoncello
e orchestra dell'originale Sonata in fa
maggiore per violoncello e pianoforte op.6
di Richard Strauss, lavoro giovanile del
compositore. La versione con orchestra è opera
di
Giovanni Veneri, musicista che ha colto nella
trascrizione orchestrale la visione costruttiva
timbrica che si disvela nelle architetture
musicali del grande musicista tedesco. La parte
solistica era affidata alla violoncellista
Silvia Chiesa, più volte interprete
dell'originale op.6 col pianista Maurizio
Baglini. Il brano - in questa versione in prima
esecuzione mondiale-. ha trovato un valido
riscontro nella resa orchestrale, oltre
all'ottima esternazione del corposo violoncello
della Chiesa, strumentista di ottimo livello con
timbrice sicure, ricche di energia e
sapientemente dosate. L'interpretazione
è andata
via via in crescendo per qualità, partendo dal
più complesso e orchestralmente meno immediato,
Allegro con brio e passando dall'intenso
Andante ma non troppo sino all'avvincente
Finale.Allegro vivo che ha rivelato ancor
più le ottime qualità della cellista e i
potenziali dei giovani orchestrali. Applausi
sinceri al termine del brano e salita sul
palcoscenico, tra gli applausi, di Giovanni
Veneri, che, come ha poi ricordato la Chiesa, ha
il merito di aver fatto una valida trascrizione
che potrà in seguito travare risonanza tra le
orchestra italiane e non solo. Eccellente il bis
solistico della violoncellista con la Bourrée
dalla Suite n.3 di J.S. Bach. Dopo la
brevissima sosta l'impegnativa Sinfonia n.1
in do minore op.68 di Brahms, ben diretta da
Pietro Veneri, ha avuto i momenti più felici nel
Un poco sostenuto.Allegro iniziale e nel
finale dell' Allegro non troppo, ma con brio.
Applausi a tutti i giovani protagonisti e al
direttore.
15 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
Anne-Sophie Mutter
e Lambert Orkis alla
Scala per Mozart, Beethoven e Franck
Un Teatro alla Scala così
pieno non si vedeva da un po' di tempo, e con un
pubblico
mediamente più giovane. La
ghiotta occasione era rappresentata dalla
presenza della celebre violinista tedesca
Anne-Sophie Mutter, accompagnata al pianoforte
dall'ottimo Lambert Orkis, pianista presente da
anni in duo con la brava e ancora bellissima
solista. Un impaginato classico con brani di
Mozart, Beethoven e Franck, ha trovato
certamente il favore del pubblico presente. I
primi due lavori, la Sonata n.27 in sol
maggiore K 379 di W.A.Mozart e la Sonata
n.5 in fa magg. op.24 "La Primavera" di
L.v.Beethoven hanno messo in risalto, oltre alle
qualità della solista, anche quelle -eccellenti-
di Orkis. Notoriamente nelle sonate di Mozart e
Beethoven la parte pianistica non è di "accompagnamento",
ma ha un ruolo pari e spesso predominante a
quello del violino, tanto che originariamente,
nel 1781, Mozart pubblicò un gruppo di sei
sonate, tra cui la K 379, denominato "Sei sonate
per clavicembalo e pianoforte con
accompagnamento di violino". Di qualità
l'equilibrio che si è creato tra la timbrica
delicata della Mutter e le articolazioni,
perfette nel fraseggio, nei pesi, e nei ricchi
timbri del pianista. Di maggior presa
violinistica la celebre sonata "La primavera"
(1801) del genio di Bonn, con il noto
incipit iniziale del violino nel primo
movimento "Allegro". Dopo l'intervallo,
il cambio di registro dovuta alla strepitosa
Sonata in la maggiore (1886) di César
Franck, ha invece maggiormente esaltato le
eccellenti qualità interpretative di
Anne-Sophie. L'evidente incisività timbrica che
caratterizza la nota "sonata ciclica" di Franck,
ha trovato nella Mutter interprete ideale. Il
complesso sviluppo dell'ampio lavoro, con
quell'originale tema che ritorna in tutti i
movimenti, è stato espresso con timbriche chiare
e scavate della solista. La resa sonora precisa
e discorsiva della violinista, ha avuto
integrazione nelle ottime armonizzazioni di
Orkis e il risultato complessivo ha trovato un
evidente riscontro nel pubblico, tanto da
strappare applausi, cosa inconsueta, al termine
dell'Allegro iniziale. Di grande impatto
melodico i due bis concessi dall'eccellente duo.
Prima una pagina di John Williams di intensa
espressività melodica, e poi una profonda,
articolata ed incisiva esecuzione della celebre
Danza ungherese n.1 in sol minore di
Johannes Brahms nella trascrizione del grande
virtuoso violinista Joseph Joachim. Applausi
fragorosi e continue uscite in palcoscenico
degli interpreti visibilmente soddisfatti.
14 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
Prossimamente
a Vercelli Emmanuel Tjeknavorian e Kiron Atom
Tellian
Sabato
19 febbraio 2022 a Vercelli al Teatro Civico,
Via Monte di Pietà 15, alle ore 21 si terrà un
Concerto con Emmanuel Tjeknavorian, violino, e
Kiron Atom Tellian al pianoforte. In Programma:
J. Brahms - Scherzo in do minore WoO 2, A. von
Webern - Quattro Pezzi op. 7, J. Brahms - Sonata
n. 1 in sol maggiore op. 78, F. Poulenc - Sonata
Alla memoria di Federico Garcia Lorca FP119, F.
Schubert - Rondò in si minore op. 70, D 895.
Quando è stato annunciato che il XXIV Viotti
Festival avrebbe presentato il meglio dei
giovani artisti della scena internazionale, si è
fatta una promessa che, con il prossimo
concerto. sarà ancora una volta mantenuta.
Sabato 19 febbraio (ore 21, concerto in
abbonamento) le luci del Teatro Civico di
Vercelli si riaccendono per accogliere,
due
concertisti under 30 apprezzati in tutto il
mondo: Emmanuel Tjeknavorian e Kiron Atom
Tellian. Se per Tjeknavorian si tratta di un
graditissimo ritorno al Festival, dove è già
stato ospite e dove sarà ancora una volta
protagonista a maggio, quando dirigerà un altro
splendido talento emergente come Giulia Rimonda,
per Tellian si tratta del debutto a Vercelli.
Città che così aggiunge una nuova gemma al suo
tesoro di giovani, anzi giovanissimi (l'età
complessiva del duo non arriva a 50 anni)
interpreti di assoluto valore. Ormai il pubblico
del Festival sa bene che dire giovani non
significa soltanto entusiasmo e passione, ma
anche originalità nei programmi. E il concerto
di Tjeknavorian e Tellian lo conferma, con una
scelta di autori e brani capace di esaltare la
purezza del suono e di sottolineare la potenza
creativa della grande musica. Si andrà così da
due opere di Brahms molto diverse fra loro
– uno Scherzo
giovanile dedicato
al grande violinista Joachim e l'intensa Sonata
n.1 della piena maturità
–
all'ispirato e
potente Rondò di Schubert, dalla tesa e
incisiva Sonata di Poulenc alla memoria di
Garcìa Lorca alle atmosfere rarefatte dei
Quattro Pezzi di Webern. Scelte inusuali di due
interpreti coltissimi e di grande sensibilità,
capaci di dare vita a un concerto coerente ed
evocativo, sempre fluido nella sua rigorosa
compattezza. Per gli spettatori del Viotti
Festival è l'ennesimo appuntamento al quale non
mancare, ma è proprio vero che alla bellezza non
ci si abitua mai.
14 febbraio 2022 dalla
redazione
Davide Cabassi diretto da
Gábor Takács-Nagy per il concerto di Schnittke
Un impaginato rilevante
quello proposto ieri dall'Orchestra de I
Pomeriggi Musicali per l'occasione diretta da
Gábor Takács-Nagy. Tre compositori russi
eseguiti in ordine inverso al periodo storico
d'appartenenza. Prima Alfred Schnittke
(1934-1998) con il Concerto per pianoforte ed
archi, poi Dmitrij
Šostakoviç
(1906-1975) con la Suite "Amleto" op.32a,
e per
ultimo P.I.
Čaikovskij
(1840-1893) con la Suite n.4 in Sol minore
op.61 "Mozartiana". Tre lavori di
straordinario effetto musicale e d'immediata
presa emotiva. Nel concerto di Schnittke la
parte solistica è stata
sostenuta dal pianista milanese Davide Cabassi.
Schnittke, compositore eclettico, noto per il
suo approccio multi-stilistico derivante dalla
tradizione classica, ma influenzato da una serie
di riferimenti musicali che spaziano dalla
musica antica alla musica atonale, dal
neoclassicismo al minimalismo, a certo
spettralismo e anche al jazz, ha composto questo
interessantissimo Concerto per pianoforte e
archi nel 1979. È nei classici tre movimenti e
l'impiego solistico del pianoforte spazia da
momenti di semplice melodicità ad altri di
fragorose esternazioni timbriche che creano
situazioni di grande impatto sonoro.
La componente orchestrale degli archi svolge un
ruolo sia di sottolineatura dei colori
pianistici, che di organica co-participazione
alla resa compositiva. Cabassi ha sostenuto
molto bene la non facile parte pianistica in un
lavoro dove continui cambiamenti dinamici,
timbrici e ritmici comportano difficoltà
d'approccio da lui felicemente superate. Ottima
la direzione di Gábor Takács-Nagy, direttore
specializzato nel repertorio contemporaneo ma
anche valente interprete della musica meno
recente, come dimostrato dalla resa degli altri
due avvincenti lavori. Successo per il lavoro
del primo russo e ottimo il bis concesso da
Cabassi. Dapo il breve intervallo, di rilevanza
estetica la Suite composta da
Šostakoviç
per le musiche di scena di Amleto, una
serie di
tredici brevi ed intensi brani che hanno
esaltato le ottime qualità degli orchestrali
nelle varie sezioni. Altrettanto rilevante il
delizioso lavoro di
Čaikovskij
costruito su celebri temi mozartiani e sulle
dieci variazioni su un tema di Gluck del brano K
455. La Suite n.4 denominata " Mozartiana" ha
infatto uniti i deliziosi temi del salisburghese
ad un'atmosfera coloristica tipica di Čaikovskij.
Fondamentali gli interventi solistici degli
orchestrali: dal flauto, al clarinetto, dai
precisi ottoni alle incisive percussioni, e
soprattutto nel mirabile corposo intervento
solistico del primo violino Fatlinda Thaci che
ha ottimamente definito una delle più
intense variazioni mozartiane riorchestrate dal
compositore russo. Bravissima! Splendida la
direzione ed eccellenti le timbriche
dell'Orchestra de I Pomeriggi Musicali.
Sabato 12 febbraio alle 17.00 si replica. Da non
perdere!
11 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
Arcadi Volodos
per la
Società dei concerti
È tornato in Conservatorio il
pianista russo Arcadi Volodos in un recital
organizzato dalla Società dei Concerti.
Un impaginato ricco, con brani noti di Schubert
e Schumann, che ha pienamente soddisfatto il
pubblico presente in Sala Verdi. Il celebre
pianista, nato a Pietroburgo nel 1972, è tra i
migliori interpreti nel panorama internazionale,
noto anche per le sue significative
rielaborazioni, in senso virtuosistico, di molti
celebri lavori. La corposa
Sonata in re
maggiore D 850 di Franz Schubert ha
introdotto la serata. Un lavoro scritto in età
matura dal viennese, precisamente nel 1825. La
classicità della sonata si articola in quattro
movimenti ricalcando il sonatismo beethoveniano,
ma introducendo una varietà melodica tipica solo
del viennese. Volodos si è rivelato un
eccellente interprete schubertiano, capace di
una straordinaria discorsività mediata da un
peso delle dinamiche espresso in modo esemplare.
Passando da una leggerezza quasi impercettibile
dei pianissimo, sino alle robuste esternazioni
dei momenti più concitati. La chiarezza
espressiva è sembrata esemplare. Dopo il breve
intervallo ha affrontato un "tutto Schumann"
partendo dalle Kinderszenen op.15,
raccolta di 13 brani dedicati ai giovanissimi,
spesso brevi miniature di apparente facilità,
uniti nell'esecuzione, quasi senza soluzione di
continuità, alla celebre Fantasia in do
maggiore op.17.
Il netto salto virtuosistico
della fantasia ha rivelato ancor più le
abilità tecnico-espressiva dell' interprete che
ha costruito un disegno preciso e raffinato nel
definire i tre grandi poemi che compongono lo
straordinario e maturo lavoro del compositore
tedesco. Esecuzione di alto profilo estetico
quella di Volodo s, dove la sintesi discorsiva
che ha origine da uno studio accurato di ogni
dettaglio, sembra dispiegarsi in modo spontaneo,
senza alcun minimo cedimento per una
restituzione particolarmente espressiva.
Applausi fragorosi al termine del programma
ufficiale e ben cinque i bis offerti dal
generoso pianista. Partendo dal noto Vogel
als Prophet dall'op.82 di Schumann, poi i
più rari Rachmaninov con Melodie op.21 n.
e di Anatoly Lyadov il Preludio op.40 n.3 in
re minore. Quindi Scriabin. Splendido
concerto.
10 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
Andris Nelsons
dirige la Filarmonica della Scala
I concerti della Filarmonica
della Scala hanno visto ieri sul podio scaligero
il direttore lettone Andris Nelsons. Direttore
affermato internazionalmente, attualmente svolge
direzione stabile con la Boston Symphony
Orchestra e con la Gewandhausenorchester di
Lipsia. La scelta
tradizionale
dell'impaginato, ascoltato in un
teatro colmo di pubblico, prevedeva prima
Richard Wagner con il Preludio atto 1 dal
Lohengrin, introduzione all'opera del
1853, poi il Preludio e Incantesimo
del Venerdi Santo (dall'atto terzo) dal
Parsifal composti tra il 1878 e il 1882.
Dopo l'intervallo la Sinfonia n.7 in la
maggiore op.92 di L.v. Beethoven, lavoro del
1811, completava il programma. Il clima meditato
di Wagner ha trovato una valida direzione in
Nelsons che ha ottenuto ottime dinamiche, con
delicate e sottili escursioni volumetriche ben
rilevate dai Filarmonici. In seguito l'energia
discorsiva dei quattro movimenti della celebre
Settima Sinfonia beethoveniana ha quindi
portato gli eccellenti orchestrali ad esprimersi
meglio, con una definizione coloristica,
dinamica ed espressiva di alto livello, dal
Poco sostenuto. Vivace iniziale, sino al
rapido e ricco di energia Allegretto con brio
finale. Eccellente la resa direttoriale e la
complessiva restituzione in Beethoven e
fragorosi e meritati applausi al termine dal
pubblico presente. (Foto di G.Gori- Uff.Stampa Filarmonica della Scala)
8 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
Recital di Ferruccio
Furlanetto alla
Scala
Un programma impegnativo e
particolarmente drammatico quello affrontato
dal friulano Ferruccio Furlanetto al Teatro alla
Scala. Sono passati oltre quarant'anni da quel
lontano 1979, quando il celebre basso affrontò
per la prima volta il palcoscenico scaligero nel
Macbeth verdiano, nel ruolo di Banco, diretto da
Abbado. Il recital di ieri sera lo ha
visto accanto alla pianista Natalia Sidorenko-
eccellente in tutti i lavori- per affrontare
brani di Brahms,
Musorgskij, Rachmaninov,
Mozart, Massenet e Verdi. Brani che a parte
alcuni mozartiani, hanno rappresentato alta
drammaticità resa splendidamente dalla voce
voluminosa ed espressiva del cantante. Ha
iniziato dai maturi Quattro canti seri op.121
di Joahnnes Brahms, lieder composti nel 1896
che concludono con raro senso di smarrimento e
tristezza la carriera del grande compositore
amburghese, deceduto l'anno successivo. Quindi i
quattro Canti e danze della morte,
composti da Modest Musorgskij intorno al 1877,
hanno ancora messo in risalto la pregnante e
profonda voce di Furlanetto, seguiti ancora da
due toccanti brani di Sergej Rachmaninov, tra
cui Nel silenzio della morte misteriosa op.4
n.3. Dopo il breve intervallo, il ritorno
sul palcoscenico dei due interpreti ha trovato
un cambiamento di clima con tre brani di Mozart
tratti dal Flauto magico, dalle Nozze di Figaro
e dal Don Giovanni. Il carattere più dolce in
In diesen heil‘gen Hallen e quello più
spensierato in Non più andrai farfallone
amoroso e Madamina, il catalogo è questo,
hanno rivelato la duttilità del settantaduenne
cantante nel cambiare la sua timbrica vocale e
il suo stile espressivo, che trova sempre anche
una precisa ed adeguata resa attoriale rispetto
ai personaggi che interpreta. Il ritorno alla
drammaticità si è ripresentato con la Morte
di Don Chisciotte di Jules Massenet e ancor
più con la Morte di Boris, finale del
Boris Godunov di Musorgskij. Ancora drammatico
l'ultimo brano dell'impaginato con Ella
giammai m'amò dal Don Carlo verdiano.
Applausi sostenuti dal numeroso pubblico
intervenuto. Uno splendido bis concesso con
un'esemplare Cavatina di Aleko dall'opera
Aleko di Rachmaninov, intensamente espressiva.
Applausi meritatissimi per i due interpreti!
7 febbraio 2022 Cesare Guzzardella
Luca Buratto
a Villa Necchi Campiglio
I concerti organizzati dalla
Società del Quartetto di Milano
nell'ampio spazio coperto - ex tennis- di Villa
Necchi Campiglio hanno trovato ieri, nel tardo
pomeriggio, il pianista
milanese
Luca Buratto. Affermato nel panorama
concertistico internazionale, Buratto ha
impaginato un programma particolarmente vario
con Brani di Schumann, Debussy, Janá ček,
Adès, Crumb e Bartók.
Tredici lavori in un programma denominato "Nella
notte" studiato dal pianista in modo
intelligente, per un'esecuzione senza soluzione
di continuità, in modo da sembrare come una
grande suite dove i brani, pur essendo di
autori diversi e distanti nel tempo tra loro di
oltre 150
anni,
sono resi in stile unitario, con un clima
coloristico complessivo ben adeguato al clima
notturno. Cinque i brani di Schumann, quattro
quelli di Debussy, eseguiti in ordine sparso tra
gli autori di minore notorietà come Thomas Adès
(1971) e il suo Berceuse, da "The
Exterminating Angel o di George Crumb (1929) con
Dream Images da Mikrokosmos I, o di
compositori
eseguiti,
ma meno dei primi, come Janáček
e il suo Le nostre serate da "Sul
sentiero dei rovi o Bartók
con Musica notturna da "All'aria aperta".
Insomma un programma suggestivo che unifica
momenti compositivi differenti e che si è
concluso con lo splendido In der Nacht-Nella
notte dai Fantasiestüke op.12 di Schumann.
Applausi calorosi dopo il silenzio assoluto, in
uno spazio-tennis al completo. Generoso Buratto
nel concedere tre validi bis: Janáček
con Buonanotte, Debussy con Clair de
lune e l'amato Schumann con
l'ultimo dei
Canti dell'alba. Bravissimo!
6
febbraio 2022 Cesare Guzzardella
Roberto Cominati
per il concerto di Ildebrando Pizzetti
Un programma " Controcorrente"
quello proposto dall'Orchestra Sinfonica di
Milano "G.Verdi", che si ascolta raramente e che
è piaciuto molto al pubblico presente in
Auditorium
ieri
sera. Soprattutto il primo lavoro di Ildebrando
Pizzetti, col suo "Canti della stagione alta"
ovvero il Concerto per pianoforte e
orchestra, non viene mai proposto pur essendo di
indubbia qualità musicale. Composto nel 1930,
quando il musicista parmense aveva esattamente
cinquant'anni, il brano recupera quella
tradizione antica che veniva osteggiata dai
modernisti di quell'epoca. Le due parti del
lavoro, dove la seconda è in realtà formata da
un Adagio e da un Rondò, ha il
pianoforte come strumento centrale, ma anche
l'orchestra, per l'efficacia delle timbriche, ha
un ruolo importante. Il solista Roberto Cominati,
ottimo pianista cinquantaduenne napoletano,
vincitore nel 1993 del Primo premio
all'importante "Concorso Ferruccio Busoni" di
Bolzano, ha aspresso chiarezza discorsiva e
solida penetrazione nell'esprimere la non facile
parte pianistica, che, come quella orchestrale
diretta molto bene da Oleg Caetani , presenta
continui cambiamenti nella linea
melodico-armonica. Originalissimo il lavoro di
Pizzetti che speriamo torni presto nelle sale
milanesi e italiane. Di qualità i bis solistici
concessi da Cominati, con il primo brano assai
virtuosistico con un arrangiamento su valzer
viennesi e il secondo, di pregnante epressività,
con il Minuetto in sol minore HWV 434 di
G.F. Händel
nell'intenso
arrangiamento di Wilhelm Kempff. Dopo il breve
intervallo, Oleg Caetani ha ottimamente diretto
la Sinfonica Verdi nella Sinfonia n.2 in do
minore di Anton Bruckner. Composta nel
1871-72, è nei classici quattro movimenti e
ritrova il compositore austriaco, dopo la prima
sinfonia ascoltata recentemente, a cimentarsi in
un brano di ancor più ampio respiro. Valida
l'interpretazione fornita, con un'orchestra
rilevante in tutte le sezioni, anche nei più
concitati e appariscenti ottoni certamente di
rilevante qualità timbrica. Applausi convinti.
Domenica alle ore 16.00 si replica. Da non
perdere.
5 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
Pietro De Maria
diretto da James Feddeck nel concerto di
Schumann
Il Concerto per pianoforte
e orchestra in La minore op.54 di Robert
Schumann, cavallo di battaglia di tutti i
migliori pianisti, ha trovato solista al
pianoforte Pietro De Maria, un interprete
affermato e conosciuto, soprattutto nel
repertorio classico e romantico. Il celebre
Concerto in La minore venne completato e poi
eseguito a Desdra nel 1845 da Clara Wiech-Schumann.
Divenne da allora tra i più eseguiti "concerti
per pianoforte" e ancora oggi rimane
ineguagliato per brillantezza, tensione emotiva
ed equilibrio armonico. La non facile esecuzione,
che prevede un'importante integrazione con la
componente orchestrale, tanto da formare una
sorte di sinfonia con solista, è stata
affrontata con determinazione ed espressività da
De Maria. Molto bravo nei frangenti di tensione
volumetrica, è stato ancor più convincente nei
momenti di maggiore interiorizzazione, dove i
colori del pianoforte assumono un aspetto più
intimamente romantico, come nella cadenza dell'Allegro
affettuoso o nell'intenso tema dell'Andantino
grazioso centrale. Di qualità la direzione
di Feddeck e la resa strumentale dell'Orchestra
de I Pomeriggi. Applausi fragorosi dal
numeroso pubblico del Dal Verme e due splendidi
bis solistici concessi da De Maria: prima un
pregnante brano di J.P. Rameau,
Les Cyclopes,
eseguito con impeccabile precisione e chiarezza,
e poi un delicato ed intimo Schumann con
Eusebius da Carnaval op.9. Bravissimo!
Dopo la breve pausa, I Pomeriggi hanno
interpretato Mozart con la celebre Sinfonia
n.40 in Sol minore K 550. Valida la visione
complessiva di Feddeck che ha trovato il giusto
dosaggio coloristico nell'integrare i diversi
piani sonori che s'intrecciano
definendo con eleganza questo capolavoro del
grande salisburghese. Fragorosi gli applausi a
tutti i protagonisti. Sabato alle ore 17.00 si
replica. Da non perdere.
4 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
Il violoncello di Enrico
Dindo per la Società dei Concerti
Il violoncello protagonista
del concerto di ieri sera, quello di Enrico
Dindo, ha trovato un valido compagno di viaggio
col pianoforte di Carlo Guaitoli. Dindo ha
iniziato la sua brillante carriera solistica con
la vittoria, nel 1997, del Concorso
"Rostropovich", acquisendo, via via,
notorietà e diventando tra i migliori cellisti italiani ed
internazionali. Guaitoli, affermatosi in molti
concorsi internazionali, come il Casagrande di
Terni nel 1994 o il Busoni di Bolzano nel 1997,
ha trovato, oltre ad una brillante carriera
solistica nel repertorio classico, anche fama
tra i più giovani ascoltatori per via del
sodalizio musicale con Franco Battiato.
L'impaginato, interessante ed impegnativo, di
ieri sera, prevedeva musiche di Schumann, Brahms
e Miaskovsky. Dopo la frequentata
Phantasiestüke op.73 di Schumann e la
celeberrima Sonata n.1 in mi minore op.38
di Brahms, la rara Sonata n.2 in la minore
op.81 del compositore russo N.J.Miaskovsky (
1881-1950) ci ha permasso di conoscere un
artista poco eseguito, ma certamente di grande
raffinatezza musicale. Le qualità consolidate di
Dindo sono state espresse mirabilmente in tutti
tre
i lavori, e la sinergia con il pianista
Guatoli è stata ottima. Strumentista di precisa
e sensibile visione musicale, Guaitoli ha un
approccio asciutto e sicuro con la tastiera e
una visione complessiva dei brani di alto
livello. Con Dindo ha trovato la giusta
espressività nel supportare le linee melodiche
del voluminoso violoncello e, in alcuni
frangenti, come nel sostenuto Allegro finale
della sonata brahmsiana, il pianoforte ha
avuto ruolo determinante. Decisamente valida
l'interpretazione della sonata di Miaskovsky. Un
lavoro di rara bellezza che trova riferimento
soprattutto in Rachmaninov, ma anche in certo
Šostakoviç, come
nell'energico Allegro con spirito finale.
Applausi sostenuti e un bellissimo bis concesso
con una deliziosa ed intensa melodia di César
Cui. Il suo Cantabile ha ancor più
evidenziato la dolcezza del penetrante
violoncello del grande interprete torinese.
Applausi fragorosi al termine.
3 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
Il Vision String Quartet
in Conservatorio per la Società del Quartetto
È un gruppo di talenti di
sicuro valore quello che forma il Vision
String Quartet. Il concerto ascoltato ieri,
organizzato dalla Società del Quartetto,
ha visto sul palcoscenico di Sala Verdi, nel
Conservatorio milanese, Florian Willeitner al
violino, Daniel Stoll al violino, Sander Stuart
alla viola e Leonard Disselhorst al violoncello.
Quattro giovani che a Berlino, nel 2012 hanno
avuto la luminosa idea di mettersi in gioco in
una formazione quartettistica cha ha trovato in
breve tempo un meritato successo. Punto di
partenza anche la vincità del prestigioso
Concorso Internazionale Felix Mendelssohn di
Berlino nel 2016, seguito da molti altri primi
premi in altri importanti concorsi È una
formazione esemplare nell'eseguire il repertorio
tradizionale classico, ma che ha la
soddisfazione di dedicarsi anche ad \impaginati
più "moderni", che spaziano dal folk, al pop, al
funk e persino al jazz. Il programma del
concerto di ieri era però decisamente classico.
Prevedeva prima il Quartetto n.2 in la minore
op.13 di F. Mendelssohn e poi il
Quartetto n.13 in sol magg. op.106 di A.Dvo řak.
Due lavori importanti che hanno messo in rilievo
l'eccellente intesa dei quattro strumentisti.
Un equilibrio che sia nel più
estroverso e melodico quartetto giovanile del
lipsiano, composto nel 1827 da uno straordinario
Mendelssohn diciottenne, che in quello più
maturo e interiorizzato composto da Dvořak
nel 1895, rivela le raffinate qualità
del gruppo cameristico. I quattro, con i violini
e la viola suonati in piedi, hanno eseguito,
cosa assai rara, il quartetto di Dvořak
completamente a memoria, senza spartiti. Ottima
la discorsività e la resa
espressiva di entrambi i lavori con un Dvořak
di ancor più intensa
espressività. Applausi fragorosi dal mumeroso
pubblico intervenuto e un divertente "moderno"
bis con un brano denominato "samba"
eseguito tenendo violini e viola a "modo di
chitarra", pizzicando le corde, per una resa
ritmica e dinamica sorprendente. Applausi ancora
più fragorosi, al termine dal pubblico
entusiasta. Aspettiamo al più presto il
Vision String Quartet in un programma con
brani recenti come quelli del loro recente album
"Spectrum" di cui Samba fa parte.
2 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
Prossimo appuntamento a
Vercelli con Timothy Ridout alla viola e Frank
Dupree al pianoforte
Il prossimo
appuntamento con la classica al XXIV Viotti
Festival, sabato 5 febbraio (ore 21, concerto in
abbonamento) al Teatro Civico di Vercelli sarà
ancora una volta con ospiti eccellenti. Si
tratta di un duo solidissimo, composto da
interpreti molto giovani ma già acclamati in
tutto il mondo: Timothy Ridout, già capace a 26
anni di portare la viola al centro
dell'attenzione a livello internazionale, e il
pianista Frank
Dupree, 30 anni e una carriera di
successi anche come direttore d’orchestra e
jazzista. Due protagonisti d'eccezione che
brillano per passione e originalità, qualità
confermate dal programma proposto al pubblico
del Civico, nel quale la scelta dei brani riesce
a coniugare singolarità e rispetto dei “classici”,
premiando sempre la ricerca dell'espressività.
Si aprirà con Die Laune Aiolos (L'umore di Eolo,
eseguito per la prima volta nel 2014), del
compositore svizzero Richard Dubugnon: un brano
intenso ed evocativo nel quale viola e
pianoforte si inseguono in tempestosi passaggi
virtuosistici. La parte centrale del concerto
sarà poi musica 16 poesie di Heine, ma
soprattutto una struggente, pienamente “romantica”
storia d'amore, e poi con i Phantasiestücke
(1849), tre pezzi in forma di canzone che creano
un emozionante crescendo di tensione. La serata
si chiuderà quindi con una selezione di brani
dal balletto Romeo e Giulietta, qui proposti in
forma di suite per viola e pianoforte firmata da
Vadim Borisovskij: una scelta capace di esaltare
l'inventiva esuberante che contraddistingue il
capolavoro di Prokof’ev. Biglietti da 10 a 22 €
online sul sito
www.viottifestival.it o presso la
biglietteria “Viotti Club” via G. Ferraris 14,
Vercelli, dal lunedì al venerdì dalle 13 alle
18.50 –
Riduzioni per under 25, over 65, soci Coop.
Per informazioni
www.viottifestival.it
– email
biglietteria@viottifestival.it
– cell 329
1260732 l prossimo
appuntamento con il Viotti Festival è in
programma sabato 19 febbraio al Teatro Civico
(ore 21), con protagonisti Emmanuel Tjeknavorian
al violino e Kiron Atom Tellian al pianoforte.
1 febbraio 2022 dalla redazione
GENNAIO 2022
Due flauti e il pianoforte di
Bruno Canino alle "Serate Musicali"
Un concerto organizzato da
Serate Musicali
nell'elegante Sala Puccini
del Conservatorio milanese, ha visto un pianista
di classe quale Bruno Canino accompagnare due
flautisti di eccellente qualità quali il danese
-nativo di Budapest- Andras Adorján e l' udinese Luisa Sello.
Entrambi
noti in tutto il mondo, i due flautisti hanno
suonato insieme o in alternanza in brani di
Kuhlau, Mozart, Canino e Doppler. Il brillante
Trio in sol maggiore op .119 per due flauti e
pianoforte di Friedrich Kuhlau (1786-1832)
ha introdotto il concerto. Un brano che ha
subito rivelato le alte qualità dei flautisti e
l'abilità del pianista napoletano nel mettere in
rilievo le melodie flautistiche attraverso
timbriche luminose e perfettamente scandite.
Chiara e scorrevole la linea melodica e il
contrappunto dei due splendidi flauti. La più
nota Sonata per flauto e pianoforte in mi bem.
maggiore dal Quintetto KV 452 di
W.A.Mozart ha visto al flauto Adorján esprimersi
molto bene nei tre movimenti del classico brano,
coadiuvato ottimamente
da Canino. Ricordiamo che
Il Quintetto per pianoforte e fiati è stato
rielaborato dal compositore L.W. Lachnith (
1748-1820) e da Adorján stesso. Una delle novità
della serata è stata la prima esecuzione di un
lavoro di Bruno Canino (1935). Nella veste di
compositore e non solo di pianista, Canino ha
eseguito la sua Sestina per flauto e
pianoforte insieme a Luisa Sello. Un brano
di quasi sei minuti di durata, particolarmente
chiaro nell'enunciazioni timbriche, dove
l'importante parte pianistica è unita alla
fondamentale articolata timbrica del flauto. Il
brano è introdotto da una chiara linea melodica
dello strumento a fiato sorretto dalle
armonizzazioni
pianistiche, per poi trovare una
soluzione di dialogo tra le parti in un gioco
contrappuntistico ben scandito da entrambi gli
strumenti. Un lavoro di efficace resa espressiva
che sconfina in territorio atonale e che si
conclude con un'improvvisa brusca nota finale
accentuata dal pianoforte. Deciso apprezzamento
del pubblico presente in sala. L'ultimo lavoro
della serata, un'altrà novità, era la Sonata
per due flauti e pianoforte di Franz Doppler
( 1821-1883), flautista e compositore austriaco.
In prima esecuzione italiana, la Sonata di
Doppler si dipana in quattro movimenti ed è
caratterizzata da una ricca vena melodica
romantica di evidente estroversione. L'ottima
interpretazione dei tre protagonisti ha concluso
il programma ufficiale ma non la serata. Due
infatti i bis generosamente concessi, tra cui un' eccellente trascrizione del toccante Andante
dalla Sonata K 448 per due pianoforti di
W.A. Mozart. Applausi meritati.
29 gennaio 2022 Cesare
Guzzardella
Il violoncello di
Quirine Viersen diretto da Claus Peter Flor e
una novit à di Bizet-Ščedrin
per "la Verdi"
Il concerto diretto da Claus
Peter Flor, sul podio dell'Orchestra Sinfonica
di Milano, ha portato due brani nell'ottimo
impaginato scelto. Il primo, piuttosto eseguito,
era il Concerto n.1 in do maggiore per
violoncello ed orchestra di F. J. Haydn e il
secondo, certamente di raro ascolto, la
Carmen Suite di G.Bizet nella rielaborazione
del compositore moscovita Rodion Ščedrin.
Per il
coinvolgente brano iniziale la violoncellista
Quirine Viersen ha
sostenuto ottimamente il
ruolo da protagonista. La cinquantenne olandese,
solista affermata soprattutto nel nord-Europa,
ha trovato un giusto equilibrio per una
sinergica interazione con la Sinfonica Verdi,
ottimamente diretta da Flor. La sua dettagliata
interpretazione del concerto haydniano evidenzia
un'attitudine alla perfezione esecutiva che
abbiamo riscontrato in tutti i tre movimenti che
formano il classico concerto, dal Moderato
iniziale all'intenso Adagio centrale
interpretato magistralmente dalla Viersen, sino
all'estroverso Allegro finale. Scritto
da Haydn intorno al 1765, venne riscoperto
solamente nei primi anni '60 del secolo scorso
ed è un punto d'arrivo di
tutti i grandi violoncellisti. Valido il bis
concesso dalla bravissima Viersen con un ottimo
Bach particolarmente apprezzato dal pubblico.
Dopo il breve intervallo la rarità di Bizet-
Ščedrin ha rivelato le qualità
rielaborative del novantenne compositore russo
che ha saputo reinterpretari le celebri arie
tratte da Carmen utilizzando solo gli archi e le
percussioni. Quartanta minuti di musica quella
eseguita dagli eccellenti orchestrali, in grande
forma sia
nelle sezioni degli archi che in
quelle della ampie percussioni. La direzione
particolareggiata e attenta di Claus Peter Flor
ha sottolineato tutti i tredici momenti musicali
scelti da
Ščedrin
per definire il capolavoro lirico del francese,
momenti giocati sul contrasto, a volte tenue, a
volte incisivo, tra le melodiche dei violini,
delle viole, dei violoncelli e dei contrabbassi
e la ritmica percussiva spesso unita ai colori
melodici di marimbe, vibrafoni e glockenspiel.
Un lavoro di eccellente qualità
quello che
Ščedrin ha
dedicato alla moglie ballerina Majja Pliseckaja
nei primi anni '60, lavoro che meriterebbe di
entrare spesso nei repertori delle orchestre
italiane. Applausi sostenuti dal pubblico
presente in Auditorium. Prossime repliche
previste per questa sera, 28 gennaio e per
domenica 30 gennaio. Da non perdere!
28 gennaio 2022 Cesare
Guzzardella
Il duo
Hakhnazaryan-Tchaidze al Conservatorio milanese
Un programma romantico
particolarmente interessante quello di ieri sera
di Sala Verdi, organizzato nel Conservatorio
milanese da "Serate Musicali". Un duo di
ottima intesa formato dal violoncellista armeno
Narek Hakhnazaryan e dal pianista russo Georgy
Tchaidze. Hanno
impaginato
un programma con brani di Schumann, di Schubert
e di Mendelssohn. La Phantasienstücke op.73
(1849) , del primo tedesco, ha introdotto la
serata rivelando da subito la cifra stilistica
del duo. Un'intesa giocata su timbriche tenui,
di immediata discorsività, dove la fluidità
melodica del violoncellista si è ben inserita
nell'evoluto tessuto armonico pianistico di
Schumann. Di più coinvolgente emotività, per la
linearità dei temi, la Sonata in la
minore per arpeggione e pianoforte D.821
(1825) di Franz Schubert, nella più frequentata
trascrizione per violoncello. Particolarmente
conosciuta, la deliziosa sonata del viennese ha
trovato ancora
la
scioltezza del cellista e l'abilità
articolatoria del pianista per una efficace
fluida resa interpretativa. Dopo il breve
intervallo, la ingiustamente poco eseguita
Sonata n.2 in re maggiore per violoncello e
pianoforte op.58 di Felix Mendelsshon, ha
concluso il programma ufficiale. Il lavoro
composto nel 1843 dal musicista lipsiano è nel
classico stile brillante, con frangenti di
rapida esternazione, come avviene nel delizioso
Molto allegro e vivace finale. Le
repentine escursioni timbriche dei due
strumentisti hanno ancora messo in risalto
l'efficace intesa degli interpreti. Lunghi
applausi e due bis concessi: prima le
Variazioni sulla quarta corda da un tema di
Rossini tratto dal Mosè, di Niccolò
Paganini, eseguite virtuosisticamente da
Hakhnazaryan sulla corda più alta del
violoncello e poi l'Andante centrale
dalla Sonata per violoncello e pianoforte
di Sergej Rachmaninov. Applausi accorati dal
pubblico presente in Sala Verdi ed evidente
soddisfazione per gli interpreti.
25 gennaio 2022 Cesare
Guzzardella
I Capuleti
e i
Montecchi alla Scala
Continuano al Teatro alla
Scala le repliche dell'opera belliniana I
Capuleti e i Montecchi, lavoro del 1830 del
compositore catanese che non trovò mai grande
fortuna nelle rappresentazioni effettuate. Dalla
Scala mancava da quasi trentacinque anni e con
il nuovo allestimento di questi giorni, per la
direzione femminile della romana Speranza
Scappucci -
alla sua prima direzione lirica
scaligera- finalmente si è arrivati ad un
successo convinto. Il nuovo allestimento del
Teatro alla Scala, per la regia di Adrian Noble,
le scene di Tobias Hoheisel e i costumi di
Pertra Reinhardt, ha convinto il numerosissimo
pubblico presente in teatro nella terza
rappresentazione vista da me oggi, domenica 23.
Le ottime sinergie di tutte le componenti
presenti in scena, hanno trovato il punto di
forza nella sensibile direzione della Scappucci
deii bravissimi orchestrali scaligeri e nel
valido cast vocale. La Scappucci ha trovato
timbriche italianissime, delicate ed espressive,
per esprimere i colori sfumati di Bellini e per
esaltare le importanti voci soliste. Cinque le
voci in scena,
tre maschili e due femminile. Le
due principali protagoniste, il soprano Lisette
Oropesa, Giulietta, e il mezzosoprano
Marianne Crebassa, Romeo (en travesti),
sono state poi determinanti per l'indiscusso
successo del non facile lavoro. ( prime foto a
cura di Brescia e Amisano - archivio della
Scala)
La loro presenza scenica, specie nel secondo e
ultimo atto, ha risolto problematiche storiche
riguardanti proprio quest'ultima parte
dell'opera, parte un tempo non apprezzata e solo
recentemente rivalutata nella versione originale
di Bellini. Ottime anche le tre voci maschili
con il basso Jongmin Park nel ruolo di
Capellio, il tenore Jinxu Xiahou in
Tebaldo e l'inossidabile basso Michele
Pertusi in Lorenzo. Eccellenti quindi sia
la Giulietta di Lisette Oropesa che il
Romeo di Marianne Crebassa che oltre a
eccellere per coloristica e intonazione nelle
arie individuali, hanno trovato eccellenza nei
numerosi duetti presenti nell'opera, come nel
sofferto finale che vede la loro celebre morte.
Di alto livello, come sempre, il Coro del Teatro
alla Scala preparato da Alberto Marazzi.
Prossime repliche previste per il 30 gennaio e
il 2 febbraio. Assolutamente da non perdere.
23 gennaio 2022 Cesare
Guzzardella
Pietari Inkinen
dirige I Pomeriggi
Musicali in Bruckner
Un impaginato tutto dedicato
ad Anton Bruckner quello scelto dal direttore
quarantenne Pietari Inkinen alla guida dell'Orchestra
de I Pomeriggi Musicali. Ieri, nella replica
del pomeriggio di sabato, l' Ouverture in sol
minore prima, e la Sinfonia n. 1 in do
minore dopo,
hanno
riempito di note l'ampia sala del milanese
Teatro Dal Verme. Due brani di raro ascolto,
composti dal grande musicista e organista
austriaco pensando alla musica del tardo
romanticismo tedesco e a quella di Richard
Wagner. La produzione sinfonica di Bruckner ebbe
inizio in età matura, alla soglia dei
quarant'anni, è divenne copiosa fino a
raggiungere il numero "magico" di nove sinfonie
completate, la maggior parte di ampia
dilatazione musicale, come avvenne anche per il
suo collega Gustav Mahler. La delicata e più
tradizionale Ouverture in sol minore è
del 1862 e rappresenta uno dei primissimi lavori
sinfonici del viennese, già autore di molta
musica organistica, mentre la Sinfonia n.1 in
do minore ebbe un percorso compositivo più
travagliato e gli oltre cinquanta minuti di
musica, dipanati nei classici quattro movimenti,
sono da considerarsi tra le più brevi sinfonie
del compositore.
Composta
tra il 1865 e il 1866, spesso rimaneggiata,
contiene molte specificità tipiche dell'autore,
con frangenti di efficace linguaggio espressivo
tra situazioni di grande riflessività interiore
ed altri di grande estroversione timbrica ,
come nelle prime note dell'Allegro
iniziale. Il bravissimo direttore finlandese
Pietari Inkinen ha rivelato sicure attitudini
musicali verso la musica bruckneriana, dando una
prova significativa nella sua completa
esternazione musicale, ricca di dettagli e di
espressività. Bravissimi i numerosi strumentisti
dell'Orchestra de I Pomeriggi in ogni
sezione strumentale, dai numerosissimi archi ai
fragorosi ed efficaci ottoni, molto rilevanti
nella musica di Bruckner. Grande successo con
applausi fragorosi da parte del numerosissimo
pubblico presente in teatro. Un prova
decisamente valida!
23 gennaio 2022 Cesare
Guzzardella
Riccardo Chailly
e la
Filarmonica della Scala per Beethoven e Mahler.
Due Prime Sinfonie quelle
ascoltate ieri sera in replica al Teatro alla
Scala. Sul podio scaligero Riccardo Chailly ha
infatti proposto prima la Sinfonia n.1 in do
maggiore op.21 di L.v.Beethoven e poi la più
corposa Sinfonia n.1 in re maggiore "Titano"
di Gustav Mahler.
Due
lavori distanti tra loro circa 90 anni e
diventati entrambi classici del sinfonismo
musicale. L'orchestra beethoveniana, di medie
dimensioni, ha ereditato nel 1799-1800, anni
della realizzazione della sua "prima", le
esperienze della scuola classica hydniana e
mozartiana per un lavoro raffinato, ricco di
equilibrio e anche spensierato, come testimonia
il delizioso Allegro molto vivace che
conclude la sinfonia. Un'interpretazione di
grande equilibrio classico quella di Chailly,
con una restituzione orchestrale di eccellente
livello. Atmosfere più dilatate e contrastate
quelle della celebre prima mahleriana, un brano
di quasi sessanta minuti del 1888 che segna già
completamente
il
linguaggio del grande musicista viennese. C'è
già moltissimo Mahler nella prima sinfonia!
Modalità discorsive che partendo dal mondo
folcloristico austriaco, dal tardo romanticismo
tedesco e da quell'ampliamento delle timbriche
orchestrali sostenute dalla grandi orchestre
sinfoniche dall'ultimo romanticismo, portano
alla scrittura di capolavori divenuti dei
classici non da molti decenni. Riccardo Chailly
ha trovato il giusto equilibrio, senza eccessi
volumetrici, nel definire in modo chiaro ed
espressivo l'universo sonoro di Mahler. La
Filarmonica della Scala, splendida, in ogni
sezione strumentale, ha raggiunto pienamente gli
obiettivi prefissati dal direttore milanese, con
un traguardo di alta qualità assai apprezzato
dal numerosissimo pubblico presente in teatro
alla terza e ultima esecuzione. Applausi
scroscianti interminabili e numerose uscite del
Maestro.
21 gennaio 2022 Cesare
Guzzardella
Alvise Casellati e
Alessandro Taverna per
Mozart e Beethoven
La Fondazione La Società
dei Concerti ha portato in Sala Verdi
l'Orchestra Maderna, compagine nata a Forlì nel
1996 e diretta ieri sera in Conservatorio da
Alvise Casellati.
Protagonista
del primo brano in programma è stato il pianista
veneto Alessandro Taverna che ha sostenuto il
ruolo più importante nel Concerto n.9 in mi
bemolle maggiore K 271 "Jeunehomme" di
Mozart. È un brano nei classici tre movimenti
del salisburghese che segna una svolta di novità
e creatività nei lavori solistici del grande
compositore. Uscendo dal classico stile galante,
tipico di quel periodo storico, Mozart, in
questo noto lavoro del 1777, trova felici
momenti creativi nell'Allegro, nel
profondo Andantino centrale e soprattutto
nel Rondó.Presto finale, un movimento
particolarmente dilatato con all'interno un
improvvisato minuetto centrale.
Alessandro Taverna, coadiuvato con efficace resa
coloristica dalla giovanile Orchestra Maderna e
dall'ottima direzione, ha trovato un valido
equilibrio discorsivo, giocato su una delicata
ma sicura timbrica, ben articolata e trasparente.
La parte solistica, spesso in evidenza senza
accompagnamento,
ha
rivelato la rilevante cifra interpretativa del
pianista che ricordiamo aver iniziato la
carriera solistica a livello internazionale con
l'affermazione al Concorso Pianistico Leeds nel
2009. Sostenuti gli applausi del numeroso
pubblico intervenuto e valido il bis concesso da
Taverna con il delicato Cigno dal
Carnevale degli Animali di Camille
Saint-Saëns, eseguito con garbo coloristico e
rilevante espressività. Dopo il breve intervallo,
valida l'interpretazione della Quinta
Sinfonia di Beethoven, affrontata in modo
grintoso da Casellati, per una resa sicura,
chiara e ricca di energia specie nell'Allegro
finale. Fragorosi applausi al termine e come
bis ripetizione delle battute finali
dell'Allegro.
20 gennaio 2022 Cesare
Guzzardella
VIOTTI TEA
– L’APPUNTAMENTO
SETTIMANALE CON LA CLASSICA E I GIOVANI TALENTI
A VERCELLI
Nel Viotti Club, nuova sede
della Camerata Ducale, la tradizionale ora del t è
diventa l’ora della musica per ascoltare, in
pieno pomeriggio, i migliori talenti della nuova
generazione. In tempi di distanziamento, avere
l'occasione di assistere (naturalmente, nel
rispetto di tutte le norme di prevenzione) a un
concerto dal vivo in un luogo intimo e raccolto
come il Viotti Club di via Galileo Ferraris 14,
nel cuore di Vercelli, è
davvero
un lusso.E ci sono almeno due motivi per
apprezzarlo, se possibile, ancora di più. Il
primo è che quello di giovedì 20 gennaio (ore
17) è solo uno dei ben 11 concerti che il Viotti
Club proporrà da oggi fino alla fine di marzo.Un
cartellone fitto di giovani solisti già avviati
verso una prestigiosa carriera, ma anche una
rassegna settimanale pensata
– e realizzata pur
tra tante difficoltà
– per
portare davvero l'arte “vicino” allo spettatore:
il talento al servizio delle persone e della
difesa dei veri, fondamentali valori umani.Il
secondo motivo è che
giovedì 20 saranno di scena due solisti già ben
conosciuti al pubblico vercellese ed entrambi
molto amati. La violinistra Giulia Rimonda, 19
anni, figlia d’arte di Guido Rimonda e Cristina
Canziani, artista residente della Fondazione
Società dei Concerti di Milano, solista della
Camerata Ducale Junior, allieva di Salvatore
Accardo all'Accademia Chigiana e dell'Accademia
di Santa Cecilia. Josef Mossali, talentuoso
pianista, 21 anni, già ammirato lo scorso giugno
al Museo Leone nella rassegna Pianofortissimo e
acclamato “Giovane talento musicale
dell’anno”
in occasione del Festival Pianistico di Brescia
e Bergamo. Considerato che Rimonda e Mossali
proporranno brani di grande presa emotiva,
ovvero due Sonate di Franck e Prokofiev, il
pomeriggio al Viotti Club si annuncia come una
di quelle occasioni nelle quali sarà davvero
bello poter dire: io c'ero. Tanto più che
l'ingresso ha un costo estremamente contenuto,
ovvero 5 Euro. Tuttavia, visto il numero
limitato dei posti disponibili, è vivamente
consigliata la prenotazione, che si può
effettuare scrivendo a
biglietteria@viottifestival.it o telefonando al
329 1260732. Giovedì 20 gennaio 2022 Viotti Club
Via G. Ferraris, 14
– Vercelli Ore
17.00
Ingresso Euro 5 – capienza limitata
Giulia Rimonda violino
,
Josef Mossali pianoforte
Programma
C.
Franck- Sonata in la maggiore.
S.
Prokofiev - Sonata in re maggiore n. 2, op. 94
bis
Il prossimo
appuntamento con la rassegna VIOTTI TEA giovedì
27 gennaio (ore 17), Marco Carino pianoforte,
programma: L.van Beethoven Sonata n.2 in la
maggiore, op. 2 n. 2, J. Brahms Sonata n.2 in fa
diesis minore, op. 2, F.Liszt Leggenda di San
Francesco da Paola che cammina sulle onde, S.175
n.2 ufficio.stampa@camerataducale.it cell. 366
30 54 181
dalla redazione 19 gennaio
2020
Leonidas Kavakos
ed Enrico Pace per "Serate Musicali"
È tornato in Conservatorio,
ai concerti organizzati da "Serate Musicali",
un duo di altissima qualità. Quello formato
dal violinista greco Leonidas Kavakos e dal
pianista riminese Enrico Pace. Come già scritto
più volte in questi anni nelle pagine del
giornale,
un duo cameristico cha ha
pochi rivali nel panorama concertistico mondiale.
L'impaginato ascoltato ieri sera in
Sala
Verdi, prevedeva brani di Schubert, Schumann e
Beethoven. Tre lavori importanti tra cui uno
celeberrimo, la Sonata op.47 "A Kreutzer",
eseguita dopo il breve intervallo e due meno
noti, ma di altrettanto interesse: il tardo
classicismo di Franz Schubert con la Sonata
Duo n.4 in la maggiore D.574 (1817) e il
romanticismo più evoluto di Robert Schumann con
la Sonata n.2 in re minore Op.121"Grosse
Sonate" (1851), così denominata per via
della ingente dimensione. Le mirabili
interpretazioni dei due strumentisti, poggiano
su un equilibrio discorsivo e su un'accurata
divisione delle parti, in perfetta sinergia. Il
modo particolareggiato di scavare nelle
timbriche di entrambi i musicisti, ha nella
costante riflessione l'elemento centrale di
definizione per una cifra estetica di evidente
espressività. La discrezione sonora che
caratterizza entrambi è supportata dalla
consapevolezza di non voler mai esagerare con un
uso gratuito virtuosistico. Le timbriche erano
misurate ma con ampio spessore dinamico nella
più classica sonata di Schubert, sonata che
risente ancora dell'influenza mozartiana,
sebbene più sostanziosa delle
precedenti
tre "Sonatine". Nella corposa Sonata op.121
di Schumann il taglio timbrico è apparso
profondo, scavato e tormentato nelle melodie
violinistiche e nelle rielaborate armonizzazioni
pianistiche. Il risultato interpretativo è stato
sorprendente e quest'ultima sonata, certamente
tra le più complesse nell'esemplarità di tutti i
quattro movimenti, è stata resa in modo
comprensibile
dalla chiarezza analitica della
sua restituzione. A questo splendido lavoro si è
unito poi il capolavoro consolidato della
Sonata n.9 op.47 in la maggiore (1803). La
sua restituzione ha trovato ancora nella resa
analitica e dettagliata di Kavakos e di Pace il
punto di partenza per una esecuzione che ha nel
Finale.Presto il momento di più
estemporanea resa discorsiva. Peccato la brusca
interruzione nelle ultimissime battute - poi
ripetute- del Presto iniziale del primo
movimento, dovuta alla rottura di una corda del
violino di Kavakos. La ripresa è stata poi
compensata dal ritorno all'alta qualità
interpretativa. Applausi sostenuti dal numeroso
pubblico intervenuto e decisamente valido il bis
con una inserzione musicale ricca di folclore
tratta dalle rapsodie per violino e pianoforte
di Bela Bartok. Splendido concerto.
18 gennaio 2022 Cesare Guzzardella
Il direttore
Vincenzo Milletarì e la pianista Valentina
Lisitsa per le "Notti russe" dell' Auditorium
Il giovane direttore italiano
Vincenzo Milletarì è in questi giorni sul podio
dell'Auditorium di l.go Mahler per un programma
tutto russo che prevede musiche di
Čaikovskij,
Stravinskij e
Šostakoviç.
Un impaginato eseguito partendo dal brano più
recente del terzo russo, e che arrivare a quello
più lontano nel tempo, il celebre Concerto
per Pianoforte e Orchestra n.1 i si bem. minore
op.23 di P.I.
Čaikovskij,
brano composto nel 1874-75. La prima parte della
serata, con i primi due lavori, l'Ouverture
su temi popolari russi e circassi op.115
(1963) di Dmitri Šostakoviç e la Suite
"L'Uccello di fuoco" (1910 - 1919) di Igor
Stravinskij, hanno messo in risalto le qualità
direttoriali di Milletarì che ha ben espresso
l'anima musicale russa alla testa dell'Orchestra
Sinfonica di Milano G.Verdi, compagine
strumentale ben collaudata in questo repertorio.
Protagonista della seconda parte della serata-
quella ascoltata ieri sera in replica- la
celebre pianista ucraina - naturalizzata
statunitense- Valentina Lisitsa. Il Concerto
op.23, forse il più eseguito tra i concerti
pianistici, è cavallo di battaglia di tutti i
grandi interpreti.
Unisce alla bellezza melodica dei temi, tra cui
il celeberrimo tema iniziale, momenti di
raffinato virtuosismo pianistico, spesso
dominante sulla componente orchestrale. La
Lisitsa, attraverso un' esecuzione virtuosistica,
scorrevole e d'immediato
impatto timbrico, ha trovato una corretta
sinergia con l'Orchestra Verdi e con la valida
direzione di Milletarì. Un'interpretazione che
ha meritato pienamente il successo tributato dal
numerosissimo pubblico intervenuto. Applausi
fragorosi per tutti e, a conclusione. bis
solistico della Lisitsa con un
iper-virtuosistico Grande Polonaise brillante
dall' Op.22 di Chopin. Un'esecuzione
estemporanea, ricca di energia, che ha strappato
al pubblico ancora fragorosi applausi. Domenica,
alle ore 16.00, ultima replica. Da non perdere.
15 gennaio 2022 Cesare
Guzzardella
Prossimamente a Vercelli il
Concerto della CAMERATA DUCALE JUNIOR con
Benedetto Lupo
Al XXIV Viotti
Festival inizia un'”altra stagione”. Proprio
così, perché il concerto che andrà in scena
sabato 15 gennaio (ore 21) al Teatro Civico di
Vercelli –
con ingresso gratuito per gli spettatori under
25, a titolo promozionale e per avvicinare i
giovani alla musica
– sarà il primo dei 3 appuntamenti della
rassegna della CDJ - Camerata Ducale Junior. Il
termine Junior non deve trarre in inganno: si
riferisce unicamente all'età degli interpreti,
giovanissimi talenti della classica, e non al
livello della performance ormai apprezzato in
tutta
Italia. I Maestri preparatori
dell’ensemble CDJ sono affermati solisti di
livello internazionale, che quest’anno non
soltanto guideranno le prove ma si esibiranno
anche in concerto con i giovani interpreti,
dimostrando tutta la dedizione e l'inesauribile
entusiasmo di chi fa davvero della musica una
ragione di vita. In questo primo concerto,
l'onere e l'onore toccherà a Benedetto Lupo, uno
dei pianisti che rappresentano sul piano
artistico e didattico un punto di riferimento
per i giovani musicisti.Intorno a lui, la CDJ in
veste di quartetto d'archi, con Giulia Rimonda e
Riccardo Zamuner ai violini, Lorenzo Lombardo
alla viola e Luca Giovannini al violoncello,
quattro talenti provenienti dalle grandi
Accademie italiane, impegnati in due
composizioni di Schumann e Brahms di grande
fascino e appeal. C’è un altro motivo per non
mancare: il concerto è dedicato alla memoria del
professor Francesco Ottino, già docente, preside
e “colonna” della scuola vercellese, ma anche
grande appassionato di musica. Storico abbonato
del Viotti Festival, ha saputo coinvolgere e
interessare tanti giovani non solo nel mondo
della scuola, ma anche in quello dei concerti. I
3 concerti della CDJ
– Camerata
Ducale Junior non fanno parte della stagione in
abbonamento del Viotti Festival. E’
previsto l’ingresso
unico a 10 Euro, gratuito per i giovani under
25. Acquisto dei biglietti online sul sito
www.viottifestival.it
Benedetto Lupo,
pianoforte, Camerata
Ducale Junior, Giulia
Rimonda –
Riccardo Zamuner violini,
Lorenzo Lombardo viola,
Luca Giovannini violoncello.
Programma: J.
Brahms - Quartetto per pianoforte e archi in do
minore n.3 op. 60 ; R.
Schumann - Quintetto per pianoforte e archi in
mi b maggiore op. 44.
dalla redazione 12 gennaio
2022
L'addio alla Scala
di Waltraud Meier
Il mezzosoprano Waltraud
Meier ha dato l'addio al Teatro alla Scala con
un ultimo recital proprio nel giorno del
suo compleanno. Dopo quarantasei anni di
carriera, onorata sia nel teatro milanese che
nei più prestigiosi palcoscenici mondiali, la
Meier ha deciso di lasciare le esibizioni entro
il 2022 o nei primi mesi del 2023. Era il 1987
quando la Meier varcava per la prima volta il
teatro scaligero, diretta da Sawallisch nel
Cardillac di Paul Hindemith. Ieri sera
un
numeroso pubblico ha accolto la celebre cantante
in palcoscenico con fragorosi e lunghi applausi.
In compagnia del basso austriaco Günther
Groissböck, entrambi accompagnati al pianoforte
dall'ottimo Joseph Breinl, ha impaginato un
programma corposo e vario che prevedeva brani di
Rott, Bruckner, Wolf e Mahler. Alternandosi o in
duo, entrambi hanno dato prova di grande
espressività vocale. La potenza timbrica del più
giovane Groissböck ha introdotto il recital con
i brani di Hans Rott, di Anton Bruckner e i
primi di Hugo Wolf. Una voce voluminosa, da
basso profondo, precisa, dettagliata e di
notevole espressività, ha trovato un appoggio
sicuro e perfettamente calibrato nelle mani di
Joseph Breinl. Pianista specializzato nel
settore dei lieder, Breinl ha animato la serata
con un pianismo che dire di accompagnamento è
certamente riduttivo. Le valenze
melodico-armoniche, specie nei brani di Mahler,
sono state determinanti per il valore
complessivo della resa musicale. In Mahler e non
solo, vere e proprie orchestrazioni hanno messo
in risalto timbriche complesse e articolate che
solo un pianista di eccellenti qualità può
evidenziare in modo chiaro e convincente.
La
voce intensamente espressiva della Meier, si è
rivelata con ancor più intensità proprio nei
brani mahleriani, oltre che nell'eccellente
Erlkönig di Schubert - applauditissimo dal
pubblico- eseguito come bis. Ancora una volta
sono state rivelate le straordinarie qualitá
gestuali-attoriali della cantante. Al termine
del concerto il Sovrintendente e Direttore
artistico scaligero Dominique Meyer è salito sul
palcoscenico per salutare e ricordare a tutti
gli intervenuti le straordinarie qualità
artistiche dell'artista, sia nei momenti delle
grandi Prime scaligere, specie wagneriane, sia
nelle recite di tutto il mondo. Uno splendido
omaggio floreale e un manifesto incorniciato con
una grande locandina di una non lontana prima
wagneriana, sono stati donati alla cantante. La
Meier è poi intervenuta, con evidente emozione,
per ringraziare il pubblico italiano della Scala
che tanto ha contribuito ai suoi straordinari
successi. Un breve, divertente ulteriore bis a
tre ha concluso la splendida serata con ovazione
finale per Waltraud Meier.
10 gennaio 2022 Cesare
Guzzardella
A VERCELLI IL FESTIVAL INIZIA
IL NUOVO ANNO NEL SEGNO DI GLORIA CAMPANER
Il concerto che sabato 8
gennaio (ore 21, concerto in abbonamento) andrà
in scena al Teatro Civico di Vercelli sarà il
primo del 2022 nel cartellone del XXIV Viotti
Festival. E sarà dunque un appuntamento
importante per
almeno tre motivi: l'aspetto
simbolico, i contenuti musicali e la presenza di
una straordinaria pianista quale Gloria
Campaner.Simbolicamente, questo concerto apre un
anno che si annuncia ancora irto di difficoltà,
ma che nel cuore di tutti si spera possa
finalmente segnare l'uscita dall'emergenza
pandemica e sappia consolare il pubblico della
recente delusione per l’annullamento del
concerto di San Silvestro E il programma del
concerto aiuterà a recuperare una visione del
mondo in qualche misura più poetica e fiduciosa.
Gloria Campaner eseguirà infatti due capolavori
assoluti del repertorio pianistico, capaci di
coinvolgere, affascinare, commuovere. La Suite
bergamasque di Claude Debussy, opera di vibrante
e struggente bellezza che contiene, come un
tesoro racchiuso in uno scrigno prezioso, il
Clair de lune, forse tra i brani pianistici più
amati e conosciuti di ogni tempo, capace di
attraversare le epoche finendo addirittura per
comparire nelle colonne sonore di grandi film
hollywoodiani. Poi sarà la volta dei Preludi di
Frederyk Chopin, omaggio al Clavicembalo ben
temperato di J. S. Bach nel quale, in 24 brani
– uno per tonalità
– che a volte paiono quasi
dei frammenti, si compone un mondo di passioni
inquiete, sentimenti profondi, incessante
ricerca della bellezza.Una scelta musicale
esaltata dal valore dell'interprete. Gloria
Campaner, infatti, cammina da tempo con grazia e
bellezza sui palcoscenici internazionali
lasciando dietro di sé momenti unici.
Artista riconosciuta per i suoi molteplici
talenti, unisce al suo appassionato impegno
musicale un'incessante attività per la difesa
dei diritti umani.
Prossimi appuntamenti:
- sabato 15.1.2022, h. 21,
Teatro Civico di Vercelli, Benedetto Lupo,
pianoforte e la Camerata Ducale Junior
eseguiranno di Schumann Quintetto in mi b
maggiore, op. 44 e di Brahms il Quartetto in do
minore n.3 op. 60, concerto fuori abbonamento
3 gennaio 2022 dalla
redazione
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