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DICEMBRE 2023
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Un omaggio a Luciano
Chailly con
nuovi brani di giovani compositori al Museo del
Novecento
Ottima
l' iniziativa nel nome di SIGNUM-
L'umano, la poesia e il sogno nella scrittura
musicale, svoltasi ieri nella Sala Fontana
del Museo del Novecento milanese. Organizzata da
SIMC (Società italiana di musica
contemporanea) nel centenario della sua
fondazione, ha voluto omaggiare Luciano Chailly,
importante compositore del '900 al qual e
sono stati dedicati i brani dei giovani
compositori ascoltati ieri pomeriggio. Musiche
di Chailly erano state
eseguite
nel luglio dello scorso anno sempre in un
concerto di SIMC. Andrea Talmelli,
Presidente della SIMC, e Michele Fredrigotti,
noto pianista e compositore, hanno presentato
cinque giovani musicisti e i numerosi
strumentisti e cantanti interpreti delle loro
composizioni. L'Achrome Ensemble, gruppo
cameristico specializzato in musica
contemporanea, ed alcuni allievi della Civica
Scuola di Musica "Claudio Abbado", con l'ausilio,
in alcuni lavori, delle voci di Eleonora Colaci,
soprano, Marco Pangalli, baritono e Bo Shimmin,
tenore, hanno eseguito complessivamente sei
nuovi brani. I compositori stessi li hanno
presentati, ad iniziare da Cristina Maria Noli
col suo Sogni che tramutano i pensieri,
per flauto, clarinetto e violoncello, un lavoro
costruito in modo efficace nel dialogo
espressivo dei tre strumenti, ottimamente
interpretato rispettivamente da Antonella Bini,
Stefano Merighi e Martina Rudic. Il brano
successivo di Giuseppe
Gammino,
Planctus- dramma per ensemble, prevedeva
anche una regia per i movimenti del soprano
Eleonora Colaci e del baritono Marco Pangallo
realizzati nel contesto strumentale da Demetrio
Colaci. Un lavoro particolarmente incisivo,
molto attuale, che narra la triste vicenda di un
femminicidio. L'ottima voce della Colaci e la
parte, soprattutto recitata, di Pangallo, sono
state sottolineate dalle timbriche incisive e
suggestive dagli strumentisti dell' Achrome
Ensemble e dalle percussoni di Marco Martignoni,
tutto diretti con precisione di dettaglio da
Marcello Parolini. Una pièce musicale
particolarmente riuscita, quella di Gammino che
andrebbe certamente replicata in sale da
concerto o
luoghi
adatti. Il terzo lavoro, di Diego Petrella,
pianista e compositore, era denominato Tre
frammenti di Zürau, per pianoforte, voce e
cordiera. I testi di Franz Kafka hanno trovato
l'ottima parte pianistica affidata alle decise
mani di Michele Rinaldi, mentre la voce e gli
effetti integrativi sulla cordiera del
pianoforte erano dello stesso Petrella. Una
performance, quella di Petrella, che trova
ispirazione dalle pièce di Sylvano
Bussotti e che riesce a piacere per l'ottima
integrazioni delle varie componenti, la valida
parte pianistica cui si aggiunge l'intonatissima
aria fischiata nel finale dallo stesso
compositore-interprete. I due brani successivi,
When I have fears e Three screenshots
erano di Giorgio F. Dalla Villa. Il primo
per tenore e pianoforte con la valida voce di Bo
Shimmin e l'ottima parte pianistica interpretata
con sicurezza ed incisività da Alessandro Lotto.
Il secondo con l'Achrome Ensemble nel duo
di clarinetto/clarinetto basso e violoncello che
ha sottolineato in modo efficace i tre quadri
musicali di Dalla Villa ben delineati dagli
ottimi strumentisti Merighi e Rudic.
L'ultimo
brano in programma, Trasfigurazioni, di
Filippo Scaramucci, per cinque strumentisti
dell'Achrome Ensemble, sempre diretti da
Parolini, ha ritrovato ancora una valida resa
compositiva ed interpretativa. Tutti i brani
ascoltati ieri erano scritti con un linguaggio
articolato e chiaro nelle intenzioni, eseguiti
con grande professionalità e qualità di
restituzione, e -cosa non scontata nel mondo
della musica contemporanea- sono risultati
accessibili all'ascolto ottenendo meritati
applausi dal numeroso pubblico intervenuto in
Sala Fontana. Un'iniziativa di valore che
aggiunge un altro mattone alla maggiore
diffusione della musica contemporanea.
06-12-23 Cesare Guzzardella
L'Orchestra di Stato
del Kazakistan
e Gabriele Carcano alle Serate
Musicali
Un
sabato diverso per Serate Musicali, la
società concertistica milanese che ha nel lunedì
il suo giorno privilegiato per i concerti. Un
sabato, quello di ieri sera in Conservatorio,
dove si è potuto ascoltare una compagine
strumentale di ottima qualità quale l'Orchestra
di Stato del Kazakistan diretta benissimo da
Kanat
Omarov,
per tre lavori, ad iniziare dal rarissimo
Poema sinfonico Dudar-ay del compositore
Evgeny Grigorievich Brusilovsky ( 1905-1981),
autore, tra le numerose sue composizioni,
dell'Inno nazionale kazako. Un brano tonale
composto poco dopo il 1950 e diretto molto bene,
che ritrova nella musica folcloristica del suo
popolo le radici, partendo dalla canzone
popolare di Mariyam Zhagorkyzy e trovando spunti
nei canti della steppa euroasiatica. Gli altri
brani erano di Liszt e di Rachmaninov. Per il
non troppo frequentato Concerto n.2 in la
maggiore S.125 di Franz Liszt abbiamo
trovato come
protagonista
il pianista torinese Gabriele Carcano. Il
concerto è in un unico ampio movimento suddiviso
in numerosi andamenti sviluppati nell'originale
lavoro, tutto lisztiano, dove l'influenze tra
Chopin e Wagner vengono assorbite per una
restituzione esemplare ricca di contrasti, tra
la dolcezza delle melodie pianistiche e gli
interventi di grande impatto sonoro sia
dell'orchestra che del solista. Eccellente il
pianoforte di Carcano, preciso, delicato e
sicuro, mai eccessivo nelle volumetrie e ottima
la direzione e l'esternazione orchestrale molto
importante in questo lavoro. Efficace per
leggerezza ed espressività il bis solistico
concesso da Gabriele Carcano con Zart und
singend ( tenero e canterino), N.14
dall'Op.6 di Robert
Schumann,
eseguito con dolcezza e passione. Dopo il breve
intervallo abbiamo assistito ad una coinvolgente
interpretazione della corposa Sinfonia n.2 in
mi minore op.27 di Sergei Rachmaninov.
Un'idea delle eccellenti qualità della compagine
orchestrale - con molti giovani strumentisti- e
del suo direttore, è stata riconfermata
all'ascolto di questo capolavoro purtroppo poco
eseguito ma di grande pregio per la forte
personalità espressa dal grande compositore
russo. Un concerto quello di ieri che meritava
una Sala Verdi al completo e che ha trovato
invece un pubblico limitato.
3 dicembre 2023 Cesare
Guzzardella
AL CONSERVATORIO DI NOVARA
CONCERTO DEI VINCITORI DEL
CONCORSO“SERGIO FIORENTINO PIANO COMPETITION”
Tra le numerose iniziative di
cui si è fatto promotore in questi anni il
Conservatorio G. Cantelli di Novara, c’è, da tre
anni, un concorso pianistico intitolato a quello
che fu, nel breve giro d’anni tra il dopoguerra
e i primi anni ’50 uno dei più grandi pianisti
italiani, massimo rappresentante della gloriosa
‘scuola napoletana’: Sergio Fiorentino
(1927-1998) di cui pare che A. Benedetti
Michelangeli, dopo averlo ascoltato, abbia detto:
“E’ il solo altro pianista”. Il destino avverso
troncò assai presto la carriera, che si
annunciava folgorante, di questo grande Maestro:
nel 1953 scampò per miracolo ad un incidente
aereo, ma ne riportò uno schiacciamento
vertebrale, che, provocandogli lancinanti e
crescenti dolori alla schiena, gli impose di
lasciare le sale da concerto, dedicandosi
all’attività didattica presso il Conservatorio
di Napoli. Riprese, in verità, l’attività
concertistica nel 1991, riguadagnando una
qualche popolarità anche all’estero, ma ancora
la sorte si abbatté su di lui stroncandolo con
un infarto nel 1998. Di lui è rimasto molto
materiale registrato, ma certo il ricordo di
Sergio Fiorentino è sbiadito o addirittura
cancellato nella memoria dei più, e dunque
benissimo ha fatto il Cantelli a rinverdirlo,
istituendo la “Sergio Fiorentino Piano
Competition”. Tale concorso prevede due premi
distinti, lo Junior per gli under 19 e il Senior
per gli under 30 ( benché in questa edizione si
sia alzata l’asticella anagrafica a 32 anni): la
giuria, che contava al suo interno ben due
membri che furono tra gli ultimi allievi di
Fiorentino, Giuseppe Andaloro, presidente e
Mario Coppola, stimato e autorevole docente al
Cantelli, ha assegnato il primo premio della
categoria Junior a Massimo Urban, milanese
diciottenne e il secondo premio a Giulia
Falzarano, coetanea di Urban, da Airola,
provincia
di Benevento, entrambi già con un’esperienza
significativa di concerti e concorsi. Il primo
premio per la categoria Senior non è stato
assegnato. Il vincitore, col secondo premio, è
risultato il trentaduenne ucraino, Danylo
Saienko, anche lui naturalmente con una
abbondante serie di concorsi, tra i quali il
prestigioso Horowitz di Kiev, in cui ha vinto un
premio, e certo non alle prime armi nelle sale
da concerto. Questi tre vincitori sono stati i
protagonisti del concerto di ieri, sabato 2/12,
all’auditorium del Conservatorio Cantelli. Ha
dato inizio al recital la Falzarano, che ha
presentato l’Andante spianato e grande polacca
brillante op.22: massima padronanza della
tastiera, uso assai sobrio del pedale, suono
elegante che sa passare efficacemente dalla
delicatezza dell’Andante, all’energia dirompente
della polacca. Un po’ rigido il fraseggio e non
sempre impeccabile la gestione delle dinamiche,
ma la sua è stata un’esecuzione nel complesso
più che apprezzabile. Urban ha invece puntato
tutto sul pianismo di scrittura più ardua e
acrobatica: Rachmaninov, con l’Etude Tableau
op.39 n.6 e Liszt con la notissima Rapsodia
ungherese n.12. C’è davvero da restare
stupefatti di fronte alla straordinaria tecnica
di questo ragazzo, in particolare
nell’esecuzione di Rachmaninov: Urban supera in
scioltezza i passaggi più impervi della
partitura, sgranando con perlacea precisione
raffiche di note o suonando
gli
accordi più complicati, con un virtuosismo da
pianista maturo. Anche da parte di Urban abbiamo
notato un uso molto contenuto del pedale.
Complimenti davvero al giovanissimo talento
milanese, ma ci piacerebbe risentirlo su pezzi
magari meno acrobatici, ma che sollecitano un
fraseggio a maggior tasso di espressività.
Infine, il senior Solienko, che proponeva un
programma più ampio rispetto a quello dei due
juniores. Solienko si presentava al pubblico con
due raffinatissime composizioni dai Pièces de
Clavecin di Couperin, La Couperin e l’Engageante,
che ha ben interpretato nel vario alternarsi dei
timbri e delle armonie, con suono preciso e
duttile nel restituire il mutevole spessore
sonoro dei due pezzi. Elegante e preciso, fluido
nel fraseggio nei due successivi Preludi op.80
del pianista e compositore polacco Ignaz
Friedman (1882-1948), per poi virare anche lui
sul virtuosismo di uno Studio Trascendentale di
Liszt, il n. 8 ( e non 12, come riportato dal
programma di sala) “Chasse Neige” (Caccia
selvaggia): Di questo scatenato Presto furioso
abbiamo ascoltato certamente interpretazioni più
coinvolgenti, ma diremmo che Solienko abbia
raggiunto l’obiettivo interpretativo di questo
complesso pezzo: con potenza fisica più che
rispettabile della mano e del polso, e un
controllo sempre adeguato del suono, porre in
evidenza le nervose e sovreccitate figure che
attraversano il fraseggio, con incalzante
progressione, a imitazione del caos che
accompagna la battuta di caccia, con qualcosa di
vagamente demoniaco.
Meno
convincente ci è sembrato il fraseggio di
Solienko quando a questa ‘scena’ musicale ne
subentra un’altra di natura completamente
diversa, costruita su una sognante melodia, ove,
a nostro avviso, la scelta dinamica sugli
accordi ribattuti che sostengono la melodia non
ha reso in modo efficace l’estrema delicatezza,
quasi un pizzicato di un violino, che tali
accordi debbono presentare, sciupando l’effetto
espressivo che Liszt si proponeva. Ottima invece,
sotto il profilo tecnico ed espressivo
l’interpretazione de Los Requiebros dalle
Goyescas di Granados, così come quella dello
Studio op. 63 di Lutoslawski, una sorte di
Chopin rivisitato in chiave novecentesca. Un bel
concerto, con tre giovani concertisti
sicuramente dotati di talento, cui è aperto un
futuro ricco di soddisfazioni. Il lungo applauso
del folto pubblico che si assiepava
all’Auditorium testimoniava il successo del
recital.
3 dicembre 2023 Bruno Busca
Janine Jansen, Mischa
Maisky e Martha Argerich al Teatro alla Scala
Un
successo straordinario per un trio straordinario
nei nomi di Janine Jansen, Mischa Maisky e
Martha Argerich. Un violino, un violoncello e un
pianoforte per Haydn,
Šostakovič e Mendelssohn, tre grandissimi
musicisti interpretati come raramente si ascolta.
La disposizione non cronologica
dei brani, con il
Trio in sol
maggiore n.39
Hob XV:25
(1795) di
Joseph
Haydn seguito dal Trio in mi minore n.2 op.67
(1944)
di
Dmitrij
Šostakovič e, dopo l'intervallo,
dal
Trio in re minore n.1 op.49 (1839) di
Felix
Mendelssohn, trova probabilmente senso nella
durata dei lavori, con quello mendelssohniano di
relativa
maggior lunghezza,
e nel contrasto complessivo tra i brani.
Certo passare dal perfetto classicismo del
compositore di Rohrau della bassa Austria, al
segno forte ed incisivo dello strepitoso trio
del russo di San Pietroburgo, composto in piena
guerra nel 1944, è
un bel salto stilistico ed emotivo. Ma la
duttilità del trio Jansen- Maisky-Argerich,
eccellente in tutti gli ambiti, ha permesso di
far apprezzare al pubblico, al completo nel
Teatro alla Scala, tutti e tre i noti lavori,
con standing ovation al termine della
celebre Op.49 dell'amburghese. Musica in
perfetto equilibrio di ruolo per i tre
interpreti, con le sicure mani
dell'ottantaduenne pianista argentina che
delineavano armonicamente i tre brani, dettando
spesso gli andamenti più rapidi, come il
coinvolgente Rondò all'Ongarese, finale
del trio di Haydn, eseguito rapidamente e in
modo esemplare, ma anche nel bellissimo
Scherzo del trio di Mendelssohn, ripetuto
anche nel terzo bis. Stupefacente l'intesa dei
due archi, entrambi con vibrato eccellente e
simmetrica espressività, e con i dosati volumi
timbrici della Argerich, capace, come i colleghi,
e ancor più, di passare da i pianissimo
impercettibili a
suoni
di grande intensità. Di notevole espressività le
timbriche di Janine Jansen e di Mischa Maisky,
soprattutto nel brano più difficile, per varietà
di contrasti e per molteplicità stilistica,
quello di
Šostakovič
, un capolavoro iniziato
con dei sorprendenti armonici del violoncello di
Maisky, che rivela in toto, insieme a
molta sua musica sinfonica, il suo tipico
linguaggio sempre denso di espressività, lontana
dal romanticismo e vicina al mondo reale della
sua terra. Un successo meritatissimo quello dei
tre grandi interpreti e artisti. Pienamente
soddisfatti degli infiniti applausi del pubblico
entusiasta, hanno concesso poi tre bis. Oltre al
ripetuto Scherzo mendelssohniano già
citato, le splendide melodie distribuite trai i
tre strumenti del celebre Du bist die Ruh' ,
lied di Franz Schubert adattato a trio, e
del Duetto dai Phantasiestücke op.88
di Robert Schumann. Un concerto certamente
memorabile!
2 dicembre 2023 Cesare
Guzzardella
Musica all'Archivio
di Stato di Milano
Una
valida iniziativa quella organizzata e
riproposta all'Archivio di Stato di Milano da
Annalisa Rossi, Soprintendente archivistico e
Direttore dell'Archivio stesso che ha introdotto
l'incontro, e da Silvia Leggio, docente di
pianoforte al Conservatorio milanese. Ieri nel
tardo pomeriggio alcuni allievi di Conservatorio
particolarmente dotati hanno tenuto un concerto
in via Senato 10 rivelando indubbie
qualità
musicali. Tutti giovanissimi, con età tra i
dieci e i diciassette anni, frequentano corsi
musicali avanzati essendo già molto avanti negli
studi musicali. Francesco Avesio, Camilla
Stimolo, Anita e Beatrice Baldissin, Patrizia
Amane Di Lella e Martina Meola sono stati
presentati dalla prof.sa Leggio e hanno scelto
alcuni brani di notevole difficoltà tecnica per
rivelare le loro qualità strumentali. La
Fantasia Ungherese di J.K.Mertz
ha
trovato timbriche raffinate nella chitarra di F.
Avesio; la difficile post-romantica Sonata
n.2 op.19 (Andante) di Scriabin ha visto al
pianoforte l'ottima Patrizia Di Lella; molto
efficace la resa pianistica per Camilla Stimolo
nell'Introduzione e Rondò Capriccioso di
F. Mendelssohn; il primo movimento della
complessa Sonata n.1 op.105 di Robert
Schumann e Introduzione e Tarantella di
P.de Sarasate sono stati affrontati con grinta e
ottima resa dalle sorelle Anita, al pianoforte,
e Beatrice
Baldissin
al violino. A conclusione, la più giovane, un
talento pianistico indiscutibile quello di
Martina Meola - undici anni compiuti il 28
novembre- ha eseguito i brani più virtuosistici
del programma con Allegro de Concerto di
Granados prima, la Rapsodia Ungherese n.11
di Liszt dopo, e in aggiunta al programma
ufficiale, anche il celebre Liebesträume n.3
(Sogno d'amore) sempre del grande ungherese.
Interpretazioni quest'ultime che superano di
gran lunga quelle di decine di pianisti, anche
di livello, in carriera da decenni. La Meola è
stata l'ultima vincitrice del Premio del
Conservatorio milanese e
pur
avendo superato i dieci anni d'età solo due
giorni fa, è già in carriera concertistica anche
se gli ulteriori studi che deve fare non possono
che affinare ancor più le sue già eccellenti
qualità. Applausi meritatissimi dal numeroso
pubblico a tutti i giovani protagonisti e ottimo
aperitivo finale.
1 dicembre 2023 Cesare
Guzzardella
AL FESTIVAL CANTELLI DI
NOVARA PROTAGONISTI L’ORCHESTRA FEMMINILE DEL
MEDITERRANEO E IL GIOVANE VIOLONCELLISTA ETTORE
PAGANO
Non
poteva cadere in un momento più opportuno il
secondo concerto della nuova stagione del
Festival Cantelli, tenutosi al Teatro Coccia
ieri sera 30/11. In un momento in cui, anche per
recenti tragici episodi di violenza, la
condizione delle donne nella società del nostro
tempo si è imposta al centro del dibattito
pubblico, l’Associazione Amici della musica V.
Cocito, quasi “di spirito profetico dotata”,
come il Gioacchino da Fiore dantesco, ha
affidato il secondo appuntamento del Festival
Cantelli 2023-24 ad un’orchestra formata da sole
donne, diretta da una donna. Parliamo
dell’Orchestra Femminile del Mediterraneo (OFM),
fondata nel 2009 e diretta dalla sua fondatrice
Antonella De Angelis, flautista, diplomata in
direzione
d’orchestra,
avendo avuto Donato Renzetti come suo mentore e
con un’esperienza ormai abbastanza lunga sul
podio, che ha messo pienamente in luce il suo
valore, non solo in Italia, ma in giro per il
mondo. L’OFM, residente in Abruzzo, è
un’orchestra dal marcato carattere
internazionale: una parte significativa delle
strumentiste proviene infatti, oltre
naturalmente che dall’Italia, da ogni angolo
della Terra, dalla Grecia alla Germania, dalla
Corea al Brasile, per menzionare solo una parte
di un elenco molto più lungo. Come riportato dal
programma di sala, il riferimento al
Mediterraneo, luogo per eccellenza di
contrastanti diversità culturali, è ispirato dal
desiderio di fare di quest’orchestra uno spazio
per il confronto e lo scambio di diverse
esperienze in campo musicale, sottolineando come
sulle sponde di questo mare si affacciano Paesi
in cui le donne sono vittime di gravi condizioni
di diseguaglianza. Insomma un’orchestra che è di
per sé simbolo di uno dei problemi più
importanti dei nostri non proprio felici tempi,
ma anche della volontà delle donne di affermarsi
e resistere ad ogni tentativo di emarginarle od
opprimerle. Il programma del concerto proposto
dall’OFM è stato di grande interesse e vedeva,
accanto a tre compositori, anche la presenza di
due compositrici: Marianna Martines apriva la
prima parte del concerto, con l’Ouverture in Do
maggiore per due oboi, due corni e archi, e
Grazyna Bacewicz apriva la seconda con il
Concerto per orchestra d’archi. Nella prima
parte del concerto alla composizione della
Martines seguiva di F. J. Haydn il Concerto n. 2
in Re maggiore per violoncello e orchestra
Hob:VIIb:4, in cui la parte solistica era
affidata ad uno dei migliori e più celebri
violoncellisti della ‘generazione zero’, il
ventenne Ettore Pagano.
Nella
seconda parte, dopo il pezzo della Bacewicz,
seguiva Fratres di Arvo Part, nella versione per
violoncello, archi e percussioni, e di Giovanni
Sollima Aquilarco : Preludio per violoncello e
orchestra, in un arrangiamento dello stesso
Sollima per l’OFM (l’originale è per violoncello
solo) con, naturalmente Ettore Pagano ancora
solista al violoncello. Un programma, come si
vede, impaginato con un disegno logico rigoroso:
due compositrici al posto d’onore delle due
parti del concerto, la prima parte con due pezzi
del tardo settecento, la seconda tutta
novecentesca, entrambe chiuse da una
composizione per violoncello. Ma vi sono anche
legami meno evidenti, ad esempio quelli che
collegano le due composizioni della prima parte,
l’Ouverture di Martines, e il concerto di Haydn.
Marianna Martines, chi era costei? Sospettiamo
che non sarebbe solo don Abbondio a porsi questa
domanda, perché la Martines (1744-1812) è una
compositrice tanto celebre alla sua epoca,
quanto scivolata oggi nell’ombra. Figlia di un
alto diplomatico spagnolo, trascorse gran parte
della propria vita e morì a Vienna, ove divenne
una protagonista della vita musicale della città:
pupilla di Metastasio, e grazie a lui introdotta
a corte, ove fu assai apprezzata
dall’imperatrice Maria Teresa, amica di Haydn,
che le impartì i primi insegnamenti del
pianoforte (di qui il collegamento col concerto
di Haydn) e soprattutto di Mozart, col quale
suonava spesso il pianoforte a quattro mani e
che le dedicò, appunto, alcune composizioni per
pianoforte a quattro mani. Ammirata come
cantante, apprezzata come clavicembalista e
pianista, fu anche compositrice, e nel suo
catalogo, in cui prevalgono composizioni sacre,
quali Messe, oratori e mottetti, vi è anche
posto per composizioni profane, quali questa
Ouverture. In realtà più che di una Ouverture
nel significato che la parola assunse a partire
dall’800, si tratta di una sinfonia, divisa in
tre tempi, un Allegro moderato in forma sonata,
un Adagio centrale e un Rondò Allegro finale. E’
una composizione chiaramente improntata al
linguaggio musicale della Vienna di Haydn e
Mozart, ma con un tocco di sapienza compositiva
che si riconosce in particolare nei raffinati
impasti timbrici dell’Adagio tra oboi e corni,
sul tappeto sonoro degli archi, e sui
chiaroscuri con passaggi repentini al minore nel
Rondò finale. In generale si tratta di una
composizione di elegante grazia, opera di
un’autrice di gusto raffinato e che si è
appropriata con intelligenza del linguaggio
musicale della sua epoca. Ottima
l’interpretazione di De Angelis, che ha guidato
con finezza la sua orchestra nella resa migliore
delle qualità di questo pezzo, staccando i
giusti tempi per esprimere quella vena briosa e
brillante che impronta i tempi veloci e il
disteso lirismo, coi suoi effetti coloristici
piuttosto originali, del tempo lento. Con il
successivo concerto di Haydn entra in scena
Ettore Pagano, ormai affermatosi nelle nostre
sale da concerto e in un numero impressionante
di concorsi, di cui menzioniamo almeno il
prestigioso Khaciaturjan, come uno dei più
validi violoncellisti italiani del momento,
nonostante la sua giovanissima età. Il secondo
concerto per violoncello di Haydn (1783) è un
banco di prova ideale per consentire a Pagano di
esprimere il proprio talento, in tutti gli
aspetti, tecnici e interpretativi, della sua
personalità musicale. Subito, l’esposizione del
primo tema dell’Allegro moderato iniziale, un
aggraziato cantabile, affascina l’ascoltatore
per le qualità del suono di
Pagano,
un bellissimo suono omogeneo e pieno, di
cristallina musicalità negli acuti, che nel
secondo tema, esposto su un registro grave, si
carica di una tinta calda e di seducente
morbidezza. Il particolare sviluppo di questo
movimento, molto libero, è eseguito dal giovane
solista con un fraseggio di estrema fluidità,
che sa essere elegante e al tempo stesso
intensamente espressivo, grazie alla sensibilità
raffinata della gamma variegata dei registri
dinamici, esplorata con rara perizia, in tutta
la ricchezza dele sue sfumature, ma sempre
guidata da una cantabilità ‘violinistica’ di
grande suggestione emotiva. Il violoncello di
Pagano sa raggiungere vertici espressivi di
grande suggestione nell’Adagio, che è in
sostanza un assolo per violoncello, in
particolare quando attinge le zone acute, in cui
il suono perde ogni ‘meccanicità’ di un
virtuosismo puramente tecnico, per farsi pathos
vibrante, scavato alle radici stesse del suono.
Il finale Rondò, col suo rapido tema danzante di
robusto sapore popolareggiante tipicamente
haydniano, fa emergere infine tutta l’energia di
suono e il controllo tecnico di cui Pagano è
capace: ardue doppie corde, spiccati e
quant’altro diventano, nelle arcate sempre
limpide e precise del giovane Maestro, non mero
esibizionismo esteriore, ma mezzi espressivi che
intensificano lo splendore sonoro di questo
movimento, coinvolgendo emotivamente
l’ascoltatore. Grazie anche ad un’intesa
perfetta con l’orchestra, impeccabilmente
guidata da De Angelis nella scelta dei tempi e
nell’accurato controllo dei colori orchestrali,
Ettore Pagano ha offerto al pubblico una
bellissima esecuzione di questo gioiello del
classicismo viennese, che ha suscitato gli
applausi scroscianti e prolungati del pubblico.
La seconda parte del concerto è stata nuovamente
introdotta da una compositrice, la polacca
Grazyna Bacewicz (1909-1969), poco conosciuta
fuori dei confini della Polonia, ove è al
contrario una delle musiciste più amate e
stimate del ‘900: notevole violinista e
compositrice, soprattutto di musica per il suo
strumento, ma ieri sera presente con il suo
Concerto per orchestra d’archi (1948).
Composizione aliena da ogni sperimentalismo
avanguardistico seriale, allora in gran voga,
che pure si veniva affacciando anche in Polonia
con Lutoslawsky, di impianto fondamentalmente
tonale, questo concerto, diviso nei tradizionali
tre tempi, si caratterizza per il sapiente gioco
timbrico tra le diverse sezioni degli archi, in
cui talvolta il gruppo degli archi gravi sembra
proporsi quasi come il concertino del Concerto
grosso barocco, mentre si staccano talora dal
tutto orchestrale delicati assoli del violino,
della viola e del violoncello. I tre tempi
disegnano una sorta di percorso spirituale
ascendente, con un primo tempo ricco di
contrasti, nei temi, nelle dinamiche e nei
timbri, col ripetersi di un breve inciso
tematico che sembra esprimere tensione e
angoscia, al tempo lento centrale che è un canto
elegiaco di dolore, al finale più disteso e
luminoso. Il raffinato trattamento delle varie
sezioni degli archi, il gioco stupendo di colori
che la compositrice polacca riesce a ottenere (forse
retaggio di certi capolavori del compatriota
Szymanowsky, quali la sua Sinfonia n.3) sono
stati realizzati al meglio dall’impeccabile
esecuzione dell’OFM, sotto la sapiente bacchetta
di De Angelis,. Un plauso particolare, oltre
alla direttrice, va tributato al primo violino,
Patrizia De Carlo, alla prima viola Olga Moryn e
al primo violoncello Elisa Pennica. A seguire
uno dei più noti brani, di uno dei più celebri
autori contemporanei: Fratres di Arvo Pärt, in
una delle sue tante versioni, quella per
violoncello, archi e percussioni. E’ nei suoi
momenti di più rarefatta ed estatica sospensione,
quando l’orchestra e il violoncello sembrano ‘sfiorare’
il suono, che la tintinnabulazione di Part
sortisce gli effetti di più alta suggestione,
quasi ipnotica, sull’ascoltatore. Il suono del
violoncello di Pagano, venando il tappeto sonoro
degli archi e il ritmo appena scandito delle
percussioni di un sommesso respiro dal timbro
vellutato e sfumato all’estremo, crea un ‘aura
di mistero, che avvolge lo spettatore in una
dimensione indefinita. Eccellente prova e del
solista e dell’OFM con la sua direttrice, per la
scelta dei tempi, delle dinamiche dei colori, di
questo capolavoro. Il concerto si chiudeva con
un pezzo di quello che attualmente è il
violoncello stesso in Italia, all’estremo limite
delle sue possibilità sonore, cioè Giovanni
Sollima di cui è stato proposto, come detto
sopra, il Preludio di Aquilarco, arrangiato per
orchestra e violoncello. Come spiega lo stesso
Sollima, aquilarco è una parola che nasce dalla
fusione (crasi) di due parole, aquilone e arco,
quello del violoncello. Indica dunque una musica
che si libra come in volo, simile ad un aquilone,
la storia musicale di un volo insomma.
Nell’interpretazione di questo pezzo, Pagano ci
dà un’altra prova delle sue straordinarie
qualità d’interprete cavando dal suo violoncello
un suono che è energia pura, ritmicamente
travolgente, sostenuta da uno stile compositivo,
qui adottato da Sollima, molto vicino al
minimalismo: non a caso l’opera nacque su
commissione di un’etichetta musicale diretta
allora (1998) da Philipp Glass, uno dei padri
del minimalismo. E proprio l’energia pura del
violoncello di Pagano, abbandonandosi al ritmo
incalzante nella sua iteratività minimalistica e
sostenuto dall’orchestra, sempre efficacemente
diretta da De Angelis, ha davvero evocato coi
suoni la forza di un volo che non conosce
ostacoli, che libero da ogni limite spazia in
una sorta di ‘quarta dimensione’, quella magica
del suono e delle emozioni che essa sola sa
suscitare nella mente dell’uomo, quando
l’ascolta. Davvero un bellissimo concerto, che
non dimenticheremo, tra i più affascinanti
ascoltati a Novara negli ultimi anni e che ha
ricevuto dal pubblico, affollato in platea, il
giusto tributo di applausi, premiato con un bis,
il primo movimento della Suite per violoncello e
orchestra della compositrice contemporanea finlandese Viktoria Yangling: un pezzo molto
bello, costruito su un tema melodico di
struggente dolcezza.
1 dicembre 2023 Bruno Busca
NOVEMBRE 2023 -
La Nürnberger
Symphoniker di Darlington e il pianista Masleev
in Conservatorio
La
Nürnberger Symphoniker diretta da Jonathan
Darlington è stata protagonista della serata
organizzata dalla Società dei Concerti
con brani di Stravinskij, Rachmaninov e
Schumann. Il neoclassicismo stravinskijano, uno
dei molti modi di esprimersi del grande
compositore
russo, ha introdotto il concerto attraverso
Jeu de Cartes- Ballet en trois Donnes, una
musica per balletto scritta per il grande
coreografo Balanchine nel 1936 che rivela
l'abilità di Stravinskij nell' utilizzare le
esperienze passate per ricostruire un mondo
musicale fatto di timbriche geometriche,
oggettive nello sviluppo architettonico, adatte
agli equilibri simmetrici dei danzatori. Una
resa ricca di energia quella fornita da
Darlington e dalla sua
orchestra. Il secondo brano in programma, la
celebre Rapsodia su un tema di Paganini per
pianoforte e orchestra op.43 ha trovato un
protagonista d'eccezione nel nome di Dmitry
Masleev,
un
virtuoso del pianoforte venuto alla ribalta dopo
la prestigiosa vittoria del Concorso
Internazionale
Čaikovskij di Mosca nel 2015. Le 24
variazioni sul noto tema paganiniano, che il
secondo grande musicista russo della serata
prese da uno dei più
celebri Capricci
del virtuoso genovese, sono state esaltate
dall'incredibile tecnica del giovane pianista
russo che sembra rendere semplice ogni difficile
passaggio del brano. Coadiuvato dall'ottima
orchestra e dal direttore, Masleev ha deliniato
con chiarezza ogni dettaglio delle variazioni,
esprimendo, oltre che sicurezza, palpabile
espressività. Ancora in ambito virtuosistico il
bis solistico concesso con un noto brano di
Nicolai Kapustin: uno dei suoi studi più noti
tra il classico e il jazz,
il Concert Étude op.40 n.1, eseguito
senza un minimo cedimento nella rapida
successione ritmica e con rigore stilistico
impeccabile. Applausi fragorosi dal numeroso
pubblico presente in Sala Verdi. Dopo
l'intervallo, andando a ritroso nel tempo di
oltre cento anni dal brano di Rachmaninov, siamo
arrivati a Robert Schumann con la sua
Sinfonia n.2 in do magg. op.61.
Un'interpretazione chiara, dettagliata e ancora
energica quella di Darlington, tra i rapidi
movimenti laterali, due Allegri, un
delizioso Scherzo di grande equilibrio
formale e un intenso Adagio espressivo,
il movimento più caratterizzante dello splendido
ampio lavoro. Ancora intensi gli applausi e come
bis orchestrale la celebre Danza ungherese
n.5 di Johannes Brahms. Grande successo.
29 novembre
2023 Cesare Guzzardella
Le compositrici
da ri-scoprire al
Museo del Novecento milanese
Un
pomeriggio musicale di grande interesse quello
di ieri a Milano, nella Sala Fontana del Museo
del Novecento: musiche "al femminile" di
compositrici da scoprire o riscoprire, che ci
hanno rivelato qualità di scrittura musicale
assai importante, sono state eseguite in
occasione della Giornata internazionale contro
la violenza
sulle
donne. Brani di Mélanie Bonis (1858-1937) e
Cécile Chaminade (1857-1944), e della vivente
Simona Simonini (1943) sono stati interpretati
con espressività da Katia Caradonna e Silvia
Leggio, al pianoforte, e da Sergio Bonetti al
flauto. Un impaginato introdotto dal prof.
Enrico Reggiani, dell'Università Cattolica del
Sacro Cuore, il quale ha evidenziato
l'importante ruolo delle prime due compositrici
francesi nel contesto musicale del periodo
storico nel quale sono vissute, avendo spesso
anticipato modalità di scrittura di musicisti
entrati nella storia quali Debussy, Ravel,
Franck, Fauré ed altri ancora. Partendo da due
Valzer per
pianoforte
a quattro mani da "Suite en forme de valses"
della Bonis e continuando con i "6 Pièces
romantiques" della Chaminade, sempre a
quattro mani, si è passati poi al duo per flauto
e pianoforte di Bonetti-Caradonna (duo col nome
d'arte Art Music Youkali) per la "Sérénade
aux etoilés", sempre della Chaminade. Valido
il brano "Lamento" in Prima Esecuzione
Italiana della compositrice Simonini. Per
concludere, una più complessa "Sonata in do
diesis minore per flauto e pianoforte" della
Bonis.
Le
valide interpretazioni dei brani francesi, hanno
rivelato una musica abilmente costruita,
particolarmente delicata e trasparente,
rivelatrice di una forma d'eleganza tipicamente
francese che noi conosciamo dai compositori più
celebrati. Costruito molto bene, il lavoro di
Simona Simonini è un esempio di ottima scrittura
musicale con un segno forte nel dialogo tra
pianoforte e flauto mirabilmente interpretato
dal duo. Rilevante il bis con un Notturno
per flauto e pianoforte di Lili Boulanger
preceduto dalla lettura di due poesie di Emily
Dickinson. Applausi fragorosi dal folto pubblico.
28 novembre 2023 Cesare
Guzzardella
Giovanni Sollima
e le Suites per violoncello solo di Bach alle
Serate Musicali
Siamo
abituati ad ascoltare il violoncellista
palermitano Giovanni Sollima in programmi
diversificati, con brani classici in alternanza
a rivisitazioni o a suoi brani, essendo, oltre
che tra i migliori violoncellisti sulla scena
internazionale, anche rinomato compositore. Ieri
sera, al concerto di Serate Musicali, ha
voluto
impaginare
un programma tutto dedicato a J.S.Bach, con una
delle opere più note del genio tedesco, le
Sei Suites per Violoncello solo, lavori
composti presumibilmente nel periodo di Köthen
tra il 1717 e il 1723. Un concerto impegnativo
di circa due ore e tranta minuti di musica, dove
i sei brani sono stati eseguiti con una non
breve interruzione dopo le prime tre suites.
Questi capolavori rappresentano un cavallo di
battaglia per tutti i grandi interpreti, oltre
ad essere brani di importante valenza didattica
per gli studenti dei conservatori di musica. La
forte personalità interpretativa di Sollima non
è mai disgiunta dalla sua voglia di ri-creare.
Anche
eseguendo Bach ha voluto dire qualcosa di suo,
sia introducendo prima di ogni suite una
sorta di sua aria introduttiva di poche note,
sia mediante una linea interpretativa dove la
personalizzazione del materiale bachiano risulta
evidente. La sua sintesi discorsiva, con tempi
spesso rapidi, ha rivelato un Bach perfettamente
interiorizzato per un'esecuzione tutta a memoria
e per una restituzione di particolare valore
espressivo. La capacità di Sollima di ritrovare
colori antichi, con una tecnica atta a produrre
un carattere improvvisatorio risulta evidente.
Seguendo le direttive del grande di Eisenach,
Sollima ha eseguito la penultima suite,
quella in
do
minore utilizzando una "scordatura" delle
corde più basse ed interpretando l'ultima
suite, quella in re maggiore, con un
violoncello a cinque corde, ritrovando qui
colori diversi in registri più alti e mettendoci
ogni tanto qualcosa di suo. L'originalità delle
sue interpretazioni non si discute e
l'apprezzamento del pubblico è risultato
caloroso con applausi fragorosi continuativi.
Dopo il lungo Bach, il cellista siciliano ha
voluto omaggiare i numerosi presenti in Sala
Verdi con due sorprendenti bis, il primo un
Fandango di Sollima-Boccherini e il secondo
un classico di Sollima con un' antica melodia
popolare resa in modo straordinario
dall'infinita quantità di abbellimenti. Un
grande. (prime due foto di Alberto Panzani
Uff.stampa Serate Musicali)
28 novembre 2023 Cesare
Guzzardella
Ai Lieti Calici
milanesi Andrea
Trovato e Michele Fontana interpretano Galuppi
Una
mattinata molto interessante quella seguita ieri
agli Amici del Loggione del Teatro alla Scala
di via Silvio Pellico 6. La musica del
veneziano Baldassare Galuppi (1706-1785) è stata
evidenziata da due ottimi pianisti quali Andrea
Trovato e Michele Fontana alla rassegna Lieti
Calici. Attualmente i due interpreti sono
impegnati in un'integrale d'incisioni del
musicista di Burano per strumenti a tastiera.
Due incisioni sono già recentemente uscite con
alcune sonate eseguite al pianoforte da Fontana
e all'organo da Trovato. Il
concerto,
organizzato da Mario Marcarini, è stato
anticipato da una sua introduzione alla musica
del grande compositore-tastierista, quindi
alcune sonate sono state eseguite al pianoforte
prima da Fontana e poi da Trovato, con rilevanti
qualità interpretative.
Ascolti
registrati di alcune di esse sono stati anche
presentati nella versione organistica,
completate da una particolareggiata spiegazione
di Trovato che ha reso ancor più completa la
presentazione alla musica di Baldassare Galuppi.
Compositore fecondo nel campo strumentale e
operistico è purtroppo
molto trascurato ai giorni nostri. Un importante
musicista che andrebbe recuperato alle
esecuzioni in sala da concerto. I due interpreti
hanno anche concesso un fuori-programma con una
Sonata sempre di Galuppi eseguita a quattro mani.
Applausi calorosi e, come al solito, al termine
un brindisi con ottimi vini ben accompagnati da
cibi caldi.
27-11-23 Cesare Guzzardella
ORGANO E MUSICA DA CAMERA PER
I CONCERTI DEL SABATO DEL CONSERVATORIO G.
CANTELLI DI NOVARA
I ‘Concerti
del Sabato’, la lunga stagione, da novembre a
maggio, di concerti del Conservatorio G.
Cantelli di Novara, ha come sua caratteristica
accattivante quella di proporre all’ascolto
opere e autori in genere non molto eseguiti
nelle nostre sale da concerto ,ma, quasi sempre,
di notevole interesse e valore musicale. Così è
stato anche per il concerto di ieri, Sabato
25/11, impaginato su due composizioni di
sorprendente qualità, cui non ci pare
corrispondere adeguata fama presso il pubblico.
Parliamo della Sonata per organo n.11 in re min.
op.148, una delle venti sonate composte da
quello che fu uno dei più grandi organisti e
compositori per organo del secondo ‘800, Josef
Gabriel Rheinberger (1839-1901), nativo del
Lichtenstein, ma la cui vita musicale si svolse
prevalentemente in Germania. A suo tempo, fu
considerato il miglior compositore ottocentesco
per organo, dopo Mendelssohn. L’esecuzione della
sua Sonata n.11 era affidata al giovane
organista Giulio De Consoli, uno dei migliori
allievi della classe di organo del Cantelli, che
ha fornito un’ottima interpretazione di questo
gioiello della musica per organo a canne. Si
tratta di una composizione complessa, in quattro
movimenti, che riproducono lo schema classico
della Sinfonia che, sul tappeto sonoro di un
contrappunto
talora denso e complesso armonicamente, svolge
una trama musicale inquieta, ricca di contrasti,
tipicamente romantica, ma sempre espressa con
quella particolare nobiltà di suono che è
caratteristica di questo strumento. De Consoli,
con una gestione notevole, per sensibilità e
gusto, dell’agogica, dei piani dinamici e della
timbrica, unita ad una padronanza completa della
tecnica organistica, ha interpretato al meglio
questo pezzo, dall’Allegro molto iniziale, col
suo ritmo inquieto e incalzante, smorzato da
rare pause di quieta meditazione, e il cui tema
principale, variamente trasformato, ritorna in
tutta la sonata, alla bellissima Cantilena del
secondo tempo, il momento più affascinante della
sonata, un tempo lento (come vuole appunto, lo
schema della Sinfonia) in cui si sviluppa una
melodia di estatica cantabilità, che sembra
espandersi all’infinito e a cui
l’interpretazione di De Consoli ha dato il
carattere di una dolcissima preghiera.
Impeccabili, per precisione tecnica e finezza di
gusto interpretativo, anche l’esecuzione
dell’Intermezzo ( lo Scherzo della sinfonia),
con un Trio particolarmente suggestivo per il
carattere spigoloso e nervoso che lo impronta, e
infine quella della bella Fuga conclusiva, in
cui culmina il tessuto contrappuntistico della
Sonata. Si tratta, secondo una tendenza tipica
dell’800, di una fuga che subisce fortemente
l’influsso della forma sonata, sia per gli
sviluppi armonici, esclusi dalla forma classica,
bachiana, della fuga, sia per il maggior spazio
che acquistano materiali tematici e motivici
estranei allo schema
soggetto-risposta-contrasoggetto. Tutto questo
complesso mondo sonoro è stato evocato da De
Consoli con limpidezza nel disegno formale
dell’architettura del movimento, riscuotendo un
notevole successo di pubblico, che gli ha
tributato un lungo applauso. La seconda parte
del concerto ha invece proposto un Trio di Carl
Maria von Weber, quello in Sol min. op. 63, per
pianoforte, flauto e violoncello. Al pianoforte
sedeva Sofia Ripoldi, al flauto Martina Soffiati,
al violoncello Eleonora Sassone, tutte, anche
loro, apprezzate allieve del Cantelli. Questo
Trio op.63 (1819) di von Weber è un delizioso
cammeo zampillante di melodie ispirate da grazia
e da garbata eleganza, con qualche sentore
schubertiano qua e là: il sol minore di Weber è
certo altra cosa dal sol minore mozartiano. Le
tre giovani esecutrici, molto precise e sicure
nelle entrate e nel vario intreccio dei
rispettivi strumenti, sono state decisamente
brave nella resa dei suggestivi impasti timbrici
della composizione, che raggiungono il risultato
più alto nel Finale Allegro, di impagabile
felicità melodica. Bravi tutti e tre, ma un
plauso particolare va rivolto a Martina Soffiati,
davvero eccellente nelle parti in assolo che le
toccano nella sezione centrale dello Scherzo,
con un tema tra i più luminosi dell’intero pezzo,
e nel successivo Andante espressivo, lo Shlafer
Klage, il lamento del pastore, un’aria bucolica
di stampo francese, eseguita da Soffiati con
finezza ed eleganza perfette. Un piacevolissimo
concerto, che ha strappato prolungati applausi
al pubblico di fedeli frequentatori dei Sabati
del Cantelli, non ripagati da alcun bis.
25-11-23
Bruno Busca
Arthur & Lucas Jussen in
Auditorium per il concerto di Roukens
L'ottima serata musicale dell'Auditorium con
l'Orchestra Sinfonica di Milano ha visto
protagonisti una coppia di pianisti di fama
internazionale quali Arthur & Lucas Jussen per
un concerto in prima esecuzione italiana di Joey
Roukens denominato In Unison: Concerto per
due pianoforti e orchestra. Alla direzione
orchestrale Martijn Dendievel si è impegnato
successivamente anche nella Sinfonia n.4 in
fa minore op.36 di
Čajkovskij. L'olandese Roukens
ha composto il
concerto nel 2017 dedicandolo ai due fratelli
che lo eseguirono l'anno successivo.
È un brano in tre parti
che rivela influenze variegate da ricercarsi nel
mondo musicale classico, contemporaneo e anche
pop. L'impatto volumetrico iniziale di forte
resa, con i due pianoforti spesso all'unisono
contrapposti alle timbriche coinvolgenti
dell'orchestra, ha rivelato sonorità che
ricordano certa musica da film statunitense, pur
esprimendo il lavoro una qualità costruttiva ed
espressiva rilevante, giocata non solo sul
virtuosismo dei due pianisti ma anche sulle
timbriche spesso percussive dell'orchestra e sui
continui cambiamenti ritmici e di tempo.
Particolarmente significativo il riflessivo
movimento centrale costruito su un gioco di
risonanze ottenute con poche note sovrapposte
dei pianoforti. Un brano nel complesso di grande
effetto, molto coinvolgente, che è piaciuto al
numeroso pubblico presente in Auditorium. Valido
il bis solistico concesso da Arthur & Lucas
Jussen con un Bach trascritto per pianoforte a
quattro mani, precisamente Schafe können
sicher weiden BWV 208. Ancora fragorosi
applausi al termine del riuscito brano . Dopo il
breve intervallo, valida l'esecuzione della
Sinfonia n.4 op.36 di
Čajkovskij mediata dall'ottima direzione di
Martijn Dendievel e con una resa rilevante
d'insieme e di ogni sezione orchestrale.
Domenica alle 16.00 ci sarà
la replica. Da non
perdere.
25 novembre 2023 Cesare
Guzzardella
Ultime ripliche per Onegin
al Teatro alla Scala
Penultima replica quella vista ieri sera al
Teatro alla Scala di Onegin, balletto in tre
atti ispirato al poema di Aleksandr Puškin
su musica di
Cajkovskij
per la coreografia di John Cranko. L'avvincente
coreografia di Cranko
è presente alla Scala dal
1993 e da allora per molti cicli di
rappresentazioni ha ottenuto sempre un meritato
successo per la classicità della messinscena -
costruita sulle scene di Pierluigi Samaritani e
con i costumi di Samaritani e Roberta Guidi Di
Bagno - che trova sempre una rinnovata
freschezza di stile. Tra i protagonisti
dell'ottava rappresentazione, tutti bravi,
segnaliamo: Gabriele Corrado, Onegin,
Mattia Semperboni, Lenskij, Francesca
Podini, la Vedova Larina, Alice Mariani,
Tat'jana, Alessandra Vassallo, Ol'ga
Edoardo Capolaretti, Il Principe Gremin,
Serena Sarnataro, La nutrice.
Interessante ricordare che le musiche di scena
di
Čajkovskij sono rialaborazioni orchestrali di
Kurt-Heinz Stolze, collaboratore di Cranko
tratte soprattutto da brani pianistici
del grande russo come le Stagioni, ma
anche su poemi sinfonici quali Francesca da
Rimini e Romeo e Giulietta oltre che
dall’opera
I
capricci di Oksana o Vakula il fabbro.
La sintonia tra danza e musica risulta sempre
perfetta e i momenti topici sono rappresentati
dalle
musiche più
celebri. Di ottima
qualità la direzione orchestrale di Simon Hewett
alla guida dell'Orchestra del Teatro alla Scala.
Ultima rappresentazione per il 25 novembre. Lo
spettacolo risulta già tutto esaurito. ( Foto di
Brescia e Amisano dall'Archivio Scala)
23-11-2023 Cesare Guzzardella
Alessandro Bonato
e Federico Colli ai
Pomeriggi del Dal Verme
Di
ottima qualità l'anteprima del concerto
sinfonico ascoltata questa mattina al Teatro Dal
Verme con I Pomeriggi Musicali diretti da
Alessandro Bonato. In programma brani di
Rossini,
Šostakovič e Mozart. Una
scelta classica con lavori molto differenti che
hanno messo certamente in risalto le qualità
del giovane direttore d'orchestra. Dopo il brano
introduttivo, con una trasparente ed equilibrata
Sinfonia dall'opera La Cenerentola
di Gioachino Rossini,
è
entrato in palcoscenico il pianista bresciano
Federico Colli che insieme al trombettista
Sergio Casesi, ha sostenuto l'importante parte
pianistica del Concerto per pianoforte,
tromba ed archi in do minore op.35 di Dmitri
Šostakovič, non disgiunta dai fondamentali e
pregnanti interventi solistici di Casesi. Le
ottime sinergie dei due solisti con la direzione
di Bonato e gli ottimi
I
Pomeriggi, hanno permesso una resa
espressiva complessiva di alto livello estetico.
La minuziosa e dettagliata resa del pianoforte
di Colli, ha rilevato una cura timbrica precisa
per un lavoro molto contrastato sia
melodicamente che ritmicamente, ma risolto con
efficace e luminosa
discorsività e
resa sonora
dall'interprete. Efficaci anche le inserzioni
melodiche della tromba di Sergio Casesi nel
contesto orchestrale altrettanto curato e anche
nel dialogo con il pianoforte di Colli. Applausi
calorosi al termine. Valida poi
l'interpretazione della celebre Sinfonia n.41
in do maggiore K.551 "Jupiter" , sostenuta
con accurato equilibrio delle sezioni
orchestrali e con una ottima resa nel celebre
Molto allegro finale, apoteosi
contrappuntistica nella vasta produzione
sinfonica mozartiana. Questa sera alle 20.00 il
concerto ufficiale e Sabato alle 17.00 la
replica. Da non perdere.
23
novembre 2023
Cesare Guzzardella
Il
pianoforte di
Viacheslav Shelepov all'Accademia
di Musica Antica di Milano
Di qualità il concerto
ascoltato ieri sera, nella bellissima Sala del
Cenacolo del Museo "Leonardo da Vinci", in una
serata avente come protagonista il pianista
russo Viacheslav Shelepov , con
indiscusse
qualità d'interpretazione e con una scelta d'
impaginato che oltre al barocco italiano di
Cimorosa e Scarlatti inseriva, all'inizio e alla
fine del concerto, due ampie sonate di un'altro
italiano molto importante per l'evoluzione della
scuola tastieristica quale Muzio Clementi. Nelle
opere dei citati compositori, la prevalenza
musicale era quella legata a timbriche dal
sapore antico, in linea con la serie di concerti
organizzati dall'Accademia di Musica Antica di
Milano. Una scelta che ha cercato di esprimere
un percorso adatto al luogo e certamente
rappresentativo dei modi interpretativi del
trentaduenne pianista, nato a Barnaul in Russia
nel 1991 e allievo anche di Alexei Lubimov
importante interprete e didatta. Abituato
all'uso dei pianoforti storici, con i quali ha
vinto prestigiosi concorsi internazionali, qui
si è trovato invece con uno strumento recente di
ottima qualità, il classico Steinway & Sons.
Clementi, Cimarosa e Scarlatti si sono alternati
in un'ambiente particolare, dove la ridondanza
acustica della sala favoriva le sonorità più "semplici",
definite da linee melodiche non coperte da più
complesse armonie, conferendole quel senso "antico"
particolarmente godibile. Le armonizzazioni più
complesse di
Clementi
probabilmente meritavano un ambiente meno
riverberante. Estrapolando le situazioni
acustiche migliori per il pianoforte, abbiamo
comunque assistito ad un eccellente concerto
iniziato con Muzio Clementi e la sua Sonata
in fa minore op.13 n.6, proseguento con tre
Sonate di Domenico Cimarosa ( in Sol min., La
min. e Si bem.maggiore) alternate a quelle
di Domenico Scarlatti (K 35, K 147, K 77)
e terminando con l' evoluta Sonata in Sol
minore op.34 n.2 di Clementi, lavoro questo
- ma anche la prima - non minore per qualità
della produzione sonatistica beethoveniana.
Ottimo il pianismo di Shelepov, giocato su una
sintesi discorsiva ottenuta da una totale
interiorizzazione di ogni elemento musicale, con
contrasti volumetrici e dinamici adeguati e
approfondita esternazione nei momenti più
riflessivi, unita ad una cura dei dettagli non
comune. Di valore le due più corpose e
contrastate sonate di Clementi, autentici
capolavori che andrebbero eseguiti spesso nelle
sale da concerto. Applausi sostenuti e come bis
un'ottima interpretazione di un brano del russo
Michail Ivanovi č
Glinka.
23-11-2023
Cesare Guzzardella
Successo per gli "Artisti
in Residenza" della Società Dei Concerti
milanese
Grande successo per il
progetto Artisti in Residenza all'estero
promosso dalla Fondazione La Società dei
Concerti, che prosegue il proprio impegno a
sostegno delle nuove generazioni di musicisti.
Dopo i concerti in Germania, Islanda, Marocco, è
stata l'Arabia Saudita a ospitare per quattro
concerti tra Gedda (11 e 12 novembre) e Riad (14
e 15 novembre) gli Artisti in Residenza e in
particolare i giovanissimi componenti del
Quartetto Goldberg. Il tour è
stato
possibile grazie all' accordo con il Ministero
degli Affari Esteri e della Cooperazione
internazionale e al lavoro congiunto con
l'Ambasciata d'Italia a Riad e il Consolato
Generale d'Italia a Gedda. A dare ancor più
valore ai concerti del quartetto Goldberg è
stata la partecipazione alla European Music Week
che ha riunito musicisti e ensemble europei
durante una settimana di grande musica nel
prestigioso contesto del Saudi Music Hub a Riad.
La European Music Week, organizzata dalla
Delegazione dell'Unione Europea in
collaborazione con le Ambasciate europee in
Arabia Saudita è novità assolta e fin con la sua
prima edizione, vuole introdurre e diffondere la
ricchezza musicale europea al pubblico Saudita,
ponendo le basi per collaborazioni culturali
future tra Europa e Riad.Applauditissimi i
musicisti del Goldberg, richiamati più volte sul
palco dal numeroso pubblico presente e che hanno
eseguito, tra l'altro, brani di importanti
autori italiani da Boccherini a Verdi. La
trasferta in Arabia Saudita è solo uno dei tanti
momenti artistici che i ragazzi si trovano ad
affrontare in questo percorso: ogni lunedì al
Teatro Rosetum di Milano ospita a turno le
esibizioni di questi giovani e promettenti
talenti che si esercitano al contatto con il
pubblico. Un grande successo anche per la
Fondazione La società dei concerti che da oltre
40 anni lavora per la promozione e visibilità
dei giovani talenti italiani. Una missione che
ormai è il carattere fondamentale
dell’organizzazione guidata con grandissimo
impegno da Enrica Ciccarelli Mormone. (
Dall'Ufficio
Stampa Società dei Concerti )
22 novembre 2023 dalla
redazione
Fedor Rudin
e Boris Kusnezow alle
Serate Musicali
Erano già venuti nel
luglio del 2021 il violinista Fedor Rudin e il
pianista Boris Kusnezow, entrambi moscoviti.
Allora dicevamo:"un
duo cameristico particolarmente classico, dove
già dalle prime note è emerso un equilibrio
interpretativo di alto livello: chiarezza
espressiva, controllo delle dinamiche e rispetto
dei rispettivi ruoli, sono emersi in modo
evidente in tutti i brani".
Anche ieri sera, nel concerto ancora organizzato
da Serate Musicali,
ribadiamo queste caratteristiche, in un
repertorio questa volta ancora più moderno.
Due
brani di Edison Denisov (1929-1996) - nonno del
violinista Rudin - e uno di Prokofiev
(1891-1953), erano la parte più preponderante
della serata. In aggiunta, a metà percorso, un
Mozart (1756-1791) con la
Sonata per violino e
pianoforte in sol maggiore n.18 KV 301
eseguita con grande
equilibrio e rigore classico. Ma è nei brani del
'900 che abbiamo trovato uno spessore
interpretativo ancora più interessante. In
Denisov con la
Sonata per violino e pianoforte,
brano
del 1960, e con i
Tre pezzi da
concerto del 1958,
abbiamo trovato influenze che vanno da
Stravinskij, soprattutto nella sonata, a
Prokofiev,
in
antrambi i lavori. Una scrittura varia, a volte
melodica e spesso ricca di ritmica incisiva, dai
colori molto russi, espressa in modo impeccabile
dal duo, con un'intesa ottima e con volumetrie
mai eccessive. Anche la rara ma efficace
Sonata per violino e
pianoforte in fa minore n.1 op.80
di Prokofiev è stata resa
con efficace espressività dal duo. Un brano nel
tipico stile del grande musicista russo Applausi
sostenuti dai pochi fortunati ascoltatori
presenti in Sala Verdi e due bis concessi: prima
ancora Mozart con un elegante movimento centrale
della Sonata KV 454,
poi un omaggio del nipote Fedor al nonno Edison
Denisov con l'esecuzione di una breve ma
deliziosa Sonatina
manoscritta ritrovata solo
tre anni fa e restituita con intensa
espressività. Splendida serata. ( Foto
di Alberto Panzani- Uff. Stampa Serate Musicali)
21 novembre 2023 Cesare
Guzzardella
Tra due grandi compositori
classici la musica
di Orazio Sciortino allo Spazio-Teatro 89
di Milano
Un
concerto di ottima qualità musicale quello
offerto ieri pomeriggio allo Spazio Teatro 89
di Via Fratelli Zoia a Milano. Un programma
pianistico classico con brani di Schubert e
Haydn è stato inframmezzato
da un lavoro recente del compositore siciliano
Orazio Sciortino. Al pianoforte lo stesso
Sciortino- nella vita anche direttore
d'orchestra e appassionato di cucina- , ha
rivelato timbriche raffinate e profondità di
pensiero nei classici ed elevate qualità
compositive nella sua valida composizione. La
denominazione "Percorsi diversi-
viandanti
e viaggiatori fra realtà e immaginazione"
scelta per il concerto ha correttamente
individuato il percorso intrapreso che partendo
dai noti Drei Klavierstücke D 946 di
Franz Schubert (1797-1828), composti nell'ultimo
anno di vita del genio viennese, e terminando
con l'ultima Sonata di Franz Joseph Haydn
(1732-1809), quella in mi bem maggiore Hob 52,
ha trovato a "metà viaggio" le Promenades: 7
passeggiate immaginarie per sopravvivere a una
quarantena, un ottimo lavoro in sette parti
composto nel 2020 da Sciortino (1984) durante il
primo anno di pandemia. Pianista classico in
Schubert e Haydn, Sciortino ha rivelato un
pianismo di alto livello, molto attento
all'equilibrio complessivo delle composizioni,
riflessivo
ed
espressivo nel bel suono controllato e
dimamicamente ricco di delicati contrasti. Le
sue Promenades hanno rivelato varie
influenze dei maestri del '900, da Massiaen a
Ligeti ad altri ancora, ma con un impronta
complessiva personale giocata su evidenti
contrasti dinamici: dalle timbriche più scandite
di Awakenin -Risveglio e di
Unconscious Rag- Inconscio Rag, alla pacata
circolarità di Circular Waltz e ai ritmi
ben scanditi di Saltarello. Maggiore
riflessività negli ultimi tre lavori: Pain
Chain, A day dies dancing darkening e
Circular thoughts. Sette momenti musicali
di raffinata musica che anche al primo ascolto
si rivelano di ottima qualità. Applausi
meritatissimi e come bis un rarissimo ed intenso
brano del compositore boemo Josef Suk, la prima
dalle Summer Impressions op.22b, At Noon.
20 novembre 2023 Cesare
Guzzardella
L'Atelier musicale
alla Camera del lavoro
Prosegue settimanalmente la stagione musicale
alla Camera del lavoro milanese presso
l'Auditorium "G.Di Vittorio". Ieri per L'Atelier
musicale, rassegna concertistica arrivata al
XXIX° anno, con programmi particolarmente vari
che spaziano dalla musica jazz, alla classica,
alla contemporanea, abbiamo ascoltato un valido
duo formato dal giovane violinista Roberto
Arnoldi e dal pianista Fabio Locatelli.
L'impaginato prevedeva musica di compositori
viventi
quali
Mauro Porro (1956), Natale Arnoldi (1960),
Edoardo Bruni (1975) e Andrea Talmelli (1950),
ad eccezione di Franco Alfano (1876- 1954) del
quale è stata eseguita ad introduzione la sua
corposa Sonata in re (1923), rara
composizione di indubbia qualità che trova
riferimento ad autori suoi contemporanei quali
Debussy o Ravel. L'ottima esecuzione del duo ha
rivelato la valida cifra espressiva dei due
strumentisti. Ma è con i brani contemporanei,
introdotti da Paolo Repetto, ma anche
approfonditi da due dei compositori presenti in
sala quali Arnoldi e Talmelli, che il duo
cameristico ha rivelato l'ottima attitudine alla
musica dei nostri giorni. Prima il brano "Poi
si illuminò" di Porro, quindi tre brevi ed
interessanti lavori di Natale Arnoldi - padre
del violinista-, hanno dato un'impronta di
valida qualità al concerto.
Sia
i Capricci IV e V per violino solo ,
brani di Arnoldi che si rifanno ai noti capricci
paganiniani, che Praeludium per
pianoforte, sempre di Arnoldi, e tratto dal
Preludio n.12 del bachiano Clavicembalo ben
Temperato (Volume II), hanno rivelato l'ottima
fattura costruttiva ed espressiva del
compositore. Valida anche La Suite Modale
per violino solo di Bruni ai confini tra
tonalità e atonalità, e il conclusivo brano di
Talmelli, Composizione VIII 2.0 per
violino e pianoforte, presentata dal compositore
stesso e resa ottimamente dal duo. Un brano
questo di particolare interesse, dalle timbriche
marcate che ricordano certo espressionismo.
Applausi fragorosi dai presenti in Auditorium e
un ottimo bis con Ottorino Respighi e la sua
nota originale Humoresque. Prossimo
appuntamento per Sabato 25 novembre con
l'Umberto Petrin Trio.
19 novembre 2023 Cesare
Guzzardella
APERTO A
VERCELLI CON BENEDETTO LUPO IL VIOTTI FESTIVAL
DEL BICENTENARIO VIOTTIANO
Ieri
sera, sabato 18/11, al Teatro Civico di
Vercelli, è stata inaugurata la stagione del
Viotti Festival 2023/24, la XXVI. Una stagione
speciale: nel 2024 ricorre infatti il
bicentenario della morte appunto di G.B. Viotti,
nato in un borgo vicino Vercelli, Fontanetto Po,
e perciò considerato a tutti gli effetti
vercellese. Dunque una stagione che si
preannuncia ‘stellare’, per dovizia di concerti
di alto livello, con solisti prestigiosi, che
sono comunque sempre più, col volgere degli anni,
divenuti prerogativa di questo meraviglioso
cantiere musicale che è il ViottiFestival, con
la sua orchestra, la Camerata Ducale, sempre più
ringiovanita in tutte le sezioni strumentali,
coi suoi impareggiabili Cristina Canziani,
pianista e infaticabile Direttrice artistica
della Camerata Ducale e il Maestro Guido Rimonda,
violinista, Direttore d’orchestra, nonché
studioso appassionato dell’opera di Viotti, di
cui si può considerare oggi uno dei più esperti
conoscitori a livello internazionale. Grazie a
loro il
ViottiFestival
è diventato oggi un insostituibile punto di
riferimento per gli amanti della musica del
Piemonte orientale, e non solo, come
riconosciuto autorevolmente da un’importante
trasmissione radiofonica quale Radio Rai tre
Suite, che ha dedicato alla Ducale una recente
trasmissione in prima serata. E questo XXVI
Festival omaggia Viotti con una particolarità
nella programmazione dei concerti: in tutti i
concerti previsti vi sarà almeno un‘opera o un
brano di un’opera del grande Vercellese. Di
notevole interesse e intelligente impostazione
il programma di questa serata di debutto del
Festival: un programma che, in primo luogo,
comprendeva, com’era da attendersi, una
composizione di G.B.Viotti, rappresentata ieri
sera dall’Adagio del Concerto per pianoforte e
orchestra in Sol maggiore Wla:7. In verità si
tratta propriamente di una trascrizione per
pianoforte di un concerto per violino, opera del
compositore ceco Dussek, coevo e amico di Viotti:
non si tratta, per quanto ne sappiamo,
dell’unico esempio di trascrizione di un
concerto di Viotti: altre ve ne sono, a
testimonianza della popolarità di cui godé il
musicista di Vercelli ai suoi tempi. Questo
brano è stato sapientemente contestualizzato
nella sua epoca, proponendo composizioni di
autori come L. Cherubini, con l’Ouverture da
concerto in Sol maggiore (1815), L.van
Beethoven, col Concerto per pianoforte e
orchestra in Do maggiore n.1 op.15, e M.
Clementi con la sua Sinfonia più nota, anche se
raramente eseguita, la n.3 in Sol maggiore,
conosciuta come “The Great National”. Dunque un
percorso che si snoda attraverso la musica
strumentale italiana in un periodo cruciale, tra
Rivoluzione e Restaurazione, subito prima che
essa ceda il primato alla musica vocale del
Teatro d’Opera, e, pur con la sua irriducibile
peculiarità, capace di influenzare la
contemporanea musica europea, anche grazie alla
fitta rete di contatti che i nostri musicisti
ebbero con l’Europa: ne sono esempio proprio i
tre autori eseguiti ieri sera, due dei quali ,
Viotti e Clementi, morirono in Gran Bretagna,
Cherubini a Parigi, nientedimeno che come
Direttore del Conservatorio. Non certo a caso
Beethoven, il geniale esponente di quell’altra
cultura musicale che dominerà in Europa per
circa un secolo nel campo della musica
strumentale,
non nascose la propria ammirazione per Viotti e
per la musica pianistica di Clementi . Ma la
serata regalava al pubblico un altro dono
prezioso: uno dei più grandi pianisti italiani
d’oggi, quel Benedetto Lupo, che ormai dal
lontano 1989, quando ottenne un’importante
affermazione al prestigioso concorso van
Cliburn, è divenuto uno degli interpreti più
ammirati, anche fuori d’Italia, della musica
pianistica. Il XXVI ViottiFestival si è dunque
aperto con l’Ouverture da Concerto di Cherubini,
perfettamente adeguata a tale ruolo di apertura,
col suo tono di scultorea solennità neoclassica,
soprattutto nel tema introduttivo. Ma la
compostezza neoclassica vibra dei primi fermenti
di un nuovo clima musicale, romanticamente
ispirato, che imprime a questa Ouverture un
andamento fatto di contrasti tra momenti di
impeto quasi beethoveniano e altri di più
limpida e distesa melodiosità. Guido Rimonda,
alla testa della Camerata Ducale ha fornito di
quest’opera del compositore fiorentino un’ottima
interpretazione, valorizzandone i suggestivi
chiaroscuri con una efficace gestione dei piani
dinamici e della timbrica., con puntuali scelte
agogiche, sostenute da una energia ben calibrata
nei momenti di maggior tensione emotiva.
L’interpretazione che Lupo ha fornito del
Concerto n.1 di Beethoven ha toccato vertici di
rara bellezza. La sensibilità infallibile che
guida il suo fraseggio e l’equilibrio perfetto
tra dominio tecnico della tastiera ed abbandono
emotivo, hanno illuminato questa partitura di
una bellezza davvero coinvolgente. Il suono di
Lupo, sempre timbricamente vario e finissimo
nelle dinamiche, è subito apparso in tutta la
sua meravigliosa tessitura fin dal suo ingresso
nell’esposizione dell’iniziale Allegro con brio,
un ingresso delicato, di limpida calma, che nel
fraseggio di Lupo si carica di dolce distensione
e di un colore di raffinata tessitura, che nel
corso del successivo sviluppo sa farsi densa e
brillante, con una ricchezza e ‘rotondità’ di
suono piacevolissimi all’ascolto, anche nel tema
principale, di schietto sapore ‘militare’,
secondo una moda tipica dell’età napoleonica.
Per riconoscimento unanime, il vertice di questo
concerto beethoveniano è il Largo centrale, uno
degli esiti più alti del c.d. ‘primo stile’ del
grande di Bonn. Tutte le qualità dello stile
interpretativo di Lupo vengono esaltate dal
colore morbido e suggestivo che nasce dal
dialogo coi fiati e in particolare coi
clarinetti, su cui Beethoven impernia il
movimento. Il primo tema di questo magico Largo
è esposto proprio dal pianoforte, con un’arcata
melodica, abbellita da gruppetti e trilli, che
Lupo sfrutta sapientemente per colorire di una
delicata aura lirica lo splendido motivo. E’
proprio questo carattere introspettivo del
secondo movimento, che Lupo esplora in tutta
l’iridescente varietà delle sue sfumature e
ombreggiature, timbriche e dinamiche, che tocca
vertici di ineffabile lirismo nel ‘notturno’
successivo alla ripresa e nel rinnovato dialogo
tra pianoforte clarinetto, in una delle più
memorabili ‘code’ che Beethoven abbia scritto
per i suoi concerti. La perfezione di tutti i
parametri di un’esecuzione pianistica, con cui
Lupo interpreta il finale, gioioso Rondò,
conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che con
Benedetto Lupo ci troviamo di fronte ad un
pianista che, con un’ espressione oggi di moda,
dobbiamo considerare ‘di riferimento’. Sappiamo
bene che ogni confronto e richiamo a grandi
esempi di un passato ormai lontano lascia il
tempo che trova, però ci sentiamo di dire che in
alcuni momenti ci è parso di risentire almeno
l’eco del suono di A. Benedetti Michelangeli.
Ovviamente l’eccellente qualità interpretativa
di questo concerto n.1 di Beethoven è stata
anche dovuta all’ottima direzione di Rimonda,
che ha saputo valorizzare al meglio sia la
scintillante coloratura timbrica dell’Allegro
con brio e del Rondò,, sia il colore più
attenuato e sfumato del Largo, con scelte
agogiche e dinamiche sempre pienamente azzeccate
e guidando con la sapienza dello scaltrito
interprete il dialogo tra orchestra, e in
particolare i fiati, e il pianoforte. L’Adagio
del concerto per pianoforte di Viotti-Dussek è
un pezzo molto breve, di luminosa melodiosità ,
soffusa di una sottile vena di malinconia,
appena increspata da un inciso ritmicamente più
mosso, quasi un sussulto dell’anima. Non essendo
stato disponibile un programma di sala (come mai?),
ignoriamo a quale concerto appartenga questo
Adagio e dunque la sua datazione, tuttavia ci
sembra l’opera di un Viotti che unisce
cantabilità italiana e i primi fermenti di un
sorgente romanticismo. Lupo non ha concesso bis
e dopo l’intervallo la serata si è chiusa con la
sinfonia n.3 Great National. Essa appartiene al
gruppo delle 4 sinfonie c.d. ‘della maturità’,
perché composte a Londra (dopo i due soggiorni
di Haydn tra 1791 e 1795). Le partiture di
queste sinfonie ci sono giunte in condizioni
precarie e ciò che oggi ascoltiamo si deve in
gran parte alla ricostruzione del pianista e
musicologo Pietro Spada. Al di là
dell’impeccabile esecuzione di G. Rimonda e
della Camerata Ducale, questa sinfonia di
Clementi ci è parsa francamente mediocre:
improntata ad una pomposità tutta esteriore,
sottolineata dai frequenti interventi del
trombone, e culminante nella insistita
evocazione dell’inno nazionale inglese (da qui
il titolo) si svolge in un succedersi dei temi
prolisso e ripetitivo sino alla monotonia, senza
che il materiale musicale e il suo svolgimento
siano mai illuminati da un guizzo di fantasia,
da un qualche momento di invenzione e di
originalità. Di un certo interesse è, in questa
sinfonia, la presenza di frequenti passaggi in
contrappunto, tecnica che Clementi ebbe sempre
cara. Per il resto, si tratta di una
composizione che conferma pienamente, a nostro
avviso, lo sprezzante giudizio di Mozart sulle
sonate pianistiche di Clementi ( e in questo
caso un po’ troppo duro): “mecanicus”, definì
Mozart il musicista italiano, e il termine non
abbisogna, crediamo, di spiegazioni. Di fronte a
questa sinfonia sorge spontanea la domanda:
perché una cultura musicale ancora viva nella
musica strumentale, che fornisce ancora modelli
a un genere quale il concerto, soprattutto per
violino, una volta esauritasi la forma del
Concerto grosso, non fu capace di misurarsi col
nuovo genere della Sinfonia? Gli applausi del
pubblico, vicino al ‘tutto esaurito’ e con molti
giovani e giovanissimi in platea, hanno indotto
Rimonda a concedere un bis, il Minuetto della
‘Great National’. E’ stato un concerto di grande
successo, il primo di una lunga serie.
19 novembre 2023 Bruno Busca
Bookcity Università 2023
in Conservatorio tra letteratura e musica
Ottima
l'iniziativa che ha unito il Conservatorio
milanese con Bookcity Milano 2023, la
fortunata rassegna di lettura e libri che da
alcuni anni ritorna puntualmente a Milano. In
Sala Puccini Luca Schieppati e Stefania Mormone
hanno introdotto la lunga serata musicale
presentando alcuni dei migliori
studenti
del Conservatorio milanese in un percorso di
brani legati al tema di quest'anno scelto per
Bookcity: Il tempo del sogno. Schieppati
ha spiegato bene la scelta dei brani in
programma legati ad un tema che unisce con
coerenza il mondo della lettura a quello dei
suoni. Lavori di Schumann, Liszt, Ravel,
Debussy,
Čaikovskij, Brahms, Pärt,
Ligeti sono stati
ottimamente interpretati dai giovani
protagonisti rispettivamente nei nomi di Guercio,
Fadda, Terulli, Billone, Pilotti, Busani,
Nascimbene, Petrella, Pusterla, Lorenzo e Canino.
Circa due ore e mezza d' intensa
musica
eseguita ininterrottamente. Segnaliamo almeno
alcune interpretazioni dei giovani, tutti
comunque meritevoli d'attenzione. Di Schumann
Papillons op.2 eseguita con trasparenza
dalla giovanissima Emma Guercio; di Ravel Une
barque sur l'ocean interpretata con
leggerezza timbrica da Bruno Billone e
Alborada del Gracioso eseguita con
incisività da Giovanni Pilotti. Di eccellente e
meditata resa coloristica sia Variationen zur
Gesundung
von Arinuschka di Avo Pärt eseguita da Diego
Petrella che Arc en Ciel, Studio di
György Ligeti interpretato da Renzo Pusterla.
Ottime anche le tre Images dal libro 2 di
Debussy scelte da Gaia Lorenzo e la selezione da
Kreisleriana di Schumann di Andrea Canino
espressa con valida sintesi discorsiva. Una
serata di qualità che meritava una sala
stracolma di pubblico.
17 novembre 2023 Cesare
Guzzardella
Il Quartetto Noûs
e la pianista Golda Vainberg-Tatz per la
Società dei Concerti
"Tesori
rivelati",
questa la
denominazione data al concerto ascoltato ieri
sera in Conservatorio per la Società dei
Concerti. Due rarità cameristiche quali il
giovanile Quartetto in la minore op. 13
di Felix Mendelssohn (1809- 1847) e il
Quintetto con pianoforte in fa minore op. 18
di Mieczyslaw Weinberg (1919-1996) sono stati
eseguiti
dal giovane Quartetto Noûs , nel secondo brano
insieme alla pianista lituana Golda
Vainberg-Tatz. Scritto a soli diciasette anni,
l'op13 di Mendelssohn non ha ancora il
linguaggio personale e inconfondibile del
precoce compositore, ma rivela una capacità
costruttiva notevole in tutti i quattro
movimenti. Ottima la resa del quartetto Noûs,
formazione nata nel 2011 e da allora con intensa
attività concertistica in tutta Europa. Di
maggiore resa emotiva, a mio avviso, il
Quintetto con pianoforte del polacco,
naturalizzato russo, Weinberg, musicista da
alcuni anni moderatamente eseguito in Italia sia
nel repertorio cameristico che in quello
sinfonico. Influenzato dalla scuola russa,
soprattutto dalla musica di
Šostakovič, Weinberg
ha
composto il quintetto- probabilmente in prima
esecuzione milanese -nel 1944, influenzato dal
triste momento storico e certamente dal suo
musicista prediletto, il citato Šostakovič. I
cinque movimenti che compongono il brano
presentano rilevanti contrasti accomunati da un
linguaggio tonale ricco di idee timbricamente
innovative con riferimenti anche alla più
autentica musica
popolare. La parte pianistica è stata sostenuta
con perfezione tecnica e chiarezza espressiva da
Golda Veinberg-Tatz, integrata molto bene nei
tessuti timbrici degli archi. Il lavoro, anche
se risente molto, specie per la ritmica
incalzante, del grande compositore russo, ha un
equilibrio complessivo ottimo e frangenti
melodico-armonici piacevoli già dal primo
ascolto. Applausi sostenuti dal pubblico,
purtroppo in una Sala Verdi non al completo.
Come bis la ripetizione di un raffinato momento
centrale del Quintetto.
16 novembre
2023 Cesare Guzzardella
Grande direzione di Chailly
nei Quattro pezzi sacri di Verdi e nella
Sinfonia "Tragica" di Schubert
Meritato successo alla
Scala alla seconda replica del concerto diretto
da Riccardo Chailly. Gli attesi
Quattro pezzi sacri
di Giuseppe Verdi per
Orchestra e Coro sono stati anticipati dalla
Sinfonia n.4 in do
minore D 417 "Tragica"
di Franz Schubert.
Riccardo Chilly ha deciso d'inserire una
sinfonia "giovanile" del grande musicista
viennese che rappresenta un punto di contatto
evidente con la melodicità lirica delle opere
verdiane, essendo il lavoro ricco di melodie che
sembrano appartenere al mondo dell'opera. La
splendida
direzione di Chailly e l'altrettanto resa degli
orchestrali scaligeri è emersa soprattutto nei
due movimenti laterali l'Adagio
molto- Allegro vivace
iniziale e l'Allegro
finale, autentici gioielli per costruzione
classica e liricità. La tragicità che denomina
la sinfonia, è in realtà presente nell'incipit e
nel tema pricipale del primo movimento, poi nel
corso di tutti gli altri tempi il clima cambia
in senso più positivo. Chailly ha trovato i
giusti andamenti, spesso particolarmente
sostenuti per delineare il percorso musicale e
anche un ottimo equilibrio complessivo per
esaltare la ricchezza di una sinfonia non molto
eseguita, che abbisogna di un direttore di alta
qualità per essere valorizzata. Dopo il breve
intervallo, l'opera corale verdiana concepita
dal Maestro di Busseto negli ultimi anni della
sua vita, quando aveva concluso il ciclo
operistico con il Falstaff, è reppresenta dai
Quattro
pezzi sacri. Due di
essi sono per solo Coro - il primo, l'Ave
Maria, è a Cappella
per quattro voci miste, e il terzo,
Laudi
alla Vergine Maria,
per sole voci femminili di soprano e contralto - , mentre il secondo,
lo Stabat Mater,
e il quarto, il Te
Deum, necessitano
del potenziamento volumetrico dell'orchestra.
Chailly, coadiuvato nella preparazione corale da
Alberto Malazzi, ha prodotto un risulto
complessivo di altissimo livello, creando un
equilibrio coloristico perfetto, anche nei
rapporti volumetrici tra le voci polifoniche e
la rilevante componente strumentale sostenuta
benissimo da tutte le sezioni dell'orchestra
nella quale primeggiano gli ottoni, spesso a
sostegno delle sorprendenti voci del Coro.
L'apprezzamento generale del pubblico che
riempiva il Teatro alla Scala, ha generato
interminabili applausi e numerose uscite in
palcoscenico del direttore ed anche del Maestro
Malazzi. Applausi a tutti i protagonisti, ed
anche al soprano Barbara Lavarian, con parte
solistica nel finale del Te Deum. Memorabile.
15 novembre
2023 Cesare Guzzardella
INAUGURATA LA NUOVA
STAGIONE DEL FESTIVAL CANTELLI Al TEATRO
FARAGGIANA DI NOVARA CON UN RECITAL DI SIMONE
PEDRONI
Il festival
Cantelli n.43 di Novara, promosso
dall’Associazione Amici della musica V. Cocito,
giunta al più che rispettabile settantasettesimo
anno di attività, è stato inaugurato ieri sera,
martedì 14 novembre, sul palcoscenico del Teatro
Faraggiana, da un concerto di quello che
possiamo considerare, dopo il Maestro Cantelli,
il più affermato musicista novarese della storia
recente, il pianista e direttore d’orchestra
Simone Pedroni, primo e sinora unico italiano ad
aver vinto la Gold Medal al concorso pianistico
van Cliburn nel 1993. Il fatto che la serata
inaugurale della nuova stagione del Festival
Cantelli sia stata affidata al Maestro Pedroni è
certamente dovuto alla sua fama e statura
artistica, oltre che all’affettuosa stima di cui
gode nella sua città natale, ma a questi, ovvi,
si aggiunge un ulteriore motivo: il Maestro cui
Pedroni
si è sentito più legato sotto il profilo
professionale e umano, vero suo punto di
riferimento per la propria carriera pianistica,
è stato il grande Piero Rattalino, venuto a
mancare, ultranovantenne, ad aprile di
quest’anno. Rattalino, proprio di questi tempi,
lo scorso anno, inaugurava, con una coinvolgente
lezione-concerto, insieme con la pianista Ilia
Kim, sua moglie, la passata stagione del
festival e il fatto che al suo posto, quest’anno,
ci sia il suo miglior allievo, è una circostanza
non certo casuale. Pedroni eredita da Rattalino
e naturalmente interpreta con personale
originalità, una concezione del pianismo ( e in
generale della musica), che il Maestro scomparso
espose con toni appassionati anche in occasione
del concerto novarese di un anno fa: un pianismo
che non si risolve in pura abilità tecnica, ma
sappia dare voce al mondo delle emozioni, degli
stati d’animo, dei nodi esistenziali dell’uomo,
di cui ogni arte, e la musica in grado supremo,
è espressione. La dice lunga, a tal proposito,
il
titolo prescelto (immaginiamo) da Pedroni per il
concerto di ieri sera: “Alla ricerca delle
emozioni perdute”. Il programma proponeva, com’
è nelle abitudini del Maestro novarese , un
percorso molto ampio, attraverso numerosi autori
dal ‘700 all’età contemporanea, un percorso
pensato con intelligente coerenza, il cui filo
rosso era appunto la capacità del pianoforte, e
soprattutto del pianista, di aderire, col suono,
ai moti vari e mutevoli, nella ricchezza
infinita di sfumature, di quell’esperienza
interiore che siamo soliti definire ‘emozione’.
Questo percorso di ‘ricerca delle emozioni’
presentava un altro punto d’interesse: esso
proponeva, infatti, accanto a compositori tra i
più celebri della Storia della musica, tra i
quali spiccava per numero di pezzi Rachmaninov,
cui era dedicata l’intera seconda parte del
recital di Pedroni, in buona compagnia con Bach,
Gluck, Mozart, Grieg, anche autori consegnati
dal tempo a un oblio che li ha resi assai rari,
per non dire assenti, nelle nostre sale da
concerto, quali Louis Daquin (1694-1772) che
pure a suo tempo fu un celebre tastierista, cioè
organista e clavicembalista, tanto da
rivaleggiare con Rameau, o Louis Moreau
Gottshalk (1829-1869), pianista e compositore
statunitense, che pure ebbe il suo quarto d’ora
di celebrità, l’inglese Cyril Scott (1879-!970).
Benissimo ha fatto a nostro parere Pedroni a
trar fuori questi c.d. ‘minori’, includendoli
nella sua ‘ricerca’, perché un concerto deve
anche proporsi come occasione di scoperte, di
recupero di opere e autori che il tempo, non
sempre giustamente, ha consegnato alle tenebre
dell’ignoto. Per completare il quadro di questo
vasto programma, diremo che esso proponeva
all’inizio uno dei compositori italiani d’oggi
più celebri, non solo per la qualità della sua
opera, ma anche per la sua presenza
radiofonico-televisiva in importanti
trasmissioni musicali e per la direzione del
festival MITO: parliamo, naturalmente di Nicola
Campogrande. Noi però, non rispettando l’ordine
di esecuzione previsto dal programma, partiamo
con l’autore che abbiamo detto essere stato il
più eseguito della serata, S. Rachmaninov. Il
grande pianista e compositore russo fa la sua
prima comparsa già nella prima parte del
concerto, una lunga serie di pezzi brevi, tra
cui la Gavotta dalla partita per violino solo
n.3 in Mi maggiore BWV 1006, di J. S. Bach,
nella nota versione pianistica composta, appunto,
da Rachmaninov. Il pezzo è di quelli fatti
apposta per esaltare la qualità peculiare del
pianismo di Pedroni: il suo tipico tocco,
morbido, duttile nella resa delle sfumature e
diremmo delle venature del suono, accompagnato
da un sapientissimo uso del pedale, e dal
talentuoso dominio dei piani dinamici. In questa
breve composizione la tavolozza dei colori
emotivi virava decisamente su un tono di
delicata dolcezza, con una sottile vena di
patetismo, che la sensibilità del tocco di
Pedroni e la sua capacità di illuminare le più
segrete risonanze emotive del brano hanno reso
particolarmente coinvolgente per lo spettatore.
Ma Rachmaninov, si diceva, è stato il
protagonista esclusivo della seconda parte del
concerto. Dapprima con l’Elegia op.3 n.1, la
composizione che apre i cinque Morceaux op.3
giovanili. Tipicamente tripartito, questo breve
brano ha i suoi momenti di più alta ispirazione
emotiva nelle due sezioni estreme, dove, su un
ritmo meditativo, il tocco di Pedroni si carica
di una tensione dolente, che conferisce alle
note del canto un che di quel ‘pessimismo
cosmico’, che lo stesso Pedroni, nella sua bella
introduzione a questa parte del concerto,
riconosce come tratto peculiare della musica del
grande russo. La parte del leone, anche per la
sua durata, in contrasto con tutti i brevi pezzi
precedenti, l’ha avuta la Sonata n.2 op.36 in Si
bem. Minore. Questo arduo capolavoro, che porta,
come quasi sempre in Rachmaninov, a un grado
estremo l’impegno tecnico dell’esecuzione, non è
stato, nell’interpretazione del pianista
novarese solo spettacolo virtuosistico, ma
diremmo piuttosto un incanto di suoni. Pedroni
ha proposto una particolare interpretazione del
primo tempo di questo capolavoro, in netto
contrasto con alcune interpretazioni ‘di
riferimento’, come, per citare un esempio
relativamente recente, quella di Lugansky: il
Maestro novarese ha illimpidito e alleggerito il
primo tema, fondendolo quasi con il secondo, più
lento e cantabile e concentrando invece tutta
l’energia agogica e timbrica sul terzo tempo,
che, con il suo tono maggiore s’impone con il
suo tono assertivo e quasi vittorioso. Pedroni
ha spiegato che questa sonata va interpretata in
chiave simbolico-allegorica, come la vicenda di
un re che parte per la guerra, della regina in
malinconica attesa e infine del trionfale
ritorno dell’esercito e del re: non possiamo non
confessare la nostra forte perplessità circa
interpretazioni drammaturgico-allegoriche della
musica; noi abbiamo ascoltato una splendida
interpretazione della seconda sonata di
Rachmaninov e tanto ci basta. E’ certo nel Lento
centrale che Pedroni raggiunge l’apice della sua
interpretazione, dando voce all’estrema varietà
di ritmi, atmosfere, dinamiche e colori, di cui
questa sezione della sonata è intessuta, ma
sempre con quella splendida morbidezza di tocco,
capace di far emergere da questa pagina
l’emozione dominante di un delicato spleen, che
non può non rapire l’ascoltatore. Una grande
prova davvero, che ha degnamente coronato la
serata. Continuando coi grandi, il nostro
massimo apprezzamento va all’esecuzione della
trascrizione per pianoforte, opera del nostro
pianista e compositore ottocentesco Sgambati, di
un celeberrimo pezzo settecentesco, la Danza
degli spiriti beati nell’”Orfeo ed Euridice” di
Gluck.Il titolo preciso indicato dal programma
di sala è “Melodia da Orfeo ed Euridice” di
Gluck-Sgambati.. L’ interpretazione di Pedroni
sa tenere ben a freno ogni componente di facile
sentimentalismo, cosa che non riesce a tutti gli
interpreti, e rimane saldamente coerente col suo
pianismo, che ce lo fa tanto apprezzare: dalla
tastiera il Maestro novarese trae un suono
sempre lucido, la cui morbidezza non si estenua
mai in languore, ma va in profondità, a estrarne
le più sottili venature emozionali, qui
attraverso un gioco chiaroscurale sull’arcata
melodica di rara suggestione. Sorprendente il
balzo ad un pezzo di tutt’altro genere,
anch’esso notissimo, e forse per questo un po’
banalizzato e cui difficilmente attribuiremmo
particolari valenze emotive: stiamo parlando
della Marcia alla Turca che chiude la sonata in
La maggiore KV 331 di Mozart, presentata ieri
sera come “Rondò alla Turca”. Dovrebbe però
mettere in guardia l’ascoltatore, ad evitare
letture banalizzanti e puramente scolastiche del
brano, già il fatto, abbastanza singolare per
l’epoca, che il brano finale di una sonata in
tonalità maggiore, la concluda in tonalità
minore. Ci aiuta a capire meglio questa ‘turcheria’
mozartiana, proprio l’interpretazione di Pedroni.
In particolare le scelte ritmiche e timbriche, a
nostro modesto avviso mirabilmente azzeccate,
che conferiscono un qualcosa di lontanamente
manieristico alla Marcia, richiamandoci alla
memoria una bella pagina di Beniamino Dal Fabbro
di molti anni fa, il quale, a proposito di
questo finale Rondò, parlava di “un pianoforte
tramutato in orchestrina orientale fitta di
campanelli e di tamburelli” (citazione testuale).
C’è insomma, in questo Rondò in ritmo di Marcia
un qualcosa di straniante, di vagamente sinistro,
alleggerito dalla misteriosa ironia mozartiana.
Ancora una volta la musica evoca un’esperienza
interiore indicibile se non coi suoni; ci
sentiamo afferrati, trascinati non sappiamo
verso dove da un flusso di suoni, dall’avanzare
allegro, ma di un’allegria inquietante, di
qualcosa di indefinito.. Non poteva mancare, in
questa carrellata alla ricerca di emozioni
perdute, ma conservate nella musica, un angolo
riservato a Chopin. Quello di Pedroni è uno
Chopin delicato, fatto di figurazioni melodiche
che, anche nei casi di maggior brillantezza,
come il jeu perlé che avvia a conclusione il
primo valzer, in Re bem. Maggiore, tende alla
figurazione melodica ripiegata in se stessa, e
in cui il mondo sonoro è piuttosto affidato ai
cromatismi, alle modulazioni che trasportano a
tonalità lontane da quella d’impianto, quasi
disegnando, al ritmo appena evocato della danza,
il volo di una fantasia che tende a mete
indefinite, come avviene in particolare nel
terzo e ultimo valzer, in La bemolle maggiore.
Diversa l’aura emotiva cui Pedroni dà voce con “Giorno
di nozze a Troldhaugen”, uno dei pezzi lirici
op.65 per pianoforte di E. Grieg.
L’interpretazione di Pedroni, facendo leva sulla
ricchezza di colori del brano, gioca sul
contrasto tra l’atmosfera gioiosa delle due
sezioni estreme, che a ritmo di marcia piena di
sincera allegria popolare cantano la felicità
delle nozze e dei riti ad esse collegati e la
dolcezza intima e affettuosa della sezione
centrale, in cui la delicatezza e la duttilità
del tocco dell’interprete raggiungono risultati
davvero alti. Accanto ai grandi e grandissimi, i
’minori’ hanno avuto il loro posto nell’ampio
programma del recital di Pedroni. “Le coucou” di
Daquin è un pezzo, di chiara natura
clavicembalistica, che comporta un’esecuzione
concentrata prevalentemente nelle zone centrali
della tastiera, secondo le abitudini del tempo,
con agilità, in particolare per la mano sinistra,
che con il suo fitto tappeto sonoro, fa da
sfondo al rintocco del verso del cuculo, con un
gusto naturalistico tipicamente barocco. La
limpidezza del suono di Pedroni, che sa
raggiungere effetti di un’ avvolgente luminosità,
dà qui voce ad un altro volto dell’emozione, il
fresco, spontaneo abbandono alla natura Il brano
di Gottshalk proposto ieri sera era “The Dying
Poet (il poeta morente)”, sottotitolato
“Meditation” E’ anche questo un pezzo breve,
come tutti i precedenti, che risente palesemente
dell’influenza di Chopin, senza grande
originalità e consiste nella ripetizione di un
motivo melodico-base, d’ispirazione
inevitabilmente malinconica, con crescenti
abbellimenti, che Pedroni suona con la consueta
bravura tecnica e ispirazione, senza peraltro
poterlo riscattare dalla sua insuperabile
mediocrità. . A inizi ‘900 Cyril Scott venne
considerato una specie di Debussy inglese per
alcune caratteristiche del suo linguaggio
musicale, indubbiamente innovative rispetto alla
tradizione britannica. In realtà di Debussy,
perlomeno in questo “Lotus Land”, il pezzo del
1905 proposto da Pedroni, c’è assai poco, dal
punto di vista tecnico, se non qualche
superficiale somiglianza. Il brano presenta il
suo centrale motivo di attrazione per
l’ascoltatore nel suo carattere sognante,
rarefatto timbricamente e ritmicamente statico,
salvo un’accelerazione agogica di glissando
nella parte finale, che poi va gradualmente
spegnendosi per sprofondare nel silenzio. Il
tutto in un linguaggio ancora d’impianto tonale,
ma avvolto come da una sottile nebbia che sembra
avvolgerne il mondo sonoro. Pedroni esegue
magicamente, osiamo dire, questo pezzo,
sottolineandone proprio la sospensione estatica,
le delicate sfumature di un suono che talora
pare perdere, sotto le dita del pianista, ogni
consistenza fisica. Qui l’emozione si fa sogno
fuori dal mondo, contemplazione di un’altra
dimensione, quasi visione da paradiso
artificiale di baudelairiana memoria. Chiudiamo
con l’opera presentata all’inizio, i “Tre
Preludi” da viaggio, di Nicola Campogrande. Del
2021, tre brevi ‘schizzi’, intitolati
rispettivamente “Appello urgente”,” L’arte di
prendere posto”, “Elogio della discrezione”.
Composizioni sostanzialmente legate alla
tonalità, vivono della sapiente costruzione di
ritmi e piani dinamici, che intendono aderire
strettamente a esperienze interiori,quelle di
chi sta per mettersi in viaggio, e che Pedroni
rende mirabilmente con il suo tipico tocco,
sensibile e delicato, e il talentuoso dominio
delle dinamiche: il ritmo sostenuto e incalzante
dell’Appello, quello al contrario lento, quasi
sospeso, del secondo pezzo, o il tono sommesso,
vagamente ironico dell’Elogio della discrezione,
sono stati interpretati da Pedroni con una
raffinata capacità di adesione ai vari stati
d’animo che il mondo sonoro costruito
dall’autore ha saputo efficacemente evocare. Un
bellissimo concerto, che ha pienamente raggiunto
il suo obiettivo di coinvolgere il pubblico in
una continua avventura emotiva, attraverso il
mondo dei suoni. Trascinato dal tributo di
applausi del pubblico, Pedroni ha proposto due
bis: il ‘Tema d’amore’ dalla colonna sonora di
Nino Rota per il film di Zeffirelli Romeo e
Giulietta, e una mazurka di Chopin, entrambi,
quasi inutile dirlo, splendidamente eseguiti. Un
concerto da ricordare, come tanti di quelli
organizzati dagli Amici della Musica novaresi.
15 novembre
2023 Bruno Busca
Il trio di Lonquich per
i trii di Schumann alle Serate Musicali
del Conservatorio
Un
programma di raro ascolto ma di grande interesse
quello ascoltato ieri sera al concerto
organizzato da "Serate Musicali" in
Conservatorio. La produzione per trio di violino,
violoncello e pianoforte di Robert Schumann è
stata interpretata dall'ottima formazione
cameristica formata da Lorenza Borrani, violino,
Ursina Braun, violoncello e Alexander Lonquich
al pianoforte. Sono tre trii,
l'Op.63,
l'Op.80 e l'Op 110, composti dal
musicista tedesco in età matura, a partire dal
1847, quando Schumann aveva oltre trentacinque
anni e aveva già composto straordinari
capolavori. I tre trii, naturalmente nei
classici quattro movimenti, rappresentano
un'ulteriore sviluppo della poetica romantica
schumanniana in termini di complessità con
varietà melodiche e soprattutto armoniche ardite,
in contesti di forti contrasti che vanno dalle
più esplicite esternazioni timbriche, alle più
profonde situazioni intimistiche. L'ottimo
livello del trio, con la componente armonica
delineata dall'esperienza consolidata del noto
pianista tedesco Lonquich, ha portato ad una
valida resa interpretativa anche dalle più
giovane soliste in situazioni di ampia
creatività. L'esuberanti esternazioni della
Borrani al violino e della Braun al violoncello,
ottimamente inserite nelle sonorità del
pianoforte, hanno esaltato le geniali
architetture musicali di Schumann. Molto
pregnanti d'espressività tutti i movimenti, con
andamenti di profonda resa timbrica nei momenti
più riflessivi dei rispettivi trii.
Un'interpretazione complessiva molto piaciuta al
pubblico presente in Sala Verdi che ha tributato
al termine fragorosi applausi. Altrettanto di
qualità il bis concesso ancora di Schumann con
un brano, il n.3, dai Pezzi fantastici.
14 novembre 2023 Cesare
Guzzardella
Eliana
Grasso ai Lieti
Calici degli Amici del Loggione del Teatro
alla Scala
La fortunata rassegna
musicale denominata
Lieti Calici
organizzata da Mario Marcarini agli
Amici del
Loggione di via Silvio Pellico 6 ha visto
questa mattina protagonista la pianista torinese
Eliana Grasso. L'impaginato scelto prevedeva
brani di Bach, Chopin, Liszt e
Casella, un percorso pianistico in ordinato senso storico
che dal primo Settecento barocco arrivava,
passando per il Romanticismo, al primo Novecento
con un compositore un po' dimenticato quale
Alfredo Casella. La maggior parte dei brani
erano certamene noti ai più appassionati di
musica per tastiera, come i due
Preludio e
fuga dal
Clavicembalo ben temperato
di Bach (dai volumi 1 e 2) che hanno introdotto
il breve concerto. La pianista stessa ha
presentato con competenza i brani e dopo
l'ottimo Bach, ben scandito dalla Grasso con
indubbie qualità tecnico-espressive, tre lavori
di Fryderyck Chopin hanno rivelato l'attitudine
dell'interprete al periodo romantico. Prima il
noto Notturno postumo in do diesis minore,
reso ancor più celebre dal fortunato film
di
Roman Polanski "Il Pianista", è stato
eseguito
con notevole espressività e perfetto equilibro
formale; quindi due virtuosistici Studi
di
Chopin dall'op.10
e dall 'op.25, i
rispettivi n.ri 12 in do minore, hanno
rivelato l'ottima
impalcatura discorsiva della
torinese e la sua minuziosa attenzione al
dettaglio. Il brano successivo, di maggiore
respiro e altamente virtuosistico era di Franz
Liszt con Vallée d'Obermann
tratto da una
serie degli Annees de pelerinage. La
complessità lisztiana è stata ben sostenuta per
una resa analitica ben definita ed inquadrata
nel complessivo delle variegate dinamiche. Il
brano conclusivo di Casella, tra i più (relativamente)
conosciuti, era ancora all'insegna delle abilità
tecniche: la sua Toccata in do diesis minore
op.6 , orientata tra stile romantico e stile
neoclassico. Meritati gli applausi al
termine e ancora Chopin nel bis concesso con il
celebre Valzer Op.69 n.1.
Il classico brindisi con vini di eccellente qualità e
piacevoli stuzzichini annessi ha concluso la
bellissima mattinata.
12 novembre 2023 Cesare Guzzardella
La Filarmonica Arturo
Toscanini diretta da Omer Meir Wellber al
Festival Mahler milanese
Il
"Festival Mahler" procede all'Auditorium
milanese. Questa volta abbiamo ascoltato l'Adagio
in fa diesis maggiore dalla Sinfonia n.10,
i Ruckert-Lieder per voce e orchestra e a
conclusione una trascrizione del compositore
boemo-viennese della Sinfonia n.4 in re
minore di Robert Schumann. La Filarmonica
Arturo Toscanini - formazione parmense ospite
del Festival - ha trovato nel tardo
pomeriggio
di ieri la bacchetta di Omer Meir Wellber ,
mentre la parte solistica per cinque lieder
composti da Mahler tra il 1901 e il 1904, hanno
rivisto in palcoscenico il baritono tedesco
Christoph Pohl, dopo il successo ottenuto
nell'altro ciclo liederistico , quelli de "Il
corno magico del fanciullo". Il
quarantaduenne direttore israeliano ha
ottimamente introdotto il concerto con l'Adagio
della Decima, primo e unico movimento
interamente completato da Mahler tra il 1910 e
il 1911, ultimo anno di vita del
compositore-direttore Un'interpretazione quella
di Omer Meir Wellber di qualità, restituita con
minuziosa resa dalla Filarmonica parmense. I
Ruckert-Lieder hanno poi ritrovato la voce
baritonale ben impostata e raffinata per
chiarezza timbrica di Pohl, coadivato benissimo
dagli orchestrali. Applauditissimo il cantante
uscito
ripetutamente in palcoscenico. Dopo il breve
intervallo notevole qualitativanente la Sinfonia
n.4 "Renana" schumanniana rivisitata da Mahler.
Ultima delle sinfonie del compositore tedesco,
la "Renana" è certamente la più eseguita. Omer
Meir Wellber l'ha diretta con tempi piuttosto
rapidi ma rivelando un eccellente equilibrio
complessivo per una restituzione chiara e
dettagliata dei quattro movimenti eseguiti senza
soluzione di continuità. Un'interpretazione di
alto spessore musicale apprezzatissima dal
numeroso pubblico presente in Auditorium.
Applausi calorosissimi e un inaspettato bis con
un'esemplare Intermezzo Sinfonico dalla
Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni.
Successo stra-meritato.
12 novembre 2023 Cesare
Guzzardella
L'amore dei tre re di
Italo Montemezzi alla Scala
A
distanza di settant'anni dalla precedente
messinscena il Teatro alla Scala ha ripescato un
titolo sconosciuto ai più, quel "L'
amore dei tre re" che il
musicista veronese Italo Montemezzi compose nel
1913 e il direttore Tullio Serafin portò nello
stesso anno al successo proprio alla Scala.
L'opera tragica, in tre brevi atti, è su
libretto di Sem Benelli e narra una vicenda
oscura che si conclude con la morte di tre dei
quattro
principali protagonisti. Un dramma certamente
lontano da una visione attuale del mondo più
evoluto, ma non lontano da certi fatti accaduti
anche recentemente in situazioni di "possesso"
della vita altrui. Il libretto, un po' povero,
anche linguisticamente, di Benelli ha trovato un
regista noto come Àlex Ollé del gruppo La Fura
Dels Baus che con l'ausilio delle scene di
Alfons Flores, i costumi di Lluc Castells e le
luci di Marco Filibeck, ha cercato una soluzione
espressiva alla cupa vicenda. Ma è probabilmente
la valida musica di Montemezzi, orchestrata
molto bene dal direttore Pinchas Steinberg, che
rende nel complesso accettabile l'opera di
Montemezzi. Con il suo sinfonismo operistico,
trova riferimenti a Puccini, Wagner, Debussy e
certo Respighi, e pur non avendo una spiccata
personalità, rivela comunque capacità
compositive non indifferenti che andrebbero
riscoperte nella sua produzione più ampia . È la
musica che, a mio avviso, sorrege
strutturalmente il lavoro. Le voci protagoniste,
complessivamente valide, hanno assolto al
non
facile compito di gestire una vicenda che si
dipana spesso con monotonia. Evgeny Stavinsky,
Archibaldo, delinea molto bene anche
attorialmente l'anziano cieco, padre di
Manfredo, l'ottimo Roman Burdenko. La voce
femminile protagonista, Chiara Isotton, Fiora,
svolge bene il suo ruolo di donna costretta a
convivere con un marito - Manfredo- che non ama.
L'amante di Fiora, Avito nella voce
timbricamente valida di Giorgio Berrugi, a volte
manca di voluminosità. Buone le altre voci. Il
contesto scenico risulta migliore nel terzo atto,
mentre nei primi due, quella serie infinita di
catene in verticale soffocano i protagonisti in
un labirinto, simbolicamente valido, ma
esteticamente nebuloso e claustrofobico. Ottima
l'ampia parte corale del terzo atto preparata da
Alberto Malazzi. Ultima replica prevista per il
12 novembre. ( Foto di Brescia e
Amisano - Archivio Scala)
11 novembre 2023 Cesare
Guzzardella
Il pianista spagnolo
Josu de Solaun all'Università Cattolica milanese
"Il
Pianoforte in Ateneo", la manifestazione
musicale dedicata al pianoforte è tornata
all'Università Cattolica del Sacro Cuore con
l'ultimo appuntamento della Stagione. Ieri sera
abbiamo ascoltato alla tastiera del prestigioso
Shigeru Kawai le mani dello spagnolo Josu de
Solaun. La Kawai Italia e l'Università Cattolica
e i promotori
della
rassegna, il Maestro Davide Cabassi e il Prof.
Enrico Reggiani, direttore dello Studium
Musicale di Ateneo, sono ancora riusciti a
portare un talentuoso protagonista degli 88
tasti, questa volta poco conosciuto in Italia e
per la prima volta presente a Milano, pur
essendo un virtuoso di alto profilo come
dimostrato nell'esaustivo concerto proposto.
L'impaginato sembrava costruito a misura della
sua sensibilità d'interprete. Josu de Solaun,
pianista iberico è salito sulla scena
internazionale vincendo il prestigioso
Concorso George Enescu di Bucarest.
L'eccellente pianoforte, purtroppo nelle
timbriche non assistito pienamente dai volumi
riverberanti della bellissima Aula Magna, ha
comunque messo in risalto le qualità
dell'interprete che ha inserito nel programma
brani di
Chopin,
Liszt, Debussy, Granados e De Falla. Una serie
di lavori di grande virtuosismo dove l'elemento
coloristico ha una valenza preponderante. Il
potente impatto iniziale con l'Allegro de
concierto in do diesis maggiore op.46 di
Granados ha da subito rivelato la valenza
interpretativa di un virtuoso schietto, dotato
di evidente estemporaneità nel delineare gli
intrecci melodico-armonici del brano, suffragato
da una appariscente sicurezza digitale che
risolve con facilità ogni difficoltà tecnica. Le
ottime escursioni dinamiche e la valida resa
espressiva si sono riscontrati in tutti i brani.
Dopo l'estrovera Granados, il Notturno op.62
n.1 di F. Chopin ha creato un'atmosfera più
riflessiva, interrotta dalle magie
virtuosistiche del Mephisto Waltz n.1 di
Franz Liszt, reso con
accurata
precisione di dettaglio. Ottime poi le timbriche
dei tre brani di Claude Debussy, estrapolati dai
Preludes, quali Ondine, Feux d'Artifice e
Minstrels e concludendo con una stravolgente
e rara Fantasia Bética di Manuel de Falla
dove è ancora emersa, dopo il primo Granados,
l'evidente affinità di Josu de Solaun con i
musicisti della sua terra. Un concerto pieno di
pathos, applauditissimo dal numeroso pubblico
presente. Una serata che inizialmente era stata
introdotta dal M.tro Cabassi, con un esaustivo
approfondimento musicologico del prof.Reggiani.
Di ottima qualità anche l'eccellente bis
concesso con ancora un brano di Granados da
Goyescas op.11, il n.4.
10 novembre 2023 Cesare
Guzzardella
Olga Kern alla
Società dei Concerti
per un tutto Rachmaninov
Ha
scelto il suo amato Rachmaninov la pianista
moscovita naturalizzata statunitense Olga Kern.
L'impaginato ascoltato ieri sera in
Conservatorio, denominato "Omaggio a
Rachmaninov", ci ha riservato il virtuosismo
del grande compositore russo, mediato da una
pianista che da moltissimi anni è ospite
privilegiata della "Società dei Concerti"
milanese e ottiene da sempre il meritato
successo.
Dopo il suo concerto pomeridiano, tenuto sempre
in Sala Verdi, ha ripetuto il programma alla
sera completandolo con altri brani:
complessivamente 17 i lavori dell'impaginato
ufficiale, cui si aggiungono due bis, per
delineare in modo completo la statura di un
compositore e di un virtuoso del pianoforte che
ha fatto la storia dello strumento a tastiera
attraverso musiche che uniscono la romantica
melodicità che l'ha reso popolare, ad una
costruzione armonica complessa ed evoluta molto
rivalutata negli ultimi decenni. Nella prima
parte della serata la Kern ha iniziato con una
scelta di tre dagli Études tableaux dall'
op.39 (n.9)e dall' op.33 (n.8 e
5), quindi Cinque Preludi dall'op.32
(1-5-10-12) e dall'op.23 (n.7) per
arrivare
alla
Sonata n.2 op.36 nella versione del 1931.
Dopo il breve intervallo un Momento musicale
(op.16 n.4), una Barcarola ( op.10
n.3) e Polichinelle op.3.n.4, hanno
preceduto le raffinate Variazioni su un tema
di Corelli op.42 e quindi tre trascrizioni
da Musorgskij ( Hopak), Rachmaninov
stesso (Romanza op.21) e Kraisler col
celebre Liebeslied, concludendo il
programma ufficiale con la Polka de W.R.,
un cavallo di battaglia del grande Horowitz.
Le indiscusse qualità della Kern non sono
solo legate al suo innarivabile virtuosismo,
espresso con apparente facilità e riscontrabile
al primo ascolto, ma anche da un legame
autententico con la musica del grande
compositore russo che
la
porta ad esprimersi con evidente passione per
una restituzione di profonda e di autentica
espressività. Tutti valide le interpretazioni
ascoltate, ma segnaliamo soprattutto, a titolo
d'esempio, l'eccellente resa delle Variazioni
Corelli op.42 che nello splendore interpretativo
della Kern sintetizzano le qualità di
un'interprete che vive la musica di Rachmaninov
secondo modalità completamente interiorizzate,
profonde e raffinate, da autentica virtuosa.
Applausi fragorosi dal pubblico presente in Sala
Verdi e due i bis concessi, tutti eccellenti: di
Rachmaninov il celebre Preludio op.3 n.2
e di Korsakov/Rachmaninov l'altrettanto noto
Il volo del calabrone. Bravissima!!!
9 novembre 2023 Cesare
Guzzardella
Ottavio Dantone e l'Orchestra
Haydn di Bolzano e Trento al "Festival
Mahler"
Siamo
arrivati alla Settima Sinfonia al
"Festival Mahler" di Milano. L'alternanza delle
orchestre intervenute in Auditorium ha proposto
ieri sera l'Orchestra Haydn di Bolzano e
Trento diretta da Ottavio Dantone. Il
sessantatreenne direttore e
clavicembalista
pugliese, specializzato in musica barocca è da
anni alla guida della nota compagine di musica
antica "Accademia Bizantina". Si è cimentato
ieri nel lavoro composto da Mahler tra il 1904 e
il 1906. Cinque movimenti per un'esecuzione di
oltre settanta minuti di musica curati nei
dettagli da Dantone e resi ottimamente dalla
compagine orchestrale. La vasta sinfonia,
interamente strumentale, nello stile consolidato
mahleriano, presenta frequenti frangenti "cameristici"
con interventi solistici ben delineati dai
bravissimi interpreti in un lavoro dove la
partitura prevede strumenti inusuali come la
chitarra, il mandolino, il filicorno baritono e
il campanaccio. Ottima la resa
complessiva
orchestrale con una qualità coloristica mirata a
far emergere maggiormente il carattere più "popolare"
dell'articolato e complesso lavoro. Ottime tutte
le sezioni orchestrali ben amalgamate da Dantone
nei momenti di maggiore volumetria. Successo di
pubblico in un Auditorium pieno di appassionati
mahleriani. Ricordiamo il ritorno della
Sinfonica di Milano, con i relativi Cori e con
il direttore Claus Peter Flor per l'Ottava
Sinfonia "dei Mille". Sarà eseguita in Duomo
questa sera alle ore 20.00. Da non perdere!
8 novembre 2023 Cesare
Guzzardella
Il sempre inarrivabile
Mikhail Pletnev alle
Serate Musicali del Conservatorio
Da
moltissimi anni il celebre pianista russo
Mikhail Pletnev torna in Conservatorio ai
concerti organizzati da Serate Musicali.
Sempre, al termine della serata, è acclamato dal
pubblico presente in Sala Verdi e sempre, il
sessantaseienne interprete - anche direttore
d'orchestra e compositore- riserva degli
attesissimi bis. Ieri sera la scelta
d'impaginato ha accostato il grande polacco
Fryderyk Chopin (1810-1849) al grande russo
Aleksandr Scriabin (1872-1915), entrambi
autori
di Preludi. Certamente i 24 Preludi op.28
del primo sono più celebri dei 24 Preludi
op.11 del secondo, che pur essendo un'opera
giovanile di Scriabin - composti tra il 1988 e
il 1996 - sono stati ispirati dal polacco è
hanno frangenti di grande valenza compositiva.
Pletnev ha preferito eseguire prima i Preludi
del russo e, dopo l'intervallo quelli di Chopin,
probabilmente anche per ottenere un effetto di
maggiore apprezzamento da parte di un pubblico
che conosce e riconosce maggiormente la musica
del genio di
Żelazowa Wola. L'approccio interpretativo del
pianista, in una Sala Verdi volutamente poco
illuminata, ha trovato subito una resa efficace
sin dai primi preludi, ma
è soprattutto con Chopin
che sono emerse maggiormente le infinite qualità
dell'interprete: il controllo totale del
materiale sonoro, la sua completa memorizzazione,
la restituzione di esso con i più evidenti
parametri esecutivi si sono rivelati in un
processo di sintesi discorsiva
che
riesce a mettere in risalto dettagli nascosti,
contrasti volumetrici infinitesimali che colgono
l'elemento poetico più intimo e più profondo di
Chopin, ma anche di Scriabin. Moltissime le
vette raggiunte da Pletnev nel suo
personalissimo linguaggio estetico ed è inutile
fare una cernita dei preludi, alcuni brevissi,
altri meno, anche per il significato unitario
delle due serie di opere che vanno considerate
nel loro completo svolgimento. Tra i fragorosi
applausi e l'evidente soddisfazione del pianista,
al termine anche sorridente, sono emersi tre
splendidi bis, i primi due, celebri cavalli di
battaglia di Horowitz, ancora di Scriabin con lo
Studio in do diesis minore op.2 n.1 e con
lo Studio op.8 n.12 in re diesis minore e
come ultimo il noto Studio op.76 n.6 di
Moszkowski. Interpretazioni naturalmente ancora
di esemplare livello estetico.
7 novembre 2023 Cesare
Guzzardella
Andrea Carcano
allo Spazio Teatro 89
"Mentale e monumentale - da
Bach-Busoni al Novecento sovietico",
questa la denominazione ideata da
Luca Schieppati per il concerto tenuto dal
pianista Andrea Carcano allo Spazio Teatro89
di via Fratelli Zoia. Un programma che
partendo dal padre del contrappunto e della fuga,
J.S. Bach, ha trovato varianti musicali nei nomi
di Ferruccio Busoni, Dmitri Shostakovich, Rodion
Ščedrin e Alexandr Fliarkovsky, musicisti
parecchio
debitori al genio tedesco per la loro formazione
musicale. Un'impaginazione di brani certamente
rari ma di straordinario interesse scelti da
Andrea Carcano, pianista e docente di pianoforte
al Conservatorio "G. Verdi" di Milano. La
Fantasia nach Bach e le Variazioni
canoniche sul Thema Regium dall'Offerta musicale
di Busoni (1866-1924) hanno introdotto il
concerto pomeridiano rivelandoci un clima sonoro
improntato su colori scuri ma ricco di
costruzioni contrappuntistiche che il grande
musicista e virtuoso del pianoforte italiano
Busoni ha inventato partendo da brani bachiani
assemblati con una tecnica tipica del periodo
barocco, ma con una reinvenzione molto personale
del compositore. L'evidente debito del primo
russo Shostakovich (1906-1975) al Sommo di Bonn
lo abbiamo trovato nel Preludio e Fuga in mi
minore op.87 n.4. La capacità
di rielaborazione del musicista vissuto in
regime sovietico, nasce dalla sua profonda
conoscenza dell'opera bachiana, quella che
maggiormente l'ha ispirato per realizzare i suoi
24 Preludi e fughe, il Clavicembalo ben
temperato. Dal Quaderno polifonico del
vivente Rodion
Ščedrin
(1932), Carcano ha estrapolato sei brani - i
numeri 10, 12, 15, 16 e 21 -, tra Ciaccone,
Mottetti, Toccate e Passacaglia.
Abbiamo
quindi ascoltato l'originalità
di un russo novantenne ancora attivo, troppo
poco eseguito in Italia, ma di grande
intelligenza musicale-architettonica.
Dell'ultimo russo in programma, Fliarkovsky
(1931-2014), Carcano ha scelto il Preludio e
Fuga n.20, un omaggio ancora al Sommo, ma
con un piglio melodico maggiormente evidenziato,
quello di un compositore noto anche per la sua
produzione di colonne sonore. Carcano ha
penetrato con sicurezza e precisione di
dettaglio tutti i brani eseguiti, dimostrando
una maturità interpretativa di elevato spessore
musicale, che ha messo in risalto tutte le linee
melodiche ben evidenziate nei rispettivi piani
sonori, in un complessivo coloristico di ottima
resa estetica. Ottimo poi il bis concesso con
ancora un brano di Busoni da una Fantasia e
fuga di Bach. Applausi sostenuti dal
pubblico presente nell'elegante ed accogliente
sala. Ricordiamo il prossimo concerto dello
Spazio Teatro89 previsto per il 19 novembre
alle ore 17.00 con il pianista-compositore
siciliano Orazio Sciortino: in programma brani
di Haydn, Schubert e Sciortino.
6 novembre 2023 Cesare
Guzzardella
L' OSN Rai e Robert
Treviño per la
Quinta Sinfonia di Mahler
E siamo
arrivati alla Quinta Sinfonia al
"Festival Mahler" di questi giorni in
Auditorium. L'Orchestra Sinfonica Nazionale
della Rai diretta da Robert Treviño ha sostenuto
ottimamente la monumentale Sinfonia in do
diesis minore (1901,1902), oltre settanta
minuti di
grande
musica, quella celebre soprattutto per il
formidabile Adagietto utilizzato da
Visconti per il suo "Morte a Venezia" e che è
stato anche interpretato da molti coreografi del
Novecento. Una lenta progressione melodica degli
archi inserira in un'ampia intelaiatura armonica
che sembra fermare il tempo e che ci rivela
ancora una volta le formidabili capacità
creative del grande compositore e direttore
boemo-viennese, soprattutto negli andamenti
riflessivi. L'Auditorium milanese al completo,
nel tardo pomeriggio di ieri ha trovato un
pubblico entusiasta che ha applaudito con
fragore l'interpretazione
dell'Orchestra
Sinfonica Nazionale della Rai diretta con
determinazione dal direttore texano. La grande
sinfonia era stata introdotta da un breve,
espressivo e frequentato brano del compositore
statunitense Charles Ives (1874-1954), The
Unanswered Question (1908), un Adagio
di pochi minuti di profonda riflessione, un
dialogo tra un espressivo tappeto di archi, una
tromba solista e quattro flauti. Un breve
capolavoro che ha anticipato il capolavoro più
celebre. Oggi, alle 16.00 verrà eseguita la
Sesta Sinfonia. Non perdetela.
5 novembre 2023 Cesare
Guzzardella
Sophia Harmsen
diretta da Markus
Stenz per il Festival
Mahler milanese
Due
orchestre insieme per il concerto mahleriano di
ieri sera in Auditorium: l'Orchestra della
Toscana e l'Orchestra Giovanile Italiana hanno
unito molti dei validi strumentisti per
affrontare due
importanti
lavori di Gustav Mahler quali i
Kindertotenlieder (1901-1904), ciclo di
cinque lieder per voce e orchestra su poesie di
Friedrich Rückert, e la Sinfonia n.4 in sol
maggiore composta da Gustav Mahler tra il
1899 e il 1901, ma con il quarto movimento, un
celebre lied per soprano tratto da Des Knaben
Wunderhorn, originariamente scritto nel
1892. Sul podio Markus Stenz ha diretto la
corposa compagine orchestrale guidando anche
l'ottima voce da soprano di Sophie Harmsen,
presente in entrambi i lavori. Le ottime
interpretazioni rese con pacato vigore
dall'appariscente
gestualità
di Stenz, hanno rivelato i colori caldi, precisi
e articolati della voce sopranile della Harmsen,
ben sottolineati dalla rispettosa direzione di
Stenz nei cinque lieder mahleriani, evidenziando
poi, dopo il breve intervallo, un'approfondita
esecuzione della Quarta Sinfonia, tra le
più eseguite di quelle mahleriane, e giocata su
timbriche morbide, ben delineate in ogni sezione
strumentale in tutti i quattro movimenti che la
compongono .
Il
ritorno, nell'ultimo movimento - Das
Himmlische Leben (La vita celeste)- , della
Harmsen ha poi completato degnamente la serata
strappando ripetuti applausi dal numerosissimo
pubblico presente in Auditorium. Il Festival
Mahler procede oggi alle 18.00 con la Quinta
Sinfonia diretta da Robert Trevino alla guida
dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai. Da
non perdere!
4 novembre 2023 Cesare
Guzzardella
Meritato successo all'ultima
replica di Peter Grimes al Teatro alla
Scala
Ancora un meritato successo
al Teatro alla Scala per l'ultima replica
dall'opera di Benjamin Britten Peter Grimes.
È certamente una delle migliori messinscene
della Stagione 2022-23. In passato in solo
quattro altre occasioni (1947,1976, 2000, 2012 )
il palco scaligero aveva ospitato il
capolavoro
del grande musicista inglese, uno dei massimi
compositori del '900. Prima opera importante di
Britten- se non contiamo l'operetta Paul
Bunyan (1941)- Peter Grimes venne
rappresentata per la prima volta a Londra nel
giugno del 1945. Un Prologo e tre atti,
intervallati da quattro Interludi Marini
e una Passacaglia notissimi in campo
sinfonico. Il capolavoro di Britten, su libretto
di Montagu Slater da un poemetto di George
Crabbe, è un esempio di grande musica per un
grande teatro, dove la recitazione, tra canto e
recitativi, è parte integrante del
personalissimo linguaggio del grande compositore
inglese. Unitamente all'eccellente cast
vocale
trova ruolo di protagonista il Coro, parte
fondamentale del contesto scenografico. L'ottima
messinscena del regista Robert Carsen ha trovato
il fondamentale supporto dello scenografo e
costumista Gideon Davey in una visione cupa
completata dalle luci dello stesso Carsen e di
Peter Van Prate, con i video di Will Duke.
Importanti anche le coreografie di Rebecca
Howell presenti soprattutto durante gli
Interludi marini. Protagonista musicale del
lavoro la direttrice d'orchestra Simone Young -
recentemente anche impegnata e ascoltata in un
programma sinfonico - ha in modo esemplare
condotto l'Orchestra scaligera penetrando in
profondita i caratteri musicali e scenici
del
capolavoro britteniano, coadiuvata
dall'eccellente coralità preparata da Alberto
Malazzi. Di rilievo il cast vocale con un
eccellente Peter Grimes nella voce di
Brandon Jovanovich, ottimo anche attorialmente,
e ottima la vocalità e la recitazione di Nicole
Car in Ellen Orford. Altrettanto bravi
tutti gli altri protagonisti. Ricordiamo che è
già in scena l'opera di Italo Montemezzi
L'amore dei tre re con repliche previste per
questa sera e il 7-10-12 novembre. Da non
perdere.
(Foto in alto di Brescia- Amisano dall'Archivio
della Scala)
3 novembre 2023 Cesare
Guzzardella
Lavinia Bertulli
ai Pomeriggi
Musicali del Dal Verme
La pianista fiorentina
Lavinia Bertulli, classe 1999, è oggi impegnata
con James Feddeck, direttore principale dell'Orchestra
I Pomeriggi Musicali, nel Terzo Concerto
di L.V. Beethoven. Il programma ha come
primo
brano
l'Op.37 in do minore per pianoforte e
orchestra e quindi la Sinfonia n.1 in do
maggiore op.21 sempre del genio di Bonn.
L'anteprima ascoltata questa mattina è risultata
valida e il numeroso pubblico presente ha
tributato applausi convinti. Il Terzo di
Beethoven è certamente tra quelli più eseguiti e
pur risentendo ancora delle influenze
costruttive di Haydn e Mozart per la classicità
dello svolgimento, ha un taglio stilistico
tipico beethoveniano. La Bertulli ha donato
un'ottima interpretazione giocata su un
equilibrio formale ben pesato nei volumi e con
grande scorrevolezza
di
svolgimento. La classicità, con giusti contrasti,
mai eccessivi, rispecchia una visione
storicizzata del lavoro che punta sulla bellezza
delle sonorità e delle melodie, e su questi
aspetti l'interprete è stata convincente. Ottima
la sinergia con I Pomeriggi Musicali e con la
direzione di Feddeck. Dopo il breve intervallo
valida l'esecuzione della Prima Sinfonia
beethoveniana, lavoro di un Beethoven trentenne
che aveva assimilato in toto la lezione dei
classici che lo hanno preceduto. Di grande
impatto il delizioso Allegro molto e vivace
finale, il momento più caratterizzante del
brano. Questa sera alle ore 20.00 il concerto
ufficiale con replica per sabato alle ore 17.00.
Da non perdere.
2 novembre 2023 Cesare
Guzzardella
OTTOBRE 2023
Il pianista
Freddy
Kempf alle Serate
Musicali del Conservatorio milanese con
l'Orchestra Antonio Vivaldi
S ono
tutti molto giovani gli strumentisti
dell'Orchestra Antonio Vivaldi, realtà musicale
che svolge un'intensa attività sin dal 2011,
anno di fondazione. Ieri sera in Sala Verdi, ai
concerti organizzati da Serate
Musicali,
il direttore trentasettenne Ernesto Colombo ha
ben diretto la compagine in brani di Beethoven e
di Stravinskij. Del grande musicista tedesco
sono stati eseguiti il Concerto per
pianoforte e orchestra n.1 in do maggiore op.15
e il Concerto n.3 in do minore op.37,
due noti capolavori che hanno trovato come
solista al pianoforte il londinese Freddy Kempf,
interprete da molti anni ospite di Serate
Musicali Tra i due concerti pianistici, un
momento diverso, non proprio legato alle
sonorità dei concerti, era quello delle
Danses concertantes di Igor Stravinskij,
cinque momenti musicali in stile neo classico
con un Tema centrale ricco di variazioni.
Kempf, grande virtuoso della tastiera ha trovato
un ottimo adattamento alla classicità
beethoveniana pesando molto
bene
le sonorità di entrambi i brani e cercando
frangenti più estroversi laddove era possibile.
Le ottime sonorità espresse erano ben integrate
e in sinergia con i giovani dell'orchestra e con
la direzione di Colombo. I momenti più
riflessivi dei due brani, come i due splendidi
Largo centrali, hanno trovato un pianista
luminoso e di sicura espressività. Il bisogno di
una maggiore esternazione virtuosistica è
apparso soprattutto nei Rondò finali resi
con sicurezza ed energica esternazione e nelle
Cadenze di ogni concerto rese con decisa
determinazione. L'ottime qualità di Kempf hanno
poi trovato un frangente solistico nel
bellissimo bis concesso con un Preludio
di Nikolaj Girševič
Kapustin d'ispirazione jazz. Applausi fragorosi
e numerose uscite in palcoscenico
per il protagonista. Ottima la resa orchestrale
nelle
Danses
concertantes di Igor Stravinskij, cinque
momenti musicali composti tra il 1941 e il '42
negli Stati Uniti nel tardo stile neo-classico
tipico del grande compositore russo. Applausi
calorosi ai giovani strumentisti e al bravo
direttore.
31 ottobre 2023 Cesare
Guzzardella
Al "Festival
Mahler" la Sinfonia n.3
diretta da Peter
Claus Flor
Ieri pomeriggio al
Festival Mahler dell' Auditorium milanese
abbiamo ascoltato la Sinfonia n.3 in Re
minore di Gustav Mahler. In palcoscenico
ancora una volta l'Orchestra Sinfonica di
Milano, - dopo l'esordio con la Sinfonia n.2
"Resurrezione" - diretta però questa volta
da Claus Peter Flor, l'abituale direttore della
Sinfonica milanese. Ancora una bacchetta
italiana
quindi, dopo quella di Riccardo Chailly
impegnato la sera scorsa nella Sinfonia n.1
"Il Titano" . La monumentalità della
Terza, analogalmente a quella della seconda
sinfonia, presenta ancora una scenografia non
indifferente per la presenza di una grande
orchestra, il coro di voci femminili, quello di
voci bianche e una voce solista, affidata
all'ottimo contralto tedesco Anke Vondung. Le
Voci femminili preparate da Massimo Fiocchi
Malaspina e le Voci bianche, preparate da Maria
Teresa Tramontin, come la voce solista, sono
intervenute a metà brano, un lungo lavoro
strutturato in sei parti e dalla durata
complessiva di poco meno di cento minuti. È un
mondo musicale sfaccettato quello della sinfonia,
che trova relazioni melodiche e timbriche
riferibili sia alla musica popolare e
folcloristica boema che a quella raffinata e
colta del migliore stile viennese. Ottima la
lettura operata da Flor che ha dovuto scontrasti
con una partitura complessa, dove i continui
cambiamenti coloristici nel passaggio tra un
movimento musicale ad un altro avvengono
costantemente. La delicatezza degli archi, il
fragore degli ottoni, la dolcezza della voce
della Vonding, i timbri più decisi delle voci
femminili e quelli eterei delle voci bianche, si
sono alternati trovando un valido equilibrio
complessivo. La
mediazione di Flor per ottenere i capovolgimenti
timbrici e le giuste dinamiche di questo
articolato brano, hanno rivelato la sua
esaustiva direzione, chiara nelle intenzioni,
precisa nei dettagli, con modalità ben scandite
nel lunghissimo primo movimento, Kräftig
Entschieden, dove gli interventi quasi da "banda
di paese" degli ottoni e dei legni danno
volutamente un carattere meno classico e più
popolare alle estroverse sonorità. Momenti di
maggiore interiorizzazione emotiva sono avvenuti
negli altri movimenti, con frangenti di chiara
luminosità nella voce della Vondung. Bravissim o
il Coro sia delle voci bianche che quello
femminile. Grandissimo successo in un Auditorium
ancora al completo a dimostrazione della
riuscita di questo "Festival Mahler". Applausi
interminabili e uscite
più volte
di tutti i protagonisti sul grande
palcoscenico. Prossimo appuntamento sinfonico
con Mahler previsto per il 3 novembre con la
Quarta sinfonia e i Kindertotenlieder
con l'Orchestra della Toscana diretta da Markus
Stenz. Il 31 ottobre invece musiche di Schumann
riorchestrate da Mahler per le Sinfonie n.2 e
n.3 dirette da Feddeck alla testa dei suoi "I
Pomeriggi Musicali". Da non perdere.
30 ottobre 2023 Cesare
Guzzardella
Spira Mirabilis in
Auditorium al Festival Mahler
Spira
Mirabilis non è
solo un'ottima orchestra giovanile ma anche un "progetto",
un gruppo di ricerca interpretativa fondato da
giovani
strumentisti
nel 2007. Non avendo un direttore d'orchestra,
costruisce le interpretazioni dei brani
prescelti attraverso lunghe sedute di
discussioni e di prove continue che oltre a
realizzare il brano, forma e migliora il singolo
strumentista attraverso anche incontri periodici
con esperti di linguaggio barocco o classico.
Una vera scuola musicale d'interpretazione che
ha trovato riscontro già in 76 progetti
realizzati in tutta Europa. Ieri nel tardo
pomeriggio
per
il "Festival Mahler" abbiamo avuto l'opportunità
di ascoltare la formazione in Auditorium in una
concertazione di Mahler della Sinfonia n.3 in
mi bem. maggiore op.97 "Renana" (1850)
di Robert Schumann, un lavoro in cinque
movimenti reso con fluidità e ricchezza di
contrasti dai giovani orchestrali che oltre ad
una passione smisurata hanno rivelato ottime
qualità interpretative. Un solo brano cui ha fatto
seguito una breve
discussione sul lavoro eseguito e sull' attività
dei giovani professionisti.
29 ottobre C.G.
Manfred Honeck e Christoph
Pohl con l'Orchestra dell'Accademia Nazionale di
Santa Cecilia per il Festival Mahler
Dopo la Filarmonica scaligera
diretta da Chailly, ieri sera un'altra orchestra
tra i vertici delle formazioni italiane, l'
Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa
Cecilia, era presente al Festival Mahler
dell'Auditorium
milanese. Questa volta con uno dei cicli di
lieder più noti del grande compositore-direttore
austriaco, Des Knaben Wunderhorn ( Il
corno magico del fanciullo). I canti hanno
trovato in contrasto, nella seconda parte della
serata, la Sinfonia n.3 "Eroica' di L.v.
Beethoven. Alla testa della celebre orchestra
romana il direttore austriaco Manfred Honeck,
tra i più affermati internazionalmente, ha
espresso un'eccellente qualità direttoriale in
tutti i lavori trasmettendo evidente
espressività, a iniziare dai canti mahleriani
dove la voce baritonale del protagonista
Christoph Pohl ha rivelato una raffinata resa
timbrica ben accostata al perfetto equilibrio
volumetrico orchestrale. Della serie dei 24
canti di Des Knaben Wunderhorn, composti
da Mahler tra il 1887 e 1890 su testi curati da
Achin von Arnim e Clemens Brentan sono stati
estrapolati quelli più noti a partire dalla
poetica "Piccola leggenda del Reno",
passando
per l'intensa riflessiva "Luce delle
origini", per terminare col suadente ritmo
militare di "Risveglio" e con il
conclusivo straziante "Tamburino". La
traduzione dei testi dal tedesco all'italiano,
proiettati sullo schermo, era di Quirino
Principe. Applausi fragorosi egli interpreti.
Dopo il breve intervallo ottima
l'interpretazione della celebre "Eroica"
beethoveniana, ricca di sintesi e fluidità
discorsiva a dimostrazione dell'alto livello
comunicativo di ogni sezione orchestrale e delle
qualità direttoriali di Manfred Honeck,
applauditissimo al termine. Oggi alle 18.00
sempre in Auditorium Schumann riorchestrato da
Mahler nella Sinfonia "Renana".
28 -10 2023 Cesare
Guzzardella
La Filarmonica
della Scala
diretta da Riccardo Chailly per il Festival
Mahler in Auditorium
Continuano i concerti del
"Festival Mahler" in Auditorium che vedono
impegnate tra il 22 ottobre e il 13 novembre
diverse orchestre, oltre naturalmente alla
Sinfonica di Milano. Ieri sera siamo arrivati al
secondo
appuntamento
dedicato alla sinfonie del compositore
austriaco con
un'orchestra importante quale la Filarmonica
della Scala e con il suo direttore, il milanese
Riccardo Chailly. Era da molti anni che il noto
direttore musicale del Teatro alla Scala non
saliva sul podio in Auditorium, pur essendo
stato tra il 1999 e il 2005 tra i primi
direttori dell'Orchestra Sinfonica di Milano. È
tornato per questa importante occasione per
dirigere la Sinfonia n.1 in re maggiore "Il
Titano", probabilmente
il lavoro sinfonico mahleriano più conosciuto ed
eseguito. Di particolare rilevanza il breve
brano che ha preceduto la celebre sinfonia, il
Preludio Sinfonico in do minore (1876). È
un lavoro giovanile attribuito a un Mahler
(1860-1911) sedicenne, ottimamente ricostruito
da Albrech Gürsching e
ascoltato in un' ottima esecuzione ricca di
energia e trascinante discorsività. Dopo il
brano introduttivo, la Sinfonia n.1 "Il
Titano" composta tra nel 1888 e rivista sino
al 1894, - insieme alla n.4 tra le più
brevi pur raggiungendo quasi un' ora di musica-
era nei classici quattro movimenti.
L'orchestrazione di Chailly, d'intensa
luminosità, ha esaltato i frangenti di maggiore
energia timbrica con trascinante discorsività e
brillantezza espressiva.
Il
gesto preciso, sicuro ed essenziale del
direttore ha evidenziato un'eccellente sintesi
discorsiva nelle grandi volumetrie sonore e
profonda riflessione nei momenti più pacati,
situazioni esaltate con trasparenza da tutte le
sezioni orchestrali. L'eccellente qualità
timbrica di tutti gli strumentisti, con una
brillante sezione di ottoni, sotto la direzione
di un mahleriano come Chailly, ha trovato
un'esemplare restituzione che certamente ha
appassionato il pubblico presente in Auditorium,
in una sala al completo. Applausi fragorosi con
il direttore visibilmente soddisfatto.
Ricordiamo che questa sera alle ore 20.00 il
Festival Mahler continuerà con la presenza in
Auditorium dell'Orchestra Nazionale
dell'Accademia di Santa Cecilia diretta da
Manfred Honeck per Des Knaben Wunderhorn
- Il corno magico del fanciullo- , interpretato
dal baritono Christoph Pohl in sostituzione
di Matthias Goerne indisposto. In programma
anche la Sinfonia n.3 "Eroica" di
L.v.Beethoven. Da non perdere.
27 ottobre 2023 Cesare
Guzzardella
Alexei Volodin in
Conservatorio per la
Società dei Concerti
Il quarantaseienne pianista
russo, di San Pietroburgo, Alexei Volodin è
tornato in Sala Verdi per la Società dei
Concerti impaginando un programma che dai
classici Schubert e Beethoven arrivava poi ai
russi Medtner e Musorgskij. Il Klavierstücke
n.2 D 946, secondo dalla serie di
tre
del compositore viennese, introduceva la serata
rivelando un interprete sciolto, dalla timbrica
limpida ed estroversa, come anche evidenziato
nella successiva Sonata n.24 in fa diesis
magg. op.78 "À Thérèse" del musicista di
Bonn. In entrambi i lavori i frangenti di
contrasto esaltati con forza dal pianista
anticipavano la cifra stilistica dei due lavori
successivi. Sia in Medtner con la rara
Sonata- Ballata in fa diesis magg.op 27, che
nel celebre anteriore Musorgskij dei Quadri
di un'esposizione, Volodin ha dato il meglio
della serata rivelando più che ottime qualità
interpretative nel repertorio della sua terra.
La contrastata sonata del russo meno noto,
scritta tra il 1912 e il 1914, in tre movimenti
uniti in continuità -tra situazioni
di
rara luminosità e altri d'intensa drammaticità-
è stata completamente interiorizzata e
restituità degnamente dall'interprete
decisamente in sintonia con la musica russa.
Dopo l'intervallo i celebri Quadri ( 1874) del
compositore russo più noto, hanno trovato un
ottimo equilibrio coloristico nelle dieci parti
che compongono l'opera. I momenti più pacati e
quelli più voluminosi sono stati evidenziati con
maestria da Volodin che attraverso un
virtuosismo spesso definito da potenti masse
sonore ha ricreato una visione orchestrale
tipica del lavoro che verrà ripreso da Ravel per
la sua celebre orchestrazione. Applausi
fragorosi dal pubblico presente in Sala Verdi e
due ottimi bis: lo Studio op.25 n.1 di
Chopin e un breve ed intenso brano ancora di
Medtner dai Fairy Tales, l' op.34 n.2
in mi minore. Ancora intensi gli applausi.
26 ottobre 2023 Cesare
Guzzardella
Roberto Cappello alle
Serate Musicali del Conservatorio
Torna puntualmente in Sala
Verdi, nel Conservatorio milanese, il pianista
pugliese Roberto Cappello. Con la vittoria del
Concorso Internazionale Busoni, nel lontano
1976, è stato tra i primi interpreti che
salivano in palcoscenico nei concerti
organizzati da Serate Musicali. Le
qualità interpretative di questo virtuoso non si
discutono, emergono subito dal
suo profondo
approccio melodico. Anche nei brani più
complessi, ricchi di armonizzazioni, Cappello è
alla ricerca della cantabilità attraverso un'
evidente impegnativa penetrazione del totale
sonoro. L'ottima scelta dell'impaginato, tutto
russo, prevedeva ieri sera musiche di
Čajkovskij
e di Rachmaninov. Brani che spaziavano dalle
strutture più semplici,
con melodie sempre in primo piano, come nei
primi tre brani del primo grande russo e cioè la
Romanza op.5 in fa minore, la Romanza
op.51 in fa maggiore e la Canzone
d'autunno dalle Stagioni op.37a, sino
ai più complessi brani di Rachmanonov degli
eseguiti cinque Morceau de Fantasie op.3
o i tre dei sei Moments Musicaux op.16 ai
quali si
aggiunge anche il celebre Preludio
op.23 n.6. Rimanendo nella complessità,
segnaliamo anche l'ottimo arrangiamento
pianistico realizzato dallo stesso Cappello
sulla Fantasia- Ouverture dal Juliette e
Romeo di
Čajkovskij
eseguito dopo i tre più
brevi lavori. È una lunga esplorazione sonora la
Fantasia, tra intimità e voluminosa
estroversione, che ha rivelato ancora le qualità
virtuosistiche di un interprete che riesce a
evidenziare ogni dettaglio anche nei frangenti
armonicamente più complessi. Nella sua versione
è rimasta inalterata la coloristica orchestrale
del brano che ha spesso impatti timbrici
esasperati ma molto espressivi. I brani del
secondo russo sono stati resi con grande
efficacia tecnico-espressiva per una trasparenza
coloristica non comune. Applausi meritatissimi
dal pubblico presente in Sala Verdi e un bis di
pregnante e armoniosa resa melodica.
24 ottobre 2023 Cesare
Guzzardella
Il pianista Igor
Levit al Teatro alla
Scala
Il pianista trentaseienne
russo, naturalizzato tedesco, Igor Levit ha
tenuto un concerto alla Scala impaginando un
programma con musiche di Liszt, Wagner e Mahler.
Una scelta di rari accostamenti dove il breve e
noto primo brano, Liebstraum S 541/ 3 di
Franz Liszt, il più celebre Sogno
d'amore,
introduceva la serata mostrandoci un pianista
disinvolto nell'interpretare il noto lavoro. Il
suo approccio stilistico impostato su un tempo
rapido d'esecuzione del Sogno si è rivelato in
contrasto con i tempi meditati e riflessivi dei
più corposi altri brani. Il brano successivo e
conclusivo della prima parte del recital,
l'Adagio dalla Sinfonia n.10 di
Gustav Mahler, nel particolare e moderno
arrangiamento di Ronald Stevenson, ha trovato
una dilatazione e rarefazione al limite della
comprensione d'insieme, dove le note venivano
anche centellinate per allungare i tempi. È
quasi impossibile con la tastiera del pianoforte
imitare le note lunghe degli archi dei
celebri Adagio di Mahler, ma Levit è riustito in
questo lavoro a dare originalità all'esecuzione
restituendo la migliore interpretazione della
serata.
Dopo
l'intervallo, l'accostamento tra il noto
Preludio da Tristan un Isolde di
Richard Wagner, nella trascrizione di Zoltán
Kocsis, alla più eseguita Sonata in si minore
di Franz Liszt, avveniva senza soluzione di
continuità, unendo le ultime note del primo
lavoro alle prime del secondo. Una omogeneità
esecutiva complessiva quella di Levit in uno
sviluppo dilatato che ci ha lasciato un po'
perplessi, non riuscendo all'ascolto ha
comprendere il senso unitario di brani resi
celebri dalle migliori prassi interpretative
entrate nella storia. Il pianista ha comunque
ottenuto un evidente successo da parte del
numeroso pubblico intervenuto in teatro uscendo
più volte in palcoscenico per i fragorosi e
continuativi applausi ricevuti e concedendo poi
un bis brahmsiano, l'Intermezzo n.2 , di
valida resa espressiva.
23 ottobre 2023 Cesare
Guzzardella
L'eccellente Quartetto
Indaco allo
"SpazioTeatro
89"
Un piccolo ma elegante teatro
periferico milanese, lo
"Spazio
Teatro 89"
di via Fratelli Zoia, ha ospitato un concerto
per Quartetto d'archi di alto livello. Stiamo
parlando del Quartetto Indaco, un gruppo
quartettistico
nato
nel 2007, formato da Aleonora Matsuno e Ida Di
Vita ai violini, Jamiang Santi alla
viola e Cosimo Carovani al violoncello.
Dopo aver vinto numerosi concorsi meno
importanti, quest'anno hanno meritato il primo
premio in uno dei più
importanti concorsi internazionali: l' Osaka
International Competition. Le possibilità di
esibirsi nelle più importanti sale da concerto
mondiali sono certamente aumentate. La fortuna
di averli ascoltati oggi nel tardo pomeriggio,
nel decentrato teatro milanese, ci ha permesso
di constatare di persona, in un concerto live,
le loro eccellenti qualità. Ottimo l'impaginato
scelto che prevedeva due lavori importanti della
letteratura quartettistica: prima Beethoven con
il Quartetto per archi op.74 " Delle arpe",
poi quello ancora più celebre di Schubert il
D. 810 "La morte e la fanciulla".
L'esaustiva presentazione dei brani di
Luca
Schieppati, pianista e organizzatore musicale,
ha introdotto in sala i quattro strumentisti. In
entrambi i lavori, con alcuni deliziosi
movimenti nel segno delle variazioni,
l'alto livello interpretativo era giocato su un
equilibrio perfetto delle parti, timbriche
precise, escursioni dinamiche appropriate e
intensa espressività, rilevata nell'insieme e
ancor più nei frequenti momenti melodici del
primo violino della Matsuno e in quelli del
violoncello di Carovani, ma anche gli interventi
meno frequenti ma comunque appariscenti degli
altri due strumentisti si sono rilevati di primo
livello. Il meritatissimo successo, con
fragorosi applausi al termine e continue uscite
dei protagonisti ha permesso un bis molto bello
con un brano folcloristico danese
particolarmente dolce ed espressivo. Bravissimi!
22 ottobre 2023 Cesare
Guzzardella
Corrado Greco
e Luca Schieppati per "Musica Maestri!" in
Conservatorio
Danze, Arie, Rapsodie nel
bellissimo concerto organizzato in Conservatorio
per la serie Musica Maestri!. I docenti
dell'importante istituzione musicale milanese,
ma anche i migliori allievi, sono impegnati da
alcuni anni in questi rilevanti momenti musicali
di Sala Puccini. Nella
tarda
mattinata di oggi due affermati pianisti quali
Corrado Greco e Luca Schieppati, da alcuni anni
con cattedra di pianoforte al "Giuseppe Verdi"
milanese, hanno impaginato un programma
particolarmente vario, che prevedeva musiche di
Ravel, Galante e
Čaikovskij. Tutti brani per due pianoforti,
eccellenti trascrizioni da originali orchestrali
o per altri strumenti. Iniziando dalla
Rapsodia spagnola (1907) di Maurice Ravel
(1875-1937) e rivelando da subito l'ottima cifra
interpretativa dovuta anche ad un'ntensa
collaborazione del duo di oltre cinque
lustri, si
è passati
poi ad una novità
del
compositore milanese Carlo Galante (1959). Una
selezione di tre parti - la prima, la quarta e
la quinta (quella completa è in cinque brani)- ,
nella versione per due pianoforti dall'originale
per pianoforte e organo della Gioacchiniana:
Arie concertanti su frammenti rossiniani.
Brani particolarmente riusciti che nascono
dall'unione di arie rossiniane meno note
costruite in un linguaggio tonale anche in stile
neoclassico, molto indicativo dei modi
compositivi di Galante. Situazioni di estroverse
sonorità sono ottimamente interpretate dal
duo per una varietà di timbriche che
meriterebbero anche un'orchestrazione. Applausi
dal numeroso pubblico anche al compositore
salito sul palcoscenico. Come ultimo brano c'era
il celebre Schiaccianoci di
Čajkovskij in una bellissima
trascrizione di N. Economou: otto momenti della
Suite dal balletto che i due pianisti
ricostruiscono perfettamente ritrovando le
atmosfere coloristiche dell'orchestra. Applausi
meritatissimi e come bis un eccellente valzer di
Francis Poulenc.
22 ottobre 2023 Cesare
Guzzardella
La chitarra di Giulio
Tampalini per la Società dei Concerti
Finalmente una chitarra ai
concerti serali del Conservatorio milanese. Lo
strumento a sei corde viene in genere molto
sacrificato nelle serate concertistiche dei
teatri italiani pur godendo di un repertorio
molto vasto e pur essendo uno strumento completo
dal punto di vista armonico e
melodico.
Ieri sera, grazie alla "Fondazione la Società
dei Concerti", abbiamo ascoltato la chitarra
di Giulio Tampalini- tra i massimi virtuosi
dello strumento- nel più celebre dei concerti
chitarristici, il Concierto de Aranjuez
di Joaquín Rodrigo, composto dal musicista
spagnolo nel 1938/39 . Il brano del compositore
di Sagunto era stato anticipato da un lavoro
orchestrale di un altro musicista spagnolo,
Joaquín Turina, nato a Siviglia e della
generazione precedente quella di Rodrigo. La
NWD Philharmonie ottimamente diretta da
Jonathon Heyward ha introdotto molto bene la
serata con La oración del torero op.34,
rivelando ottimo equilibrio nel definire i
colori caldi di un lavoro di Turina di rara
frequentazione. Il clima spagnolo è quindi
rimasto per tutta la prima parte del concerto.
Il
chitarrista Tampalini è salito sul palcoscenico
con la chitarra per l'occasione un po'
amplificata, cosa che ultimamente si usa fare
nei grandi spazi, come la nostra Sala Verdi, per
sopperire alla mancanza di volumetria timbrica
dello strumento. Il concerto di Rodrigo, in tre
parti, ha il frangente più conosciuto nel
movimento centrale, un Adagio tra i più
penetranti della storia concertistica, per la
bellezza della celebre melodia, ricca di
tensione emotiva, che alterna lo strumento a sei
corde con il corno inglese. Di elevato spessore
interpretativo la chitarra di Tampalini,
eccellente anche nella corposa cadenza dell'Adagio
e ben diretto dalla bacchetta di Jonathon
Heyward. Applausi calorosi al termine
dell'esecuzione e ben due i bis solistici
concessi dal cinquantaduenne strumentista
bresciano: prima un intenso Capriccio arabo
di Francisco Tarrega che ha ancor più
rivelato la maestria del chitarrista e poi un
celebre Tango armonizzato "alla Piazzolla".
Cambio di clima musicale con la Sinfonia n.5
in mi minore op.64 di P.I.
Čajkovskij.
Il popolare lavoro del grande musicista russo ha
trovato un'ottima resa estetica dalla compagine
orchestrale tedesca nella direzione di Heyward.
Di grande impatto il conclusivo Allegro
vivace ,
finale
sorprendente per costruzione armonica e ancora
ottimamente reso dalla NWD Philharmonie.
Bellissimo il bis orchestrale concesso con l'adagio
"Nimrod" di Edward Elgar dalle Enigma
Variations. Applausi fragorosi. Ricordiamo
che nel corso della serata Enrica Ciccarelli,
Presidente della società
concertistica, ha segnalato i giovani studenti
vincitori del Concorso dedicato alle nuove
tecnologie video. Tra le tre scuole premiate,
delle numerose partecipanti alla realizzazione
di un video di grafica-musicale, è risultato
vincitore l'Istituto Superiore Carlo Dell'Acqua
di Legnano per il video denominato "Piantala!",
realizzato da alcuni studenti della quarta
classe .
19 ottobre 2023 Cesare
Guzzardella
Il flautista Matteo Cesari
alle Gallerie d'Italia in un concerto
itinerante tra le sculture e le pitture
contemporanee
Milano Musica ha
organizzato un interessante intervento musicale
presso le eleganti sale delle Gallerie d'Italia
mediante un breve ma efficace concerto
itinerante del flautista Matteo Cesari.
Attualmente nel rinnovato museo milanese la
mostra "Una collezione inattesa" vede
soprattutto sculture e pitture di artisti del
secondo Novecento e contemporaneo quali Marino
Marini, Giacomo Manzù, Arturo Martini, Fausto
Melotti, Lucio Fontana, Alberto Burri, Toti
Scialoja, Enrico Castellani, Robert Ryman,
Pietro
Consagra e ancora altri. Il flautista
trentottenne Matteo Cesari, specialista di
musica contemporanea, con un percorso
professionale di altissimo livello, ha scelto
brani di cinque noti compositori quali Berio,
Kurtág, Murail, Posadas e Sciarrino per
evidenziare tutte le potenzialità timbriche del
flauto. I brani, dal primo eseguito di Luciano
Berio (1925-2003) con la sua Sequenza I
del 1958, sino a quello più recente Prónomo
del 2010/20 di Alberto Posadas (1967), hanno
trovato luoghi diversi d'esecuzione, un vero
itinerario negli spazi quasi ad inserire le
diverse composizioni in luoghi scultorei e di
opere pittoriche differenti, per ottenere
situazioni sonore diversificate. Tutti i lavori
hanno messo in risalto le qualità sorprendenti
dell'interprete che riesce con il flauto ad
ottenere un'infinita gamma di possibilità
timbriche, usando lo strumento secondo una
modalità che nasce dalle ricerche fatte sullo
strumento in questi ultimi settant'anni. Dopo la
Sequenza I di Berio, Doloroso
(1992)
di
György Kurtág (1926), Unanswered questions
(1995) di Tristan Murail (1947), tutti
efficaci, il corposo e virtuosisticamente
penetrante Prónomo di Alberto Posadas ha
riempito ancor più di sonorità la sala
espositiva più grande. L'incredibile quantità di
effetti ottenuti dal flauto, amplificati
dall'ottimo riverbero del salone, hanno
trasformato lo strumento a fiato in una sorte di
orchestra sonora. Anche molti elementi di
gestualità del protagonista sono stati utili per
penetrare maggiormente il non facile lavoro.
Particolarmente ricercati gli ultimi tre brani
di Salvatore Sciarrino (1947) e precisamente
L'orologio di Bergson (1999), Immagine
fenicia (1996-2000) e Come vengono
prodotti gli incantesimi? (1985). Sciarrino
più degli altri compositori si è dedicato ad
un'attenta ricerca sulle sonorità del flauto
ampliando ancor più le potenzialità dello
strumento. Ancora eccellente la resa
espressivo-gestuale di Cesari. Applausi
fragorosi meritatissimi dal numeroso pubblico
intervenuto.
18 ottobre 2023 Cesare
Guzzardella
ll pianista-improvvisatore
Yakir Arbib al Teatro
Parenti
Nella rassegna del Teatro
Parenti denominata "Dalla tradizione ebraica
all'energia di Tel Aviv", riguardante teatro,
musica, danza e incontri con noti personaggi, la
prima serata ha visto sul
palcoscenico della Sala grande il
pianista, improvvisatore e compositore Yakir
Arbib. Il musicista italo-israeliano, non
vedente, ha una capacità improvvisativa al
pianoforte
assai
rara. Il suo pianismo trasparente e
timbricamente ottimo ha rivelato la scuola
classica di provenienza, accostata al bisogno di
trasformazione continua del materiale sonoro.
Nel non breve programma ha trovato riferimenti a
Bach, a Beethoven e a Bartók, unitamente a idee
completamente sue, costruendo quindi brani dove
l'improvvisazione utilizza un substrato
melodico-armonico saldamente legato alla musica
del passato, sia barocca che classica, che del
Novecento, con uno sguardo anche al folclore
medio-orientale. Improvvisazioni ottimamente
costruite le sue, diverse da quelle del mondo
jazzistico, ma altrettanto interessanti. Momenti
pacati, molto melodici e riflessivi, come quelli
del primo brano - ispirato dalla lettura di un
testo di Anna Frank- hanno trovato altre
situazioni con maggiori costruzioni
armonico-melodiche, come i due riusciti lavori
dove il punto di partenza bachiano - con due
Preludi dal Clavicembalo ben temperato
- hanno subito un'ottima trasformazione. Il
primo preludio, il celebre n.1 in Do maggiore
, dal primo libro, era completato
con la relativa Fuga completamente modificata e
ricostruita con ricca espressione. Il secondo
Preludio, in Do minore dal secondo libro,
con una ritmica irregolare in nove ottavi, quasi
jazzistica, ha creato contrasti particolarmente
marcati e ricchi di tensione. Molto interessante
poi il tema dalla Sinfonia Eroica di
Beethoven, riproposto con diversificate
variazioni ben articolate nella loro
aggregazione. Ancora valido il momento
bartòkiano, dove l'elemento ritmico, dissonante
e d'intensa volumetria ha trovato in Arbib
ancora grande creatività costruttiva. Pacata e
profonda la melodia dell'ultimo intimo lavoro.
Applausi calorosi meritatissimi al termine del
concerto, per un pianista improvvisatore di
eccellente musicalità. Questa sera al Teatro
Parenti si torna al teatro con la pièce
"Pizzeria Kamikaze", un lavoro basato sul libro
di Etgar Keret, per la regia di Mario De Masi.
17 ottobre 2023 Cesare
Guzzardella
Il
Quartetto Sincronie ai Lieti Calici degli
Amici del Loggione
La rassegna Lieti Calici
degli Amici del Loggione del Teatro alla
Scala è ripresa in via Silvio Pellico 6 per
presentare il Quartetto Sincronie, un
giovane gruppo cameristico per il quale è in
corso l'uscita del loro primo
Cd
Stradivarius dedicato a musiche di
Monteverdi e Malipiero. Mario Marcarini, a
introduzione della mattinata musicale-gastronomica,
ha ben spiegato l'importanza di Gian Francesco
Malipiero (1882-1973) nel panorama della musica
del Novecento. Il musicista veneziano legato al
repertorio antico, a cominciare proprio da
Claudio Monteverdi (1567-1643), ha composto
numerose opere liriche, spesso dimenticate e la
sua vena melodica la ritroviamo anche in molte
composizioni strumentali, come ad esempio i suoi
Quartetti d'archi, tre dei quali sono presenti
nel Cd che tra poco troveremo nei negozi e in
rete. L'ottima formazione quartettistica
Sincronie,
ci
ha donato un assaggio delle loro qualità
proponendoci parte dell'incisione con un
Quartetto d'archi di Malipiero - il n.3-
e alcune trascrizioni dalla Messa a quattro
voci di Monteverdi. Le valide
interpretazioni per entrambi gli autori, ci
hanno immerso in un contesto musicale
decisamente interessante e profondo, con i canti
a quattro voci di Monteverdi e il neoclassicismo
moderno del grande musicista veneto che
andrebbe
riscoperto nei teatri e nelle sale da concerto
almeno italiane e non solo. Il linguaggio di
Malipiero nei quartetti varia tra la vena più
melodica riferita al passato ad una esuberante
modernità espressa con ritmiche ben accentuate.
Dopo il breve intervento musicale e un breve bis
ancora di Monteverdi fragorosi gli applausi
meritatissimi e il classico ottimo brindisi con
vini di qualità e rilativi eccellenti assaggi
gastronomici.
15 ottobre 2023 Cesare
Guzzardella
Turangalîla-Symphonie,
con
Yuja
Wang al Teatro alla Scala
Ieri sera abbiamo ascoltato
la seconda e ultima replica del concerto
sinfonico della Filarmonica della Scala diretta
da Simone Young. La direttrice d'orchestra
australiana ha sostituito all'ultimo momento il
celebre direttore indiano Zubin Mehta,
indisposto. La grande sinfonia di Olivier
Messiaen, Turangalîla-Symphonie, ha
trovato come soliste la celebre pianista
cinese-statunitense Yuja Wang e alle Onde
Martenot la francese Cécile Lartigau. Il corposo
lavoro venne composto dal musicista
d'Avignone
tra il 1946 e il 1948. È uno dei grandi
capolavori del '900 ed è suddiviso in dieci
parti per una durata che può arrivare anche ad
ottanta minuti. Trovò la prima direzione a
Boston, nel 1949, con Leonard Bernstein sul
podio. L'ampio lavoro di Messiaen da decenni non
veniva eseguito alla Scala, ma recentemente,
nell'aprile di quest'anno, è stato eseguito a
Milano per un'ottima interpretazione
dell'Orchestra Sinfonica di Milano con Luca
Buratto al pianoforte e la Lartigau alle Onde
Martenot. Il brano del francese è stato
preceduto dalla Sinfonia n.38 in re maggiore
K. 504 "Praga" di W.A.Mozart per una
interpretazione energica e ricca di equilibrio
molto applaudita. Con l'ingresso delle due
soliste è iniziato il momento più atteso della
serata. Come scritto nell'articolo di aprile, la
vastissima orchestra utilizzata, alterna momenti
di voluminose esternazioni che possono
incontrare sonorità caotiche e altre di profonda
meditazione. In quest'alternanza di situazioni,
a volte di enorme voluminosità sonora, a volte
di pacata riflessione, espresse anche con
sovrapposizione di piani sonori spesso
apparentemente discordanti, si realizza la
filosofia musicale, molto personale e
profondamente religiosa,
di
Messiaen che ricordiamo essere stato oltre che
compositore anche organista e naturalista
ornitologo. La complessità di questo lavoro
ricco di luminosità ha visto l'utilizzo di tutti
le potenziali timbriche della compagine
orchestrale e l'importante parte pianistica a
volte con vistoso virtuosismo percussivo ed
effettistico, risulta essere solo una componente
del tutto, come anche le soavi sonorità prodotte
dalle Onde Martenot di Cécile Lartigau,
eccellente strumentista già presente
nell'esecuzione milanese di aprile.
L'interpretazione ascoltata è stata certamente
di ottima fattura, con una timbrica precisa e
dettagliata in ogni sezione orchestrale. La
Young ha rivelato un'ottima intesa con la
Filarmonica scaligera per una definizione
complessiva brillante e di grande equilibrio.
Precise e ben inserite le Onde della Lartigau, e
di perfetta resa la componente pianistica della
Wang. Pubblico entusiasta al termine
dell'eccellente lavoro e applausi fragorosi a
tutti i protagonisti in un teatro quasi al
completo.
15 ottobre 2023 Cesare
Guzzardella
Mischa Maisky
inaugura al Dal Verme
la Stagione de I Pomeriggi Musicali
La settimana di inaugurazioni
di stagioni concertistiche ha interessato anche
I Pomeriggi Musicali. Al Teatro Dal Verme
la prima ha avuto un protagonista
d'eccezione nel nome di Mischa Maisky, il
celebre violoncellista estone, di Riga, che
fortunatamente spesso abbiamo
l'occasione di
ascoltare a Milano. Ieri sera il noto
Concerto per violoncello e orchestra n.1 in la
minore op.33 di Camille Saint-Saëns è stato
preceduto da un noto brano del vivente Arvo Pärt
(1935) anche lui estone, di Paide. Il suo lavoro,
Fratres (1977) viene eseguito
costantemente in tutto il mondo. Un successo
internazionale, cosa rarissima per la musica
contemporanea, che nell'interpretazione
dell'Orchestra I Pomeriggi diretta da
James Feddeck ha trovato una degna restituzione.
Un lavoro quello di Pärt dove la ripetizione di
sequenze timbriche assume
il carattere
contemplativo tipico della sua musica, ricca di
pregnanza religiosa. L'ingresso del
violoncellista sul palcoscenico ha portato ad
un'anticipazione degli applausi sostenuti e
interminabili che saranno elargiti al termine
dell'eccellente Concerto in la minore. È un
lavoro tardo romantico, del 1873, che certamente
trova riferimento alla musica di Mendelssohn per
la discorsività e l'immediatezza delle
costruzioni. Il violoncello di Maisky, centrale
nel brano, ha esternato timbriche intense ed
espressive ben inserite nell'ottima
concertazione di Feddeck. La resa solistica,
notevole per incisività, unita ad una naturale
dolcezza del tocco del violoncellista, è stata
di altissimo livello.
Il pubblico ha notevolmente
apprezzato lo straordinario concerto nella
restituzione di Maisky e dei validi orchestrali.
Due i bis solistici concessi dal cellista con
due movimenti bachiani dalle celebri suites per
violoncello solo, il Preludio della
Suite n.2 e il Preludio della
Suite n.1, quest'ultima espressa in modo
estemporaneo ma con rinnovata tensione emotiva.
Applausi interminabili. Dopo il breve intervallo,
in programma l'immensa Sinfonia n.5 in do
minore op.67 di L.v. Beethoven. Un'
interpretazione energica e ben scandita quella
da James Feddeck, con tempi piuttosto rapidi ma
efficaci. Pubblico entusiasta. Bravissimi.
Ricordiamo la replica di domani, sabato alle
ore 17.00. Da non perdere.
13 ottobre 2023 Cesare
Guzzardella
Inaugurata la nuova Stagione
della Società dei Concerti con la
pianista Ying Li
Ieri sera in Sala Verdi, nel
Conservatorio di Milano, è iniziata la nuova
serie di concerti organizzati dalla "Fondazione
la Società dei Concerti". Interpreti noti e
orchestre importanti sono impegnati ogni
mercoledì sera
alle
ore 20.45 o nel pomeriggio alle ore 17.00 nelle
tre serie previste: le due serali, Smeraldo
e Rubino, e quella pomeridiana,
Zaffiro. Il primo concerto ha visto la
Deutsche Staatphilharmonie Rheinland-Pfalz
diretta dallo svizzero Mario Venzago in un
programma che prevedeva brani di Schubert e di
Bartók. L' Ouverture D796 dall'opera
Fierrabras del grande viennese ha introdotto
la serata rivelando da subito l'ottima cifra
stilistica della compagine orchestrale e del suo
direttore. Il secondo brano in programma, il
Concerto per pianoforte e orchestra in mi
maggiore n.3 di Bela Bartók , ha ritrovato
al pianoforte solista la cinese-statunitense
Ying Li, pianista venuta alla ribalta
internazionale proprio in questo palcoscenico
nel 2021 con la meritata vittoria del Premio
Internazionale Antonio Mormone.
Tornata
più volte in Sala Verdi, ieri si è cimentata con
il virtuosismo di Bela Bartòk in un lavoro
composto dal musicita ungherese nel 1945, a
pochi mesi dalla sua dipartita. Ying Li si è
trovata perfettamente a suo agio nel brano
giocato su una non semplice componente tecnica
che pur dimenticando le asprezze percussive dei
primi lavori, ha una grande varietà d'intrecci:
da quelli più lirici, con riferimenti al
folclore ungherese con certe influenze orientali,
alle situazioni dissonanti con ritmiche
irregolari tipiche del compositore, tutti
restituiti dall'interprete in modo mirabile dal
punto di vista della chiarezza dei dettagli, in
una visione complessiva unitaria. Di grande
nitore espressivo, ad esempio, le scandite note
dell'Adagio religioso centrale.
Ottima
anche la rilevante componente orchestrale, con
una restituzioni ricca di timbriche espressive
ben delineate da ogni sezione strumentale. Di
qualità il bis solistico di Ying Li con il noto
verdiano "Bella figlia dell'amore" da
Rigoletto nella virtuosistica rivisitazione di
Franz Liszt. Applausi fragorosi meritati. Dopo
il breve intervallo il ritorno musicale di
Schubert prevedeva la Sinfonia in mi maggiore
D 729 "Incompiuta", da non confondersi con
la più celebre "Sinfonia Incompiuta in si minore".
Questo lovoro è stato ricostruito partendo da
frammenti lasciati incompiuti nel 1821 e
completati da R.Dünser e dallo stesso Venzago.
L'ottima interpretazione ascoltata è stata di
particolare interesse per la qualità, la
quantità e la varietà delle brillanti idee
musicali, molto orecchiabili e ben ricostruite
nei quattro classici movimenti sinfonici.
Applausi calorosi al termine e come bis un noto
valzer di J. Strauss.
12 ottobre 2023 Cesare
Guzzardella
Il duo
Lozakovich-Redkin alle
Serate Musicali del Conservatorio
milanese
Secondo appuntamento
stagionale di alta qualità quello cui abbiamo
assistito ieri sera in Conservatorio. L'ottima
programmazione di Serate Musicali in Sala
Verdi, prevedeva infatti il duo formato dal
ventiduenne violinista di Stoccolma Daniel
Lozakovich e dal pianista russo Sergei Redkin.
L'impaginato comprendeva brani conosciuti di
Dvorak, Grieg, Franck e Ravel. Un programma
all'insegna del vurtuosismo con lavori che
hanno
fatto emergere le qualità del giovane violinista,
per l'occasione con uno Stradivari ex-Sancy 1713
in prestito dal gruppo LVMH. Uno strumento
timbricamente splendido che ha trovato un degno
utilizzatore nelle mani di Lozakovich. Insieme
all'ottimo pianista siberiano trentaduenne
Redkin, hanno iniziato il concerto con i
Cinque pezzi romantici op.75 di Antonin
Dvoràk, lavori intensamente lirici delineati con
evidente espressività dell'archetto del solista.
L'appariscente cifra timbrica, giocata da un
colore sottile, delicato e nello stesso tempo
incisivo è da subito emersa, per poi
evidenziarsi maggiormente nella Sonata n.3 in
do minore op 45 di Edvard Grieg, tre
movimenti con molto virtuosismo nell'Allegro
molto appassionato iniziale e maggiore
cantabilità nella Romanza centrale e
nell'Allegro finale ricco di riferimenti
folcloristici. Ottima l'integrazione sinergica
dei due strumenti, con una tastiera ben
rispettosa delle quattro corde. Il pezzo corposo
e forse ancor più noto di Cesar Franck, la
Sonata in la maggiore, ha visto
un'interessante
personalizzazione del duo, con
un'esucuzione di ampio respiro, quasi brahmsiano,
particolarmente efficace. Un capolavoro, quello
di Franck che ha trovato un'eccellente resa dai
due valenti interpreti con incisività e nitore
timbrico in tutte le quattro andature che
compongono la mirabile sonata ciclica. Ancor più
appariscenti le qualità di Lozakovich nella
celebre Tzigane di Maurice Ravel.
L'introduzione solo violinistica, ricca
d'incisività, ha trovato un solista capace di
ottenere contrasti dinamici chiari e d'
eccellente resa, e quindi la continuazione
ancora stupefacente del brano con l'entrata dei
colori pianistici, altrettanto pregnanti e
brillanti. Un' esecuzione di raro ascolto per
qualità raggiunta dal duo che evidenzia l'alto
spessore del violinista, coadiuvato benissimo
dalle precise e ben delineate armonie
pianistiche. Applausi fragorosi al termine e due
splendidi bis con due toccanti melodiosi brani.
Prima un delizioso Salut d'amour di
Edward Elgar e poi un altrettanto delicato
Aprés un Rêve di Gabriel Fauré. Serata
memorabile.
10
ottobre 2023 Cesare
Guzzardella
Tatiana Larionova
allo Spazio Teatro 89 di Milano
Lo Spazio Teatro 89, il
piccolo, accogliente ed elegante teatro da
alcuni anni attivo in via Fratelli Zoia 89, ha
ospitato ieri la pianista Tatiana Larionova per
un impaginato tutto russo con brani di
Čajkovskij
e di Rachmaninov. L'interprete, classe 1979, ha
affrontato con disinvoltura ed espressività
entrambi i compositori. Partendo dal Thème
original et variations, op. 19 n. 6 del
primo russo, compositore celebre nel
repertorio
sinfonico e trascurato in quello pianistico, la
Larionova ha trovato un giusto equilibrio
nell'esprimere con timbrica chiara l'opera
giovanile di un autore che pur risentendo delle
influenze dei grandi dell'Ottocento sviluppa già
una personalità certamente riconoscibile. Il
brano successivo di Sergej Rachmaninov con le
sue Variazioni su un Tema di Corelli op. 42,
rappresenta un esempio di grande maturità del
secondo compositore russo, celebre anche come
virtuoso del pianoforte. La semplice melodia
originaria del compositore barocco italiano
Arcangelo Corelli, viene mirabilmente modificata
con una sequenza di venti varianti
particolarmente ricche di contrasti, da quelle
più virtuosistiche, spesso rapide e di breve
durata, a quelle maggiormente melodiche e più
distese,
che
hanno nel genio di Rachmaninov una
personalizzazione di smisurato livello
costruttivo e creativo. Qui la Larianova ha
fornito la migliore resa, con una vitalissima
interpretazione giocata su un luminoso
virtuosismo e su una evidente chiarezza
espressiva. Di ottimo livello i brani successivi:
prima di
Čajkovskij,
Dumka, scena rustica russa op. 59, opera
matura del russo ben delineata dalla pianista e,
a conclusione, i Six Moments Musicaux op. 16
di Rachmaninov, lavoro giovanile ma con alcuni
momenti già
caratterizzanti la personalità dell'autore.
Ottima l'interpretazione e valido il bis
concesso con il noto Preudio op.3 n.2 in do
diesis minore. Applausi sostenuti.
Ricordiamo che Tatiana Larionova riproporrà
musiche di Rachmaninov il 12 ottobre a Milano
presso l'aula magna dell'Università cattolica
nei concerti denominati "Pianoforte in Ateneo".
Da non perdere.
9 ottobre 2023 Cesare
Guzzardella
Lilya Zilberstein
diretta da Alondra
de la Parra in
Auditorium
Il concerto di ieri sera con
l'Orchestra Sinfonica di Milano ha
trovato due donne protagoniste per le musiche di
Rachmaninov e di Brahms. Del primo abbiamo
ascoltato la Rapsodia su un tema di
Paganini
per pianoforte e orchestra Op.43 (1934); del
secondo la Sinfonia n.1 in do minore Op.68
(1855-77). Certo il riferimento al grande
virtuoso Niccolò Paganini in una serata per
l'occasione denominata "Paganini al piano", era
lecito anche se nella stupenda Rapsodia Op.43
abbiamo ritrovato soprattutto la personalità
del virtuoso Sergej Rachmaninov e meno quella
del grande virtuoso dell'archetto genovese.
Quasi un pretesto da parte del
pianista-compositore russo quello di utilizzare
il celebre tema del Capriccio n.24 di Paganini
per far emergere invece tutta la sua fantasia e
la sua capacità di variare e costruire il lavoro.
Un brano dalla durata di otre venti minuti, che
ritrova contrasti accentuati tra virtuosismi
incredibili e momenti d'intensa riflessione
sonora. Il tutto è stato reso in modo eccellente
dalla Zilberstein, pianista moscovita salita
alla ribalta nel lontano 1987 vincendo il
Concorso Internazionale F. Busoni e da
allora considerata tra le massime interpreti
della scuola russa e non solo. Diretta bene
dalla direttrice d'orchestra messicana Alondra
de la Parra, la Zilberstein ha dominato la
tastiera evidenziando sicurezza
assoluta
nei passaggi più impervi, delicatezza e
sensibilità espressiva nei momenti più pacati ed
equilibrio complessivo di primo livello.
Un'interpretazione qualitativamente di raro
ascolto, per efficacia non solo virtuosistica ma
anche d'espressione. Nessun bis solistico al
termine. Nella seconda parte della serata la
nota Sinfonia n .1 di Brahms, lavoro nei
classici quattro movimenti che ebbe lunga
gestazione, ha visto una valida interpretazione
dalla Sinfonica di Milano, compagine che ha
trovato una direttrice sensibile, dal gesto
efficace. Interpretazione in crescendo con un
ottimo Finale nell'Adagio- Più andante-
Allegro non troppo,ma con brio, il movimento
più atteso per la coralità del tema più noto.
Applausi fragorosi dal numeroso pubblico
intervenuto in Auditorium. Domenica 8 ottobre,
alle ore 16.00, la replica. Da non perdere!
7 ottobre 2023 Cesare
Guzzardella
La pianista
Elisabetta
Galindo Pacheco in concerto presso il Shigeru
Kawai Center di Cesano Boscone
Tra i concerti che si stanno
svolgendo alla rassegna musicale "Primavera
di Baggio", nel tardo pomeriggio di ieri
abbiamo avuto l'occasione di assistere,
nell'elegante Shigeru Kawai Center di Cesano
Boscone, ad una bella esibizione della giovane
pianista milanese Elisabetta Galindo Pacheco.
Presentata da Davide Cabassi, ideatore della
fortunata rassegna musicale dello storico comune
del milanese, e da Andrea Carcano, entrambi
docenti di pianoforte principale al
Conservatorio milanese, la
Galindo
Pacheco ha impaginato un ottimo programma con
brani di Mozart, Brahms, Dusman e Berg. La
Sonata in re maggiore K 576, ultima del
genio salisburghese, ha introdotto il concerto:
la valida esecuzione ha avuto il momento
migliore nell'Adagio centrale. Con Brahms
e la scelta degli Intermezzi n.1, n.2 e
n.4 dai celebri Klavierstüke op.118,
abbiamo trovato un'interprete
più determinata e a suo agio in un mondo sonoro
molto vicino alla sua sensibilità. Ottima la
resa timbrica complessiva, corposa, decisa e ben
delineata nei dettagli. La compositrice
statunitense Linda Dusman, classe 1956, scriveva
nel 2002 quattro brevi brani - "States"-
dedicati a giovani pianisti. La Galindo Pacheco
ha rivelato disinvoltura nell'eseguirli,
collegandoli poi all'ultimo brano in programma,
la nota Sonata n.1 di Alban Berg.
Notevole l'interpretazione del brano che Berg
compose nel 1908 su suggerimento del suo maestro
Arnold Schönberg. La pianista ha qui dimostrato
indubbie qualità nella non facile
sonata
anticipatrice della più evoluta musica
novecentesca, rivelando eccellente sintonia
con il repertorio più moderno. Applausi
meritatissimi dal numeroso pubblico intervenuto
e ottimo il bis concesso con la ripetizione del
primo Intermezzo brahmsiano. Al termine, un
simpatico brindisi tra i magnifici pianoforti
Kawai esposti nel grande salone.
6 ottobre 2023 Cesare
Guzzardella
Il grande Bach per due,
tre e
quattro pianoforti alle Serate Musicali
Non capita pressochè mai di
ascoltare un concerto come quello visto e
ascoltato ieri sera in Conservatorio per
Serate Musicali. La grande musica di J.S.
Bach ha brillato con la compagine strumentale
L'Appassionata e con ben quattro ottimi
pianisti quali Leonora Armellini, Zlata
Chochieva,
Anton
Gerzenberg e Mattia Ometto. In programma i
Concerti per due tastere e archi BWV 1060-
061-1062, i Concerti per tre tastiere BWV
1063-1064- e il Concerto per 4 tastiera
in la minore BWV 1065. Quest'ultimo in
realtà è un concerto di Antonio Vivaldi
trascritto da Bach dall'originale per quattro
violini. I solisti si sono alternati in diverse
combinazioni, sino a suonare tutti insieme
nell'ultimo splendido lavoro, con l'ultimo
movimento ripetuto poi come bis. Tutti i brani,
sempre in tre movimenti, datano 1735 e
rappresentano un esempio di grande architettura
musicale resa molto bene nelle attuali versioni
con pianoforte. I quattro interpreti, ben
inseriti
nel contesto strumentale, ottimamente diretto
dal maestro orchestratore e primo violino
Lorenzo Gugole, hanno trovato il giusto dosaggio
timbrico esternando ciascuno una differente
personalità non facilmente distinguibile visto
il continuo cambio delle parti, ma certamente di
ottima qualità. L'ottima resa complessiva sia
dei pianisti che degli strumentisti ad arco ha
portato ad un successo meritatissimo da parte
del pubblico presente in Sala Verdi. Una serata
unica nel genere barocco che rimarrà nei ricordi
di chi ha avuto la fortuna di essere presente.
Lunedì prossimo, 9 ottobre, il violinista Daniel
Lozakovich ed il pianista Dmitri Shishkin
eseguiranno musiche di Dvorak,
Grieg, Franck
e Ravel.
Da non perdere
3
ottobre
2023
Cesare
Guzzardella
SETTEMBRE 2023
Il violino di
Giuseppe
Gibboni per la
Sinfonica di Milano diretta
da Joel Sandelson
È iniziata "alla grande" la
Stagione sinfonica all'Auditorium di l.go
Mahler. Ieri sera sul palcoscenico milanese
l'Orchestra Sinfonica di Milano, diretta per
l'occasione dall'inglese Joel Sandelson, ha
trovato nel primo concerto stagionale il violino
solista di Giuseppe Gibboni, classe 2001, per il
Concerto n.1 per Violino e Orchestra in re
maggiore op.35
di
Čajkovskij. Dopo l'intervallo, un altro
capolavoro in programma quale la Sinfonia n.5
in re minore op.47 di Šostakovič. Due brani
russi a confronto quindi, iniziando con una
celebre composizione nei classici tre movimenti
che trasuda dei modi occidentali d'intendere la
musica. Il lavoro è stato
composto dal primo grande russo nel 1878 con un
evidente riferimento alla musica romantica; il
brano successivo , più complesso del 1937 è tra
i migliori del secondo russo ed è legato in
profondità
alla sua terra. Nell'Op.35 di
Čajkovskij,
probabilmente il concerto violinistico più
eseguito al mondo, Gibboni, vincitore del
prestigioso Concorso Paganini di Genova
nell'ottobre 2021, ha ancora una volta
dimostrato le sue splendide qualità
interpretative giocate su un'espressività di
primo livello ottenuta con una tecnica precisa,
dettagliata, con intonazioni perfette anche nei
sopracuti e un vibrato ricco di colore.
Ottima
poi la direzione del giovane Sandelson che ha
dato un taglio energico alla celebre
composizione con incalzanti volumetrie sonore
come quelle emerse nell'Allegro vivacissimo
del finale. Applausi calorosissimi dal
numeroso pubblico presente. Due ottimi bis
solistici concessi da Gibboni con un esemplare
Capriccio n.5 di Paganini intriso di
virtuosismo ed espressione ed un intenso
Adagio da una Sonata per violino solo di
Bach. La nota Sinfonia op.47 di
Šostakovič ha poi rivelato l'alto spessore
interpretativo della Sinfonica di Milano
attraverso la direzione orchestrale minuziosa,
attenta e di grande equilibrio di Sandelson.
I quattro movimenti che compongono probabilmente
il lavoro sinfonico più
conosciuto del
russo,
sono stati delineati penetrando la partitura in
ogni frangente, a partire dal contrastato
Moderato iniziale, passando per il brioso
Allegretto e quindi il profondo terzo
movimento Largo e arrivando all'ancora
volumetrico Allegro non troppo finale.
Una direzione quindi in perfetta sintonia con le
grandi potenzialità dell'Orchestra Sinfonica
milanese. Ricordiamo che il ventinovenne
Sandelson nel 2021 ha vinto il prestigioso
Premio Herbert von Karajan Young Conductors del
Festival di Salisburgo. Ancora applausi calorosi
e interminabili al termine della splendida
serata. Si ricorda la prima replica del concerto
prevista per questa sera alle ore 20.00 e quella
di domenica alle ore 16.00. Da non perdere!!
29 settembre 2023 Cesare
Guzzardella
Successo per
Beethoven in
Vermont di Maria Letizia Compatangelo e del Trio
Metamorphosi
Conosciamo bene il Trio
Metamorphosi, ossia il violinista Mauro
Loguercio, il violoncellista Francesco Pepicelli
e il pianista Angelo Pepicelli: i loro Cd
dedicati ai Trii di Beethoven sono un vero
successo discografico. Non li conoscevamo invece
come attori: lo diventano, restando
contemporaneamente strumentisti, nella riuscita
pièce teatrale
vista
e ascoltata ieri sera al Teatro Lirico "G.Gaber"
di Milano. Un lavoro pensato e organizzato dalla
drammaturga e saggista Maria Letizia
Compatangelo, intitolato "Beethoven in Vermont",
in programma al Gaber per la rassegna Musical
Square. Un racconto in musica che vede
protagonisti tre esuli dalla Germania nazista,
arrivati nel Vermont, dove fondano nel 1951 una
scuola musicale e il Festival di Marlboro. Si
trattava di Adolf Busch, grande violinista,
Hermann Busch, cellista e Rudolf Serkin,
pianista, il celebre trio che ha segnato la
storia dell'interpretazione. Il lavoro è stato
preceduto da un breve concerto del giovane
pianista Francesco Spiri che ha suonato l'Arabesque
e Papillon di Robert Schumann con
delicato ma profondo spessore espressivo. Un
valore aggiunto dello spettacolo è certamente la
novità di unire musica e recitazione senza che
ci sia frammentazione o mancanza d'unità. I
protagonisti alternano l'esecuzione di movimenti
beethoveniani dei celebri trii per violino,
violoncello e pianoforte a dialoghi ottimamente
recitati: si assiste a un serrato scambio di
idee sulla scelta del programma per il concerto
che dovrà essere tenuto al primo Festival di
Marlboro. La scelta andrebbe fatta tra Haydn,
Mozart,
Schubert o anche Rave l, ma cadrà poi sul grande
genio di Bonn. Al termine dello spettacolo il
più celebre Trio dell'Arciduca verrà
parzialmento eseguito con il movimento più noto,
interpretato mirabilmente. La maggiore tensione
del dialogo si avverte quando emerge il ricordo
della Germania nazista, con la conseguente
decisione dei Busch, tedeschi, e di Serkin,
ebreo austriaco, di lasciare l'Europa per gli
Stati Uniti. Nell'ottima regia della
Compatangelo, autrice anche dei dialoghi, i tre
passano dalla staticità di alcune esecuzioni al
movimento, sia recitando che suonando, in un
armonioso legame tra teatro e musica. Il
pubblico che occupava interamente la platea ha
saputo apprezzare lo spettacolo, che meritava
assolutamente di essere visto e ascoltato.
Applausi fragorosi ai tre protagonisti e alla
regista salita sul palcoscenico.
28 settembre 2023 Cesare
Guzzardella
AL CONSERVATORIO DI
NOVARA PROSEGUONO I CONCERTI DEL PIANOVARA
FESTIVAL CON IL GIOVANE JIHUA LIU
Nato in Cina nel 1997,
formazione pianistica in patria, una messe di
concorsi vinti in Cina e in generale in Estremo
Oriente, ora in Italia, a Novara, per un biennio
di perfezionamento al Cantelli col Maestro
Coppola. Questo il ritratto sintetico del
protagonista della nuova serata concertistica
per pianoforte solo, in programma al Cantelli
ieri sera, mercoledì 27 settembre, nell'ambito
del Pianovara festival, la novità di
inizio
stagione a Novara. Il biglietto di presentazione
di Liu dinanzi al pubblico dell'Auditorium
Olivieri erano i primi sei Preludi del Libro I
di C. Debussy. L'interpretazione di Liu è stata
decisamente di buon livello. Questo giovane
pianista cinese è fornito di un tocco che si
distingue per morbidezza e dolcezza, oltre che
per estrema precisione, che nelle zone acute e
sovracute della tastiera attinge una chiarezza
cristallina di rara suggestione. Per questo Liu
raggiunge il livello più alto sul piano
espressivo nei Preludi in cui più accentuato si
fa il carattere incantatorio, una grazia formale
sospesa in una rarefatta immobilità, in cui il
Debussy 'impressionista' sembra anticipare il
Debussy 'astratto' di "Pelléas et Melisande";
come nel primo, la lenta, misteriosamente
ieratica danza processionale delle "Danseuses de
Delphe" o il secondo "Voiles", dove le dita
sapienti di Liu incidono l'arabesco e la melodia
affidati alla mano destra e l'arcano rintocco al
basso per la sinistra, sovrapponendoli con una
delicatezza e una sensibilità finissima nelle
minime variazioni, che raggiunge livelli
espressivi di intensità superiore a esecuzioni
di ben più titolati interpreti. Perfetta, a
nostro avviso, l'esecuzione del sesto Preludio,
i celebri "Passi sulla neve", in cui il duttile
tocco di Liu fa risuonare la gamma delle
sfumature e i vari colori di questo pezzo
meraviglioso, in una gamma di sottilissime
variazioni che vanno, secondo le indicazioni
dello stesso Debussy, dall'"espressivo e
doloroso", all'"espressivo e tenero", al "tenero
e triste rimpianto". Le Variazioni su un tema di
Corelli op.42 di S. Rachmaninov erano il secondo
pezzo in programma nel recital di Jihua Liu.
Questa composizione è sempre stata considerata
una sorta di eccezione nel corpus della musica
di Rachmaninov, per l'assenza, o quantomeno la
drastica riduzione, di quell'enfasi sentimentale,
sostenuta da un estremo virtuosismo, tipicamente
tardoromantica, che contraddistingue
notoriamente la sua produzione musicale. Queste
Variazioni, su uno dei temi più celebri della
storia della musica, quello della "Follia"
sfruttato da molti compositori, tra cui Corelli,
presenta invece una sorprendente economia di
mezzi espressivi, una più approfondita
elaborazione formale e armonica, che talvolta
raggiunge i confini del sistema tonale e in
generale una 'severità' di impianto che a taluni
ha richiamato addirittura Reger. Liu imposta la
propria interpretazione scegliendo di portare in
primo piano la ricerca coloristica, con un
calibratissimo controllo delle dinamiche e una
sottile varietà di tocco, soprattutto nelle zone
estreme della tastiera. Ai valori 'costruttivi
delle Variazioni, insomma, Liu preferisce la
sottigliezza delle sfumature timbriche,
riuscendoci perfettamente e dando di queste
Variazioni un'interpretazione piuttosto
originale. Il concerto era concluso da quella
che presumiamo la prima esecuzione assoluta in
Italia di una composizione di Zhang Zhao,
sessantenne compositore tra i più affermati oggi
in Cina: si tratta di un breve pezzo per
pianoforte intitolato" Pi Huang", che è il nome
di un giovane e affermato pianista contemporaneo,
naturalmente cinese. Il pezzo articolato in
quattro sezioni, alternatamente lenta e veloce,
presenta un impianto tonale, con alcune zone di
politonalità, e, nelle sezioni veloci, passi di
agilità e virtuosismo, e in generale, frondosa
ricchezza di abbellimenti, a simboleggiare
musicalmente, immaginiamo, il virtuosismo di Pi
Huang, di cui esistono testimonianze su You
Tube. Qui diremmo che emerge soprattutto la
personalità del Liu virtuoso, in possesso di una
tecnica solidissima, che sgrana con assoluta
precisione torrenti di note nelle sezioni
agogicamente più sostenute del pezzo di Zhao, ma
che sa anche restituire in modo suggestivo
l'atmosfera sospesa e misteriosamente lenta
delle sezioni prima e terza. Un ottimo concerto,
il migliore senz'altro dei tre sinora da noi
ascoltati nell'ambito del Pianovara Festival,
come ha confermato il lungo e caloroso applauso
tributato dal pubblico. Neppure in questo caso,
tuttavia, il solista ha concesso il bis: che sia
una regola dei concerti del Pianovara Festival?
28
settembre 2023 Bruno Busca
Musica Futurista
e d'intorni al Museo del Novecento con Diego
Pretella e Giorgia McKenzie
Un concerto di raro ascolto,
ma interessante e piacevole, quello ascoltato
ieri pomeriggio nella scenografica Sala Fontana
del Museo del Novecento, organizzato da NoMus
e con il sostegno della Società del Quartetto.
Il pianista Diego Petrella e il soprano Giorgia
McKenzie si sono cimentati in un repertorio che
aveva come riferimento centrale il Futurismo. La
corrente letteraria-artistica ideata da Filippo
Tommaso Marinetti ha una declinazione anche
musicale con musicisti che vanno da Antonio
Russolo,
l'ideatore, insieme al più noto fratello Luigi
dell'intonarumori, a compositori come Francesco
Balilla Patrella, Franco Casavola, Aldo Giuntini
e altri ancora. Nel variegato impaginato ideato
dal giovane pianista Diego Petrella, interprete
coraggiosamente orientato nel mondo della musica
contemporanea - ma anche ottimo pianista nei
classici- ai nomi già detti si aggiungono
compositori come Leo Ornstein, Arthur Lourié,
George Antheil e il nostro Sylvano Bussotti,
tutti accomunati da modalità compositive nuove e
vicine alle esperienze futuriste. Tra la dozzina
di brani eseguiti abbiamo trovato situazioni
fortemente ricche di contrasti come in alcuni
brani tratti dalle Tre sintesi musicali
futuriste di Aldo Giuntini o nell'avvincente
Sonata Suicide in an airplane del
compositire russo-statunitense Leo Ornstein,
resa ottimamente dal pianista;
ma anche situazioni altamente melodiche come in
Tankas per voce e pianoforte di Franco
Casavola dove è emersa la luminosa voce di
Giorgia McKenzie. Originali anche le
Variazioni Russolo di Sylvano Bussotti, rese
con creatività nella parte improvvisata da
Petrella e il brano conclusivo di Pratella/Marinetti,
una Marcia futurista per voce e
pianoforte particolarmente originale. Originali
anche Ode to a Nightingale per pianoforte
e voce narrante di George Antheil e la
trascrizione pianistica tratt a
dal secondo atto di La caduta dell'aviatore
Dro ancora di Pratella. Un pomeriggio ricco
di rarità, apprezzato dal numeroso pubblico che
affollava Sala Fontana. Applausi fragorosi ai
due bravissimi protagonisti.
27 settembre 2023 Cesare
Guzzardella
AL PIANOVARA RECITAL
DI FLORIAN KOLTUN
Ieri sera, martedì 24
settembre, il festival pianistico Pianovara,
alla sua prima edizione, vedeva, nell’auditorium
del Conservatorio G. Cantelli, un recital del
pianista tedesco Florian Koltun, non molto
conosciuto in Italia, ove pure si è esibito in
alcune sale da concerto in anni passati, ma di
una certa fama in Germania, ove ha esordito una
decina di anni fa, e vanta già una nutrita serie
di concerti, di premi in concorsi più o meno
importanti in patria e in Europa; suona sia come
solista, sia in duo con la pianista cinese Xin
Wang. Il programma della serata proponeva tre
pezzi: le 32 Variazioni in Do minore WoO 80 di
Beethoven, la Ciaccona in Re minore di
Bach/Busoni e la Sonata in Fa diesis minore op.2
nr. 2 di Brahms. Le variazioni beethoveniane WoO
80 richiedono qualche considerazione preliminare:
nonostante siano stranamente prive di numero
d’opus, sono tutt’altro che un’opera minore del
corpus del Maestro di Bonn. Concepite nel 1806,
anno tra i più creativi della vita musicale di
Beethoven, riscossero subito un grande successo
e furono frequentemente eseguite per gran parte
dell’800, salvo uscire dal repertorio dei grandi
pianisti nel secolo successivo. Presentano, dal
punto di vista compositivo, un motivo di
interesse, il fatto che sono impostate come
variazioni
su un basso ostinato, un tema discendente per
gradi cromatici, che si ripete costantemente
nelle Variazioni, secondo il principio delle
forme barocche della Ciaccona e della
Passacaglia (nel 1802 era stata pubblicata per
la prima volta e resa nota all’Europa musicale,
con le altre Sonate e Partite per violino, di J.
S. Bach, anche la oggi celeberrima Partita in Re
minore con la sua Ciaccona). In questo senso le
Variazioni WoO 80 si possono accostare alla fuga
nel finale del contemporaneo terzo Quartetto
Razumovskij, a segnare l’inizio di una ricerca
che sfocerà nel ‘terzo stile’ degli ultimi
quartetti e delle ultime sonata pianistiche.
Stilisticamente, queste variazioni vedono
prevalere la figurazione ornamentale rispetto
all’elaborazione armonica, il che forse può
spiegare la non grande considerazione in cui
Beethoven ostentò di tenerle. Questo brano può
essere interpretato in due modi opposti,
entrambi, sia chiaro, legittimi: o dando maggior
risalto al piano espressivo-sentimentale, dando
voce a quel colore patetico e malinconico che la
tonalità di Do minore imprime al tema, lasciando
in secondo piano il basso ostinato ( magistrale
al riguardo l’incisione di Barenboim), o portare
in primo piano la struttura architettonica delle
variazioni, dando pieno rilievo anche al basso
ostinato di Ciaccona nella sua dialettica con la
melodia del tema, ‘asciugando’ completamente, o
quasi, l’aura espressiva del brano. E’
precisamente questa la scelta fatta da Koltun:
dotato di un suono di grande energia, ha
presentato queste variazioni di Beethoven come
pura architettura di suoni, che sorge
dall’incrociarsi continuo e incessante del basso
ostinato e del tema. Un’immagine di grande e
robusta compattezza formale, peraltro
sapientemente screziata dalle ombreggiature dei
diversi piani dinamici, gestiti con abilità da
Koltun. Una buona interpretazione, anche se la
scelta della tonalità di Do minore da parte di
Beethoven ne esce in gran parte azzerata nei
suoi effetti sul colore del suono. La stessa
poderosa compattezza strutturale, la stessa
predilezione per un’interpretazione in chiave
meramente formale, del resto pienamente
giustificata dalle dichiarazioni stesse di
Busoni, sono alla base dell’esecuzione, da parte
del pianista tedesco, della Ciaccona in Re
minore di Bach nella trascrizione, appunto, di
Busoni: pezzo in perfetta continuità con il
precedente. Sfruttando al massimo la poderosa
energia del suo tocco, Koltun cerca, riuscendovi
quasi sempre, di dar vita a a quella sonorità ‘organistica’,
che Busoni intendeva conferire a questa
trascrizione: ascoltando le ‘volatine’
trascinanti della nona variazione o il moto
discendente verso registri di abissale oscurità
nella trentesima e ultima variazione, si aveva
l’impressione che sotto il pianoforte ci fosse
la pedaliera di un organo. Nel complesso anche
questa sarebbe stata una apprezzabile esecuzione,
se qualche nota un po’ sporca di troppo non
fosse affiorata qua e là nei passaggi più
impervi. Più di una perplessità ha suscitato in
noi l’esecuzione dell’ultimo brano in programma,
la seconda sonata di Brahms. Qui sono a nostro
avviso venuti a galla tutti i limiti di Koltun
nel dare voce alle pieghe espressive più
intimistiche e liriche, che non mancano neanche
nel primissimo Brahms, quello ultraromantico e
fervido ammiratore di Schumann delle prime opere,
soprattutto quelle pianistiche. Qui il suono
energico e possente di Koltun è diventato un
rullo compressore, piuttosto monocorde e
inespressivo, che ha spianato le delicate
sfumature del secondo tema dell’Allegro iniziale,
il lirico e trasognato secondo episodio dello
Scherzo, la delicata coda che chiude la sonata.
In generale, è l’atmosfera da ballata nordica,
eroica e delicata, impetuosa e sognante a un
tempo, che ispira l’insieme della sonata, a
essere dissolta dall’interpretazione tutta
slancio eroico e potenza sonora, del pianista
tedesco. Un concerto così e così insomma, al
termine del quale gli applausi un po’ freddini,
di cortesia, del pubblico, non hanno ricevuto il
‘regalo’ del fuori programma.
26 settembre 2023 Bruno Busca
Incontro stampa per i 250
anni del Teatro Fraschini
di Pavia
Oggi a pranzo, un
incontro-stampa con importanti rappresentanti
delle istituzione musicali del territorio pavese
è avvenuto in un noto ristorante milanese. Il
sindaco di Pavia, Fabrizio Fracassi, il
Presidente della Fondazione Banca del Monte
di Lombardia prof. Mario Cesa, il direttore
generale della Fondazione Teatro Fraschini
Francesco Nardelli , e rappresentanti
importanti della nota formazione strumentale
I Solisti di
Pavia,
hanno anticipato il grande concerto-evento che
si terrà per festeggiare i 250 anni del Teatro
Fraschini e che avrà luogo il 14 ottobre 2023.
Insieme ai Solisti di Pavia, fomazione
capeggiata dal noto direttore-violoncellista
Enrico Dindo, tra i protagonisti ci saranno il
celebre cantante lirico Ambrogio Maestri, paves e
di nascita, (per alcuni minuti in collegamento
video con i partecipanti) e la violinista Laura
Marzadori, primo violino della Filarmonica della
Scala. L'intervento del prof. Mario Cera ha
voluto sottolineare il ruolo chiave della Banca
del Monte di Lombardia nel sostenere
finanziariamente l'importante e storico Teatro
Fraschini - dopo la Scala tra i maggiori teatri
lirici lombardi- e la compagine strumentale de I
Solisti di Pavia. L'eccellente sinergia con
l'amministrazione comunale è
stata
sottolineata dal Sindaco Fracassi che ha anche
valorizzato le risorse culturali ed artistiche
della città; l'ottimo rapporto tra la Fondazione
Banca del Monte con il Teatro Fraschini è stata
messa in rilievo anche dal direttore Nardelli,
che ha anche illustrato la prossima stagione
lirica e di concerti della Fondazione teatrale.
Il potenziamento del legame con l'area milanese
è stato uno dei motivi conduttori del bellissimo
incontro avvenuto in un clima di cordialità
attorno ad un tavolo tra ottimo risotto ed
eccellente vino bianco. Non dimentichiamo di
essere presenti all'importante evento del 14
ottobre a Pavia.
Milano, 21 settembre 2023 Cesare Guzzardella
Carlo Guaitoli conclude
a Milano il
Festival MiTo
con un
ottimo Debussy
L'ultima giorna del
Festival MiTo ha visto la presenza al Teatro
Bruno Munari di Milano di un musicista a 360°
quale il pianista, arrangiatore e direttore
d'orchestra Carlo Guaitoli. Il pubblico italiano
lo conosce
soprattutto
per la collaborazione quasi trentennale con
Franco Battiato, cantautore e compositore
scomparso nel 2021, con il quale Guaitoli ha
realizzato centinaia di concerti nel quale, sia
al pianoforte che alla direzione di gruppi
strumentali, esprimeva il mondo musicale del
grande artista siciliano. Guaitoli, formatosi
classicamente, premiato in importanti Concorsi
pianistici internazionali, è anche docente di
pianoforte principale in Conservatorio. Ha
un'attività rilevante anche nel mondo della
musica classica e contemporanea che esplica
attraverso un'ntensa attività concertistica.
Ieri sera ha presentato un impaginato tutto
dedicato a Claude Debussy eseguendo prima il
Libro Secondo dei Préludes (1912-13)
e poi la suite in tre movimenti Pour le piano
(1900).
Il
concerto è stato introdotto con competenza
musicologica da Corrado Greco che ha ben
inquadrato la musica del grande compositore
francese. Il pianista di Carpi ha rivelato
un'eccellente sintonia estetica con il mondo di
Debussy esaltando la sua musica attraverso
timbriche estremamente pesate nelle componenti
melodiche ed armoniche e attraverso un
virtuosismo calibrato non invadente e ben
controllato nelle dinamiche. La bellezza delle
sonorità dei dodici Preludi è stata esaltata da
una gestualità corretta che trova nelle mani di
Guaitoli la migliore scuola pianistica italiana.
Di
ottima qualità anche Pour le piano con un
eccellente finale nella nitida Toccata.
Applausi fragorosi dal numeroso pubblico
presente in sala e due ottimi bis concessi
dall'interprete. Prima un
arrangiamento-improvvisazione pianistico dello
stesso Guaitoli sul movimento centrale,
Romanza, dalla Sonata per clarinetto e
pianoforte di Francis Poulenc. Di eccellente
qualità la resa di questo lavoro con
armonizzazioni legate anche al mondo del jazz.
Quindi ancora Debussy con la celebre
Arabesque n.1 eseguita con evidente
espressività. Ancora calorosi gli applausi.
21 settembre 2023 Cesare
Guzzardella
Alexandre Tharaud
incanta il Festival MiTo
È un pianista di qualità
Alexandre Tharaud, in Francia molto conosciuto
anche dal grande pubblico televisivo. La sua
predilizione per il repertorio francese, dalla
musica di fine Seicento o primo Settecento di
Couperin e Rameau, a quella di tardo Ottocento e
primo Novecento di Satie, di Debussy e di Ravel,
lo ha portato ad una ricerca stilistica
personale, dove la melodia francese scritta con
virtuosismo dai
rispettivi
compositori, è mediata da modalità anche
eleganti d'espressione. Ieri sera, il
cinquantaquatrenne pianista parigino in una
serata denominata "Un pianoforte a Parigi"
e presentata con sintesi ricercata da Gaia
Varon, ha impaginato un programma originale nel
quale a brani di Satie, Debussy e Ravel ha
accostato, a conclusione, alcuni brani melodici
della canzone francese in sue trascrizioni, con
elementi d'improvvisazione, tutti
particolarmente in linea con il suo stle
pianistico. L'ottimo inzio della serata con Erik
Satie (1866-1925) con tre Gnossienne - n.1, 3
e 4- e una celebre canzone quale
Je te veux, ha individuato la cifra
stilistica di Tharaud giocata qui su sottili
sonorità ben esternate nei differenti piani
sonori nella discreta volumetria timbrica. I
cinque brani scelti dal Libro n.1 dei
Préludes di Claude Debussy (1862-1918)
e i cinque da Miroirs di Maurice Ravel
(1875- 1937) hanno portato alla maggiore
complessità dell'impressionismo musicale
francese esternato con timbriche chiare ed
espressive nelle
sonorità
di Tharaud che ha eseguito i brani -alcuni più
noti come De pas sur la neige o La
Cathédrale engloutie del primo francese o
Alborada del gracioso del secondo- in modo
introspettivo con frangenti intimi alternati a
più estroverse e virtuosistiche esternazioni.
Molto apprezzate dal numerosissimo pubblico
intervenuto al Teatro Dal Verme, le canzoni
conclusive, tra cui Sous le ciel de Paris,
J’attendrai, J’aime Paris au mois de mai e
altre portate al successo da celebrità quali
Charles Aznavour, Édith Piaf, Juliette Gréco,
Jean Sablon, Dalida e altri ancora, ed
arrangiate sapientemente dalla mani delicate, ma
anche decise del virtuoso. Ottimo il bis
concesso con un omaggio a Domenico Scarlatti,
con una Sonata, la K 141, resa con
spettacolare accentuazione dei contrasti
timbrico-dinamici e con abbellimenti aggiunti
con coerenza dal bravissimo interprete. Applausi
lunghi e fragorosi.
20 settembre 2023 Cesare
Guzzardella
Katia e Marielle
Labèque al Festival
MiTo
Tornano spesso a Milano Katia
e Marielle Labèque, due sorelle francesi celebri
da decenni per le doti naturali musicali
impiegate in repertori diversificati, dalla
musica antica a quella contemporanea, con
riferimenti anche al rock e al jazz. Un universo
musicale che dimostra
l'apertura
totale del duo pianistico ad ogni genere di
espressione sonora. Ieri sera è tornata a Milano
l'Orchestra Filarmonica di Torino diretta al
Teatro Dal Verme, per il Festival MiTo, dal suo
direttore responsabile Giampaolo Pretto. Due i
musicisti scelti: il classico e stranoto W.A.
Mozart e il pressochè sconosciuto, al grande
pubblico italiano, Bryce Dessner (1976). Il
concerto ben anticipato da Gaia Varon, era
denominato "Due capolavori sulla Senna",
con una titolazione che si riferiva al luogo,
cioè Parigi, dove i due più corposi brani
dell'impaginato sono stati composti. La
Sinfonia in re maggiore n.31 "Parigi" k.297
del salisburghese e il Concerto per due
pianoforti e orchestra dello statunitense
Dessner sono infatti stati realizzati nella
capitale francese. La serata è iniziata con due
brevi movimenti introduttivi, una Gavotta
e un Andante da Les petits riens
di Mozart, per passare poi al concerto di
Dessner,
composto
appositamente per le due Labèque ed eseguito dal
2017 -l'anno di realizzazione- molte volte in
Europa e in altri teatri del mondo. Ricordiamo
che Bryce Dessner, classe 1976, chitarrista e
compositore di solida preparazione classica,
proviene - ed è ancora impegnato- dal mondo del
rock, essendo tra i fondatori dal 1998,
insieme al fratello gemello Aaron, del gruppo
The National, un complesso statunitense
particolarmente noto agli appassionati del
migliore pop-rock. Parallelamente alla musica
popolare di grande successo, Bryce compone
lavori particolarmente rilevanti traendo
ispirazione dai grandi compositori americani
legati al Minimalismo e non solo, o dal
Novecento storico europeo, soprattutto in ambito
tonale. Grandi direttori e prestigiose orchestre
eseguono da anni la sua interessante e complessa
musica. L'ottimo Concerto per due pianoforti e
orchestra è ispirato sia dal minimalismo
di Steve Reich e di Philip Glass, ma anche da
certo Barto ķ
e Stravinskij. È un lavoro
costruito in modo eccellente, dove nei tre
movimenti costituenti, si ritrovano situazioni
diversificate legate con ottima coerenza
musicale ed eccellente personalizzazione.
L'inizio suggestivo è dominato
da
una percussività iniziale intensa sia nella
componente orchestrale che nell'esternazione dei
due pianoforti. Questi sono spesso suonati in
modo virtuosistico e con una componente
poliritmica accentuata e in contrapposizione
trovano momenti di evidente liricità, vicina al
mondo della canzone. Le due eccellenti pianiste,
perfettamente a loro agio nel complesso lavoro,
hanno trovato l'ottima direzione di Giampaolo
Pretto e l'efficacie resa dell'ampia orchestra.
Di qualità la resa complessiva del lavoro,
piacevole dal primo ascolto e al termine molto
applaudito dal pubblico che gremiva il teatro.
Le due sorelle, come bis hanno eseguito a
quattro mani un eccellente Ravel con l'ultimo
brano dal celebre Ma mère l'Òye, Le Jardin
féerique. Dopo il breve intervallo la nota
Sinfonia "Parigi" di Mozart è stata eseguita con
grinta e passione dall'ottima compagine
orchestrale. Il direttore Pretto, ottimo in
tutti i brani, era visibilmente soddisfatto e il
pubblico entusiasta per l'ottima serata musicale
ha esternato ancora fragorosi applausi.
18 settembre 2023 Cesare
Guzzardella
Il pianista Enrico Pace
al Festival MiTo
Enrico Pace ha sostenuto un
concerto per il Festival Mito al Teatro
Officina di Milano, un locale di piccole
dimensioni localizzato a poche decine di metri
della fermata MM Gorla di viale Monza. Sono meno
di un centinaio le fortunate persone che hanno
avuto l'opportunità di ascoltare e vedere molto
da vicino il pianista riminese in un recital
solistico, cosa assai rara, essendo Pace più
propenso a suonare in formazioni cameristiche,
come il noto Duo di violino e pianoforte che da
alcuni anni primeggia nel mondo e dove il
pianista ha come compagno musicale il
fuoriclasse greco Leonidas Kavakos. L'impaginato,
brillantemente introdotto da Corrado Greco, era
tutto brahmsiano, uno dei maggiori compositori e
costruttori di armonie del secondo Ottocento.
Ancora in epoca romantica, Johannes Brahms
(1833-1897) ha realizzato ogni genere musicale,
soprattutto strumentale, utilizzando il
pianoforte sia come mezzo di "lavoro", sia per
una serie di composizioni pianistiche di
fondamentale importanza per la comprensione del
suo personalissimo linguaggio estetico. In
programma le rare Variazioni su un tema
originale in re maggiore op.21 n.1 hanno
preceduto i più celebri Tre intermezzi op.117
e gli altrettanto noti Sei Klavierstüke
op.118. Di grande rilevanza estetica l'idea
interpretativa di Enrico Pace ad iniziare da
quelle giovanili undici variazioni sul tema
iniziale, un Poco allegretto, che hanno
subito evidenziato la cifra stilistica
dell'interprete e la sua evidente consonanza con
il mondo brahmsiano. Una pregnante
interiorizzazione delle sorprendenti
armonizzazioni, ha portato ad un'eccellente
restituzione complessiva, espressa tutta a
memoria, e giocata su contrasti accentuati di
ogni precisa componente strutturale. L'ottima
resa coloristica, con timbriche ricche di
dettagli, hanno rivelato quindi l'ottimo Brahms
di Pace. Un'interpretazione qualitativamente in
crescendo la sua, fino ai più celebri pezzi
dell'Op.118 come il molto eseguito brano
n.2, l' Intermezzo, Andante teneramente,
l'estroversa Ballata, Allegro energico,
il successivo ancora Intermezzo, Allegretto
poco agitato, la Romanza, andante e
il geniale conclusivo Intermezzo, Andante
largo e mesto. Applausi calorosi dagli
intervenuti nel prezioso "salotto musicale"
milanese e ancora un ottimo bis con un Brahms
dall'Op.116, l'Intermezzo n.6 in mi
maggiore
16 settembre 2023 Cesare
Guzzardella
Julia Fischer e
Vasily
Petrenko al Festival Mito
Il
concerto organizzato dal
Festival MiTo
ieri sera in Conservatorio
verrà ricordato per due differenti ragioni:
certamente la qualità musicale dell'eccellente
violinista tedesca Julia Fischer (classe 1983)
nel celebre Concerto per violino e orchestra
op.35 di
Čajkovskij,
diretto da Vasily Petrenko alla guida della
Royal Philharmonic Orchestra;
e
il malore
avuto dallo stesso direttore sul finire dell'Andante
centrale del concerto. Un vistoso tremore ha
costretto
Petrenko
ad appoggiarsi
al
leggio, di
cui
un immediato intervento degli orchestrali più
vicini ha impedito la possibile caduta. Dopo
alcuni minuti di pausa, con l'immediato arrivo
di un medico presente in Sala Verdi, chiamato
dalla direzione, Petrenko ha espresso la volontà
di continuare, avendo superato il malore. Ha
quindi fatto riprendere il concerto tra i
fragorosi applausi del pubblico. L'Op.35
ricominciava, con il direttore seduto, dal punto
esatto dell'interruzione; l'attacco dell'
Allegro vivacissimo
finale, ancora di ottima
qualità, sebbene con una minore tensione emotiva
dovuta all'accaduto, portava al successo dei
protagonisti tra interminabili applausi. Un
eccellente Capriccio n.13
di Paganini è
stato il bis solistico della Fischer. Ma
ricordiamo ancora l'impatto iniziale del suo
voluminoso violino nel memorabile
Allegro
moderato, un primo movimento talmente noto e
completo nella sua fattura che, come capita
abitualmente, merita gli applausi finali che
sempre il
pubblico concede anche a brano non
terminato. La Fischer ha esaltato l'equilibrio
perfetto dell'Allegro con timbro preciso,
dettagliato e ricco d'espressività, fornendo poi
un' eccellente Cadenza. La serata era
cominciata con un brano della russa Lera
Auerbach (1973), una musicista - anche pianista-
cinquantenne particolarmente affermata nel mondo
della musica contemporanea. Il suo
Icarus
(2006-2011) era in prima esecuzione italiana, ma
è già stato eseguito con grande successo più
volte in molte sale da concerto non solo europee.
È un brano di circa dodici minuti tratto dalla
sua prima sinfonia, che prevede l'utilizzo di
un'ampia orchestra e che trova nelle suggestive
volumetriche sonorità la sua evidente forza
espressiva. Un poema
ottimamente
orchestrato, con modalità compositive tonali
dove, nella parte finale, dopo le ripetute
ridondanti timbriche dominate dai suoni più
gravi degli archi e degli ottoni, si arriva ad
alcuni minuti
di più rarefatti colori. Un valido
lavoro quindi, ottimamente interpretato
dall'orchestra londinese e dal suo direttore.
Dopo l'intervallo, naturalmente più lungo del
previsto, i Quadri di un'esposizione
di
Musorgskij nella nota orchestrazione di Maurice
Ravel, hanno ritrovato un Petrenko perfettamente
ristabilito per un'interpretazione di alto
livello. Le corpose sonorità e i frangenti più
intimi del celebre lavoro sono stati evidenziati
con sicurezza dall'elegante gestualità del
quarantasettenne direttore, per un'ottima
restituzione degli orchestrali, rilevanti in
tutte le sezioni, con un primato per gli ottoni.
Lunghi applausi meritatissimi in una Sala Verdi
straboccante di pubblico.
15 settembre 2023 Cesare
Guzzardella
Il duo pianistico
Canino-Ballista per il Festival MiTo
Da oltre sessant'anni il Duo
pianistico formato da Bruno Canino e da Antonio
Ballista intrattiene il pubblico di ogni sala
da concerto. Ieri sera, al Teatro Martinitt di
via Pattari a Milano per il Festival MiTo,
i due interpreti si sono ritrovati per eseguire musiche
interamente di Igor Stravinskij (1882- 1971) ,
un musicista che ben si addice ai due artisti
da sempre votati alla musica del Novecento e a
quella contemporanea.
L'impaginato
prevedeva cinque lavori del grande compositore
russo, sia per due pianoforti che per pianoforte
a quattro mani. Precisamente hanno eseguito la
Sonata per due pianoforti, i Tre pezzi
facili per pianoforte a quattro mani,
Agon, per due pianoforti, i Cinque pezzi
facili per pianoforte a quattro mani e a
conclusione il Concerto per due pianoforti
soli. I lavori sono nel diversificato
linguaggio stravinskiano, che varia tra il suo
personale neoclassicismo, alla dodecafonia, e da
un utilizzo marcato di elementi poliritmci,
dissonanze e influenze jazz. Soprattutto in
Agon (1957),
sua
trascrizione per due pianoforti dall'originale
balletto orchestrale del 1953-57, si intrecciano
i due linguaggi tipici del primo Novecento: il
neoclassicismo e la musica seriale qui resi in
un evidente intreccio che sarà adattato nelle
coreografie di George Balanchine. Tutti i brani
hanno trovato una chiara ed efficace resa
interpretativa dal duo, evidenziata da
un'evidente precisione di dettaglio e da
luminosa espressività. La straordinaria capacità
di restituzione timbrica dei due interpreti
ultra-ottantenni (174 anni in due!!!) rende il
duo probabilmente unico al mondo per qualità
musicale d'insieme in relazione all'età. Il
pubblico entusiasta, che gremiva il teatro, ha
tributato al termine fragorosi e lunghi applausi.
Una serata da ricordare a lungo.
14 settembre 2023 Cesare
Guzzardella
IL PIANISTA ROMAIN THOR
DENUIT AL PIANOVARA FESTIVAL
A Novara, la stagione
concertistica 2023-2024 si è di fatto aperta
lunedì 11 settembre, al Conservatorio Cantelli,
col concerto inaugurale di un Festival nuovo di
zecca promosso dal Cantelli e che quest’anno
vede appunto la sua prima edizione: si tratta
del Pianovara Festival, dedicato esclusivamente
al pianoforte e che, secondo la collaudata e
fortunata formula del FestivalFiati di
primavera, vede, per più di un mese, dall’11
settembre al 14 ottobre, un alternarsi
incessante di master class, seminari e concerti,
cui partecipano sia alcuni nomi famosi di
Maestri dello strumento,tra i quali,
prossimamente, Roberto Cominati, sia giovani
promesse. Abbiamo ascoltato ieri sera, martedì
12 settembre, il concerto del trentunenne
pianista franco-islandese Romain Thor Denuit. La
sua formazione si è svolta sia in Francia, ove
ha conseguito la laurea con lode in pianoforte,
sia in Islanda, ove si è perfezionato vincendo
numerosi concorsi e tenendo frequenti e
apprezzati concerti, solistici, cameristici, per
orchestra, per approdare ad un Master biennale
presso il Conservatorio novarese, sotto la guida
del Maestro Domenico Codispoti .Il recital di
Denuit proponeva due sonate pianistiche di
grande fama e notevole impegno, sia ‘tecnico’,
sia interpretativo: la Sonata (propriamente:
Fantaisie Sonate) in Sol maggiore op.78 D 894 di
F. Schubert e la Sonata in Si bemolle maggiore
n.7 op.83 di S. Prokofiev. La sfida che è
chiamato ad affrontare chi segga al pianoforte
per eseguire una delle partiture più belle mai
scritte per questo strumento, la D 894, è
l’infinita ricchezza delle sfumature, che
svariano dal lirismo più puro ed estatico a
momenti di drammatica intensità, dalle melodie
più limpide e sognanti al contrappunto più
severo. L’esecuzione del capolavoro schubertiano
da parte di Denuit non ci è parsa completamente
adeguata alla straordinaria complessità e
varietà di piani sonori e registri espressivi
che essa propone. Il giovane pianista
franco-scandinavo possiede un tocco molto
preciso, sicuro dal punto di vista tecnico,
capace di sprigionare intensa energia grazie ad
un polso d’acciaio, ma gli difetta la capacità
di comunicazione espressiva, di scavo nelle
profondità del suono. Quel meraviglioso viaggio
attraverso le emozioni e i sentimenti che è la
D894 di Schubert, evocato dalle dita di Denuit
ha perso molta della sua forza di coinvolgimento
sull’ascoltatore. Il punto è che l’essenza del
più grande pianismo schubertiano consiste nel
dettaglio timbrico, nell’intrecciarsi di una
molteplicità di toni emotivi generata dal gioco
delle dinamiche e dalla ricchezza infinita delle
sfumature: è tutto ciò che esce mortificato
dall’esecuzione di Denuit, dal suo suono troppo
piatto e ‘a una dimensione’. Ci limitiamo ad un
esempio, la presentazione del primo tema del
‘Molto moderato e cantabile’ iniziale:
improntato al lirismo tipicamente schubertiano,
sognante ed estatico, ha un che di lievemente
esitante, che imprime un velo di pathos appena
accennato alla melodia, che per sprigionare
tutta la sua forza espressiva deve far sentire
distintamente il contrasto tra lo scuro sostegno
accordale della mano sinistra e il disegno della
mano destra che, in particolare negli
abbellimenti (trilli soprattutto) esige una
limpidezza cristallina di assoluta trasparenza
del suono, tendente dinamicamente al piano. E’
precisamente questo delicato e suggestivo mondo
sonoro che si perde irrimediabilmente
nell’esecuzione del giovane franco-islandese,
poco attento ai contrasti dinamici, con un suono
troppo ‘opaco’ per rendere questo Schubert. Con
la Sonata n. 7 di Prokofiev le cose vanno meglio:
con la sua grande scioltezza tecnica e l’energia
potente del suo tocco, Denuit supera in agilità
i passaggi più ardui, in particolare le rapide
successioni successioni di accordi alternati tra
le due mani, rendendo adeguatamente il pianismo
percussivo e martellante di Prokofiev e
rovesciando sugli ascoltatori cascate di note,
sempre sgranate con precisione. Anche nel caso
della sonata in questione, tuttavia, non si può
non notare come la meccanica della tastiera
prevalga sulla tensione espressiva che ad essa
deve dare vita: il tempestoso Allegro inquieto
iniziale, nel suo primo tema, presenta un
andamento che, come a nostro avviso giustamente
rileva Rattalino, ricorda l’angoscia di una fuga
(ricordiamo che la sonata n. 7, terminata nel
1942, insieme con la n.6 e la n.8, fa parte del
trittico delle c.d. ‘Sonate di guerra), che
l’interpretazione di Denuit sembra ignorare
completamente: dovrebbe meditare sulla stupenda
esecuzione di Bronfman… Al termine del concerto,
Denuit non ha concesso bis.
12 settembre 2023 Bruno Busca
Ivo Pogorelich per
il Festival MiTo al Dal Verme
Tra gli interpreti più attesi
a MiTo 2023, il pianista Ivi Pogorelich occupa
certamente un posto centrale. Il concerto
ascoltato al Teatro Dal Verme, in una sala
stracolma di appassionati, era denominato "Citta
Segrete", dicitura adeguata alla tipologia
d'interprete al quale il pianista croato da
alcuni anni trova relazione per via delle
personali caratteristiche giocate su una
rilevante riflessività e su una ricerca di
timbriche
spesso scure, profonde e imprevedibili. Il brano
centrale e corposo quale gli Studi Sinfonici
op.13 di Robert Schumann, occupava la parte
preponderante della serata. Era anticipato dal
Preludio in do diesis minore op.45 di
Chopin e concluso dal Valse triste op.44 n.1
nella versione pianistica dello stesso Sibelius.
Il preludio del polacco, eseguito con moderata
andatura e con timbriche ben delineate e
incisive nella chiarezza costruttiva, anticipava
il personale modo interpretativo degli Studi
schumanniani, comprensivi delle cinque
variazioni postume eseguite subito dopo il Tema.
Il Tema, le cinque Variazioni e i
dodici Studi si sono succeduti con
coerenza d'intenti e con modalità sonore giocate
su un'attenta analisi del materiale, su
contrasti timbrici
accentuati,
rimarcando un'architettura costruttiva di
indubbio valore estetico, anche se molto diverso
dalle numerose importanti esecuzioni che
conosciamo da altrettanti importanti interpreti.
La mancanza di fluidità che spesso sembra
apparire in Pogorelich, è in realtà nascosta da
una corposità timbrica e volumetrica che
rappresenta il punto di forza della sua profonda
visione musicale. Di spessore quindi il suo
Schumann, molto applaudito dal pubblico presente
al Dal Verme. La chiusura del programma
ufficiale, con il Valse triste di Sibelius ha
trovato una valida interpretazione, anche se di
minore pregnanza complessiva. Due i bis concessi
da Pogorelich, entrambi del suo amato Chopin,
ben diverso da quello dei prima anni di carriera.
Un' analitica Barcarola op.60 e un più
appassionante Notturno op.62 n.2 , hanno
concluso tra fragorosi applausi il suo rilevante
concerto.
11 settembre 2023 Cesare Guzzardella
Juraj Val čuha
e Stefano Bollani
con l'Orchestra Rai per il MiTo in
Conservatorio
in New York, New York
Dopo l'naugurazione
al Teatro alla
Scala
di MiTo-
Settembre Musica
nel nome
di Leonard Bernstein con la sua Wonderful
Town, la musica del celebre direttore e
compositore americano, legato alla città
di New York, ha introdotto il concerto ascoltato
ieri sera nel Conservatorio
milanese,
in una Sala Verdi stracolma di pubblico. La nota
Ouverture dalla sua opera più famosa,
Candide, ha trovato in palcoscenico
l'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
diretta da Juraj Valčuha.
È stato quindi eseguito,
in prima esecuzione italiana, un recente
brano della compositrice inglese Anna Clyne
(1980), lavoro ispirato dai dipinti di Mark
Rothko e denominato Red, dal più ampio
brano Color Field (2021) L'Orchestra
Sinfonica Nazionale della Rai ha sostenuto con
effcace resa complessiva Red, un lavoro
che ci ha rivelato le doti compositive della
Clyne, musicista anch'essa legata alla più
importante città statunitense. La scruttura del
brano appartiene al mondo tonale, è di immediata
comprensione e di una pregnante resa discorsiva
incentrata su intensi contrasti di suggestiva
valenza cinematografica. Un lavoro ottimamente
scritto e ben concertato da Valčuha.
Il brano probabilmente più
atteso dal pubblico presente in Sala Verdi, per
la presenza come solista al pianoforte
del
noto pianista jazz Stefano Bollani, ci ha
portato al Gershwin (1898-1937) probabilmente
più conosciuto, quello di Rhapsody in Blue (1924).
Valida l'interpretazione complessiva, con i
momenti migliori nelle esternazioni dove Bollani
può dire qualcosa di più personale, quindi nel
momento cadenzato, un "a solo" dove il
pianista, con indubbie qualità, esercità
situazioni improvvisate. Due i bis concessi dal
jazzista: un omaggio a Bernstein con una libera
interpretazione di "America" dalla mitica
West Side Story, decisamente interessante
nella rimarchevole capacità creativa e
trasformativa; quindi valido anche il secondo
bis con un melodico pezzo dello stesso Bollani
dal sapore francese reso con efficace leggerezza
espressiva. Di qualità la conclusiva Sinfonia
n.9 "Dal nuovo mondo" di Antonín Dvořák
(1841-1904), quattro ampi movimenti, ben
delineati dal direttore e dagli ottimi
orchestrali, che ricreano ancora le atmosfere di
oltre oceano. Applausi fragorosi al termine del
concerto da un pubblico decisamente entusiasta.
9 settembre 2023 Cesare
Guzzardella
Il
MiTo porta Broadway
alla Scala con
Wonderful Town
di
Leonard Bernstein
L'apertura di
MiTo-Settembre Musica, il festival
internazionale di musica di Milano e Torino, è
avvenuta ieri sera al Teatro alla Scala per un
lavoro poco eseguito ma di indubbio valore
artistico: Wonderful Town di Leonard
Bernstein (1918-1990). Il musical, presentato in
forma di concerto, ha riportato le atmosfere
newyorkesi del Greenwich Village e di Broadway
nella sala del Piermarini, per l'occasione al
completo. Il divertente libretto rivisitato da
Betty Comden e da Adolph Green, amici di
Bernstein, è stato musicato dal
grande
direttore e compositore statunitense nel 1953
partendo dagli stilemi più rappresentativi della
musica popolare americana, fra canzone, jazz e
ragtime, ma secondo una personalizzazione che ci
fa riconoscere il grande compositore da ogni
singola frase musicale. Nella versione scaligera
sono stati eseguiti i momenti più
rappresentativi di un lavoro che ha nel
divertissement sia di contenuto testuale che
nella musica la caratteristica più evidente. La
spendida direzione orchestrale dell'inglese
Wayne Marshall, unitamente all'ottima direzione
corale di Ulisse Trabacchin, ha trovato
l'Orchestra e il Coro del Teatro Regio di Torino
trasformata in una splendida big-band
americana, cosi sembiante per via delle
timbriche energiche, ricche di ritmi sincopati,
e capace di esprimersi in modo eccellente, nei
numerosi numeri, spesso contrastanti, che
compongono la riuscita commedia musicale.
Protagoniste del lavoro presentato inizialmente
da Stefano Catucci, anche le cinque voci soliste,
tutte all'altezza anche attorialmente, ad
iniziare da quelle femminili, le due sorelle
Ruth ed Eileen Sherwood, arrivate
dall'Ohio con la speranza di realizzare i propri
sogni a New York, ed interpretate con
disinvoltura dal mezzosoprano Alysha Umphress e
del soprano Lora Lee Gayer. Ottimi anche il
baritono Ben Davis in Robert Baker, il
tenore Ian Virgo in Chick Clark e il
baritono Adrian Der Gregorian in Frank
Lippencott. Applausi fragorosi al termine
dal pubblico soddisfatto per uno spettacolo
inconsueto, brillante e ricco di storia. Ottimo
inizio per il MiTo. Questa sera ancora
gli Stati Uniti con la Rapsodia di Gershwin di
Bollani e il Dvo řák
della Sinfonia del Nuovo Mondo diretti da Juraj
Valčuha
al Conservatorio. Da non perdere .
8 settembre 2023 Cesare
Guzzardella
Il Barbiere
di Siviglia
di Rossini-Muscato torna al Teatro
alla Scala
Dopo due anni,
la ripresa al Teatro alla Scala del rossiniano
Il Barbiere di Siviglia, opera in due
atti su libretto di Cesare Sterbini, ha
ritrovato la regia di Leo Muscato. Il celebre
lavoro del pesarese, con questa regia aveva
sostituito egregiamente la solida e quasi
inespugnabile regia di Jean-Pierre Ponnelle -
anche scenografo e costumista- che dal lontano
1969 e sino al 2015 -oltre 45 anni - ha
imperversato nel teatro del Piermarini. La
messinscena di Muscato,
dopo
il successo del 2021 con la direzione di
Riccardo Chailly, ha visto ieri sera, nella
seconda rappresentazione, l'Orchestra e il Coro
dell'Accademia Teatro alla Scala diretti da
Evelino Pidò. Come ricordato nel 2021, Moscato-
regista teatrale da oltre vent'anni- si è
avvalso delle riuscite scene di Federica
Parolini, inquadrate in un' ampia cornice semi-circolare,
dei costumi nella tradizione di Silvia Aymonino,
dei ballerini classici con le coreografie di
Nicole Kehrberger presenti in molte scene, e
delle luci non invasive di Alessandro Verazzi.
L'ottima direzione di Pidò ha ben rivelato le
ottime voci del cast presente ieri in una Scala
al completo, con una rilevante componente di
giovani dell'Accademia scaligera. Come già
scritto, la messinscena presenta modalità
tradizionali di realizzazione, ma certamente di
ottima fattura, con un'unità di lavoro tra tutte
le componenti artistiche.
Un
legame tra le parti unificate dalle novità
inserite in messinscena, quali il teatro nel
teatro con la preparazione del "L'inutil
precauzione", con dei ballerini classici "entravesti"
e con Rosina in costume di danza. Rilevanti i
numerosi interventi strumentali sul palcoscenico.
Ottimo il cast vocale ad iniziare dall'
unificante Figaro: timbro chiaro e
corposo quello di Sung-Hwan Damien Park; ottima
la decisa e calda voce di Mara Gaudenzi in
Rosina e altrettanto valida quella ben
sostenuta di Pierluigi D'Aloia nel Conte
d'Almaviva. Valide, sempre tra gli allievi
dell'Accademia, anche quelle di Matìas Moncada
in Basilio, Nicole Wacker in Berta
e Giuseppe De Luca in Fiorello. Tra le
voci più applaudite quella più collaudata e
ricca d'esperienza di Marco Filippo Romano in
Bartolo. Ricordiamo le qualità del Coro
preparato dal Maestro Salvo Sgrò e al
fortepiano, Francesco de Solda. Applausi
sostenuti e meritatissimi al termine. Le
prossime recite saranno l'8, l'11, il 13 e il 18
settembre.
(Foto in alto di Brescia & Amisano - Archivio
Scala)
7 settembre 2023 Cesare
Guzzardella
LUGLIO 2023
Validi pianisti per
Musica in
Cortile all'Archivio di Stato di Milano
L'ottima iniziativa musicale
denominata "Musica in Cortile" , organizzata nei
cortili del Palazzo del Senato, oggi Archivio di
Stato di Milano, ha visto giovani pianisti
interpretare brani di Beethoven, Campo e
Schumann. L'intervento iniziale di Annalisa
Rossi, Direttore dell'Archivio di Stato di
Milano, ha anticipato gli scopi dell'iniziativa
e Silvia Rumi, docente di pianoforte al
Conservatorio milanese ha
presentato
i brani in programma eseguiti da studenti degli
ultimi anni di Conservatorio. La nota Sonata
Op.111 in Do minore n.32, ultima di L.V
Beethoven è stata interpretata da due pianisti,
il movimento Maestoso- Allegro con brio
appassionato da Kanishka Saha e il
successivo e conclusivo Arietta.Adagio molto
cantabile ed espressivo da Gianluca Terruli.
Valide entrambe le interpretazioni mediate da
sensibilità differenti per una comunque interessante
resa espressiva della celebre sonata.
Inframmezzato tra note composizioni del passato,
il brano del compositore e pianista Alessio
Campo ci ha portato ai nostri tempi con un
lavoro, Posacenere per due, giocato su
una coerente improvvisazione. Nella seconda
parte
del
programna, interamente dedicato alla musica di
Schumann, l'ottima Valentina Kaufman ha prima
eseguito due movimenti dal Carnevale di
V ienna
op.26
, l'Allegro iniziale e
l'Intermezzo. Eccellente l'equilibrio
complessivo della Kaufman, giocato su una
precisa scansione temporale ricca di espressione
e perfezione di dettaglio. Valentina, insieme
alla sorella Chiara, entrambe note per
appartenere al Trio Kaufman, - compagine
cameristica formata anche dal fratello
violinista- hanno eseguito la Phantasiestüke
per violoncello e pianoforte op.73. Tre
momenti musicali resi in perfetta sinergia dove
anche la più giovane cellista ha dato una resa
di alto spessore estetico rivelando, come
Valentina, doti non comuni. Applausi a tutti gli
interpreti usciti in palcoscenico da parte del
pubblico intervenuto ad un evento ben
organizzato e di ottima riuscita complessiva.
8 luglio 2023 Cesare
Guzzardella
La violinista Emma
Arizza a Palazzo Marino
per Bach, Paganini e Ysaýe
Un
altro successo per la rassegna che da dodici
anni coinvolge l'elegante Sala Alessi di Palazzo
Marino. Protagonista della mattinata musicale la
virtuosa del violino Emma Arizza. Comasca,
vincitrice di numerosi concorsi internazionali,
è da alcuni anni tra le migliori giovani
violiniste italiane, affermata anche a livello
internazionale per le sue evidenti qualità
interpretative
giocate su discorsività, eccellente intonazione
anche nei frangenti virtuosistici più impervi e
ottima resa espressiva. L'impaginato de "L'universo
del violino" -questa la denominazione del
recital per violino solo- prevedeva pagine
dei più grandi compositori per il più piccolo
degli strumenti ad arco: Bach, Paganini ed Ysaýe.
Il Preludio dalla Partita n.3 ha
anticipato il brano più celebre di J.S.Bach,
quella Partita in re minore n.2 BWV 1004
che ha all'interno dei cinque movimenti l'ancor
più nota Chaconne, un monumento
architettonico di circa quindici minuti di
musica che riassume tutto il genio bachiano
nell'esplorare e variare i temi proposti
penetrando con l'archetto l'anima del violino.
Ottima
l'esecuzione della Arizza in questo capolavoro
ben riverberato nella grande sala colma di
pubblico silenziosissimo. L'evoluzione nella
tecnica violinistica e delle potenzialità dello
strumente le abbiamo ritrovate nei brani
successivi. Prima in Niccolò Paganini
(1782-1840) con i Capricci n.11 e n.17
e poi in Eugène Ysaýe e la sua celebre
Obsession dalla Sonata in la minore n.2,
cui ha fatto seguito l'altrettanto nota
Sonata in re minore n.3, la celebre
Ballade. Due lavori che sviluppano la
brillante tecnica virtuosistica paganiniana
mediandola con il più architettonico Bach. Resa
ottima per la Arizza in tutti questi lavori, una
virtuosa che con apparente facilità discorsiva
ha superato brillantemente ogni difficoltà.
Applausi fragorosi e ripetuti per l'interprete e
valido il bis con una fluida Giga
bachiana. Bravissima!
2 luglio 2023 Cesare
Guzzardella
Dal Brasile all'Italia
i Cori Luther
King e Cantosospeso al Museo del
Novecento
Breve ma di intensa
suggestione e resa artistica il concerto corale
ascoltato ieri nel tardo pomeriggio presso la
Sala Fontana del Museo del Novecento milanese.
Il Coro Luther King proveniente dal Brasile
e
l'italiano Coro Cantosospeso si sono uniti sotto
la direzione di Tais Conte Renzetti per una
iniziativa musicale ottimamente strutturata che
prevedeva brani del Novecento, alcuni anche solo
strumentali per pianoforte e contrabbasso o per
solo pianoforte. Alla tastiera si sono alternati
ottimamente Felipe Bernado, Gledis Gjuzi e
Rodrigo Garcia mentre al contrabbasso il valente
Andrea Grossi ha ben sostenuto la sua parte,
rientrando spesso con gli altri strumentisti,
nel ruolo di corista. Il brano pianistico
introduttivo di Tom Jobin,
Chovendo
na Roseira, ben interpretato da Bernado ha
introdotto una serata definita soprattutto da
splendidi brani corali ottimamente diretti dalla
Renzetti. Tra questi segnaliamo almeno di Igor
Stravinskij il Pater Nostrum, di Arvo
Pärt Solfeggio, di Ildebrando Pizzetti
Agnus Dei, di Luciano Berio E si Fussi
Pisci, di Martinelli Epitaffio d'amore,
di Chico Buarque Minha cançaõ.
Inframezzati tra i pregnanti e luminosi brani
corali anche due ottimi lavori
strumentali
con una novità del compositore milanese Giorgio
Colombo Taccani -presente in sala e al termine
applauditissimo- e il suo Canti del disgelo
per pianoforte e contrabasso. È un brano di
ottima fattura con ricerche timbriche
particolari nei due strumenti rilevati benissimo
dal contrabassista Andrea Grossi e dalla
pianista Gledis Gjuzi; quindi un brano composto
dallo stesso Grossi tratto dai suoi Canti
per pianoforte eseguito con espressività da
Gledis Gjuzi. Applausi calorosi in una Sala
Fontana colma di pubblico a tutti i protagonisti.
Ottima iniziativa, organizzata benissimo!
1 luglio 2023 Cesare
Guzzardella
GIUGNO 2023
Enrico Pieranunzi
tra classica e jazz
con I Pomeriggi Musicali
L'ultimo concerto della
rassegna musicale "Panorami sonori"
prevedeva insieme all'Orchestra "I Pomeriggi
musicali", la presenza del pianista jazz Enrico
Pieranunzi in trio con Luca Bulgarelli al
contrabbasso e Mauro Beggio alla batteria. Alla
direzione e agli arrangiamenti il valente
Michele Corcella insieme al valido pianista ha
organizzato il tutto. L'idea di Pieranunzi,
quella di riprendere noti
brani
classici, in questo caso di Bach, di Debussy, di
Satie, di Schumann e di Fauré, non è certo cosa
di oggi. In passato, importanti formazioni jazz
come l'Orchestra di Gil Evans, o i celebri
Modern Jazz Quartett di John Lewis o lo stesso
David Brubeck o, in Francia, il pianista Jacques
Loussier che rileggeva in modo eccelso Bach in
chiave jazz o lo straordinario pianista-
compositore Claude Bolling interfacciato
splendidamente col mondo classico, per non
parlare di André Previn direttore e pianista
classico e jazzista eccellente, ma anche il meno
popolare pianista-compositore rumeno Eugene
Cicero, - e altri ancora- avevano tutti
modificato celebri melodie classiche con una
personalizzazione di valore, documentata anche
da importanti registrazioni discografiche o da
celebri video. Quello che un tempo aveva avuto
una ragione più che valida, essendo allora fatta
da musicisti jazz in contesti musicali
straordinari in termini di quantità e qualità
d'interpretazione, trova ora un
ritorno
da parte di musicisti, soprattutto ma non solo
pianisti, che più che altro ci sembrano
tentativi non sempre ben risolti. Quella che era
una fusione di linguaggi ottimamente riuscita è
diventata contaminazione o rilettura che spesso
stravolge il brano originale. Ieri sera Enrico
Pieranunzi, jazzista di solida preparazione
classica, ha utilizzato frangenti classici
entrati nella storia come la Siciliana o
una delle più celebre Invenzioni a due voci
di J.S.Bach, una delle Gymnopedie di
Eric Satie, La plus que lente di Claude
Debussy, frangenti da Carnaval di Robert
Schumann o Dolly di Gabrielle Fauré per
uno stravolgimento dei temi in senso leggero,
facilmente comprensibile da un pubblico anche
non pretenzioso, dove l'elemento ritmico
accentuato dalle note gravi del contrabbasso del
bravo Bulgarelli e dai ritmi ben scanditi dalla
batteria di Beggio, si univano ai validi
arrangiamenti orchestrali, certamente ben
scritti da Corcella ed eseguiti ottimamente dai
bravissimi strumentisti de I Pomeriggi.
Il tutto era restituito con un carattere leggero
alla Burt Bacharach, musicista geniale nel suo
genere, ricordando il preparatissimo Pino Calvi
della Rai dei tempi migliori, o anche lo
straordinario e insuperabile Lelio Luttazzi (
che pianista jazz che era!!). Risultati
apprezzatissimi dal pubblico presente nella
capiente sala del Dal Verme nella speranza di un
non momentaneo risveglio dei grandi compositori
citatati. Alcuni momenti di valida creatività
erano presenti nel tutto ascoltato.
30 giugno 2023 Cesare
Guzzardella
EDEN di Joyce
Didonato per la
Fondazione Francesca Rava
La serata a favore della
Fondazione Francesca Rava- N.P.H. Italia ETS
al quale abbiamo assistito ieri sera al Teatro
alla Scala era denominata EDEN. L'
ideatrice Joyce Didonato, celebre
mezzosoprano statunitense , ha inventato uno
spettacolo vario, complesso, ma certamente
riuscito nell'unità della realizzazione. In
primo piano la valente Orchestra Il Pomo
D'Oro diretta da Maxim Emelyanychev ha
ottimamente accompagnato Arie comprese
tra il XVII e il XXI secolo, ma con anche
momenti strumentali rilevanti
come
la straordinaria composizione dell'americano
Charles Ives nella sua celebre The
Ananswered Question, un brano introduttivo
che ha anticipato la bellezza d'insieme di tutti
i brani. Ottima l'idea di sostituire la parte
della tromba solista con la voce della Didonato
che lentamente, attraversando la platea giungeva
sul palcoscenico. Il validissimo lighting
designer di John Torres le coreografie di
Manuel Palazzo e il coordinanento complessivo
dovuto all'ottima regia di Manuel Palazzo ha
favorito uno spettacolo che ha trovato nella
splendida scelta di brani di Portman, Mahler,
Uccellini, Marini, Myslive ček,
Copland, Valentini, Cavalli, Gluck ed Händel,
i punti di forza. La voce incisiva ma anche
delicata della Didonato era sempre al centro
dello spettacolo e del palcoscenico
in
una scenografia ottimamente studiata che aveva
come luogo di riferimento una pedana circolare
movibile sormontata da archi e da cerchi
circondanti la bravissima cantante. Al termine
di EDEN, spettacolo riuscitissimo, tra infiniti
e meritatissimi applausi a tutti i protagonisti,
il proseguo della serata ha visto sul
palcoscenico il Coro di voci bianche
dell'Accademia del Teatro alla Scala diretto
da Marco De Gaspari, che insieme alla Didonato
hanno proposto alcuni brani. La riuscita dello
spettacolo ha trovato l'aiuto di molti sponsor,
alcuni importanti come Banca
Intesa
Sanpaolo e la Fondazione Nicola Bulgari.
Ancora una volta Mariavittoria Rava,
Presidente della Fondazione, introducendo lo
splendido spettacolo, ha voluto sensibilizzare i
numerosissimi
intervenuti in teatro alla causa dell'importante
Onlus che aiuta la popolazione della poverissima
Haiti e le molte altre difficili realtà mondiali.
Ricordiamo la presenza in teatro di Medici
haitiani in rappresentanza dell'ospedale S.
Damien; di Enrico Credendino Capo di Stato
Maggiore della Marina militare; di Tommaso e
Gaia Zorzi, influencer e volontari della
Fondazione Francesca Rava. Chi volesse fare una
donazione può operare in questo modo: IBAN: IT
39 G 03062 34210000000760000; BIC/SWIFT:
MEDBITMM, Ag. n. 1 di Basiglio
(MI), via F.
Sforza-Palazzo Meucci; IBAN: IT21 Q034 4001
6040 0000 0200 300; BIC: BDBDIT22 Con carta
di credito per telefono chiamando lo 02 54122917
o facendo un versamento postale al ac/c postale
17775230 .
WWW.fondazionefrancescarava.org
24 giugno 2023 Cesare
Guzzardella
Il pianista Filippo
Gorini a
Villa Necchi Campiglio
Un pomeriggio musicale
particolarmente piacevole quello organizzato a
Villa Necchi Campiglio dalla Società del
Quartetto in collaborazione col FAI.
Il pianista Filippo Gorini, affermato
concertista e recente vincitore del Franco
Buitoni Award 2023, premio che conclude un
ciclo importante di vittorie dopo il "Concorso
Telekom-Beethoven" di Bonn nel 2015 e il "Borletti
Buitoni Trust Award" nel 2020, ha voluto donare
l'ottimo concerto impaginando un programma
impegnativo, serio e di alto spessore
musicale,
con tre grandi musicisti quali Janá ček,
Brahms e Beethoven. Dopo l'intervento
introduttivo di Ilaria Borletti
Buitoni,
Presidente del "Quartetto", Gorini ha introdotto
il tardo pomeriggio eseguendo Nella nebbia,
suite in quattro movimenti del 1912 del
compositore moravo, andando poi a ritroso con i
Klavierstüke
op.76 (1879) dell'amburghese, sino alla
Sonata n.31 in la bem. maggiore op.110
(1821) del genio di Bonn. Abbiamo ascoltato un
interprete che unisce intelletto ad estro
pianistico secondo modalità d'esecuzione tipiche
della scuola pianistica del centro- nord Europa.
Ricordiamo che Gorini ha trovato supporto da
grandi pianisti quali Alfred Brendel e Mitsuko
Uchida e per la musica più recente e
contemporanea da Maria Grazia Bellocchio. La
passione di Gorini per autori classici quali
Beethoven, Brahms e soprattutto Bach, che non
era in programma, ma comunque idealmente
presente nella bellissima Fuga terminale della
celebre penultima sonata beethoveniana, è
evidenziata anche dai numerosi premi vinti per
le sue ottime incisioni discografiche quali la
bachiana Arte dalla fuga, le
Variazioni
Diabelli, l'op.106 e l'op.111 di Beethoven.
Eseguendo gli specifici brani dei tre musicisti
scelti in impaginato, Gorini ha voluto
evidenziare il lato più serio della sua musica,
con risultati interpretativi di alto valore
estetico per tutti i lavori eseguiti. Il
capolavoro pianistico di Janáček
e quello beethoveniano che culmina nel finale
sconvolgente per costruzione architettonica,
hanno trovato nel centro gli splendidi otto
movimenti che compongono l'op. 76 di Brahms, un
alternanza di Capricci e Intermezzi
ai quali si è aggiunto
anche un altro Capriccio, sempre brahmsiano,
concesso come bis. Applausi convinti dal
numeroso pubblico presente nella valida
costruzione d'ascolto con al centro il
pianoforte, struttura realizzata per i concerti
nello spazio ex-piscine della storica Villa.
Ottimo il brindisi finale in onore di Filippo
Gorini, valente interprete che, a titolo
gratuito, ha voluto sostenere il bellissimo
tardo pomeriggio anche per festeggiare i
prossimi futuri importanti impegni con incarichi
musicali annuali in importanti città europee.
23 giugno 2023 Cesare Guzzardella
La Festa della musica
all'Università Statale di Milano con i pianisti
Massimo Carrieri e il duo Alderighi&Trick
La Festa della
Musica di ieri 21 giugno 2023 a Milano ha visto
una serie di concerti in più ambienti tra cui
quelli organizzati da UNiMi - Università degli
Studi di Milano, in collaborazione con Serate
Musicali. Abbiamo ascoltato presso
l'elegante Aula Magna dell'Università agli Studi
milanes e
due concerti pianistici: prima il pianista e
compositore pugliese Massimo Carrieri, poi un
duo pianistico, coppia anche nella vita, formato
da Paolo Alderighi & Stephanie Trick in versione
pianoforte a quattro mani. Carrieri,
pianista di
formazione sia classica che jazz, ha impaginato
un ottimo programma proponendo tre serie di
brani, con lavori di origine classica, altri di
noti jazzisti e, a conclusione, cinque suoi
lavori al quale si è aggiunto un sesto eseguito
come bis. Particolarmente efficace lo stile
pianistico di Carrieri che da
compositore-improvvisatore tende sempre alla
trasformazione e alla personalizzazione dei
brani proposti anche di altri autori. I primi
quattro, con arie di Händel, con il celebre
Lascia ch'io pianga, di Monteverdi con Si
dolce il tormento o brani di Purcell con
Music for a While o estratti da Bach con un
improvvisazione sul Preludio II in do minore
dal CBT, sono stati riuniti in una sorta di
suite decisamente valida nel quale sono
emerse le ricercate e non banali qualità
compositive del pianista. Validi i tre brani
successivi con Les amantes di Enrico
Pieranunzi,
con Sicily di C. Corea e
Liberetto di L.Danielsson, dove in tutti e
tre i lavori le rielaborazioni jazzistiche di
Carrieri hanno incontranto stili riferibili ai
classici alla Jarrett, alla Corea, ecc. Ma è
soprattutto nella serie dei suoi brani, sei
comprensivi del bis, che si sono rivelate le
ottime qualità di scrittura
dell'interprete-compositore. Nel primo lavoro
Terraross, l'influenza mediterranea, anche
nord-africana, è emersa con lievi, ricercate e
raffinate modalità compositive. La varietà di
scrittura, giocata non su virtuosismi
appariscenti, ma su sottili modulazioni in
contesti musicali influenzati da certo Satie,
dal migliore Jazz o da semplici ma interessanti
modi di melodiare sono emersi negli altri lavori
come ad esempio nelle scale di Mr. Gradus,
in Walking in Paris , in Father e
in Time Goes Away. Un interessante
scoperta per me quella di Massimo Carrieri, che
meglio di molti contemporanei legati al mondo
tonale e molto noti nei social come
Youtube, ha dalla sua una notevole varietà
compositiva che va certamente riascoltata e
approfondita. Bravissimo! Il concerto serale,
sempre in Aula Magna, ancora con l'ottimo
Bechstein messo a disposizione dall'efficente
organizzazione, ha visto il noto duo, nella
versione a quattro mani, formato dal milanese
Paolo Alderighi e dalla statunitense Stephanie
Trick.
Nel dicembre 2022 erano venuti in Sala
Verdi, per Serate Musicali in
Conservatorio, in un programma analogo. Anche
ieri sera gli ottimi pianisti, entrambi di
formazione classica, si sono cimentati nel mondo
jazz, ripercorrendo la storia della musica
ritmica che va dall'ultimo decennio
dell'Ottocento con il Ragtime, sino al jazz
degli anni '30-'40 del '900. Le qualità di
entrambi i pianisti, qui fortemente legati da
un'equa distribuzioni delle parti, non si
discutono. Hanno creato uno spettacolo di oltre
un'ora e venti minuti piacevolissimo dove oltre
ad emergere qualità virtuosistiche di primo
livello nel loro settore musicale, rivelano
simpatia, intelligenza e raffinata resa
espressiva nel proporre brani quasi sempre
riletti, adattati o riscritti completamente da
loro.
Brani di Stride piano, Ragtime,
Boogie Woogie, di Blues, della
Swing Era e di Tin Pan Aley, hanno
rivelato una capacità di duettare senza pari e
il pubblico molto numeroso presente in Aula ha
apprezzato il loro entusiasmo nel presentare ed
eseguire i numerosissimi brani tributando al
termine calorosissimi applausi e pretendendo i
bis, gentilmente poi concessi. Il primo bis con
un classico Gershwin, ha unito i celebri
Summertime a I Got Rhythm in un
tutt'uno splendidamente arrangiato mentre nel
secondo un efficace Blues impostato da Alderighi
e i Boogie Woogie della Trick e poi intrecci di
quattro mani hanno concluso in modo strepitoso
il bellissimo concerto. Per maggiori dettagli si
rimanda anche all'articolo uscito il 6 dicembre
del 2022 sul nostro giornale, dove molti brani
erano anche eseguiti per due pianoforti.
www.corrierebit.com/archiviomusica2022.htm#alderighi&trick
. Successo meritatissimo!!!
22 giugno 2023 Cesare
Guzzardella
Philippe Jordan
dirige i Wiener
Philharmoniker alla Scala
Doveva esserci a dirigere i
Wiener Philharmoniker Riccardo Chailly, e
ci sarebbe piaciuto non perchè migliore o meno
dell'ottimo Philippe Jordan, che all'ultimo
momento gentilmente lo ha sostituito causa
indisposizione del direttore milanese, ma per il
programma che doveva essere tutto incentrato su
pagine di Richard Strauss. Del compositore
tedesco è rimasta Ein Heldenleben op.
40, il poema
sinfonico
Vita d'eroe composto dal Maestro nel
1898. Nella prima parte della serata la comunque
splendida Sinfonia n. 39 in Mi bemolle
maggiore K 543 di Mozart ha anticipato il
più virtuosistico poema evidenziando la
differente scrittura compositiva dei due lavori
distanti tra loro di oltre un secolo. Cambio di
clima musicale quindi con la significativa
evoluzione in senso moderno del secondo brano
con la presenza di un leitmotiv che
ritorna nelle sei non brevi sezioni della
composizione. Quanto alle interpretazioni dei
Wiener e la qualità direttoriale di Jordan non
possiamo che essere pienamente soddisfatti.
L'Orchestra viennese non si discute per
preparazione ed efficace resa espressiva
definita da contrasti che vanno dal suono
corposo e scavato alla leggerezza più
impalpabile. Jordan ha proposto un Mozart
particolarmente intenso con i movimenti laterali,
l'Adagio.Allegro iniziale e l'Allegro
finale ricchi di contrasti coloristici e con
timbriche di pregnante presenza. L'Andante
e il Minuetto centrali erano più morbidi
ed eleganti nella loro raffinata esternazione.
Un Mozart forgiato da un' orchestra che per la
sua storia iniziata nel 1842, conosce bene i
modi
interpretativi
necessari. La più corposa Vita d'Eroe di
R.Strauss ha trovato ad attenderla un maggior
numero di eccellenti strumentisti. Jordan anche
in questo più complesso lavoro ha espresso
chiarezza coloristica evidenziando anche le
timbriche più nascoste di ogni sezione
orchestrale. Eccellente l'importante parte
solistica del violino di spalla,
konzertmeister nel nome di Rainer Honek,
specie nella prima parte del lavoro, quasi un
concerto per violino e orchestra. Lo sviluppo
per quarantacinque minuti di durata del poema,
senza soluzioni di continuità, trova al termine
frangenti di grande melodicità resi
magistralmente dall'immensa compagine
orchestrale, eccellente in ogni sezione e
diretta con sapienza dal direttore di Zurigo.
Applausi fragorosi in un teatro stracolmo di
pubblico e un bis memorabile con un classico
Johann Strauss (figlio) e il suo valzer
Künstlerleben, Vita d'artista. Serata
memorabile. (Foto di Brescia e Amisano dall'Ufficio Stampa del Teatro alla Scala)
21 giugno 2023 Cesare
Guzzardella
Inizia la IX edizione
del Festival
Il Lago Cromatico
Prossimamente inizia la IX
edizione del Festival Il Lago Cromatico, la
rassegna musicale e culturale estiva organizzata
dall’Associazione Musica Libera. La nuova
edizione si svolgerà da Giugno ad Agosto e
coinvolgerà i Comuni di Angera, Besozzo,
Comabbio, Laveno, Mombello, Leggiuno, Ranco,
Somma Lombardo, Taino e Travedona Monate insieme
a numerosi musei, associazioni, operatori
turistici e
commerciali
del territorio. Inoltre, l’edizione 2023 vedrà
la collaborazione straordinaria del Museo
Bagatti Valsecchi di Milano e l’Osservatorio
Astronomico Schiaparelli di Varese. La nuova
rassegna, dal titolo AdAstrea, prenderà
spunto dagli spazi infiniti e dall’armonia che
governa l’universo. La musica sarà la
protagonista della rassegna con 13 concerti in
alcuni dei luoghi più suggestivi della bassa
sponda lombarda del Lago Maggiore. Tra i grandi
ospiti i primi saranno il famoso jazzista Gianni
Coscia insieme alla cantante Silvia Benzi;
Silvia Chiesa con il suo ensemble C3; la
pianista Ingrid Carbone con il suo progetto
dedicato alla musica di Leoncavallo; l’ensemble
di percussioni giapponesi Taiko KyoShinDo in un
concerto spettacolare e coinvolgente nel
suggestivo Monumento di Giò Pomodoro di Taino ;
l’Ensemble FiloBarocco all’Eremo di Santa
Caterina con un concerto dedicato agli astri e a
Gea (2 Agosto) ; la pianista Clara Schembarie e
l’attrice Daniela Tusa. L’Orchestra
JuniorClassica del Conservatorio di Alessandria
si esibirà con un concerto dal titolo Lumen
Cordium interamente dedicato alla musica di
Mozart. Molto altri i partecipanti al Festival.
Il programma completo del Festival è disponibile
sul sito web:
www.illagocromatico.com
20 giugno 2023 dalla
redazione
Daniel Barenboim
e i Filarmonici scaligeri al Teatro alla Scala
Era
metà febbraio scorso quando il grande direttore
d'orchestra, anche pianista, Daniel Barenboim
tornò al Teatro alla Scala dopo un lungo periodo
di convalescenza da problemi seri di salute. In
veste di direttore della Filarmonica della Scala
allora portò un
programma
interamente mozartiano con le ultime tre
sinfonie, quelle conclusive, con la celebre
n.40 e la grande Jupiter.
L'accoglienza trionfale di allora e gli infiniti
applausi terminali di febbraio si sono ripetuti
ieri sera, nel concerto straordinario
scaligero dove un Barenboim più in salute ha
proposto ancora ultime sinfonie, questa volta di
Franz Schubert con la celeberrima "Incompiuta"
e l'ultima completata "La Grande".
Come per le sinfonie mozartiane anche in quelle
ultime di Schubert, specie nella D759 in Si
minore Incompiuta - solo due movimenti tra i
quali il primo, Allegro moderato, di
profondità espressiva straordinaria- si celano
situazioni di completamento di un percorso
musicale
e
umano. Barenboim anche questa volta ha optato
per una dilatazione degli andamenti, con durate
complessive maggiori della media, con una
Incompiuta di oltre 27 minuti di durata e quella
in Do maggiore D 944 di quasi un'ora
di svolgimento. La meditata chiarezza espressiva,
giocata su una serena e non accentuata
marcazione dei contrasti ritmico-dinamici ha
ancora messo in risalto l'alta cifra espressiva
del direttore. Il momento di maggiore profondità,
restituito con gesto molto misurato ed
essenziale, rimane il celebre Allegro
moderato dell'Incompiutà, un movimento
conclusivo di tutto Schubert che ci pone di
fronte al destino finale dell'Uomo. Applausi
infiniti con standing ovation al termine
per l'ottantunenne direttore.
19 giugno 2023 Cesare
Guzzardella
Il ritorno di Ingrid
Carbone ai Lieti Calici
È tornata questa mattina ai "Lieti
Calici " Ingrid Carbone, la pianista calabrese
già venuta le passate stagione alle mattinate
organizzate da Mario Marcarini per gli Amici del
Loggione del Teatro alla Scala. L'impaginato
della brava pianista era ben organizzato nella
successione dei brani e prevedeva lavori dei
napoletani Domenico
Scarlatti,
Leonardo Leo e Ruggero Leoncavallo. Musicisti
legati anche alla tradizione mediterranea
spagnola, specie Scarlatti, e al mondo
dell'opera, quindi ben inseriti nelle scelte
predilette della fortunata rassegna musicale-gastronomica
che vuole trasmettere al pubblico la passione
per la lirica e per il mondo melodico italiano.
La Carbone ha fatto una sorta di lezione-concerto
inquadrando bene i tre musicisti nella loro
epoca. Di Scarlatti ha elargito tre tra le più
celebri delle sue Sonate - ne compose oltre 550-
e tra questa la nota Toccata. Quindi di valida
restituzione un'altra Toccata, quella
di
Leonardo Leo, brano in stile scarlattiano per un
musicista celebre soprattutto per la sua
importante produzione lirica e massimo
rappresentante della scuola napoletana. I tre
brani conclusivi di Ruggero Leoncavallo, autore
dei celebri Pagliacci, hanno evidenziato la
liricità autenticamente italiana anche del
compositore partenopeo. La Carbone recentemente
ha anche prodotto un Cd con tutti i brani per
pianoforte- trentasei quelli riscoperti-
composti da Leoncavallo, una registrazione di
grande interesse storico che vuole rivalutare le
qualità strumentali del grande operista.
Applausi dal numerosissimo pubblico presente e
due bis concessi con il raro Fandango di
Scarlatti e il Pulcinella di Rachmaninov. Ancora
sostenuti applausi alla brava interprete.
Brindisi finale con ottimi vini per i
numerosissimi presenti. Prossima stagione dei
Lieti Calici a settembre.
18 giugno 2023 Cesare
Guzzardella
Successo alla Scala
per Rusalka
Il ripetuto successo di
Rusalka, fiaba lirica in tre atti di Antonín Dvo řák
(1841-1904) su libretto di Jaroslav Kvapil,
trova ragione d'esser dovuto ad una serie di
fattori sinergici che anche nella quarta
rappresentazione, vista ed ascoltata ieri sera
in un Teatro alla Scala stracolmo di pubblico,
ha portato ancora ad un entusiasmo generale di
tutti i presenti con intensi applausi esternati
a tutti i protagonisti. Innanzitutto di qualità
l'eccellente musica del compositore boemo.
Quando Dvořák
nel 1900 pensò alle musiche di scena da
costruire sul felice libretto fantastico di
Kvapil, tirò fuori dal cappello una serie di
momenti musicali che riassumono per stile il
meglio della sua
produzione
timbrica celebre in tutto il mondo. In
quell'anno aveva gia composto, e da alcuni anni,
tutte le nove sinfonie, tutti i concerti, le
danze e le rapsodie slave, tutti i trii, i
quartetti e i quintetti e almeno altre otto
opere liriche. È vero, c'è uno sguardo rivolto
al mondo wagneriano con la presenza di un
leitmotiv, ma nella musica prevalgono le sue
tipiche modalità compositive, assolutamente
riconoscibili. Tra timbriche sinfoniche e canti
folcloristici in Rusalka c'è tutta la sua musica,
e quando il 31 marzo del 1901 al Teatro
Nazionale di Praga venne data la prima
rappresentazione della sua migliore opera,
l'apprezzamento fu totale e Rusalka divenne
popolare dappertutto. Incredibilmante per la
prima volta alla Scala, quest'opera tradizionale
nella pur splendida musica, ha trovato anche
altre ragioni di successo: la valida regia di
Emma Dante ritornata in Scala dopo l'ottima
Carmen della Stagione 2009-10, con le adeguate
scene di Carmine Maringola e i costumi
coloratissimi e fiabeschi nell'incisività delle
realizzazioni di Vanessa Sannino, insieme alle
riuscite coreografie di Sandro Maria Campagna,
tutti nelle chiare illuminazioni di Cristian
Zucaro. Punti di forza anche l' ottimo cast
vocale unitamente alle valide parti corali
preparate dal solito bravissimo Alberto Malazzi
e la direzione efficace, attenta alle voci e
ricca di incisività tra timbri leggeri,
bel canto e fragorose esternazioni orchestrali
del boemo direttore d'orchestra Tomáš
Hanus. Tutte le voci sono da segnalare, a
cominciare dalla protagonista Rusalka, ninfa
dell'acqua, nei ricchi timbri in ogni
registro dell'ucraina Olga Bezsmertna con l'aria
più celebre nel primo atto,
il Canto alla Luna, cantata intensamente
con chiarissima delicatezza e brava Olga anche
nelle sue volutamente stentate movenze in scena.
Ottimo vocalmente il Principe, il tenore
Dmitry Korchak con timbro chiaro e dettagliato.
Di grandissimo impatto vocale Ondin, lo
spirito delle acque, nella voce da basso di
Jongmin Park; Ottimi, la Principessa
Elena Guseva, la Strega Ježibaba
Okka Von Der Damerau, il Guardiacaccia
Jiří Rajniš,
lo Sguattero Svetlina Stoyanova, il
Cacciatore Ilya Silchukou. Di evidente
valenza vocale e scenica le Tre ninfe del
bosco nei nomi di Hila Fahima, Juliana
Grigoryan e Valentina Pluzhnikova.
Prossime
repliche da non perdere previste per il 19 e il
22 giugno.
( Foto di Brescia e Amisano dall'Archivio della
Scala)
17 giugno
2023 Cesare Guzzardella
Francesco Libetta tra
Mozart e Clementi,
Paisiello e Scarlatti al
Museo
"Leonardo da Vinci"
Quello che ha dato valore al
concerto ascoltato ieri sera, nella bellissima
Sala del Cenacolo del Museo "Leonardo da Vinci",
in una serata avente come protagonista il
valente pianista Francesco Libetta è, oltre alle
indiscusse qualità delle interpretazioni, anche
la ricercata scelta dell'impaginato. Una scelta
che ha cercato di esprimere un
percorso ispirato
dall'incontro/scontro avvenuto a Vienna nel 1781
tra W.A.Mozart e Muzio Clementi e dove, pur nel
variegato numero di compositori considerati, la
prevalenza era quella di timbriche dal sapore
antico, in linea con la serie di concerti
organizzati dall'Accademia di Musica Antica di
Milano. Brani di Mozart, Clementi, Paisiello e
Scarlatti si sono alternati in un'ambiente
particolare, dove la ridondanza acustica della
sala favoriva le sonorità più "semplici",
definite da linee melodiche non coperte da più
complesse armonie, conferendole quel senso "antico"
particolarmente godibile. Le armonizzazioni più
complesse meritavano un ambiente meno
riverberante. Estrapolando le situazioni
acustiche migliori per il pianoforte, abbiamo
comunque assistito ad un eccellente concerto
iniziato con W.A.Mozart (1756-1791) nelle Sei
variazioni in fa maggiore K.416c su un tema
da I filosofi immaginari di Giovanni
Paisiello. Procedendo con il primo Muzio
Clementi (1752-1832) nella nota Sonata op.24
n.1 in si bem. maggiore eseguita con
esemplare discorsività e lineare chiarezza.
Continuando con le melodiche note di Giovanni
Paesiello (1740-1816) di Notturno e del
Rondò in do maggiore, note restituite con
raffinata sintesi discorsiva, i due minuti di
sosta portavano a cinque Sonate di
Domenico Scarlatti ( 1685-1757) - le K 96-K
87-K 141-K 248-K 208- , alcune di raro
ascolto, che oltre ad avere ancora una precisa
e
profonda interpretazione, introducevano alla
Sonata op.40 n.2 ancora di Clementi, quella
certamente tra le più complesse ed evolute per
armonizzazione, varietà compositiva ed
innovazione. Il programma ufficiale presentava
una coda di brevi bis, nella ripetizione di
quell'ideale incontro-scontro avvenuto tra il
più giovane- di quattro anni- genio di
Salisburgo e il più longevo nostro Clementi, che
sarebbe vissuto oltre quarant'anni in più
rispetto al rivale. Nei bis, di Clementi due
brevissimi Preludi in stile prima
mozartiano poi clementiano; di Mozart un
frammento di brano nello stile "alla Clementi".
Applausi fragorosi nel bellissimo e ridondante
luogo al completo e ancora un fuori programma
con una organistica Sesta Toccata di
Michelangelo Rossi (1602-1656) resa col
pianoforte, quasi organo, ancora con mirabile
maestria da Francesco Libetta nella più
antica espressività.
16 giugno 2023 Cesare
Guzzardella
Giuseppe Albanese
per il Rach2 alla Società dei Concerti
in Conservatorio.
Il pianista Giuseppe Albanese
ha concluso la serata organizzata dalla "Fondazione
La Società dei Concerti" interpretando il
celebre Concerto n.2 in do minore op.18 per
pianoforte e orchestra di Sergej Rachmaninov.
Il brano in tre movimenti, noto come Rach 2,
reso celebre per via delle numerose melodie
romantiche presenti di
immediata
presa emotiva, ha anche frangenti di
straordinario virtuosismo reso con sorprendente
facilità dal pianista di Reggio Calabria.
L'interpretazione complessiva, di alto livello,
ha trovato anche un'ottima restituzione
dall'Orchestra Maderna diretta da Marco
Zuccarini e Albanese, virtuoso affermato,
vincitore di numerosi importanti concorsi
pianistici internazionali, ha riempito di
contenuto anche i momenti più intimi del lavoro,
come la celebre aria dell'Adagio sostenuto
centrale: poche note ben centellinate nella
timbrica riflessiva splendidamente delineata.
Applausi sostenuti dal pubblico intervenuto in
Sala Verdi all'ultima serata stagionale,
dedicata -
con questo brano
-alla memoria di Antonio Mormone,
fondatore della nota società concertistica e
amante
del
concerto del grande compositore russo.
Ricordiamo che il Rach2 è il Concerto con il
maggior numero di visualizzazioni tra tutti i
lavori di musica classica presenti sulla rete
Youtube con quasi 40 milioni di visualizzazioni
solo nell'interpretazione della Federova. Ben
tre i bis concessi da Albanese: il noto brano
Etincelles di Moszkowski, dedicato ancora a
Mormone, un'eccellente rielaborazione
virtuosistica del celebre brano di John Williams
tratto dal film Herry Potter e, a conclusione,
il noto
Pass
de deux dallo Schiaccianoci di
Čajkovskij. Eccellenti.
La prima parte della serata prevedeva due noti
lavori orchestrali con l'Ouverture da
concerto op.32 "La bella Melusina" di
Mendelssohn e l'ancor più
celebre Sinfonia n.1 in
re maggiore op.25 "Classica" di Sergej
Prokofiev, un omaggio al mondo classico
haydniano e mozartiano di un altro grande
compositore russo. Valide le interpretazioni
della compagine orchestrale di Forlì diretta con
precisa gestualità dall'ottimo ed esperto
Zuccarini. Ottima serata ben introdotta, come
sempre, da Enrica Ciccarelli Mormone.
15 giugno
2023 Cesare Guzzardella
L'ottima Insubria
Chamber
Orchestra alle Serate Musicali
L'ultimo concerto stagionale
di Serate Musicali ha trovato sul palco
di Sala Verdi in Conservatorio la Insubria
Chamber Orchestra, compagine di strumenti ad
arco diretta da Giorgio Marini. L'impaginato
prevedeva brani "Tra Sette e Novecento" -
come
recita la denominazione della serata - di
indubbio interesse. L'Allegro con archi in Do
maggiore di Gaetano Donizetti ha introdotto
il concerto fornendo l'ottima cifra coloristica
della compagine strumentale. Una rarità quale il
Concerto in Fa per pianoforte e archi di
Andrea Luchesi (1741-1801) in stile d'epoca tra
Settecento italiano e classicismo mozartiano, è
del 1771 con una struttura musicale di immediata
resa discorsiva. La parte solistica pianistica è
stata ottimamente interpretata da Carlo Levi
Minzi, per decenni Maestro di pianoforte al
Conservatorio milanese e rinomato concertista.
Di ottima qualità il bis solistico concesso da
Levi Minzi con un Preludio di Rachmaninov.
Di ottima resa anche la seconda parte della
serata che prevedeva prima un brano della
compositrice
Andreina
Costantini (1955) con Eos, Suite per archi
in prima esecuzione assoluta e poi il
Quartetto n.9 di Lorenzo Perosi (1872-1956)
nella trascrizione per archi di Adriana
Azzaretti. È scritto molto bene e di grande
equilibrio formale il lavoro tonale della
Costantini, un brano ispirato dall'aurora e dai
suoi colori che vengono declinati tra tenui
contrasti e altri di maggiore pregnanza ritmica.
Applausi sostenuti dal pubblico presente anche
alla compositrice. L'ottima trascrizione del
quartetto di Perosi ha valorizzato una scrittura
neoclassica che ritrova un mondo del passato con
radici nel canto gregoriano e nella polifonia
rinascimentale, rivisitato in forma incalzante e
moderna dal musicista negli anni '30 del
Novecento. Eccellente l'interpretazione grazie
al valido direttore Marini e alla compagine
cameristica.
13 giugno 2023 Cesare
Guzzardella
Due interessanti Festival
musicali a Milano e a Crema
Sono
due le valide iniziative organizzate dal
violinista milanese Alessio Bidoli che in questi
giorni a Crema e tra meno di una settimana a
Milano danno e daranno molta musica in luoghi
magici delle città. A Crema è già iniziato e
terminerà il 20 giugno "Musica in corte a
Crema 2023". In edifici storici della città
si tengono concerti cameristici rilevanti.
Ricordiamo almeno le due ultime date: il 13
giugno il pianista Leonardi Colafelice
terrà un recital con musiche di Liszt e di
Chopin a Palazzo Premoli Pozzali alle ore 21.00
e il 20 giugno, sempre alle 21.00, il Quintetto
di Massimo Spada sarà presente a Palazzo
Terni De Gregory per musiche di Donizetti,
Rachmaninov e Teneev. A Milano inizia "Villa
Mirabello Classica 2023" - Armonie tra suono
e bellezza". Si inzia il 15 giugno con Andrea
Bacchetti e i solisti di "Milano Classica"
per Bach, Haydn e
Čajkovskij, e si procede il 22 giugno con
Alessio Bidoli al violino e Luigi
Moscatello al pianoforte per Tartini,
Mozart, Saint-Saëns
e Ravel. Altre date sino a 6 luglio sono
consultabili in rete. Si consiglia vivamente la
partecipazione!!
10 giugno
2023 Cesare Guzzardella
La pianista Ying Li
diretta da Dan Ettinger al Conservatorio
milanese
È tornata in Conservatorio,
ai concerti organizzati dalla Fondazione La
Società dei Concerti, la pianista Ying Li,
vincitrice nel 2021 del Premio Internazionale
Antonio Mormone, concorso organizzato dalla
stessa
Fondazione. La maestria della pianista è emersa
in un brano di F. Mendelssohn quale il
Concerto n.1 in sol minore op.25 per pianoforte
e orchestra, brano brillante e virtuosistico
del 1831, con ritmi incalzanti nei movimenti
laterali, Molto allegro con fuoco e
Presto, mentre intensamente melodico nell'Andante
centrale. Accompagnata dall'ottima
Stuttgarter Philarmoniker diretta da Dan
Ettinger, Ying Li ha dimostrato ancora una volta
di possedere sorprendenti qualità virtuosistiche
e anche profonda espressività certamente
rilevata dalle note dell'Andante centrale.
Ottima l'interpretazione complessiva
e valido il bis concesso con lo Scherzo
dal Sogno di una notte di mezza estate di
Mendelssohn. Ad introduzione della serata ottima
l'interpretazione del brano di Sergei Prokofiev:
la rara Ouverture su temi ebraici in do
minore op.34. Dopo l'intervallo l'orchestra
di Stoccarda ha proposto la Sinfonia n.1
del compositore israeliano P.Ben-Haim
(1897-1984).
Lavoro
sinfonico particolarmente energico, è stato
composto nel 1939-40 in modalità tonale e
rappresenta stilemi provvenienti dalle
principali scuole sinfoniche europee. L'ampia
compagine orchestrale, ottimamente diretta da
Ettinger, ha dato sfoggio di grande virtuosismo
sinfonico in un lavoro dall'eccellente
orchestrazione che, oltre ad un notevole impatto
volumetrico, presenta frangenti di grande
interesse melodico-armonico. Applausi fragorosi
a tutti i protagonisti.
8 giugno 2023 Cesare Guzzardella
L'Orchestra
"L'Appassionata" e la
pianista Alexandra Segal alle Serate Musicali
del Conservatorio
Un programma di sicuro
interesse quello offerto dall'Orchestra "L'appassionata",
una compagine di strumenti ad arco avente come
Maestro concertatore Lorenzo Gugole. Una prima
parte interamente mozartiana e una seconda con
musiche di Béla Bartók ha rivelato le qualità
espressive di questa ottima formazione nata nel
2019. Il
Divertimento
per archi in fa maggiore K 138, opera di un
Mozart sedicenne, ha mostrato le qualità
giovanili del genio di Salisburgo, ma anche
l'efficace resa stilistica in un brano
d'intrattenimento di elevato livello compositivo.
Con il Concerto per pianoforte n.12 in La
maggiore K 414 e la presenza della giovane
pianista Alexandra Segal, l'espressività della
musica di Mozart ha fatto un salto di qualità.
L'opera data 1785 e rappresenta un lavoro maturo
del grande musicista. La pianista
israelo-ucraina, classe 1995, ha rivelato una
genuina e chiara trasparenza coloristica nel
definire i temi dei classici tre movimenti che
compongono il lavoro: un Allegro, un
Andante e un Rondó finale resi con
minuziosa restituzione e ben rilevati anche
dagli ottimi timbri orchestrali.
Di
qualità la resa complessiva e ben pesate le
poche ma espressive note dell'Andante
centrale. Applausi sostenuti agli interpreti e
ottimo il bis pianistico concesso dalla Segal
con una Sonata di Domenico Scarlatti. Le
sorprendenti qualità della compagine di
strumenti ad arco sono ancor più emerse nel
bellissimo e profondo brano dell'ungherese
Bartók. Il Divertimento per orchestra d'archi
è un brano in tre parti del 1939 e rivela le
straordinarie qualità del grande musicista. Il
lavoro per clima musicale ha ben poco a che
vedere con i devertimenti del periodo
classico mozartiano e haydniano essendo presente,
soprattutto ma non solo nel Molto Adagio
centrale, una drammatizzazione di grande
intensità emotiva. Un'escuzione di valore per
equilibrio e bellezza di suono quella della
compagine "L'Appassionata", che ha trovato una
risposta positiva con fragorosi e ripetuti
applausi del pubblico presente in Sala Verdi. Un
concerto organizzato da "Serate Musicali"
che meritava una sala al completo. (Foto in
basso di Alberto Panzani- Uff.Stampa Serate
Musicali)
6 giugno 2023 Cesare
Guzzardella
Un duo per violoncello
e pianoforte alla rassegna
milanese "Lieti Calici"
La rassegna musicale-gastronomica
"Lieti Calici" inventata da Mario
Marcarini presso gli Amici del Loggione del
Teatro alla Scala di via Silvio Pellico 6,
ha di nuovo centrato l'obiettivo di riempire la
sala offrendo un fresco e giovanissimo duo
strumentale formato dal
violoncellista
Gioele Pes e dal pianista Simone Anelli. Dopo la
valida introduzione storico-musicale di
Marcarini orientata a definire il tema delle "Variazioni",
nell'arco temporale che va dalla musica antica
ai giorni nostri, la coppia di validi interpreti
ventiquatrenni ha proposto dei brani con
variazioni con temi legate al mondo dell'opera
di Mozart e di Rossini. Sono state ottimamente
interpretati tre importanti lavori di Beethoven,
Paganini e Respighi. Prima le note
Variazioni in mi bem.maggiore su un
tema dal Flauto Magico per cello e pianoforte
WoO 46 del genio tedesco, quindi le
celeberrime Variazioni sulla quarta corda su
temi dal Mosé di Rossini di Niccolò
Paganini, originariamente per violino-
ma
nella trascrizione per violoncello e pianoforte
sulla prima corda del più voluminoso strumento
ad arco- e, a conclusione, di Respighi l'ottimo
ed evoluto Adagio con Variazioni. La
valida resa estetica dei giovani interpreti,
giocata su una precisa intesa coloristica, con
frangenti di notevole espressività, ha portata
ad un successo meritato espresso dai fragorosi
applausi del numerosissimo pubblico presente in
sala. Valido il bis concesso dal duo con il
celebre brano di Gabriel Fauré Aprés un Rêve
e altrettanto valido e sostanzioso
l'aperitivo con eccellenti vini offerto a tutti
i presenti. Ottima mattinata!
04-06-23 Cesare Guzzardella
DA ROMA A VERCELLI UNA NUOVA
VIA FRANCIGENA COSTRUITA DALLA MUSICA
A due
settimane esatte dalla trionfale conclusione del
XXV ViottiFestival, ieri sera, sabato 3 giugno,
al Salone Dugentesco, la stagione musicale
vercellese della Camerata Ducale ha regalato al
suo pubblico un imperdibile ‘hors programme’ di
grande musica cameristica, affidato ad un
quintetto di giovani e giovanissimi musicisti di
altissimo livello, formato dai due maestri
preparatori, il violinista Andrea Obiso (primo
violino di spalla dell’Orchestra Filarmonica di
S. Cecilia) e il pianista Massimo Spada ( anche
lui formatosi nell’ambiente romano
dell’Accademia di S. Cecilia), da due dei
migliori talenti della Camerata Ducale Junior
(CDJ), la violinista Giulia Rimonda
– primo
violino della Camerata Ducale e, come solista,
ammirata, tra l’altro,
nel concerto di quindici giorni fa- e il
violista Lorenzo Lombardo, cui si aggiungeva il
violoncellista Marco Mauro Moruzzi, formatosi in
quella nuova ed eccellente Scuola internazionale
di perfezionamento musicale, che è Avos Project,
anch’essa con sede a Roma. Sembra si stia
creando, sull’asse Roma-Vercelli, una ‘via
francigena’ della musica, che sta producendo un
‘cantiere musicale’ la cui importanza varca
ormai i confini non solo di una provincia, ma di
una regione, per acquistare un respiro sempre
più nazionale. Molto attraente e di grande
raffinatezza il programma della serata. Ad
aprire il concerto il QuartettSatz in La minore
per pianoforte ed archi, di un Mahler ancora
adolescente, al primo anno di Conservatorio
(1876) che compone solo il primo tempo, un
Allegro di sonata, di un quartetto destinato a
restare largamente
incompiuto,
ma che, al di là della chiara eco brahmsiana del
primo tema, già rivela una precoce padronanza
delle tecniche compositive di un sedicenne di
genio. L’interpretazione fornita dal quartetto
formato da Rimonda, Lombardo, Moruzzi e Spada ha
valorizzato con le scelte timbriche dei vari
strumenti le potenzialità espressive del primo
tema, dando risalto al suo progressivo incupirsi
e caricarsi di sinistri presagi, non solo
nell’esposizione, ma anche nello sviluppo e
nella ripresa. Notevole anche il modo in cui il
giovane quartetto, ‘guidato’ dal suo maestro
Spada, ha condotto nell’accurato intreccio delle
varie linee strumentali la raffinata
elaborazione contrappuntistica dello sviluppo.
La breve cadenza del violino di Giulia Rimonda,
subito prima della malinconica conclusione,
univa con grande suggestione nitida purezza di
suono e l’ombra di una segreta inquietudine.
Un’ottima interpretazione di un componimento
breve, ma intenso, per passare ad un autore che
in questa stagione a Vercelli si è conquistato
una posizione di deciso rilievo nella
programmazione: l’immenso Schostakovic, di cui
sono state eseguite due composizioni: il Trio
per pianoforte e archi n.1 in do minore op.8,
altra opera di un sedicenne.(1923) e, a
conclusione della serata, il Quintetto in sol
minore per pianoforte e archi, op.57 (1940)..
L’esecuzione del Trio di Schostakovic è stata di
altissima qualità, grazie alla prova di grande
bravura dei tre strumentisti, Giulia Rimonda,
Marco Moruzzi e Massimo Spada. Il brano consta
di un solo movimento, impostato sull’alternarsi
incessante di soluzioni agogiche le più
disparate, che come è tipico di Schostakovic,
conferiscono alla composizione una contrastante
e variegata ricchezza espressiva. Il continuo
circolare dei vari temi fra i tre strumenti, nei
diversi registri, dal grave all’acuto, ha
esaltato il controllo accurato di dinamiche e
timbri, un’impeccabile precisione
nell’intonazione, il dominio sovrano della
tecnica strumentale. da parte dei tre interpreti.
Il Trio di Schostakovic ascoltato ieri sera ha
saputo dar piena voce ai momenti più
coinvolgenti di questo memorabile pezzo: lo
struggente dolore del motivo introduttivo,
esposto dal violoncello di Moruzzi, delicato nel
tocco e che sembra scavare nel suo moto
discendente negli abissi di un enigma angoscioso;
l’appassionato, patetico tema dominante nella
sezione in Allegro, ancora esposta da un
violoncello che trova il giusto timbro caldo e
avvolgente, il sorprendente moto perpetuo in cui
è il violino di Giulia Rimonda,
a
mostrare, se mai ce ne fosse bisogno, la sua
straordinaria abilità di virtuosa, il tema di
disperato eroismo, che la mano sinistra di un
superbo Spada, evoca alla tastiera, dando il
giusto peso, a contrasto, al cupo e insensato
ostinato della mano destra, un’altra delle
figurazioni musicali di un’angoscia che segna la
musica di Schostakovic fin dall’adolescenza. Ma
il momento culminante di questo Trio è il
trasognato tema di ninna nanna che segue di poco,
con violento contrasto, il moto perpetuo del
violino: ancora una volta è il suono, caldo e
cullante, di un brunito dolcissimo, del
violoncello di Moruzzi a indicare con sapienza
la giusta chiave interpretativa di questo
momento quasi estatico, sostenuto dagli accordi
del pianoforte, su tutta l’estensione della
tastiera, cui Spada conferisce quella
trasparenza e quella rarefatta delicatezza, che
fondendosi col colore dl violoncello, danno vita
a un impasto timbrico di straordinaria efficacia.
E quando subentra. a riprendere il tema, il
violino di Giulia Rimonda, il suo suono puro e
di sovrana eleganza si effonde nelle volte della
sala medievale a creare un’aura di magico
incanto. Il terzo brano di questo programma ben
pensato e splendidamente eseguito è stato il
Tema e variazioni per violino e pianoforte di O.
Messiaen (1932), affidato al Duo Andrea Obiso (violino)
e Massimo Spada. La particolarità di questo tema
con variazioni sta nel fatto che, più che di
vere e proprie variazioni, cioè di
trasformazione strutturale e armonica del tema,
qui si tratta, com’è stato osservato, di “parafrasi
decorative”, in cui a dominare sono l’elemento
coloristico e il ritmo. Nell’interpretare questo
pezzo, Obiso sfoggia, sin dall’esposizione del
tema, un fraseggio fluido e morbido, dando alla
particolare costruzione modale che caratterizza
non solo il tema, ma tutto il pezzo, una
cristallina nettezza di contorni, sostenuta da
una cavata sempre luminosa e appena increspata
da un accorto uso del vibrato. Questo stile
espositivo di rara raffinatezza, capace di
donare una suggestiva iridescenza al denso
cromatismo della prima variazione, tocca il suo
culmine nell’acuto dell’ultima variazione, la
quinta, che assume i toni dell’apoteosi. Questo
suono brillante è poi associato ad un crescente
incremento della velocità dei tempi, in cui
Andrea Obiso fa mostra del suo perfetto
controllo tecnico dello strumento, efficacemente
sostenuto dall’accompagnamento del pianoforte
prevalentemente accordale, secondo un’altra
caratteristica tipica della musica cameristica
di Messiaen in questa fase e che sotto le dita
di Massimo Spada diventa spumeggiante
martellamento. Come detto in precedenza, il gran
finale della serata è stato il Quintetto per
pianoforte e archi, op.57 di Schostakovic.. Agli
strumentisti che abbiamo sinora nominato si è
unito Andrea Obiso, nel ruolo di secondo violino.
Questo quintetto pone i suoi problemi
interpretativi a partire dall’ambiguità che
segna le pagine migliori di Schostakovic in
questa fase della sua opera, coincidente con gli
anni più tragici del terrore staliniano: da un
lato la rinuncia a ogni sperimentalismo,
l’adozione di un linguaggio musicale chiaro, ‘popolare’,
tradizionale, in linea coi dettami ufficiali;
dall’altro il velato scorrere ‘sotto traccia’ di
una tensione, di una carica emotiva che, se ben
colta, lascia trasparire un senso di angoscioso
smarrimento e che, musicalmente si esprime in
certi improvvisi scarti tonali, in ‘ostinati’
che si fanno via via più cupi, quasi ombre
minacciose, in ‘scherzi’ che non hanno nulla di
gioioso, ma semmai di grottesco e di vagamente
diabolico (e qui l’esempio delle sinfonie di
Mahler era fin troppo influente). Tutto questo
troviamo nel quintetto op.57, uno dei più belli
di questo genere cameristico. L’interpretazione
ascoltata ieri sera è stata pienamente
all’altezza del compito cui era chiamata, dare
voce a questo fondo oscuro, a questa torbida
ambiguità, che costituiscono il vero significato
di questa musica. Così la timbrica via via più
livida degli archi, e in particolare il suono in
chiaroscuro dei violini, appoggiato dal mormorio
del pianoforte, nel secondo tempo Fuga Adagio,
sembra scivolare, nello sviluppo che segue alla
fuga, in un’atmosfera sempre più intristita e
smarrita, caricandosi di una tensione e di un
pathos che smentiscono il Preludio, con cui il
pianoforte sembrava aprire il pezzo su toni di
cordiale serenità. Altrettanto degna di lode
l’interpretazione del successivo Scherzo, un
pezzo in cui la leggerezza del gioco di scale
divergenti del pianoforte si vena d’inquietudine
nel contrasto con l’ostinato del quartetto,
messo in forte rilievo dagli interpreti, con una
intensa energia di suono che lascia intravedere
quell’intreccio di slancio gioioso e
disperazione, perfetto esempio di quello che gli
antichi Greci chiamavano ‘dionisiaco’. E questa
chiave di lettura della composizione è ribadita
dall’Intermezzo, ove la carica di tensione
emotiva è accentuata da tempi molto lenti e da
un lirismo di sottile malinconia, di cui si
fanno interpreti soprattutto gli archi, con il
violino di Rimonda in stato di grazia, con quel
disegnare con tocco di sommesso intimismo,
dolcemente vibrato, il tema malinconico del
movimento, ripresa dalla viola di Lombardo, che
intinge il tema nel suono dolcemente brunito e
morbidissimo del suo strumento, reso ancor più
struggente dal pizzicato del violoncello.
Momento davvero ‘magico’ che solo la musica,
quando è ben suonata, sa donare all’uomo. Ottima
l’esecuzione anche nella trasparenza delle linee
compositive, nella limpidezza degli intrecci
contrappuntistici, in particolare nella fuga che
apre il secondo movimento e nel rendere
l’asciutta eleganza della tessitura timbrica del
quintetto. Un bellissimo concerto, quasi a ‘doppiare’
quello di quindici giorni fa e a suggellare una
stagione davvero piena di soddisfazioni per
tutti: per quella ammirevole fucina di musica e
di giovani talenti che è la Camerata Ducale e
per gli amanti della musica bella (possiamo
usare questo aggettivo, in luogo dei soliti ‘classica’
e ‘colta’?). Il successo di questa serata è
stato sottolineato dall’applauso travolgente di
un pubblico accorso a riempire sino all’ultimo
posto il Salone Dugentesco e premiato da un bis,
lo Scherzo del Quintetto di Schostakovic. A
conclusione di un concerto che non esitiamo a
definire memorabile, l’impareggiabile Direttore
artistico della Camerata Ducale, Cristina
Canziani, ha annunciato al pubblico una prossima
stagione con un programma ricco di altre
emozionanti serate, degne della celebrazione di
un importante anniversario, il duecentesimo
della morte di G: B. Viotti. (Foto Daniel Delang
Uff. Stampa Vercelli)
04-06-23 Bruno Busca
Behzod Abduraimov
per la Società
dei Concerti in Conservatorio
Son passati dieci
anni dall'ultimo concerto milanese di Behzod
Abduraimov per la Fondazione
La Società dei Concerti.
Ieri il pianista, classe 1990, di Tashkent in
Uzbekistan, è tornato in Sala Verdi per un
impaginato diversificato con brani
particolarmente importanti di Franck,
Saidaminova, Ravel, Rachmaninov e Prokofiev. Il
brano introduttivo, il Preludio, Fuga e variazion e
in si
minore
op.18
di Cesar Franck è
originariamente per organo, ma il
pianista-compositore H.Bauer fece un
trascrizione pianistica diventata di riferimento.
Abduraimov è riuscito in modo raffinato a
ritrovare un'atmosfera organistica con il
pianoforte elargendo un'ottima interpretazione.
Il lavoro successivo della musicista uzbeka
Dilorom Saidaminova (1943) era la suite
The wall of Ancient Bukhara
(1973), una serie di brani dai quali
Abduraimov ha selezionato cinque momenti. Un
composizione intensa, legata al folclore
dell'est europeo, con elementi dissonanti che
accentuano il clima spesso scuro e riflessivo e
che il pianista ha saputo delineare con profonda
interiorizzazione. Dopo questa assoluta novità,
il brano successivo ha iniziato la serie di
composizioni celebri. Gaspard de la nuit (1908)
di Maurice Ravel ha evidenziato la splendida
cifra stilistica del pianista uzbeka, giocata su
una precisione millimetrica ed una forza
evidente nel costruire gli elementi costitutivi
delle tre parti del brano. Di alevato spessore
sia Ondine
che Le gibet
e Scarbo. Dopo
il
breve intervallo due preludi
di Rachmaninov, quello in
Sol maggiore op.32 n.5
e quello popolarissimo in
Sol minore op.23 n.5
hanno rivelato la predisposizione di
Abduraimov per il russo, eseguendo
successivamente un altro russo con i 10 pezzi
per pianoforte di Romeo e
Giulietta op.75 di Sergej
Prokofiev. Un'interpretazione quest'ultima di
assoluta rilevanza estetica, giocata su
esemplare sicurezza, nitore timbrico e visione
complessiva perfettamente delineata. Un ottimo
recital,
che meritava una sala al completo. Brevissimo ma
valido il bis concesso con un aria napoletana di
Čajkovskij, Op.39 n.18
Neapolitan Song, definita
da un rapido virtuosismo su una semplice melodia.
Applausi intensi e sostenuti.
1 giugno 2023 Cesare Guzzardella
MAGGIO
2023
Giuseppe Gibboni per
le Serate Musicali del Conservatorio
Un concerto per solo violino
è certamente impegnativo, sia per l'interprete
che deve cercare di dare il meglio con uno
strumento che il più delle volte ha bisogno di
un completamento con altri strumenti, sia per il
pubblico che deve maggiormente prestare
attenzione all'unico protagonista presente sul
palcoscenico. Il ventiduenne Giuseppe Gibboni ha
vinto nel 2021 il prestigioso
Premio
Paganini, tra i massimi concorsi violinistici
internazionali. Nel concerto di ieri sera,
organizzato da Serate Musicali, ha
impaginato un programma soprattutto classico con
Bach, Paganini e Ysaye al quale si è aggiunta
come ultima proposta un brano del compositore
russo, scomparso nel 1998, Alfred Schnittke, con
il suo "A Paganini" per violino solo.
L'alta cifra estetica esternata da Gibboni ha
trovato in ogni brano espressione, a cominciare
dalla Sonata per violino in sol minore n.1
di J.S. Bach, proposta ad introduzione.
L'esemplare discorsività, nella perfetta
intonazione in ogni registro del violino - anche
nei più alti sopracuti- ha rivelato le qualità
sicure e precise del giovane interprete. Doti
virtuosistiche si sono ancor più rivelate nella
selezione scelta dai Capricci paganiniani ,
precisamente i numeri 1-5-13-15-21-2 4
della celebre Op.1. Il perfetto
dosaggio dei volumi sonori ottenuto col suo
voluminoso strumento ad arco, e la perfetta
quadratura di ogni brano ha portato ad
esecuzioni decisamente rilevanti. Anche la
successiva Sonata n.6 op.27 di Eugène
Ysaýe, grande compositore-violinista belga- come
il nostro Niccolò- ha permesso una chiara ed
incisiva interpretazione di un brano del 1923 in
stile di habanera spagnola dedicata al
violinista spagnolo Manuel Quiroga. Molto
interessante poi il brano del russo Schnittke
costruito su riferimenti bachiani, un Andante
con cadenza 1 e 2 del 1982 ben costruito per
il violino ed interpretato con trasparenza da
Gibboni. Due i bis concessi dal superlativo
violinista, la ripetizione dell'Adagio
dalla Sonata n.1 di Bach e poi quella del
sorprendente Capriccio n. 5 di Paganini.
Applausi fragorosi in una Sala Verdi che
meritava di essere al completo.
30 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
I Cine-concerto di
Rossella Spinosa al Lirico Giorgio Gaber
Da alcuni anni è tornata in
uso una forma di spettacolo nata ai tempi del
cinema muto, nei primi decenni del '900.La visione di un film con
accompagnamento musicale fatto dal vivo con
musicisti presenti in sala, ritrova
un'interessante modalità di spettacolo. I
cine-concerto legati ai
film muti del passato
avevano già allora bisogno almeno di un pianista
che accompagnasse le scene, potenziando, con
incisive melodie, l'espressività degli attori o
dei mimi presenti sullo schermo. Da molti anni
la pianista-compositrice Rossella Spinosa si
dedica a questo. Ha scritto oltre cento brani
pianistici e orchestrali per altrettanti film
d'epoca. Ieri, nel tardo pomeriggio per il
Festival Musical Square, ideato dal
violoncellista Giuliano De Angelis, al Teatro "Lirico
Giorgio Gaber" sono stati proiettatti due film
degli anni '10 con protagonista Charlie Chaplin,
uno dei quali The Vagabond (Il Vagabondo),
un
cortometraggio interpretato, diretto e
prodotto da Charlie Chaplin e proiettato per la
prima volta il 10 luglio 1916, è tra i più noti
e i più interessanti. Le musiche originali, sono
state sostituite da quelle della Spinosa. Lei al
pianoforte insieme ad una compagine strumentale
dell'Orchestra di Bellagio e del Lago di Como
diretta da Alessandro Calcagnile hanno creato la
"Chapliniana "
, spettacolo
che sta facendo il giro di molti teatri italiani.
Insieme a The Vagabond, anche un altro film
muto,
Caught in a Cabaret, interpretato dal
grande attore e regista inglese, ma scritto a
quattro mani con l'attrice e regista Mabel
Normand, era inserito nel programma.
Quest'ultimo sempre con musiche composte dalla
Spinosa ed eseguite in Prima esecuzione italiana.
Entrambi i lavori hanno trovato una valida resa
nei lavori della compositrice, che ha saputo
leggere con intelligenza i divertenti, ma anche
drammatici filmati di Chaplin. Ottima poi la
resa musicale di tutta la compagine strumentale
diretta nel tempo reale filmico e con
professionalità da Calcagnile. Applausi convinti
dal pubblico in un teatro che meritava di
essere al completo.
28 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
La Gustav Mahler
Jugendorchester diretta da Daniele Gatti
alla Scala
La Gustav Mahler
Jugendorchester è approdata al Teatro alla
Scala. L'orchestra giovanile internazionale
fondata da Abbado nel 1986-87 a Vienna, ha
trovato in questi anni i migliori direttori sul
podio e l'elenco delle bacchette che si sono
succedute nei trentacinque anni e più d'attività
sarebbe lunghissimo. La GMJO, una compagine
formata
dalle
migliori promesse strumentali, ieri sera in un
Teatro alla Scala stracolmo di appassionati, ha
dedicato l'intera serata a Gustav Mahler.
Daniele Gatti che dal 2024 dirigerà la
prestigiosa Sächsishe Staatskapelle di Dresda,
ha scelto due lavori del grande
direttore-compositore viennese: il raro
Adagio dall'incompiuta Sinfonia n.10
e la celebre, forse la più eseguita, Sinfonia
n.1 in re maggiore "Titan". Rilevanti
entrambe l'esecuzioni. L'immersione totale nel
mondo mahleriano da parte di Gatti, direttore
noto soprattutto per la cultura musicale del
centro-nord Europa, ha trovato una restituzione
coloristica di altissimo livello in entrambi i
lavori.
Le
sue avvincenti escursioni dinamiche, dal quasi
impercettibile pianissimo al forte più intenso,
erano sempre sostenute da una chiarezza di
dettaglio evidente. Gli andamenti più meditati
dell'Adagio e del "Titan" hanno avuto uno
svolgimento particolarmente riflessivo in
contrasto con quelli concitati giocati su
timbriche smaglianti e di una bellezza
travolgente. Eccellenti tutti i giovani
orchestrali e tra loro ancor più brillanti gli
ottoni. Una serata memorabile con un pubblico
che al termine ha tributato infiniti applausi a
tutti i protagonisti. Ricordiamo il prossimo
appuntamento scaligero con le "orchestre ospiti"
che avrà la Wiener Philharmoniker diretta da
Riccardo Chailly in un programma interamente
dedicato a Richard Strauss.
26 maggio 2025 Cesare Guzzardella
Alexander Malofeev
ai Pomeriggi
Musicali
L'ultimo concerto della 78° Stagione de I
Pomeriggi Musicali ci propone anche il
virtuosismo dell'affermato russo Alexander
Malofeev, ventunenne pianista, vincitore nel
2014 a solo tredici anni, del prestigioso
Concorso Internazionale
Čajkovskij
dedicato ai giovani musicisti. Nell'anteprima di
questa
mattina, il celebre Concerto n.1 per
pianoforte e orchestra op.23 di P.I.
Čaikovskij
è stato preceduto dal raro ed interessante
Variazioni per orchestra da camera di
Luciano Berio, brano del 1953 dove il Maestro di
Oneglia fa uso di un'ottima tecnica dodecafonica
per esprimere sensazioni efficaci ed espressive,
valorizzando anche gli strumenti solistici.
Ottima interpretazione per l'orchestra diretta
dettagliatamente da James Feddeck. Valido anche
il secondo lavoro con l'orchestra da camera meno
numerosa per le più note Danses concertantes
di Igor Stravinskij, brano in stile neoclassico
del 1942
ben
interpretato.
L'arrivo
sul palcoscenico del biondissimo Malofeev ha
portato ad una straordinaria interpretazione del
concerto
di
Čaikovskij. Il pianista, sorretto molto bene da
Feddeck e dagli orchestrali, ha rivelato
incisività,
delicatezza, visione precisa del brano nei suoi
tre movimenti. La perfetta interiorizzazione di
ogni dettaglio, reso con naturalezza dal
pianista, ha portato ad un successo
straordinario da parte del numeroso pubblico
presente al Teatro Dal Verme. Valido il delicato
bis concesso da Malofeev: di Scriabin il
Preludio n.1 op.9 per la sola mano sinistra.
Questa sera la prima ufficiale alle ore 20.00 e
sabato alle ore 17.00 la replica. Da non perdere!!
25 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
Il pianista-compositore
Fazil
Say per la Societá dei Concerti
Da molti anni ascoltiamo il
pianista-compositore turco Fazil Say in
Conservatorio e non solo. Certamente
di Sala
Verdi, per l'organizzazione della Società dei
Concerti, è un fedele frequentatore. La scelta
degli impaginati prevede sempre classici e sue
composizioni. Ieri il corposo brano introduttivo
con l'ultima sonata di Franz Schubert, la
Sonata in si bem.maggiore D 960, ci ha
rivelato
qualità interpretative di alto livello,
personali e rappresentative di un mondo
schubertiano particolarmente interiorizzato nel
quale, con gestualità evidente ma utile, Say
crea contrasti pronunciati nelle dinamiche
differenziate e graduali. Il peso del suono è
elemento importante nelle modalità esecutive del
cinquantadueenne pianista di Ankara. Di valore
la sua interpretazione. Con il Ravel di
Miroirs, il clima musicale completamente
differente ci ha portato ad altre sonorità,
molto affini anche al Say compositore. Il gesto
leggero nel produrre i cinque brani che
compongono Miroirs rivela la sensibilità del
pianista col mondo
dei colori, impressioni ben
delineate del francese, restituite dalla
sensibilità di un turco musicalmente legato alla
cultura europea più ampia. Splendido anche il
celebre Alborado de gracioso, eseguito
assai velocemente come prescritto dalla
partitura. Il Say "À la carte", come
segnato in programma, ci ha proposto la sua
celebre composizione Black Earth, brano
tra oriente e occidente resa con pregnante
espressività nel suo personalissimo stile,
quindi il suo amato jazz rappresentato da
arrangiamenti originali dei celebri
Summertime di Gershwin e della diffussissima
Alla turca di Mozart-Say, con quei ritmi
stile reg-time divenuti celebri. Pubblico
entusiasta in piedi ad applaudirlo.
25 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
Un grande Lucas
Debargue ai concerti
di Serate Musicali
Dal 2017 il pianista Lucas
Debargue è ospite di Serate Musicali. Nel
2015 otteneva un premio (quarto posto) al prestigioso Concorso Internazionale
Čaikovskij
di Mosca e da allora si
è
imposto come uno dei più raffinati pianisti
della sua generazione. La sua vena creativa -è
anche un ottimo jazzista- lo pongono tra gli
interpreti con riconoscibile personalità. Gli
impaginati diversificati di questi anni hanno
trovato anche nello splendido concerto di ieri
sera in Conservatorio una varietà nella scelta
dei
compositori.
Mozart, Chopin e Alkan i musicisti proposti che
hanno ancora una volta evidenziato le qualità di
questo importante interprete. La mozartiana
Sonata in la minore K.310 introduttiva era
dominata da un'equilibrata restituzione sin dal
deciso Allegro maestoso iniziale
contrastante con l' Andante cantabile
centrale, reso con riflessività e pacata
introspezione. Il noto Presto finale, ha
risolto con espressività la Sonata resa con
accurata precisione dei dettagli dal francese.
La parte centrale del concerto, tutta dedicata a
Fryderyk Chopin, ha visto un'ottima
personalizzazione in Dabergue. Prima la
Ballata n.2 op.38, poi il Preludio in do
diesis minore op.45 e a conclusione
un'eccellente Polacca-Fantasia in la
bem.maggiire op.61. Quest'ultima, tra le
Polacche chopiniane è invece una fantasia vera e
propria ricca di momenti differenziati resi con
ricchezza di contrasti dall'interprete. Il brano
conclusivo dell'impaginato, il bellissimo
Concerto per pianoforte solo op.39 n.8 di
Charles Valentin Alkan (1813-1888) , grande
pianista-compositore francese e contemporaneo di
Franz Liszt,
trova
una modalità di scrittura similare
virtuosticamente a quella dell'ungherese. La
ricchezza d'inventiva di Alkan, mediata da una
melodicità dai colori chopiniani e da un
virtuosismo trascendentale alla Liszt o alla
Busoni, ci fa inmergere in un mondo sonoro
affascinante. Debargue ha dato un'intensa prova
virtuosistico-espressiva nel restituire mirabilmente
ogni tensione melodica e armonica del difficile
"Concerto", un brano che con la tastiera esalta
sonorità orchestrali, pesate molto bene
dall'interprete. Il pubblico, purtroppo non
numeroso, ha compreso la raffinata portata
interpretativa del francese elargendo fragorosi
applausi al termine del programma ufficiale.
Dabergue, visibilmente soddisfatto ha concesso
due eccellenti bis ancora di Chopin: prima una
trasparente Barceuse op.57 e poi una
fantasiosa Ballata n.4 in fa minore op.52
restituita mirabilmente da un pianista che
merita sale da concerto straboccanti di pubblico.
Splendida serata.
23 maggio 2023 Cesare Guzzardella
Bruno Canino e Carlo
Guaitoli a Piano
City
Successo strepitoso
all'iniziativa che dal 19 e sino a questa sera
ha coinvolto e coinvolgerà il territorio
milanese. Anche ieri c'erano code di
appassionati per assistere alle decine di
concerti pianistici previsti nella fortunata
rassegna di Piano City. Ieri ho assistito
ai concerti di due affermati interpreti: Bruno
Canino in un programma classico,
con
brani di Bach, di Beethoven e di Brahms e Carlo
Guaitoli in un omaggio a Franco Battiato.
Entrambi i concerti erano alla Triennale: il
primo, al mattino, nel Salone d'onore; il
secondo nel pomeriggio in Teatro. Canino, classe
1935, è un istituzione del mondo pianistico
italiano. In
carriera
da oltre sessant'anni, ha scelto un impaginato
comprendente la Suite francese n.4 in mi
bemolle maggiore BWV 815 di J. S Bach
eseguita con mirabile chiarezza discorsiva , le
6 Bagatelle op. 126 di L.v.Beethoven di
ancor più resa espressiva e le Fantasie op.
116 di Brahms rese ottimamente, da un
pianista ancora pieno di smalto e
applauditissimo dal numerosissimo pubblico.
Carlo Guaitoli, ottimo pianista classico ma
anche musicista particolarmente noto per la
collaborazione col musicista-cantautore
siciliano, per quasi trent'anni ha collaborato
col Maestro nell'orchestrazione dei concerti e
dirigendo
al pianoforte i suoi celebri brani. L'ottima
riduzione pianistica di molti dei brani che
Battiato ha ideato e inciso in molti album sin
dai primi anni '70, ci ha permesso di ascoltare
un'ampia carellata di suoi importanti successi,
anticipata dalle parole dallo stesso Guaitoli
che ne ha ricordato l'originalità.
Ottime
tutte le interpretazione ed anche i due bis: il
brano forse più profondo e poetico, La cura,
e quello più popolare, Centro di gravità
permanente. Applausi fragorosi nel teatro
della Triennale stracolmo di appassionati del
grande Biattiato.
21 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
CON GIULIA RIMONDA ED
EMMANUEL TJEKNAVORIAN A VERCELLI SPLENDIDA
CONCLUSIONE DEL XXV VIOTTI FESTIVAL
Ieri sera,
sabato 20 maggio, il Teatro Civico di Vercelli
ha ospitato l’ultimo concerto della stagione
2022-23 del Viotti Festival, la n. XXV.
Protagonisti di questa particolare serata, la
ventenne violinista Giulia Rimonda, prima
violinista dell’orchestra Camerata Ducale e
ormai ben più che una promessa tra i violinisti
della sua generazione, ammirata in numerosi
recital con orchestre e formazioni cameristiche,
ed Emmanuel Tjeknavorian, il violinista
austriaco di origini armene, impostosi
all’attenzione internazionale dal 2015, col
premio per la migliore interpretazione al
Festival Sibelius, che ormai affianca
all’attività solistica quella, sempre più
frequente, di direttore d’orchestra, ruolo
ricoperto, alla guida della Camerata Ducale,
anche nella serata vercellese di ieri. Il
programma proponeva il Concerto per violino e
orchestra n.3 op.61 di Camille Saint-Saens
(1880) e la ‘Quinta ‘ di Beethoven. Il concerto
per violino n.3 di Saint Saens, uno dei più
belli del tardo ‘800, è un banco di prova per
qualsiasi violinista: basti considerare che fu
scritto
per
un ‘divo’ del violinismo dell’epoca, Pablo de
Sarasate, e consacrato in repertorio da un altro
grandissimo virtuoso dello strumento, Eugène
Ysaye. Si tratta di un concerto che alterna
momenti di acceso e talora persino frenetico
virtuosismo a momenti di serena e distesa
cantabilità, il tutto vagamente spruzzato di
quello spirito ‘spagnoleggiante’ che si stava
facendo strada nella cultura musicale dell’epoca,
a cominciare da quella francese (si pensi solo
alla Carmen di Bizet, di non molti anni
precedente questo concerto) e che spiega tra
l’altro la dedica al ‘Paganini spagnolo’ De
Sarasate. Dunque il solista è chiamato, oltre
che a dar prova di un elevato livello di
virtuosismo ( doppie corde, passaggi di
vorticosa rapidità, armonici artificiali
etc.etc.), anche, e soprattutto, a trovare la
giusta chiave espressiva per la varietà e
ricchezza che caratterizzano il materiale
musicale di questo concerto. La bravura
interpretativa di Giulia Rimonda fa mostra di sé
sin dall’aperura dell’ Allegro non troppo
iniziale, esponendo, col piglio e l’energia di
suono che le conosciamo, e che sono uno dei
tratti peculiari del suo stile, lo spigoloso
tema d’inizio, che s’incide sulla cupa atmosfera
evocata dall’orchestra. L’elaborazione del tema,
che comincia a chiamare perentoriamente in causa
un virtuosismo, che la giovane violinista
padroneggia con assoluta imperturbabilità, nei
suoi passaggi sempre più veloci e armonicamente
complessi, sfocia poi nel cantabile del secondo
tema, nella cui arcata melodica rifulgono tutta
la luminosa chiarezza e la calda dolcezza, che
sono un’altra caratteristica ormai saldamente
acquisita del suono che Giulia Rimonda ottiene
col suo Domenico Montagnana 1720.. Questo
succedersi di varie situazioni espressive è poi
reso con una fluidità e pulizia di fraseggio,
che sono del violinista ormai maturo, accurato
nel rilevare il dettaglio timbrico e soprattutto
il chiaroscuro che il variare delle dinamiche
avvolge intorno al fluire dei suoni. Se nella
chiusura dell’Allegro non troppo, il virtuosismo
della solista si fa ammirare nella vorticosa
sequenza di semicrome della coda, il successivo
Andantino quasi allegretto, con il suo tema
principale calmo e delicato e il suo secondo
tema, dinamicamente più intenso e quasi
cantilenante, porta in primo piano la ricchezza
espressivo-melodica della cavata di questa
violinista, varia nelle sfumature e coinvolgente,
suggellata dagli eterei arpeggi di armonici
nella chiusura del movimento: un Andantino
davvero suonato in tutta la sua bellezza, con
tratti di rarefatta soavità che lo rendono
indimenticabile. Il finale Molto moderato e
maestoso-Allegro non troppo presenta un po’ la
sintesi di tutte le caratteristiche
dell’affascinante stile esecutivo di Giulia
Rimonda, sicché non ci ripeteremo: vogliamo solo
qui ricordare quello che, a nostro personale
parere (delle nostre orecchie, del nostro
cervello e del nostro cuore) è il momento
interpretativo più alto del terzo tempo suonato
dalla violinista vercellese di adozione:
l’atmosfera sognante ed estatica, evocata
nell’esporre la sezione approssimativamente
centrale del movimento, quel meraviglioso
cantabile, introdotto dagli archi coi sordini e
il cui dolcissimo spetta poi al solista creare
sulle sue quattro corde, come Giulia Rimonda ha
fatto alla perfezione, col suo inconfondibile
suono. Un bellissimo concerto, che, diremmo,
consacra, se mai ce ne fosse bisogno, il pieno
sbocciare di un nuovo fiore nella serra dei
migliori violinisti italiani dell’ultima
generazione. Non possiamo però, naturalmente,
passare sotto silenzio l’ottima prestazione
della Camerata Ducale sotto la guida di
Tjeknavorian. Una direzione, la sua, che ha
accompagnato la solista con precisione nei tempi
e nella cura dei dettagli timbrici e dinamici,
che ottiene eccellenti risultati nel
raffinatissimo impasto timbrico di archi appena
mormoranti e di delicati incisi dei legni che
accompagna il violino nell’esposizione del tema
principale dell’Andantino, e nella ripresa,
verso il finale del terzo tempo, del cantabile,
in cui Tjeknavorian è riuscito nella non facile
impresa di dare piena voce alla singolarissima
tavolozza di ottoni in fortissimo da corale e di
tremolo di violini e viole composta da quel
degno erede di Berlioz che fu Saint Saens. I
travolgenti applausi della platea e dei palchi
ottenevano un bis, un pezzo bachiano suonato con
una cristallina pulizia di suono che non teme
confronti. Molto ben riuscita anche l’esecuzione
della Sinfonia n.5 in do minore op.67 di
Beethoven. L’interpretazione di Tjeknavorian
procede lungo due linee di ‘lettura’, che tiene
saldamente unite dall’inizio alla fine: la
prima, inevitabile, quanto scontata, improntata
all’ energia fremente, che percorre la partitura
dal motto di quattro note iniziale al trionfale
epilogo tra i festanti clangori degli ottoni che
chiudono questa monumento della musica, che
Tjeknavorian realizza anche con una scelta di
tempi veloci, particolarmente nell’Allegro
iniziale; la seconda, meno scontata, è una linea
che tende all’essenzialità della forma, resa
asciutta e poco propensa all’enfasi e a certa
retorica che contraddistingue anche illustri
interpretazioni della ‘Quinta’. I temi sono
esposti in modo netto, conciso, il rigore
strutturale della sinfonia guida il succedersi
dei violenti contrasti, dei vari passaggi
ritmici, del titanico antagonismo che muove il
mondo sonoro della sinfonia, in modo tale che
l’ascoltatore ne avverte ogni dettaglio come
parte di una catena sonora regolata da una
ferrea necessità, da una logica inesorabile e
imprescindibile. In questa chiave interpretativa
va inteso il momento contrappuntisticamente più
‘strutturato’ della ‘Quinta’, il fugato centrale
dell’Allegro (terzo tempo), che qualche studioso
tende a considerare (chissà perché?) come
espressione di una componente scherzosa ed
ironica di Beethoven, ma che a nostro modesto
avviso offre la ‘chiave di lettura’ della
sinfonia: la musica, in quanto costruzione di
mondi formali rigorosamente concepiti, e in
particolare del contrappunto, è il prodotto più
alto di quella Ragione destinata a trionfare
nella Storia: La Quinta non è il generico
trionfo dell’eroe contro le avversità del
destino, ma, appunto, della ragione umana sul
caos e l’irrazionalità della Storia. Se certe
soluzioni musicali di Beethoven faranno poi
scuola presso la generazione romantica, non
dimentichiamo che Beethoven è figlio
dell’Illuminismo e lettore attento di Kant,
detestato dai romantici. Tutto questo per dire
che l’interpretazione di Tjeknavorian centra, a
nostro parere il senso profondo di questa
sinfonia. Concludiamo questa riflessione
sull’interpretazione di Tjeknavorian
sottolineandone un altro tratto: l’eleganza del
suono, la raffinata delicatezza di certi momenti,
che si aprono nel flusso ribollente della
sinfonia. Pensiamo, su tutti, sempre nel terzo
tempo Allegro, alla finezza con cui la bacchetta
del Maestro austro-armeno ‘gioca’, è il caso di
dire, con i due elementi tematici della sezione
principale del movimento: il cupo arpeggio dei
bassi, poi addolcito dai violini e dai
clarinetti, e lo squillo dei corni, ennesima
variante del motto iniziale della sinfonia.
Questi elementi cominciano un fitto alternarsi,
passando da una zona all’altra dell’orchestra,
in cui Tjeknavorian, rivela tutta la sua bravura
nello stacco dei tempi, nella cura del dettaglio
timbrico, nell’eleganza del ritmo. E aggiungiamo,
a ulteriore merito di Tjeknavorian, che
raramente abbiamo sentito suonare così bene la
sezione dei fiati della Camerata Ducale. Una
bella esecuzione di uno dei capolavori della
cultura umana ( non della musica soltanto) che
chiude nel modo più degno, salutata da
torrenziali applausi, una splendida stagione
musicale della Camerata ducale.
21-05-23 Bruno Busca
Una giornata
di eccellente musica
al Teatro alla Scala
Ieri al Teatro alla Scala
abbiamo avuto un pomeriggio di musica con l'Ensemble
"Giorgio Bernasconi" diretta da Renato
Rivolta e una serata di straordinario successo
con la monumentale Sinfonia dei Mille di
Gustav Mahler diretta da Riccardo Chailly. Il
concerto pomeridiano, con i giovani orchestrali
dell'Accademia della Scala,
svoltosi
nel Ridotto dei palchi "Arturo Toscanini",
in una sala affollata, ha proposto tre brani per
"I Concerti dell'Accademia": di Alexander
Zemlinsky, di Giuseppe D'Amico e di Igor
Stravinskij. Il Kammerkonzert del
compositore austriaco, una trascrizione per
orchestra da camera di Richard Dunser del
Trio op.3, è un brano tonale particolarmente
valido, in tre movimenti, che risente anche
della musica di Richard Strauss e di Richard
Wagner e che rivela un compositore importante
che meriterebbe maggiori frequentazioni.
Ottima
la resa interpretativa dell'ensemble.
Novità del concerto pomeridiano è stato il brano
di Giuseppe D'Amico, compositore sardo, di
Sassari, con alle spalle una corposa produzione
pianistica, cameristica e sinfonica che andrebbe
certamente fatta conoscere. Il suo Concerto
da Camera n.4 "Fantasia" è stato esguito in
"Prima esecuzione assoluta" alla presenza del
compositore, e ha trovato un particolare
apprezzamento dal numeroso pubblico intervenuto.
È un lavoro tonale di ampio respiro e
dicisamente ascoltabile- cosa non scontata nella
musica contemporanea- che risente influssi della
migliore musica novecentesca, con riferimenti
anche alla musica antica e al folclore
mediterraneo. La felice scrittura, ricca di
modalità melodiche e timbriche e di cambiamenti
ritmici, con frangenti che ricodano il folclore
bartòkiano e anche certo Stravinskij, avvince
anche per il costante aumento di tensione
musicale, ricco di espressività. Ottima la
direzione di Rivolta e la resa del validi
orchestrali. Applausi calorosi al termine anche
al compositore visibilmente soddisfatto. Il
brano finale, certamente il più noto, era
Dumbarton Oaks concerto per orchestra da
camera, di Igor Stravinskij, reso con cura di
dettglio dai bravissimi giovani
dell'Accademia.
Applausi meritatissimi a tutti. Il concerto
serale, la prima replica, in un teatro
affollatissimo, ha visto l'Orchestra e il Coro
del Teatro alla Scala e il Coro del Teatro La
Fenice impegnati nella monumentale Sinfonia
n.8 in mi bem.maggiore " Sinfonia dei Mille"
di Gustav Mahler. L'eccellente direzione di
Riccardo Chailly, unitamente alla direzione
corale di Bruno Casoni, per il Coro di Voci
Bianche e di Alberto Malazzi per il Coro
scaligero -
col contributo di Alfonso Caiani per
la preparazione del Coro veneziano-, ha portato
ad una restituzione timbrica di altissimo
livello in tutte le sezioni orchestrali. Ottime
tutte le voci soliste intervenute nei nome di
Ricarda Merbeth, Polina Pastirchak, Regula
Mühlemann, Wiebke Lehmkuhl, Okka Von Der Damerau,
Klaus Florian Vogt, Michael Volle e Ain Ager.
Applausi fragorosi e prolungati con numerose
uscite di tutti i protagonisti. Questa sera alle
ore 20.00 seconda replica. Da non perdere!
20 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
L'Orchestra
Sinfonica di Milano
per il Festival Milano Musica interpreta
Maderna e Strauss
L'Orchestra Sinfonica di
Milano in collaborazione con Milano Musica,
per l'occasione diretta da Tito Ceccherini, ha
impaginato un programma dedicato a Bruno Maderna
e a Richard Strauss. Il concerto sinfonico
inserito nella programmazione del Festival
Milano Musica, ha trovato interpreti di
valore in Ausstrahlung, per voce femminile,
flauto
e oboe obbligati, nastro magnetico e grande
orchestra. È un lavoro del 1971 del grande
compositore veneziano (1920-1973), uno dei
massimi esponenti delle avanguardie musicali del
secondo Novecento. La nuova edizione della
partitura, in prima esecuzione, dopo molti anni
dalle rare interpretazioni, ha trovato la voce
sia recitante che da mezzosoprano di Monica
Bacelli, i flauti di Nicolò Manachino e gli oboi
di Luca Stocco. Il complesso lavoro ispirato
dalla complessa storia spirituale e letteraria
del mondo persiano, ebbe la
prima
esecuzione diretta dallo stesso Maderna a
Persepoli, nel 1971, con la voce di Cathy
Berberian. La sovrapposizioni di parti
registrate elettroniche con voci, la presenza di
una componente aleatoria e di altre con precisa
notazione scritta, danno al grandioso lavoro di
Maderna un senso di evidente libertà. Accurata
la direzione di Ceccherini, tra i massimi
esperti di musica del '900 e contemporanea. Dopo
l'intervallo il noto Also sprach Zarathustra
op.30 (1896) di Richard Strauss ha riempito
di scintillanti sonorità l'Auditorium milanese.
Valida l'interpretazione e fragorosi gli
applausi al termine della serata. Questa sera
alle ore 20.00 la replica.
19 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
Gianna Fratta dirige
Sergei Krilov ai
Pomeriggi del Dal Verme
La direttrice d'orchestra
Gianna Fratta era questa mattina di fronte a "I
Pomeriggi Musicali", per l'anteprima del corposo
concerto sinfonico che prevedeva musiche di
Rossini, Paganini, Melis e Mendelssohn.
Un'ottima introduzione, con la Sinfonia
dall'Italiana in Algeri di Gioachino
Rossini (1792-1868), anticipava l'ingresso in
palcoscenico del violinista Sergei Krilov,
solista nel raro Concerto per violino e
orchestra n.4 in Re minore di Niccoló
Paganini (1782-1840). La melodicità, tutta
italiana, di
questo
trascurato concerto ha trovato un virtuoso
celebre e di talento in Krilov, ben coadiuvato
dalla direzione della lombarda - di Erba- Fratta
e dalla resa dell'orchestra. Krilov eccelle in
ogni componente virtuosistica, con intonazioni
perfette anche nei più alti sopracuti.
Un'esecuzione di alto livello la sua, che
certamente troverà ancora grande successo nella
prima ufficiale di questa sera e nella replica
di sabato prossimo alle ore 17.00. Il brano
successivo era una prima esecuzione del
compositore cagliaritano Andrea Melis (1962).
Delle
sue
Metamorfosi concertanti in tre parti,
sono state eseguite "Lo Scrigno" e "...adsiduo
pulsu..". Un lavoro tonale ottimamente
scritto che soprattutto nel ben fatto e profondo
Scrigno, eseguito prima del ritmico,
pulsante e comunque valido ..adsiduo pulsu..,
merita un riascolto per apprezzarne ancor
più l'efficace scrittura ottimamente diretta
dall'ottima Fratta. A conclusione della
mattinata, di pregio l'interpretazione della
celebre Sinfonia italiana di F.
Mendelssohn ( 1809-47), brano dedicato
all'Italia per la scorrevolezza e la pregnanza
melodica tutta mediterranea. Applausi sostenuti
dal numerosissimo pubblico intervenuto. Alle ore
20.00, al Dal Verme, la Prima ufficiale. Da non
perdere!
18-05 23 Cesare Guzzardella
Grigory Sokolov
al Conservatorio
milanese per Purcell e Mozart
L'atteso ritorno del pianista
russo Grigory Sokolov nello splendido concerto
organizzato in Sala Verdi dalla "Società dei
Concerti" ci ha permesso l'ascolto di un
impaginato che prevedeva brani di Henry Purcell
(1659,1695) e di W.A. Mozart (1756-1791). Il
pianista di San Pietroburgo è un Maestro del
repertorio dai colori "antichi". Le sue
esecuzioni di Couperin, Rameau, Byrd, ecc., ai
quali si aggiunge
adesso
anche l'eccellente Purcell, ci rivelano una
passione privilegiata per il '600 e il '700. I
brani scelti del compositore inglese, eseguiti
come appartenessero ad un'unica ampia Suite-
ben nove lavori- hanno ancora una volta esaltato
le qualità dell'interprete giocate su una
chiarezza timbrica unica, rivelata da dinamiche
sapientemente dosate da una tecnica personale
perfetta. La Suite n.2 in sol minore, la
n.4 in la minore e la n.7 in re minore,
sono state precedute o intervallate da brani più
brevi come Ground i Gamut, A New Irish
Tune, A New Scotch Tune, Trumpet
Tune, Round O, per concludere con la
Chacone in sol minore. Tutti lavori di
raro ascolto, con un paio di eccezioni. Dopo
l'intervallo l'ottimo Mozart era quello della
Sonata n.13 in si bem. maggiore K.333 e
dell'Adagio in si minore K.540. Brani
arcinoti, eseguiti da ogni sorta di pianista,
che nelle mani di Sokolov hanno trovato la sua
eccellente personalizzazione. Note ben scandite,
registri
ben delineati e un'interessante rarefazione
degli andamenti più pacati, come l'Andante
cantabile della Sonata o l'Adagio
stesso- ma anche l'Allegretto grazioso
aveva andatura più riflessiva- all'interno di un
equilibrio formale delineato perfettamente,
hanno dato valore al "suo" Mozart. Applausi
fragorosi e, ancora una volta, "concerto nel
concerto" con i classici sei bis che da alcuni
anni concede. Prima il ritmico e nitido Rameau
di Les sauvages , poi Chopin con uno
scultoreo e levigato Preludio n.15 "La goccia",
quindi un deciso Preludio op.23 n.2 di
Rachmaninov, poi la Mazurca in fa minore
op.63 n.2 di Chopin, ancora un breve Rameau
e a conclusione un chiarissimo Preludio in si
minore di Bach-Siloti con la parte melodica
della mano sinistra rivelata magnificamente.
Pubblico entusiasta in piedi per i consueti
fragorosi e interminabili applausi.
18 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
L’OBOISTA NICOLA
PATRUSSI COI GIOVANI DELLA SUA MASTERCLASS E LA
PIANISTA LUDOVICA DE BERNARDO AL FESTIVAL FIATI
DI NOVARA
Questa sera, mercoledì 17
maggio, il nuovo appuntamento col novarese
Festival Fiati 2023, all’ Auditorium del
Conservatorio G. Cantelli, vedeva protagonista
l’oboe, affidato a Nicola Patrussi, che vanta
una significativa esperienza concertistica in
varie orchestre, da ultima l’Orchestra Nazionale
della Rai, di cui è attualmente primo oboe. Nel
suo recital era accompagnato al pianoforte dalla
giovane pianista napoletana Ludovica De
Bernardo, che alle spalle ha una già
significativa esperienza di concerti con
orchestra e formazioni da camera e una nutrita
serie di concorsi, coronata da più che
apprezzabili successi, nonché un’attività
didattica che attualmente la vede docente del
suo strumento al Cantelli.
Il programma della serata è stato piuttosto
bizzarro: infatti nessuno dei brani proposti è
stato scritto originariamente per oboe. La
serata è stata introdotta dalla trascrizione per
oboe della parte vocale di tre lieder, n.1 Gute
Nacht, il n.2 Die Wetterfahne (la banderuola),
il n.7 Auf der Flusse (Sulla riva del fiume) da
Winterreise di F. Schubert. Ovviamente,
trattandosi di lieder, l’oboe era accompagnato
dal pianoforte. Petrussi trasporta nell’oboe
tutto l’incanto melodico e la struggente
malinconia che caratterizza questo capolavoro
assoluto della musica romantica: la sua cura
squisita delle dinamiche e dei timbri, che
permette un suono morbido e avvolgente, dal
colore sempre vario e sapientemente
chiaroscurato, aderisce pienamente
all’ispirazione originaria dei pezzi, anche con
un tocco di virtuosismo, richiesto dal rapido
ritmo e dai vorticosi passaggi di note e cambi
di altezze di Die Wetterfahne, che imita i
movimenti di una banderuola battuta dal vento,
tragica allegoria della fuga del tempo e della
corsa verso il nulla. Dal canto suo, il
pianoforte della De Bernardo dialoga
sapientemente con l‘oboe, sostenendone le arcate
melodiche con una ricerca timbrico-espressiva
molto efficace, capace di svariare dal colore
grave di Gute Nacht alla dolce e luminosa
chiarezza di Auf der Flusse. Anche il pezzo
successivo era una trascrizione: l’Adagio e
Allegro op.70 per corno e pianoforte di R.
Schumann, con l’oboe al posto del corno ( ma
quest’opera di Schumann è frequentemente
eseguita anche per violino o per violoncello ).
L’oboe, colla sua ‘mezza tinta’ dall’indefinito
colore brunito, dà sicuramente una voce diversa
al brano, rispetto all’originale, quasi ‘brahmsiana’.
Dell’interpretazione di Patrussi e De Bernardo
colpisce in particolare l’Adagio introduttivo,
una lunga arcata melodica, simile a quella
dell’Adagio della Seconda sinfonia schumanniana,
in un clima musicale che lascia presentire
l’imminente Tristano. La morbida tessitura e
l’incantevole dolcezza di suono dell’oboe di
Patrussi, sostenuto dal quasi sussurrato
fraseggio del pianoforte, crea un mondo sonoro
di sereno incanto, cui subentra un Allegro che
l’oboe e il pianoforte, in un dialogo
armonicamente piuttosto denso, rendono in tutto
il suo carattere appassionato, per il quale,
tuttavia, il suono del corno sarebbe stato forse
più consono. La seconda parte del concerto vede
uscire di scena l’ottima De Bernardo e
subentrarle l’ensemble della masterclass tenuta
in questi giorni al Cantelli dal Maestro
Patrussi: i giovani oboisti Francesca Alleva,
Lorenzo Bobbio, Sara Codari, Giorgia Fumagalli,
Caterina Nonne cui si è aggiunto il docente di
oboe al Cantelli, nonché compositore, Andrea
Chenna. Al nutrito gruppo di oboisti
si
sono aggiunti il fagotto di Giuseppe Gregori e
il contrabbasso di Claudio
Mazzeo. La parte del programma riservata a
questo ensemble era una serie di celebri arie
mozartiane, nella trascrizione del Maestro
Chenna: ‘Mi tradì quell’alma ingrata’ ( dal Don
Giovanni)’, Non so più cosa son’ e ‘Voi che
sapete’ ( dalle Nozze di Figaro’) e Der
Vogelfanger biin ich ja e Der Holle Rache (la
celebre aria di Papageno la prima, la seconda,
altrettanto famosa aria della Regina della notte
la seconda, naturalmente entrambe dallo
Zauberflote). Senza scendere in particolari,
diremo che è stata una proposta musicale molto
piacevole, grazie all’ottima preparazione
dell’Ensemble, molto ben coordinato da Patrussi,
che dominava al centro del gruppo col suo oboe:
lo spettatore è stato letteralmente trascinato
in un flusso di musica, alla cui impagabile
grazia, interpretata con bravura dai musicisti,
non ci si poteva non abbandonare. Gli applausi
prolungati del pubblico hanno ottenuto in premio
un bis, un pezzo di Lully. Concerto singolare,
dunque, ma molto bel eseguito e appagante anche
per il più esigente degli ascoltatori.
18 maggio 2023 Bruno Busca
ll pianista Martín García
García alle Serate Musicali del Conservatorio
Il primo
concerto italiano del pianista spagnolo
ventisettenne Martín García García, di Gijon, è
avvenuto ieri sera in Conservatorio, organizzato
da Serate Musicali. Dopo aver vinto nel
2021 il primo premio al Concorso di Cleveland,
ha ottenuto un prestigioso terzo premio al
Concorso Chopin di Varsavia Le carte erano
quindi in
regola per aspettative d'importante
ascolto. L'impaginato, decisamente impegnativo,
prevedeva una prima parte dedicata a Liszt e una
seconda interamente schumanniana. Lo
Sposalizio da Années de Pélerinage
anticipava la celebre Sonata in si minore
dell'ungherese. L'impressione avuta, nella prima
parte della serata, era buona ma non
sbalorditiva. La sonata lisztiana, punto
d'arrivo di ogni virtuoso, ha trovato certamente
elementi d'interesse nel virtuosismo di Garcia
Garcia, ma l'unità d'equilibrio necessario per
ricreare quella sensualità, tipica di Liszt, che
attraverso il leitmotiv ritorna
continuamente nella coinvolgente sonata ci è
apparso non adeguato. Un netto cambio
d'impressione, in positivo, è stato l'approccio
del pianista con le armonie di Schumann. Nelle
3 Fantasiestücke op.111 e ancor più negli
Studi Sinfonici op 13, García García ha
rivelato un'originalità interpretativa di alto
livello, esaltando con incisività, espressione e
sintesi discorsiva le geniali armonie del
tedesco. La completa interiorizzazione di ogni
elemento costruttivo ha restituito un insieme di
parti con coerente resa musicale e un' energia
risolutiva profonda. L'ottima interpretazione
fornita, e l'evidente soddisfazione del pianista
e del pubblico presente in Sala Verdi, -purtroppo
non numeroso- , ha portato a tre bis: due ottimi
Chopin con la Polacca op.44 interpretata
con valida personalizzazione e ottima resa nelle
rispettive componenti e un'espressiva Mazurca
op.33 n.1 Di alto livello il bellissimo
Rachmaninov conclusivo da Etudes Tableaux Op.39, il n.5. Un pianista da seguire
con attenzione.
( Foto in alto di Alberto
Panzani Uff. Stampa Serate Musicali)
16 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
La Risonanza & Fabio Bonizzoni al Museo Nazionale della Scienza e
Tecnologia Leonardo da Vinci
Nella splendida cornice della
Sala del Cenacolo del Museo della Scienza
e Tecnologia Leonardo da Vinci la formazione
cameristica "La Risonanza" diretta da Fabio
Bonizzoni, anche al
clavicembalo, ha eseguito
domenica nel tardo pomeriggio, un programma
barocco con brani di Telemann, Sammartini,
Corelli e Geminiani. La compagine di strumenti
ad arco originali, tra le più rinomate
internazionalmente, ha elargito sonorità dai
colori antichi esaltati da una prassi esecutiva
che ha restituito limpidezza, equilibrio e
incisiva resa espressiva. Partendo dalla corposa
Suite "Les Nations" di Georges Philipp
Telemann (1681- 1767) e passando dal Concerto
grosso op.5 n.6 di
Giuseppe Sammartini
(1695-1750), La Risonanza ha concluso il tardo
pomeriggio con il Concerto Grosso op.6 n.12
di Arcangelo Corelli ( 1653-1713) prima e
poi con la celebre La Follia nella
versione orchestrata da Francesco Geminiani
(1687-1762 ), suo discepolo. Tra i validissimi
interpreti della compagine citiamo almeno il
primo violino Carlo Lazzaroni, solista di
pregnante espressività in molti brani. Applausi
sostenuti nella sala al completo.
15- 05- 2023 C.G.
Incontro con Michele
Gamba per una
lezione sulle Variazioni Diabelli di
Beethoven
Di
grande interesse la lezione musicale sostenuta
questa mattina dal pianista e direttore
d'orchestra Michele Gamba al Teatro Menotti di
Milano sulle celebri Variazioni Diabelli
di Ludwig van Beethoven. "Nel 1819 Anton
Diabelli, compositore ed
editore
musicale, scrive un valzer di poche battute che
invia a decine di compositori chiedendo a
ciascuno di scrivere alcune variazioni destinate
a confluire in un opera collettiva. Cinquantun
musicisti si presentano all'appello. Uno di loro,
Beethoven, ne realizza trentatrè. Verranno
pubblicate nel 1823 come op.120". Gamba, con
evidente competenza musicale è penetrato
all'interno del monumentale capolavoro
beethoveniano per evidenziarne le specificità
tecnico-costruttive. Partendo
dal
semplice Valzer introduttuvo di Diabelli
ed eseguento numerosi frammenti delle variazioni
in successione, ha ripercorso parte della storia
della musica da Bach a Wagner, da Brahms a
Schönberg, mettendo in risalto le intuizioni
geniali del grande genio tedesco, anticipatore
del romanticismo e della dodecafonia.
Soffermandosi su una quantità di aspetti
estetici, tecnico-costruttivi delle variazioni,
ha definito con chiarezza i momenti più
rilevanti del capolavoro. Un lezione apprezzata
dal numerosissimo pubblico intervenuto
nell'elegante Spazio Atelier del teatro.
14 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
AI CONCERTI DEL
SABATO DEL
CONSERVATORIO CANTELLI DI NOVARA LA CHITARRA DI
A. CIUSANI E IL TRIO LIU BALLARINI VEGGIOTTI
Oggi pomeriggio, sabato 13
maggio i Concerti del Sabato, cioè la stagione
concertistica del Conservatorio di Novara, hanno
proposto un programma piuttosto ricco,
nettamente diviso in due parti. Una prima parte,
riservata alla chitarra del ventenne chitarrista
milanese Alessandro Ciusani e una seconda parte
in cui protagonista è stato il Trio Liu
(pianoforte) Ballarini (violino) e Veggiotti
(violoncello), tre giovani talentuosi, formatisi
al Conservatorio Cantelli di Novara. Il
programma eseguito da Ciusani proponeva una
trascrizione per chitarra dalla suite bachiana
BWV 996 (Prelude et Presto, Allemande, Gigue),
gli Studi op.5 e op.6 di Hector Villa Lobos,
l’Introduzione e capriccio di Giulio Regondi,
sorta di Paganini della chitarra e enfant
prodige vissuto tra 1822 e 1872 e di Nuccio
D’Angelo, chitarrista e compositore
contemporaneo (1955), le Due canzoni lidie.
Ciusani possiede un tocco ad un tempo morbido ed
energico, che sa cavare dalle sei corde dello
strumento un suono limpido, con grande cura del
dettaglio timbrico. Il contrasto tra l’ostinato
ai bassi e gli incisi tematici esposti dai
cantini nello studio n.5
di
Villa Lobos è stato esemplare al riguardo. A
questa qualità Ciusani unisce una buona dose di
virtuosismo, che lo studio n.6 di Villa Lobos,
coi suoi rapidi passaggi di altezza e la densità
ritmica del pezzo, ha messo alla prova,
ampiamente superata. Il pezzo di Regondi ha
permesso a Ciusani di dare pieno sfogo ad
un’altra delle sue qualità interpretative, la
tensione espressiva che impronta l’Introduzione
dell’op.23, all’insegna del più puro
sentimentalismo romantico, seguita da un
Capriccio di chiara ispirazione paganiniana,
ricco di difficoltà e passaggi impervi e di
agogica ardua, che il giovane chitarrista
milanese ha superato con spavalda sicurezza e
controllo tecnico dello strumento.
Un’espressività, questa del suono di Ciusani,
che tocca il suo apice in quello che per noi è
stato il pezzo più interessante e affascinante
in assoluto di questa prima parte del concerto,
le Due canzoni lidie ( cioè in modo lidio, vale
a dire, nella musica moderna, con il quarto
grado della scala maggiore innalzato di un
semitono) di D’Angelo, del cui catalogo sono
anche, in assoluto, il pezzo più noto. ‘Magica’
l’atmosfera evocata da Ciusani col primo tema
della prima canzone, in cui la scrittura modale
e il ritmo lento e cullante, col contrasto
velato da una sorta di sordina tra cantini e
bassi, sprigionava un mondo sonoro rarefatto e
di calmo sprofondamento onirico, di rara
suggestione. Con la seconda parte del concerto
entra in scena il Trio dei tre giovani musicisti
formatisi a Novara che esordiscono con una
composizione di un Rachmaninov ancora
diciannovenne: mai pubblicata, venne riscoperta
nel 1947.Si tratta del Trio élegiaque n.1 in sol
minore, in un unico movimento Lento lugubre,
dall’impianto di una forma sonata. La
composizione vede il ruolo protagonistico del
pianoforte, con una parte di acceso virtuosismo,
che dà vita a un largo ventaglio di timbriche e
sonorità diverse: ottima l’interpretazione di
Jihua Liu, dalla tecnica raffinata e dal suono
duttile e sfumato, ma un vivo apprezzamento va
anche a Ballarini e Veggiotti, che hanno dato il
loro contributo decisivo all’ottima riuscita del
pezzo con la cura del dettaglio timbrico e delle
continue variazioni agogiche. Il secondo e
ultimo pezzo in programma era il Trio n.1 op.8
in do minore di D. Shostakovic, anch’esso in un
solo movimento, ma con sezioni agogiche
chiaramente alternate. Questo gioiello, forse
meno eseguito nelle sale da concerto di quanto
dovrebbe, ha permesso a tutti i tre membri del
trio di valorizzare le loro notevoli risorse
interpretative, emergendo dall’intreccio
dialogico tra gli strumenti, sempre condotto con
sicurezza e precisione nei tempi di entrata. Di
notevole intensità espressiva e buona qualità di
fraseggio il violoncello di Isabella Veggiotti ,
che compare subito in scena collo struggente
tema discendente che apre la composizione, apre
anche la terza sezione in Allegro con un nuovo
tema carico di pathos romantico e infine attinge
il cuore della composizione con un tema, esposto
con malinconica dolcezza, che evoca una ninna
nanna. Il violino di Cristina Ballarini assurge
al ruolo di assoluto protagonista in apertura
della sezione Più mosso, ove è chiamato ad un
arduo moto perpetuo, velocissimo, eseguito dalla
giovane violinista novarese con perfetto
controllo dello strumento e notevole agilità
nella diteggiatura. Il pianoforte di Jihua Liu
ha un ruolo decisivo nel continuo, fittissimo
dialogo con gli altri due strumenti, creando un
continuo e vario gioco di impasti timbrici, ma
ha anch’esso la sua parte di primo piano, quando
poco dopo il tema della ninna nanna è la mano
sinistra del pianista che espone un tema
tipicamente sciostakoviano, di disperato eroismo,
che tenta di innalzarsi sopra l’ostinato
affidato alla mano destra. Una interpretazione
di questo capolavoro del sommo compositore
russo-sovietico da giudicare decisamente più che
apprezzabile.. Un bel concerto dunque, questo
ascoltato al Conservatorio di Novara, il cui
successo è stato sottolineato dai lunghi
applausi del numeroso pubblico, con notevole
presenza dei giovani studenti del Conservatorio
e dei loro insegnanti.
13 Maggio 2023 Bruno Busca
AL COCCIA DI NOVARA UN
BARBIERE…DI QUALITA’
Dalla passata
stagione il Teatro Coccia di Novara ,
nell’ambito del progetto DNA Italia, porta sulla
scena ogni anno un’opera di Rossini. L’anno
scorso si è cominciato con la Cenerentola, ieri
sera, venerdì 12 maggio, il nuovo appuntamento
rossiniano per la stagione lirica 2023 proponeva
una delle opere intramontabili del Pesarese, “Il
barbiere di Siviglia”, a distanza, se la memoria
non ci tradisce, di più di sette anni, dalla sua
ultima apparizione sul palcoscenico del teatro
novarese. Un ritorno accolto da una grande
attesa del pubblico della città piemontese, che
ha fatto registrare il sold out per tutte e tre
le repliche in programma, la prima di ieri sera
e quelle previste per questa sera, sabato 13 e
per la pomeridiana di domani, domenica 14.
Questo Barbiere è una nuova produzione del
Teatro Coccia, affidata alla regia di Alberto
Jona. Una regia che definiremmo ‘storicizzante’;
nelle note di regia Jona propone di leggere il
Barbiere di Siviglia come un’opera che registra
e riflette la crisi dell’Ancien Régime,
rappresentato dall’ottuso e un po’ patetico
conservatorismo di don Bartolo, che invano tenta
di resistere all’ascesa della nuova classe
borghese, che ha ovviamente il suo personaggio
emblematico in Figaro, con il suo intraprendente
e deciso spirito d’iniziativa. Questo scontro ‘sociale’,
si sdoppia in quello tra giovani e vecchi, che
dal punto di vista strettamente narrativo è in
effetti al centro del libretto ( e qui però i
conti non tornano del tutto perché il Conte di
Almaviva è tutto meno che un borghese…).Ben
s’intenda: non si tratta certo di una
interpretazione nuova e originale, perché, più o
meno identica, la si può leggere nelle
considerazioni che poco meno di un secolo fa
scriveva sul
Barbiere
lo scrittore e fine critico musicale Riccardo
Bacchelli. Però il merito di Jona è di trarne
una regia diretta con sapienza e finezza,
coerente, chiara nei significati e ben aderente
alla musica e al libretto. Jona concepisce uno
spazio scenico, realizzato dal sempre eccellente
scenografo Matteo Capobianco, nettamente
distinto tra un ‘fuori, uno spazio urbano con in
primo piano l’esterno della casa di Don Bartolo
e un ‘dentro, l’interno di quella stessa casa.
E’ questo uno spazio instabile, con la casa di
don Bartolo che a un certo punto ‘si muove’,
(grazie a un meccanismo ‘motorizzato’), gira su
se stessa, si apre, si richiude, mentre sullo
sfondo, in una serie di controscena, appena
distinguibili nella penombra, si muovono
presenze misteriose, che trasportano oggetti
ingombranti dalla e verso la casa. Un ruolo di
potente suggestione esercitano i bellissimi
giochi d’ombra realizzati da Controluce Teatro
d’Ombre, ad avvolgere questo spazio esterno in
un’atmosfera inquietamente fantasmatica.
Splendida la scena dell’atto primo in cui la
casa di don Bartolo comincia a girare, mentre
tutto attorno vorticano ombre spettrali. Siamo
insomma in uno spazio in cui le apparentemente
solide mura degli edifici mostrano tutta la loro
instabilità e inconsistenza, allegoria, molto
ben rappresentata, di quella crisi storica che
sta per travolgere il mondo di don Bartolo. C’è
poi, si diceva, lo spazio interno della casa di
don Bartolo. E’ questo uno spazio stipato
all’inverosimile di oggetti, di cose spesso
indecifrabili, soffocante e pletorico: è come un
‘magazzino’ in cui Don Bartolo ha voluto
bloccare il tempo, sottrarre ad esso il suo
mondo, coi suoi oggetti, alla fuga verso la fine
ormai inesorabile, un mondo in cui l’immobilità
si vanifica di fronte all’incalzare della Storia,
emblematicamente rappresentato dalla splendida
scena del temporale nel secondo atto, in cui la
casa di don Bartolo, questo opprimente e
ridicolo simbolo di un Ancien Régime al tramonto,
sembra sul punto di dissolversi nei giochi
d’ombra che la investono con violenza.
Una
messa in scena davvero suggestiva e ben
realizzata, diciamolo pure: bella! Interessante
è anche il modo in cui Jona fa muovere i
cantanti-attori in questo spazio scenico:
talvolta questo o quel personaggio o tutti
insieme cominciano a muoversi in modo meccanico,
come tante marionette. Questa ‘burattinizzazione’
dei personaggi tocca il suo apice, e la sua
efficacia, coinvolgendo tutti i cantanti-attori
in scena, nel finale del primo atto,
accompagnando con bellissimo effetto il ‘concertato
di stupore’, che chiude l’atto ,con le
‘marionette, che in fila indiana lasciano la
casa ritmando meccanicamente la stretta ‘Mi par
d’esser con la testa’. Per Jona questa riduzione
dei personaggi ai loro gesti meccanici è
traduzione allegorica della crisi, ma a nostro
avviso potrebbe benissimo valere anche come
traduzione scenica di quel ‘perfetto meccanismo
ad orologeria’ ( per citare sempre Jona) che
sono spesso le opere buffe di Rossini, in
particolare il Barbiere. Se a tutto questo
aggiungiamo gli splendidi costumi di scena,
raffinatissima opera di Silvia Lumes, abbiamo il
quadro di una delle più suggestive regie che si
siano viste negli ultimi tempi al Coccia, una
regia che sa conciliare perfettamente tradizione
e originalità. Sul podio della buca il maestro
americano ( ma da anni residente in Italia)
Christopher Franklin, alla guida di una solida e
ben rodata compagine orchestrale, l’Orchestra
Filarmonica Italiana, ormai di casa al Coccia, e
accompagnata dal coro As. Li. Co. diretto da
Massimo Fiocchi Malaspina. Al suo primo Barbiere,
Franklin ha proposto una direzione accurata,
attenta ai dettagli timbrici e dinamici,
ottenendo dall’orchestra un suono pulito e
trasparente, con corretta scelta dei tempi, in
particolare nei concertati, soprattutto il
finale primo, e mostrando una valida intesa con
gli interpreti sul palcoscenico, accompagnati
con efficacia. La compagnia di canto si è
mostrata nel complesso qualitativamente
all’altezza. Su tutti spiccano il giovane
mezzosoprano giapponese Aya Wakizono, eccellente
Rosina, uno dei suoi ruoli attualmente preferiti,
e il messicano Emmanuel Franco, bariono nel
ruolo di Figaro. La Wakizono, di valida presenza
scenica, ha fatto sfoggio di ottime risorse
vocali: una notevole estensione della voce,
limpida nelle zone acute, di tessitura quasi
sopranile, cui sale con fluida morbidezza,
spavalda nelle agilità, ha fiati lunghi che le
consentono un fraseggio sempre chiaro e sciolto:
bella, decisamente, la cavatina famosa ‘Una voce
poco fa’. Davvero un’ottima interprete
rossiniana (ma magari anche mozartiana).
Di ottimo livello anche la prestazione del
messicano Emmanuel Franco, nel ruolo di Figaro.
Già noto al pubblico novarese come Dandini nella
Cenerentola dello scorso anno, è come la
Wakizono, ottimo interprete rossiniano. Dotato
di native qualità di attore, che lo rendono
l’autentico protagonista dello spettacolo, ha
una voce baritonale ben timbrata e ben estesa,
di bel volume, ed efficace nelle agilità e nel
fraseggio, come già subito dimostra con la
celeberrima cavatina ‘Largo al factotum’,
confermando le sue pregevoli risorse vocali in
tutto il corso dell’opera. Non possiamo invece
tacere le nostre perplessità sul tenore cinese
Chuan Wang, il Conte d’Almaviva in questa
produzione. Poiché è stata la prima volta che lo
abbiamo sentito cantare, possiamo concedere che
si sia trattato di una ‘serata no’, ma quello
che abbiamo sentito ieri sera era un cantante di
piuttosto modesta vocalità: timbro alquanto
opaco, fraseggio poco espressivo, soprattutto
una tessitura fragile, che gli rende difficile
salire ai registri acuti, che gli riescono poco
limpidi e deboli. Scadente la sua cavatina ‘Ecco
ridente in cielo’, si perde nei numeri d’assieme
Un buon don Bartolo, invece, quello del Baritono
Michele Govi,, dalla vocalità sicura e robusta,
che domina con sicurezza soprattutto nei
recitativi ma si fa applaudire anche nell’aria
del I atto sc.11 ‘A un dottor della mia sorte’.
Buona prova di basso ha dato di sé Abramo
Rosalen (altro cantante già noto agli habitués
del Coccia, lo ricordiamo come Mustafà in Un’
Italiana in Algeri di un po’ di anni fa) nei
panni di Don Basilio, con ottima tenuta di voce
e collaudata capacità di tenere il palcoscenico.
Matteo Mollica è stato un valido Fiorello,
dotato di duttile strumento vocale, di bel
colore, con un fraseggio fluido e preciso, ben
sillabato. In questa edizione del Barbiere gli
tocca anche sdoppiarsi nel ruolo dell’ufficiale
della ‘Forza’ (la polizia, insomma). Niente male
la Berta del soprano Giovanna Donadini, di buone
capacità attoriali e vocali, queste ultime
espresse nell’unica aria a lei riservata, nel II
atto, ‘ Il vecchiotto cerca moglie’. Puntuale e
ben calibrato nei suoi interventi il coro. Con
questo ‘Barbiere’ si conferma la tendenza del
Coccia ad attestarsi su una linea di crescente
qualità delle produzioni del teatro musicale,
offrendo al suo affezionato fedele e numeroso
pubblico spettacoli di buon livello, ben curati
e con una scelta valida dei cantanti, della
direzione orchestrale e della regia. Il
prolungato e scrosciante applauso del pubblico
alla fine dello spettacolo ha confermato il suo
pieno e meritato successo. ( Foto Uffficio
Stampa Novara)
13 maggio 2023 Bruno Busca
Concerto di
Gala per la
"Società dei Concerti" e presentazione della
Stagione Concertistica 2023-24
Il Concerto di Gala degli
Artisti in residenza della "Fondazione La
Società dei Concerti" è stato anche
l'occasione per la presentazione della prossima
Stagione Concertistica 2023-24. Si preannunciano,
come anticipato dalla Presidente della Società
Enrica Ciccarelli Mormone, ancora interpreti di
alta qualità quali Sokolov, Volodos, Say, Lewis,
Auerbach, Kern, Wunder, Lim, solo per citarne
alcuni, e
un concerto straordinario fuori
abbonamento con Evgeny Kissin per il prossimo 20
gennaio. La splendida serata ha trovato
l'esecuzione di brani con giovani interpreti "scoperti"
dalla storica società concertistica. Tutti
bravissimi, alle prese con brani noti e meno
noti, a cominciare da un interessantissimo e
poco conosciuto Michele Mascitti (1664-1760),
compositore-violinista italiano, vissuto nelle
maggiori città europee, del quale abbiamo
ascoltato la Sonata in re minore op.2 n.2
per violino e violoncello. Grande espressività
per la violinista Sofia Manvati e la
violoncellista Lara
Biancalana. La successiva
Toccata in re minore K 141 di Domenico
Scarlatti (1685-1767) -celebre bis della
Argerich-, ci ha permesso di conoscere la cifra
stilistica della giovanissima Monica Zhang, dal
virtuosismo non disgiunto da evidente
espressività. Il Quartetto Goldberg, - nei nomi
di JinZhi Zhang e Giacomo Lucato ai violini,
Matilde Simionato alla viola e Martino
Simionato al violoncello- ha proposto il
Quartetto in do minore n.12 D703 di Franz
Schubert (1797-1828). Una esecuzione rilevatrice
di una eccellente intesa tra i quattro
bravissimi
strumentisti. Dopo l'efficcace "a
solo" violinistico di Sofia Manvati nel
virtuosistico E. Isaye (1858-1931) con la
superlativa Sonata in re minore op.27 n.3
eseguita con assoluta padronanza
tecnico-espressiva, un lavoro del noto
violoncellista-compositore Giovanni Sollima
(1962) ci ha permesso l'ascolto di Tema lll dal
Bell'Antonio pe r cello e pianoforte.
Bravissime sia la Zhang che la Biancalana.
L'ultimo brano del programma ufficiale ha
ritrovato la pianista Monica Zhang per una
rarità di Ferruccio Busoni (1866-1924) con la
sua Sonatina super Carmen, un'originale
Fantasia sulla celebre opera di Bizet resa con
evidente disinvoltura. Non sono mancati i bis,
tutti validi: Lo Studio n.1 op.10 di
Chopin, lo Scherzo di Mendelssohn per
trio con pianoforte e la Passacaglia di
Boccherini per quintetto d'archi. Applausi
fragorosi a tutti i protagonisti saliti
soddisfatti sul palcoscenico di Sala Verdi in
Conservatorio. Splendida serata!
13 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
Alessandro Bonato
dirige I Pomeriggi Musicali al Dal Verme
Nell'anticipo del mattino del concerto
dell'Orchestra I Pomeriggi Musicali abbiamo
trovato alla direzione il ventottenne Alessandro
Bonato per due importanti lavori quali la
Sinfonia da camera op.110a di Dmitri
Šostakovič e il Concerto n.1 per pianoforte e
orchestra in Do maggiore op 15 di
L.v.Beethoven.
L'op.110a
è una splendida
trascrizione da Rudolf Barshai del
Quartetto
n.8 del russo, realizzato nel 1960 ma ricco
di reminescenze di altri lavori del compositore.
Un clima sofferto, cupo e severo permea i cinque
movimenti riassunti in un ampio unico brano per
archi diretto da Bonato con gestualità misurata
ma molto sicura, per una restituzione
orchestrale intensamente espressiva. Un clima
completamente diverso per il giovanile concerto
beethoveniano che ha trovato solista al
pianoforte Leonora Armellini,
protagonista
all'ultimo concorso Chopin, con mertivole ottimo
piazzamento. Pianista chopiniana, ha saputo
anche in Beethoven dare sfoggio di mirabili
qualità. L'ottima interpretazione complessiva
con la guida sicura di Bonato, ha visto
l'Amellini muoversi con formidabile sicurezza
per una restituzione precisa ed elegante del
concerto. Valida la lunga cadenza dell'Allegro
con brio iniziale ed espressivo il pacato e
profondo Largo centrale. Discorsivo nella
precisione il Rondò conclusivo. Applausi
fragorosi dal
numerosissimo pubblico intervenuto al mattino.
Questa sera la prima ufficiale alle ore 20.00 e
sabato alle 17.00 la replica. Da non perdere.
11 maggio
2023 Cesare Guzzardella
"Variazioni per un
debutto" con il
violoncello di Ettore Pagano per la "Società
dei Concerti"
L'Orchestra di Padova e del
Veneto, diretta da Marco Angius, direttore
specializzato nel repertorio novecentesco e
contemporaneo, ha presentato un impaginato
interessante insieme ad Ettore Pagano,
ventitreenne violoncellista pluripremiato in
importanti concorsi internazionali come il
prestigioso primo premio al "Khachaturian"
di
Yerevan,
ottenuto nel giugno 2022. "Variazioni per un
debutto", questo il titolo pensato per la serata
organizzata dalla "Società dei Concerti"
milanese, era un impaginato con brani della
prima metà del '900 e di fine '800. Partendo con
Ottorino Respighi ed il suo Adagio con
variazioni per violoncello e orchestra P 133,
siamo poi passati alle celebri Variazioni su
tema rococò op.33 per violoncello e orchestra
di P.I. Ciajkovskij. In entrambi i lavori
l'ottima direzione di Angius e la valida
restituzione timbrica degli orchestrali, hanno
sostenuto il luminoso timbro
del violoncello di Pagano. La melodicità
presente sia nel romantico Adagio con Variazioni,
lavoro di Respighi del 1921, che nelle
virtuosistiche Variazioni di
Čajkovskij, composte nel 1877, ha rivelato
l'espressività
coloristica ben
dettagliata e precisa delle timbriche di Pagano.
Applausi sostenuti dal pubblico presente in Sala
Verdi e due bis solistici concessi dal virtuoso:
prima un brano folclorico e ricco d'inventiva,
di Giovanni Sollima e poi un classico J.S. Bach.
Dopo il breve intervallo rilevante
l'interpretazione fornita dall'Orchestra di
Padova e del Veneto, nella
sicura
e precisa direzione di Angius, del noto
Concerto per Orchestra di Bela Bartók, un
brano i cinque parti del 1943 che fa emergere le
sezioni orchestrali in modo concertante, in un
dialogo ricco di pregnante espressività. Molto
precise ed appariscenti le eccellenti sezioni
dei fiati, con gli ottoni che primeggiano.
L'ottima trascrizione ascoltata, in prima
esecuzione italiana, era quella di Roland
Freisitzer, del 2018 e fedele all'originale.
Applausi calorosi dal pubblico intervenuto in
Conservatorio.
11 maggio
2023 Cesare Guzzardella
Yevgeny Sudbin per
le Serate Musicali
in Conservatorio
Il pianista russo
quarantatreenne , di San Pietroburgo, Yevgeny
Sudbin è un assiduo frequentatore di Serate
Musicali. In Conservatorio, dal 2001,
impagina programmi vari che rendono un'idea
precisa dei sui vasti interessi musicali. Ieri
sera il programma prevedeva brani di Haydn,
Liszt, Debussy, Scarlatti, Chopin e Scriabin. Un
impaginato dove i cambiamenti stilistici
repentini tra musicisti così differenti, con
salti storici di oltre cento anni lascierebbero
perplessi molti ascoltatori, ma che in realtà
con una
qualità interpretativa di alto livello
come quella del russo, accontenta ogni
appassionato della migliore musica classica. La
Sonata in si bemolle minore Hob. XVI n. 32
di Franz Joseph Haydn (1732-1809) ha
introdotto il concerto attraverso un
interpretazione di grande equilibrio formale e
chiara esposizione coloristica. Grande impatto
estetico con il sucessivo Studio
trascendentale n.11 in re bem. maggiore "Armonie
della sera" di Franz Liszt (1811 –1886).
Il virtuosismo lisztiano, sensuale e denso di
sviluppi armonici, ha trovato un'ottima resa in
Sudbin che poi ha fornito un'altra valida
interpretazione con Claude Debussy (1862–1918)
e la celebre L’isle
joyeuse L.109. Dopo il
breve intervallo il salto indietro nel tempo con
Domenico Scarlatti ( 1685- 1757) ha portato
all'esecuzione di ben sei Sonate secondo
questo ordine: K197 in si minore, K9 in re
minore, in sol minore, K455 in sol maggiore,
K466 in fa minore e K27 in si minore. Sudbin
è un rinomato interprete di Scarlatti,
autore
che non manca mai nei sui concerti, e qui ancora
una volta ha rivelato un eccellente equilibrio
espositivo alternando sonate dall'andamento più
riflessivo ad altre più virtuosistiche. Il salto
qualitativo complessivo riscontrato
nel corso
del concerto vedeva poi un ottimo Fryderyk
Chopin (1810–1849)
con la Ballata n.3 in la bemolle maggiore
op.47, un Allegretto reso con intensa
espressività nella lineare discorsività. La "visionaria"
Sonata n.5 in fa diesis maggiore op.53 di
Alexander Scriabin (1872–1915)
concludeva il programma ufficiale con
un'interpretazione eccellente, resa con facile
esternazione pur nel difficile virtuosismo che
la sonata impone. Applausi meritatissimi e
ottimo il bis concesso con il celebre Studio
in do #minore op.2 n.1 ancora di Scriabin.
( Foto in alto di Alberto Panzani-Serate
Musicali)
9 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
Il Festival Milano Musica
alla
Scala per Zimmermann, Poppe e Xenakis
Per il 32° Festival Milano
Musica il primo concerto sostenuto al Teatro
alla Scala, dopo l'inaugurazione del 5 maggio
alla Pirelli Hangarbicocca, ha visto l'Orchestra
Sinfonica Nazionale della Rai diretta da Michele
Gamba impegnata in quattro brani di
Zimmermann,
Poppe e Xenakis. I due brani di Bernd Alois
Zimmermann (1918-1970) erano Photoptosis -preludio
per grande orchestra del 1968 e Stille
und Umkehr -Sketches orchestrali, ultimo suo
lavoro orchestrale del 1970. Due brani diversi
nelle timbriche: il primo di ampia coralità
strumentale e suggestiva estroversione temporale,
nello stile tipico del compositore tedesco; il
secondo particolarmente introverso che rivela il
periodo critico di vita dell'autore. Il
suggestivo Photoptosis è giocato su un
ampio spettro di sonorità che si dipanano nel
corso del lavoro formando elementi densi di
contrasti circolari che tornano sempre più
marcati nelle volumetrie rese più intense dalle
lunghe note dei fiati. Un momento di serenità
rivela citazioni dalla Nona di Beetovenn, dallo
Schiaccianoci di
Čajkovskij,
da Scriabin e da Bach per arrivare ad una
sensazione
più
materica e concreta quasi liberatoria con
improvvisa interruzione. Stille und Umkehr
è giocato su pochi strumenti e su una nota
lunga polarizzante ripetuta quasi ossessivamente
da più strumenti. Le varianti che ruotano
attorno a questa nota, con impiego di molte
tenui percussioni e di altri fiati portano alla
conclusione dell'originale lavoro.
L'interessante Schnur, per violino e
orchestra (2019) di Enno Poppe (1969) ha
trovato al violino solista Francesco D'Orazio.
Il solista introduce il lavoro con una
suggestiva melodia, non lineare ma continamente
modificata dall'uso della microtonalità, una
sorta di continui "glissando" dal sapore
orientale. Questa melodicità e circondata dagli
interventi delle sezioni orchestrali che in modo
discreto, sfumato e armonizzante danno
plasticità all'intenso brano, un unico movimento
eseguito magnificamente da D'Orazio e dagli
orchestrali. Rarissimi momenti di
soli
orchestrali interrompono il melodiare del
violino che ritorna poi in un ulteriore sviluppo
in forma dialogante con l'orchestra, sino alla
conclusione, eseguendo "gemiti" in sopracuto
quasi impercettibili. Il brano conclusivo,
Jonchaies- per 109 musicisti (1977) di
Iannis Xenakis (1922-2001) si è rivelato di
grande impatto sonoro sin dallo stridore
iniziale dei 70 archi impiegati. Una coralità
estrema di timbri acuti che lentamente trovano
un cambiamento arrivando ad una
materializzazione in territorio "concreto". La
sapiente orchestrazione di Xenakis ci porta in
una sorte di musica futurista o musica della
macchina, nella quale la componente ritmica, con
elementi sincroni e asincroni ci porta
lentamente in un vortice materico d'incredibile
fascino musicale. Un lavoro di grande resa
emotiva che è stato molto apprezzato dagli
appassionati presenti in sala. Eccellente la
direzione di Michele Gamba in tutti i lavori e
la resa timbrica dettagliata dell'Orchestra
Sinfonica Nazionale della Rai. Applausi
meritatissimi!
8 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
Maria Gabriella Mariani alla
rassegna milanese Lieti calici
Un altro simpatico e riuscito
incontro musicale e... anche di ottimo aperitivo..,
quello tenuto questa mattina agli Amici del
Loggione della Scala, nella milanese via
Silvio Pellico. Mario Marcarini, organizzatore,
discografico e musicologo, ha riportato davanti
al
pianoforte la pianista e compositrice
napoletana Maria Gabriella Mariani. L'artista da
alcuni anni vive a Campobasso ed è anche autrice
di validi romanzi. Perfezionatasi con il grande
Aldo Ciccolini, ha avuto modo di conosciore
anche Vincenzo Vitale, grande didatta della
scuola napoletana. Valente interprete dei
classici, Schumann e Debussy in primo luogo, ha
iniziato ad appassionarsi alla composizione nel
2008, per motivi accasionali, e da allora
l'inserimento di suoi lavori nei concerti, come
nei recenti dischi, è avvenuto puntualmente.
Nel
valido concerto introdotto dal Presidente degli
Amici del Loggione Gino Vezzini e da Marcarini,
la Mariani ha spiegato le sue composizioni e le
ha eseguite alternandole ad ottime
interpretazioni delle tre Estampes di
Claude Debussy. Come già riferito in passato, la
sua interessante ed immediata cifra stilistica,
in ambito tonale, trova riferimenti nel mondo da
lei più amato, quello francese di fine ottocento
e dei primi decenni del '900 (Debussy, Ravel e
Poulenc), ma anche nel repertorio italiano,
soprattutto dell'Italia centrale e del sud.
Infatti Il suo accentuato "lirismo" è una
caratteristica privilegiata, che nasce dalla sua
ricca esperianza in ambito interpretativo
concertistico. Dalla sua copiosa produzione di
brani pianistici, la Mariani ha voluto eseguire
due
lavori tratti dalla raccolta "Mediterranea.
Prima La Canzone di Pulcinella e dopo il
Debussy, Chef Tango. Lavori arditi e
virtuosistici, dal carattere narrativo, eseguiti
con passione, interiorizzazione e ricchezza di
particolari che guardano al passato europeo, a
quello napoletano, proiettandosi però nel futuro.
Ottimo il brindisi, con eccellenti vini e con la
Mariani che al termine provava gli splendidi
Studi Sinfonici di Schumann per un prossimo
concerto. Ottima mattina musicale e non solo..
7 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
IL PIANISTA ALEXANDER
ROMANOVSKY AL VIOTTIFESTIVAL DI VERCELLI
Il pianista Alexander
Romanovsky, ucraino di origini, ma ormai a tutti
gli effetti cittadino italiano, 'lanciato’ nel
firmamento internazionale degli interpreti
contemporanei dal primo premio Busoni nel 2001,
a soli diciassette anni (!) è approdato per la
prima volta al Teatro Civico di Vercelli ieri
sera, sabato 6 maggio, nel ruolo di solista, con
un recital impaginato su una delle cattedrali
sonore più splendide di tutta la letteratura
pianistica, la Sonata n.21 in Do maggiore op.53
Waldstein “Aurora” di Beethoven e su
un’antologia di pezzi di S.V. Rachmaninov, di
cui Romanovsky è oggi considerato uno dei più
autorevoli interpreti: nell’ordine, le
Variazioni su un tema di Corelli op.42, tre dei
Moments Musicaux op.16 (n.1,n.3, n.4), e sei dei
nove Etude-Tableaux op. 39, i primi 5 e il n.9.
La Waldstein di Beethoven è uno di quei pezzi
straordinari, in cui un virtuosismo altissimo si
fonde in un unico meraviglioso blocco con una
profonda tensione espressiva, sfidando
l’interprete a un’impresa esecutiva tra le più
ardue. Dopo le primissime battute dell’Allegro
con brio, il virtuosismo trascendentale di
questo ultratalentuoso pianista investe
l’ascoltatore con un vero e proprio torrente di
suoni, la cui densità ritmica è rafforzata da
una scelta metronomica che ci è sembrata
leggermente più veloce rispetto alla prassi
interpretativa di questa sonata. C’è da restare
a bocca aperta di fronte all’olimpica
spavalderia con cui Romanovsky affronta i
passaggi più impervi, le difficoltà tecniche più
ardue di questa partitura, le scale rapidissime,
gli arpeggi, i trilli e quant’altri ornamenti
danno a questo capolavoro un esplosivo carattere
concertante, più che di tradizionale sonata da
salotto.
E questo virtuosismo stratosferico è
però sempre accompagnato dal miracolo di un
suono che si sgrana con una chiarezza e una
pulizia, che poi voglion dire assoluta
precisione, sicché non una sola nota, non un
solo accordo appaiono men che nitidi. Energia
pura del suono e poliedrico dettaglio tematico :
questa la Waldstein di Romanovsky, fin dal suo
primo tempo. Questa chiarezza del suono, frutto
di un eccezionale lavoro sui polsi, su cui
Romanovsky scarica tutta la pressione delle
braccia, e di un uso sapientissimo del pedale,
consente poi una ricerca accurata del dettaglio
timbrico, che, anche in questo caso, fa mostra
di sé già nell’esposizione dell’Allegro iniziale,
con l’apparire del secondo tema, suonato come
meglio non si potrebbe in tutto il suo
trattenuto calore e nella sua espressività. La
cesellata chiarezza del suono di cui si è
parlato, non ha però in Romanovsky nulla di ‘’freddo’.
A chi ascolti con attenzione, il fraseggio di
questo grande pianista, anche nelle parti
agogicamente più dense, appare venato da una
sottile e vaga inquietudine, che
nell’esposizione valorizza al meglio il
contrasto tra tonica e mediante, mentre nello
sviluppo è la presenza abnorme di tonalità in
bemolle a offrire a Romanovsky il materiale
ideale per esprimere questa componente del suo
stile, forse, almeno per noi, la più suggestiva.
Nell’Adagio molto le capacità espressive di
Romanovsky si manifestano in tutta la loro
capacità di aderire all’ispirazione profonda del
brano con un suono che a tratti si fa rarefatto,
specie nelle zone più acute, e di cui il tocco
delicato e raffinatissimo del pianista scava
sfumature inedite, fatte di chiaroscurali
contrasti dinamici, di una timbrica cangiante e
soffusa. Romanovsky non è pianista incline al
patetico, lo si vede bene nella sezione centrale
di questo breve Adagio, dove il pathos è
trattenuto rigorosamente entro i limiti di un
appena accennato trasalimento dell’anima, nella
linea di quell’inquietudine, che abbiamo
individuato come cifra stilistica di fondo di
questo interprete. Il pirotecnico Rondò
conclusivo, con la varietà dei suoi colori, le
zone d’ombra che lo caratterizzano, l’alto tasso
di virtuosismo richiesto all’interprete è
eseguito, va da sé, come meglio non si potrebbe
da Romanovsky: un’interpretazione, questa della
Waldstein offerta ieri a Vercelli dal Maestro
ucraino-italiano, che non esitiamo a considerare
‘di riferimento’ Non è forse un caso che
Romanovsky introduca la parte del concerto
dedicata a Rachmaninov con una composizione
piuttosto atipica nel catalogo del celebre
musicista russo e che infatti fu tra le
pochissime che non ottenne,
appena eseguita
(1931), un successo immediato del pubblico: le
venti Variazioni op.42, traggono spunto da un
tema già impostosi all’attenzione dei
compositori europei fin dai primi del XVI secolo,
noto come la ‘Folia’, parola portoghese che
significa ‘idea fissa’ e utilizzato anche da
Corelli, nel tempo finale dell’ultima delle
sonate per violino e continuo op.5. Come detto,
si tratta di un’opera piuttosto particolare nel
catalogo di Rachmaninov, in cui le forme del
grande pianismo romantico-decadente, cui il
compositore russo rimase incrollabilmente fedele,
cedono ad una inedita essenzialità di
costruzione, già annunciata dalla austera e
semplicissima linea accordale del tema, con un
impegno formale più severo del consueto, inteso
a più sottili elaborazioni armoniche, talvolta
vicine ad un audace allargamento dell’area
tonale, cosa più unica che rara nella musica di
Rachmaninov. Questo stile severo e raffinato,
che può richiamare alla lontana lo stile di
Reger, trova in Romanovsky un interprete
efficacissimo e rigoroso, nella cura meticolosa
del dettaglio elaborativo, nella limpidezza
delle linee costruttive, ma anche nella ricerca
dei colori e degli effetti originali della
strumentazione, che in Rachmaninov non vengono
mai meno, e che hanno il loro momento più alto
nelle Variazioni terza (Menuetto), ottava
(Adagio), e nella cadenza-intermezzo tra la
tredicesima e la quattordicesima, ove il vario
gioco armonico è valorizzato superbamente da
Romanovsky nella sua cangiante valenza timbrica.
I successivi tre Moments Musicaux eseguiti, dopo
l’intervallo, appartengono ancora alla fase
giovanile di un Rachmaninov poco più che
ventenne, ancora alla ricerca di se stesso: il
pezzo più interessante dal punto di vista
interpretativo è il n.3, un Andante cantabile
nella cupa tonalità di si minore, in cui
l’interpretazione di Romanovsky lavora benissimo
la melodia affidata alla mano destra, un breve
inciso, franto da frequenti pause di silenzio,
in cui l’inquieta sensibilità di Romanovsky
trova una pagina particolarmente consona, mentre
il rintocco degli accordi della mano sinistra
nelle zone gravi della tastiera, che potrebbero
avere un che di funebre, vengono, in questa
interpretazione, piuttosto sfumati e tenuti
sullo sfondo. Ancora una volta, Romanovsky dà
l’impressione di tenersi a distanza da scelte
interpretative romantiche, per preferire le zone
più sfumate, più umbratili dell’espressione
musicale. Alla maturità ormai piena di
Rachmaninov appartengono invece le Etudes
Tableaux op. 39, uno dei ‘manifesti’ di quello
stile del Maestro russo, fatto di estroso e
funambolico virtuosismo e di effuso melodismo,
che tanto attirò e continua ad attirare il
grande pubblico. Crediamo di avere già chiarito
il nostro giudizio su Romanovsky e i motivi del
nostro apprezzamento. Per questo non entreremo
qui in analisi particolari: ancora una volta,
Romanovsky suona questi ardui Studi facendo
sfoggio del suo acrobatico virtuosismo e
mettendo in potente rilievo la ricchezza di
tensioni e di ombre proprie della costruzione
armonica del Rachmaninov maturo. Di particolare
interesse è l’Etude n.2, perché qui, invece,
Rachmaninov innova profondamente proprio sul
piano armonico, con un’organizzazione lineare
del discorso, fatto di frammenti ripetuti in ‘ostinato’.
Qui, ancora una volta, trionfa quel magnifico
tocco di Romanovsky, la sua ‘sensibilità’, come
qualcuno l’ha chiamata, la cui sotterranea e
talora nervosa inquietudine si ritrova a
meraviglia in brani come questo. Questo
magnifico concerto ha riscosso l’entusiasmo del
pubblico che ha tributato a Romanovsky qualcosa
di simile a una prolungata ovazione, che ha
avuto come premio non sappiamo esattamente
quanti bis (quando siamo usciti, convinti che il
concerto avesse avuto termine, i bis concessi
erano quattro,, ma attraversando il foyer
abbiamo udito ancora le note lontane del
pianoforte per un quinto fuori programma…). I
quattro bis da noi ascoltati erano due da
Rachmaninov e due Studi di Chopin. Ovviamente,
eccellente l’esecuzione. Un altro concerto
memorabile, di questa memorabile stagione n.25
del ViottiFestival. ( Foto dall'ufficio Stampa
di Vercelli).
7 maggio 2023 Bruno Busca
Le musiche di
Emanuele Casale all'Auditorium Lattuada
Per i concerti che la Scuola
Civica di Musica Claudio Abbado organizza
all'Auditorium Lattuada a Milano, nel pomeriggio
di ieri abbiamo ascoltato una rassegna di brani
monografici di Emanuele Casale, compositore
catanese e docente di Conservatorio a Palermo.
Interpreti dei brani erano esponenti dell'Ensemble
Icarus vs Muzak,
nei
nomi di Diego Petrella, pianoforte, Luca
Colardo, violoncello e Benedetta Polimeni,
flauto. I brani, tutti per strumento
solo, sono stati presentati dallo stesso Casale,
compositore che definisce la sua musica più
recente "post-classica", quasi ad
evidenziare un rapporto marcato con il
repertorio classico dal quale trova spesso
relazioni, pur essendo il suo linguaggio
legato ad una personale ricerca, ben delineata
nelle coloristiche espresse con dovizia di
dettaglio. I brani per pianoforte quali Piano
Music n.2, n.6, n.7 e n.1, in ordine di
esecuzione, e denominati rispettivamente
Le
cose nascono piano, Ritratto di pioggia,
80' s e Studio sulle rondini giganti,
hanno trovato l'eccellente interpretazione di
Diegi Petrella che ha messo in rilievo le
caratteristiche della musica pianistica del
compositore, giocata sia su ricerche di
timbriche accurate
che su un
virtuosismo
strumentale al
servizio di idee precise, anche
se riferimenti a certe sonorità alla Ligeti,
alla Glass o a Scarlatti risultano evidenti
all'ascolto. Un clima musicale diverso e molto
personale, con influssi mediterranei o
mediorientali sono apparsi nella riuscita
Suite per violoncello "Preghiere sui fiori",
cinque momenti musicali messi in risalto con l'
eccellente rilievo coloristico di
Luca Colardo. Il nitore delle accurate e
diversificate sequenze sonore rivelano una
significativa pregnanza espressiva nelle note di
Casale. Anche nei Canti perduti di Sicilia
per flauto, brani eseguiti con chiara
espressività dall'ottima Benedetta Polimeni,
abbiamo riscontrato una felice ed armoniosa
scrittura. Ottima musica contemporanea!...e non
è scontato. Applausi meritatissimi a tutti i
protagonisti.
7 maggio 2023 Cesare Guzzardella
Grande musica per
la Lucia di Lammermoor
alla Scala
Ancora
applausi calorosi per l'ottava e ultima
rappresentazione della Lucia di Lammermoor
di Gaetano Donizetti al Teatro alla Scala.
Il teatro, stracolmo di pubblico, ha apprezzato
moltissimo la riuscita direzione di Riccardo
Chailly, una concertazione che oltre ad essere
rispettosa dell'importante componente corale
preparata
e diretta con maestria da Alberto Malazzi e
dell'ottimo cast vocale, ha sottolineato con
energia frangenti "sinfonici" che mettono in
risalto la varietà musicale dell'opera
donizettiana. Una voce di eccellenza e assoluta
protagonista, Lisette Oropesa ha entusiasmato
meritatamente il pubblico con applausi ripetuti
nei momenti topici dell'opera. Di ottima qualità
la scena della pazzia - abbiamo ascoltato
finalmente i colori della glassarmonica- nella
quale il soprano oltre alla straordinaria
bravura nel sostenere la sua duttile e
timbricamente ricca emissione vocale, ha
dimostrato qualità attoriali di alto livello
rimanendo nella parte anche durante i
minuti
di applausi a lei rivolti. Sia dal punto di
vista registico che scenico, questo è il momento
migliore di Yannis Kokkos artefice della regia,
delle scene e dei costumi, aiutato dalla
drammaturga Anna Blancard, con valide luci di
Vinicio Cheli. Ottimi i co-protagonisti nelle
voci di Juan Diego Flórez, Sir Edgardo,
Boris Pinkhasovich, Lord Enrico,
Leonardo Cortellazzi, Lord Arturo,
Michele Pertusi, Raimondo, Valentina
Pluzhnikova, Alisa e Giorgio Missere,
Normanno. È in corso Andrea Chénier di
Giordano con repliche per il 6-11-16-24-27
maggio. (Foto di Brescia e Amisano -
Archivio Scala)
6 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
IL FAGOTTO DI CARLO COLOMBO
PROTAGONISTA AL FESTIVAL FIATI DI NOVARA
A maggio entra nel vivo
l’attività concertistica che accompagna il fitto
programma di masterclass sui più vari strumenti
a fiato che nel Conservatorio G. Cantelli di
Novara da anni suole concludere i corsi annuali
delle classi di questi strumenti: all’Auditorium
Olivieri, la sala concerti del Cantelli, sono
previsti sei concerti nel corso del mese .Il
Festival Fiati, con questi concerti, dà
l’opportunità di conoscere sia strumentisti in
genere poco noti a un pubblico di non
specialisti, ma di alta professionalià e di
buone qualità interpretative, sia autori, spesso
completamente, o quasi, assenti dalle sale da
concerto, magari dopo aver conosciuto una certa
popolarità ai loro tempi. Insomma si tratta di
concerti che attirano la curiosità di chi ami,
della musica c.d. classica anche esperienze
diciamo ‘secondarie’, ma che hanno pur sempre
contribuito alla storia della civiltà musicale.
Ieri sera, 5 maggio, era il turno del fagottista
Carlo Colombo, che affianca ad una intensa
attività orchestrale di primo fagotto, con
l’esordio nei prestigiosi Solisti Veneti e
l’approdo all’Orchestra dell’Opera Nazionale di
Lione, con esperienze in alcune delle più
importanti
orchestre europee, tra cui la
Filarmonica della Scala, un’attività didattica
al Conservatorio di Lione e all’Alta scuola di
Musica di Losanna. Colombo era accompagnato dal
pianista Giuseppe Miseferi (che vanta una buona
attività concertistica, e numerosi premi in
concorsi pianistici nazionali e internazionali
ed attualmente è docente al conservatorio di
Novara) e dal secondo fagottista, Davide
Fumagalli, suo allievo nella masterclass di
quest’anno. Il programma presentato ieri sera
proponeva autori otto-novecenteschi che
riteniamo sconosciuti alla grande maggioranza di
chi frequenta le sale da concerto: piuttosto
stranamente, l’impaginato era aperto da un pezzo
di Jules Demerssemant (1833-1866), che non fu
fagottista, ma, ai suoi tempi, celebre virtuoso
francese del flauto, per il quale lasciò
numerose composizioni, oggi sprofondate
nell’oblio. A titolo di mera curiosità diremo
che Demersseman, stroncato dalla tisi in giovane
età, fece in tempo a intuire l’importanza del
sassofono, di recente invenzione, tanto da
comporre una Fantasia per sassofono e
pianoforte, fra le prime, se non la prima,
composizione per questo strumento nella storia
della musica’colta’. Dunque di Demersseman
veniva proposta l’Introduction et Polonaise
op.30 per fagotto e pianoforte. Il più che
scarno programma di sala non precisava se si
tratta di composizione originale o di una
trascrizione da un originale per flauto. Dopo
l’introduzione in stile di toccata, la polonaise
si presentava come un pezzo di gradevole
cantabilità, con momenti di malinconico lirismo,
sottolineato dai passaggi al modo minore.
Colombo ha suonato con un suono morbido e dolce,
esprimendo tutta la cantabilità che anche un
fagotto sa offrire, con un’attenzione
particolare alle dinamiche e ai chiaroscuri del
suono; in questo è stato adeguatamente
accompagnato dal pianoforte di Miseferi, dal
tocco duttile e aderente ai diversi registri
della tessitura del fagotto. A seguire Tre
vocalizzi per fagotto di Marco Bordogni
(1789-1856), che fu uno dei massimi tenori
rossiniani e come Rossini si trasferì e morì a
Parigi. Il suo esordio sul palcoscenico avvenne
proprio a Novara nel 1808. Sospettiamo che anche
questi tre vocalizzi per fagotto di Bordogni
siano in realtà la trascrizione di originali per
trombone, essendo il tenore autore di “Studi
melodici per trombone” e non risultando sue
opere per fagotto. Ma, ripetiamo, il programma
di sala è totalmente insufficiente nelle
informazioni sui singoli pezzi dell’impaginato.
Anche questo pezzo vede il fagotto accompagnato
dal pianoforte, con funzione di puro appoggio
armonico allo strumento a fiato. I tre pezzi si
caratterizzano per un graduale intensificarsi
della densità ritmica dell’agogica, con un
crescendo dal tenero cantabile del primo ‘Vocalizzo’
ai rapidi passaggi e salti d’intervallo del
terzo. Una sorta di crescendo rossiniano per
fagotto, insomma, suonato con impeccabile
precisione e virtuosismo ammirevole dal Maestro
Colombo. Il terzo brano, il Souvenir de L’Italie.
Fantasie sur de motif de Donizetti op.30 è
invece opera di uno dei protagonisti della
storia del fagotto, un altro francese, Eugène
Jancourt (1815-1901): protagonista non solo per
il gran numero di pezzi (cameristici) composti
per il fagotto e per aver portato il virtuosismo
per questo strumento a livelli mai prima
raggiunti, ma soprattutto, forse, perché grazie
a lui e alle innovazioni da lui apportate alla
struttura dello strumento e in particolare al
sistema delle chiavi, nasce il fagotto moderno,
con quella varietà di registri timbrici e in
particolare un affinamento e un addolcimento
della tessitura più alta, che lo distinguono
nettamente dal più monocorde e aspro fagotto
barocco. Il pezzo di Jancourt, per fagotto e
pianoforte è un’infilzata un po’ banale e
scontata di arie celebri da opere varie di
Donizetti, tipica opera salottiera ottocentesca,
in cui il ‘nuovo’ fagotto è chiamato a far
mostra delle sue inedite capacità di canto,
gareggiando col belcantismo italiano . Brano
sicuramente di ascolto gradevole,
impeccabilmente eseguito da Colombo e Miseferi,
ma francamente piuttosto insignificante. Il
quarto, e più interessante degli autori in
programma era Francisco Paulo Mignone
(1897-1986) brasiliano, ma di origine italiana
(e anzi in Italia trascorse un periodo non breve
della sua vita, diplomandosi in composizione al
Conservatorio di Milano). Non fu fagottista, ma
eccellente pianista, direttore d’orchestra e
compositore; pressoché ignoto da noi, è
considerato uno dei più importanti compositori
brasiliani del ‘900, dopo H.Villa-Lobos. La
musica di Mignone è decisamente ispirata alla
musica popolare brasiliana, ma questa forte
impronta nazionalistica non le impedisce di
risentire anche di influenze italiane, in
particolare dalla lirica. Legato al sistema
tonale, non disdegnò tuttavia, soprattutto dopo
gli anni ’60, di misurarsi con il linguaggio
musicale delle moderne avanguardie, come
l’atonalismo e la serialità. Il programma della
serata proponeva di Mignone .una Modinha, dal
titolo Sonatas para dos Fagottes. La Modinha è
uno dei generi musicali popolari più antichi del
Brasile, risalendo al ‘600. Priva di una precisa
struttura formale, si caratterizza per una
melodicità fluida e tranquilla, velata della
tipica saudade brasiliana, la ‘malinconia’ delle
popolazioni afroamericane di quello sterminato e
affascinante Paese. La caratteristica che più
colpisce è l’oscillazione degli accenti dei
tempi forti: La Modinha di Mignone vede i due
fagotti intrecciarsi creando un suono molto
vario e sfaccettato, in cui non manca qualche
momento politonale. Un brano decisamente
suggestivo, anche per il vario gioco dei colori
dei due strumenti, molto efficacemente
realizzato dai due strumentisti. La serata
chiudeva con un fagottista americano
contemporaneo, Michael Campbell, di cui veniva
proposto Variation “Silver Threads Among the
Gold” (Fili d’argento nell’oro),per due fagotti
e pianoforte. Silver Threads è un tradizionale
song americano, creato intorno al 1870. Le
variazioni di Campbell sono del tutto scontate e
prevedibili, rigorosamente tonali e, ancora una
volta, sollecitano dal fagotto soprattutto la
capacità di canto, di sereno abbandono melodico.
Siamo al limite della c.d. musica leggera.
Inutile ripetere, ma ripetiamo volentieri, che
Colombo, Fumagalli e Miseferi hanno eseguito al
meglio questo pezzo, ma francamente si trattava
di un pezzo privo di qualunque spessore e motivo
d’interesse. Al termine del concerto non c’è
stato bis. Si è trattato, spiace dirlo, di un
concerto in cui l’indubbia preparazione degli
interpreti non ha potuto riscattare il livello,
generalmente assai modesto, del programma. Il
gran numero di poltrone vuote accentuava lo
stato d’animo di delusione di chi scrive. Una
serata non certo di quelle indimenticabili.
06-05-2023 Bruno Busca
Il pianista Louis
Lortie ai Pomeriggi
Musicali del Dal Verme
Grande successo al Dal Verme
per Louis Lortie, il pianista canadese che ieri
sera ha interpretato Mozart e Beethoven in veste
anche di direttore dell'Orchestra I Pomeriggi
Musicali. L'impaginato
prevedeva
il Concerto per pianoforte e orchestra n.12 K
414 e il n.15 K449 del salisburghese
e dopo l'intervallo, il Concerto n.4 op.58
del genio di Bonn. Un Mozart particolarmente
elegante quello di Lortie, ricco di colori caldi
e ottimamente integrato con le timbriche
orchestrali mediate dalla sua stessa direzione.
Il concerto in La maggiore, ancora più
perfetto nella sua linearità, ha trovato in
contrasto quello in Mi bem.maggiore,
forse meno eseguito ma con un Allegro non
troppo finale particolarmente ricco di
creativà. La splendida e "poetica"
interpretazione di Mozart, evidenziata ancor più
nei movimenti centrali - un Andante e un
Andantino dei rispettivi concerti- ha
avuto un netto cambio di registro nel celebre
Concerto
in Sol maggiore di Beethoven, un lavoro
caratterizzante la genialità del tedesco. Lortie,
ancora sostenuto molto bene da I Pomeriggi,
ha trovato il giusto dosaggio timbrico nelle
giuste dinamiche, e anche qui, nell'Andante
con moto centrale, ha restituito una
penetrazione espressiva di altissimo livello.
Esecuzioni complessive di alta qualità per un
artista che oltre ai favoriti compositori
francesi come Ravel o Debussy e i romantici,
Chopin prima di tutti, ha rivelato eccellenza
anche nei maggiori classici. Applausi sostenuti
dal numeroso pubblico intervenuto e come bis
solistico un ottimo celebre Adagio cantabile
dalla Sonata "Patetica" beethoveniana.
Sabato alle ore 17.00 la replica. Da non perdere!
5 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
Il Duo di
Emanuele
Rigamonti e Valentina Gabrieli al Museo del
Novecento
L'interessante concerto
ascoltato nel tardo pomeriggio
di ieri nella
panoramicissima Sala Fontana del Museo del
Novecento, organizzato dalla Società del
Quartetto in collaborazione con NoMus
e denominato " '900 italiano tra tradizione e
modernità", ha visto la
presenza
del duo cameristico formato da Emanuele
Rigamonti al violoncello e da Valentina Gabrieli
al pianoforte. La formazione, nata nel 2021, ha
impaginato un programma con pagine di Giancarlo
Facchinetti (1936-2017) con “Andante"(1965)
e “Pucciniana" (2013); di Rossano Pinelli,
con “Camminando" del 2022, in prima
esecuzione assoluta e dedicato al Duo
Gabrieli-Rigamonti; di Camillo Togni (1922-1993)
con la Sonatina op. 23 (1944); di
Giacinto Scelsi (1905-1988) con “Dialogo"
(1932); di Franco Margola (1908-1992) con
Sonata Breve in do (1951) e, a conclusione,
di Bruno Bettinelli (1913-2004) la Sonata
composta nel 1951. Il giovane duo
strumentale
ha dimostrato un'ottima intesa nel definire
composizioni differenti, brani introdotti da
Silvia Bianchera Bettinelli, moglie del noto
compositore e didatta milanese Bruno Bettinelli.
I brani più "tradizionali" del programma
ufficiale, Andante e Pucciniana di
Facchinetti, una sorta, quest'ultimo,
d'assemblaggio delle più note arie dalle opere
di Puccini, hanno trovato una resa melodica
intensa nelle mani di Rigamonti e nella precisa
armonizzazione della Gabrieli. Il brano
successivo, Camminando, dedicato al duo e
presentato dal compositore stesso, il bresciano
Rossano Pinelli, era particolarmente valido
nella riuscita costruzione armonico-melodica
giocata su
sensibili timbriche di raffinata
espressività che vogliono esprimere delicati
cambiamenti in una sorte di piacevole
passeggiata musicale. La successiva, più corposa,
Sonata op.23 del compositore bresciano
Camillo Togni, pur avendo una complessa
costruzione dodecafonica, ha anche una valida
resa melodica, defina bene dal violoncello nella
complessa armonizzazione pianistica, risolta con
efficacia dalla Gabrieli. Legato alla tradizione
vicina a Debussy o a Messiaen, l'intenso brano
Dialogo di Giacinto Celsi ed efficace il
più tradizionale e brevissimo, nel suo ottimo
sviluppo, Sonata Breve in do di Franco
Margola. L'ultimo brano in programma, la
Sonata di Bettinelli (1913-2004), presentata
sia dalla moglie Silvia che dal cellista, ha
rivelato le eccellenti qualità del compositore
che partendo da autori come Stravinskij o
Hindemith, ma anche dalla scuola dodecafonica,
ha trovato un linguaggio personale e incisivo di
eccellente resa costruttiva e timbrica nei tre
movimenti che compongono un lavoro che
meriterebbe più frequenti esecuzioni. Bravissimo
il giovane duo cameristico. Applausi
meritatissimi dal numeroso pubblico intervenuto
in Sala Fontana e ottimo il bis di Ildebrando
Pizzetti con il Canto n.3
03-05-23 Cesare Guzzardella
APRILE 2023
A VERCELLI TORNA PER IL
VIOTTIFESTIVAL LUIGI PIOVANO CON I GIOVANI
TALENTI DELLA CAMERATA
DUCALE JR.
Ieri sera, sabato 29 aprile,
il ViottiFestival di Vercelli si è trasferito
dall’abituale palcoscenico del Teatro Civico al
suggestivo Salone Dugentesco, riservato
d’abitudine alle serate della Camerata Ducale
junior, formata da giovani under 25 tra i
migliori sfornati dai Conservatori italiani,
selezionati dalla Camerata Ducale, e fatti
suonare in formazioni cameristiche, sotto la
guida di un affermato Maestro, che assolve la
funzione di preparatore e suona con i giovani
affidati al suo breve, ma preziosissimo
‘Master’. In questa veste di ‘Maestro
concertatore’, ieri sera si è rivisto e
riascoltato, con sommo diletto, quel Luigi
Piovano, il cui violoncello ci aveva emozionato
al Civico sabato scorso. Con lui, i giovani
Giulia Rimonda al violino (ricordiamo che Giulia
è ormai stabilmente spalla della Camerata Ducale),
Lorenzo Lombardo alla viola (che con il giovane
e ottimo Quartetto novarese Daidalos ha già alle
spalle una nutrita esperienza di concerti ed è
ormai stabilmente prima viola nella Camerata
Ducale)
e
il pianista Davide Ranaldi, ‘prodotto’ del
Conservatorio di Milano e con percorso formativo
con Romanovsky, anche lui non certo alla prima
comparsa in una sala da concerto. Il programma
proposto da Piovano e dalla Camerata Ducale
junior era impaginato monograficamente su due
celebri pezzi di J. Brahms: la Sonata per
violoncello e pianoforte n.1 in mi minore op. 38
e il Quartetto per pianoforte e archi n.2 in La
maggiore op.26. Entrambe opere giovanili di
Brahms, scritte quando l’autore aveva pochi anni
più di quelli che hanno attualmente questi suoi
giovani interpreti, e dunque particolarmente ‘in
tema’ con la serata. La Sonata op.38 n. 1
presenta una struttura piuttosto singolare, con
i primi due movimenti di carattere marcatamente
melodico-lirico e un terzo tempo finale
densamente contrappuntistico, con un ampio
fugato che si apre addirittura con un soggetto
che è una quasi-citazione dall’Arte della Fuga
di Bach. E’ una composizione, per intenderci,
che esalta e sfida le due grandi qualità che
Piovano ha dimostrato di possedere in abbondanza
nel concerto della scorsa settimana, una
straordinaria espressività e un altrettanto
straordinaria limpidezza e misura di suono e
fraseggio. Ne è uscito, grazie anche,
naturalmente, all’ottimo D. Ranaldi, che ha
dimostrato di aver fatto tesoro degli
insegnamenti di tanto Maestro, un’esecuzione
davvero eccellente di questo gioiello brahmsiano.
L’ascoltatore è già subito ‘rapito, dalle note
del primo dei tre temi principali dell’Allegro
non troppo iniziale, dalla tensione espressiva,
diremmo spirituale, del violoncello, nel suo
ascendere con un lirismo di straordinaria
intensità e gravità, dai registri gravi alle
zone più acute della tessitura, che in Piovano
hanno sempre una vibrazione e un colore tutti
particolari, quasi un palpito etereo. Ad un
livello di pari intensità espressiva il
pianoforte di Ranaldi, realizzata,
nell’esposizione del terzo tema del movimento,
con accordi di dolce limpidezza, che raggiungono
lo zenit del loro incanto nel soave dissolversi
della chiusa. Rigore nitido della forma, in un
tessuto contrappuntistico articolato e compatto
e vibrazione appassionata dell’espressione si
sono perfettamente conciliati
nell’interpretazione che Piovano e Ranaldi hanno
fornito dell’arduo Allegro finale della Sonata:
I due interpreti hanno conferito un rilievo
particolare al vigoroso contrasto tra i due
strumenti, da cui, appunto, scaturisce la
particolare ispirazione appassionata
dell’insieme. Un’interpretazione, pertanto,
capace di mantenere con coerenza l’unità
dell’intero pezzo intorno ad una linea di
marcata espressività, nelle sue varie sfumature,
dal lirico all’appassionato. Tutta la Sonata, e
in particolare questo tempo finale, sono stati
eseguiti con una precisione del dettaglio,
armonico e timbrico e con una accuratezza delle
dinamiche, che hanno permesso lungo tutto il
percorso esecutivo, un fraseggio inciso con
luminosa chiarezza e ricchezza di sfaccettature
nel colore e nell’armonia. I frutti più
significativi e suggestivi della preparazione
condotta da Piovano si sono naturalmente visti
nel brano più ampio (per numero di esecutori, ma
anche per vastità di concezione musicale) e
complesso della serata, il Quartetto per
pianoforte e archi in La maggiore. La lettura
complessiva che la Camerata Ducale Junior e il
suo mentore Piovano hanno dato di questa ‘opera
meravigliosa,
com’ebbe a definirla Clara Schumann, ha saputo
pienamente portarne alla luce la particolare ‘poesia’.
Una poesia che i giovani interpreti e il loro
Maestro hanno espresso realizzando con la
massima efficacia le due linee di forza di
questa partitura: la finezza con cui l’intreccio
delle quattro voci strumentali apre il ventaglio
delle più varie e delicate soluzioni timbriche,
e i contrasti accentuati sia sul piano agogico,
sia su quello dinamico; basti pensare alla
contrapposizione tra parti di impetuoso vigore
(come gran parte dello sviluppo dell’Allegro non
troppo iniziale) o di trascinante ritmicità (
come il tema principale, all’ungherese, del
finale Rondò) e la rarefatta atmosfera di
sognante lirismo che impregna il Poco adagio in
seconda posizione. Ma il contrasto, in un Brahms
ancora fortemente impregnato di romanticismo
schumanniano, è, si può dire, quasi presente
nelle più intime fibre di questo splendido fiore
musicale, dove i momenti di più abbandonata
serenità improvvisamente generano, dal loro
stesso svolgimento, le più inquietanti ombre di
una cupa e inesplicabile angoscia, un
affacciarsi sull’abisso del nulla: su tutti, il
Poco Adagio, dove l’incanto del dolce lirismo
dell’inizio lascia il posto a un fluire di note
affidato al pianoforte, in un Si minore che
qualcuno ha definito un “grido lacerante”.
Ancora una volta, cura meticolosa del dettaglio
timbrico, armonico, dinamico, scelta perfetta
dei tempi, costante scavo espressivo nella
partitura, limpidezza e chiarezza di suono e di
fraseggio, sono le qualità dell’interpretazione
di Piovano, e dei tre giovani che ieri hanno
avuto il privilegio di suonare con lui, che
hanno permesso agli ascoltatori di vivere
l’emozione di questo mondo musicale così
complesso e profondo, nella continua dialettica
delle sue luci e delle sue ombre, della festa
della vita e del mistero che la minaccia. Ma era
pure emozionante, per chi era presente a questo
magnifico concerto, osservare questi tre giovani,
riuniti intorno al loro Maestro, da lui guidati,
dare vita ad una vera e propria piccola comunità
musicale, unita nell’entusiasmo di dare voce
alla bellezza. Il violino di Giulia Rimonda,
superbo nella sua eleganza e purezza di suono e
capace di svariare con eguale limpidezza dalle
parti agogicamente più intense a quelle di più
profonda e delicata connotazione espressiva; la
viola di Lorenzo Lombardo, che nei variegati
impasti timbrici degli archi ha cavato al meglio
il timbro che Brahms chiedeva a strumenti come
la viola o il clarinetto, quella ‘tinta media,
fatta di un brunito sfumato e indefinito,
dolcemente malinconico, che è il ‘colore’ della
musica di Brahms; il pianoforte di Ranaldi, che
eccelle nell’affrontare le più varie soluzioni
espressive che la partitura propone alla
tastiera, ma si supera nell’interpretazione del
cupo e denso secondo tema dell’Adagio, cui
accennavamo dianzi.. Tre giovanissimi che non
solo suonano, ma esplorano ed esprimono quel che
di indicibile vibra in ogni suono della musica,
interpretato con sensibilità, intelligenza,
cultura. A loro va il nostro apprezzamento più
vivo e la certezza che il futuro riserverà loro
successo e tante soddisfazioni. Al loro Maestro
concertatore, L. Piovano, i complimenti e la
gratitudine per avere preparato i tre ragazzi a
lui affidati ad un livello così alto di qualità
interpretative. Gli scroscianti applausi del
gran pubblico presente nel Salone hanno ottenuto
come bis una parte dell’Andante (ci sembra), del
terzo quartetto per pianoforte e archi, l’Op.60
in do minore: Altra splendida interpretazione,
di un dolcissimo, ma mai rugiadoso, lirismo,
dedicata da Piovano “a coloro che amano”:
l’op.60 fu un regalo di Johannes a Clara
Schumann. Parecchi minuti sono durati gli
applausi di un pubblico visibilmente emozionato
dal concerto. Noi abbiamo lasciato ieri sera
Vercelli con una certezza ed una speranza: la
certezza che questa serata rimarrà tra i nostri
ricordi e la speranza di poter riascoltare il
magico violoncello di Luigi Piovano.
30 aprile 2023 Bruno Busca
Timur
Zangiev con la
Filarmonica della Scala per
Čaikovskij e Šostakovič
Ancora un meritato successo
alla Scala per Timur Zangiev, il direttore russo
ventinovenne salito alla ribalta lo scorso anno
sostituendo Valer y
Gergiev, del quale era assistente, alla guida
dell'Orchestra scaligera per la Dama di Picche,
opera dove ottenne un
personale meritato
successo, facendoci dimenticare, per alcune
serate, il suo Maestro. Ieri sera, alla seconda
replica, in un teatro colmo di pubblico abbiamo
ascoltato Zangiev e scoperto un eccellente
direttore sinfonico. È
stato alla guida della Filarmonica della Scala
per due Sinfonie n.5: quella in mi
minore op.64 di
Čajkovskij
e quella in re minore op.47 di
Šostakovič. Due lavori orchestrali distanti tra
loro quasi cinquan'anni, essendo stato il primo
composto nel 1888 e il seconda nel 1937. Sono
sinfonie che hanno in comune un'vidente
drammaticità anche se
espressa con modalità differenti. Entrambe molto
eseguite, hanno trovato col direttore russo una
restituzione cupa, intensamente ricca di
elementi drammatici, espressi con colori
avvolgenti nelle dinamiche molto articolate. La
Filarmonica della Scala è riuscita, sotto la
direzione di Zangiev, ad
esprimere il mondo musicale di provenienza del
giovane talentuoso direttore. Nella Sinfonia di
Čaikovskij l'ottima ampia sezione degli archi ha
trovato contrasto con le volumetriche
percussioni. Maggiore l'equilibrio complessivo
nella Sinfonia di Šostakovič, con rese di ottima
qualità in ogni sezione
orchestrale e con importanti interventi
solistici, come ad esempio l'intenso violino di
Laura Marzadori. Applausi meritatissimi
sostenuti e ripetuti a Zangiev
e alla Filarmonica. Ricordiamo il prossimo
importante concerto sinfonico previsto per il
18-19 e 20 maggio con Riccardo Chailly che
dirige la monumentale Sinfonia dei mille
di Gustav Mahler. (Foto di Brescia e
Amisano dall'Archivio della Scala)
29 aprile 2023 Cesare
Guzzardella
Nicolas
Giacomelli per "il
Pianoforte in Ateneo" dell'Università Cattolica
"Il Pianoforte in Ateneo", la
manifestazione musicale dedicata al pianoforte è
tornata all'Università Cattolica del Sacro Cuore
con il secondo appuntamento che ha visto sulla
tastiera del prestigioso Shigeru Kawai le mani
di Nicolas Giacomelli. La Kawai Italia e
l'Università Cattolica e i promotori della
rassegna, il Maestro Davide
Cabassi
e il Prof. Enrico Reggiani, direttore dello
Studium Musicale di Ateneo, sono ancora riusciti
a portare al successo i concerti individuando
talenti importanti, alcuni già affermati, altri,
cone Giacomelli, che stanno entrando nel giro
concertisto importante. Il venticinquenne
pianista bolognese ha recentemente vinto il
Concorso Shigeru Kawai nell'edizione
italo-spagnola e parteciperà prossimamente a
quello internazionale giapponese. Ieri sera, di
fronte a un nemerosissimo pubblico, ha
presentato due lavori simili nell'organizzazione
dei brani: la celebre Kreisleriana op.16
di Robert Schumann (1810-1856), nella sua
scansione in otto parti e il raro Forgotten
Melodies op.38 di Nikolaj Medtner
(1880-1951), otto brani autonomi nel soggetto
principale ma con il tema iniziale del primo
brano- quello più celebre-, la Sonata
Reminiscenza, riconoscibile in alcune brani
e ripreso nell'ultimo, Alla reminiscenza.
Giacomelli ha rivelato qualità interpretative di
alto livello in entrambi i lavori. Oltre alla
totale padronanza tecnica
delle
situazioni spesso molto virtuosistiche, anche
nell'espressività ha saputo rendere al meglio
ogni frangente con escursioni dinamiche
accentuate e momenti di profonda riflessività,
specie in Schumann. L'eccellente pianoforte,
purtroppo nelle timbriche non assistito
pienamente dai volumi riverberanti della
bellissima Aula Magna, ha comunque messo in luce
le qualità eccellenti di Giacomelli, interprete
che ha trovato un pubblico entusiasta al termine
di ogni esecuzione. I brani sono stati
anticipati da interventi di presentazione del
pianista da parte di Cabassi e da valide analisi
musicologiche del Prof. Reggiani. Giovedì, 11
maggio, è la volta di Andrea Lucchesini con la
Fantasia op.17 di Schumann. Da non perdere.
28 aprile 2023 Cesare
Guzzardella
"Milano è memoria"
in Conservatorio con i giovanissimi Silvia
Borghese e Sebastiano Benzing
Il 25 aprile Sala Verdi in
Conservatorio, per la seconda edizione di "Milano
è memoria", ha trovato come protagonisti due
giovani
interpreti:
la violinista Silvia Borghese e il pianista
Sebastiano Benzing, quest'ultimo vincitore nel
2022 del Premio del Conservatorio per la
sezione musica da camera. Il concerto oltre a
celebrare l'annivarsario della liberazione dal
nazi-fascismo era anche in memoria di Marco
Budano, giovane studente di violoncello
scomparso prematuramente. La mattinata prevedeva
brani di Brahms e di Bartók. Il celebre
Scherzo dalla Sonata F.A.E. e la
Sonata n.3 in re minore per violino e pianoforte
op.108 del musicista amburghese hanno
preceduto la Rapsodia n.1 per violino e
pianoforte Sz86 dell'ungherese Béla Bartók. Le
interpretazioni ascoltate hanno messo in risalto
le qualità di entrambi gli interpreti:
l'approccio
pianistico
sicuro e preciso di Benzing nel sottolineare le
armonie brahmsiane e l'ottima scansione ritmica
elargita nella Rapsodia bartòkiana ha trovato
poi anche l'intensa melodicità violinistica di
Silvia Borghese, strumentista dalla perfetta
intonazione che abbisogna solo di consolidare
maggiormente le volumetrie del suo strumento, ma
che produce un'evidente bellezza coloristica. Un
duo di ottima qualità complessiva quindi, che va
seguito nella naturale crescità musicale.
Applausi sostenuti dal numeroso pubblico
intervenuto in Sala Verdi e come bis la
ripetizione del bellissimo Presto agitato
della sonata brahmsiana. Bravissimi.
26 aprile 2023 Cesare
Guzzardella
Il Rach
Festival è
arrivato al concerto conclusivo di
Romanovsky e Flor
Si è concluso ieri pomeriggio
in Auditorium il Festival dedicato a Rachmaninov
per i 150 anni dalla nascita, che ha visto
l'esecuzione dei quattro concerti per pianoforte
e orchestra e altre importanti
composizioni
del musicista russo. Il conclusico Concerto
n.4 per pianoforte e orchestra in Sol minore
op.40 è stato seguito poi dalle Danza
Sinfoniche op.45. Al pianoforte Alexander
Romanovsky e alla direzione dell'Orchestra
Sinfonica di Milano, Claus Peter Flor, impegnati
in questo e in tutti i concerti dei giorni
scorsi. L'Op.40, composta nel 1926 e
rivista nel 1941, è la meno esguita tra i
concerti pianistici di Rachmaninov ma certamente
il lavoro meno romantico e con caratteristiche
più vicine ai nuovi mutamenti musicali del
periodo. Il notevole virtuosismo, soprattutto
nell'Allegro vivace, terzo e ultimo
movimenti del concerto, ha trovato sicura
risoluzione nelle mani di Romanovsky che,
ottimamente diretto da Flor, ha ancora
interpretato con alta qualità il difficile
lavoro. L'Auditorium, colmo di pubblico,
ha
tributato al termine fragorosi applausi agli
interpreti e Romanovsky ha concesso due bis:
prima Elegie op.3 n.1 sempre di
Rachmaninov e poi lo Studio n.12 Op.25 di
Chopin, entrambi eseguiti con sicurezza ed
efficace espressività. Dopo l'intervallo le più
celebri Danze sinfoniche composte nel
1940, brano conosciuto anche nella versione per
due pianoforti, ha trovato un'ottima esecuzione
orchestrale diretta con maestria e dovizia di
dettaglio da Flor. Ancora fragorosi gli applausi.
Un Festival particolarmente riuscito e con
grande affluenza di appassionati.
24 aprile 2023 Cesare
Guzzardella
IL
VIOLONCELLO DI LUIGI PIOVANO AL VIOTTIFESTIVAL
DI VERCELLI
Il nuovo appuntamento, al
Teatro Civico di Vercelli, con il Viottifestival,
ieri sera 22 aprile, vedeva protagonista Luigi
Piovano, nel duplice ruolo che questo celebre
violoncellista è ormai venuto assumendo negli
ultimi anni sulla scena della musica ‘classica’
italiana (e non solo): solista e direttore. Al
suo violoncello e alla sua direzione
dell’orchestra Camerata Ducale era infatti
affidata l’esecuzione del primo dei due brani
dell’impaginato, il Concerto per violoncello
n.1 in mi bemolle maggiore op.107 di D.
Schostakovic; Piovano, deposto l’arco, restava
poi sul podio per dirigere il secondo pezzo del
programma, la Suite da concerto dalla
musica per balletto Pulcinella, di I.
Stravinsky. Rileviamo il fatto che, tra i
numerosi solisti che si dedicano anche alla
direzione orchestrale, un violoncellista è
figura piuttosto rara, a sottolineare la
particolarità della figura di Piovano, che oltre
a essere da circa trent’anni una delle colonne
dell’Orchestra Filarmonica di S. Cecilia nella
parte di primo violoncello, ha svolto una vasta
e prestigiosa carriera di solista cui da alcuni
anni, appunto, affianca anche la direzione
orchestrale. Il concerto di Schostakovic ieri
sera in programma, divenuto ultimamente uno dei
pezzi preferiti di Piovano, composto nel 1959, è
senz’altro uno dei vertici della produzione del
grande compositore russo-sovietico e, più in
generale, della musica per violoncello. E’ una
composizione di notevole complessità di registri
espressivi, con passaggi di notevole difficoltà
per l’interprete. Come in una sinfonia di
Mahler, autore che costituì un riferimento
costante per il miglior Schostakovic, questo
concerto è un mondo in cui coesistono i più
disparati e contraddittori aspetti: dal più
struggente ripiegamento
lirico
e soggettivo, al brivido di un’ angoscia che
affiora e serpeggia quando meno te l’aspetti, al
grottesco, fatto di un umorismo acre e
sarcastico che trova alcuni dei suoi momenti
culminanti, nei ritmi bandistici su cui talora
marcia la sua musica, fin dal primo tema
dell’Allegretto iniziale: un ritmo bandistico in
cui, come scriveva Adorno di Mahler, “senti
marciare i morti, che ti osservano col loro
ghigno beffardo”. Il violoncello di Piovano, un
Francesco Ruggeri del 1692, offre splendidamente
il suo suono a tutta la contrastante varietà di
questo coro dissonante e contraddittorio,
interloquendo con rara efficacia con gli altri
strumenti dell’orchestra, in particolare, col
corno di Natalino Ricciardo, che talvolta assume
il ruolo di vera e propria ‘seconda voce’
accanto a quella solistica, con uno splendido
suono, che trascorre dalla limpida chiarezza dei
momenti ‘bandistici, a un colore più livido e
cupo. Toccante l’intensità della melodia del
tema principale del secondo movimento, resa al
meglio l’inquietudine del finale Rondò sonata,
cui Piovano, con l’acido timbro del suo Ruggeri,
conferisce un tono allucinato e straniante. Il
momento culminante del Concerto per il solista è
però il terzo movimento, un’ampia cadenza, in
cui il violoncello, nella sua solitudine, si
misura con le più ardue difficoltà tecniche, da
passaggi per ampi intervalli sulle doppie corde,
a momenti addirittura polifonici, a lunghe
sequenze e scale di brevi note (semicrome e
biscrome) trascinate da un’agogica incalzante,
il tutto affrontato con una disinvoltura che non
può non suscitare ammirazione. In generale
l’interpretazione che Piovano ha dato di questo
capolavoro ha puntato su un’espressività marcata,
conservando allo stesso tempo una tersa pulizia
nel suono del violoncello e nelle linee
strumentali dell’insieme orchestrale, con un
fraseggio che si mantiene sempre limpido anche
nei passaggi più densi, dai quali spicca la cura
rigorosa del dettaglio timbrico, del disegno
tematico, del vario gioco delle voci strumentali:
su tutti, citiamo ad esempio la splendida
conclusione del Moderato (II tempo), con
quell’atmosfera di rarefazione incantata, di
timbri purissimi, in cui l’ascoltatore, cullato
dal calmo ondeggiare dei violini in sordina e
dalla soavità trascendentale della celesta, è
accompagnato in un sogno, turbato dal remoto, ma
inesorabile rullo dei timpani Equilibrio
perfettamente realizzato, dunque, tra esecuzione
‘tecnica’ e interpretazione, il cui merito
spetta naturalmente anche alla Camerata Ducale
che ha fatto sfoggio di un’ottima intesa col
solista, adattando il suo caratteristico suono ‘cameristico’
e sempre controllato, alle esigenze espressive
della composizione e dello stile interpretativo
di Piovano, sia nella sezione degli archi, dal
profilo incisivo e di netto disegno, in cui i
primi violini sono guidati da
quell’impareggiabile spalla che è ormai Giulia
Rimonda, a quella dei fiati, dai legni al corno,
impegnati in un dialogo serrato col solista.
Qualche tempo fa leggemmo in una recensione di
questo concerto eseguito a Milano da Piovano che
si tratta di un’interpretazione “di riferimento”:
condividiamo e sottoscriviamo. Agli applausi
torrenziali di un pubblico giustamente
entusiasta, Piovano e l’orchestra hanno concesso
un solo bis, brevissimo: il famosissimo “Volo
del calabrone” dall’opera “Lo zar Saltan” di
Rimskij Korsakov, dove, ovviamente, ha brillato
il virtuosismo del solista e dell’orchestra. La
Suite per orchestra “Pulcinella”, ha portato gli
ascoltatori in un mondo musicale totalmente
diverso da quello del concerto di Schostakovic.
Com’è noto, la Suite Pulcinella, composta agli
inizi degli anni ’20 del ‘900, segna la nascita
di un movimento musicale di reazione alle
innovazioni dell’avanguardia viennese, col suo
atonalismo radicale e la sua dodecafonia, in
nome di un recupero della tradizione, noto come
Neoclassicismo, che influenzò numerosi
compositori tra gli anni ’20 e ’30 del secolo
scorso, assumendo aspetti diversi. In Stravinsky
il Neoclassicismo assume perlopiù un aspetto ‘ludico’,
cioè diventa piacere di giocare con la musica
altrui. Il Pulcinella si ‘rifà’ alla musica di
Pergolesi (benchè molti dei pezzi che Stravinsky
credeva di Pergolesi, in realtà siano opera di
altri compositori), in generale al ‘700 della
grazia, della galanteria, della raffinata
eleganza rococò, riprendendone lo spirito,
naturalmente calato in un linguaggio musicale
novecentesco, con le sue irregolarità armoniche,
le sue melodie talvolta rese un po’ ‘sbilenche’
da qualche ornamento moderno etc. Su tutto, il
sorriso ironico di chi sa di stare giocando con
un delizioso anacronismo. L’interpretazione
fornita dalla Camerata ducale guidata da Luigi
Piovano è perfettamente adeguata: ‘leggiadro’ è
il primo aggettivo che ci viene in mente per
definire il tono generale di questa
interpretazione. Gli otto movimenti in cui è
suddivisa questa Suite, nel dialogo incessante
tra il concertino e il ‘ripieno’ dell’orchestra,
secondo lo schema del Concerto grosso barocco,
fluiscono con una leggerezza e limpidezza senza
pari, illuminate dalla vena di ironia sottile e
malinconica a un tempo, che serpeggia per tutta
la composizione. Quella nettezza di fraseggio,
quella cura del dettaglio timbrico, quel rigore
nel rilievo conferito alle singole linee
strumentali, che già sottolineammo a proposito
del Concerto di Schostakovic, qui si fanno pura
eleganza e raffinatissima trasparenza
dell’espressione musicale. Ancora una volta un
esempio, tra i tanti che si potrebbero citare:
il secondo movimento, la Serenata (larghetto),
suonata con una misura, una delicatezza negli
impasti timbrici, un’aerea finezza di fraseggio,
un suggestivo chiaroscuro delle dinamiche, quali
raramente abbiamo ascoltato. E’ ‘un’interpretazione,
questa di Piovano e della Camerata Ducale, che
ci pare colga bene l’aspetto più affascinante
del Pulcinella: la sensazione che il mondo
musicale che lo ispira, non venga tradito e
alterato, ma rivissuto con la tenerezza e la
lieve malinconia, con cui si rivive
un’esperienza per sempre chiusa, ma che contiene
il segreto e misterioso potere di avvincerci
ancora. Lunghi applausi hanno accolto questo
concerto, tributati da un pubblico, come sempre
accorso numeroso, non solo da Vercelli e
dintorni. Una serata da ricordare.
( Foto dall'Ufficio Stampa di Vercelli)
23-04-2023 Bruno Busca
I Concerti
dell'Accademia
diretti da Marco Angius nel Ridotto
"A.Toscanini" del Teatro alla Scala
Per I Concerti
dell'Accademia, ieri ,
nel Ridotto dei Palchi
"A Toscanini",
l'Ensemble "Giorgio Bernasconi"
dell'Accademia del Teatro alla Scala,
diretta da Marco Angius, con la presenza di
alcune
voci dell'Accademia di perfezionamento
per cantanti lirici, hanno tenuto un concerto
con brani di Hosokawa, Berio, Purcell-Berio e
Monteverdi-Berio. Il direttore Angius da molti
anni è specializzato nel repertorio novecentesco
e contemporaneo e anche ieri ha scelto un
impaginato importante che prevedeva come brano
introduttivo un lavoro di Toshio Hosokawa, Im
Frühlingsgarten per 9 strumenti. Hosokawa,
compositore giapponese nato ad Hiroshima nel
1955, è autore fecondo di musica strumentale e
lirica che unisce gli stilemi orientali con
quelli occidentali. Anche in Im
Frühlingsgarten, le chiare sonorità espresse
dai nove
giovani e bravissimi strumentisti hanno
messo in rilievo il legame tra le due antiche
culture. L'introduzione del lavoro, col flauto
ricco di glissando di Maria Carla Zelocchi,
sostenuti dagli altri strumenti in una meditata
tensione coloristica hanno portato ad una valida
interpretazione mediata ottimamente da Angius.
Il secondo lavoro era Concertino per
clarinetto, violino, arpa, celeste ed archi,
lavoro di Luciano Berio del 1950, quando il
compositore ligure era ancora studente nel
Conservatorio di Milano nella classe di
Giorgio
Federico Ghedini. Un brano giovanile di Berio
particolarmente riuscito, dove emergono gli
strumenti solisti, specie l'ottimo limpido
clarinetto solista di Greta Ferrario.
L'esecuzione finale, la più estesa, ha unito il
breve Hornpipe di Henry Purcell, nella
rivisitazione per arpa, flauto, clarinetto,
percussione clavicembalo, viola e violoncello di
Berio, a Il Combattimento di Tancredi e
Clorinda di Claudio Monteverdi-L.Berio. Qui
le voci dei bravissimi studenti della Scuola di
perfezionamento scaligera con Greta Doveri
in
Clorinda, Sung-Hwan Damien Park in
Tancredi e Paolo Antonio Nevi, voce
recitante, sono emerse nell'ottima
interpretazione strumentale di Berio curata con
ricchezza di dettagli da Marco Angius e
dall'ottima regia per l'azione scenica di
Clorinda e Tancredi. Applausi sostenuti
meritatissimi dal numerosissimo pubblico
intervenuto alla Scala. Splendida iniziativa.
22 aprile 2023 Cesare
Guzzardella
Benjamin Bayl
dirige l'Orchestra "I
Pomeriggi Musicali" in Schubert, Méhul e Mozart
Un programma classico tutto
sinfonico quello ascoltato all'anteprima del
mattino al Dal Verme. Schubert, Méhul e Mozart,
per tre brani del
classicismo
di fine '700 o di primissimo '800. L'Ouverture
in Sol minore D 668 di Schubert ( 1797-1828)
originariamente per pianoforte a 4 mani,
composta nel 1819, l'abbiamo ascoltata
nell'orchestrazione di Giulio Castronovo, in
prima esecuzione assoluta, e ci ha portato nel
tipico linguaggio del compositore viennese
ritrovato, nelle timbriche, dall'ottima
trascrizione orchestrale risultata
particolarmente equilibrata nelle dolci sonorità.
L'ottima e rara Sinfonia n.1 in Sol minore
del francese Étienne Nicolas Méhul
(1763-1817) è del 1808 e risente nella
costruzione degli insegnamenti di Mozart e di
Beethoven. Un lavoro in quattro movimenti con un
delizioso
Scherzo in pizzicato ed un finale in
Allegro agitato, pulsante e costruito
sapientemente da un compositore molto apprezzato
da Mendelsshon e da Schumann. La Sinfonia
n.41 in do maggiore Jupiter K 551 di Mozart
(1756-1791) è tanto celebre quanto
rappresentativa del compositore di Salisburgo
con il Molto allegro finale che svetta
per sapienza polifonica. Ottime le
interpretazioni del direttore
olandese-australiano Bayl che ha ben delineato,
con chiarezza espressiva, i tre lavori ben
eseguiti dai bravissime de I Pomeriggi.
Incisività e resa più appariscente nei due
movimenti finali delle rispettive sinfonie.
Questa sera, alle ore 20.00 la prima ufficiale e
sabato, alle 17.00, la replica. Da non perdere.
20-04 23 Cesare Guzzardella
ll Quartetto Adorno
e Alessandro Carbonare per la Società dei
Concerti
Il classico e splendido
impaginato proposto ieri sera in Conservatorio
per il concerto cameristico organizzato dalla
Società dei Concerti prevedeva due noti
brani quali il Quartetto per archi "La Morte
e la
fanciulla"
D810 di Franz Schubert e il Quintetto in
si minore per clarinetto ed archi op.115 di
Johannes Brahms. A sostenere i lavori il
Quartetto Adorno con il clarinettista Alessandro
Carbonare in Brahms. Il melodicissimo quartetto
di Schubert (1797-1828) è stato scritto nel 1826
e pubblicato postumo. L'ottima resa
interpretativa del Quartetto Adorno, è stata
giocata su un'intesa perfetta dei protagonisti,
per un'interpretazione sostenuta negli andamenti,
precisa e dettagliata e con colori morbidi
ricchi di vibrato soprattutto nell'eccellente
primo violino. Ricordiamo la nota formazione
cameristica, affermata internazionalmente, con
Edoardo Zosi, violino, Liù Pelliciari,
violino, Benedetta Bucci, viola e
Stefano Cerrato, violoncello. Dopo il
breve intervallo, l'aggiunta del brillante
clarinettista
Alessandro
Carbonare -da vent'anni primo clarinetto
dell'Orchestra dell'Accademia Santa Cecilia- ha
permesso ancora un'interpretazione di altà
qualità per il Quintetto brahmsiano. È un brano
appartenente all'ultimo periodo creativo del
compositore amburghese (1833-1897), datato 1892.
Interpretazione particolarmente equilibrata
quella ascoltata, con eccellenze nel bellissimo
Adagio dove il clarinetto ha un ruolo
importante e nel sostenuto Finale. Eccellente
l'integrazione delle precise ed espressive
sonorità di Carbonare con i quattro
archi. Applausi calorosi al termine e un
brevissimo bis con un frammento mozartiano.
20 aprile 2023 Cesare
Guzzardella
Presentata la Seconda
edizione del "Premio Internazionale
Antonio Mormone" dedicato al violino
È stato
presentato questa mattina in Sala Alessi, al
Piermarini, la seconda edizione del "Premio
Internazionale Antonio Mormone" questa volta
dedicato al violino, alla presenza del Sindaco
di Milano Giuseppe Sala, del Presidente della
Regione Lombardia Attilio Fontana,
dell'Assessore alla Cultura di Milano
Tommaso
Sacchi, del Direttore artistico Edoardo Zosi,
del Presidente della Società dei Concerti Enrica
Ciccarelli, del direttore del Conservatorio
Massimiliano Baggio e del Sovraintendente del
Teatro alla Scala Dominique Meyer.
Riconoscere il musicista veramente "artista" non
quello più "atletico". Queste le finalità
del Concorso violinistico espresse con chiarezza
dal direttore artistico Edoardo Zosi, noto
violinista internazionale, nell'attribuire il
prestigioso "Premio Mormone" giunto alla seconda
edizione, dopo quello avente come protagonista
il pianoforte, vinto da Ying Li nel 2022. Il 15
aprile 2025 saranno resi noti i nomi dei tre
finalisti che il 19 giugno si esebiranno con il
violino Carlo Ferdinando Landolfi del 1757,
facente parte della collezione di violini
antichi del Conservatorio G. Verdi di Milano. La
proclamazione del vincitore avverrà il 22 giugno
2025 al Teatro alla Scala con la partecipazione
dell'Orchestra dell'Accademia del Teatro alla
Scala. Un premio molto importante quindi, alla
memoria di un grande scopritore di talenti,
amante della musica e organizzatore musicale
quale Antonio Mormone.
19 aprile 2023 C.G
Ancora meritato
successo
alla
Scala per Li zite 'ngalera di Leonardo
Vinci
Successo meritatissimo alla
quarta e penultima rappresentazione della
commedia in tre atti Li zite 'ngalera di
Leonardo Vinci su libretto di Bernardo
Suddumene. Il testo, in napoletano antico,
recitato e cantato dall'ottimo cast vocale ha
trovato l'ottima regia di Leo Muscato,
mentre la
musica composta nel 1722 del calabrese Vinci -
massimo interprete insieme a Leonardo Leo della
scuola napoletana - eseguita su strumenti
originali, ha visto l'eccellente concertazione
di Andrea Marcon, specialista del repertorio
barocco e non solo. L'ottima resa orchestrale,
con alcuni bravissimi strumentisti
dell'Orchestra del Teatro alla Scala uniti ad
altri de La Cetra Barockorchester, ha
sottolineato con efficacia le chiare voci dei
protagonisti in una commedia divertente dove la
componente di recitazione risulta essere spesso
maggioritaria nell'evidenziare il clima ricco di
ironia tipico della migliore napoletanità. Come
sempre accade per le messinscene migliori - e la
tradizionale Li zite 'ngalera
(i
fidanzati in galera) è certamente una di queste-
la sinergia tra tutte le componenti di qualità
determina i migliori risultati. Tutti bravi i
protagonisti - molti en travesti - che
citiamo: la desiderata Francesca Pia Vitale in
Ciomma Palummo, il divertente Raffaele
Pe, Ciccariello, Francesca Aspromonte,
Carlo Celmino, Chiara Amarù, Belluccia
Mariano, Filippo Morace, Federico Mariano,
Alberto Allegrezza, Meneca Vernillo,
Filippo Mineccia, Titta Castagna, Marco
Filippo Romano, Rapisto, Antonino
Siracusa, Col'Agnolo, Matias Moncada,
Assan e Fan Zhou, na schiavotella.
Validi l'ambientazione incorniciata di Federica
Parolini ben illuminata da Alessandro Verazzi e
i costumi di Silvia Aymonino. Ultima replica per
il 21 aprile. Assolutamente da non perdere!( Foto di Brescia-Amisano dall'archivio del
Teatro alla Scala)
19 aprile 2023 Cesare
Guzzardella
Presentato alla Scala la 32°
edizione del Festival Milano Musica
È stato presentato nel
Ridotto del Teatro alla Scala il 32°
"Festival Milano Musica" , manifestazione di
musica contemporanea che quest'anno ha come
denominazione "Azioni fuggitive" e che si
svolgerà dal 5 maggio al 10 giugno in moltissimi
ambienti centrali e periferici della città di
Milano. Sono oltre 20 gli appuntamenti con
concerti sinfonici, cameristici, di musica
elettronica e video, tra cui 12 prime esecuzioni
assolute e 16 in prima italiana. I luoghi
preposti, oltre il Teatro alla Scala, saranno il
Conservatorio di Milano, la Fabbrica del Vapore,
Palazzo Reale, Pirelli Hangar Bicocca, il MEET
Digital Culture Cente e il Teatro Elfo-Puccini.
Grandi compositori del passato tra cui Ligeti,
Maderna, Xenakis, Zimmermmann, Tekemitsu ecc.,
saranno esegiiti insieme a compositori di oggi
quali Battistelli, Benjamin, Cacciatore, Poppe,
Sciarrino, Illés, Smolka, Kourldianski. Molti
concerti saranno trasmessi in diretta o in
registrata da Rai Radio3. Alla presentazione di
ieri in tarda mattinata sono intervenuti il
Sovrintendente del Teatro alla Scala
Dominique Meyer che ha introdotto l'incontro,
il Presidente di Milano Musica Rosellina
Archinto, la Direttrice di Milano Musica
Cecilia Balestra, la Direttrice del settore
spettacolo del Comune di Milano Isabella
Menichini, il Consulente artistico di Milano
Musica (2014 -2023) Marco Mazzolini e il
violinista Francesco D'Orazio. In sala
anche Paolo Petazzi, prossimo consulente
artistico di Milano Musica (2024-2026).
Quest'anno è attesa una programmazione
particolarmente interessante per qualità e
diversificazione dei contenuti musicali. Ottime
opportunità con gli abbonamenti all'intera
manifestazione.
19 -04 -2023 Cesare
Guzzardella
A NOVARA IL GIOVANE TRIO
GOLDBERG IN CONCERTO
Ieri sera 18 aprile, presso
l’Auditorium Dedalo a Novara, si è tenuto un
concerto di musica da camera che ha visto
protagonista il giovane Trio Goldberg, giovane
sia perché costituitosi appena due anni fa, sia
per l’età dei suoi membri, giovani che hanno
appena varcato la soglia dei vent’anni: tutti
formatisi nel Conservatorio della città, il
Cantelli, ciascuno di loro ha già partecipato
con lusinghieri risultati a qualche concorso
nazionale e ha già esperienza di concerti,
soprattutto in formazioni cameristiche: si
tratta di Anna Molinari al violino, di Lucia
Molinari al violoncello e di Riccardo Bisatti,
pianista, ma con aspirazioni alla direzione
orchestrale, attività in cui ha già dato qualche
prova di sé degna di nota. A questi tre nomi va
accostato quello di Lara Albesano, aggiuntasi
come violista ai tre strumentisti del Goldberg
per l’esecuzione dell’ultimo pezzo in programma,
il
Quartetto op. 25 n.1 in sol minore di J.
Brahms: diplomata in viola e violino al
Conservatorio di Torino, con perfezionamento in
viola presso la prestigiosa Scuola Superiore
Reina Sofia di Madrid, è di qualche anno più
anziana dei membri del Goldberg e vanta una già
significativa attività concertistica. Il
programma della serata proponeva, prima del già
menzionato Quartetto brahmsiano, il Trio di F.
J. Haydn per pianoforte ed archi n.39 in Sol
maggiore “All’Ungherese” e il trio per
pianoforte e archi n.4 op. 90 “Dumky” in mi
minore di A. Dvorak. L’evidente filo conduttore
del concerto, come dichiarato nella
presentazione, è quello delle “contaminazioni
popolari, in particolare tzigane, all’interno
della tradizione classica”. I tre ‘ragazzi del
Goldberg’ si sono fatti subito apprezzare col
trio di Haydn: ottima la calibratura
dell’ensemble nell’impeccabile dialogo tra gli
strumenti, in cui risulta un po’ sacrificato
dalla partitura il pianoforte, qui relegato a un
mero ruolo di accompagnamento, buona la scelta
dei tempi, adeguata ad un’agogica da ‘pezzo da
salotto’ ancora improntato a galanteria
settecentesca nei primi due tempi, di più
robusta vivacità nel Rondò tzigano che chiude il
brano; valida, infine, la cura del dettaglio
timbrico, la cui responsabilità era affidata in
particolare ai due archi: il violino di Anna
Molinari, dal suono di notevole espressività,
che sa passare dall’intimo lirismo del’Poco
Adagio centrale, con l’effuso patetismo delle
sezioni in minore all’energia della vorticosa
danza tzigana del Presto finale, e il suono
morbido e caldo del violoncello di Lucia
Molinari, sapientemente intrecciato colla linea
principale del violino. Un livello di impegno
esecutivo decisamente più alto richiede la
composizione successiva, il notissimo Trio ‘Dumky’
di Dvorak, scritto quasi esattamente un secolo
dopo il Trio all’Ungherese di Haydn. Il titolo
rimanda ad una danza slava, più precisamente
ucraina, di ispirazione malinconica e meditativa:
i sei pezzi di cui è composto il Trio sono
altrettante Dumky
– al
plurale - , Si tratta, come dicevamo, di un
brano molto complesso per varie ragioni: la
ricchezza inesauribile di temi e motivi, con
incessanti cambiamenti nell’agogica, un
alternarsi continuo di modi maggiore e minore,
la compresenza
costante di introspezione
malinconica e di travolgente abbandono ai ritmi
più vorticosi, spesso
tratti da altre danze. Soprattutto, rispetto al
Trio di Haydn, i tre strumenti acquistano una
decisa indipendenza e il pianoforte si prende la
sua parte, uscendo decisamente dal ruolo di
semplice accompagnamento e talora assumendo, con
il bel tocco e il suono duttile e ricco di
sfumature di Bisatti, un ruolo di protagonista.
Ebbene, il Trio Goldberg ha dato prova della
propria maturità, offrendo un’ esecuzione
assolutamente valida, da parte di tutti gli
strumenti, del difficile pezzo. Non possiamo
entrare naturalmente nei dettagli di un brano
così ampio e complesso, ma in generale
l’intensità espressiva raggiunta dall’ensemble e
dai singoli strumentisti è stata davvero alta,
con punte di eccellenza in alcuni passaggi. Ci
limiteremo qui a ricordare la delicatezza con
cui è esposto il meraviglioso tema principale
del secondo movimento, con un gioco sulle
dinamiche, da parte degli archi e del
pianoforte, di notevole efficacia; e il clima di
limpida serenità del La maggiore del terzo
tempo, o infine le pagine più intrise di
umbratile malinconia, rese con raffinatezza di
registri timbrici, fin dall’attacco del primo
tempo. Da far tremare le vene e i polsi, a
interpreti poco più che ventenni, il capolavoro
di Brahms che concludeva la serata. Composizione
di respiro ‘sinfonico’, non tanto per la
notevole durata, quanto per la ricchezza e
varietà di temi e idee secondarie, per la
densità della trama contrappuntistica, per il
fitto e complesso dialogo delle linee
strumentali; non ultima, la difficoltà di
esprimere la tipica atmosfera, musicale e
spirituale, la Stimmung, per dirla con una
parola cara ai tedeschi, che avvolge la musica
brahmsiana: quel sottile e indefinito, eppur
struggente, sentimento di stanchezza interiore,
di crepuscolare finire delle cose, con tutte le
sfumature che questa condizione spirituale
conferisce alla timbrica dei suoi capolavori, in
particolare quelli cameristici, come questo
meraviglioso Quartetto op. 25. Bene: i quattro
giovani ascoltati ieri sera all’Auditorium
Dedalo di Novara hanno superato a pieni voti la
prova: il dialogo tra i quattro strumenti,
impeccabile nelle entrate e nei tempi,
l’attenzione sempre accurata per il dettaglio
timbrico, la gestione adeguata delle dinamiche (bellissimi
i chiaroscuri brumosi della parte iniziale del
secondo tempo, proprio ‘brahmsiani’),
l’espressività intensa dei temi più
indimenticabili di quest’opera, su tutti, per
noi, il terzo couplet del celeberrimo Rondò alla
zingarese che chiude questo monumento musicale.
Sono, queste, le qualità che ci hanno
maggiormente impressionato nell’interpretazione
del Trio Goldberg con l’apporto della viola di
Lara Albesano, dal bellissimo suono brunito.
Soprattutto ha colpito la grande energia di
suono, dal volume davvero ‘sinfonico’, che il
quartetto ha sprigionato, accelerando anche, in
alcuni casi, sul metronomo. Il pubblico, stipato
nella piccola platea del Dedalo, ha espresso il
suo apprezzamento con grandi applausi,
strameritati, chiedendo anche un bis, non
concesso: Lucia Molinari, a nome dei colleghi,
ha dichiarato che, pur avendo preparato un ‘fuori
programma’, non si sentivano di eseguirlo,
perché il concerto aveva esaurito tutte le loro
energie. Li comprendiamo e li giustifichiamo
appieno. Siamo convinti che per i bravissimi
giovani del Trio Goldberg si stia aprendo un
futuro che riserverà loro molte soddisfazioni.
19 marzo 2023 Bruno Busca
Gidon Kremer in
Trio per le
Serate Musicali del Conservatorio
Un Trio di eccellente qualità
quello formato da Gidon Kremer al violino, Giedr ė
Dirvanauskaitė al violoncello e Georgijs Osokins
al pianoforte.
L'impaginato ascoltato ieri sera, ai concerti
organizzati da Serate Musicali, risponde
all'intelligenza del grande violinista lettone
che trova sempre attenzione all'inserimento di
brani del Novecento o
contemporanei,
come quelli ascoltati nella prima parte della
splendida serata. Il
brano introduttivo era infatti del polacco
Mieczyslaw Weinberg (1919-1996) con la sua
Sonata n.4 per violino e pianoforte op.39,
lavoro composto a Mosca nel 1947. La Sonata
risente molto delle modalità
compositive di
Šostakovič,
compositore che influenzò
notevolmente il più giovane Weinberg, venuto a
vivere negli ultimi decenni della sua vità nella
ex Unione Sovietica. Ottima l'interpretazione
fornita da Kremer ed Osokins nel lavoro in tre
parti caratterizzate da
andamenti pacati di grande rilevanza espressiva.
Nel secondo brano, con il gruppo cameristico al
completo, è stato eseguito il Trio con
pianoforte "Middleheim" di Giya Kancheli
(1935-2019). Il brano del compositore vissuto in
Georgia, a Tblisi, è particolarmente ispirato.
Un'atmosfera notturna giocata su semplici
elementi melodico-armonici ricchi però di
suggestiva espressività,
resa
con grande pregnanza estetica dal trio. Dopo il
breve intervallo, il monumentale Trio con
pianoforte in la minore op.50 di
Čajkovskij,
dedicato dal grande compositore russo al
pianista e didatta
Nikolaj
Rubinstein - fratello del più
noto compositore Anton Rubinstein- ha coperto la
seconda parte della serata. È un brano
particolarmente eseguito che rivela lo stile
tipico e le personali qualitè del grande
compositore. Le splendide dodici variazioni sul
Tema che completano il corposo lavoro, hanno ben
evidenziato le alte qualità espressive del trio,
con il violino di Kremer e il violoncello della
lituana Dirvanausskaitė
paritetici in qualità
nello scambiarsi le espressive parti melodiche e
l'ottimo pianoforte del giovane lettone Osokins
nel completare armonicamente lo straordinario
lavoro che il grande compositore scrisse tra il
1881 e il 1882. Eccellente l'interpretazione.
Applausi calorisissimi al termine e di grande
intensità emotiva il profondo lied di Schubert,
Du bist die Ruh- Tu sei la pace -
nell'ottima trascrizione proposta come bis. Una
serata di grande valore musicale.
18 aprile 2023 Cesare
Guzzardella
A Musica Maestri!
i
pianoforti di Davide Cabassi e di Andrea Carcano
La
rassegna del Conservatorio milanese denominata "Musica
Maestri", organizzata per evidenziare le qualità
dei migliori studenti del Conservatorio e anche
dei docenti interni
all'importante
istituzione mesicale, ha trovato ieri, nel tardo
pomeriggio, due pianisti e docenti di pianoforte
quali Davide Cabassi e Andrea Carcano in un
programma interamente brahmsiano. Le
Variazioni su tema di Haydn per due pianoforti
op. 56b, versione meno frequentata di quella
per orchestra ma altrettanto valida e la
Sonata in fa minore per due pianoforti op. 34
bis, trascrizione della più eseguita
versione per Quintetto con pianoforte, hanno
visto impegnati i due validi interpreti.
Interessanti le due esecuzioni e di qualità la
resa espressiva sia di Cabassi
che
di Carcano in perfetta sinergia. Il
numerosissimo pubblico presente in Sala Puccini,
ha tributato fragorosi applausi. Valido il bis
concesso a quattro mani con ancora Brahms e un
sua celebre Danza ungherese. Domenica 23 aprile
alle ore 18.00 ancora Musica Maestri! con il
Trio Braga-Ronchini-Redaelli per Schumann op.56
e op.80!
17 aprile 2023 Cesare Guzzardella
Seconda giornata
del RACH
FESTIVAL con il Concerto n.2 op.18
Ieri pomeriggio un Auditorium
al completo ha accolto il pianista Alexander
Romanovsky e il direttore d'orchestra Claus
Peter Flor con l'Orchestra Sinfonica di Milano
per il secondo appuntamento del Rach Festival
ed il celebre Concerto n.2 in do minore
op.18 di
Sergej
Rachmaninov, il brano più eseguito del grande
pianista e compositore russo. Il lavoro composto
da Rachmaninov nel 1900-01 fu il primo ad
ottenere un meritato successo per l'immediatezza
delle melodie presenti nei tre movimenti e
questo servì al compositore per iniziare a
superare una crisi che lo aveva portato ad una
profonda depressione in età giovanile. Il
Concerto è stato preceduto da un'ottima
interpretazione di lavori più maturi del
compositore
quali
l'Études-Tableaux, brani composti per
pianoforte tra il 1911 e il 1917 e cinque di
questi, trascritti per orchestra nel 1931 da
Ottorino Respighi. La resa orchestrale di sicura
qualità, ha trovato una rigorosa e chiara
definizione dai bravissimi orchestrali della
Sinfonica milanese diretti con sicurezza e in
modo dettagliato da Flor. Dopo il breve
intervallo la salita in palcoscenico di
Romanovsky e la splendida interpretazione del
concerto ha portato ad un successo meritatissimo.
Come già nella ottima recente esecuzione del
Concerto n.1 Op.1, Ramanovsky ha rivelato
un'attitudine di rara qualità alla musica di
Rachmaninov, con una capacità
d'interiorizzazione e di restituzione delle
timbriche del russo di grande livello sia per la
precisione dei dettagli che in termini
d'espressività. Pubblico entusiasta al termine e
due i bis solistici concessi dal pianista
visibilmente soddisfatto: prima il celebre
Preludio op.23 n.5 e poi dagli Etudes
Tableaux op.39, il n.9. Ancora
applausi calorosissimi. Giovedì alle 20.30 terzo
appuntamento con il Concerto n.3 anticipato
dalle Enigma Variations op.36 di Edward Elgar.
Da non perdere!
17 aprile 2023 Cesare
Guzzardella
Il RACH FESTIVAL in
Auditorium con Claus Peter Flor e Alexander
Romanovsky
È iniziato in Auditorium il
Festival dedicato a Sergej Rachmaninov, per i
150 anni dalla nascita. In quattro date vengono
eseguiti i quattro concerti per pianoforte e
orchestra e, a completamento di alcune serate,
brani di Debussy, Ravel ed Elgar. L'Orchestra
Sinfonica di Milano diretta da Claus Peter
Flor ha come pianista solista Alexander
Romanovsky.
Ieri sera il Concerto n.1 in fa diesis minore
op.1 è stato preceduto da Petit Suite
(1888-89) di Claude Debussy e da Ma mère
l'oye. Cinq pièces enfantines (1908)
di Maurice Ravel. Flor ha dato ad entrambi i
lavori un'interprerazione delicata e raffinata,
elargendo timbriche sottili nei volumi ma di
grande equilibrio complessivo, ottenendo quindi
una resa espressiva dalla Sinfonica milanese di
sicuro pregio. L'atteso Concerto n.1 del
compositore russo è arrivato dopo il breve
intervallo. L'Op.1 di Rachmaninov ebbe
una gestazione molto travagliata che portò anche
ad una crisi psicologica del compositore per la
difficile
affermazione
di un lavoro che subì nel tempo numerosi
cambiamenti. Pur essendo stato composto nel
1890-91, solo nel 1899 il concerto ebbe a Londra
una prima esecuzione completa, ma altri
cambiamenti portarono alla stesura definitiva
sino all'anno 1919, quando finalmente il
complesso e particolarmente virtuosistico lavoro
trovò un meritato interesse. L'interpretazione
ascoltata da Romanovsky, ancora una
volta
ci ha rivelato la congenialità del pianista con
la musica del grande russo. Il concerto, trova
ancora rare esecuzioni, rispetto ai diffusissimi
concerti N.2 e N.3, pur avendo una valenza
qualitativa particolarmente evoluta e riuscita.
Il virtuosismo di Romanovsky è dotato di qualità
tali da rendere semplici anche i più difficili
intrecci armonico-melodici. Claus Peter Flor ha
trovato il giusto dosaggio timbrico per far
emergere la fondamentale componente solistica ed
il risultato esecutivo complessivo ha raggiunto
livelli molto alti. Applausi fragorosi dal
numeroso pubblico pesente in Auditorium ed
eccellenti i due bis solistici concessi dal
pianista: prima il celebre Preludio n.2 op.3
di Rachmaninov e poi l'altrettanto noto
Studio n.12 op.8 di Scriabin. Applausi
ancora sostenuti all'eccellente pianista.
Domenica 16 aprile, alle ore 16.00, secondo
appuntamento del Festival con il celebre
Concerto n.2. Da non perdere!
14 aprile 2023
Cesare Guzzardella
L'ottimo violinista
Andrea Obiso nel
Concerto in re minore Op.47 di Sibelius al
Dal Verme
L'ottimo impaginato ascoltato
oggi all'anteprima matutina dell'Orchestra "I
Pomeriggi Musicali" diretta da George
Pehlivanian prevedeva due celebri lavori con il
Concerto per violino e orchestra
in
Re minore Op.47 di Jean Sibelius e la
Sinfonia n.5 on Do minore Op. 67 di L v.
Beethoven. Il primo lavoro del grande musicista
finlandese (1865-1957), composto tra il 1903 e
il 1905 è tra i più belli del genere e punto
d'arrivo dei migliori virtuosi del violino.
L'intreccio tra le penetranti melodie solistiche
e la raffinata e suggestiva orchestrazione
rendono i tre movimenti del concerto tra le
massime produzioni solistiche e sinfoniche
realizzate nel tardo-romanticismo musicale.
Violino solista nell'ottima interpretazione
ascoltata, il ventinovenne palermitano Andrea
Obiso, virtuoso attivo anche come spalla
dell'Orchestra dell'Accademia Santa Cecilia. La
sicurezza espressiva di Obiso, specie negli
attacchi dei movimenti laterali e
l'ottima
direzione di Pehlivanian hanno portato ad una
valida interpretazione del concerto solistico.
Dopo il breve intervallo, di qualità la nota
Quinta Sinfonia del compositore tedesco,
eseguita energicamente da I Pomeriggi,
per una direzione ben calibrata e incisiva dei
quattro movimenti. Applausi sostenuti nella
grande sala del Teatro dal Verme gremita di
pubblico, con centinaia di giovanissimi studenti
pervenuti da molte scuole milanesi. Ottimo il
concerto e splendida l'iniziativa rivolta anche
ai giovanissimi. Questa sera la prima ufficiale
del concerto alle ore 20.00 e sabato, alle
17.00, la replica. Da non perdere!
13-04-23 Cesare Guzzardella
Il pianista spagnolo
Javier Perianes per
la Società dei Concerti
Il pianista spagnolo Javier
Perianes ha tenuto un concerto ieri sera per la
"Fondazione La Società dei Concerti" in
Conservatorio, presentando un impaginato che ha
avuto come fonte d"ispirazione Robert Schumann e
Francisco Goya. Nella prima parte della serata
brani di Clara Wieck Schumann, con le
Variazioni su un tema di R. Schumann op.20,
di R.Schumann con Quasi variazione su un tema
di Clara dalla Sonata op.14, ed
infine di Johannes Brahms con le
Sedici
variazioni su un tema di Schumann op.9,
hanno trovato al centro d'attenzione il grande
musicista tedesco di Zwickau. La seconda parte
del concerto era interamente dedicata a Goyescas
op.11 di Enrique Granados, lavoro in sette
parti che ha trovato come fonte d'ispirazione
per il compositore spagnolo il celebre pittore,
suo connazionale, Francisco Goya. L'ottimo
virtuoso spagnolo ha sostenuto con grande
interiorizzazione e misurata esternazione tutti
i brani presentati, rivelando modalità
interpretative coerenti e personali improntate
ad un lirismo ben controllato nelle dinamiche ma
di perfetto equilibrio complessivo. È un
pianismo raffinato quello di Perianes, che ha
bisogno di un ascolto attento per
essere
compreso nella sua profondità di pensiero.
L'ottima resa dei primi lavori romantici hanno
trovato poi contrasto nel mondo musicale assai
diverso in Granados, con la sua ricca Goyescas,
lavoro del 1911 dove le influenze di Chopin e
Liszt sono mediati dai caldi colori tipici della
Spagna, in un linguaggio ricco di ornamentazioni
barocchegianti. Di pregio la restituzione di
Perianes, un interprete particolarmente
sensibile alle timbriche più a lui vicine.
Applausi meritatissimi e ottima resa per il bis
concesso al termine del programna ufficiale con
un pregnante Intermezzo op.118 n.2 in la
maggiore di Johannes Brahms.
13 aprile 2023 Cesare
Guzzardella
INTERAMENTE DEDICATA ALLA
MUSICA DA CAMERA DI G.B. VIOTTI LA VIGILIA DI
PASQUA DEL VIOTTIFESTIVAL DI VERCELLI
L’opera del violinista e
compositore Giambattista Viotti, uno dei più
grandi musicisti italiani tra ‘700 e ‘800,
idolatrato a suo tempo dal pubblico parigino e
londinese, ammirato da Mozart, Paganini,
Beethoven, Brahms, in questi anni è stata
sottratta al semioblio in cui cadde abbastanza
inspiegabilmente dopo la sua morte (Parigi,
1824), dall’attività approfondita e quasi devota
di riscoperta e di studio del Maestro Guido
Rimonda, affermato violinista e direttore
dell’Orchestra Camerata Ducale, con sede a
Vercelli, considerata la ‘città di Viotti’,
perché il musicista nacque in una borgata vicina,
Fontanetto Po (1755). Possiamo considerare Guido
Rimonda, oggi, uno dei più autorevoli
conoscitori ed interpreti al mondo della musica
di Viotti e questo era uno dei motivi che
rendeva imperdibile l’appuntamento con il
concerto del ViottiFestival di ieri sera, sabato
8 aprile, al Teatro Civico di
Vercelli.
Il programma della serata, infatti, era
interamente dedicato a Viotti e per di più a un
settore della produzione musicale del grande
vercellese su cui la coltre d’oblio di cui si
parlava si è stesa, se possibile, ancora più
fitta e impenetrabile di quella che ha avvolto i
suoi concerti per violino: la musica da camera,
che annovera un catalogo significativo, tra cui
spiccano i Duetti per due violini e i Quartetti
per archi e per altri strumenti ed archi. E
appunto sui tre generi dominanti della
produzione cameristica di Viotti era impaginato
il programma del concerto, che proponeva il
Duetto in Do maggiore W IVa4, il Quartetto per
archi in sol minore W IIa1, il Quartetto per
flauto e archi in do minore W II:17. Tra i due
quartetti, due ‘pezzi di baule di Rimonda, cioè
la splendida Meditazione in preghiera,
presentata in forma di quartetto d’archi, e,
sempre in forma di quartetto d’archi il Tema e
variazioni in Do maggiore, del 1781, il cui tema
sarebbe poi divenuto una decina di anni dopo
quello della “Marsigliese” dei rivoluzionari
francesi. A eseguire queste composizioni erano
chiamati il noto flautista Massimo Mercelli ( il
cui nome è legato a quello di numerosi
compositori contemporanei, ma in particolare a
Philip Glass, di cui ha eseguito l’integrale
dell’opera per flauto e che gli ha dedicato
alcuni suoi pezzi), i violinisti Guido Rimonda e
Francesca Ripoldi (giovane e talentuoso virgulto
della Camerata Ducale), la violista Maria
Ronchini, docente dello strumento al
Conservatorio di Milano e la violoncellista
Silvia Chiesa, così celebre, da non aver bisogno
di presentazioni. La musica di Viotti appare, al
di la’ della gradevolezza di tante sue pagine,
come una musica complessa da interpretare,
perché caratterizzata dalla stratificazione di
diverse esperienze musicali: in più che sommaria
sintesi, Viotti compì il prodigio di traghettare
la musica per violino dagli ultimi bagliori
della grande scuola corelliana, con cui entrò in
contatto nella sua fase di apprendistato
giovanile con Pugnani, attraverso le limpide
misure del classicismo settecentesco, per
approdare agli albori della civiltà romantica. I
vari apporti che confluiscono nel suo stile, non
restano però una sommatoria disorganica e
incoerente: al contrario, il genio di Viotti
consistè nell’elaborare una sintesi originale
delle diverse esperienze musicali con cui si
confrontò, dando vita ad uno stile molto
personale e originale, che a sua volta ebbe a
influenzare la civiltà musicale del suo tempo,
in primis la scuola violinistica francese di
Kreutzer e compagni, che a Viotti deve (quasi)
tutto. Uno stile, quello di Viotti, che ricerca
costantemente, al di là del virtuosismo, una
espressività, tutta particolare, fatta di un
fraseggiare ricco di contrasti, di una speciale
cantabilità e di un’energia, sempre peraltro
controllata da un saldo equilibrio formale.
Nella realizzazione di questo stile viottiano,
molto contarono le innovazioni che Viotti
apportò allo strumento, in particolare all’arco:
l’arco attualmente in uso fu inventato dal
Maestro di Fontanetto Po, che ( come ben
spiegato dal Maestro Rimonda) passando dal
antico arco barocco, di forma leggermente
convessa a quello moderno leggermente concavo,
consentì inediti colpi d’arco, un suono più
potente e rese possibile allungare la frase
sulle corde del violino, consentendo, ad esempio,
quel gioiello musicale che sono le “Meditazioni
in preghiera”,
pezzo
di incantevole e triste lirismo, tutto giocato,
appunto, sul succedersi di ‘onde’ musicali come
sospese in un tempo che sembra tendere
all’infinito. I Quartetti di Viotti, pur
conferendo al primo violino un ruolo di assoluto
rilievo, rompono col modello francese del
Quatuor Brilliant ( cioè in sostanza un concerto
per violino e tre archi), mantenendo una
relazione dialogica fra gli strumenti. Questa
caratteristica stilistica dei quartetti
viottiani è stata perfettamente realizzata dagli
interpreti, che, con una cavata sempre intensa
e, ad un tempo, di raffinata eleganza, hanno
saputo valorizzare al meglio le linee
strumentali loro affidate, con un controllo
accurato del dettaglio timbrico e delle
variazioni dinamiche. I vari pezzi sono stati
suonati meravigliosamente bene, in un concerto
che ci ha rapito dall’inizio alla fine. Partendo
proprio dalla fine, cioè da quella splendida
composizione che è il Quartetto per flauto e
archi, indimenticabile è il primo tempo,
Moderato ed Espressivo, esemplare dello stile di
Viotti: ad un primo tema di luminosa e suadente
dolcezza, priva di qualsiasi ‘galanteria, segue
un secondo tema che rompe l’incanto di tale
soave serenità, per introdurre un inciso
tematico venato di una malinconia che va ormai
già oltre la sénsiblerie settecentesca, per
proiettarsi verso sottili inquietudini
romantiche. Mentre il secondo tempo, un Minuetto,
che, come segnalato dal Maestro Rimonda, sembra
anticipare nel tema il secondo tempo (Un bal)
della Symphonie Phantastique di Berlioz, ha però
una gioioso slancio di danza un po’ rustica, che
a noi ha ricordato certe atmosfere haydniane, il
terzo e conclusivo movimento , un Allegro
agitato e con Fuoco, ci mostra il Viotti dalla
cavata energica e fiorita, soprattutto per il
primo violino di Rimonda, di ardui virtuosismi.
Su tutto regna però sovrana un’eleganza, una
nobiltà di canto che tutti e quattro gli
interpreti hanno il sommo merito di aver
espresso con squisita raffinatezza. Naturalmente
gli stessi tratti stilistici
affiorano
nel quartetto per archi, con una sfumatura di
più imponente maestosità e di pathos nei due
primi tempi, cui si contrappone il gioioso
abbandono ad un festevole ritmo di danza, che
ancora una volta suggella la speciale
espressività del grande compositore vercellese
all’insegna del contrasto. Per concludere…dall’inizio,
il Duetto, originariamente concepito per due
violini, è stato presentato nella versione per
flauto e violino. Ha perfettamente ragione,
naturalmente, il Maestro Mercelli nel sostenere
che questa era pratica abituale
nel’700-primo’800, dunque ‘filologicamente’ del
tutto legittima anche oggi. E’ però anche vero,
come ammesso dallo steso Mercelli, che questo
comporta qualche adattamento della scrittura del
pezzo, in quanto il fiato che suona il flauto
non è fisicamente in grado di seguire la mani
che suonano il violino nelle parti agogicamente
più veloci. Quindi, in un certo senso, il
violino deve rallentare un po’. In effetti in
questa versione per flauto e violino questo
duetto , almeno nel primo tempo, perde un poco
di quell’incalzante ritmo di vago sapore
beethoveniano del primo tema del primo tempo (è
solo una coincidenza il fatto che i Duetti siano
stati composti tra 1798 e 1801 in Germania, a
Schonfeld, dove non poteva non giungere dalla
non lontana Vienna l’eco della nuova musica del
Maestro di Bonn?). Tuttavia ne esce un pezzo in
cui i colori del flauto e del violino si
intrecciano in una linea melodica di suadente
lirismo e di raffinatezza squisita. La bellezza
della musica di Viotti, unita alla bravura di
tutti gli interpreti, ha strappato al pubblico
un lunghissimo applauso, ottenendo come bis la
ripetizione del Minuetto ‘berloziano’ del
Quartetto per flauto e archi. Se la musica per
magia si potesse trasformare in una stella, da
ieri sera nella volta celeste risplenderebbe un
astro in più.
(Foto di I.Buat e D.Cerati Uff. Stampa Vercelli)
10 aprile 2023
Bruno Busca
L' Alessandro Carbonare
Clarinet Trio alle Serate Musicali
del Conservatorio
Un concerto inconsueto ma
interessante e anche divertente quello
organizzato da Serate Musicali e
ascoltato nel Conservatorio milanese. I tre
clarinetti del "A.
Carbonare Clarinet Trio" hanno
impaginato un programma variegato e spesso
folcloristico che ha riempito di timbriche
eleganti e penetranti l'ampio spazio di Sala
Verdi. Il clarinetto di Alessandro Carbonare, il
corno di bassetto di
Giuseppe
Muscogiuri e il clarinetto basso di Luca
Cipriano - quest'ultimo anche eccellente
arrangiatore di molti dei lavori
in programma- hanno interpretato brani di
Mozart, Tallini, Corea, Gershwin, De Filippo e
melodie Klezmer. Nel brano iniziale, il
Divertimento C439 b n.1 di Mozart, tutti e
tre gli strumentisti hanno suonato il Corno di
bassetto, uno strumento con gamma timbrica
intermedia tra il clarinetto e il clarinetto
basso, ma con analoga espressività di colore. La
resa sincrona degli interventi dei protagonisti
ha permesso un'ottima interpretazione mozartiana,
per un lavoro tipicamente settecentesco. Con un
salto nel tempo di oltre due secoli, la
compositrice Stefania Tallini (1966) ha
realizzato poi il secondo lavoro in programma
denominato C19 - Covid 2019- un brano
ottimamente scritto e ben interpretato dal trio
con i tre diversi strumenti, dove è presente un
carattere jazzistico con alcuni frangenti di
ottima improvvisazione. Un richiamo al jazz
anche nel terzo brano d'impaginato del grande
Chick Corea, pianista e compositore scomparso da
poco. Nella Suite "Corea jazz",
ottimamente
trascritta da Cipriano, Armando's
Rhumba, Song for Sally e Spain themes,
sono legati tra loro per una resa decisamente
ispirata e virtuosistica dei tre clarinettisti.
Un ritorno al classico, dal sapore jazzistico,
il brano successivo di George Gershwin, con il
celebre "Tre preludi" , dall'originale
per pianoforte, trascritti benissimo da Cipriano.
Un'interpretazione di qualità con la gamma
timbrica completa dei tre strumenti che hanno
messo in risalto i tre brevi
preludi, tra i brani
più conosciuti di quelli in programna.
Con Pizzica e Taslim di Vincenzo de
Filippo, siamo tornati ancora al presente. Un
lavoro dove la presenza folcloristica ricca di
accenti legati alla tradizionale della Pizzica
del sud-Italia, e sostenuta anche dal tamburello
battente di Muscogiuri, ha maggiormente
divertito il pubblico presente in sala. Chiusura
"alla grande" con il folclore ritmicamente
accentuato della musica klezmer. La Klezmer
Suite ha permesso ottimi variazioni e
improvvisazioni su
Russian Melody e Odessa Bulgarish.
Una suite coinvolgente come solo la musica
klezmer può esprimere. Bravissimi gli
strumentisti. Ottimo il bis concesso con un
brano brasiliano arrangiato molto bene da
Cipriano. Applausi meritatissim i
da un pubblico purtroppo non numeroso.( Foto in alto di Alberto Panzani-Ufficio stampa Serate Musicali)
4 aprile 2023 Cesare
Guzzardella
Rudolf Buchbinder
e i suoi classici
in recital al Teatro alla Scala
Ieri sera il Teatro alla
Scala era colmo di appassionati per ascoltare il
pianista Rudolf Buchbinder in un impaginato
classico tipico del grande interprete austriaco.
Da moltissimi anni Buchbinder, pianista di fama
mondiale, frequenta le sale da concerto milanesi,
prediligendo la Sala Verdi del Conservatorio e
il Teatro alla Scala. Le sue scelte di
repertorio difficilmente escono dalla prima
Scuola
viennese,
con una scelta di brani quasi sempre intorno
agli amati Mozart, Beethoven e Schubert. Anche
ieri, i suoi autori prediletti hanno composto
l'impaginato nel seguente ordine: prima Mozart
con le Dodici variazioni in do maggiore su
"Ah, vous dirai-je Maman, quindi Beethoven
con la Sonata n.23 in fa min. op.57 "Appassionata"
e, dopo l'intervallo, di Schubert la
Sonata in si bem. maggiore D 960, ultima del
viennese. La classe di Buchbinder nell'affermare
la sua cifra stilistica non si discute. Quello
che in alcuni momenti si nota è la fluidità a
volte eccessiva nell'interpretare musicisti e
rispettivi brani eseguiti decine di volte. Molto
bene il brano introduttivo mozartiano con quelle
splendide variazioni perfettamente
interiorizzate sulla nota canzonetta francese.
La sintesi discorsività un po' frettolosa, si è
notata in alcuni movimenti degli altri lavori,
in alternanza a frangenti di
profonda
riflessione e notevole espressività. Il
complesso dell'interpretazione rimane comunque
in tutti e tre i capolavori di ottima qualità,
con punte d'eccellenza soprattutto nel corposo e
raffinato Schubert finale. Ottimi i due bis
concessi, tipici di Buchbinder, prima con ancora
Schubert e il suo Impromptu op.90 n.4,
quindi il virtuosistico e luminoso Johann
Strauss nella rivisitazione del pianista e
virtuoso Alfred Grünfeld da Soirée de Vienne,
il Valzer op.56. Applausi calorosissimi
dal pubblico entusiasta.
3 aprile 2023
Cesare Guzzardella
Eliana Grasso
diretta da Stefano
Ligoratti al MaMu per il Concerto n.2 di
Rachmaninov
Una serata molto piacevole
quella organizzata al MaMu di via Soave 3
a Milano. Per celebrare i 150 anni dalla nascita
di Rachmaninov la pianista piemontese Eliana
Grasso, accompagnata dall'Orchestra cameristica
MaMu Ensemble, diretta da Stefano
Ligoratti, ha interpretato il celebre
Concerto n.2 in do minore per pianoforte e
orchestra
del grande compositore russo nella
trascrizione per orchestra d'archi di Geremy
Liu. È un concerto, come spiegato ad
introduzione della serata da Ligoratti, -direttore
noto soprattutto come interprete pianistico-
composto da Rachmaninov tra il 1900 e il 1901.
In questi anni il grande musicista stava
attraversando un momento di particolare crisi,
che proprio grazie a questo lavoro tardo
romantico, ricco di toccanti melodie da subito
entrate nella memoria collettiva, riportò il
compositore ad un ottimismo utile per i
successivi lavori. La buona resa orchestrale ha
trovato una sinergia particolare nell'ottima
interpretazione della Grasso, una pianista molto
preparata e particolarmente sicura
nell'esprimere sia i momenti più melodici del
lavoro, come quello più celebre del
secondo
movimento, che quelli di grande virtuosismo
presenti soprattutto nei movimenti laterali. Il
numerosissimo pubblico intervenuto nell'ampio
spazio del MaMu, luogo musicale sempre
più conosciuto non solo per la presenza di
strumenti musicali, libri e dischi, ma anche per
queste eccellenti iniziative di ascolto, ha
tributato applausi sostenuti all'ottima pianista,
al bravissimo direttore e all'orchestra d'archi.
Eliana Grasso ha poi concesso un toccante bis
solistico con il celebre Notturno postumo in
do diesis minore di F. Chopin, eseguito con
intensa espressività. Bravissimi!
2 aprile 2023 Cesare
Guzzardella
La Sinfonia Turangalîla
di Olivier
Messiaen diretta da Maxime Pascal
Il brano più ampio ,
che ne riassume tutta la
poetica, di Olivier
Messiaen, Turangalîla, Sinfonia per
pianoforte, onde martenot e grande orchestra,
è stato eseguito ieri sera dall'Orchestra
Sinfonica di Milano diretta per l'occasione dal
francese Maxime Pascal, specialista di musica
del Novecento e contemporanea. Protagonisti del
corposo lavoro, composto
dal musicista d'Avignone tra il 1946 e il 1948,
anche
Cécile
Lartigau alle onde Martenot e Luca Buratto al
pianoforte. La Turangalîla-Symphonie è
uno dei grandi capolavori del '900, è in dieci
parti per una durata che può superare gli
ottanta minuti e trovò la prima direzione a
Boston, nel 1949 , con Leonard Bernstein sul
podio. La vastissima orchestra utilizzata,
alterna momenti di voluminose esternazioni, che
possono incontrare sonorità caotiche, ad altri
di profonda meditazione. In quest'alternanza di
situazioni, a volte roboanti, a volte riflessive,
espresse anche con sovrapposizione di numerosi
piani sonori, spesso apparentemente discordanti,
si realizza la filosofia profondamente religiosa
di Messiaen, compositore, organista e
naturalista ornitologo. La complessità di questo
luminoso e contrastato lavoro ha trovato
l'ottima direzione di Pascal e l'eccellente
restituzione degli orchestrali,
oltre
ovviamente alle precise esternazioni dei solisti,
con i luminosi effetti di Cécile Lortigau e la
perfezione tecnica, ricca di espressione, di
Luca Buratto. La poliritmia del lavoro, l'uso
costante delle percussioni e le timbriche
profonde degli ottoni, unitamente agli altri
interventi strumentali, hanno messo in rilievo
le qualità di tutte le sezioni orchestrali, con
strumentisti capaci di interagire con ottima
sincronia. Fragorosi gli applausi al termine di
questa serata. Ricordiamo che nell'atrio
dell'Auditorium, in occasione del concerto di
ieri e fino al 23 aprile, vengono esposte opere
della pittrice Manuela Bertoli che in onore di
Messiaen, ha realizzato, con colori vivaci, una
serie di dipinti rappresentanti uccelli e anche
un bel olio su tela denominato La Forêt de
Messiaen. Domani alle ore 16.00 la replica
del concerto. Da non perdere.
1 aprile 2023 Cesare
Guzzardella
MARZO 2023
DA CARL PH.E.
BACH A BERIO AL FESTIVAL FIATI DI NOVARA
Il nuovo concerto, proposto
dal Festival fiati, ieri sera 30/03
all’Auditorium del Conservatorio G. Cantelli di
Novara, vedeva protagonista il trombettista
Gabriele Cassone in duo col pianista Giuliano
Cucco. Cassone è uno dei più validi solisti di
tromba attualmente in Italia: dal 1976, ancora
giovanissimo (a soli 17 anni!),era già prima
tromba dell’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di
Milano, inizio di una lunga carriera che lo
avrebbe portato a far parte delle più
prestigiose orchestre italiane ed europee. La
sua formazione musicale comprende anche la
tromba barocca, tanto da essere chiamato dal
grande Ton Koopman come solista della sua
celebre Amsterdam Baroque Orchestra. A questa
intensa attività musicale, il Maestro Cassone
affianca un altrettanto ampia attività didattica,
che fino a pochi anni fa lo ha visto anche
docente presso il Conservatorio Cantelli di
Novara. Quanto al Maestro Giuliano Cucco, vanta
anch’egli un’attività concertistica di livello
internazionale, come solista o in formazioni da
camera, che gli ha permesso di approdare a
prestigiose
sale da concerto europee, tra le quali basterà
citare la Salle Cortot a Parigi. Anche Cucco
affianca all’attività concertistica
l’insegnamento, attualmente al Cantelli di
Novara. Il recital del duo Cassone-Cucco
presentava un programma impaginato su brani
generalmente di raro o rarissimo ascolto, che
svariava dal ‘700 di Carl Philip Emmanuel Bach e
di Mozart al tardo ‘900 di Berio. Il primo brano,
a mo’ di introduzione alla serata, era appunto
la “March for the Ark” di C. Ph. E. Bach, per
trombe barocche (cioè ‘naturali’, senza
meccanismi). Il breve pezzo è stato presentato
dal Maestro Cassone con i suoi allievi della
masterclass attualmente in corso al Cantelli. Il
brano è un pezzo tripartito secondo lo schema
ABA, dominato, come indica il titolo, da uno
squillante ritmo di marcia, di spumeggiante
brillantezza handeliana, resa con vigore e
precisione dalla tromba di Cassone, con qualche
nota un po’ sporca da parte di qualche allievo;
bisogna però essere indulgenti: la tromba
barocca è tremendamente difficile da suonare,
perché le modulazioni di tonalità e i cromatismi
possono essere ottenuti solo col movimento delle
labbra nel bocchino e quindi la probabilità che
qualche nota esca imprecisa è molto alta. Ben
più interessante della Marcia di C. Ph. E. Bach
è stato il secondo pezzo in programma, una
Romanza per tromba a cilindri e pianoforte,
trascrizione del 1829 del compositore/arrangiatore
Joseph Kail del secondo movimento (Rondò) del
Concerto per corno e orchestra Kv495 di Mozart.
La tromba a cilindri, diretta antesignana della
moderna tromba a pistoni, consente una varietà
di modulazioni e cromatismi, nonché un
estensione di suono, incomparabile rispetto alla
tromba naturale barocca. Ha anche un timbro
caldo e morbido, particolarmente adatto a dare
voce alla grazia e all’eleganza tipicamente
mozartiane, che, pur nella trascrizione, il
pezzo conserva e che Cassone e Cucco hanno reso
al meglio nella loro interpretazione. Pensiamo
che la sala concerti del Conservatorio di Novara
sia una delle pochissime in cui siano echeggiate
le note del terzo brano proposto ieri sera:
l’Adagio per tromba a chiavi e pianoforte di… G.
Verdi. Si tratta, come ha spiegato il Maestro
Cassone nell’opportuna presentazione al pubblico,
di una composizione giovanile del grande
bussetano, databile tra il 1836 e il 1839,
recentemente riscoperta. Anche la tromba a
chiavi è uno strumento un po’ particolare: è in
sostanza una tromba naturale, ma con l’aggiunta
di chiavi, che ‘aprono’ il tubo dello strumento,
permettendo una più agevole realizzazione di
cambi di tonalità e dei cromatismi.
Ma
l’aspetto più particolare della tromba a chiavi
è il particolare colore del suo suono: un colore
‘soffice’, lontano dal brillante squillo della
tromba moderna, quasi sommesso. Tra l’altro,
mentre venne abbandonata nel resto d’Europa con
l’avvento della tromba a cilindri e poi a
pistoni, in Italia la tromba a chiavi ebbe una
lunga fortuna, durata sino alla seconda metà
dell’800. Questa tromba, come sempre
accompagnata con efficacia ritmica e timbrica
dal pianoforte, era chiamata a suonare una
tipica aria verdiana, di cantabilità piena e
vigorosa: l’abilità di Cassone nello sfruttare
le proprietà timbriche di questo strumento ha
saputo unire queste due componenti, il lirismo e
l’energia, in un fraseggio di grande efficacia e
dolcezza, che ha trasformato la sua tromba ’a
chiavi’, in qualcosa di più che uno strumento
degli ottoni: il timbro metallico lasciava il
posto all’eco lontana di un canto umano. Neppure
la bravura di Cassone e di Cucco ha potuto
riscattare dalla più bolsa mediocrità il
deludente quarto pezzo dell’impaginato, il
Concerto op. 123 di Ponchielli (1866),
ovviamente nella trascrizione per tromba (moderna,
a pistoni) e pianoforte: brano di sapore
prettamente bandistico (Ponchielli ha composto
molto per banda) in quattro tempi, in cui il
meno banale è il terzo, un Tema con variazioni,
che ha dato la possibilità all’ottimo Cassone di
sfoderare alcuni numeri del suo repertorio
virtuosistico. Questa composizione si
caratterizza anche per l’ampia presenza del
pianoforte, tanto che talora parrebbe piuttosto
un concerto per pianoforte e tromba, e non
viceversa: un pianoforte il cui compito è quello
di sostenere, con linee melodiche fortemente
puntate e scandite, il rimo bandistico
dell’insieme. Un recital di Cassone non poteva
non concludersi con una composizione di Luciano
Berio. I due furono legati da stretta amicizia e
Berio aveva in Cassone uno dei suoi trombettisti
preferiti, tanto da affidargli numerose prime di
sue composizioni per tromba, tra cui basterà
citare Kol-Od, che Cassone eseguì col mitico
Ensemble Intercontemporain diretto da P. Boulez.
Il pezzo di Berio era una delle 14 sequenze
composte per vari strumenti, la Sequenza X per
tromba e pianoforte (1984). La composizione è
propriamente “per tromba e risonanze di
pianoforte”: il pianista appoggia appena le dita
sulla tastiera, traendone un suono ai limiti
dell’inudibile, fantasmatico, necessariamente
amplificato da un microfono di tipo dinamico,
quasi un misterioso alone che avvolge lo
squillante suono della tromba e che vibra in
modo particolare quando la tromba suona con la
campana rivolta alle corde della tastiera. Come
per tutte le altre ‘Sequenze’, lo scopo primario
che Berio si proponeva era quello di
sperimentare tutte le possibilità timbriche
dello strumento E’ un pezzo che impegna tutte le
capacità tecniche di un trombettista: dal
flutter tonguing (il c.d. frullato), ai tremoli,
alle note pedali, cioè le note dell’estremo
registro basso degli ottoni, che consentono
inusuali effetti armonici. Da notare il ricorso
frequente ad una tecnica tipica del Jazz ( ma
già nota ai trombettisti barocchi) il ‘doodle
tonguing ( che però nel Jazz è applicata di
preferenza al trombone), cioè un legato molto
rapido. Dalla combinazione o dalla successione
incessante di queste tecniche nasce una varietà
straordinaria di colori del suono, che Cassone
domina con una bravura davvero degna del più
alto encomio. Nel complesso un concerto
interessante, molto ben eseguito dai due Maestri
Cassone e Cucco, che ha avuto il merito, tra
l’altro, al di là della qualità estetica dei
singoli brani, di uscire dai cliché triti e
ritriti delle nostre sale da concerto, per far
ascoltare pezzi rarissimi e del tutto
dimenticati, salvo Berio, s’intende. Il numeroso
pubblico presente ha applaudito con entusiasmo
la performance di Cassone e di Cucco, ottenendo
un ‘fuori programma, la ripetizione del
bell’Adagio verdiano. Prossimo appuntamento,
imperdibile, col Festival Fiati il 14 aprile,
con l’ottimo cornista Jonathan Lipton, primo
corno della London Symphony.
31 marzo 2023 Bruno Busca
La tromba di
Markus Stockhausen al Museo del Novecento
Un tardo pomeriggio di musica
contemporanea al Museo del Novecento,
organizzato da NoMus e dalla Società
del Quartetto, ci ha permesso di ascoltare
due brani di piacevole comprensione . Il
primo,
in ordine di esecuzione , era di Karlheinz
Stockhausen, con il suo Tierkreis, in una
versione per pianoforte, flauto, due clarinetti
e fagotto. Il secondo, di Damiano Santini, era
Zodiaco, 12 brani in quattro parti,
Fuoco, Acqua,Terra e Aria, per tromba e
pianoforte, con la straordinaria
partecipazione di Marcus Stockhausen alle trombe.
In Tierkreis (Zodiaco, 1974) la presenza
come interpreti di studenti del Conservatorio
"Giuseppe Nicolini" di Piacenza ci ha rivelato
le ottime qualità dei protagonisti nel definire
l'ottimo lavoro del grande musicista ed
innovatore tedesco, legato alla città di Colonia
e scomparso nel 2007. Tierkreis, musica
originariamente per carillons, utilizzata anche
in un'azione teatrale, ebbe in seguito
trascrizioni per diverse realizzazioni e
strumentazioni. Quella ascoltata ieri era di
ottima fattura ed ha messo in relazione i cinque
strumentisti nel
definire
armoniose e semplici sonorità con un linguaggio
di facile comprensione nella sua estrema e
piacevolissima originalità. Alcuni dei
bravissimi strumentisti - nei nomi di Gabriele
La Venia, ottavino e flauto, Alessandra
Tamborlani e Sara Manzoni, clarinetti, Enrico
Bertoli, fagotto e Ginevra Paniati, pianoforte-
hanno anche mimato le situazioni musicali con
una incisiva e piacevole gestualità. Ottima
l'interpretazione fornita, ed evidente
l'apprezzamento del numerosissimo pubblico
intervenuto nella luminosa e panoramicissima
Sala Fontana. Le trombe di Markus Stokhausen ed
il pianoforte di Alessandra Garosi hanno poi
definito in modo mirabile l'originale lavoro di
Damiano Santini che viene espletato secondo un
procedimento dove anche gli interpreti hanno
voce in capitolo nella creativa costruzione del
brano. Mentre la parte pianistica è
fondamentalmente scritta in partitura, quella
della tromba è stata completamente improvvisata
dal grande trombettista. Le ottime sinergie dei
due interpreti hanno portato ad una splendida
resa coloristica di Zodiaco,
un
brano d' immediata comprensione grazie anche ai
colori profondi e voluminosi delle tre trombe
utilizzate da Stockhausen. In una sequenza, il
figlio del celebre compositore, girava per la
sala dando spazialità alla musica con il
profondo timbro dello strumento. L'ottima musica
si sviluppava in un linguaggio tonale suggestivo
e di evidente riflessiva meditazione. Di ottima
qualità anche la componente pianistica e
virtuosistica di Alessandra
Garosi , interprete
sicura e attenta agli interventi del
trombettista. Il pubblico ha decisamente
apprezzato l'ottimo lavoro, elargendo al termine
fragorosi applausi . Il duo ha concesso un bis
con ancora una sequenza improvvisata ispirata al
brano di Santini. Bravissimi.
29 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
A
NOVARA IL FESTIVAL CANTELLI CONCLUDE LA SUA
42ESIMA STAGIONE CON IL “PICCOLO SPAZZACAMINO”
DI B. BRITTEN
Già
progettato dall’Associazione Amici della Musica
di Novara fin dal 2020, “Il piccolo spazzacamino”
(“The little sweep” il titolo originale inglese)
di Britten, dopo un lungo rinvio dovuto alla
pandemia, è stato finalmente rappresentato ieri
sera, martedì 28 marzo, sul palcoscenico del
Teatro Faraggiana, come spettacolo conclusivo
della 42esima stagione del Festival Cantelli..
Perché “Il piccolo spazzacamino”? La risposta la
dà il Maestro Ettore Borri, Presidente
dell’Associazione Amici della musica:
quest’opera di Britten, composta nel 1949, è
oggi più che mai attuale con la sua denuncia del
tragico fenomeno dello sfruttamento minorile,
dolorosamente diffuso in Italia e nel mondo.
Un’opera dunque, di alto impegno civile,
nonostante sia definita nel catalogo delle opere
del compositore inglese “Opera per bambini”, la
cui tematica la rende di drammatica attualità.
In effetti, l’immagine del bambino, simbolo di
indifesa innocenza e di libertà schiacciata da
un mondo adulto violento e brutale, ricorre
abbastanza spesso nell’opera musicale di
Britten: basti
pensare
soltanto a quell’inquietante capolavoro del
teatro musicale che è il “Peter Grimes”, di
pochi anni precedente “Il piccolo spazzacamino”.
Britten e il suo collaboratore Eric Crozier
scrissero il libretto ispirandosi a due celebri
poesie del grande poeta romantico inglese
William Blake, entrambe intitolate “The chimney
sweeper” (1789 e 1794) appunto “Lo spazzacamino”,
non senza ovvie influenze dei romanzi
dickensiani alla “Oliver Twist”. Strutturalmente,
si tratta di un’opera in un atto, diviso in tre
scene, in cui le parti cantate da solisti si
alternano a parti corali, a sezioni declamate e
a dialoghi recitati. Un po’ alla lontana (manca
l’elemento della danza), l’autore sembra rifarsi
al modello della ‘Masque’, la prima forma
assunta dal melodramma su suolo inglese. La
vicenda, che si immagina svolgersi nel 1810, è
quella del piccolo Sem (Sam nell’originale)
venduto dal padre, caduto in miseria per un
infortunio sul lavoro, al brutale spazzacamino
Nerone (Black Bob) e al suo assistente
Clementino (Clem), che sfruttano crudelmente il
fanciullo, costringendolo a salire negli stretti
camini per pulirli. Il piccolo, terrorizzato dai
bui e stretti cunicoli in cui si sente soffocare,
è salvato dai bimbi che abitano una casa di cui
deve pulire il camino, Iken Hall, i tre fratelli
Brook e i loro tre cugini Croome, che con
l’aiuto della bambinaia Rosa (Rowen, l’unico
personaggio positivo del mondo adulto), riescono
astutamente a nasconderlo e a sottrarlo alla
ricerca di Nerone e della signorina Bracco, la
malvagia governante (Miss Baggott), regalandogli
la libertà e la felicità. L’organico orchestrale
chiamato a sostenere la parte vocale nelle
sezioni cantate e in generale ad accompagnare lo
svolgersi della vicenda, l’Ensemble”Amici musica
Cocito”, diretto dal Maestro Sergio Castroreale,
è costituito da un pianoforte suonato a quattro
mani (Anna Doria e Silvia Giliberto), da un
quartetto d’archi ( Rebecca Bove e Ilaria Salsa
violini, Silvia Rossi viola, Isabella Maria
Veggiotti violoncello, quattro giovani formatisi
al Conservatorio Cantelli di Novara) e
percussioni, affidate a Matteo Savio,
neodiplomato al Conservatorio G. Verdi di
Milano. Ma il carattere che più distingue “Il
piccolo spazzacamino” nella lunga e vasta storia
del teatro musicale è che si tratta di un’opera
per bambini, nel senso che ad essa i bambini
partecipano, cantando, come voci bianche soliste
e in coro, parlando, recitando, accanto agli
adulti, cantanti di professione. Con questa
particolarità Britten ha voluto avvicinare i
bambini al mondo del teatro musicale, che pare
cosi distante dagli interessi e dai gusti
dell’infanzia. Ma forse il genio di Britten ha
intuito che non
si
tratta di una distanza così incolmabile: in una
sua recente pubblicazione Alberto Mattioli
sostiene acutamente che alcuni aspetti
dell’opera per musica ( dall’assoluta mancanza
di realismo e di verosimiglianza così frequenti
in tanti episodi, alla tipologia di molti
personaggi) avvicinano il teatro musicale
proprio al genere, tipicamente infantile, della
fiaba. Non solo, ma ne “Il piccolo spazzacamino”
ha un suo ruolo anche il pubblico in sala,
chiamato, per così dire, a ‘entrare’ nello
spettacolo, cantando quattro canzoni e
partecipando così anch’esso a quel viaggio verso
la libertà e la felicità di cui è protagonista
il piccolo Sem. Le quattro canzoni in questione
sono state saggiamente affidate in questa
occasione a un coro di allievi del Liceo
musicale-coreutico F. Casorati di Novara, che
hanno preso posto in platea, come ‘rappresentanti’
del pubblico. L’allestimento dell’operina’, (poco
meno di un’ora di durata) per cause di forza
maggiore, ha costretto la regia di Paolo
Bignamini e la direzione artistica di Ettore
Borri a scelte indubbiamente necessarie, ma che
hanno alterato profondamente la natura dello
spettacolo. Non essendo il Faraggiana dotato di
buca per l’orchestra, si è dovuto fare di
necessità virtù e collocare tutti quanti,
cantanti, coro di voci bianche, ensemble
strumentale, nell’unico spazio del palcoscenico.
Rendendo questo affollamento impensabile
qualsiasi significativo movimento sul
palcoscenico e quindi qualsiasi recitazione, la
parte dialogata del libretto è stata trasformata
in un testo letto da una voce narrante (Mario
Cei) collocata in un palco, mentre i cantanti,
professionisti e voci bianche, seduti sul
palcoscenico, si alzavano e nel proscenio
cantavano la loro parte. Si è perso così,
purtroppo quel movimento continuo,
quell’intreccio di voci che vede protagonisti i
bambini e che costituisce uno degli aspetti più
coinvolgenti del “Piccolo spazzacamino”. La
parte musicale di questo allestimento è stata
comunque apprezzabile: i cantanti, a cominciare
dalle voci bianche, dell’Accademia Langhi e dei
Pueri Cantores dell’Istituto Immacolata di
Novara, hanno interpretato correttamente e con
partecipazione il loro ruolo. L’elenco sarebbe
molto lungo, ci limitiamo al nome di Sofia
Capozza, un Sem en travesti, che ha dato al suo
canto la giusta nota di dolore e paura. Più che
dignitose le prestazioni dei cantanti
professionisti: il basso Oliviero Pari e il
tenore Damiano Colombo, nei ruoli
rispettivamente di Nerone e di Clementino,
entrambi dotati di una linea vocale pulita e ben
timbrata nella tessitura propria a ciascuno dei
due; il mezzosoprano Elena Caccamo, un’ottima
signorina Bracco, sia sul piano musicale, con un
fraseggio abile nel salire dai registri più
bassi a quelli acuti, sia su quello attoriale,
recitando bene la parte della sgradevole e
ottusa ‘nemica’ dei bambini; il soprano Barbara
Massaro, una Rosa efficace nella vocalità virata
sul patetico e agile negli acuti, e il soprano
Maria Grazia Aschei, una Giulietta dotata di
voce limpida e di buon volume, considerata anche
la giovane età. Validi i cori, sia quello delle
voci bianche, in palcoscenico, diretto dal
Maestro Alberto Veggiotti sia quello del ‘pubblico’
in platea, cui perdoneremo volentieri qualche
sbavatura con l’ensemble orchestrale nella
‘Canzone del bagno di Sem’, ampiamente
compensata da una brillante esecuzione del
successivo ‘Canto Notturno’. Ci è piaciuto
l’Ensemble strumentale, diretto con leggerezza e
cura del dettaglio timbrico dal Maestro
Castroreale, che ha valorizzato quella vena di
musicalità indefinibile, fatta a un tempo di
malinconia e di sottile ironia, che è propria di
molto Britten e in particolare del “Piccolo
spazzacamino”. Un plauso particolare al primo
violino di Rebecca Bove, per l’intensità
espressiva di certi suoi interventi e alle
percussioni di Matteo Savio, suonate con
delicatezza e raffinatezza. Lo spettacolo ha
avuto successo, testimoniato sia dal folto
pubblico, che riempiva la platea, sia dagli
applausi prolungati e convinti tributati alla
conclusione. E’ stata giustamente premiata la
fatica di chi, nonostante i limiti imposti dalla
struttura del teatro e dalle risorse disponibili,
ha saputo confezionare uno spettacolo
intelligente e capace di avvicinare i giovani e
giovanissimi alla musica. Proprio come voleva
Britten. (Foto dall'ufficio stampa di Novara)
29 marzo 2023 Bruno Busca
Mao Fujita, un pianista
autenticamente mozartiano alle Serate
Musicali
Il ventiquattrenne pianista
giapponese Mao Fujita era già venuto a Milano lo
scorso anno per un concerto tenuto insieme alla
Filarmonica della Scala. Giovanissimo, a soli 17
anni, vinse l'importante Concorso
Internazionale Clara Haskil in Svizzera e
due
anni dopo in Russia ottenne il secondo
premio al Concorso
Čajkovskij. Ieri sera in Sala Verdi, ai
concerti organizzati da Serate Musicali,
l'abbiamo ascoltato in un
recital pianistico per
un impaginato dedicato interamente a Wolfgang
Amadeus Mozart. Quattro Sonate che il poco più
che ventenne genio salisburghese compose tra il
1777 e il 1778, durante i suoi viaggi europei.
Sono state eseguite in questo ordine la
Sonata n.7 in do maggiore K 309, la
Sonata n.8 in la minore K310, la Sonata
n.13 in si bem.maggiore K 333 e la Sonata
n.9 in re maggiore K311. Interpretazioni di
alto livello quelle di Fujita, che certamente in
Mozart trova un'affinita musicale sorprendente
per perfezione tecnica,
ricchezza di colori e di
contrasti dinamici, mediati da una gestualità
naturale consapevole di quello che produce. La
personalizzazione delle Sonate, con frangenti in
molti movimenti di eccellenza, ha trovato anche
spontanei abbellimenti particolarmente centrati
che hanno reso ancor più varia l'esecuzione.
Pubblico entusiasta e ottimo il bis concesso, l'Allegro
della Sonata n.16 K545 , quella in
apparenza più facile, ma che, come accade nella
musica tecnicamente più semplice, quella che deve
essere maggiormente interpretata con
espressività, cosa non difficile per un pianista
autenticamente mozartiano come Fujita.( Foto in alto di Alberto Panzani-Ufficio stampa Serate Musicali)
28 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
Antonio Alessandri
e le
Variazioni Goldberg di Bach per Musica
Maestri in Conservatorio
Per Musica Maestri!, la
rassegna organizzata nella Sala Puccini del
Conservatorio milanese, abbiamo ascoltato il
vincitore del Premio del Conservatorio 2022
per la categoria Giovani talenti , il
pianista Antonio Alessandri. A diciassette anni
appena compiuti, il giovanissimo interprete ha
voluto portare un brano fondamentale
della
letteratura barocca -prima clavicembalistica,
poi pianistica - di J.S.Bach. Le Variazioni
Goldberg BWV 988, rese celebri da Glenn
Gould dalle sue due storiche incisioni
discografiche, sono oggi un punto d'arrivo di
moltissimi pianisti affermati. Per Alessandri,
certamente prodigioso nel la sua attuale
progressione interpretativa, le Goldberg
vorrebbero essere un punto di partenza, cosa
probabilmente eccessiva per via della giovane
età dell'interprete. In realtà, se dimentichiamo
le interpretazioni entrate nella storia di
questo capolavoro arhitettonico-musicale,
dobbiamo ammettere di aver trovato la
restituzione di Alessandri complessivamente di
ottima fattura, con frangenti di elevata qualità.
Eseguita tutta a memoria, per una scelta
esecutiva piuttosto dilatata in alcuni tempi -ottanta
minuti la durata complessiva- l'esecuzione del
giovanissimo pianista ha trovato solo pochi
attimi di lievi incertezze, ma la fluidità
discorsiva, specie nelle variazioni più
virtuosistiche, è stata all'altezza della
situazione. Una scelta coraggiosa quella del giovane pianista milanese, che ha dato i suoi frutti. Gli
applausi sostenuti dal numeroso pubblico
intervenuto ne sono la dimostrazione tangibile.
Bravissimo!
26 marzo 2023 Cesare Guzzardella
AL VIOTTIFESTIVAL DI VERCELLI
IL VIOLINISTA MARC BOUCHKOV
A un mese esatto dal recital
di Kerson Leong, il Teatro Civico di Vercelli ha
visto protagonista del concerto del Viotti
Festival di ieri sera, sabato 25/03, un altro
giovane talento del violino, il belga, ma di
chiare origini russo-ucraine, Marc Bouchkov. C’è
da sospettare che abbia ragione l’autore della
presentazione del programma, quando scrive che
stiamo vivendo una ‘età dell’oro dei solisti’:
limitando tale affermazione ai violinisti,
quanto abbiamo ascoltato negli ultimi tempi a
Vercelli parrebbe confermarla pienamente. Il
programma della serata ha visto Bouchkov nella
duplice veste di solista e di direttore
d’orchestra della Camerata Ducale, come
Konzertmeister; dunque, niente podio e niente
bacchetta: il suo posto, nei brani sinfonici,
era quello del primo violino. La disposizione
degli orchestrali, solo archi per tutte e tre le
composizioni in programma, piuttosto singolare,
vedeva in piedi i violinisti e i violisti (oltre,
ovviamente, ai contrabbassisti, dietro i
violoncelli): dal posto di platea da noi
occupato veniva dal palcoscenico la strana
impressione ottica di un confuso assembramento
di violini e viole, separati dai violoncelli
compostamente seduti. Non sapremmo dire se si
tratti di
una
del tutto errata sensazione del nostro udito o
di una effettiva realtà acustica, ma ci è parso
che, questa disposizione degli archi producesse
un volume sonoro più massiccio del solito, da
orchestra sinfonica, più che cameristica. Il
programma della serata si apriva con la Sinfonia
per archi n.2 in Re maggiore MWV N2 di
Mendelssohn, una delle dodici sinfonie, quasi
tutte, salvo eccezioni, per soli archi, e quasi
tutte in tre tempi, che un Mendelssohn ancor
fanciullo venne componendo tra il 1821 e il
1823. La n.2 presenta il carattere che è comune
alle altre undici sinfonie, e, più in generale,
a tutta la musica di Mendelssohn: una limpidezza
ed eleganza assolute, cui aderisce perfettamente
l’esecuzione della Camerata Ducale, con la
scelta dei tempi, la cura dei dettagli e la
gestione delle dinamiche, particolarmente
efficaci in momenti come il breve sviluppo
dell’Allegro iniziale, dall’andamento nervoso,
fatto di brevi incisi motivici spezzati o come
l’ispirazione meditativa dell’Andante centrale.
Lo stile interpretativo che Guido Rimonda ha
plasmato negli anni con la “sua” orchestra,
fatto di lucida eleganza e squisita finezza di
sapore cameristico, trova in brani come questo
il suo terreno d’elezione e Bouchkov non ha
fatto che assecondarlo, affidandosi ad una
compagine che ormai certe partiture potrebbe
anche suonarle senza direttore. In generale
l’interpretazione di questo gioiellino giovanile
di Mendelssohn si è caratterizzata per la
leggerezza aerea delle linee contrappuntistiche,
soprattutto nell’Allegro finale, ove essa fa da
sfondo al ritmo incalzante che percorre tutto il
movimento. A seguire, una composizione
appartenente allo stesso periodo fanciullesco
dell’opera di Mendelssohn, il Concerto per
violino e archi in re minore MWV O3, scritto nel
1822. Si tratta di un concerto caduto per lungo
tempo nel quasi completo oblio, da cui lo trasse
solo alla metà del secolo scorso il grande
violinista Yehudi Menuhin, che lo inserì
stabilmente nel proprio repertorio. Non si può
dire oggi, tuttavia, che si tratti di un
concerto di frequente esecuzione,
inevitabilmente sovrastato da quel capolavoro
assoluto che è il concerto in Mi minore.
Tuttavia si tratta pur sempre di un’opera che,
al di là delle riconoscibili influenze di
modelli cui non poteva non guardare un enfant
prodige del tempo, da Viotti a R. Kreutzer, è
già piena manifestazione del talento di
Mendelssohn. Bene ha fatto dunque Bouchkov a
proporre questo pezzo, che tra l’altro presenta
il pregio di non caratterizzarsi per un
eccessivo virtuosismo, mantenendo i passaggi di
agilità in perfetto equilibrio con le esigenze
espressive, quasi a voler (apprezzabilmente, da
parte nostra) evitare il ‘concerto-spettacolo’
per una prova più orientata sui valori
interpretativi dell’esecuzione. Fin dall’Allegro
d’apertura emergono alcune delle qualità più
spiccate dello stile di Bouchkov: anzitutto il
giovane solista belga sa far ‘cantare’ come
pochi le quattro corde: il suo è un canto di
purezza cristallina e di leggerezza incantevole,
perfettamente adeguata a dare voce a quella
insopprimibile componente ‘mozartiana’ che è di
tutta l’arte di Mendelssohn, e in questa opera
persino troppo evidente nella coda
dell’esposizione. Un canto, quello del violino
di Bouchkov, che sa farsi dolce e struggente, di
una intensità quasi avvolgente, come nelle
battute conclusive del movimento e nel mutevole
trascolorare dei temi dell’Andante centrale. Ma
questa cristallina purezza e morbidezza di suono
è poi accompagnata da una vigorosa energia, che
spicca in particolare nell’Allegro finale, dai
ritmi incalzanti e funambolici. Il tutto, quasi
inutile precisarlo, sostenuto da una tecnica
solidissima, che emerge in particolare nei
momenti virtuosistici del brano, soprattutto in
alcuni episodi del primo tempo, con le loro
cascate spumeggianti di arpeggi, brevi scale
ascendenti e discendenti etc. etc.. Ma quello
che l’ascoltatore ricorderà di Bouchkov, almeno
per quel che riguarda questo concerto, non è il
virtuoso, ma il grande solista, capace di donare
ad un pezzo forse troppo misconosciuto,
un’espressività coinvolgente sino all’emozione.
L’ottima intesa tra il solista/direttore e la
Camerata ducale ha permesso quella cura precisa
del dettaglio timbrico e delle dinamiche, che è
stato un altro merito di questa bellissima
esecuzione del concerto giovanile di
Mendelssohn.. Quel virtuosismo limitato nel
pezzo in programma, si è preso poi la sua
rivincita nel bis concesso da Bouchkov, una
composizione di Ysaye, ci è sembrato di capire,
ma potremmo aver inteso male, la Danse rustique
( che sarebbe poi un tempo della Sonata n.5 in
Sol maggiore): un continuo sciorinare delle più
ardue figurazioni violinistiche: l’ascoltatore
ne resta ammirato, ma francamente non è una
musica che ci scalda il cuore…A chiudere la
serata la Serenata per archi in Mi maggiore
op.22 di Dvorak.. La Serenata in cinque
movimenti di Dvorak, ove il termine ‘Serenata’
va inteso nel significato già
settecentesco-mozartiano di ‘composizione
orchestrale libera, meno vincolata agli schemi
della sinfonia’, unisce armoniosa eleganza della
scrittura, ispirata a momenti di abbandonato
lirismo, e una più robusta vena melodica
ispirata al folklore boemo. Un brano che impone
all’orchestra e a chi la dirige una attenzione
particolare ai dettagli timbrici delle diverse
sezioni degli archi, nonché ai giochi
chiaroscurali delle dinamiche; aspetti entrambi
curati con eccellenti risultati dalla Camerata
ducale, specialmente in quelli che, almeno a
nostro avviso, sono i due tempi più belli della
Serenata: l’iniziale Moderato, di cui
l’interpretazione ascoltata ieri sera aderisce
con precisione di colori e di tempi
all’andamento musicale, impostato su un
intreccio a imitazioni, nel vario gioco
espressivo, tra primi e secondi violini e
violoncelli, che sostiene la mirabile idea
lirica della prima sezione; e l’affascinante
quarto movimento, un Larghetto, in cui tutte le
linee degli archi vengono chiamate a cantare con
una sensibilità poetica di trascinante
suggestione. Neppure lo sfortunato incidente di
uno strombazzante falso allarme antincendio,
messosi a suonare all’improvviso per qualche
minuto, ha interrotto l’incanto di questa musica.
Un’ altra serata di ottima musica, donata al
pubblico, come sempre accorso numeroso, dalla
Camerata Ducale e dal suo ormai irrinunciabile
ViottiFestival.
26 marzo 2023 Bruno Busca
Le nuove "Prove
aperte della
Filarmonica" al Teatro alla Scala
È iniziata al Teatro alla
Scala la dodicesima edizione della rassegna "Prove
aperte della Filarmonica", una serie di
concerti sinfonici che precedono il concerto
della Stagione ufficiale. Il concerto di ieri
mattina ha visto come protagonista la pianista
portoghese Maria Jõsao Pires e il direttore
milanese Gianfranco Noseda per brani di Mozart,
Rachmaninov e Stravinskij. Ricordiamo che gli
sponsor di
quest'anno
oltre che lo stesso Teatro alla Scala e il
Comune di Milano, sono anche Unicredit ed
Esselunga . Anche i prezzi calmierati dei
biglietti permetteranno di finanziare il
progetto “La Scuola della Seconda Opportunità
- Sicomoro I CARE”, un percorso scolastico
rivolto a ragazzi e ragazze tra i 14 e i 16 anni
iscritti alle scuole secondarie di primo grado e
non frequentanti o a rischio di abbandono. Ieri
abbiamo assistito prima al celebre Concerto
per pianoforte n. 9 in mi bemolle maggiore "Jeunehomme"
K 271 di Mozart, quindi a L’oiseau de feu
(suite dal balletto op. 20, 1942) di
Stravinskij e a conclusione alla Fantasia per
orchestra op. 7 " La Roccia" di Rachmaninov.
Sono tutti lavori giovanili di compositori
prodigiosi che sono stati proposti interamente
dalla Filarmonica di fronte ad un pubblico che
riempiva il Teatro. Il brano d'inizio mozartiano,
"Jeunehomme" ha visto la pianista Maria Jõsao
Pires, una delle massime interpreti del
prodigioso
musicista salisburghese, coadivata dalla precisa
direzione di Noseda. Nel successivo lavoro
stravinskijano, Noseda ha rivelato ancora una
voltà le sue eccellenti qualità direttoriali nei
repertori più vicini ai nostri giorni e la
restituzione, pur in prova generale, è stata
pressochè perfetta. Il brano che in programma
era centrale, è stato invece eseguito al termina
della mattinata e ci ha permesso di conoscere le
qualità di un Rachmaninov
ventenne,
già con doti d'orchestrazione di splendida
fattura. Ancora ottima la resa espressiva nei
gesti essenziali e precisi di Noseda e nella
restituzione dei bravissimi Filarmonici. Un
successo evidente, per un'iniziativa culturale
meritevole, che ha portato anche molti giovani
per la prima volta alla Scala. Chi volesse
sostenere l'Associazione Sicomoro è pregato di
entrare nel link:
https://www.fondazionesicomoro.it/come-sostenerci.html.
Si ricorda che il
concerto ufficiale sarà domani, lunedì 27 marzo.
Da non perdere.
26 marzo 2023
Cesare Guzzardella
Giuseppe Grazioli
dirige la
Sinfonica di Milano nella "Vienna
Sinfonica"
Particolare il concerto
ascoltato ieri sera in Auditorium con
l'Orchestra Sinfonica di Milano diretta da
Giuseppe Grazioli. Quattro compositori in
programma quali Korngold, Suppé, Lehár e
J.Strauss hanno permesso una netta suddivisione
di emozioni tra la prima e la
seconda
parte della serata. La corposa Sinfonia in fa
diesis maggiore op.40 (1949-1952) di Erich
Wolgang Korngold è un'assoluta rarità esecutiva.
Il precoce compositore, nato in Moravia, vissuto
a Vienna e naturalizzato negli Stati Uniti,
conquistò una significativa notorietà
internazionale grazie alle numerose colonne
sonore che gli permisero importanti premi e ad
alcuni lavori sinfonici come il delizioso
Concerto per violino. Alcune opere vengono
spesso eseguite, altre, come questa sinfonia,
anche per la sua poca immediatezza, non trovano
grande interesse nelle sale da concerto. In
realtà l'interessante lavoro è di ottima fattura
e meriterebbe
maggiore
diffusione. L'Op.40 ha un linguaggio
decisamente personale, definito da una splendida
orchestrazione, elogiata in passato anche da
Gustav Mahler. Grazioli ne ha elargita un'
ottima interpretazione, minuziosa e attenta ai
dettagli, e la restituzione orchestrale ha
trovato la giusta sintesi discorsiva
nell'impegnativo lavoro -suggestivo e ricco di
tensioni emotive- che si sviluppa nei classici
quattro movimenti. Il clima musicale ha visto un
deciso cambiamento dopo l'intervallo, con lo
spirito più leggero legato al mondo dei valzer
viennesi.
La
Straussiana (1953) di Korngolg trova un
deciso riferimento con il mondo dei tre
quarti , così come l'Ouverture da Il
poeta e il contadino (1846) di Franz von
Suppé, l'Ouverture da La Vedova allegra
(1905) di Franz Lehár e l'Ouverture da Il
Pipistrello (1874) di Johann Strauss. Sono
tutti lavori che legano tra di loro arie spesso
celebri in una sintesi musicale che è piaciuta
molto ai presenti in sala. Un mondo musicale di
grande leggerezza ma anche di raffinate sonorità,
ben colte e restituite con passione da Giuseppe
Grazioli. Applausi dal numeroso pubblico
presente in Auditorium. Domenica, alle ore
16.00, si replica. Da non perdere.
25 marzo 2023 Cesare Guzzardella
Julian Rachlin violinista
e direttore per I Pomeriggi Musicali
Da alcuni anni il violinista
lituano Julian Rachlin è alla ribalta
internazionale per le sue qualità d'interprete.
Negli ultimi anni si è anche affermato come
direttore d'orchestra. L'impaginato scelto per
l'Orchestra
de I Pomeriggi Musicali prevedeva due
lavori celebri quali il Concerto per violino
e orchestra n.2 in mi minore op.64 di
Mendelssohn e la Sinfonia n.7 in la maggiore
op.92 di Beethoven. Il ruolo di violinista e
direttore nel primo brano ha rivelato
soprattutto le qualità solistiche del virtuoso,
che ricordiamo si è formato a Vienna, città dove
vive da molti anni. La melodicità del concerto,
nei classici tre movimenti legati tra loro senza
soluzione di continuità, ha nel violino il polo
dominante d'attenzione, pur essendo il concerto
- composto da Mendelssohn nel 1844- dotato di
un'orchestrazione particolarmente pregnante con
valenza certamente sinfonica. L'ottima
interpretazione
ascoltata
ha evidenziato un solista raffinato ed elegante,
non voluminoso, ma con coerenti modi di
controllare il timbro ricco dello strumento, con
dinamiche varie e precise in ogni dettaglio.
Ottima l'integrazione con tutte le sezioni
orchestrali per una miscelazione timbrica di
eccellente resa. Applausi fragorosi dal pubblico
presente al Dal Verme e un ottimo bis -malgrado
l'improvvisa disturbante forte tosse di una
spettatrice- con la nota Sarabanda dalla
Partita n.2 in re minore di Bach eseguita
in modo interiorizzato e luminoso.
Dopo
il breve intervallo, Rachlin si è dimostrato un
ottimo direttore d'orchestra nell'estroversa
Settima Sinfonia beethoveniana, composizione
che ebbe la prima esecuzione nel dicembre 1813.
Il clima musicale, completamente in contrasto
con la raffinata leggerezza del concerto
mendelssohniano, ha mostrato una direzione
intensamente partecipe, dove Rachlin, con
gestualità risoluta, ha messo in risalto le
timbriche anche fragorose dei movimenti più
estroversi. Pregnante di espressività il geniale
celebre Allegretto, movimento di una
bellezza scultorea ben calibrata da Rachlin per
l'ottima restituzione dell'Orchestra de I
Pomeriggi. Calorosi applausi dal pubblico
con ripetute uscite del violinista-direttore in
palcoscenico. Sabato alle ore 17.00 la replica.
Da non perdere!
24-03-23 Cesare Guzzardella
Mariangela Vacatello
e il
Quartetto Prometeo per la "Società dei
Concerti"
Il programma previsto per il
concerto di ieri sera, per l'organizzazione
della Società dei Concerti, ha dovuto
subire un improvviso cambiamento per
l'indisposizione del secondo violino del
Quartetto Prometeo, il violinista Aldo
Campagnari, sostituito con poco
preavviso
da Daniele Orlando. È rimasto nell'impaginato il
Quintetto in la maggiore op.81 di Dvo řák,
mentre come primo lavoro il più celebre
Quintetto in mi bem. maggiore op.44 di
Schumann ha sostituito il meno eseguito
Quartetto in re minore di Wolf. Un programma
certamente interessantissimo, con due lavori
importanti che hanno trovato al pianoforte la
nota pianista campana Mariangela Vacatello. É
ovvio citare anche gli altri tre membri del
Prometeo: il violinista Giulio Rovighi, la
violista Danusha Easkiewicz e il violoncellista
Francesco Dillon i quali hanno trovato in
Daniele Orlando un violinista di ottima resa
interpretativa
e
perfettamente inserito. Il Quartetto Prometeo,
noto anche nel repertorio contemporaneo di cui
sono assidui frequentatori, ha trovato una
splendida sinergia con Mariangela Vacatello per
due interpretazioni di eccellente qualità
complessiva. La fluida discorsività, rilevata in
entrambi i lavori, era intrisa di una leggerezza
d'insieme evidente, pur nell'evidenzazione dei
sottoli contrasti dinamici. Gli andamenti,
spesso rapidi, hanno trovato una chiarezza
espressiva di alto livello. I due capolavori
cameristici sono stati riletti da una modernità
interpretativa che li rende nuovi nella loro
bellezza. Applausi fragorosi dal pubblico
presente nella Sala Verdi del Conservatorio
milanese e come bis è stato riproposto lo
splendido Scherzo-Furiant Molto Vivace
del Quintetto di Dvořák.
Splendida serata.
23-03-23 Cesare Guzzardella
Il Festival 5 Giornate
al Museo del
Novecento
Il valido concerto
organizzato ieri pomeriggio al Museo del
Novecento era inserito nel contesto del
"Festival 5 giornate" che si sta svolgendo
in questi giorni a Milano. Concerti, incontri e
dibattiti
dedicati
alla musica nuova avvengono in varie parti della
città. Nella Sala Fontana del Museo di Piazza
Duomo, la pianista e compositrice Rossella
Spinosa e il soprano Ilaria Torciani, esponenti
del New Made Ensemble, hanno eseguito due
brani: il primo era un omaggio ad Azio Corghi,
musicista recentemente scomparso, con Le
Viòire per soprano e pianoforte, quindi di
Sylvano Bussotti il duo ha proposto Un poema
del Tasso. Entrambe ottime le
interpretazioni, con una valida resa coloristica
della voce femminile in entrambi i lavori.
Quindi è stata la volta del pluri-sassofonista
Mario Marzi in un programma nel quale ha
rivelato ancora una volta le sue notevoli
qualità virtuosistiche alternando i sassofoni
soprano, tenore e baritono. Partendo da Luis de
Pablo-Bach con Solo kunste fugue , si è
passati all'interessante Piangere la pietra
costruito sulla lettura di un testo di
Edoardo Sanguineti (lettura registrata con voce
del poeta) "Laborintus n.14" e musica per
sax baritono di Fernando Mencherini. Una
progressione ritmica di note varie e pregnanti
ha sottolineato l'originale ermetico testo. A
seguire abbiamo ascoltato un lavoro per
sassofono soprano composto da Rossella Spinosa e
dedicato a Mario Marzi, in Prima esecuzione
assoluta, denominato Novità. È un brano
di ampio respiro con cambiamenti melodici e
ritmici eseguiti in modo scorrevole ed
espressivo. Il successivo cupo, melodioso,
pregnante, Notturno è una composizione
giovanile del noto compositore Luca Francesconi
di ottima qualità. Quindi l'interessantissimo
brano di Marzi-Notaro, Fratelli d'Italia,
costruito sull'Inno di Mameli, ci ha rivelato i
potenziali espressivi e tecnici del sassofono
tenore mediati da un virtuosismo superlativo
dell'interprete. Un brano che vuole essere una
denuncia alle incoerenze esistenti nel nostro
Paese rese benissimo dalle sonorità, anche
stridenti, del voluminoso strumento. A
conclusione un'ottima profusione ritmica ricca
di accenti con Maceo di Ned Rothenberg,
ha concluso l'ottimo pomeriggio. Applausi
sostenuti nella Sala al completo.
22 marzo 2023 Cesare Guzzardella
Piotr Anderszewski
alle Serate
Musicali
Torna tutti gli anni il
pianista polacco Piotr Anderszewski ai concerti
organizzati da Serate Musicali. La scelta
dell'impaginato è sempre diversificata con
autori che vanno dal barocco al '900 storico.
Anche ieri sera, in Sala Verdi nel Conservatorio
milanese, Piotr
Anderszewski
ha voluto inquadrare il programma in un periodo
compreso tra il '700 e il 1950. Iniziando con la
Partita n.6 in mi minore BVW 830 (1730)
di J.S.Bach (1685-1750) interpretata con
equilibrio e coerenza con uno stile personale
ben interiorizzato, è passato poi al suo
connazionale Karol Szymanowski (1882-1937)
interpretando cinque Mazurche (n.ri
3-7-8-5-4) dall'Op.50. Sono brani tonali
particolarmente profondi concepiti alla fine
degli anni '20 che partendo dal folclore polacco,
vicino a quello ceco e ungherese, ritrovano un
linguaggio personale definito da toni poetici
cupi che l'interprete ha ben rimarcato nella
valida restituzione. Il brano più recente, del
1936-37, le Variazioni op.27 di Anton
Webern(1883-1945) usano una seria dodecafonica
che stravolge completamente il linguaggio tonale
e pone l'attenzione su altri parametri.
Anderszewski ha interpretato in modo eccellente
le
Tre
variazioniche formano l' Op.27, utilizzando una
gamma infinita di colori, con sostenuti sottili
cambiamenti dinamici e mettendo in evidenza
anche le note più isolate. Senza soluzione di
continuità ha poi legato l'Op.27 all'ultimo
brano in programma, la Sonata n.31 in la
bem.maggiore op.110 (1821-22) di L.v.
Beethoven (1770-1827). L'ottima interpretazione
complessiva della celebre sonata, nel personale
corretto equilibrio, ha trovato la miglior resa
nella parte più bachiana del lavoro la
Fuga.Allegro, ma non troppo conclusivo, nel
quale è emersa un'energia espressiva
particolarmente intensa. Applausi sostenuti dai
presenti e tre bis concessi: un efficace Bartòk
con il Folk Song Ungherese n.3, il
Preludio BWV 881 dal primo libro del
Clavicembalo ben temperato di Bach e la
Bagatella n.1 op.126 di Beethoven. Applausi
fragorosi dal pubblico presente in Sala Verdi.
21 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
Anna Netrebko
e Elena Bashkirova al
Teatro alla Scala per Rimskij-Korsakov,
Rachmaninov e
Čajkovskij
Il ritorno di Anna Netrebko
al Teatro alla Scala è
stato accolto con entusiasmo da una sala al
completo. Ad armonizzare le splendide melodie
dell'impaginato scelto - tutto russo-
l'eccellente pianista moscovita Elena Bashkirova
ha sottolineato mirabilmente il canto del
celebre
soprano lirico, per un' integrazione musicale di
rara bellezza e raffinatezza. Il programma,
molto corposo, prevedeva brani di Rimskij-Korsakov,
Rachmaninov e
Čajkovskij.
Del primo russo sono state selezionate dodici
liriche indicative della musica di Rimskij, tra
cui Chi nel silenzio della notte, brano
introduttivo, l'Inno al sole dal Gallo
d'oro e, a conclusione, Sogno di una
notte d'estate. La Netrebko oltre che ad
interpretare con timbrica ricca di colori le
melodie del primo russo, molte di esse di raro
ascolto, ha voluto esternarle con gestualità
attoriale particolarmente marcata, muovendosi
per il palco in ogni sua parte e dimostrando una
padronanza e sicurezza espressiva
che
ha pochi uguali. Anche le pagine dedicate a
Rachmaninov con sette brani, tra cui la nota
Oh non piangere, Paolo mio e le numerose
romanze da camera di
Čajkovskij,
ben otto, con la conclusiva Den’ li tsarit -Che
sia di giorno - hanno messo in rilievo le
integre qualità vocali
della cinquantaduenne cantante. Il suo personale
modo interpretativo, con i suoi evidenti modi
teatrali, sostenuti dalla sua trentennale
esperienza nei maggiori teatri del mondi, ha
conquistato il pubblico scaligero che con
immenso entusiasmo ha elargito applausi
interminabili. La Netrebko e l'eccellente
Bashkirova visibilmente soddisfatte, hanno
concesso due ottimi bis: il primo di Sergej
Rachmaninov da Francesca da Rimini e
quindi di Franz Lehár "Mein Lippen" da
Giuditta. Memorabile.
20 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
Lucas & Arthur
Jussen al Teatro Gerolamo
Oggi, prima della replica del
concerto in Auditorium , i fratelli Jussen hanno
intrattenuto il pubblico del Teatro Gerolamo per
una mattinata musicale di eccellente qualità.
Insieme a loro anche alcuni
strumentisti
della Sinfonica di Milano quali Luca Santaniello
al violino e Giovanni Marziliano al violoncelli,
insieme a Sandro Ceccarelli al corno e al serbo
Nemanja Stankovi ć
al violoncello, sono intervenuti in alcuni brani.
Lucas & Arthur Jussen hanno ancora una volta
rivelato le loro formidabili qualità
pianistiche nella Sonata per due pianoforti
in Re maggiore K448 di W. A. Mozart e nell'
Andante e Allegro brillante per pianoforte a
quattro mani op.92 di Felix Mendelssohn.
Esecuzioni di estrema sintesi e precisione
formale definite da una espressività
di
primo livello con una sincronia d'intervento
formidabile. Di ottima qualità anche il
Notturno dal Trio per pianoforte D897
di Franz Schubert eseguito con Lucas Jussen al
pianoforte, Luca Santaniello al violino e
Nemanja Stanković
al violoncello e anche l'Andante e variazioni
e op.46 di Robert Schumann con la originale
e particolare formazione che vedeva i fratelli
Jussen ai pianoforti, i violoncelli di Stanković
e di Marziliano e il corno di Stefano Ceccarelli.
Una rarità esecutiva
quella di Schumann che ha la parte pianistica
dei Jussen sempre in primo piano nell'alternanza
delle
rispettive
variazioni con il sostegno dei violoncelli e del
sonoro corno nel rinforzo melodico in alcune di
esse. Applausi sostenuti al termine del
programma ufficiale e uno straordinario bis per
due pianoforti con un pot-pourri di
Strauss-Roma di brani novecenteschi. Pubblico
entusiasta.
19 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
Alfonso Alberti e
Dado Moroni in
confronto all'Atelier
Musicale all'Auditorio
G.Di Vittorio della Camera
del Lavoro
Si è conclusa la XXVIII°
Stagione di "Atelier Musicale" con un concerto
particolarmente riuscito tenuto all'Auditorium
"G. Di Vittorio", in Porta Vittoria, denominato
"IL Pianoforte tra il Novecento europeo e il
Jazz americano" . Due specialisti dei
rispettivi
settori quali Alfonso Alberti e Dado Moroni si
sono alternati nell'intenso programma proposto,
mostrando ai numerosissimi intervenuti due
diverse angolazioni musicali
dell'interpretazione pianistica del Novecento.
Come sottolineato da Maurizio Franco, che ha
introdotto il concerto, la musica colta
contemporanea ha come elementi imprescindibili -
quasi sempre- le partiture e l'aderenza al testo
scritto, mentre nel jazz la parte più
preponderante è l'elemento improvvisatorio che
di volta in volta cambia e modifica il brano. I
compositori scelti dai due ottimi interpreti
sono stati Debussy, Stravinskij, Schönberg,
Stockhausen,
Ligeti,
Sugiyama per Alfonsi Alberti e Waller,
Ellington, Strayhorn, Monk, Powell, Evans e
McCoy Tyner per Dado Moroni. Alberti, dopo il
brano introduttivo ricco d'atmosfera con La
cathedrale engloutie di Debussy, ha scelto
brani spesso vicini alle ritmiche e alle
percussive sonorità del jazz come Cirkus
Polka di Stravinskij o Allegro Barbaro
di Bartók, arrivando poi ai nuovi linguaggi
di Schönberg con l'Op.19, di Stokhausen
con il Klavierstüke VIII, a Ligetì con
L'escalier du diable o il Canone. Al
termine del suo percorso ha interpretato
l'interessante e recente brano di Y. Sugiyama,
presente in sala, con il suo Intermezzo VI.
Un lavoro quest'ultimo particolarmente valido.
Dado
Moroni nella sua carellata di compositori Jazz,
tutti anche importanti storici pianisti, ha
proposto alcuni brani nel quale la componente
improvvisatoria ha rimarcato il suo raffinato
stile interpretativo, noto internazionalmente,
ricco di creatività. Tutti validi i brani
eseguiti da Moroni, estrapolando nei brani
finale temi ben personalizzati da Monk, Bil
Evans e il conclusivo McCoy Tyner. Un tardo
pomeriggio molto interessante per il raffronto
tra modi interpretativi diversi ma di ottima
qualità. Applausi calorosi in una sala al
completo e come bis breve improvvisazione a
quattro mani dei due pianisti.
Cesare Guzzardella
19 marzo 2023
Lucas & Arthur Jussen
in un brano di Fazil
Say in Auditorium
Sono tornati in Auditorium i
fratelli olandesi Lucas & Arthur Jussen per
eseguire un recente brano dal musicista e
pianista turco Fazil Say. Say, nato ad Ankara
nel 1970, è un compositore e interprete assai
noto che da anni viene a Milano per interpretare
brani classici e i suoi
lavori.
Nel 2020 ha scritto Anka Ku şu
(la Fenice)
per pianoforte a quattro mani e orchestra.
È dedicato ai fratelli
Jussen, pianisti di talento sia nelle esecuzioni
classiche che in brani contemporanei, spesso
scritti appositamente per loro. L'Orchestra
Sinfonica di Milano era diretta dall'italiano
Vincenzo Milletarì, impegnato successivamente
nella celebre Sinfonia n.9 in mi minore op.95
"Dal nuovo mondo" di Antonin Dvorak. Il
brano introduttivo di Say, dalla durata di
sedici minuti, è nel tipico linguaggio del
compositore. È una scrittura che unisce gli
stilemi culturali occidentali a quelli orientali,
in una sintesi discorsiva originale e personale.
Anka Kuşu
op.97
è un lavoro di grande
effetto, anche per l'impatto volumetrico
espresso sia dal pianoforte a quattro mani che
dalla sostenuta
componente
orchestrale. I due giovani interpreti hanno
restituito con viscerale energia un lavoro
giocato su una ritmica irregolare e su una
percussività che utilizza il pianoforte in modo
completo. Entrambi i pianisti spesso pizzicano o
percuotono le corde nella
cassa armonica, secondo una procedura tipica di
molti brani di Say. Alcuni elementi melodici,
dal timbro orientale, specie nelle battute
intoduttive, si alternano ad operazioni
percussive, anche operate dagli archi oltre che
dalle percussioni, in un brano che in alcuni
frangenti può ricordare il Sacre
stravinskijano. L'originalità della composizione,
ricca di tensione, ha trovato un'eccellente
restituzione da parte dai solisti e degli
orchestrali ottimamente diretti da Milletarì e
il numeroso pubblico presente alla replica di
ieri sera ha appludito con convinzione gli
interpreti.
I
due fratelli hanno poi concesso due eccellenti
bis: prima lo straordinario brano della
compositrice polacca Hanna Kulenty (1961)
denominato VAN, e poi Le Jardin
féerique da Ma mère l'oye di Maurice
Ravel nella sua splendida trascrizione a quattro
mani. Dopo il breve intervallo siamo passati da
ponte Oriente-Occidente di Say a quello
dell'Occidente europeo con gli Stati Uniti della
celebre Nona Sinfonia "Dal nuovo mondo"
(1893) di Dvorak. Milletarì ha proposto
un'interpretazione ricca di energia, di grande
effetto soprattutto nei movimenti laterali,
Allegro e Allegro con fuoco. Applausi
fragorosi dal pubblico. Domani, alle ore 16.00,
l'ultima replica. Da non perdere.
18 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
Una rassegna
di successo: "Il
Pianoforte in Ateneo" dell'Università Cattolica
inizia con la pianista Leonora Armellini
Grande successo
all'inaugurazione della rassegna musicale "Il
Pianoforte in Ateneo". Nella prestigiosa
Aula Magna dell'Università Cattolica di Milano
anche quest'anno è iniziata la serie d'incontri
pianistici organizzati da Davide Cabassi,
concertista e docente di
pianoforte
al Conservatorio milanese e dal prof. Enrico
Reggiani, Ordinario alla Cattolica, con la
collaborazione di Kawai Italia, la nota
casa produttrice di pianoforti che ha messo a
disposizione per le occasioni un eccellente
Shigeru Kawai. Sei i concerti in programma,
tutti preceduti da una serie d'incontri a cura
dello Studium Musicale d'Ateneo dell'università,
tenuti dallo stesso Reggiani. Ospite della prima
serata la bravissima Leonora Armellini, nel 2021
premiata al prestigioso "Concorso Internazionale
Chopin di Varsavia" con una meritata quinta
posizione. L'impaginato scelto
prevedeva musiche
di Bach, di Prokof'ev e di Chopin. I brani,
nell'inconsueto ma corretto ordine scelto dalla
pianista, sono stati preceduti da un intervento
di Cabassi e di Reggiani e quindi da un'ottima
introduzione all'ascolto da parte dello stesso
Reggiani che ha messo in rilievo efficacemente
alcune peculiarità dei brani in programna: la
Fantasia cromatica e Fuga di J.S.Bach, la
Sonata n.2 op.14 di S. Prokof'ev e la
Sonata n.3 op.58 di F.Chopin. La Armellini
ha quindi eseguito con incredibile disinvoltura
i tre virtuosistici lavori dimostrando qualità
di primo livello in tutte le differenti
interpretazioni. Partendo dalla creativa e
improvvisatoria Fantasia cromatica (1720)
bachiana, con il suo architettonico sviluppo
nella relativa Fuga, l'interprete è
passata alle geometrie della neoclassica,
cubista e moderna Sonata del grande russo. È un
lavoro del 1912 che ha un legame stretto con le
architetture musicali del genio tedesco, per
quel evidente senso costruttivo che unisce i
quattro movimenti rendendo la Sonata unitaria.
La Armellini, con
grinta ed energica gestualità,
ha eseguito e superato con facilità ogni
situazione virtuosustica, dimostrando
un'eccellente attitudine alla musica di
Prokof'ev. La nota Sonata n.3 in si minore
(1844) di Chopin, ultima del genere, ci ha
portato in un clima musicale caro alla trentenne
pianista padovana. L'affinità dell'Armellini con
la musica del genio polacco è assai nota.
L'ottima interpretazione del corposo lavoro ha
avuto poi un seguito con due bis ancora di
Chopin: prima lo Studio n.1 op.25 e poi
probabilmente il più celebre valzer del grande
compositore e pianista: il Grande Valzer
brillante in Re bem.maggiore elargito con
una discorsività e una leggerezza al top.
Applausi fragorosi dal pubblico entusiasta in
un'aula al completo. Il prossimo appuntamento
sarà il 27 aprile, alle ore 20.45, con il
pianista Nicolas Giacomelli, vincitore del
Concorso Shigeru Kawai. Musiche di Schumann e di
Medtner. Da non perdere!
17 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
Un nuovo brano di Filippo
Del
Corno e la Sinfonia "Pastorale" di Beethoven ai
Pomeriggi Musicali
L'anteprima ascoltata in
mattinata al Dal Verme, cui farà seguito il
concerto di questa sera e la replica di sabato
pomeriggio, vedeva il direttore James Feddeck
alla guida dell'Orchestra "I Pomeriggi
Musicali" per una Prima esecuzione assoluta
di un nuovo lavoro orchestrale di Filippo Del
Corno. Dopo l'esperienza impegnativa di
Assessore
alla cultura di
Milano degli scorsi anni, il musicista milanese
è tornato alla sua professione originaria di
compositore producendo un interessante brano
titolato A coda di rondine, una nuova
commissione de I Pomeriggi Musicali. Il brano ha
anticipato la celebre Sinfonia n.6 "Pastorale"
di L.v. Beethoven, un accostamento lecito, viste
le caratteristiche del brano di Del Corno.
Quindici minuti di musica che ha notevoli
riferimenti con lo spazio, gli ambienti aperti
in un dialogo continuo tra le diverse sezioni
orchestrali e i singoli strumenti che
alternativamente entrano in gioco.
L'inizio
del brano, piuttosto cupo, con gli ottoni cui si
oppongono le timbriche più gravi degli archi,
fanno entrare poi in gioco tutta l'orchestra per
un introduzione movimentata, piuttosto fragorosa
e priva di baricentro, pur nel contesto tonale.
L' arrivo di un tema di sole due note ripetute
molte volte ci porta in un sorte di ambiente
timbrico minimale ma ben costruito e di maggiore
distensione. La sovrapposizione di più linee
melodiche dei successivi legni rendono ancora
l'ascolto di piacevole comprensione. Non mancano
poi momenti più concitati nei quali le sezioni
orchestrali
creano
situazioni anche visive dal carattere piuttosto
cinematografico, con tensioni emotive spiccate.
Un brano ricco di idee, dai colori nordici, che
andrebbe chiaramente riascoltato per una
maggiore interiorizzazione , ma che anche dal
primo ascolto offre piacevoli sensazioni.
Applausi ai protagonisti e anche al compositore
salito in palcoscenico. La successiva
Sinfonia "Pastorale" beethoveniana non ha
certo bisogno di presentazioni. Feddeck e gli
orchestrali hanno proposto una valida esecuzione
dei quattro straordinari movimenti che
compongono il celebre lavoro. Ottime tutte le
sezioni dell'orchestra e bravi i solisti nei
celebri riconoscibili interventi. Ancora
applausi convinti dal numeroso pubblico
intervenuto.
16 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
Paul Lewis in
Conservatorio per la
Società dei Concerti
Da anni il pianista
inglese Paul Lewis si dedica ai classici, con
una prevalente attenzione per le composizioni di
Beethoven e Schubert. Ieri sera, nella valida
serata organizzata dalla
Società dei Concerti
milanese, ha proposto tre
sonate del viennese
Franz
Schubert (1797-1828) e precisamente, in ordine
d'esecuzione, la
Sonata n.15 D840,
la Sonata n.13 D664
e la
Sonata n.16 D845.
Mentre la n.15 in
do maggiore rimase
incompiuta, con solo i primi due ampi movimenti
completati, la n.16
in la minore,
composta nello stesso anno 1825, è di ampie
dimensioni e trovò il giusto completamento.
Lewis, classe 1972 di Liverpool, ebbe tra
i
suoi insegnanti anche il grande Alfred Brendel,
dal quale ha ereditato alcune modalità
interpretative oltre che a certa gestualità. Il
suo è certamente uno Schubert di spessore. Tra
le tre sonate eseguite, ci è sembrata di più
pregnante qualità e formalmente perfetta quella
eseguita dopo il breve intervallo, la
D845.
Qui Lewis ha rivelato la migliore concentrazione
per definire al meglio ed in modo eccellente i
quattro movimenti tra cui, a completamento della
grande sonata, il
Rondò.Allegro vivace
espresso in modo mirabile
per discorsività, leggerezza ed equilibrio delle
parti. Applausi fragorosi dal pubblico presente,
purtroppo non numerosissimo, e molto bello il
bis concesso, il
Momento musicale n.6 "Allegretto" D780
donatoci con evidente
meditata espressività.
16 marzo 2023
Cesare Guzzardella
Ancora successo
alla Scala per Bohème
Dal 1963 c'è al Teatro alla
Scala la Bohème per la regia di Zeffirelli e dal
2000 quella con i costumi di Piero Tosi. Nel
centenario dalla nascita di Franco Zeffirelli la
Scala ha voluto tornare sull'opera pucciniana
riproponendo una messinscena celebre, che nella
sua forma tradizionale continua a riempire i
teatri di tutto il mondo. Il
pienone
era annunciato anche alla quarta
rappresentazione vista ieri sera, sempre con
grande interesse. Il successo meritato di queste
rappresentazioni ha visto oltre alla collaudita
regia - ripresa da Marco Gandini- e scenografia
di Zeffirelli, i costumi di Tosi ripresi da Anna
Biagiotti, con luci di Marco Filibeck, un ottimo
cast vocale che ha visto Marina Rebeka in
Mimì. Il soprano si è imposto con un timbro
elegante nella semplicità del personaggio,
ottimo in ogni registro; disinvolto ed efficace
Freddie De Tommaso in Rodolfo, con voce
chiara ed intensamente espressiva. Luca
Micheletti, annunciato con problemi di salute e
di voce , ha comunque assolto bene il ruolo di
Marcello e di valore anche il baritono
Alessio Arduini in Schaunard e il basso
Jongming Park in Colline. Decisamente
all'altezza del ruolo Irina Lungu, una
Musetta brillante e timbricamente incisiva.
La
Lungu dalla prossima recita prenderà il ruolo di
Mimì. Ottimi le altre voci e sempre di grande
rilievo il coro preparato da Alberto Malazzi. Si
rimane perplessi dalla concertazione della
direttrice Eun Sun Kim che ha espresso
volumetrie incisive ma poco calibrate nei
differenti momenti che l'opera impone riducendo
al minimo i lievi e i diversificati contrasti
dinamici. Poco pucciniana la sua resa
complessiva. Nel complesso una serata riuscita
che è stata molto applaudita dal teatro completo.
Le prossime recite sono previste per il 16, 19,
22 e 26 marzo. Questa sera invece la prima delle
sei rappresentazioni d Les Contes D'Hoffmann di
Jacques Offenbach. Da non perdere!
(Foto di Brescia e Amisano dall'Archivio
della Scala)
15 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
ll duo Hakhnazaryan-Tchaidze
alle Serate Musicali del Conservatorio
È un duo di notevoli qualità
quello formato dal violoncellista armeno Narek
Hakhnazaryan e dal pianista russo Georgy
Tchaidze. Erano già venuti ospiti di Serate
Musicali negli anni scorsi. Ieri sera hanno
impaginato un programma importante che prevedeva
l'Adagio e
Allegro
in la bem.maggiore op.70 di Robert Schumann
- nella versione con violoncello- la Sonata
n.1 in mi minore per violoncello e pianoforte
op.38 di Johanbes Brahms e la Sonata in
sol minore op.19 di Sergej Rachmaninov.
Certamente è una coppia affiatata e in piena
sinergia musicale. Le complesse armonizzazioni
dei tre lavori hanno trovato la voce dolce,
pacata ed espressiva dell'ottimo violoncello di
Narek. Nell'op.70 di Schumann,
l'eccellente equilibrio del duo ha trovato il
corretto dosaggio coloristico per
un'interpretazione trasparente e di pacata
espressività. La celebre sonata di Brahms ha
visto il tempo un po' dilatato dell'Allegro
non troppo eseguito in modo chiaro,
formalmente ineccepibile, ma mancante di quella
componente estemporanea che spesso si ritrova in
Brahms. Di eccellente qualità la Sonata op.19
di Rachmaninov. Un lavoro di ampio respiro
composto nel 1901
dopo il celebre Rack 2, da un compositore
che aveva trovato un grande successo sia come
interprete pianista che come creatore di note,
dopo il primo periodo incerto d'attività. Il
carattere concertante, dominato dalle
armonizzazioni del pianoforte, ha trovato nella
coppia d'interpreti un resa chiara, precisa con
situazioni di grande esternazione espressiva.
Applausi calorosi ed ottimi i bis concessi:
prima con la Romanza di A. Scriabin e poi
con un'eccellente brano armeno di grande impatto
folcloristico: l'Impromptu del
compositore Alexander Arutiunian. Ancora
applausi intensi.
14 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
L'Orchestra Sinfonica
del
Conservatorio di Milano diretta da Vitaly
Alekseenk interpreta Damiani, Rachmaninov e
Čajkovskij
Un valido impaginato
è stato ottimamente sostenuto
dalla Sinfonica del Conservatorio milanese. La
prima esecuzione assoluta di un brano di
Leonardo Damiani (1991), compositore vincitore
nel 2022 del Primo premio di Composizione al
Conservatorio milanese, ha
introdotto
la serata. Il suo Del saper stare nell'attesa
per pianoforte e orchestra ci è apparso di
ottima fattura. La sua composizione ha trovato
come protagonista il pianoforte. La componente
orchestrale ha ben sottolineato gli interventi
virtuosistici sostenuti con grinta ed efficacia
da Simone Zorini, studente del Conservatorio
milanese. Zorini, pianista estroso, si è trovato
particolarmente a suo agio in questo lavoro non
facile, ricco di contrasti, nel quale lunghe
note si
oppongono a repentine successioni di scale rese
con energico nitore dal pianista. Simone ha poi
concesso un applaudito bis con lo Studio da
concerto n.1 op.40 del russo Nicolai
Kapustin. Dopo il brano introduttivo l'atteso
Concerto per pianoforte e orchestra n.2 in do
minore di Sergej Rachmanoniv ha trovato
un'ottima esecuzione nella direzione di
Alekseenok e dal protagonista al pianoforte..
Diego Petrella ha interpretato con eccellente
sintesi discorsiva il celebre Rack 2, concerto
tra i più eseguiti al mondo per la quantità di
melodie romantiche presenti nei tre movimenti e
per l'organizzazione virtuosistica
melodico-armonica del grande musicista russo.
L'interiorizzazione
completa di ogni dettaglio ha permesso una
restituzione di qualità da parte del giovane
pianista, vincitore in passato del premio del
Conservatorio milanese. Eccellente il bis
concesso da Petrella con il semplice e geniale
Mignon dall'Album della gioventù op.68
di Robert Schumann. Applausi fragorosi. Dopo
l'intervallo ottima la resa orchestrale della
Suite da Lo Schiaccianoci di
Čajkovskij.
Ricordiamo che il concerta era a sostegno del
progetto di AVSI -HELP SIRIA, per immediati
aiuti umanitari alle popolazioni che hanno
subito il terremoto in Siria e in Turchia. Chi
volesse fare una donazione può
entrare in rete:
https://www.avsi.org/cosa-puoi-fare-tu/dona-ora?amount=25&donation_type=one-off
13 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
Maria Perrotta
allo Spazio Teatro 89
In via Fratelli Zoia 89, nel
grazioso ed elegante Spazio Teatro 89, la
pianista Maria Perrotta, affermata interprete
internazionale, ha eseguito il suo J.S. Bach con
la monumentale Arte della Fuga BWV 1080.
È un lavoro conclusivo del Sommo compositore
tedesco che
riassume
il suo mondo architettonico-musicale. Ripensata
nel 1749 da una precedente elaborazione, L'Arte
della fuga rimase incompleta, pur nella sua
lunga parte conclusa, ed è stata concepita come
composizione astratta, pensata per qualsiasi
organico strumentale. La splendida resa
pianistica, che ha oramai numerosi eccellenti
interpreti di riferimento, ha trovato anche
nella pianista cosentina che vive a Parigi, un
sicuro riferimento interpretativo. La Perrotta,
premiata in importanti concorsi internazionali
come il prestigioso "Rina Sala Gallo", aveva già
avuto grandi soddisfazioni con le bachiane
Variazioni Goldberg, variazioni premiate
anche in un' eccellente incisione discografica.
Ieri, nel tardo pomeriggio, con
uno
splendido pianoforte Shigeru Kawai, ha
fornito un'esecuzione di primo livello
alternando i venti numeri che compongono il
capolavoro bachiano con tocco leggero, meditato
ed intenso. Contrappunti, Canoni e una Fuga a 3
soggetti finale, sono stati elargiti con
eccellente equilibrio formale, caricati da
scorrevole espressività, mediata da uno studio
approfondito e completo. L'intreccio delle parti,
nell'apparente facile resa, è in realtà una
complessa costruzione di trasformazione tematica
dovuta all'immensa creatività del genio di
Eisenach. Grande successo per la toccante
interpretazione, esternato con lunghi applausi
nel teatro affollato da un pubblico molto
attento e competente.
13 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
Il pianista Antonio
Alessandri ai Pomeriggi Musicali per Mendelssohn
Avevo ascoltato esattamente
nel marzo del 2022 l'allora
sedicenne Antonio
Alessandri al Dal Verme nel Concerto K415
di Mozart rimanendo sorpreso per la grande
musicalità del giovane interprete. Ieri, nella
replica del sabato del Dal Verme, sempre con la
valida Orchestra de I Pomeriggi Musicali,
questa volta diretta da George
Pehlivanian,
il diciasettenne Alessandri ,
da poco compiuti,i ha rivelato una maggiore
maturità interpretativa in un concerto
pianistico più virtuosistico quale il n.1 in
Dol minore op.25 di Felix Mendelssohn. La
brevità del lavoro, meno di venti minuti la
durata, non esclude la notevole ricchezza d'idee
del musicista amburghese per un brano, nei
classici tre movimenti, brillanti e di grande
impatto sonoro. Il giovane Antonio ci ha stupito
per la sua capacità di penetrazione del non
facile materiale musicale, espresso con grinta e
rapidità
nei
movimenti laterali: Molto allegro con fuoco
e Presto. Allegro vivace. Profondo e
riflessivo l'Andante centrale, che
dimostra un deciso progresso nelle qualità
espressive del pianista. Sorprendenti poi i due
bis concessi con un efficace Studio di
Chopin, il n.5 Op10 e l'Allegro da
Petruska di Igor Stravinskij, entrambi di
eccelso virtuosismo reso con facilità discorsiva
e pregnanza espressiva dal giovanissimo prodigio.
Applausi calorosi dal numerosissimo
pubblico
intervenuto. Il pomeriggio musicale prevedeva
anche un'introduzione con la Sinfonia dal
Barbiere di Siviglia di Rossini, resa
molto bene dell'orchestra nella valida direzione
di Pehlivanian. Dopo l'intervallo, valida la
resa complessiva della Serenata in re
maggiore Haffner k.250, otto movimenti
eseguiti con tutti i ritornelli per un lavoro in
stile galante di raffinato intrattenimento. Nel
secondo, terzo e quarto movimento, l' Andante,
il Minuetto e il Rondò, abbiamo
apprezzato il fine intervento solistico del
primo violino de I Pomeriggi: Alessandro Braga.
Applausi sostenuti dal pubblico a tutti i
protagonisti.
12 marzo 2023
Cesare Guzzardella
Il War Requiem di
Britten diretto da
Vasily Petrenko in Auditorium
Una grande scenografia
formata dall'Orchestra Sinfonica di Milano, dal
Coro Sinfonico e dal Coro di voci bianche di
Milano ha dato spessore ad una delle opere più
grandiose di Benjamin Britten. Il War Requiem
Op.66 venne composto dal compositore inglese
nel 1961 e diretto da Britten stesso per la
prima volta nel maggio del '62.
L'organico
prevede la presenza anche di tre voci soliste di
soprano, tenore e baritono. Ieri sera la
raffinata direzione del russo Vasily Petrenko è
stata completata dalla direzione del Coro di
voci bianche di Maria Teresa Tramontin -Coro
localizzato nella parte bassa della galleria- a
da quella del Coro sinfonico con Massimo Fiocchi
Malaspina. L'eccellenti voci soliste ascoltate
erano quelle del soprano Heather Engebretson,
del tenore Gwilym Bowen e del baritono-basso
Robert Bork. L'eccellente resa complessiva ha
trovato la precisa e dettagliata direzione di
Petrenko che ha esaltato le ottime qualità degli
orchestrali e in generale di tutte le voci. Il
monumentale lavoro di Britten, nato per
commemorare la ricostruzione
della
cattedrale di Coventry in Inghilterra, distrutta
dai bombardamenti tedeschi nel 1940, intreccia
caratteri non solo religiosi ma anche
profondamente laici mettendo in risalto i valori
universali dell'uomo. L'Op.66 riassume tutto il
linguaggio tipico di Britten, con quelle
sonorità personalissime e quella bellezza
coloristica che ritroviamo anche nelle sue opere
liriche e nella sua musica sinfonica e
cameristica. I momenti di grande coralità si
alternano a quelli sia intimi che estroversi
delle voci soliste,spesso sottolineate dagli
interventi solistici dei singoli o di piccoli
gruppi di strumenti. L'interpretazione di alto
livello della Sinfonica di Milano, dei Cori e
delle voci soliste hanno lasciato un segno agli
spettatori intervenuti in Auditorium che hanno
tributato al termine lunghi e fragorosi applausi.
Domani, domenica alle ore 16.00, la replica. Da
non perdere!
11 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
Musiche di Gustav Mahler
e di Carlo Galante dirette da Dario Garegnani in
Conservatorio per Serate Musicali
Una serata di particolare
interesse quella organizzata da Serate
Musicali in Sala Puccini, nel Conservatorio
milanese. "Il lied della vita celeste"-
Concerto per la pace, prevedeva l'esecuzione
della Sinfonia n.4 in sol maggiore di
Gustav Mahler nella versione per orchestra da
camera e voce di Erwin Stein (1885-1958). Una
trascrizione fedele all'originale che venne
eseguita negli anni '20 in
casa
di Arnold Schönberg, maestro di Stein, il quale
propose all'allievo la versione da camera della
celebre sinfonia. L'opera di Mahler è stata
preceduta da un brano del compositore milanese
Carlo Galante (1959) denominato Delirius
Charter, due canzoni e un intermezzo per
soprano e orchestra da camera su testi di Emily
Dickinson. Entrambi i lavori hanno trovato
l'interpretazione della Società Filarmonica
Raudense "Giulio Rusconi" diretta da Dario
Garegnani, con l'apporto solistico del soprano
Beatrice Binda. La valida interpretazione della
Quarta di Mahler ci ha rivelato le
interessanti timbriche emerse nella versione da
camera.
Una
Quarta ancor più popolare, edulcorata da
una certa raffinatezza orchestrale, e immersa in
un contesto quasi "da strada" o da piccolo
ambiente, che fa emergere contrasti più netti
mediante i dodici strumenti che eseguono il
lavoro. Rimane indubbiamente la fedeltà alla
partitura originale con cambiamenti volumetrici
e dei colori. L'ottima direzione di Garegnani,
interprete specializzato nella musica
contemporanea, ha sottoliniato l'avvincente voce
del soprano Beatrice Binda, presente nel quarto
e ultimo movimento, La vita celeste, il
momento complessivamente più fedele
timbricamente all'originale orchestrale.
La
stessa formazione e la pregnante voce della
Binda sono stati partecipi del valido lavoro di
Carlo Galante. Delirius Charter si
sviluppa su due testi della poetessa
statunitense Emily Dickinson (1830-1886): Fra
le mie dita tenevo un gioiello e
Delirante atto ( Delirius Charter),
collegati da un breve Intermezzo
strumentale. La musica di Galante, tra la "sospensione
onirica e l'entusiasmo delirante" si specchia
con i testi della Dickinson e si rivela ricca di
espressività. La componente strumentale, nelle
timbriche dal taglio espressionista, ben
sottilinea la decisa, chiara e incisiva voce di
Beatrice Binda. Applausi a tutti i protagonisti
in entrambi i lavori dal numeroso pubblico
intervenuto in Sala Puccini. Ottima serata.
10 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
Lorenzo Viotti dirige
la Filarmonica della
Scala in Haydn, Korngold e R.Strauss
Abbiamo più volte visto
Lorenzo Viotti alla direzione della Filarmonica
della Scala. Ieri, nella prima replica,
l'ascolto di un programma sinfonico
diversificato e di efficace impatto sonoro
prevedeva, come brano introduttivo ,
il classicismo di Joseph Haydn con la sua
Sinfonia n.104 "London" in Re maggiore, una
alle sue 12 Sinfonie londinesi. L'energica e,
nello stesso tempo, elegante direzione di Viotti
ha fatto emergere lo spessore coloristico degli scaligeri
per un'esecuzione di rilievo
che ha esaltato il
carattere brillante del lavoro composto da Haydn
nel 1795. L'allargamento della compagine
orchestrale, dopo il breve intervallo, per due
lavori più virtuosistici quali il Concerto
per violino e orchestra in Re maggiore op.35
di Erich Korngold e il poema sinfonico Tod
und Verklärung op. 24 d Richard Strauss, ci
ha permesso di ascoltare un'orchestra più
completa e allargata, certamente di ottima
qualità. Il violinista Marc Bouchkov, belga di
origini russo-ucraine, ha rivelato le sue ottime
qualità virtuosistiche ed espressive ben
sottolineate dalla direzione di Viotti. L'Op.35
del compositore nato in Moravia e
naturalizzato statunitense e affermato nel mondo
delle colonne sonore, è un brano del 1945 molto
eseguito dai virtuosi di violino, un brano che
ha una componente orchestrale importante per uno
stile complessivo tardo romantico, con
riconoscibili momenti folcloristici, tipici
americani, presenti nel movimento finale
Allegro assai vivace. La scorrevolezza della
parte solistica di Bouchkov e la sua incisività
nell'esporre le pregnanti melodie, hanno
mostrato un interprete di primo livello.
Eccellente anche il bis solistico concesso da
Bouchkov con un brano di Ernst, The last rose
of summer. L'ultimo brano in programma, il
poema per grande orchestra Morte e
trasfigurazione di Richard Strauss è del
1888-89, ed è stato eseguito ottimamente da ogni
sezione orchestrale, per un complessivo timbrico
di evidente qualità. Applausi meritatissimi a
tutti i protagonisti. Sabato, 10 marzo, l'ultima
replica. Da non perdere.
9 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
Il Quartetto David Oistrakh
e Elisso
Virsaladze alle Serate Musicali
Lo straordinario concerto di
ieri sera in Conservatorio, organizzato da
Serate Musicali, ha visto una formazione
cameristica di primo livello affrontare due
pagine importanti quali - in ordine di
esecuzione- il Quintetto in sol minore per
pianoforte ed archi op.57 di Dmitri
Šostakovič
e il Quintetto in mi bem. maggiore per
pianoforte ed archi op.44 di Robert
Schumann. Il Quartetto David Oistrakh, formato
da quattro solisti russi nei nomi di Andrey
Baranov, violino, Rodion Petrov,
secondo violino, Fedor Belugin, viola
e Alexej Zhilin, violoncello, ha avuto
l'approvazione del grande virtuoso russo
Oistrakh
per dare il proprio nome all'eccellente
Quartetto d'archi. Ai quattro archisti si
è aggiunta una pianista
fuoriclasse quale la georgiana Elisso Virsaladze,
da decenni presente ai concerti di Serate
Musicali. Il primo brano, l'op.57 del grande
musicista russo è del 1940 e rappresenta un
ritorno di
Šostakovič
alla chiarezza della forma di stampo neoclassico,
ma in uno stile inconfondibile tipico del grande
sinfonista e camerista. L'interpretazione
esemplare fornita dai cinque strumentisti
è di quelle memorabili per
discorsività, trasparenza timbrica ed equilibrio
delle parti. Raramente si ascolta una cifra
interpretativa di pari livello. Dopo il breve
intervallo è stato eseguito il Quintetto op.44
di Schumann, opera dedicata alla moglie Clara.
Composto nel 1841, appartiene ad un periodo
felice e ricco di lavori del musicista tedesco.
La vivacità del quintetto e il riferimento
continuo a melodie folcloristiche dal carattere
brillante ed estroverso, come nello Scherzo.
Molto vivace o nell'Allegro ma no troppo
finale, si ritrova prima nella fondamentale
parte pianistica, resa con chiara espressività
dalla Virsaladze, sostenuta poi dagli archi in
modo da creare un concertato in cui si alternano,
con grande ricchezza di idee, le parti musicali.
Un' interpretazione rapida, energica e
ritmicamente ricca, ha ancora esaltato le
qualità della sorprendente formazione. Applausi
fragorosi dal pubblico entusiata. Da ricordare a
lungo.
7 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
Al Teatro
Dal Verme meritato
successo per Il Telefono e La Medium
di Gian Carlo Menotti
Una valida iniziativa quella
di portare in scena due lavori un po'
dimenticati di Gian Carlo Menotti: Il
Telefono & La Medium. In tre date distinte,
al Teatro Nuovo di Varese, al Teatro Dal Verme
di Milano e,il 9 marzo, al Teatro Politeama di
Pavia, sono state e verranno (a Pavia)
interpretati i lavori che il grande compositore
italiano,
autore anche del libretto, ideò rispettivamente
nel 1947 e nel 1946. Noi le abbiamo viste ed
ascoltate ieri pomeriggio a Milano. Musicalmente
hanno caratteristiche comuni, con una maggiore
leggerezza e brillantezza nel breve "Il telefono"
e con più impegno nel più corposo "La Medium",
due atti ,quest'ultimo, da circa trenta minuti
ciascuno. Le grandi qualità del compositore di
Cadegliano (Varese) le conosciamo. Menotti
(1911- 2007), fondatore nel 1958 del celebre
Festival dei Due Mondi di Spoleto e poi della
versione statunitense del medesimo Festival, è
notevole nella musica lirica. Anche in queste
due opere, dai contenuti attualissimi, si coglie
l'unità stilistica perfetta tra testo, canto e
musica orchestrale, musica espressa in modalità
prevalentemente cameristiche ma di grande
impatto melodico e ritmico. Menotti prese il
meglio dal neoclassicismo stravinskjano, ma
anche da certa atonalità dei viennesi, trovando
poi una sintesi personale nella quale la
melodicità, molto italiana, trova largo spazio.
La valente Orchestra Canova diretta con
precisione ed energia da Enrico Saverio Pagano,
ha in modo eccellente proposto le musiche delle
due piece teatrali, eseguite senza
soluzione di continuità, coadiuvati da un cast
vocale di ottima qualità nel quale certamente
spiccava la voce del mezzo-soprano Manuela
Custer, accellente anche attorialmente nel ruolo
di Madame Flora, la Medium. Ma
bisogna segnalare le
ottime
voci degli altri protagonisti, emerse anche
grazie alla valida regia teatrale di Serena
Nardi, che è riuscita nel medesimo ristretto
spazio a proporre due ottime messinscene, la
prima particolarmente colorata, con il rosso
dominante. La precisa e corposa voce da soprano
di Sabrina Cortese è risultata chiarissima ne Il
telefono, nel ruolo di Lucy/ Mrs.Gobineu;
altrettanto di valore la voce del baritono
Giacomo Nanni in Ben/Gobineau. Ne La
Medium segnaliamo l'ottima voce del soprano
Maria Eleonora Caminada in Monica,
pregnante anche nel celebre Valzer di Monica;
di ottima qualità, anche attorialmente, il
mezzo-soprano Ilaria Molinari, una perfetta
Mrs. Nolan e bravissimo l'attore-mimo
Samuele Satta in Toby. Bravi anche tutti
gli altri presenti in scena. Un successo
meritatissimo per tutti i protagonisti,
subissati, al termine, dai fragorosi applausi
del numeroso pubblico pervenuto in teatro. Due
lavori che per l'ottima qualità proposta
meriterebbero ulteriori date. (Foto
Alberto Panzani)
6 marzo 2023 Cesare Guzzardella
Alondra de la Parra
e Felix Klieser per
la Sinfonica di Milano
Due valide ragioni per
assistere ancora al concerto proposto
dall'Orchestra Sinfonica di Milano ieri sera, e
in replica domenica alle ore 16.00: la presenza
della direttrice messicana Alondra de la
Parra
e quella dello straordinario cornista Felix
Klieser, dedicatario del primo brano in
programma di Rolf Martinsson. Il compositore
svedese Martinsson, classe 1956, è in Italia
pressochè sconusciuto, ma è autore di
un'invidiabile quantità di ottimi brani,
soprattutto orchestrali, tra cui il Concerto
per Corno e Orchestra Soundscape- A Walk in
Colours (2022), recentissima composizione,
ieri in Prima Esecuzione Italiana. Il
dedicatario Klieser, è un virtuoso musicista
tedesco di 32 anni che suona il corno francese
aiutandosi con i piedi, perché nato senza
braccia, ed è riconosciuto come uno tra i
maggiori interpreti di corno francese.
Il
Concerto Soundscape di Martinsson è
caratterizzato da una rilevante orchestrazione,
voluminosa e tagliente nelle
timbriche,interrotta da numerosi interventi del
corno attraverso una scansione di note chiare e
luminose, rese splendidamente da Klieser. È
proprio in questo contrasto tra la volumetrica
coralità orchestrale, ottimamente diretta da
Alondra de la Parra, e i colori intensi delle
note del corno messe in risalto con sorprendente
chiarezza espressiva da Klieser, che il
concerto, scritto molto bene dallo svedese,
risulta avvincente. Applausi meritatissimi e un
ottimo bis solistico per Klieser con un brano da
Caccia di Rossini. Dopo il breve
intervallo
i fragori del Sacre du printemps di Igor
Stravinskij hanno esaltato le qualità della
Sinfonica di Milano, diretta in modo energico e
tagliente dalla bravissima direttrice messicana.
Un'interpretazione, la sua, che ha messo in
risalto i contrasti ritmici e timbrici del
capolovoro del grande russo. Al termine applausi
fragorosi dal pubblico presente in Auditorium e
numerose uscite in palcoscenico della direttrice
d'orchestra. Replica domenicale da non perdere!
4 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
Ai Pomeriggi Musicali
Alessandro
Cadario con la pianista Viviana Lasaracina
Un impaginato diversificato
con brani di Gabriel Fauré (1845-1924), di César
Franck ( 1822-1899) e di Felix Mendelsshon
(1809-1847) è quello in programma ed ascoltato
ieri sera al Dal Verme, al concerto diretto da
Alessandro Cadario con l'orchestra de I
Pomeriggi Musicali. Il clima melanconico dei
primi due lavori, la
celebre
Pavane op.50 di Fauré e le rare
Variazioni sinfoniche per pianoforte e orchestra
di Franck, unitamente al primo movimento
della celebre Sinfonia n.3 "Scozzese" di
Mendelsson, si è interrotto con l'arrivo
dell'estroverso Vivace non troppo del
medesimo brano sinfonico. L'ottima direzione di
Cadario in tutti i brani, espressa con gesto
elegante ed indicazioni discrete e precise hanno
portato a valide interpretazioni e tonica resa
in ogni sezione dell'orchestra. I tenui e spesso
cupi colori della Pavana in fa diesis minore,
un Andante molto moderato, hanno trovato
poi un clima simile nelle successive
Variazioni Sinfoniche, brano che ha avuto
come protagonista la pianista pugliese Viviana
Lasaracina. Allieva di quella scuola pianistica
del sud italia che sta dando molti frutti in
termini interpretativi, la pianista di Monopoli
ha trovato un ottimo dosaggio coloristico
definito da una tecnica precisa e composta. In
valida sinergia con l'orchestra ha espresso in
modo nitido ed efficace le non facili
Variazioni
Sinfoniche del musicista belga, vissuto però
quasi sempre in Francia. Di ottima resa il bis
solistico concesso con un brano di Rachmaninov,
il n.2 dei
Moments musicaux op.16, ricco di una energia
virtuosistica che hanno rivelato ancor più le
eccellenti doti dell'interprete. Dopo
l'intervallo, ottima la resa interpretativa
della Scozzese mendelssohniana, tra le sinfonie
più eseguite ultimamente a Milano. Applausi
particolarmente vivaci e ripetuti dal pubblico
presente al Teatro Dal Verme. Sabato, alle ore
17.00, la replica. Da non perdere.
3 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
INAUGURATO A NOVARA IL
FESTIVAL FIATI 2023
Oggi, 2 marzo, nella sala
concerti Olivieri del Conservatorio G. Cantelli
di Novara, si è inaugurata l’annuale stagione
del Festival Fiati, una delle più significative
iniziative della vita musicale della città
piemontese. Istituito e organizzato dal locale
Conservatorio (di cui ricorrono i 40 anni dalla
fondazione), giunto ormai alla sua XX stagione,
il Festival Fiati novarese per circa due mesi
chiama a raccolta Maestri italiani ed
internazionali di alto livello per un fiorire di
masterclass per i vari strumenti a fiato, aperti
anche a studenti o neodiplomati di tutta Italia,
non solo del Conservatorio novarese. Questa
intensa attività didattica è accompagnata da una
nutrita serie di concerti serali, naturalmente
aperti al pubblico, solistici o cameristici, che
vedono protagonisti i Maestri impegnati
nell’attività didattica. Il concerto inaugurale
di questa sera vedeva protagonista il
clarinettista Calogero Palermo: primo clarinetto
presso
una delle più prestigiose orchestre europee, la
Royal Concertgebouw di Amsterdam, il Maestro
Palermo vanta una brillante serie di
riconoscimenti in vari concorsi internazionali,
nonché un’intensa attività concertistica di
livello internazionale in formazioni da camera e
come solista, accompagnata da un altrettanto
intensa attività didattica. Nel concerto di ieri
sera il Maestro Palermo era accompagnato dal
quartetto d’archi Eos, costituito nel 2016 da
neodiplomati del Conservatorio romano di S.
Cecilia: Elia Chiesa e Giacomo Del Papa violini,
Alessandro Acqui viola, Silvia Ancarani
violoncello. Anche questa formazione giovanile
ha alle spalle una ricca attività concertistica
in Italia e in Europa, accompagnata da
importanti riconoscimenti in numerosi concorsi,
su tutti il premio Farulli 2018. Il programma
presentava due capolavori assoluti e assai
celebri fra i quintetti per clarinetto e archi:
il Quintetto in LA Magg. KV581 di W.A. Mozart e
il Quintetto in Si min. op.115 di J. Brahms. E’
stato un concerto di ottimo livello, in cui
Palermo ha interpretato al meglio il ruolo che
entrambi i compositori attribuiscono al
clarinetto, sia pur con le ovvie differenze di
stile: valorizzando al massimo il timbro sfumato
e morbido dello strumento, realizzare una
tessitura espressiva di introspettiva
delicatezza. Ma queste due gemme della musica di
tutti i tempi non vivono del solo suono del
clarinetto: sia Mozart, sia Brahms concedono
notevole indipendenza agli archi, in un dialogo
alla pari con lo strumento a fiato, creando
impasti timbrici sempre vari e mutevoli. Dunque
un elogio, per la buona riuscita del concerto,
va tributato anche ai giovani quartettisti
dell’Eos, sempre puntuali e rigorosi nelle
entrate e nel rispetto dei tempi e delle
dinamiche, e, soprattutto, molto bravi nel
creare
quella tessitura timbrica particolare che
interagisce mirabilmente col clarinetto. I
momenti più alti del concerto sono stati a
nostro avviso i primi due movimenti del
Quintetto di Mozart e, ancora, i primi due
movimenti di quello di Brahms. L’Allegro
iniziale del KV 581 è stato eseguito con
incantevole grazia e dolcezza e morbidezza di
respiro, le qualità più caratteristiche del
clarinetto nell’impiego che ne fa Mozart: in
particolare, nell’esposizione del secondo tema,
dopo l’introduzione del primo violino, il suono
del clarinetto del Maestro Palermo, in tonalità
minore, si fa stupendamente chiaroscurato,
creando, sopra il tappeto armonico-timbrico
degli archi, un’‘atmosfera’ quasi incantata.
L’intensa cantabilità dell’Andante diventa,
nell’esecuzione di Palermo e degli archi
dell’Eos, lirismo purissimo e profondo,
soprattutto nelle due sezioni esterne del
movimento, ove domina il clarinetto, suonato dal
Maestro Palermo con trasognata dolcezza,
sostenuto dal delicatissimo fraseggio degli
archi in sordina. Per quanto riguarda Brahms, a
quanto si è detto a proposito delle peculiarità
timbriche del clarinetto ‘mozartiano’, va
aggiunta quella nota che è invece tipicamente
brahmsiana, quella vena di tenera e sfumata
malinconia, che nel quintetto per clarinetto ed
archi tocca il suo apice appunto nei due primi
movimenti. Bravissimo Palermo nello sfruttare le
potenzialità dello strumento, per creare questo
mondo sonoro tipicamente brahmsiano, prima
incidendo con raffinata delicatezza il motivo
della breve introduzione, che poi diventa il
motivo conduttore dell’Allegro iniziale, poi
esponendo con timbrica densa e coinvolgente
espressività il secondo tema. Le qualità del
Maestro Palermo e degli archi dell’Eos, in
particolare il primo violino di Andrea Chiesa e
il violoncello di Silvia Ancorani, si mostrano
nella loro pienezza nell’Adagio seguente, in
cui, nella prima sezione, è ancora il clarinetto,
ma in un dialogo delicatissimo col primo violino,
a realizzare un clima di abbandono sereno ad un
non so che di dolcemente malinconico, che
avvolge i momenti più alti di questo monumento
musicale. Abbiamo indicato pochi esempi a nostro
parere particolarmente indicativi di un modo di
suonare che ci è piaciuto molto e che non ha mai
conosciuto incertezze o sbavature, ma si è
sempre mantenuto ad un ottimo livello esecutivo,
diremmo perfetto nella cura del dettaglio
timbrico e nel controllo dei vari e sempre
cangianti registri dinamici di entrambe le
partiture. Al termine del concerto, gli applausi
scroscianti e prolungati del folto pubblico
presente, formato prevalentemente da studenti e
docenti del Conservatorio, ha sottolineato il
pieno successo della serata e ha ottenuto un bis:
una breve composizione di Fauré per clarinetto e
archi, che un commosso Maestro Palermo ha voluto
dedicare al collega Sandro Tognatti,
apprezzatissimo docente di clarinetto al
Cantelli, prematuramente scomparso nel 2021,
vittima di una reazione mortale al vaccino
anticovid Astra Zeneca (allora ne parlarono i
giornali di tutt’Italia). Un bellissimo pezzo,
sfumato dai cromatismi e intriso di malinconia.
Un’ottima serata inaugurale, che conferma una
volta di più la validità e l’importanza di una
manifestazione come il Festival Fiati in una
città, come Novara, in cui la vita musicale “pubblica”,
quella dei concerti, langue un po’ troppo…
2 marzo 2023 Bruno Busca
La SWD Philharmonie
al Conservatorio
milanese
Il variegato concerto
proposto dalla Fondazione La Società dei
Concerti in Conservatorio ha visto la
partecipazione della Südwestdeutsche
Philharmonie Kostanz diretta da Gabriel
Venzago per un impaginato diversificato che
prevedeva ad introduzione un brano di Matteo de
Soldà commissionato dalla Società concertistica
milanese costruito su musiche di Ennio
Morricone.
La Suite "Omaggio a
Ennio Morricone" è un' ottima orchestrazione
dei più celebri brani del grande Maestro romano
organizzata in uno stile concertante utilizzando
tre strumenti solisti quali il violino, il
flauto e il pianoforte. I celebri temi, eseguiti
senza soluzione di continuità per oltre dieci
minuti, sono stai interpretati molto bene dalla
compagine orchestrale e dai tre solisti: il
primo violino e il primo flauto dell'orchestra
ed il pianista cinese Antonio Chen Guang. Il
brano successivo di Joseph Haydn era la nota
Sinfonia n.102 in si bem.maggiore
appartenente alla serie delle "12 Sinfonie
londinesi". È nel tipico stile classico del
musicista e trova nell'ultimo movimento,
Finale.Presto, il momento più alto e di
grande impatto timbrico. Ottima l'esecuzione
ascoltata. Dopo il breve intervallo il brano più
atteso dal mumeroso pubblico presente in Sala
Verdi era certamente il Concerto n.5 in mi
bem. maggiore op.73 "Imperatore" di L.v.
Beethoven, avente come solista al pianoforte
ancora Antonio Chen Guang. L'ottima direzione di
Gabriel Venzago e la valida resa della SWD
Philharmonie ha trovato il preparatissimo Chen
Guang- classe 1994- in grande forma
per
un'interpretazione tecnicamente ineccepibile,
giocata su una sicurezza d'esternazione di alto
livello, ricca di tensioni discorsive efficaci,
dove l'elargizione musicale trovava eccellenti
contrasti dinamici certamente d'intensa
espressività. I momenti più concitati dell'Allegro
iniziale e del Rondò finale hanno visto
una raffinata melodicità nello splendido
Adagio un poco mosso centrale. Le poche
note, centellinate benissimo dal bravissimo
interprete in questo Adagio, hanno sottolineato
la genialità di Beethoven, capace di creare
il sublime anche con pochi mezzi. Di valore
l'interpretazione complessiva. Due i bis
solistici concessi dal pianista: un'efficace e
dettagliata Corrente bachiana dalla
Partita n.6 in Mi minore BWV 830 resa con
sottile raffinatezza timbrica e il celebre
Gretchen am Spinnrade di Schubert-Liszt ben
interiorizzato dall'ottimo interprete e
restituita con valida resa interpretativa.
Applausi fragorosi a tutti i protagonisti.
2 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
FEBBRAIO 2023
Diego Petrella
interpreta La Monte Young al Museo del
Novecento
Tra i molteplici concerti
organizzati nella Sala Fontana del Museo del
Novecento milanese in collaborazione con
NoMus e la Società
del
Quartetto, oggi abbiamo assistito ad una
vera e propria performance, soprattutto
visiva oltre che musicale. Il pomeriggio
denomito Fluxus e legato alla relativa
mostra d'arte contemporanea "Fluxus arte per
tutti" presente al museo e organizzata dalla
Fondazione Bonotto, ha avuto come protagonista
il pianista Diego Petrella, interprete già
affermato per le sue qualità performative nei
repertori classici e contemporanei. Pietrella ha
proposto un lavoro del musicista statunitense La
Monte Young datato 1960 e legato alle esperienze
di quel periodo storico che trova in John Cage e
nella scuola
di
Darmstadt i riferimenti più significativi.
Composition 1960 è un lavoro concettuale
dove la parte visiva, l'azione dell'interprete,
la recitazione e una certa scenografia hanno
preponderanza sull'elemento sonoro, inteso come
suono o rumore. All'interno del brano, che
secondo le indicazioni del compositore-regista,
deve durare esattamente 45 minuti, avvengono
situazioni sonore e gestuali in cui è invatato a
partecipare anche il pubblico. Negli spazi
luminosissimi di Sala Fontana, con la splendida
vista del Duomo e della piazza, il numerosissimo
pubblico
intervenuto ha preferito assistere alla
perfomance, anche se qualche fotografo o
pochi spettatori hanno intralciato, come
comunque previsto, gli spazi di movimento del
giovane interprete, per l'accasione anche
lettore-attore e mimo. All'interno del brano
erano inserite brevi sequenze di brani di Cage e
di Bussotty e Pietrella ha inserito anche due
minuti di uno splendido Schumann. Applausi
sostenuti dal numeroso pubblico presente per un
lavoro figlio di un periodo storico che ci
sembra molto lontano nel tempo. Bravissimo
Petrella!
28 febbraio 2023 Cesare Guzzardella
Kolja Blacher e
amici per Chausson e
Brahms ai concerti di "Serate Musicali"
Avevo visto Kolja Blacher a
metà gennaio dirigere la Sinfonica di Milano
in un bellissimo concerto dove venivano eseguiti
una Serenata di Leonard Bernstein e la
Sinfonia Scozzese di
Mendelssohn. Ieri sera
invece, in qualità di violinista, lo abbiamo
ritrovato accanto a cinque colleghi nel raro
Concerto in re maggiore per violino, pianoforte
e quartetto d'archi di Ernest Chausson
(1855-1899). Il brano del compositore francese è
del 1889-91 e risente molto del tardo
romanticismo francese e tedesco con spunti che
ricordano musicisti come Franck, Brahms ma anche
Wagner. Un lavoro particolarmente riuscito in
tutti i quattro movimenti che lo compongono,
interpretato con impeto ed espressività dai sei
strumentisti, con Blacher nel ruolo di violino
solista. Di rara raffinatezza il secondo
movimento: Sicilienne. Pas Vite. Il
concerto organizzato da Serate Musicali
prevedeva nella seconda parte della serata uno
tra i Quintetti più celebri
e frequentati quale
il Quintetto in fa minore op.34 di
Johannes Brahms. Nella formazione era presente
ancora Kolja Blacher al primo violino,
quindi Christph Von Der Nahmer, secondo
violino, Kyoungmin Park, viola,
Claudio Bohórquez, violoncello e Suwook
Kim al panoforte. Interpretazione di
ottima resa in un equilibrio delle parti di alto
livello. Nel primo brano era anche presente
l'ottimo violinista Christoph Streuli. Un
concerto che per qualità interpretativa meritava
una Sala Verdi al completo, ma...le cose belle
spesso sono una prerogativa di pochi. Splendida
serata. Ricordiamo il concerto del prossimo
lunedì 6 marzo, con il Quartetto David Oistrakh
e la straordinaria pianista georgiana Elisso
Virsaladze nei quintetti di
Šostakovič
e di Schumann. Da non perdere!
( Foto di Alberto Panzani- Ufficio stampa Serate
Musicali)
28 febbraio 2023 Cesare
Guzzardella
Grande successo al recital
di Vittorio Grigolo
alla Scala
Un recital tutto
romantico per il tenore Vittorio Grigolo quello
di ieri sera al Teatro alla Scala. Nella prima
parte della serata solo compositori italiani con
introduzioni ed arie d'opera di Donizetti e
Verdi, nella seconda i francesi con Gounod,
Massenet e Bizet. L'aretino quarantacinquenne
Grigolo, accanto ad una valida pianista quale la
geogiana Mzia Bachtouridze, ha entusiasmato il
pubblico scaligero controllando la voce ma anche
il palcoscenico.
È
un uomo di spettacolo il tenore toscano: gli
piace muoversi sul palcoscenico da una parte
all'altra per incontrare maggiormente gli occhi
del pubblico di platea e guadagnarsi i meritati
applausi. Mia Bachtouridze, oltre ad
accompagnare il celebre cantante, ha avuto
intimi momenti solistici eseguendo Puccini con
un Foglio d'album e poi l'Intermezzo
dalla Manon Lescaut, quindi la celebre
Meditation da Thais di
Massenet e l'Entr'acte da Carmen.
Ottima la resa espressiva della solista che ha
trovato insieme al tenore un'esemplare sinergia.
Grigolo ci ha donato il suo consolidato ed
apprezzato stile vocale in arie celebri non
facili, tra le quali citiamo
Spirito
gentil. ne' sogni miei da la Favorita
di Donizetti, Quando le sere al placido,
da Luisa Miller, Ma se m'è forza
perderti da Ballo in Maschera, Amor
sublime amor...Ah sì, ben mio da Trovatore,
tutte verdiane; quindi Salut, demeure chaste
er pure dal Faust di Gounod, En
fermant les yeux e Je suis seul!...da
Manon di Massenet, Le fleur que tu
m'avais jetée da Carmen di Bizet e a
conclusione Tuote mon âme est lá..pourquoi me
réveiller da Werther di Massenet.
Applausi ripetuti da un pubblico entusiasta e
come bis un classico di Ernesto De Curtis sul
testo di Domenico Furnò , Non ti scordar di
me (1935) cantato, nella parte centrale,
insieme ai numerosi spettatori intervenuti.
Serata di successo.
27 febbraio 2023
Cesare Guzzardella
Yulia Berinskaya e
Alessandra Ammara alla
rassegna "Lieti Calici"
Si rivela sempre più un
grande successo la rassegna musicale organizzata
da Mario Marcarini agli Amici del Loggione di
via Silvio Pellico 6. L'affollamento di pubblico
della tarda mattinata di oggi sono la riprova
della validità di questi incontri che oltre a
farci
ascoltare ottima musica permettono un eccellente
aperitivo finale di saluto. Due valide
interpreti quali la violinista Yulia Berinskaja
e la pianista Alessandra Ammara cia hanno datto
l'assaggio di un prossimo loro Cd in uscita,
interpretando due note Sonate per violino e
pianoforte di Johannes Brahms,
rispettivamente la n.2 in la maggiore op.100
e la n.3 in re minore op.108. Due
esecuzioni di qualità eseguite con grinta dal
voluminoso violino della Berinskaya e con timbro
sicuro, asciutto e ben delineato dalla Ammara.
Eccellente l'intesa tra le due protagoniste.
Applausi fragorosi e ben due ottimi bis con due
tra la più celebri Danze ungheresi del
genio amburghese, rispettivamente la n.2
e la n.5. Consigliamo vivamente
l'iscrizione agli Amici del Loggione del Teatro
alla Scala. Prossimamente importanti novità di
calendario.
26-02-23 Cesare Guzzardella
A
VERCELLI IL VIOLINO STELLARE DI KERSON LEONG
Ieri sera, 25 febbraio, nuovo
appuntamento al Teatro Civico di Vercelli col
XXV Viotti Festival: un appuntamento d’obbligo,
per ascoltare dal vivo un violinista che ha
ormai acquistato vasta risonanza internazionale,
anche se, stranamente, sinora è stato poco
presente nelle sale da concerto italiane:
parliamo del venticinquenne canadese Kerson
Leong, il cui concerto vercellese di ieri sera è
l’unico recital previsto per quest’anno nel
nostro Paese, il che spiega, tra l’altro,
l’affluenza di numerosi ascoltatori da fuori
Vercelli. Il programma della serata era
impaginato in modo piuttosto singolare, in
quanto diviso in due parti nettamente distinte:
la prima di esse era costituita da due sinfonie,
la celeberrima Sinfonia n.40 in sol min. KV 550
di Mozart e la meno celebre, eppur bellissima,
Sinfonia in Re minore op.12 n.4 G506 (1771) di
L. Boccherini. Protagonista di questa prima
parte del concerto è ovviamente l’orchestra
Camerata Ducale guidata da Guido Rimonda. La
seconda parte della serata è stata dominata dal
Guarneri del Gesù di Kerson Leong, chiamato a
mostrare cosa sa fare il suo violino con tre
pezzi tra i più impegnativi mai scritti per
questo strumento: Zigeunerweisen (Zingaresca)
op.20 di P. de Sarasate, l’Invierno Porteño, uno
dei neotanghi più celebri di
Astor
Piazzolla, nell’arrangiamento per violino e
orchestra, e infine i“ Palpiti” in LA magg.
op.13 di Paganini, variazioni sul tema della
cabaletta “Di tanti palpiti” del Tancredi di
Rossini. Più che apprezzabile l’esecuzione della
sinfonia mozartiana ascoltata ieri. La direzione
di Rimonda si è distinta anzitutto per l’
energia incisiva del suono, che ha disegnato con
nettezza e vigore la plasticità dei temi che
caratterizza questo mirabile capolavoro, in
particolare l’inconfondibile primo tema
dell’Allegro iniziale e quello dell’Allegro
assai finale, e più in generale per l’efficace
adesione alla tensione drammatica che percorre
tutta la sinfonia. In secondo luogo per lo
stacco dei tempi, che non solo disegna
nettamente l’architettura contrappuntistica e la
densità armonica che impronta la partitura di
questa sinfonia mozartiana, soprattutto nelle
sezioni di sviluppo dei tre movimenti in
forma-sonata (cioè tutti, salvo il Minuetto).
Infine, da sottolineare la cura raffinata dei
dettagli timbrici e dinamici, per cui basterà
qui citare il delizioso dialogo proposta/risposta,
tra archi, clarinetti e fagotti del secondo tema
dell’Allegro molto iniziale e in generale, il
vario gioco della linea dei fiati
–
di particolare rilievo in questa partitura-
diretto con sicurezza dalla bacchetta di Rimonda.
Nel complesso una sinfonia 40, questa propostaci
da Rimonda, che stempera l’ispirazione
‘tragica’
con quella raffinata eleganza cameristica, che è
la cifra ormai consolidata dello stile esecutivo
della Camerata Ducale. Molto interessante e
intelligente la scelta di accostare questo
monumento del sinfonismo mozartiano ad un
gioiello del sinfonismo italiano del ‘700, la
Sinfonia , di Boccherini nota come “La casa del
diavolo”, dal tema contenuto nell’ultimo dei tre
tempi in cui la sinfonia è suddivisa, che
Boccherini riprende dall’ultimo numero della
musica per il balletto “Don Giovanni” di Gluck (
e Gluck stesso sfruttò anche per la “Danza delle
Furie” nell’Orfeo). E’ questa, una splendida
sinfonia, che non sfigura nel paragone con il
capolavoro di Mozart e suscita qualche rimpianto
nell’ascoltatore all’idea di cosa avrebbe potuto
creare il nostro Boccherini, se avesse coltivato
più a fondo le sue indubitabili qualità di
sinfonista. .Non esitiamo a definire splendida
l’esecuzione della Camerata Ducale, capace di
interpretare al meglio l’altissima tensione
drammatica che ispira questa composizione,
soprattutto nei due tempi estremi. Rimonda si
attiene coerentemente a questa linea
interpretativa, con l’incisività e il vigore con
i quali fa disegnare all’orchestra il vibrante
primo tema e lo sviluppo dell’ Allegro,
densamente elaborato in un fitto dialogo tra le
linee strumentali, che la limpidezza di suono
dell’orchestra vercellese restituisce in modo
perfetto soprattutto negli archi, tra i quali in
questa partitura hanno un ruolo di primo piano i
violoncelli, subito in scena col tema
dell’Andante sostenuto introduttivo, esposto in
piano dai violoncelli divisi, un piano, che
sotto la bacchetta di Rimonda, diviene un mesto
sussurro carico di suggestione.. Dopo un
Andantino con moto in cui si esaltano le qualità
interpretative della Camerata Ducale nel
delicato, raffinatissimo gioco del ritmo puntato
dei soli archi, di pretta natura cameristica, è
nel Finale Allegro assai che Rimonda e la sua
orchestra toccano l’acme della loro esecuzione:
lo stacco impetuoso ed energico dei tempi,
l’incisività dei continui contrasti agogici e
dinamici, hanno dato a questa pagina un pathos
drammatico ineguagliabile, facendone un
capolavoro: gli applausi sfrenati e prolungati
del pubblico hanno sottolineato l’emozione e il
coinvolgimento con cui questa “Casa del diavolo”
è stata ascoltata. Con la seconda parte del
concerto, come detto, tutto cambia: dal
sinfonismo del ‘700, veniamo sbalzati
bruscamente all’8-900 violinistico dei grandi
virtuosi e al centro dell’orchestra e del
palcoscenico è Kerson Leong, che nel continente
americano, secondo quanto si apprende dal
programma di sala, è considerato “uno dei più
grandi violinisti del nostro tempo”, come lo
definisce la stampa di laggiù; figura
carismatica, grazie non solo alle sue prodigiose
abilità virtuosistiche, ma anche ad una marcata
presenza sui vari ‘social’, che lo avvicina
anche ad un pubblico giovanile, tra il quale
conta numerosi fans, evidentemente anche da noi,
se in una sala da concerto come quella del
Civico, che pure può contare su una
significativa e costante presenza di giovani,
tanti giovani come ieri sera non li avevamo
ancora visti. Detto questo, come è apparso a noi
Kerson Leong? Intanto, non ci troviamo affatto
di fronte ad un mero ‘prodotto mediatico’ ad un
solista da concerto-spettacolo: il
venticinquenne canadese è davvero un grandissimo
violinista, che non comunica solo abilità nella
tecnica del suo strumento, ma ha un suo
inconfondibile suono, il che significa che non
si limita a eseguire, ma interpreta. Il suono
particolare di Kerson Leong è anzitutto un suono
di meravigliosa fluidità, anche nei colpi d’arco
‘di rimbalzo’ in primo luogo i vari tipi di ‘spiccato’,
compreso quello assai arduo detto ‘volante’ o il
ribattuto in ricochet, di cui è doviziosa di
esempi la Zingaresca di Sarasate. Questa
fluidità è poi naturalmente il risultato di una
fluidità del polso e delle dita nella gestione
di arco e strumento che ha davvero del
portentoso. Un’altra qualità del suono di Leong
è il colore: il Guarneri del Gesù, si sa, è un
violino che offre di suo un suono denso e
piuttosto scuro, potente. Ebbene, la scelta da
parte di Leong di suonare un Guarneri del Gesù è
già un’indicazione, potremmo dire, di scelta di
un suono: il violinista canadese sfrutta al
massimo delle possibilità le caratteristiche del
‘suo’ strumento: dunque il suono di Kerson Leong
è un magnifico suono brunito, che permette tra
l’altro forti contrasti timbrici nel passaggio
dalle zone più scure a quelle più acute delle
quattro corde, un suono di energia vigorosa e
potente, d’intensa proiezione, ma che Leong sa,
al caso, ammorbidire con delicatezza,
raggiungendo esiti di un melodismo intenso e
coinvolgente, di struggente malinconia, come
nella terza sezione ‘Un poco più lento’ della
Zigeunerweisen, dove la sordina rende ancora più
suggestivo il mondo sonoro creato da Kerson
Leong. Insomma, un suono di forte carica
espressiva. Ed ecco allora che un pezzo, pur
ricco di parti di vertiginoso virtuosismo, come
Invierno porteño, interpretato dal violinista
canadese, si incide nella nostra memoria per la
struggente nostalgia che avvolge le sezioni
agogicamente più lente, tanto più suggestive
quanto più si contrappongono alle sezioni più
rapinosamente ‘danzanti’ di questo neotango di
Piazzolla. Anche “I palpiti” di Paganini, se
certo sono un brano di cui la più acrobatica
fioritura virtuosistica è la ragion d’essere, è
però anche vero che l’ascoltatore appena attento
non si sarà lasciato sfuggire le raffinatezze
timbriche che Kerson Leong ha saputo cavare dal
suo Guarneri del Gesù nella Variazione seconda.
Tre pezzi, quelli che il programma del recital
affidava al giovane violinista venuto dal
Canada, eseguiti splendidamente, sempre
accompagnato esemplarmente dalla Camerata Ducale.
Applaudito dal pubblico stipato in platea e nei
palchi con un livello di applausi degno di una
rockstar, Leong ha concesso ben cinque bis.
Dello spagnolo Francisco Tàrrega (1852-1909) “Recuerdos
de l’Alhambra”, due composizioni di Ysaye (autore
‘di baule’ per Leong, che lo ha anche inciso),
un Andante di Bach e un ultimo brano di cui ci
(ma non solo a noi) è sfuggito il nome
dell’autore. Dire che sono state tutte
esecuzioni bellissime sarebbe dire un’ovvietà:
quella che ci ha colpito di più è la prima, una
sorta di ‘motus perpetuus’, una melodia
indefinita e suonata in spiccato, dal ritmo
lento, da cui si sprigionava un’espressività
enigmatica, vagamente ipnotica, come l’abbandono
a un ricordo o a un sogno (talvolta sono la
stessa cosa), remoto e indicibile con altro
mezzo che non sia la musica, specie se suonata
da solisti come Kerson Leong.
(Foto dall'Uff.Stampa di Vercelli)
26-02-23 Bruno Busca
Un nuovo lavoro
di Silvia Colasanti,
tra i brani di Strauss e Prokof'ev diretti da
Jaume Santonja
Un impaginato importante
quello di ieri sera ascoltato in Auditorium, che
ha visto alla guida dell'Orchestra Sinfonica di
Milano il "Direttore Principale Ospite" Jaume
Santonja. Sta percorrendo una veloce strada il
direttore spagnolo, alla guida in questi anni di
molte orchestre della sua terra e di molte altre
e uropee.
La vastità del suo repertorio lo ha portato ieri
a dirigere due noti lavori di Richard Strauss e
di Sergej Prokof'ev, lasciando in una posizione
centrale il nuovo lavoro della compositrice
romana Silvia Colasanti. Time's Criel Hand,
tre sonetti in musica per controtenore e
orchestra è una
commissione della Sinfonica milanese
interpretato ieri in
Prima esecuzione assoluta. La Colasanti è tra le
più affermate ed eseguite compositrici italiane
e nel lavoro presentato, ispirato e costruito su
tre sonetti di W. Shakespeare, ha utilizzato una
voce da controtenore per delineare una pregnante
musicalità melodica in un tessuto orchestrale
ardito, ma di non difficile comprensione. La
limpida voce del controtenore Alex Potter ha con
efficacia cantato i testi del grande poeta
inglese, rivelando una timbrica chiara e ricca
di sfumature, mentre l'eccellente orchestrazione,
definita benissimo da Santonja e dagli
orchestrali, ha ben sottolineato le inflessioni
vocali e il testo in inglese del poeta. Di
grande espressività emotiva, nell'ampia
componente tonale di una ricca partitura, il
brano della
Colasanti,
che al termine dei diciotto minuti di musica ha
avuto un deciso apprezzamento dal numeroso
pubblico presente in Auditorium. Al termine
della bella e raffinata esecuzione, fragorosi
gli applausi anche alla compositrice, salita sul
palcoscenico. Temi legati a Shakespeare erano
presenti anche nel primo lavoro ascoltato di
Richard Strauss, con il suo Macbeth op.23
e nell'ultimo di Sergej Prokof'ev con la celebre
Suite dal Romeo e Giulietta. Ottime le
interpretazioni, con un fragore di sonorità
della corposa orchestra nel noto poema
sinfonico straussiano e con le trasparenze
neoclassiche, delicate o voluminose, nello
splendido Romeo e Giulietta del
compositore russo. Di ottima qualità la
direzione e la resa musicale dell'Orchestra
Sinfonica di Milano. Domenica, alle ore 16.00 si
replica. Assolutamente da non perdere.
25 febbraio 2023 Cesare
Guzzardella
Musica
di Beethoven, di Schönberg e
di Sonia Bo per
I Pomeriggi Musicali
Un programma coraggioso
quello offerto ieri sera al Dal Verme dall'Orchestra
"I Pomeriggi Musicali". Un brano
contemporaneo e uno del Novecento storico hanno
avuto come momento centrale il noto Concerto
n.3 in Do minore op.37 di L. v. Beethoven.
La direzione dell'orchestra era affidata a Marco
Angius, direttore specializzato nella musica del
Novecento e Contemporanea. Il
primo
interessante brano eseguito, della compositrice
Sonia Bo - docente del Conservatorio milanese ed
ex direttrice di quella importante Istituzione-
ha introdotto la serata. La prima esecuzione
assoluta di Variazioni di Luce, lavoro
commissionatole da I Pomeriggi Musicali, ha
rivelato le qualità estetiche della Bo. È una
composizione dalla durata di una decina di
minuti a tinte scure, spesso illuminate dal
riconoscibile noto tema iniziale mozartiano
tratto dalla celebre Sinfonia n. 40.
Questo "oggetto musicale" improvvisamente viene
introdotto all'interno di una situazione ricca
di contrasti, tornando in modo variato e
parcellizzato come luce di riferimento.
Un lavoro di ottima fattura, orchestrato molto
bene dalla Bo, che ricorda certe scelte fatte in
passato da Luciano Berio. Applausi calorosi dal
numeroso pubblico presente in sala anche alla
compositrice salita sul palcoscenico. Il celebre
Concerto n.3 di Beethoven ha visto come
solista al pianoforte il sud-coreano Joe Hong
Park, un interprete importante, vincitore nel
2021 dell'ultimo prestigioso Concorso
Internazionale "Ferruccio Busoni". L'ottima
interpretazione ha
trovato
un solista decisamente orientato al molto
classico, che ha definito ogni situazione del
celebre concerto, elargendo sicurezza e, a
bisogno, anche raffinata leggerezza discorsiva.
Rilevante la lunga Cadenza pianistica
dell' Allegro con brio iniziale. Valide
le sinergie con l'orchestra e la precisa
direzione di Angius. Di ottima resa il bis
pianistico concesso da Park con il celebre
Preludio in si minore di Bach-Siloti. Dopo
il breve intervallo intensa e significativa la
resa della Kammersymphonie n.2 op.18 di
Arnold Schönberg, brano importante in due
movimenti, Adagio e Con fuoco, che
iniziato dal compositore austriaco nel 1906
nella sua innovativa costruzione architettonica
tra passato e moderno, segna le novità di
scrittura musicale del primo Novecento, anche se
il lavoro venne ripreso e completato solo nel
'39 da Fritz Stiedry, eseguendolo negli Stati
Uniti l'anno successivo.
Esemplare la direzione di Angius e la resa
complessiva degli ottimi "I Pomeriggi Musicali"
che hanno anche messo in rilievo validi
interventi solistici previsti in partitura.
Sabato, alle ore 17.00, la replica del concerto.
Da non perdere.
24 febbraio 2023 Cesare
Guzzardella
A VERCELLI AL
VIOTTI CLUB ALL’ORA DEL
TE’ RECITAL DI GIULIA VENTURA
Tra le sempre più numerose e
interessanti attività organizzate a Vercelli
dalla Camerata Ducale, dall’agosto dello scorso
anno è compreso anche il Viotti Tea. Di che si
tratta? Lasciamo la parola alla brochure del
programma della stagione della stessa Camerata
Ducale: “Al Viotti club la tradizionale ora del
tè diventa l’ora della musica: una volta alla
settimana, di solito al Giovedì pomeriggio, la
sala ospita un concerto che vede protagonisti
giovani solisti di grande talento.”: quello di
oggi era il concerto n.78. Un’altra di quelle
intelligenti e generose iniziative con cui la
Camerata Ducale, con una passione che non teme
confronti in Italia, si sforza di promuovere
l’attività e la carriera dei giovani musicisti
di valore, in questo Paese troppo spesso
abbandonati a se stessi. Per lo più si tratta di
diplomandi o diplomati del Conservatorio G.
Verdi di Torino, ma ospite del Viotti Club,
all’ora del tè di oggi pomeriggio, 23 febbraio,
era la pianista novarese Giulia Ventura, che ha
compiuto i suoi studi presso il Conservatorio G.
Cantelli di Novara, dove ha avuto, tra i suoi
Maestri L. Schieppati e M.
Coppola.
Tra Piemonte e Lombardia, Giulia Ventura, grazie
ad un già nutrito carnet di concerti, solistici
e con orchestra, in questi ultimissimi anni sta
cominciando a ‘farsi un nome’ , a creare intorno
a sé un certo interesse. Nel recital di oggi, la
giovane pianista presentava un programma che
comprendeva la Sonata in Mi bem. maggiore op.31
n.3, nota come “La caccia”, di L. van Beethoven,
tre composizioni di F. Liszt (uno degli autori
più presenti nel repertorio attuale di Ventura e
che lei ha confessato essere al momento il suo
preferito, in una conversazione con gli
spettatori successiva al concerto), vale a dire
la “Vallée d’Obermann” dagli Années de
Pèlerinage, vol.1, e due Rapsodie Ungheresi, la
n. 5 in mi minore e la n.6 in Re bem. maggiore,
per concludere con Feux d’artifice, ultimo brano
del secondo libro dei Préludes di C.Debussy.
Come si vede a colpo d’occhio, soprattutto per
gli ultimi quattro pezzi, un programma di
intenso impegno tecnico-esecutivo, che richiede
al solista notevoli capacità virtuosistiche.
Diciamolo subito: Giulia Ventura ha confermato
appieno le doti di brillante virtuosa che da lei
si aspettavano gli ascoltatori , per la sua fama
e per i pezzi in programma, ma questa sua
abilità non si esaurisce nella pura esibizione
esteriore fine a se stessa, ma sa dare voce a
più profonde intenzioni espressive. Il tocco
della pianista novarese aderisce alle sfumature
timbriche e alla varietà dei registri dinamici
della partitura con sensibilità di interprete,
intesa a penetrare il mondo sonoro evocato dalla
tastiera. Al netto di qualche episodica e lieve
imprecisione, le sue esecuzioni sono state
valide e convincenti. La fresca vitalità e il
ritmo gioioso che pulsano quasi incessanti
attraverso tutta la sonata beethoveniana op 31
n.3, insolitamente priva di un tempo lento,
trovano adeguata espressione
nell’interpretazione della Ventura, che
giustamente, peraltro, accentua il lirismo cui è
improntato il Minuetto, quasi come momentanea
pausa di respiro, prima di riprendere quella
sorta di corsa senza fine che culmina nel
‘Presto con fuoco’ finale, la parte tecnicamente
più impegnativa di tutto il pezzo, suonata
dall’interprete con vigorosa energia, cavando
dal mezzacoda un volume di suono quasi
orchestrale, come vuole il pianismo del
Beethoven del c.d. ‘secondo stile’. Brava è la
pianista novarese a condurre l’ascoltatore in
quella sorta di romanticissimo ‘viaggio
dell’anima’, di Wanderung di un’interiorità
anelante all’infinito, che è la Vallèe
d’Obermann lisztiana: come in tutta la musica di
Liszt, qui, al posto dell’elaborazione tematica,
centrale in Beethoven, subentra un diverso
principio costruttivo del mondo musicale, quello
della metamorfosi timbrica e coloristica di un
tema-base, in questo caso il sobrio e delicato
tema affidato nell’incipit alla mano sinistra.
Giulia Ventura è brava a esplorare tutta la
varietà di colori, di chiaroscuri, di ritmi e
dinamiche di cui questa mirabile partitura fa
sfoggio, con le sue libere avventure tonali e
armoniche, senza mai cadere, anche nelle sezioni
agogicamente più mosse del lungo pezzo, nella
pura ostentazione di bravura. La Rapsodia n. 5
di Liszt, è un po’ un’eccezione tra i diciannove
pezzi della raccolta, perché sviluppa solo la
sezione lenta (lassan) della Csarda, la danza
ungherese che fornisce lo schema base di queste
composizioni. Giulia Ventura la suona con un
tocco che ammorbidisce un poco la scura
tessitura timbrica che domina il pezzo, quasi a
volerne attenuare il senso di desolazione da cui
è ispirata questa vera e propria marcia funebre.
Se nella Rapsodia n.6 di Liszt la Ventura
sfoggia al meglio le sue doti di agilità e
virtuosismo, è a nostro avviso nei debussyani
Feux d’artifice che la pianista novarese
fornisce una delle sue migliori interpretazioni
nel concerto odierno. E’, questo, un Debussy,
che porta a conclusione la sua ricerca musicale,
che fin dall’inizio, estremizzando le
suggestioni lisztiane, fa del timbro l’esclusivo
principio costruttivo del discorso musicale: ma
qui non è più il Debussy delle vaporose volute
sonore, dei delicati arabeschi, è un Debussy di
cui l’interpretazione della Ventura mette
giustamente in risalto la forza, la tensione con
cui i timbri sono quasi strappati agli
ottantotto tasti del pianoforte, ricorrendo a
ogni virtuosismo, che mette a dura prova
l’agilità della diteggiatura e in generale le
capacità tecniche dell’interprete. Una prova che
la Ventura supera alla grande, confermandosi
pianista di ottimo livello. L’apprezzamento del
pubblico convenuto nel delizioso ‘salotto’ del
Club Viotti, espresso da un lungo applauso, ha
ottenuto un bis; come ci ha informato la stessa
Giulia dopo la conclusione del concerto, si è
trattato di un pezzo di alquanto rara esecuzione:
una delle c.d. “Opere postume” di R. Schumann,
cioè uno dei cinque pezzi originariamente
composti per gli Studi sinfonici op.13, poi
scartati e lasciati nel cassetto, per essere
pubblicati, appunto postumi, molti anni dopo, da
Brahms. Un’esecuzione decisamente bella,
pienamente aderente al mutevole fluire, ricco di
sfumature, del suono di un pezzo, che, sotto il
profilo formale, è una variazione su un tema. Un
bel pomeriggio di musica, meritevole di essere
ricordato.
(Foto dall'Uff.Stampa di Vercelli).
24 febbraio 2023 Bruno Busca
Un memorabile Arcadi
Volodos in
Conservatorio per la "Società dei Concerti"
Un programma di straordinario
interesse e di non facile ascolto quello di ieri
sera in Conservatorio a Milano per la Società
dei Concerti. Il cinquantenne Arcadi Volodos,
da alcuni anni ospite
dell'importante
organizzazione concertistica, ha voluto
accostare nell'impaginato due importanti
compositori: il poco eseguito barcellonese
Federico Mompou (1893-1987) e il più noto
moscovita Aleksandr Skrjabin (1872-1915). I
numerosi brani eseguiti di Mompou e di Skrjabin
hanno in comune molti aspetti musicali legati ai
colori e alla ricerca di timbriche nuove, nella
più semplice ma efficace declinazione dello
spagnolo e nella più complessa e virtuosistica
modalità di scrittura del russo. La prima parte
del concerto prevedeva tutto Mompou con le
Scènes d'enfants e una selezione da
Música callada, eseguiti senza interruzione.
Rispettivamente cinque e dodici brani, spesso
brevi o ridotti all'osso, che rivelano
l'originalità
e la genialità dell'autore mediata da
un'interpretazione di altissimo livello dove
Volodos ha colto con un'intimità sbalorditiva la
poetica del compositore. Le straordinarie
qualità del celebre pianista russo sono ancor
più emerse nei tredici brani di Skrjabin
eseguiti senza interruzione: da quelli di minore
durata quali lo Studio n.2 op.8 e lo
Studio n.11 op.8, ad una serie di
cinque Preludi
dalle op. 11-16-22-37, ai Poème
n.1-2-3. Passando per la visionaria Danse
n.2 "Flamme Sombres" Op.73, si è arrivati
poi
ai lavori più corposi ed
impegnativi: la difficilissima Sonata n.10
op.70 e l'altrettanto virtuosistica Vers
la flamme op.72. Le capacità di restituzione
di Volodos in Skrjabin trovano pochi rivali per
qualità timbrica, unità costruttiva e valenza
virtuosistica ed espressiva. La sconvolgente
Sonata n.10, giocata su una serie di trilli
ripetuti all'infinito, all'interno di un mondo
di timbriche visionarie e suggestive, ha trovato
nel pianista un interprete ideale, capace di
penetrare in modo viscerale le intenzioni del
grande musicista russo,
impressionante
anticipatore di tutta la musica del Novecento.
Quattro i brevi ed intensi bis concessi. In
ordine d'esecuzione: di
Skrjabin la Mazurka op.25 n.3, di Mompou
Secreto, la n.8 delle
Impresiones Intima;
di Rachmaninov, Oriental Sketch e
ancora di Skrjabin il Preludio op.2 n.3.
Interpretazioni mirabili. Pubblico in Sala Verdi
entusiasta con Volodos visibilmente soddisfatto!
Serata memorabile!
23-02-2023 Cesare Guzzardella
Successo
all'ultima replica de
I Vespri Siciliani
Grande successo di pubblico,
con lunghi e fragorosi applausi al termine
dell'ultima replica de I Vespri Siciliani
alla Scala. Le parziali critiche negative lette
su alcuni giornali dopo la prima
rappresentazione sono
oramai
andate nel dimenticatoio e il meritato
entusiasmo verificato ieri sera nel teatro al
completo trovano una decisa approvazione. I
Vespri Siciliani, musicati da Verdi su
libretto di Eugène Scribe e Charles Duveyrier,
mancavano alla Scala dal 1989-90 e dopo oltre
trent'anni questa nuova produzione ha trovato
una resa complessiva valida a partire dalla
ottima concertazione di Fabio Luisi e
dall'importante ed eccellente componente corale
preparata da Alberto Malazzi. Un'attenzione ai
dettagli, una chiarezza timbrica e un rispetto
delle voci che segnano l'alto livello
interpretativo.
La regia, le scene e i costumi di Hugo de Ana
hanno mostrato una certa debolezza in alcuni
frangenti, non nei momenti di grande coralità,
ma in quelli nei quali pochi protagonisti si
muovevano in scena. Se la regia ci è apparsa
debole, la scenografia anche
nell'attualizzazione e nei suoi toni grigi è
comunque apprezzabile. Bene le luci di Vinicio
Cheli e la coreografia di Leda Lojodice. Il cast
vocale dell'ultima recita ha subito all'ultimo
momento alcuni cambiamenti con Angela Meide,
indisposta, sostituita da Marina Rebeka e Piero
Pretti, indisposto, sistituito da Matteo Lippi.
Ottima la resa complessiva dei cantanti: la
Duchessa Elena della Rebeka ha assolto
pienamente al suo ruolo con frangenti di
eccellente espressività, anche se in alcuni
momenti la mancanza di volumetrie hanno impedito
un'ancor più alta resa.
L'Arrigo
di Matteo Lippi si è dimostrato una rivelazione
per qualità e bellezza timbrica, molto chiara in
tutti i registri anche se non di grande
volumetria. Ottimi il Guido di Monforte
di Roman Burdenko e il Giovanni da Procida
Simon Lim, entrambi di chiara e potente
espressivitá. Bravi tutti gli altri. Ricordiamo
la prossima opera, La Bohème, in scena dal 4 al
26 marzo con ben otto recite complessive e un
cast vocale importante. Da non perdere!
(Foto in alto di Brescia e Amisano dall'Archivio
del Teatro alla Scala)
22 febbraio 2023 Cesare
Guzzardella
Giovanni Sollima e
Mario Brunello
ai concerti di Serate Musicali
Una serata speciale quella
ascoltata ieri sera in Conservatorio ai concerti
organizzati da Serate Musicali. Due noti
violoncellisti quali il siciliano Giovanni
Sollima e il veneto Mario Brunello hanno
costruito un impaginato
a
loro misura, con particolari trascrizioni di
brani di Verdi, Stravinskij, Bertali, Bach, ai
quali si aggiunge un lavoro di Sollima stesso,
noto anche come compositore, e un'altro dei
Queen, celebre gruppo di rock melodico della
metà degli anni '70. Il concerto è inizialmente
stato presentato in modo scherzoso dai due
protagonisti che hanno raccontato il programma e
hanno messo in risalto i numeroso strumenti
presenti sul palcoscenico tra cui due strumenti,
un violino e un violoncello costruito nel
laboratorio di liuteria e falegnameria del
carcere di Opera, realizzati dai detenuti
utilizzando il legno dei barconi dei migranti
arrivati a Lampedusa. La serata iniziava con
un'anticipazione musicale usando proprio il
recente violoncello da poco costruito, ricco di
colori, per un brano improvvisato molto
mediterraneo e dal sapore orientale. In questa
riuscita originalissima operazione musicale un
ruolo importante
è
stato dato dall'uso del violoncello piccolo, a
volte suonato con il "fratello maggiore" , a
volte in coppia con un altro medesimo.
L'introduzione verdiana prevedeva alcuni brani
del sommo operista di Roncole di Busseto
trascritti per i due strumenti ad arco da
Antonio Melchiori: dalla Traviata una
sorta di suite con prima il celebre Preludio
poi “Dell’invito trascorsa è già l’ora…”
quindi “Libiamo ne’ lieti calici”. La
splendida voce dei due strumenti ha ben
delineato la musicalità verdiana restituendo un
valida resa timbrica. Il brano successivo di
Igor Stravinskij, con la neoclassica Suite
Italienne in sei parti, in una trascrizione
dei grandi virtuosi Grigory Piatigorsky e Jascha
Heifet z,
qui eseguita con il violoncello piccolo al posto
del violino, ha ancora mostrato l'eccellenza dei
due interpreti. Due Ciaccone hanno
continuato la serata, prima quella rara di
Antonio Bertali (1605
–
1669), musicista italiano seicentesco e poi la
celeberrima Ciaccona in re minore dalla
Partita n.2 per violino solo di I.S. Bach.
Entrambe erano trascritte per due violoncelli
piccoli. La prima ha rivelato le incredibili
capacità virtuosistiche dei protagonisti che con
un flusso di continue variazioni su un tema,
hanno dato vita ad un brano folclorico ricco di
creatività.
Nella
nota Ciaccona di Bach -per la trascrizipne di
Victor Derevianko del 1937- sono stati
restituiti molto bene i timbri delle originali
armonie con una corretta divisione delle parti
tra i due cellisti. Raro anche il brano
successivo di Giovan Battista Costanzi ( (1704
–
1778), la sua Sonata in fa maggiore "Ad uso
corni da caccia" trascritta per due
violoncelli da Sollima e con un finale
arrangiato e modificato dal compositore nel suo
tipico stile melodico. Di valore il brano
piuttosto recente composto da Giovanni Sollima,
The Hunting Sonata per due violoncelli,
dai colori tipici del cellista, con inflessioni
mediterranee ed estetiche medio orientali.
Eseguito con un violoncello di cartone da
Sollima e dall' altro colorato, ha trovato una
situazione improvvisatoria di valido gusto
estetico e di notevole espressività. Conclusione
eccellente con una ottima interpretazione del
celebre brano dei Queen, Bohemian Rhapsody,
nel quale ancora una volta sono emerse le
straordinarie qualità dei due cellisti. Applausi
fragorosi ripetuti, in una Sala Verdi con
numerosissimo pubblico e , cosa rara, con molti
giovani. (foto di Alberto Panzani
dall'uff.Stampa Serate Musicali)
21 febbraio 2023 Cesare
Guzzardella
Carlo Boccadoro
direttore e
compositore per l'Orchestra de "I Pomeriggi
Musicali"
Carlo Boccadoro, compositore,
direttore d'orchestra, pianista e organizzatore
musicale, ha diretto l'Orchestra "I pomeriggi
Musicali" al Dal Verme, proponendo due brani
classici di Mozart e di Prokofiev e
due composizioni
contemporanee di Michael Nyman (1944) e dello
stesso Boccadoro (1963). Una scelta intelligente
quella del musicista marchigiano,
che
oltre a privilegiare repertori di più immediata
fruizione, cerca di proporre stili musicali dei
nostri tempi che portino l'ascoltatore
all'abitudine di nuove sonorità. Le qualità
direttoriali di Boccadoro sono apparse evidenti
nella Sinfonia n.31 in re maggiore K.297 "Parigi"
e nel bellissimo brano neoclassico di Sergej
Prokofiev, con la Sinfonia n.1 in re maggiore
op.25 "Classica". In entrambi i brani
l'esternazione timbrica, ricca di positività, ha
trovato un'energica ed estroversa
interpretazione del direttore, per una
restituzione efficace, ricca di luminosità da
parte dei bravissimi orchestrali. Di particolare
rilievo i due lavori contemporanei centrali. Il
primo di Nyman, Strong on Oaks, Strong on the
Causes of Oaks, è un lavoro del 1997
eseguito per la prima volta in Italia. Il
compositore inglese, che ha trovato fama grazie
alle sue colonne sonore, specie nei film di
Peter Greenaway, è da anni uno dei più
importanti compositori
europei
provenienti da quel genere musicale denominato
Minimalismo, che ha trovato poi un linguaggio
molto personale di non difficile presa emotiva
per via delle timbriche chiare, decise e ricche
di accenti che trovano anche riferimenti al
mondo dei compositori inglesi del passato e del
Novecento ( Britten, Williams ecc). Il brano, in
cinque brevi parti, ha visto una chiarissima
interpretazione da parte di Boccadoro, che ha
evidenziato la poliritmia di sequenze sonore
ricche di contrasti tra le sezioni orchestrali e
con riferimenti ad elementi folclorici, specie
scozzesi. Un lavoro estroverso e anche festoso.
La composizione di Carlo Boccadoro, in prima
escuzione assoluta per la commissione de "I
Pomeriggi Musicali", era in netto contrasto -
come spiegato dal direttore stesso- con il resto
del programma. Afternoon Variations è
definito da un'atmosfera complessiva cupa di
poche note, che coinvolge i colori orchestrali,
un passaggio d'interessanti "variazioni
timbriche" che ben delineano la scelta
compositiva, molto raffinata, del musicista e
che trovano, a mio avviso, riferimenti con le
timbriche di un Charles Ives e di certo
Stravinskij. Un brano efficace che meriterebbe
di essere presto riproposto. Grande successo di
pubblico alla replica ascoltata ieri pomeriggo,
con al termine il direttore visibilmente
soddisfatto.
19 febbraio 2023 Cesare
Guzzardella
SERATA SCHUBERTIANA A
VERCELLI CON LA CAMERATA DUCALE JUNIOR
Ieri sera, sabato 18 febbraio,
il suggestivo Salone Dugentesco di Vercelli ha
ospitato un recital di quattro giovani musicisti
dell’orchestra Camerata Ducale Junior (CDJ), una
formazione di archi, nata nel 2017 come futura
erede dell’attuale Camerata Ducale e costituita
da strumentisti di età non superiore ai
venticinque anni, selezionati tra gli allievi
più talentuosi dei vari Conservatori italiani o,
se già diplomati, impegnati in percorsi di
studio con prestigiosi Maestri in Italia e
all’estero. Il concerto di ieri sera rientra
nell’ambito di una vera e propria stagione della
Camerata Ducale Junior, che da sei anni
accompagna quella della ‘sorella maggiore’ e
vede alternarsi sul palcoscenico i vari giovani
e giovanissimi musicisti in concerti di musica
da camera. In questa attività i giovani della
CDJ sono affidati, per la preparazione dei
concerti, a Maestri famosi, di grande esperienza,
che poi partecipano al concerto stesso, insieme
coi loro allievi. Così, ieri sera, due ‘fanciulle
in fiore’, Giulia Rimonda (primo violino) e
Alice Tomada (secondo violino) e due virgulti
della ‘meglio gioventù’ musicale italiana,
Lorenzo Lombardo (viola) ed Ettore Pagano
(violoncello), sotto la vigile guida del loro
Maestro-preparatore, il violoncellista Giovanni
Gnocchi (solidissima carriera internazionale,
con tanto di premi in vari concorsi alle spalle,
e attuale titolare di una classe di violoncello
al Mozarteum di Salisburgo) hanno eseguito uno
dei capolavori assoluti della musica cameristica,
il Quintetto per archi in Do maggiore op.163 D.
956 di Franz Schubert. Era questo l’unico pezzo
in programma: a parte la sua ampiezza (quasi
un’ora di durata), la sua prodigiosa bellezza è
tale, da rendere consigliabili, quasi necessari,
un’esecuzione e un ascolto consacrati
esclusivamente ad esso. Una chiave
interpretativa per chi esegua questo monumento
della musica è proprio la formazione del
Quintetto, prescelta da Schubert, piuttosto
inconsueta nel terzo decennio dell’800, quando
esso venne composto. Allora nel Quintetto per
archi si era affermato l’ensemble impiegato da
Mozart qualche decennio prima per i suoi sei
quintetti per
archi, vale a dire due violini,
due viole e un violoncello, sostituendo la
formazione della trentina di Quintetti per archi
di Boccherini che, nella maggior parte dei casi,
prevedeva invece una sola viola e raddoppiava i
violoncelli, esattamente la formazione prescelta
da Schubert. Perché questa scelta di Schubert?
Appare chiaro che, raddoppiando i violoncelli,
Schubert cerca un tono più caldo, una tessitura
d’insieme più morbida e più variegata
timbricamente, adatta ad un’opera di carattere
profondamente lirico e intimistico come questa e
contemporaneamente, aumentando il volume sonoro
degli archi gravi, offre la possibilità di
drammatizzare i momenti di contrasto, di
conflitto tra il registro dei violini e quello,
appunto dei violoncelli, tra i momenti di più
dolce distensione lirica e quelli di più intensa
inquietudine. Il taglio interpretativo prescelto
dal quintetto CDJ e dal suo impareggiabile
mentore G. Gnocchi è ispirato precisamente dalla
volontà di portare in primo piano le linee di
tensione e contrasto che corrono, come faglie
sismiche sempre pronte ad affiorare, anche nei
momenti più calmi e contemplativi, della
partitura e conferendo ai momenti più mossi
un’energia dinamico-agogica, che, se magari
sacrifica qualcosa della vellutata morbidezza
dei violoncelli, guadagna in forza drammatica e
in pathos. Grazie anche ad una perfetta intesa
tra i cinque componenti dell’ensemble e ad una
cura meticolosa dei dettagli timbrici e dinamici,
frutto di uno strenuo lavoro di preparazione
durato poco meno di una settimana (secondo
quanto dichiarato dallo stesso Gnocchi in un
breve, quanto lucido e illuminante discorso di
presentazione del concerto), ne è scaturita
un’interpretazione di altissimo livello, che ,
tenuto conto anche della giovanissima età (la
media è di ventun anni!) di quattro dei cinque
strumentisti, ha dello stupefacente. Fin da
subito le intenzioni interpretative sono
chiarite all’ascoltatore dall’esposizione del
primo gruppo tematico dell’Allegro ma non troppo,
ove, dopo una decina di battute di calma serena,
irrompe, sostenuta da un cambiamento timbrico
nel segno di un suono costruito su un registro
assai cupo e lacerante, una serie di tre,
quattro battute, che dissolvono l’elisio
incantesimo dell’esordio, sorta di ‘irruzione’
mahleriana ante litteram. Bravissimi i cinque
nel valorizzare in tutte le sue sfumature la
palette timbrica in cui si ripresenta più volte
il magico secondo tema, e in cui il dialogo/conflitto
tra il primo violoncello di Gnocchi e il primo
violino di Giulia Rimonda ha momenti di rara
intensità emotiva. Ma è nello sviluppo di questo
primo tempo, che la scelta interpretativa di
Gnocchi e del suo gruppo di prodigiosi giovani
dispiega tutte le sue potenzialità, eseguendo
con un’intensità ‘beethoveniana’ una sezione
ricca di contrasti, singhiozzante di sincopi sul
ritmo dominante di una marcetta un po’
enigmatica, su cui si era chiusa l’esposizione.
Nel meraviglioso secondo movimento (Adagio),
rispetto alla sognante staticità della prima
sezione, nell’esecuzione ascoltata ieri, la
sezione centrale sembra letteralmente esplodere
in un dinamismo sovreccitato, sostenuto da tutto
il peso di una timbrica del primo violoncello
esaltata in ciò che ha di più cupo, coinvolgendo
anche il tremito ostinato del secondo
violoncello, e da un colore dei violini e della
viola che, abbandonando ogni morbidezza, si fa
stridente e quasi ‘metallico’. In perfetta
coerenza con questa linea interpretativa si pone
anche il sorprendente Presto, in cui il tema
della ‘caccia’, lungi dall’essere |