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MAGGIO 2022
Andrea Lucchesini al 31°
Festival Milano Musica per Berio, Bartòk,
Vacchi e Liszt
Il 31°Festival Milano
Musica ha portato in Sala Verdi, al
Conservatorio milanese, il pianista toscano
Andrea Lucchesini per un programma variegato,
naturalmente avendo come componente centrale la
musica contemporanea o del Novecento, ma con
anche un brano classico importantissimo quale la
Sonata in Si minore di Franz Liszt,
eseguita dopo
l'intervallo. Luciano Berio
(1925-2003), grande compositore del Secondo
Novecento, compose poca musica per solo
pianoforte. I brani più noti sono i Six
Encores, sei brevi miniature pianistiche
eseguite anche singolarmente come bis e composte
in un lungo arco di tempo, dal 1965 sino al
1990. Lucchesini, storico interprete di questo
importante lavoro, ha colto in modo adeguato,
con timbriche ricche di colori e profondità
interpretativa ,
i sei brevissimi momenti musicali
che ripercorrono, con particolare sintesi, i
modi compositivi della seconda parte del
Novecento. La maggiormente
nota Wasserklavier,
del 1965, rappresenta il momento melodico e
tonale in un contesto diversificato con
frangenti atonali o frizzanti come l'ultimo
Feurklavier. Il brano successivo, la
Sonata per pianoforte di Béla Bartòk è del
1926 ed è l'unica nel suo genere composta dal
grandissimo ungherese. Accostabile per stile
compositivo ai suoi concerti pianistici, si
evolve nei classici tre movimenti e cioè
Allegro moderato, Sostenuto e pesante
e Allegro molto. L'eccellente
interpretazione di Lucchesini ha evidenziato in
modo
chiaro gli elementi di contrasto del
difficile brano imperniato, come spesso accade
in Bartòk, in accentuazioni ritmiche, spesso
irregolari e marcate, non mancando comunque di
riferimenti melodici riferiti al folclore della
sua terra. Il
recente brano del bolognese Fabio
Vacchi (1949)- in prima esecuzione assoluta-
ha
concluso con successo la prima parte del
concerto.
La
Sonata n.2 per pianoforte del noto
compositore è stata terminata nel dicembre 2020
e concepita nei momenti più cupi della pandemia.
Articolata in due parti, dalla durata
complessiva di quasi quattordici minuti, è un
lavoro interessante per l'uso particolare del
pianoforte inteso come strumento diffusivo di
timbriche ampie, ricche di armonie e di discreta
estroversione. Inizia con accordi compatti e
sostenuti che poi si riverberano in parti più
ampie della tastiera, per un'esternazione di
progressiva accentuazione coloristica giocata su
rese dinamiche sottili e spesso di pregnante
esternazione. La presenza in lontananza di una
melodia popolare segmentata da un taglio
armonico netto e preciso, rende il brano
ancorato ad un riferimento tonale, anche se
l'elemento coloristico, assimilabile a certe
atmosfere impressionistiche, è riconoscibile
come elemento centrale di un lavoro che sembra
voler uscire dalla logica pianistica per una più
ampia e corale rappresentazione musicale.
Eccellente Lucchesini nell'articolare in modo
netto e preciso l'articolata composizione di
Fabio Vacchi.Il pianista
era visibilmente soddisfatto al
termine dell'esecuzione. Applausi
fragorosi dal pubblico presente in Sala Verdi
anche a Fabio Vacchi, salito sul palcoscenico e
molto contento dell'interpretazione. La
celebre Sonata in Si minore di Liszt ha
concluso il programma ufficiale. Eccellente la
resa di Lucchesini, giocata su un'esecuzione
ricca di contrasti, dai momenti più marcati e
voluminosi, ad altri di più introversa presenza
melodica, per delineare il motivo conduttore che
ha reso celebre questo capolavoro.
Un'interpretazione robusta, ricca di energia e di equilibrio
complessivo, pur nella complessa restituzione.
Due i bis concessi da Lucchesini: prima
un'interessantissima e rara Variazione sul
tema di Diabelli di Franz Schubert sul noto
tema reso celebre da Beethoven, eseguita con
illuminata espressività; poi un eccellente
Domenico Scarlatti con una Sonata tra le meno
celebri, ma di grande valore musicale. Ancora
applausi fragorosi. Concerto splendido!
21 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Ingrid Fliter all'Università
Cattolica per
"Il Pianoforte in Ateneo"
Il progetto "Il Pianoforte
in Ateneo" ha visto ieri sera nell' Aula
Magna dell'Università Cattolica milanese un
concerto con la pianista argentina Ingrid Fliter.
il Maestro Davide
Cabassi,
docente presso il Conservatorio di Milano, e il
Prof. Enrico Reggiani, direttore dello Studium
Musicale di Ateneo, sono
gli artefici di questa felice iniziativa che
unisce il mondo culturale iniversitario ad una
delle più importanti componenti della cultura,
quella musicale, per un'unione di linguaggi
utili allo sviluppo delle conoscenze. Tema della
serata era "Verso la luce: forme del pianismo
tonale". L'argomento introdotto con
limpidezza dal prof. Reggiani ha trovato una
corretta delucidazione del concetto di "tonalità",
utilizzato in modo più rigoroso dai primi
decenni del '700, fino ai nostri giorni. La luce,
cui Reggiani si riferisce, che nasce dai
contrasti dei toni,
è
quella emersa nelle bellissime composizioni
interpretate ottimamente dalla Fliter. Haydn,
Scarlatti e Schumann, i compositori scelti dalla
nota interprete, ben si addicono a rappresentare
la luminosità del mondo tonale. Eccellente la
Sonata in mi minore Hob.XVI N.34
introduttiva di J.Haydn, con una Fliter di
eccelsa fluidità nel rendere bene i geometrici
contrasti dei tre movimenti. Ottima anche la
Sonata in do diesis minore K247 di Domenico
Scarlatti, brano tra i più sviluppati del grande
musicista napoletano. La Fliter ha voluto
eseguirla quasi come introduzione ai celebri
Studi Sinfonici op.13 di Robert
Schumann,
una composizione tra le più interessanti del
grande romantico tedesco. Una serie di momenti
musicali ricchi di contrasti, spesso anche di
grande voluminosità, con caratteristiche appunto
"sinfoniche" per il complesso armonico
espresso. Una luce a volte tenue, a volte
intensa quella emersa nell'ottima
interpretazione della Fliter. Ingrid ha voluto
terminare il complesso lavoro inserendo alla
fine uno degli Studi più parcellizzati in
termine di quantità di note, da lei centellinate
con intensa profondità espressiva. Applausi
sostenuti dal numeroso pubblico intervenuto e
tre ottimi bis concessi dall'interprete con uno
Schumann (movimento centrale della Sonata n.2) e
due Chopin ( un Valzer e lo Studio "Minute")
eseguiti ottimamente.
20 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Serata memorabile per
Juan Diego Flórez al
Teatro alla Scala con undici bis
Il tenore Juan Diego Flórez è
stato accolto da un Teatro alla Scala al
completo per il suo recital dedicato -
nel programma ufficiale- quasi esclusivamente ad
autori italiani, ad eccezione di Christoph
Willibald Gluck con O del mio dolce ardor
da Paride ed Elena, brano introduttivo. Il
pianoforte di Vincenzo Scalera- da decenni
affermato come accompagnatore
di grandissimi interpreti quali Bergonzi,
Caballé, Carreras, Gencer, Scotto, Valentini
Terrani,
Ricciarelli,
Kabaivanska, e molti altri - ha trovato ottimi
dosaggi coloristici per evidenziare le qualità
del grande quarantanovenne tenore peruviano. Ma
non solo il predisposto impaginato ha reso ampio
ed importante questo recital. Il gran
finale, con oltre cinquanta minuti di bis
strappati da un pubblico entusiasta che aveva
voglia del bel canto, dopo un lungo periodo di
tregua pandemica, sono stati concessi con
immensa generosità latina dal grande interprete.
La serata, dopo il primo Gluck, procedeva con
Caccini, Carissimi, Bellini, Rossini e, dopo
l'intervallo con Tosti, Donizetti, Verdi e
Puccini. Tra i numerosi brani, due brevi pezzi
pianistici di Rossini con la rara Danse
sibérienne n.12, e di Verdi con la
Romanza senza parole in fa maggiore,
facevano per pochi minuti riposare la voce di
Flórez, e rivelavano ancor più le qualità di un
pianista doc quale Vincenzo Scalera. Tra
i brani dell'impaginato per canto e pianoforte,
ben quattordici, citiamo almeno La Ricordanza
di Bellini- riconosciuta come aria più
celebre nei Puritani-
La
speranza più soave da Semiramide di Rossini,
i celebri Sogno e Aprile dai tre
brani eseguiti di Francesco Paolo Tosti, quindi
Brezza del suol natio... Dal più remoto
esilio da I due Foscari di Giuseppe
Verdi e quello conclusivo con Torna ai felici
dí da Le Villi di Giacomo Puccini. Una
carellata già numerosa che ha rivelato la
splendida tenuta vocale del grandissimo tenore
per una emissione dalle tenui timbriche di
velata coloratura e all'occorenza di grande
forza espressiva, con ardite volumetrie
applauditussime al termine di ogni brano.
Applausi fragorosi, interminabili a conclusione
del programma ufficiale e quindi inizio del
"concerto nel concerto". Undici bis
aspettavano Flórez che entrava prima nel mondo
più "popolare", tra napoletano e latino,
impugnando la chitarra e accompagnandosi in
quattro brani quali
Core
'ngrato di Salvatore Cardillo, Piel
Canela (Me importas tu, y tu, y tu) ,
poi Guantanamera intonata anche
coralmente dal pubblico e Cucurrucucú Paloma
di Tomás Méndez, Il rientro in scena di
Scalera portava ancora al celebre Ah! Mes
amis dal donizettiano La Fille du Régiment,
Pourquoi me réveiller dal Werther di
Massenet, poi ancora il brano latino Jurame,
quindi Che gelida manina da Bohème,
il verdiano La donna è mobile da
Rigoletto , e poi, cavallo di battaglia di Del
Monaco e anche di
Claudio Villa,
Granada e.... ancora Puccini con il
classico Nessun Dorma dalla Turandot.
Applausi interminabili. Memorabile.
19 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Prossimamente per "Musica a
Villa Durio" di Varallo Sesia Valentina
Ciardelli e Massimo Giuseppe Bianchi in concerto
Domenica 22 Maggio nel Salone
dell’Incoraggiamento di Palazzo dei Musei alle
ore 17.30 si terrà
un
concerto per duo di contrabbasso e pianoforte .
Accanto a Valentina Ciardelli, compositrice
oltre che contrabassista ci sarà Massimo
Giuseppe Bianchi, pianoforte, al quale è
dedicata un’opera scritta dalla giovane artista.
Dice Bianchi "Ho incontrato Valentina Ciardelli
alcuni anni fa, ne ho apprezzato subito
l’energia e sensibilità artistica. Speravo di
poterla proporre al pubblico di Musica a Villa
Durio nel 2020, dopo due anni riusciamo
finalmente a concretizzare il progetto.
Suoneremo un
repertorio
per contrabbasso e pianoforte che spazierà dal
Don Giovanni di Mozart, a Gershwin, passando per
West Side Story di Bernstein per concludere con
Frank Zappa.”I biglietti dei concerti sono
acquistabili da subito sul sito Eventbrite al
link
https://bit.ly/MVD42 oppure, come di
consueto, prima dei concerti al prezzo di 10
euro, mentre i bambini e i ragazzi fino a 12
anni entrano gratis.Sarà possibile prenotare
contattando il numero di Musica a Villa Durio,
388 255 42 10, anche con messaggio whatsapp. Per
tutte le informazioni è a disposizione l’email:
info@musicavilladurio. (Foto dall'Ufficio Stampa
di Varallo Valsesia)
18 maggio dalla redazione
Pedro Amaral e l'Orchestra
Sinfonica Nazionale
della Rai per il Festival Milano Musica
Il 31° Festival Milano
Musica è approdato ieri sera al Teatro alla
Scala per un importante concerto sinfonico.
L'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai era
diretta da Pedro Amaral in brani di Sofija
Gubajdulina (1931), Arvo Pärt (1935) e Dmitrij
Šostakoviç (1906-1975). La
presenza del virtuoso violinista Vadim Repin ha
impegnato i primi due lavori. Il primo,
Dialog:
Ich und Du - Concerto per violino e orchestra
n.3, è stato realizzato dalla compositrice
russa nel 2018. Un brano, in prima esecuzione
italiana, che rivela il segno forte della
Gubajdulina nei circa venti minuti di una musica
giocata sul rapporto tra il violino solista e
l'orchestra, con ruolo importante nella sezione
percussiva. Un dialogo coinvolgente, dove le
abilità espressive di Vadim Repin sono risultate
evidenti, unitamente alle pregnanti timbriche
dell'Orchestra, una compagine di altissimo
livello, specializzata nel repertorio del
Novecento e contemporaneo. Di alta qualità la
direzione del portoghese Amaral, che ha saputo
dosare con chiarezza espressiva i colori
contrastati della ricca tavolozza orchestrale.
Anche il brano dell'estone Arvo Pärt,
La
Sindone,
per violino e orchestra,
ha trovato una resa eccellente sia nel violino
di Rapin che nelle sezioni orchestrali. È un
lavoro del 2006 rivisitato più volte, sino alla
versione ascoltata del 2022 in prima esecuzione
italiana. I caratteri tipici del compositore,
molto interiorizzati e di profonda riflessione
religiosa, emergono nel breve ma sostanzioso
brano,
soprattutto nella sua parte centrale, pur
alternandosi a situazione di voluminosa
estroversione per una resa complessiva ricca di
carica espressiva. Dopo l'intervallo, la
Sinfonia n.15 in la maggiore op.141, ultima
del genere di Dmitrij
Šostakoviç,
ci ha portato in mondo musicale ricco di
caratteri differenziati. Composta nel 1971, ed
eseguita l'anno successivo con la direzione di
Maksim, figlio del compositore, la Sinfonia
trova ispirati e diversificati riferimenti, sia
con chiare citazioni da Rossini o Wagner, che da
modalità stilistiche differenti, con riferimenti
settecenteschi o di certo neoclassicismo
stravinskiano, sino all'impronta dodecafonica.
Una sorta d'interessante collage che tende a
svanire nel nulla terminando in uno stato di
sensazione d'impenetrabilità. Splendida
l'interpretazione di Amaral, per una resa
orchestrale di alto livello. Fragorosi applausi
dal numeroso pubblico intervenuto.
17 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
L'Orchestra Sinfonica di
Milano diretta da
Stanislav Kochanovsky in collaborazione con
Milano Musica
Un concerto particolarmente
interessante quello dell'Orchestra Sinfonica di
Milano che segna anche la collaborazione con la
rassegna di musica contemporanea di Milano
Musica da poco iniziata. Tre lavori, due del
polacco Witold Lutoslawski (1913-1994) e uno
dell'ungherese Bela Bartók (1881-1945), hanno
segnato il pomeriggio domenicale di ieri nella
replica da me
ascoltata.
Un direttore di indubbia valenza quale il russo
- di Pietroburgo- Stanislav Kochanovsky ha
proposto prima Musica funebre per orchestra
d'archi (1958) e Chantefleurs et
Chantefables (1989-90) del polacco e, dopo
il breve intervallo, il Divertimento per
orchestra d'archi (1939) dell'ungherese.
Sono lavori accomunati da evidenti capacità, per
entrambi i compositori, di grande orchestrazione.
La Musica funebre di Lutoslawski è dedicata a
Bartòk, a dimostrazione di quanto il polacca sia
debitore, specie nelle modalità compositive,
all'ungherese. Le atmosfere cupe e incisive del
breve brano in quattro parti segnano un primo
personale stile del grande
compositore.
Il secondo brano, dal carattere completamente
diverso, con situazioni anche spensierate, si
affida ad una voce di soprano, quella della
bravissima Lucja Szablewska, per nove brevi
poesie di Robert Desnos con temi legati a fiori
ed animali. Il lavoro scritto negli ultimi anni
di vita dell'autore, è un gioiello di eleganza
per un eccellente resa del soprano polacco in
felice consonanza con i colori orchestrali. La
conclusiva e più nota pagina di Bartòk, nella
sua tipica felice ed efficace scrittura per
archi, rivela ancora le qualità del russo
Kochanovsky,
direttore dal gesto elegante, sicuro e profondo,
che ha ben messo in rilievo le eccellenti
timbriche dell'Orchestra Sinfonica di Milano,
ottima in tutti i lavori eseguiti. Applausi
convinti dal pubblico presente in Auditorium.
Prossimo appuntamento per l'Orchestra Sinfonica
di Milano previsto per il 19 il 20 e il 22
maggio con il pianista Volodin e il celebre
Rach3. Per il Festival Milano Musica e la sua
Stagione di musica contemporanea importante è il
concerto di questa sera alla Scala con
l'Orchestra della Rai e il violinista Repin. Da
non perdere entrambi i concerti.
16 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Francesco Libetta
rivela Paisiello agli Amici del Loggione
Un valido incontro con il
pianista Francesco Libetta, svoltosi agli Amici
del Loggione del
Teatro
alla Scala, ha evidenziato la figura del
compositore Giovanni Paisiello ( Taranto 1740-
Napoli 1816), uno dei migliori rappresentanti
della scuola napoletana. La lezione-concerto di
Libetta, organizzata da Mario Marcarini, è stata
l'occasione per la presentazione di un suo
recente Cd. Libetta ha giustamente messo in
risalto il lato più nascosto di Paisiello,
quello legato alla produzione pianistica. Il
pianista pugliese ha fatto esempi musicali
interpretando
alcuni
brevi brani del suo conterraneo, alla luce di
una semplicità di scrittura che andrebbe
certamente riscoperta nella sua autenticità. I
manoscritti da lui analizzati, autentiche rarità,
hanno rivelato anche il Paisiello anticipatore
del genere del Notturno, genere reso poi celebre
da Chopin. Applausi per l'interprete e il
classico brindisi finale con ottimo vino bianco
e ricco buffet.
15 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
PROSSIMAMENTE: GRAN FINALE AL
CIVICO: IL VIOTTI FESTIVAL CHIUDE CON PAGANINI!
Nella realtà storica,
all'inizio dell'800 Giovan Battista Viotti
lasciò idealmente il testimone all'astro
nascente Niccolò Paganini. È dunque naturale che
sabato 21 maggio (ore 21)
– con
un'interessante anticipazione per le scuole
venerdì 20 maggio alle ore 10
– il XXIV
Viotti
Festival
chiuda il cartellone principale al Teatro Civico
di Vercelli con uno spettacolo teatral-musicale
dedicato proprio a Paganini. Ideato, diretto e
interpretato (insieme a molte ottime attrici) da
Giovanni Mongiano, Niccolò, quanti capricci! è
il nuovo capitolo della fortunata collaborazione
tra la Camerata Ducale (presente in scena con
Guido Rimonda al violino e un ensemble di archi)
e il TeatroLieve di Fontanetto Po, incontro
artistico che si rivela ogni anno quanto mai
felice. Il risultato questa volta è una serata
intensa e divertente, nella quale il vulcanico
Mongiano prende per mano lo spettatore e lo
accompagna alla scoperta (semiseria) della vita
avventurosa e non certo irreprensibile del
violinista “maledetto”
per eccellenza. Quello che, per
intendersi, oggi sarebbe sicuramente una
rockstar. Malato da tempo, Niccolò Paganini, il
più grande violinista di tutti i tempi,
circondato da illustri medici e loschi
ciarlatani, muore a Nizza il 27 maggio 1840 a
seguito di un accidentale ma violento colpo di
tosse. Qui comincia lo spettacolo, perché,
si
sa, a teatro i morti parlano. Niccolò, già
imbalsamato e posto in una teca trasparente,
scopre che gli si vuol negare la sepoltura per
la sua condotta immorale. Irritato dalla
seccante situazione, comincia a raccontare la
sua vita al figlio Achille, rammentando i suoi
strabilianti successi e la genesi di quell’abilità
ineguagliabile che lasciava sbalorditi gli
spettatori. Ma ci sono guai in vista: tra la
folla di ammiratori compare anche la madre di
Achille, Antonia Bianchi, che rivanga la loro
burrascosa relazione. E ancora, per una perfida
coincidenza, ecco intorno a Niccolò le sue
amanti più celebri, da Elisa Bonaparte a
Carlotta Watson, dalla baronessa Hélène von
Dobeneck ad Angiolina Cavanna, tutte sedotte e
abbandonate. E no, non sarà facile difendersi.
(Foto dall'ufficio stampa di Vercelli)
15 maggio dalla redazione
Maxim Francesco Zoni,
un giovane pianista agli Amici del Loggione
del Teatro alla Scala
Ha quindici anni Maxim
Francesco Zoni, talentuoso pianista vincitore
del Concorso per giovani interpreti di Chopin
tenuto recentemente in Svizzera con una giuria
presieduta
nientemeno
che da Martha Argerich. Nel pomeriggio di oggi,
agli Amici del Loggione del Teatro alla Scala
di via Silvio Pellici, l'estroversa
presentazione di Ginevra Costantini Negri e poi
naturalmente di Gino Vezzini, ci ha permesso di
conoscere le doti di Maxim, prima nel suo amato
Chopin e poi in Mozart. Le Mazurche Op.17,
il Notturno n.1 op.27, la Ballata n.1
op.23 e il bis di fine concerto con la
celebre Polonaise op.53 "Eroica", hanno
rivelato una predisposizione naturale al grande
polacco dal giovane interprete. Timbriche chiare,
trasparenza e sicurezza
tecnica
hanno portato a valide interpretazioni, con
maggiori esternazioni qualitative nella
Mazurka op.17 n.4 -resa celebre dal grande
Horowitz- , nella Ballata n. 1 in sol minore
e nella Polacca op.53, certamente di
grande effetto per espressività e quadratura
costruttiva. Valida la resa espressiva della
Sonata n.13 K 333 eseguita dopo il breve
intervallo. Maxim è un pianista con alte
potenzialità che va seguito nel corso del sua
evoluzione d'interprete. Bravissimo! Applausi
sostenuti dal numeroso pubblico intervenuto.
14 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Presentata la Stagione
2022-2023 della
Fondazione La Società dei Concerti con il
"Concerto di Gala degli Artisti in residenza"
Serata particolarmente
riuscita quella di ieri sera in Sala Verdi al
Conservatorio milanese per il "Concerto di Gala
degli Artisti in residenza"
della Fondazione La Società dei Concerti.
Enrica Ciccarelli, Presidente e Direttore
artistico della nota società concertistica, ha
introdotto
la
serata evidenziando la nuova programmazione di
concerti previsti per la Stagione 2022-23. Sarà
il quarantesimo anno di musica dalla nascita
della Fondazione per opera di Antonio Mormone.
Dopo le sentite parole del consigliere artistico
Nazzareno Carusi, sono saliti sul palcoscenico
gli artisti in residenza per il concerto. Il
Trio Kaufman, Giulia Rimonda, Valerio Lisci e
Josef Mossali - era purtroppo assente il
flautista Cristian Lombardi indisposto- hanno
organizzato un impaginato diversificato e ricco
di ottima musica, con alcuni brani del compianto
musicista, pianista e direttore Ezio Bosso, cui
era dedicato il concerto.
Un
brillante Rondò all'ungherese di Haydn -
dal Trio in sol maggiore- ha introdotto
il concerto con Valentina, Chiara e Luca Kaufman
- rispettivamente pianista, violoncellista e
violinista- in perfetta sinergia per una
resa
ottimale in fluidità ed espressione. Una
bellissima trascrizione di Méditation dal
Thaïs di Massenet ha accolto la violinista
Giulia Rimonda e l'arpista Valerio Lisci per
un'interpretazione ancora ricca di sentimento.
Il primo omaggio a Ezio Bosso, a due anni dalla
scomparsa, ha visto di nuovo la Rimonda e Lisci
per il brano Bitter and Sweet, un lavoro
pacato e ricco di suggestioni coloristiche.
Ancora Giulia Rimonda, questa volta col pianista
Josef Mossali, ha concluso la prima parte della
serata con un espressivo Scherzo di
Joahnnes Brahms dalla celebre Sonata FAE.
Dopo il breve intervallo, ancora un omaggio ad
Ezio Bosso con Rain in Your black eyes
eseguito dal Trio Kaufman, affiatatissimi
strumentisti nell'esternazione minimalista di un
lavoro giocato su
poco
note, ma di grande intensità emotiva. Di grande
impatto coloristico e virtuosistico la Grande
fantasia sulla Lucia di Lammermoor che il
compositore E.Paris Alvars ha scritto per arpa.
Notevole la capacità di resa virtuosistica ed
espressiva dell'arpista Valerio Lisci con le sue
"magiche"
timbriche
che hanno definito le bellissime variazioni
delle celebri arie donizettiane. A conclusione
del programma ancora sul palcoscenico Josef
Mossali per la strepitosa Suite da concerto
dallo Schiaccianoci di
Čaikovskij,
nella virtuosistica trascrizione di M.Pletnëv:
sette momenti musicali di
grande efficacia pianistica restituiti con
chiarezza e brillantezza da questo eccellente
giovane interprete. Applausi fragorosi a tutti i
protagonisti saliti sul palcoscenico, ed anche
ad Enrica Ciccarelli, grande organizzatrice
musicale. Una splendida serata.
14 maggio 2022 Cesare Guzzardella
Alessandro Deljavan
diretto da Jacopo Brusa per Fauré e una prima di
un brano di Alessandra Ravera
Ottimo concerto quello di
ieri sera con l' Orchestra de I Pomeriggi
Musicali. La valida direzione di Jacopo
Brusa proponeva tre brani differenti per genere
e periodo di realizzazione.
Partendo
dal recentissimo Arcane, per orchestra di
fiati, prima esecuzione assoluta di un
lavoro di Alessandra Ravera, siamo andati a
ritroso nel tempo con la Ballata per
pianoforte e orchestra Op.19 di Gabriel
Fauré, sino alla celebre Sinfonia n.7 op.92
di L.v. Beethoven, eseguita dopo il breve
intervallo. Il brano cameristico della
compositrice romana Alessandra Ravera (1977),
allieva anche di Azio Corghi e
di Ivan Fedele, è di particolare
interesse per qualità espressiva. L'organico per
strumenti a fiati, sostenuti anche dalle
percussioni, si dipana per circa dodici minuti
di musica esprimendo suggestive ed efficaci
timbriche giocate sulle relazioni degli
strumenti a fiato, tra interventi individuali, a
piccole sezioni, e ampie coralità. La solida
impalcatura costruttiva e gli efficaci
interventi melodici dei bravissimi fiati de I
Pomeriggi, hanno
permesso armonizzazioni piacevoli al primo
ascolto, con timbriche dal sapore orientale e
di
evidente valida resa espressiva. Applausi del
numeroso pubblico anche alla compositrice salita
sul palcoscenico. La Ballata per pianoforte e
orchestra in fa diesis maggiore del francese
Fauré è una delizia alle orecchie più attente.
La leggerezza melodica del bravissimo
compositore è solo la parte superficiale di un
lavoro raffinato, giocato su armonizzazioni
splendide dal punto di vista costruttivo. Non si
poteva trovare meglio di Alessandro Deljavan ad
esprimere l'importantissimo ruolo pianistico.
Deljavan, affermato interprete internazionale,
ha reso in modo particolareggiato e profondo il
delicato gioco melodico, ricco di intrecci,
della Ballata. È stato ben coadiuvato dagli
orchestrali e
dall'attenta
direzione di Brusa. Splendida interpretazione.
Di eccellente qualità il bis concesso dal
solista con la preziosa Mazurca Op.17 n.2 in
mi minore di F. Chopin resa con grande
espressività. Dopo il raro Fauré, la celebre
Settima Sinfonia di Beethoven ha trovato una
direzione energica in Brusa per una valida
restituzione degli orchestrali de I Pomeriggi,
bravi in ogni sezione. Applausi sostenuti dal
numeroso pubblico intervenuto. Sabato alle ore
17.00 si replica. Da non perdere.
13 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Olga Kern diretta da
Roland Böer per la Società dei Concerti
Non capità spesso di
assistere ad una serata di grande qualità come
quella ascoltata ieri sera. Il concerto
organizzato dalla Fondazione La Società dei
Concerti aveva come protagonisti l'Orchestra
dell'Accademia del Teatro alla Scala, il
direttore Roland Boër e una pianista ben
conosciuta
dal pubblico della Società quale Olga Kern. Il
bellissimo impaginato prevedeva due capolavori
della letteratura concertistica e sinfonica
romantica rappresentati dal Concerto n.2 in
Do minore op.18 per pianoforte ed orchestra
di Sergej Rachmaninov e dalla Sinfonia n.2 in
re maggiore op 73 di Johannes Brahms. Se è
lecito esprimere un primo elogio, dobbiamo darlo
ai giovani orchestrali dell'accademia scaligera,
che diretti ottimamente da Böer, hanno eccelso
in entrambi i lavori
fornendo
una resa espressiva degna delle migliori
orchestre. Mettiamo poi su un piedistallo la
bravissima Olga Kern. L'ho ascoltata in
moltissimi concerti, e debbo dire che ieri sera
ha superato se stessa per qualità interpretativa.
Vero è che la Kern è sempre stata un'eccellente
interprete di Rachmaninov, ma ieri il Rack 2,
capolavoro del russo composto tra il 1900 e il
1901, che unisce chiare melodie note ad ogni
pubblico a virtuosismi di incredibile
difficoltà
tecnica, ha trovato una pianista eccelsa, che
con grinta e sicurezza assolute ha superato ogni
difficoltà con apparente semplicità, per una
resa eccellente. Ottima la sinergia con gli
orchestrali, bravi in ogni sezione. Tra i
calorosi applausi del numerosissimo pubblico
intervenuto in Sala Verdi- ricordiamo la non
sempre presenza di molti giovani- la Kern è
stata molto generosa a concedere tre
virtuosistici bis, dopo aver ricordato il popolo
ucraino nella speranza di una rapida fine della
guerra. Prima un noto brano di Mosorskij nella
trascrizione di Rachmaninov, Gopak ;
poi di Claude Debussy Feux d'artifice
reso con incredibile chiarezza virtuosistica e,
per ultimo, il classico Etincelle di
Moszkowsky reso celebre dal grande Vladimir
Horowitz. Dopo l'intervallo, la portentosa
Sinfonia n.2 che il grande amburghese
compose nel 1877, ha esaltato ancor più le
abilita dei giovani orchestrali, di rilievo in
tutte le sezione. Applausi fragorosi al termine
al bravissimo direttore Roland Böer e
all'Orchestra dell'Accademia scaligera. Grande
soddisfazione per tutti in una serata da non
dimenticare.
12 maggio 2022 Cesare Guzzardella
Alexander Gadjiev
alle Serate
Musicali del Conservatorio
Il pianista goriziano
Alexander Gadjiev è salito alla ribalta
internazionale con la recente importante seconda
posizione al prestigioso Concorso
Internazionale Chopin di Varsavia del 2021.
Ieri sera, nel bel concerto organizzato da
Serate Musicali in Conservatorio, ha dato
saggio delle sue qualità d'interprete del grande
polacco impaginando un programma romantico
che
dedicava a Chopin la prima parte del concerto.
La Polacca Fantasia in la bem.maggiore op.61
introduceva la serata ed evidenziava da subito
la cifra stilistica del giovane interprete: le
indubbie qualità tecniche e le timbriche sfumate
ben evidenziate ben si addicevano all'Op.61 di
Chopin, tra le polacche quella più visionaria e
suggestiva. Le Tre Mazurche op.56
continuavano il concerto in un unicum espressivo
in sintonia con il primo brano. La
personalizzazione interpretativa di Gadjiev,
certamente di ottima fattura, è lontana da
quelle dei grandi interpreti storicizzati,
quella dei Cortot, dei Rubinstein, di Lipatti o
dei più vicini Pollini e Zimerman,- solo per
citarne alcuni tra i massimi - e vuole cercare
nuovi orizzonti, cosa non facile da apprezzare
nell'immediato per chi ha orecchie abituate a
riferimenti entrati nella storia interpretativa.
Certamente
Gadjiev
ha espresso frangenti con ottimo stile e valida
creatività musicale. Anche nella celebre
Sonata n.2 in si bem.minore op.35, Gadjiev
ha articolato momenti particolarmente rilevanti
pur non facendo emergere, al primo ascolto, una
chiara unità interpretativà. Dopo il breve
intervallo, un altro grande romantico come
Schumann e la sua Fantasia in do maggiore
op.17 ha trovato una complessiva notevole
resa espressiva. Dalle prime efficaci note del
celebre lavoro è continuata un'esternazione di
ottimo livello. Molto applaudito dal pubblico
intervenuto in Sala Verdi, con molti giovani
presenti, Gadjiev ha concesso poi tre bis
certamente di qualità: il Preludio in do
diesis minore op.45 di Chopin, un eccellente
Debussy con lo Studio n.11 per arpeggi e
l'ottimo Studio op.10 n.8 in Fa maggiore
ancora del polacco. Fragorosi e meritati
applausi. Un pianista da riascoltare con
attenzione.
10 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
L'Orchestra Sinfonica
di Milano
diretta da Hannu Lintu per Bartók e Schumann
"La Verdi", con la nuova
denominazione Orchestra Sinfonica di Milano,
ha visto in questi giorni la direzione di Hannu
Lintu per due brani sinfonici importanti quali
il Concerto per
pianoforte
e orchestra n.3 Sz. 119 di Belá Bartók e la
Sinfonia n.3 in mi bem. maggiore op.97 "Renana"
di Robert Schumann. Il primo lavoro del
compositore ungherese, ascoltato alla replica
domenicale, è un brano maturo composto da Bartók
negli Stati Uniti nel 1945 ed eseguito per la
prima volta nel '46 a Philadelphia per la
direzione di Eugene Ormandy, purtroppo mai
ascoltato dal grande musicista, deceduto poco
dopo la quasi completa realizzazione ( mancavano
solo 13 battute completate
poi dagli appunti da Tibir Serly) . Un
ottimo pianista quale il milanese Luca Buratto
ha sostenuto la parte solistica avendo
chiarissimamente in testa la visione completa
del difficile brano, caratterizzato da grande
virtuosismo ma anche da momenti di pacato
lirismo come nell'intenso Adagio religioso
centrale. L'ottima direzione del finlandese
Hannu Lintu, con resa chiara
in
tutte le sezioni orchestrali, ha sostenuto con
efficacia l'eccellente interpretazione di
Buratto, in un lavoro caratterizzato da una
scrittura tonale ricca di contrasti, dove
soprattutto l'elemento ritmico costruisce
fraseggi articolati, marcati moto bene dal
solista, con perfezione tecnica e discorsività
profonda. Applausi calorosi ai protagonisti e
ottimo il bis solistico con l'amato Schumann
ed il primo dei
Fantasiestucke op.12. La seconda parte del
concerto ci ha portato indietro di quasi cento
anni, al romanticismo di Robert Schumann e la
sua Quarta Sinfonia "Renana" op.97. Si
tratta di un lavoro maturo del compositore
tedesco composto nel 1850 che si sviluppa in ben
cinque movimenti, una rarità per il genere
trattato. La direzione dirompente di Lintu ha
reso molto bene i caratteri schumanniani,
attraverso una restituzione fluida e di ottima
qualità espressiva da parte della Sinfonica di
Milano. Applausi calorosi al termine ai
protagonisti.
9 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
LA VIOLINISTA
GIULIA RIMONDA
E IL MAESTRO EMMANUEL TJEKNAVORIAN PROTAGONISTI
A VERCELLI
Ieri sera, sabato 7 maggio la
XXIV stagione del Viotti Festival, ormai vicina
alla conclusione, ha proposto, nella sala del
Teatro civico di Vercelli, un concerto che
vedeva in programma due pagine tra le più note
dell’intera storia della musica: il Concerto per
violino e orchestra in mi minore op.64 di F.
Mendelssohn-Bartholdy e la sinfonia n.3 in mi
bem. maggiore op.55, universalmente celebre come
l’”Eroica” di L. van Beethoven. A eseguire
questi due immortali capolavori la ventenne
violinista Giulia Rimonda e il Maestro Emmanuel
Tjeknavorian, che sempre più spesso lascia
l’archetto del violino per la bacchetta di
direttore, in questa occasione alla guida della
Camerata ducale. Avevamo già avuto modo di
apprezzare Giulia Rimonda in
un recente recital
cameristico di elementi della Camerata ducale
junior, in cui ci aveva colpito la già matura
autorevolezza interpretativa, unita ad una
scioltezza e sicurezza assolute nei passaggi più
ardui di abilità: uscimmo da quel concerto con
una certezza e con un desiderio: la certezza che
la giovanissima Rimonda è già più che una
semplice promessa e il desiderio di riascoltarla
il più presto possibile. Il concerto di ieri
sera ha appagato il desiderio e confermato
pienamente le certezza. Giulia Rimonda ha ormai
maturato un suo suono, calibrato e tornito con
cura, tanto nei legati quanto negli staccati,
fatto di energia, di morbidezza e duttilità
davvero notevoli nel controllo delle dinamiche,
con un timbro che imprime alle note chiarezza e
calore, sostenuto da una perfetta intonazione,
come ci assicura la somma autorità di uno dei
suoi Maestri, S. Accardo La cavata è sempre
fluida, limpida, tale da consentirle un
fraseggio che con naturalezza sale dalle note
più gravi sino ai vertici di siderali sovracuti,
un fraseggio che è un incessante fervore di
impulsi ritmici e melodici. Più che convincente
la sua interpretazione del Concerto di
Mendelssohn. Fin dall’apertura, in seconda
battuta, dell’Allegro molto appassionato, la
giovane violinista torinese trova la ‘sua’
chiave esecutiva, in unità con l’orchestra, per
dare voce alla tensione che impronta questa
sezione del concerto, non come scomposto
sentimentalismo, o ansimante respiro della
cavata, ma piuttosto come un anelito struggente
che si esprime al meglio, in particolare quando
suona a doppia corda, nel dare voce
all’espansione ascendente della melodia, coi
suoi guizzi che, muovendo dai registri gravi, si
protendono all’acuto e al sovracuto, quasi
attratti dal richiamo di un ignoto al di là del
suono stesso. E’ una sezione ricca di
figurazioni, che l’archetto di Giulia Rimonda
rende con accurata incisività nel dettaglio,
altra virtù dello stile esecutivo di questa
violinista. Più che il ritmo in sé, Rimonda ci è
sembrata ricercare e valorizzare i ‘vertici di
tensione’ che questo capolavoro dissemina nei
momenti più coinvolgenti del primo tempo, ed è
davvero brava nella sezione in cui, alla ripresa
del primo tema dopo l’esposizione del secondo,
il violino deve suonare, quasi protendendosi,
per ben tre volte una nota tenuta, nel registro
sovracuto: qui il sentimento che la solista
comunica all’ascoltatore non ha nulla di
drammatico, o addirittura di straziante, come
per molti interpreti, ma è avvolto da un
indicibile ‘non so che’, una sorta di ‘sete di
infinito’, perfettamente romantica. Ma Rimonda
sa dare anche voce adeguata all’altra componente
di questo stupendo concerto, quella più
affabilmente e teneramente melodica delle due
sezioni esterne del secondo movimento: il
violino qui sa passare dall’energia e dalla
tensione al canto puro, di intensa liricità, in
cui peraltro la calma dell’andamento ritmico
lascia filtrare talora un che di palpitante,
quasi commovente, per poi cambiare ancora suono
nella sezione centrale del movimento, con un
vibrato su doppia corda, che ascende
gradualmente, con superba gestione delle
dinamiche di crescente intensità, fino a
congiungersi in un magico accordo con il tutto
dell’orchestra, come in una sorta di trionfale
rivelazione. Naturalmente queste preziose
qualità di intelligente interprete sono sorrette
da un virtuosismo che le permette di affrontare
senza sforzo, e con assoluta precisione i
passaggi più impervi del concerto
mendelssohniano e in particolare il quarto
tempo, un Rondò sonata dai passaggi vorticosi,
per rapidità di ritmi, ampiezza di intervalli e
quant’altro. Davvero strameritati i lunghissimi
e appassionati applausi del numeroso pubblico
presente, cui Giulia Rimonda ha concesso, come
fuori programma, una appassionata e malinconica
melodia della tradizione popolare ucraina. Il
concerto per violino di Mendelssohn non fa
dell’orchestra un semplice sfondo di
accompagnamento per l’esibizione virtuosistica
del solista: all’opposto di Paganini,
Mendelssohn propone una continua interazione
dialogica tra orchestra e strumento,
che tendono
a integrarsi, più che a contrapporsi. E
Tjeknavorian ha svolto egregiamente il suo ruolo,
curando al meglio i dettagli timbrici e dinamici,
staccando i tempi giusti, sostenendo
perfettamente la solista nei momenti di maggior
tensione della partitura, con una ben calibrata
energia di suono, che non ha mai coperto il
suono dello strumento solista. A Tjeknavorian è
poi toccato dirigere uno dei monumenti sacri
della musica occidentale, l’Eroica. E’ davvero
difficile, oggi, dopo più di due secoli di
esecuzioni, al ritmo di centinaia all’anno con
l’avvento della registrazione, dire qualcosa di
‘nuovo’ su questo mostro sacro della musica. A
nostro avviso il Maestro austro-armeno ha
eseguito bene, facendo suonare al meglio la
Camerata ducale: ne è uscita un’Eroica dalla
sonorità compatta, ma con colori diversi per i
quattro movimenti, (molto ben riuscito per
scelta metronomica e alleggerimento del suono lo
staccato degli archi e la successiva ripresa
dell’oboe, che aprono lo Scherzo, dopo la Marcia
funebre) e densa, grazie anche ad una buona
conduzione dei fiati, anche nel dare ‘peso’ e
densità al suono orchestrale coi loro raddoppi
d’ottava. Volendo indicare uno dei momenti
migliori della direzione di Tjeknavorian
sceglieremmo il fugato del secondo movimento,
dove al direttore riesce perfettamente di unire
alla densità contrappuntistica della sezione un
velo di accorata malinconia di fronte al mistero
del dolore universale. Buona la gestione delle
dinamiche, che eccelle nel gigantesco respiro
dell’inizio e nella cura dei dettagli timbrici e
motivici , che dà il meglio di sé nell’immenso
sviluppo dell’iniziale Allegro con brio. Un gran
bel concerto, che ha riscosso, a giudicare dai
lunghi applausi del pubblico quasi al completo,
un notevole e meritatissimo successo. Un’altra
serata di buona musica che fa onore alla
Camerata ducale, al suo ViottiFestival e a chi
li organizza e li dirige, specie in tempi così
difficili per la musica, l’arte, la cultura
tutta.(Foto dall'ufficio stampa di Vercelli)
Bruno Busca 8 maggio 2022
La West-Eastern Divan
Orchestra alla Scala diretta da Guggeis
Doveva esserci Daniel
Barenboim a dirigere la sua West-Eastern
Divan Orchestra. In convalescenza, è stato
sostutuito dal giovane direttore tedesco Thomas
Guggeis. Guggeis di
recente
lo abbiamo visto alla direzione dell'Orchestra
Sinfonica di Milano, anche insieme ai
fratelli pianisti Jussen, per uno splendido
concerto sinfonico. Ieri sera lo aspettava
l'impaginato predisposto da Barenboim, con il
noto Má vlast (La mia patria) di Bed řich
Smetana, ampio ciclo sinfonico in sei parti
contenente l'arcinota Vltava - La moldava.
Il lavoro del compositore boemo fu composto alla
fine degli anni '70 ed ebbe la prima esecuzione
completa nel 1882, pur avendo parziali
interpretazioni dei singoli poemi negli anni
precedenti. I riferimenti descrittivi
dell'ottima musica di Smetana trovano
valide
rese espressive nelle melodie ispirate dal
repertorio popolare della terra
del compositore.
Sono
orchestrate mirabilmente traendo insegnamento
dalle abili orchestrazioni
di
Berlioz e
di Liszt, musicisti conosciuti
ed amati
da Smetana. L'ottima direzione di Guggeis ha
permesso una valida restituzione interpretativa
dai giovani professori di
un'
orchestra che ricordiamo essere stata fondata
nel 1999 da Daniel Barenboim e dallo studioso
palestinese Edward w.Said con lo scopo di unire
le culture del Medio oriente. Valide tutte le
sezioni della
West-Eastern
Divan
Orchestra, compagine particolarmete equilibrata
nelle timbriche, dagli archi alle arpe, ai fiati,
spesso emersi come solisti in questo ciclo di
poemi, sino alle molto presenti percussioni.
Successo caloroso a tutti i protagonisti al
termine con numerose uscite del direttore in
palcoscenico.
7 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
La Filarmonica della Scala
diretta da Speranza Scappucci
La
direttrice d'orchestra
romana Speranza Scappucci è tornata alla Scala
per un concerto sinfonico classico interpretando brani di
Schubert, Mozart e Mendelssohn. Di recente la
Scappucci
aveva
diretto in Scala il belliniano I Capuleti e i
Montecchi ottenendo un meritato successo di
critica. Questa sera l'impaginato è stato
introdotto dall'Ouverture in Stile
italiano D 590 di Franz Schubert, un esempio
di eccellente sinfonismo nel classico stile del
grande viennese che guarda anche alle future
modalità romantiche. L'interpretazione ascoltata
ha visto un ottimo equilibrio dinamico delle
sezioni orchestrali. La Sinfonia concertante
per fiati e orchestra K297b di W.A.Mozart,
ci ha immerso nel classicismo "galante" tipico
del salisburghese con valide esternazioni
timbriche dei bravissimi quattro solisti
preposti al "concertino" cioè Fabien Thouand
all'oboe, Fabrizio Meloni al
clarinetto, Valentino Zucchiatti al
fagotto e
Danilo
Stagni al corno. Interpretazione
equilibrata dei solisti e particolarmente in
evidenza le prestazioni nel bellissimo
Andantino con variazioni del finale. Dopo il
breve intervallo un'ottima Sinfonia n.4 in la
maggiore op.90 "Italiana" di Felix
Mendelssohn ci ha portato nella sponda romantica
della serata. La chiarezza espositiva della
Scappucci, nella restituzione limpida della
Filarmonica della Scala, ha reso giustizia al
compositore attraverso un'interpretazione molto
italiana per un celebre brano che il musicista
tedesco ha voluto dedicare all'Italia, dopo un
viaggio fatto nel sud dello stivale avvenuto
intorno al 1830. Nel '33 portò a termine il
fortunato lavoro che trova un incipit tra
i più celebri della produzione sinfonica
romantica. L'ottima resa della Filarmonica
scaligera nella bacchetta di Speranza Cappucci
ha entusiasmato il numeroso pubblico presente in
teatro che al termine ha tributato sostenuti
applausi. Lunedì, 9 maggio, seconda e ultima
replica. Da non perdere.
5 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Successo all'ultima
replica di Ariadne auf Naxos
Una Scala al completo per
l'ultima replica di Ariadne auf Naxos,
testimonia il successo per un'opera di Richard
Strauss non facile musicalmente e giocata
soprattutto sulle abilità vocali e
attoriali
dei protagonisti. Un'orchestra di ristrette
dimensioni, con molti frangenti cameristici, ben
delineava gli sviluppi contenutistici del
libretto di Hugo von Hofmannsthal e le efficaci
voci presenti in scena. La valida direzione di
Michael Boder ha dato buona energia alla
riuscita regia di Sven-Eric Bechtolf, alle
originali scene di Rolf Glittenberg, ai colorati
costumi di Marianne Glittenberg illuminati dalle
luci di Jürgen Hoffmann. La messinscena
complessivamente ha rivelato un'unità
d'interventi che hanno reso vitale un'opera
complicata nei contenuti, che trova un valido
compromesso tra situazioni drammatiche e
divertenti. Le due compagnie teatrali presenti
nella vicenda si sono ben amalgamate per
restituire teatralità all'elegante costruzione
scenica. Le ottime voci presenti erano
quelle di Sophie Koch, splendida in tutti i
registri di Der Komponist, di Markus
Werba, valido Ein Musiklehrer, di
Krassimira Stoyanova, ottima Ariadne, di
Erin Morley, con ottima intonazione e perfetta
attorialmente nel ruolo di Zerbinetta, di
Stephen Gould, un adeguato Bacchus.
Ottimo il terzetto delle Ninfe e
bravissimi tutti gli altri. Ricordiamo la
prossima opera in cartellone presente da questa
sera con il verdiano Un ballo in maschera.
Repliche per il 7, 10, 12, 14, 19, 22 maggio. Da
non perdere. ( Foto di M. Brescia e R.
Amisano dall'Archivio del Teatro alla
Scala)
4 maggio 2022 C.G.
Lucas Debargue
alle Serate Musicali del Conservatorio
È un fuoriclasse il francese
Lucas Debargue. Un pianista che oltre ad una
tecnica invidiabile, spesso presente nelle nuove
generazioni di virtuosi, ha una capacità di
rendere personale uno stile interpretativo che,
se pur attento ai dettagli di partitura, gioca
anche sulla forza dirompente della restituzione
sonora. L'impaginato, presentato tutto difilato
al concerto di ieri sera alle "Serate Musicali"
di Sala Verdi, proponeva brani di Franck, Ravel,
Skrjabin e Liszt.
Quello introduttivo, di César
Frank, la Fantasia in la maggiore da "3
Pièces pour grand orgue", era un
trascrizione per pianoforte dello stesso
Debargue: un Andantino reso in modo
espressivo che anticipa le capacità
rielaborative del francese, che ricordiamo avere
molto a cuore l'improvvisazione ed il jazz come
testimonia il finale della serata. Un pianista
quindi "creativo", che se pur capace di
interpretare ottimamente i classici, tende dare,
all'occorrenza ,, un'
impronta personale alle esecuzioni proposte. In
linea con le interpretazioni dei maggiori
pianisti era il secondo ampio lavoro, Gaspard
de la nuit, celebre brano composto da
Maurice Ravel nel 1908 e suddiviso in tre parti:
Ondine, Le gibet e Scarbo.
Debargue ha restituito la coinvolgente
composizione con una trasparenza coloristica
invidiabile. L'accuratezza dei dettagli e gli
evidenti contrasti dinamici, si sono rivelati in
modo esuberante nei due brani laterali,
Ondine e Scarbo. Il pacato Le
gibet centrale, ha trovato una solida
riflessività e un perfetto equilibro meditativo,
sostenuto anche da quella
celebre nota ripetuta
ben 153 volte nel corso dell'esecuzione.
Un'interpretazione complessiva di altissimo
livello quella del francese. La Fantasia in
si minore op.28 di
A.Skrjabin, prima, e la
Fantasia quasi sonata ovvero la "Sonata
Dante" di Franz Liszt poi, hanno ancor più
evidenziato le qualità virtuosistiche di
Debargue. Due esecuzioni dirompenti, ricche di
contrasti perfettamente controllati, che
rivelano le capacità del solista di penetrare la
notazione musicale attraverso una visione ben
precisa della musica. Frangenti esasperati, ma
di una chiarezza espressiva disarmante, sono
emersi soprattutto nella Sonata dedicata al
poeta italiano. Applausi sostenuti al termine e
tre bis concessi da Debargue: le note semplici e
profonde della Sonata n.32 in re minore
di Domenico Scarlatti, uno splendido Erik Satie
con Gnossienne n.1 e per concludere il
celebre Round midnight di Thelonius Monk,
brano jazz rivisitato mirabilmente da Dabergue
con un finale virtuosistico tutto del francese.
Applausi convinti dal pubblico intervenuto in
Conservatorio.
3 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Palazzo Marino in Musica
con Francesco
Manara e Andrea Bacchetti
Oggi, primo maggio, è
iniziata l'undicesima edizione di "Palazzo
Marino in Musica", rassegna musicale
organizzata dal Comune di Milano che propone una
serie di concerti domenicali
offerti
alla cittadinanza milanese alle ore 11.00.
L'offerta musicale di quest'anno indagherà sul
rapporto tra musica e matematica, sia nei
rapporti consolidati tra arte e scienza che dal
punto di vista dei nuovi sistemi di produzione
musicali lagati al mondo digitale e al computer.
Il primo concerto ha visto la presenza di due
affermati interpreti quali il violinista
Francesco Manara ed il pianista Andrea Bacchetti.
Manara, oltre a svolgere un'intensa attività
concertistica solistica, è noto per essere da
trent'anni "spalla"- (primo violino), della
prestigiosa Orchestra del Teatro alla Scala. Il
genovese Andrea Bacchetti da decenni è
riconosciuto come eccellente interprete del
repertorio settecentesco, soprattutto quello di
J.S.Bach. Una Sala Alessi gremita di
appassionati ha
attentamente
ascoltato il programma proposto, denominato
Tre!, che prevedeva brani di Händel, Mozart,
Bartók, Bloch e Saint-Saëns. L'ottima intesa del
duo ha messo in rilievo le qualità classiche di
Bacchetti nel sottolineare con chiarezza
esaustiva ed eccellente equilibrio le splendida
linee melodiche del violino di Manara. La
Sonara op.1 n.4 di Händel e la Sonata in
si bem.maggiore K454 di Mozart hanno messo
in rilievo l'equilibrio "matematico" del duo
giocato su un'evidente chiarezza coloristica. Le
celebri Danze popolari rumene di B.Bartók,
Nigun, adagio non troppo di Ernst Bloch e
Introduzione e Rondó capriccioso di
Camille Saint-Saëns, hanno esaltato l'efficace
virtuosismo di Manara,
violinista
attento ad ogni dettaglio, preciso nei perfetti
sopracuti, e soprattutto molto espressivo,
sostenuto bene dalle armonie pianistiche di
Bacchetti. Splendido anche il bis concesso al
termine con il celeberrimo brano Meditation
dal Thais di J.Massenet eseguito con profonda
espressività melodica. Applausi fragorosi dal
pubblico in una sala al completo. Prossimo
concerto denominato "La sintesi degli opposti" è
previsto per il 5 giugno e troverà Tania Birardi
al clavicembalo
1 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Katia e Marielle
Labèque
al Teatro alla Scala
Ieri sera al Teatro alla
Scala, per la serie "Grandi pianisti alla
Scala" è salito sul palcoscenico il duo
femminile più celebre internazionalmente, quello
formato dalle pianiste Katia e Marielle Labèque.
Da decenni suonano anche da soliste, in
formazioni cameristiche e spesso insieme,
impaginando programmi diversificati, dove la
tradizione classica si unisce sovente al
Novecento e alla musica contemporanea, non
rinunciando a volte a trasgressioni nel mondo
pop
e jazz. Il programma scaligero, presentato
davanti ad un pubblico che riempiva il teatro, è
un esempio di visione a 360 gradi della musica.
Il classicismo di Schubert con la celebre
Fantasia in fa min. D 940 per pianoforte a
quattro mani è stato anticipato dal Claude
Debussy dei Six épigraphes antiques per
due pianoforti. Una musica, quella del francese,
concepita nel 1901 che nasce dalla lettura di
brevi versi poetici dell'amico Pierre Louýs. La
traduzione pianistica è breve, poco più di
tredici minuti di timbriche deliziose, dal
sapore antico, eseguite magistralmente dalle due
celebri sorelle, per un'unità sonora perfetta ed
espressiva nei colori delicati e profondi. Il
romanticismo schubertiano della celebre
Fantasia in Fa minore è del 1828, l'ultimo
anno di vita del genio viennese. Di notevole
profondità e perfetta completezza formale, il
brano è stato interpretato in modo introspettivo
e senza eccessi dalle Labéque, per
un'interpretazione di elevato valore artistico.
E'
con il bellissimo arrangiamento di Michael
Riesman del corposo lavoro dell'americano Philip
Glass, Les Enfants terribles, che la
serata ha preso una piega più vicina ai nostri
tempi. Il lavoro originario per balletto è del
1996, più recente la riuscita versione
pianistica per due pianoforti. L'originario
minimalismo di Glass trova in questo corposo
lavoro formato da un' Ouverture introduttiva e
da dieci brani, un'evoluzione particolarmente
fantasiosa nelle sequenze di elementi ripetuti
con infinite varianti. Le Labèque, conoscitrici
profonde della musica di Glass, hanno restituito
un'interpretazione accurata e intensamente
espressiva, con perfetta sincronia delle parti.
Applausi sostenuti e ben quattro bis concessi
con il bellissimo Debussy iniziale a quattro
mani di Le jardin féerique , ancora
Glass, un brano in stile Boogie Woogie
per due pianoforti e un'ultimo breve e
divertente a quattro mani. Pubblico entusiasta e
continue uscite sul palcoscenico con meritati
applausi.
1 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Prossimamente
a Vercelli Emmanuel Tjeknavorian e Giulia
Rimonda
A volte le cose belle
ritornano. Basterebbe questo per descrivere il
concerto che sabato 7 maggio riporterà in scena
Emmanuel Tjeknavorian nella veste di direttore e
Giulia Rimonda in quella di violino solista
–
accompagnati dalla fedelissima Orchestra
Camerata Ducale –
al Teatro Civico di Vercelli (ore 21, concerto
in abbonamento). Ritornano, proprio così. Perché
Tjeknavorian è già stato in questa stagione
ospite del Festival (per l'occasione come
violinista), e perché entrambi si sono resi
protagonisti nella scorsa edizione di un altro
memorabile
concerto.
Questa è dunque una nuova tappa di un sodalizio
artistico tra due musicisti giovanissimi, un
concerto che dimostra come la genuina voglia di
“fare musica” sappia davvero superare ogni
confine: Giulia è infatti il talento di casa al
Civico, dove ha debuttato in tenerissima età, ed
Emmanuel parte dalla sua Vienna per portare la
sua musica in mezzo mondo. Quando si è così
giovani –
lei è da poco ventenne, lui ventisettenne
– un anno
può fare una grande differenza. Non c'è dunque
da stupirsi se, dopo un primo concerto già molto
denso dal punto di vista musicale, in vista di
questo appuntamento i due protagonisti hanno
deciso di alzare ancora “l'asticella”,
proponendo un programma di incantevole bellezza,
ma indubbiamente di notevole impegno. La serata
si aprirà infatti con Tjeknavorian a dirigere
Rimonda in una vera e propria colonna del
repertorio violinistico universale, ovvero il
meraviglioso Concerto in mi minore op. 64 di
Mendelssohn. Un'opera che richiese al suo autore
ben sette anni di lavoro, e che riesce a
incarnare mirabilmente quell'appassionato
lirismo e quella capacità di rinnovare la
tradizione che è il segno inconfondibile della
grande musica romantica. A seguire, Tjeknavorian
dirigerà l'Orchestra Camerata Ducale in un'altra
composizione che possiamo definire “monumentale”,
ossia la Sinfonia n. 3 di Beethoven, nota a
tutti come l'Eroica. Opera sulla quale sono
stati scritti fiumi di parole, e della quale
possiamo ricordare ora che, sia per i contenuti
musicali sia per la vicenda della dedica, prima
concepita e poi negata, a Napoleone, rappresenta
una svolta fondamentale nella definizione del
ruolo dell'artista e del suo rapporto con la
storia, con gli eventi, insomma con il mondo che
lo circonda. Un concerto che rappresenta dunque
uno dei momenti più significativi dell'intera
stagione, e che si rivolge a tutti gli
appassionati della grande musica, in particolare
ai più giovani.
1 maggio 2022 dalla redazione
APRILE 2022
L' Orchestre de Paris
diretta da Esa-Pekka
Salonen alla Scala
Un concerto di alta qualità
quello ascoltato ieri sera al Teatro alla Scala.
L'Orchestre de Paris, compagine nata nel
1967 e diretta in questi decenni dai più
importanti direttori d'orchestra quali ad
esempio Munch, Karajan, Solti, Barenboim,
Harding e molti altri, ha visto ieri la
direzione del finlandese Esa-Pekka Salonen,
musicista noto anche per le sue valide
composizioni. L'impaginato, incentrato su brani
francesi, ha trovato anche, in posizione
centrale, la Suite da Il Mandarino
meraviglioso dell'ungherese Belà Bartók. La
pacata e introspettiva introduzione della
raveliana Pavane pour une infante defunte
- versione orchestrale da un brano pianistico
composto negli ultimissimi anni dell'800- ha
messo in
risalto
gli eleganti colori dell'orchestra. Il brano
bartókiano eseguito subito dopo, ha stravolto il
clima musicale per una dirompente miscela di
timbriche, dove anche gli strumenti a fiato e
quelli a percussione hanno esternato le loro
rilevanti qualità espressive. L'eccellente
direzione di Esa-Pekka Salonen e la risposta
vigorosa dell'orchestra parigina in questo
suggestivo lavoro, ha evidenziato l'alta cifra
stilistica dei protagonisti. Salonen ha proposto
timbriche contrastanti, taglienti e di grande
impatto emotivo, esternando in modo chiarissimo
i variati elementi ritmici tipici della musica
di Bartòk e presenti in questo brano dela fine
anni '20 del Novecento. Miscelando perfettamente
i colori delle differenti sezioni della grande
orchestra, ha trovato modo di far emergere le
qualità virtuosistiche degli eccellenti
strumentisti, per una restituzione di assoluta
rilevanza estetica. Fragorosi gli applausi. Dopo
il breve intervallo, il ritorno alla musica
francese con la celebre e corposa Symphonie
fantastique di Hector Berlioz ha di nuovo
esaltato le splendide qualità di questa
compagine. Il brano, in cinque ampi movimenti, è
del 1830 e rivela le immense capacità
d'orchestratore di Berlioz, musicista che
rivoluzionerà il modo di fare musica sinfonica.
I movimenti, ricchi di contrasti, hanno rivelato
la duttilità dell'orchestra, dall'elegante Un
bal, tempo di valzer del secondo movimento,
all'energia prorompente dei movimenti finali,
cioè la Marche au supplice e il
conclusivo Songe d'une nuit du Sabbat.
Tutte le sezioni sono state esaltate dalla
decisa ed elegante gestualità nella splendida
direzione di Salonen. Eccellenti i colori degli
ottoni e perfetti i molteplici interventi delle
percussioni. Il numerosissimo pubblico scaligero,
al termine del programma ufficiale, ha esternato
fragorosi e continuati applausi e i generosi
protagonisti hanno concesso ben due bis. Prima
il soffuso ma pregnante colore degli archi nel
Ravel de Le jardin féerique, poi
l'estroverso e fragoroso Wagner con il celebre
Preludio dall'atto terzo del Lohengrin.
Una serata con interpretazioni che rimarranno
indelebili nei ricordi dei più appassionati
spettatori.
30 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
Serata mozartiana
per
l'Orchestra de "I Pomeriggi" diretti da
Alessandro Bonato
Una serata interamente
mozartiana quella ascoltata ieri sera al Dal
Verme. Il giovane direttore Alessandro Bonato
alla guida dell'Orchestra de I Pomeriggi
Musicali ha proposto due brani diversi, per
le timbriche espresse, del grande salisburghese:
un concerto per violino e
orchestra, il N.5
in La maggiore K 219, e un lavoro
cameristico corposo in sei movimenti quale la
Serenata per fiati N.10 in Si bem. maggiore
"Gran Partita" K 361. A sostenere la parte
solistica del noto concerto c'era il violinista
salernitano Gennaro Cardaropoli. L'ultimo
concerto violinistico di Mozart, nei classici
tre movimenti, presenta una rilevante
cantabilità che Cardaropoli ha espresso in modo
eccellente con tocco preciso, luminoso e ben
integrato con la parte orchestrale espressa con
equilibrio da I Pomeriggi. Di qualità le
cadenze solistiche del concerto,
ancor più
indicative delle qualità del solista, tra i
migliori fra gli italiani della sua generazione.
Eccellente il bis solistico con Nel cor più
non mi sento , un classico di Niccolò Paganini
dove il tema ricco di variazione di particolare
virtuosismo, presenta difficoltà tecniche
trascendentali superate con disinvoltura da
Cardaropoli per una resa espressiva di rilevante
qualità. Applausi sostenuti dal numeroso
pubblico intervenuto al Dal Verme ai
protagonisti. Dopo il breve intervallo la "Gran
Partita" mozartiana ha messo in risalto le
qualita degli strumentisti dell'orchestra. Il
bellissimo lavoro - recentemente ascoltato anche
dai bravissimi de "LaVerdi" - ha trovato ancora
eccellente qualità dai colleghi de "I Pomeriggi".
Ottima la direzione di Bonato e la resa
espressiva per un lavoro di evidente
discorsività, con frangenti di estrema bellezza
tipica del genio salisburghese, come nel
pregnante e contrastato Tema con sei
variazioni del finale. Applausi intensi al
temine a tutti gli strumentisti e al direttore.
Sabato alle ore 17.00 si replica. Da non perdere.
29 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
Presentato al Fazioli
Showroom di Milano il Concorso Internazionale
Pianistico"Alessandro Casagrande"
Milano, 28 aprile 2022. Torna
a Terni dall’11 al 17 settembre 2022 il Concorso
Pianistico Internazionale Alessandro Casagrande,
giunto alla 32esima edizione, con la direzione
artistica di Carlo Guaitoli. Il concorso, che
negli anni ha premiato, tra gli altri, Ivo
Pogorelich, Alexander Lonquich, Boris
Petrushansky, Roberto Prosseda, Giuseppe
Andaloro e Herbert Schuch, celebra quest’anno il
centesimo anniversario della nascita del
pianista e compositore a cui è dedicato,
Alessandro Casagrande, prematuramente scomparso
a soli 42 anni.Un’edizione che, non ancora
iniziata, ha già registrato il primo record,
toccando i 189 iscritti. Di questi, 28 sono i
pianisti selezionati da Filippo Gamba, Carlo
Guaitoli, Alberto Miodini, che
parteciperanno
alle fasi finali del concorso a Terni (tre prove
per pianoforte solo e una finale con l’Orchestra
Sinfonica Abruzzese). 12 le nazioni
rappresentate dai candidati: Cina, Giappone,
Italia, Mongolia, Perù, Regno Unito, Russia,
Slovenia, Spagna, Sud Korea, Ucraina, USA. La
giuria del concorso, chiamata a incoronare il
nuovo talento del pianoforte, sarà costituita da
Enrica Ciccarelli (Italia), Romain Descharmes (Francia),
Carlo Guaitoli (Italia), Yuka Imamine (Giappone),
Piers Lane (Australia), Roland Pöntinen (Svezia),
Jerome Rose (USA). Il concorso è stato
presentato oggi presso il Fazioli Showroom di
Milano, alla presenza di Elena Benucci,
Presidente della Fondazione Casagrande, e Carlo
Guaitoli, direttore artistico del concorso. “La
scorsa edizione, 2018/2019, gli iscritti furono
117 –
commenta Elena Benucci – Il risultato di
quest’anno è decisamente inaspettato,
lusinghiero e crediamo non così usuale nel
panorama dei concorsi internazionali,
soprattutto in tempi di pandemia”. “Il numero
eccezionale delle iscrizioni e il livello
altissimo dei pianisti in questa fase di pre-selezioni
hanno reso particolarmente lunghi e complessi i
lavori della prima giuria
– le fa
eco Carlo Guaitoli – Per questo desidero
ringraziare i colleghi Filippo Gamba e Alberto
Miodini che hanno con me condiviso questo
compito molto delicato e desidero congratularmi
con tutti i concorrenti, tra cui numerosissimi
italiani, che hanno dimostrato uno straordinario
livello artistico e professionale. Tutto mi fa
pensare che sarà un’edizione del
Casagrande estremamente ricca, interessante e
avvincente”. In palio un montepremi totale di
37.000 €. Al vincitore anche concerti presso
prestigiose istituzioni musicali in Italia e
all’estero, tra le quali sono già confermate:
Società dei Concerti di Milano, IUC-Istituzione
Universitaria Concerti di Roma, Fazioli Concert
Hall di Sacile, Gioventù Musicale Italiana,
Associazione Lingotto Musica di Torino,
Orchestra Sinfonica Abruzzese, Associazione
Filarmonica Umbra, Amici della Musica di Foligno,
Teatro Comunale di Carpi, Emilia Romagna
Festival. Anche per l’edizione 2022 Fazioli
Pianoforti è content partner del concorso.
L’azienda, fondata nel 1981 dall’ingegnere e
pianista Paolo Fazioli, nel settore è una vera
icona del made in Italy, caratterizzata da
passione per la musica e competenza scientifica,
abilità artigianale, ricerca tecnologica e
severa selezione dei materiali.
28 aprile dalla redazione
Domenica inizia la 42°
edizione di Musica a Villa Durio
Si apre il 1 Maggio, la
Giornata Internazionale del Jazz, con la 42°
edizione di Musica a Villa Durio,
stagione musicale di Città di Varallo, diretta
da Massimo Giuseppe Bianchi. Il calendario degli
concerti comprenderà per quest’anno un’edizione
primaverile, dal 1 Maggio al 12 Giugno 2022,
quindi una pausa estiva ricca di
appuntamenti
musicali tra i quali il tradizionale Festival
Beethoven organizzato in collaborazione con
Musica con le Ali di Milano. I concerti
riprenderanno nel mese di Settembre per
terminare a Dicembre uno straordinario Concerto
di Natale. Musica classica, Jazz, Musica Antica
e la consueta attenzione ai giovani talenti,
vincitori di prestigiosi premi internazionali,
per proporre al pubblico valsesiano un’offerta
di alta qualità e una visione su quanto di nuovo
accade
nella scena musicale internazionale, un
programma di grande qualità che si distingue per
l'alto livello degli interpreti e per le novità.
Il Primo maggio sarà all’insegna del jazz a l
Palazzo dei Musei con il Trio formato da Lorenzo
Bisogno, sax tenore, Manuel Magrini, pianoforte
e Pietro Paris, contrabbasso. Una formazione
giovane ma dalla forte personalità, all’interno
della quale spicca Lorenzo Bisogno, laureatosi
vincitore del Premio Nuovo IMAIE e del Premio
Massimo Urbani. Domenica 8 Maggio 2022, il
controtenore premiato ai Grammy Awards David
Feldman e Massimo Giuseppe Bianchi, pianoforte,
proporranno un programma di grande fascino
dedicato a opere per voce e pianoforte di Elgar,
Vaughan Williams e Britten. Già ospite della
40esima edizione e del 3° Festival
Beethoven,
David Feldman porta a Varallo l’esperienza
maturata nei teatri europei come solista di
importanti formazioni, tra cui i Vox Luminis con
i quali ha appena concluso una lunga tournée tra
Spagna, Francia, Belgio e Olanda. I biglietti
dei concerti sono acquistabili da subito sul
sito Eventbrite al link https:// bit.ly/MVD42
oppure, come di consueto, prima dei concerti al
prezzo di 10 euro, mentre i bambini e i ragazzi
fino a 12 anni entrano gratis.Sarà possibile
prenotare contattando il numero di Musica a
Villa Durio, 388 255 42 10, anche con messaggio
whatsapp. Per tutte le informazioni è a
disposizione l’email: info@musicavilladurio.it (
Foto dall'ufficio Stampa di Musica a Villa Durio)
26-04-2022
Dalla Redazione
LaFil - la Filarmonica
di Milano al Teatro
Lirico "G.Gaber" per Mendelssohn
Un concerto particolarmente
riuscito quello ascoltato ieri al nuovo Teatro
Lirico "Giorgio Gaber". La Filarmonica di Milano
ovvero LaFil, era impegnata in questi
giorni nel "Progetto Mendelssohn 2022".
Una serie di concerti dove a quello di sabato è
seguito il bellissimo
concerto
del tardo pomeriggio di ieri. La recente
orchestra sinfonica LaFil ha eseguito due brani
particolarmente celebri quali il Concerto per
violino e orchestra in mi minore op 64 e la
Sinfonia in la maggiore n.4 "Italiana",
introdotti dalla Ouverture da Concerto op.26
da "Le Ibridi". Sul podio
l'eccellente giovane Felix Mildenberger ha
diretto la compagine orchestrale che ricordiamo
essere formata da prime parti di formazioni
provvenienti da tutta Europa e da giovani
strumentisti selezionati tra i migliori delle
rispettive nazioni. In anni recenti ,
nel 2018 e nel 2019,
la LaFil ha eseguito brani di Schumann
e di Brahms con la direzione di Daniele Gatti.
Si
rimane stupiti per l'alta qualità espressa dalla
LaFil in tutti e tre i lavori proposti.
Nel celebre concerto mendelssohniano, il solista
ventunenne di Stoccolma, Daniel Lozakovich, ha
espresso con grande sensibilità i tre movimenti
del lavoro terminato dal musicista lipsiano nel
1844 ed interpretato dai maggiori virtuosi al
mondo. Lozakovich, oltre alla straordinaria
tecnica, testimoniata dai numerosi concorsi
internazionali vinti, ha rivelato una notevole
sensibilità sostenuta da un tocco molto
interiorizzato, preciso e sicuro, ricco di
morbidi colori, esternati con ampia escursione
dinamica. Eccellente l'equilibrio sinergico
avuto con la direzione di Mildenberger e con
l'orchestra per un'esecuzione complessiva di
alto profilo. Particolarmente espressivo il
brano solistico dei primi del Novecento concesso come
bis: la Dance Rustique dalla Sonata n.5 di Eugene Ysaye.
Le
qualità orchestrali sono emerse sia nella
Ouverture che nella celebre Sinfonia "Italiana",
quattro movimenti, in quest'ultimo brano,
esternati con raffinata direzione da
Mildenberger, per una espressività giocata su
una morbina esecuzione in calibrati contesti
timbrici restituiti con volumetrie mai eccessive,
ma ben pesate ed equilibrate. Applausi calorosi
al termine di ogni brano dalla numerosissima
platea intervenuta nell'elegante teatro, luogo
ottimale per la musica sinfonica. Da ricordare.
25 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
LE PERCUSSIONI DI SIMONE
RUBINO PROTAGONISTE AL VIOTTIFESTIVAL DI
VERCELLI
Ieri sera, 23/04, per il
ViottiFestival il Teatro Civico di Vercelli ha
spalancato le porte ad un concerto di
straordinario interesse, ma anche di (coraggiosa)
rottura con i programmi che esso abitualmente
propone, legati alla grande tradizione
classico-romantica, Protagonista della serata,
vero e proprio one man show, è stato il
ventinovenne percussionista Simone Rubino,
almeno dal 2014, quando ‘si rivelo’’ con un
primo premio al prestigioso Festival ARD di
Monaco di Baviera, assurto a fama di
percussionista tra i più acclamati della sua
generazione per virtuosismo e qualità esecutive.
Dunque un concerto, quello di ieri sera,
dedicato esclusivamente alla musica per
percussioni, il che vale a dire impaginato sul
predominio
assoluto
della musica contemporanea, avendo le
percussioni acquisito solo dal pieno ‘900, nella
musica c.d. ‘classica’ o ‘colta’ che dir si
voglia,, un ruolo di primo piano, sino a essere
valorizzate addirittura come strumenti solistici,
magari integrati dalla musica elettroacustica, a
creare paesaggi sonori del tutto ignoti alla
civiltà musicale del passato. Il filo conduttore
lungo il quale si è dipanato l’ampio programma
del recital è stata l’estrema varietà dei colori,
dei timbri, dei suoni che il variegato mondo
delle percussioni può offrire all’ascoltatore.
Il concerto ha dunque preso l’avvio con un pezzo
del percussionista-compositore tedesco Peter
Sadlo, uno dei maestri e mentori di Rubino:
“Variations on Fuga C II”, titolo che non siamo
riusciti a decifrare (caso non infrequente nella
musica contemporanea). Si tratta di una
composizione per varie specie di membranofoni,
cioè tamburi. Si comincia dunque col ritmo puro,
scatenato in tutta la varietà delle sue
dinamiche, ma in genere con un’agogica tendente
al massimo della velocità, che subito mette in
evidenza il virtuosismo straordinario di questo
percussionista. Il ritmo sembra comporsi in una
sequenza quasi costantemente ripetuta, con
pressoché impercettibili variazioni, evocando
esperienze minimaliste. Tutt’altro mondo sonoro,
quello realizzato dal successivo “Interzones”,
per vibrafono e nastro magnetico, una delle
opere più celebri dell’americano Bruce Hamilton.
Qui la bravura di Rubino si è manifestata nella
capacità di valorizzare al massimo il suono
peculiare del vibrafono, un suono caldo, ma
variabile in un ampio ventaglio di sfumature,
agendo sia sul particolare congegno elettrico
che dà o toglie profondità al suono, sia sul
pedale di smorzamento che regola la durata della
nota emessa. L’Interzones propostoci da Rubino,
associando sapientemente i vari registri del
vibrafono con lo sfondo sonoro del nastro
magnetico, è risultato un pezzo vario ed
eclettico, in cui momenti di sapore jazzistico,
si alternavano ad altri di più rarefatta e quasi
sospesa atmosfera, al limite dell’incantevole..
A
seguire un pezzo che propone, ancora al
vibrafono, un’esperienza musicale di tipo
completamente diverso, in cui l’esecutore non si
limita a suonare lo strumento, ma lo accompagna
con la sua voce, parlando e cantando i testi di
tre poesie di una poetessa italiana
contemporanea. Si tratta di “Io guardo spesso il
cielo” del compositore Lamberto Curtoni: il
titolo è quello di una delle tre poesie della
brava poetessa Mariangela Gualtieri, divenuta
improvvisamente nota anche al grande pubblico
del nostro Paese in occasione dell’ultimo
Festival di Sanremo, quando Jovanotti ha
recitato una sua poesia. Accompagnandosi al
vibrafono, Rubino recita e canta con un discreto
falsetto i versi della Gualtieri. Il suono del
vibrafono si fa delicato, sensuoso, carico di
sfumature e colori diversi: il tutto evoca, in
modo vagamente straniante, un madrigale
cinquecentesco. Nuova tappa di questo percorso,
un pezzo di quello che senz’altro è il
compositore più noto al pubblico, fra quelli in
programma, anche perché autore di celebri
colonne sonore per film, come “La tigre e il
dragone”. Stiamo naturalmente parlando del
cinese Tan Dun, e il pezzo è “Water Spirit”,
cioè la cadenza del “Water concert” per
percussioni e orchestra. Il concerto di Tan Dun
(1998), una delle composizioni più affascinanti
dell’ultimo quarto di secolo, trasforma il
rumore dell’acqua in ritmo e suono, il ritmo e
il suono profondo della vita. E’ lo stesso
risultato che ottiene Rubino, mettendo ancora
una volta in evidenza le peculiari qualità del
suo virtuosismo. Ovviamente, in primo luogo, un
virtuosismo musicale, cioè la capacità di
ricavare da due bacinelle d’acqua i più vari
ritmi ed effetti sonori, sino a far ‘suonare’
l’acqua, ovvero a rendere significativo il
rumore. Ma a integrare questo virtuosismo
musicale interviene questa volta anche quello
corporeo, la capacità di produrre rumori/suoni e
ritmi col proprio corpo, che diviene così parte
essenziale dell’esperienza musicale, in una vera
e propria performance (nel senso propriamente
artistico del termine) di notevole impatto
sull’ascoltatore-spettatore: il battito dei
piedi, l’effetto sonoro generato dal battersi il
volto con le mani etc., uniti agli effetti
sonori creati con l’acqua (dallo sgocciolio allo
sciacquio) creavano un ritmo che organizzava i
rumori al confine del suono: perfetto Rubino nel
coordinare corpo e materiale sonoro prodotto con
l’elemento liquido. L’integrazione corpo/strumento
della performance non è che il primo passo verso
una vera e propria teatralizzazione
dell’esecuzione musicale: ai confini col teatro
è infatti il pezzo dell’americano Casey
Cangelosi, giovane percussionista compositore,
“the voice of a new generation”, come viene
definito oltreoceano . Il suo brano , proposto
ieri sera è tra i suoi più riusciti: “Bad
Touch”, per percussioni e nastro magnetico.
L’esecuzione si colloca già in un’ambientazione
teatrale: sul palcoscenico cala il buio, che
lascia vedere solo le bacchette illuminate
tenute in mano dall’esecutore, pressoché
invisibile. L’interprete muove le bacchette, ma
non suona, il suo si fa gesto di un attore che
muove nello spazio la bacchetta, accompagnando,
‘recitando’ gli eventi sonori del nastro
magnetico, in un’atmosfera inquietante e
surreale, generata dal mix di suoni elettronici,
frammenti di frasi pronunciate da voci umane
registrate, e schemi ritmico-musicali, il tutto
proveniente da un misterioso mondo di tenebre.
La qualità interpretativa di un brano come
questo, senz’altro il più ‘sperimentale’ della
serata con quello di Tan Dun, si misura sulla
capacità di associare e gestire
contemporaneamente, tutte queste diverse e
frammentarie componenti. E, ancora una volta, ci
pare che Rubino abbia assolto al meglio il suo
compito. Caratteristica immancabile nei
programmi proposti da Rubino è la combinazione
della musica moderna e contemporanea con la
tradizione, naturalmente ‘riletta’ nel
linguaggio delle percussioni. E simbolo quasi
archetipico della tradizione è per Rubino J.S.
Bach, ieri sera presente con la sua gloriosa
Ciaccona dalla Partita n.2 BWV 1004, nella
trascrizione per vibrafono del chitarrista e
compositore argentino Eduardo Eguez. Cosa lega
la sperimentazione più ardita, alle frontiere
del rumore e dell’impulso ritmico allo stato
puro e l’armonia del contrappunto barocco?
Rubino risponde, presentando al pubblico questa
Ciaccona, che proprio la trascrizione di
composizioni del passato, in particolare
dell’età barocca, consente di valorizzare la
dimensione armonica e melodica delle percussioni,
oscurata dall’uso che ne ha fatto la musica
contemporanea, privilegiandone la dimensione
ritmico-percussiva. Ciò vale naturalmente
soprattutto per quegli strumenti dotati di una
potenzialità armonica significativa, e di un
suono, come ad es. il vibrafono. Nonostante la
nostra idiosincratica freddezza per le
trascrizioni, dobbiamo riconoscere che questa
Ciaccona in versione per vibrafono non ci ha
disturbato, anzi, l’abbiamo ascoltata non senza
piacere. Tra l’altro non è una semplice
trascrizione a stretto rigor di termini, perché
la parte ‘reale’, cioè l’originale bachiano, è
stata riservata alla mano destra, mentre per la
sinistra è stato scritto una specie di basso
continuo. A parte la funambolica bravura di
Rubino nel padroneggiare tutte le possibilità
offerte dallo strumento, di cui si è fatto cenno
sopra, è stato decisamente interessante il
colore particolare del suono, un timbro scuro,
ma caldo e smaltato in campiture brillanti, che
trasporta il capolavoro bachiano in un mondo
sonoro certo lontanissimo da quello originario
del violino, eppure non privo di una sua
suggestione, evocatrice di certe atmosfere
barocche virate sul grave e sul funebre. Il
programma del concerto vedeva alla conclusione
le “Asventuras per rullante (cioè tamburo)solo”
del tedesco Aleksej Gerassimov: coetaneo e amico
di Rubino e con lui uno dei giovani
percussionisti di più ardito virtuosismo, nonché
compositore, di oggi. Rubino ha suonato il pezzo
dell’amico come una sorprendente ricerca dei più
diversi colori e suoni di cui è capace la
membrana di un tamburo. Dopo una breve
introduzione affidata alla percussione delle
sole bacchette, Rubino si è avventato sul
rullante investendolo con ritmo frenetico e
vorticoso che, ora con le bacchette, ora con una
spazzola, ora con la nuda mano, ora infine, con
mallet da timpani, esplorando le diverse zone
dello strumento, ne ha ricavato una
straordinaria varietà timbrica, unita ad una
gestione davvero ammirevole, delle dinamiche,
dal pianissimo, ai confini del silenzio, al
fortissimo. Nei momenti di più vertiginosa
rapidità, Rubino ci ha fatto venire in mente ciò
che a suo tempo si diceva di Liszt, cioè che
sapesse suonare il pianoforte…con tre mani. Il
pubblico in sala, meno numeroso del solito (evidentemente
qualcuno, per il quale la storia della musica
finisce con l’anno 1899, si sarà spaventato
leggendo il programma) ha salutato con
entusiasmo questo bellissimo concerto,
spellandosi le mani in fragorosi e prolungati
applausi, ricompensati da Rubino con un bis: un
altro pezzo di Curtoni per vibrafono e voce su
un testo poetico della Gualtieri, bello e
struggente. Serata memorabile, che sommessamente
auspichiamo non resti senza seguito.(Foto di M.Reggreve Uff.Stamapa di Vercelli)
24 aprile 2022 Bruno Busca
Il Triplo Concerto di
Beethoven con
Francesca Dego, Edgar Moreau e Filippo Gorini
Una serata di particolare
interesse quella di ieri sera in Auditorium con
la Sinfonica Verdi e il direttore musicale Claus
Perer Flor. Particolarmente attrattivo il brano
di L.v. Beethoven con il suo Triplo concerto
in Do maggiore per, violino, violoncello e
pianoforte op.56, interpretato
da
tre giovani solisti affermati internazionalmente
quali la violinista Francesca Dego, il
violoncellista Edgar Moreau ed il pianista
Filippo Gorini. Una composizione, quella del
genio tedesco, concepita tra il 1803 e il 1804,
con frangenti di altissima qualità espressiva,
dove il concertato tra i tre solisti
protagonisti raggiunge alte vette espressive.
L'ottima direzione di Flor e l'avvincente
restituzione orchestrale dell'Orchestra Verdi,
ha esaltato gli interventi solistici con un
violino, quello della Dego, perfettamente
integrato con gli altri due strumenti e con
rilevanti interventi solistici; con un
violoncello, quello di Moreau, voluminoso e
melodicamente efficacissimo e con un pianoforte,
quello di
Gorini,
preciso e controllato nella perfetta sincronia
d'intervento. L'unità d'intenti del trio e la
resa complessiva hanno contribuito a rendere il
concerto di alto livello espressivo. Il pubblico
presente ha apprezzato l'esecuzione tributando
al termine calorosi applausi e determinando le
numerose uscite in palcoscenico dei protagonisti.
Bellissimo il bis concesso dai tre virtuosi con
un brano di Schumann dai Pezzi fantastici,
il n.3, Duetto. Il concerto beethoveniano
era stato anticipato da un cameristico lavoro di
Mozart: la Serenata n.10 in Si bem. maggiore
K361 "Gran Partita". Sette movimenti
interpretati molto bene da undici strumenti a
fiato e da
un
contrabbasso, tutti strumentisti della Verdi.
Un'esecuzione accurata, nel tipico stile
d'intrattenimento del genio salisburghese, per
un brano concepito intorno al 1783. Applausi
sostenuti. Questa domenica alle 16.00 la
replica. Prossimo concerto invece per il 28
aprile, con repliche il 29 e il primo maggio. In
programma le ultime tre sinfonie di Mozart. Da
non perdere.
23 aprile 2022 Cesare Guzzardella
Ingrid Fliter diretta
da George Pehlivanian
in Chopin
Il concerto di ieri sera al
Dal Verme con l'Orchestra de I Pomeriggi
musicali ha trovato sul podio il direttore
libanese George Pehlivanian per due brani,
differenti per stile, di due
compositori
legati al mondo francese quali Fryderyc Chopin e
Francis Poulenc. Il grande polacco ottenne la
cittadinanza francese nel 1835 e il secondo,
parigino doc, è certamente uno dei principali
musicisti francesi del '900. Il Concerto n.1
per pianoforte ed orchestra in mi minore op 11
di Chopin, tra i più eseguiti al mondo, è
stato sostenuto al pianoforte da una chopiniana
quale l'argentina Ingrid Fliter. La Fliter nel
lontano 2000 vinse infatti il secondo premio al
Concorso Internazionale "F.Chopin" di Varsavia,
avviandosi ad una brillante carriera
concertistica incentrata soprattutto
sulla
musica di quel grande compositore. Notevole la
disinvoltura della Fliter nell'interpretare i
tre movimenti dell' op.11. Elastica, grintosa,
espressiva e corretta nell'esprimere le
timbriche, dando il giusto peso alle note per
difinire l'adeguato equilibrio complessivo. La
pianista ha trovato un ottimo appoggio dalla
valida direzione di Pehlivanian e dai morbidi
timbri dell' orchestra de I Pomeriggi.
Momento di maggiore intensità espressiva nel
movimento centrale Romanza.Larghetto e
massima estroversione e brillantezza nel
Rondò.Vivace del finale. Applausi sostenuti
e due i bis concessi dalla Fliter con due tra i
più
noti
Valzer di Chopin eseguiti con meditata intensa
espressività. Dopo il breve intervallo la
Sinfonietta FP 141 di Poulenc ha cambiato
completamente il clima musicale. Dal deciso
romanticismo al variegato neoclassicismo, con
questo creativo lavoro ricco di fantasia e di
trovate timbriche, per un brano che si esegue
raramente pur essendo di notevole efficacia
musicale. Di qualità l'interpretazione
ascoltata. Sabato alle ore 17.00 si replica. Da
non perdere.
22 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
SABATO A
VERCELLI: UN PASSO OLTRE- LE PERCUSSIONI DI
SIMONE RUBINO AL TEATRO CIVICO
Senza
innovazione non ci sarebbe la musica. Anche ciò
che oggi è considerato “classico” un tempo è
stato “moderno”, e la sua modernità ha sorpreso,
stimolato, magari scandalizzato ma spinto a fare
un passo avanti. È questo lo spirito di una
delle serate più importanti di questo XXIV
Viotti Festival, quella di sabato 23 aprile,
quando
al Teatro Civico di Vercelli (ore 21, concerto
in abbonamento) sul palcoscenico sarà unico
protagonista il giovane percussionista
– piemontese
di nascita e ora acclamato in tutto il mondo
– Simone
Rubino. Un concerto molto atteso, eppure capace
di andare al di là delle aspettative, questo di
Rubino. Siamo infatti di fronte non a un pur
bravissimo esecutore, ma a un artista completo e
inesauribile, nel quale la tecnica mirabolante
si sposa a una carismatica presenza scenica. Le
percussioni, un tempo semplice complemento
dell'orchestra, giungono nelle sue mani al
centro della scena, creando un “mondo sonoro”
inatteso, pieno di sfumature e incredibilmente
affascinante. Un mondo che, tratto
caratteristico di Rubino, fa dialogare antico e
nuovo spaziando tra le epoche e gli stili.Il
programma del concerto è dunque un vero e
proprio viaggio di scoperta, a partire
dall'evocativa versione per vibrafono della
Ciaccona di J. S. Bach (la cui polifonia in
fondo si presta ad essere espressa con le
percussioni) fino al Water Spirit di Tan Dun,
nel quale Rubino manipola con vari tipi di
microfono i suoni prodotti da ciotole, bottiglie
e altri oggetti immersi in bacinelle piene
d'acqua. Sarebbe già molto, ma c'è ancora di più,
ovvero le opere di veri virtuosi quali Alexej
Gerassimez, Peter Sadlo (già maestro proprio di
Rubino), Bruce Hamilton e Casey Cangelosi (definito
“il Paganini dei percussionisti”), nelle quali
la musica dal vivo si sposa spesso alle tracce
preregistrate e il solista dà vita a una vera e
propria performance teatrale. Teatro che ritorna
in chiusura, con Rubino impegnato non solo con
le mani ma anche con la voce in un'opera
sviluppata con Lamberto Curtoni sugli splendidi
testi della poetessa Mariangela Gualtieri.
21 aprile dalla redazione
Micah McLaurin e
Ludovica
Rana per la Società dei Concerti
Un programma incentrato su
Chopin quello ascoltato ieri sera nel concerto
organizzato dalla Fondazione La Società dei
concerti. Il pianista statunitense Micah
McLaurin, ventottenne di Charleston, e la
violoncellista pugliese Ludovica Rana, hanno
completato l'impaginato ufficiale con tre brani
del genio polacco. Nella prima parte della
serata il solo pianoforte dell'eccentrico
McLaurin ha espresso ad introduzione il
Preludio in do diesis minore op.45
seguito
poi dalla corposa Sonata n.2 in si bem.minore
op.35. McLaurin, - artista impegnato anche
nel mondo pop con rilevante presenza sui
"social", pur avendo una solida formazione
classica- ha rivelato una forte personalità,
interpretando con sicurezza e chiarezza
espressiva le note chopiniane. La celebre Sonata
op.35 è stata eseguita con taglio espressivo
sicuro, valido equilibrio nei quattro movimenti
e adeguata personalizzazione. Il frangente più
coinvolgente è stato probabilmente il terzo
movimento Lento, la nota Marcia
funebre, una sezione importante del lavoro,
dove l'interprete ha esaltato bene le evoluzioni
dinamiche nei momenti più intensi ed
espressivi
con eccellenti crescendo; poi un chiarissimo
conclusivo Finale.Presto, il frangente
più "moderno" della produzione chopiniana. Dopo
il breve intervallo, la rara Sonata in sol
minore op.65 per violoncello e pianoforte ha trovato Ludovica Rana in eccellente equilibrio
con la rilevante parte pianistica di McLaurin.
Per l'occasione McLaurin ha cambiato l'abito di
scena. La coinvolgente discorsività del brano
composto da Chopin nel 1845-46 e dedicato
all'amico cellista Auguste Franchomme, è stato
ben sostenuto nella rilevante componente
melodica della espressiva violoncellista, per
un' integrazione di ottima fattura in tutti i
quattro movimenti. Applausi convinti dal
numeroso pubblico intervenuto in Sala Verdi e
tre i bis concessi: prima un intenso brano di
Bach da una Suite per violoncello solo ben
interpretato dalla Rana, poi il solo pianoforte
di McLaurin con un suo originale e virtuosistico
arrangiamento su temi della pop-star Lady Gaga;
a conclusione il duo in un eccellente
Rachmaninov col celebre Vocalise.
Successo meritato.
21 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
IL MAESTRO P. ORIZIO E GUIDO
RIMONDA CON LA CAMERATA DUCALE A VERCELLI
Il concerto del Viotti
Festival di Vercelli
programmato in un primo tempo per tre settimane
fa, per cause di forza maggiore si è dovuto
rinviare a ieri sera, sabato 16 aprile,
sull’abituale palcoscenico del Teatro Civico, in
un recital che vedeva l’orchestra della Camerata
Ducale per l’occasione diretta dal Maestro
Piercarlo Orizio con Guido Rimonda nelle vesti
di violino solista. Il programma proposto per la
serata è stato davvero un bellissimo uovo di
Pasqua, pieno di graditissime ‘sorprese’, vale a
dire di brani quasi tutti di non frequente
esecuzione, tra i quali uno è stato una vera
chicca, per rarità e interesse, di quelle che
non di rado l’orchestra vercellese offre al suo
devoto pubblico: non l’ultimo dei motivi per cui
si fa tanto apprezzare!. Il concerto si è aperto
e si è chiuso all’insegna di Schubert: il primo
brano impaginato era infatti, dalle “Musiche di
scena per Rosamunde regina di Cipro”,
l’”Entr’acte (cioè una composizione di raccordo
tra una scena e l’altra del testo teatrale) n.3,
in Si bem. maggiore. La
melodia
principale di questo breve pezzo è celeberrima,
resa nota da altre due famose opere in cui
Schubert la riprese: l’Andante del Quartetto in
La min. D. 804 (alquanto liberamente) e
soprattutto quel gioiello che è l’Impromptu
pianistico D.935, ove è ripresa tal quale. Ma
l’Entr’acte dalla Rosamunde, in cui quella
melodia sbocciò per la prima volta come un fiore
miracoloso, non è di frequente esecuzione. La
direzione di Orizio ha restituito questo brano
un po’ misconosciuto’ in tutto l’incanto della
sua freschezza: l’Andantino dell’Entr’acte ,
sotto la bacchetta del direttore bresciano, ha
incantato per la raffinatissima scrittura
orchestrale, colla sua inconfondibile timbrica
schubertiana, fatta di impasti delicati e caldi
affidati al vario gioco degli archi e dei fiati,
ma sempre come velata da una sottile nota di
infinita malinconia, che il Maestro ottiene con
il sapiente chiaroscuro delle dinamiche e lo
stacco adatto dei tempi. Aperta e gustata come
si doveva questa prima sorpresa dell’uovo
pasquale confezionato dalla premiata ditta
Rimonda-Orizio, eccoci subito alla supersorpresa
della serata: un brano di Beethoven, crediamo,
poco conosciuto anche ai più assidui
frequentatori delle sale da concerto, un’opera
fuori del catalogo ‘ufficiale’ delle
composizioni beethoveniane, privo di numero
d’opus e scritta da un ‘protobeethoven’
giovanissimo, ancora a Bonn, intorno al 1790,
prima del gran ‘salto’ in quel di Vienna: si
tratta del “Concerto per violino e orchestra in
Do maggiore” WoO 5, in realtà un ampio frammento,
le circa 250 battute del Primo Tempo in Allegro
di quello che sarebbe dovuto essere il primo
concerto per violino di Beethoven e poi lasciato
incompiuto, in quella sorta di ‘torso’ musicale
che ce ne è rimasto. Esistono di questo pezzo
lasciato bruscamente interrotto registrazioni
discografiche, che lo completano con tanto di
cadenza e coda, ma Orizio e Rimonda hanno fatto
benissimo, a nostro avviso, a eseguirlo così
come ci è effettivamente stato lasciato: nel suo
stato di frammento mutilo, una sorta di
michelangiolesco ‘non finito’. Si tratta di un
brano di notevole interesse, in quanto anticipa
alcune caratteristiche del futuro stile
violinistico maturo del Maestro di Bonn. Questo
Beethoven ancor ventenne è già chiaramente al di
là di Mozart: se ne è staccato per una
concezione più monumentalmente sinfonica del
concerto, per una superiore ricchezza e varietà
nell’armonia e soprattutto per una energia e
ricchezza di virtuosismo nel trattamento del
violino, quasi invadente nella sua esuberanza.
Oseremmo dire che in alcuni momenti, più che
Mozart Beethoven tenga presente il nostro Viotti,
considerandolo, a quel tempo, modello più ‘moderno’
e attuale di quello del cigno salisburghese.
Possiamo dunque dire che Rimonda, oggi il più
autorevole interprete e studioso di Viotti, non
solo in Italia, abbia ‘giocato in casa’
nell’eseguire questo brano di Beethoven:
eccellente nell’esecuzione tanto dei momenti più
cantabili, quanto in quelli di più intensa
assertività, con la solita olimpica sicurezza
nel dominio delle parti più improntate al
virtuosismo, Rimonda svariava anche su una
tavolozza di colori ampia e cangiante,
dall’intenso lirismo realizzato con una cavata
calda e morbida, a una più cupa e fremente
energia cui davano voce adeguata i registri più
gravi del suo ‘Noir’. In questo abbozzo di
concerto, l’orchestra si integra col violino in
un costante dialogo, gestito al meglio dalla
Camerata Ducale sotto la guida inappuntabile di
Orizio. Il terzo uscito dall’uovo di Pasqua
offerto ieri sera al pubblico vercellese, un
pezzo ‘minore’ e perciò anch’esso non molto
frequentato di P.I. Ciajkovskij: la Sérénade
mélancolique op.26, brano concertante per
violino e orchestra.
Non
fa certo gridare al capolavoro, ma è senz’altro
un’opera di piacevole ascolto, in cui lo
strumento solista svolge un ruolo essenziale per
conferire all’insieme un tono di soffusa e
pacata cantabilità. Il dialogo tra orchestra e
solista tocca il suo punto più alto proprio in
apertura di pezzo, quando all’introduzione
orchestrale breve, di colore livido e gravido di
inquietudine, con forte presenza degli archi
gravi, segue la voce del violino, appena scurita,
che attacca un canto di, appunto, malinconica
elegia, il tema principale del breve brano:
Rimonda sa far cantare meravigliosamente il suo
strumento, dando al suono dolcezza e cullante
mestizia. Poi, come uno scatto improvviso, dalle
quattro corde spicca il volo un secondo canto,
diverso, più luminoso, che quando viene ripreso
successivamente coi suoi trilli sembra evocare
il libero volo di un fragile uccello, che pare
voler fuggire l’ostinato ripetersi, ad opera
dell’orchestra, del malinconico tema principale,
con cui si conclude mestamente la Sérénade:
bravissimi, ancora una volta Rimonda e Orizio
nel dare voce e colore a questo intrecciarsi di
stati d’animo, di sentimenti, trovando sempre
l’intensità di suono, il timbro, i tempi e le
dinamiche adeguate. Un po’ più noto è il quarto
pezzo in programma, l’Ave Maria di Bruch, in
realtà, ieri sera, presentata come la
trascrizione di una trascrizione. L’Ave Maria
nasce come trascrizione per violoncello e
orchestra, ad opera dello stesso Bruch, della
c.d. ‘Scena della preghiera’ dal suo oratorio
“La croce di fuoco”. Ieri sera ne abbiamo
ascoltato la trascrizione per violino e
orchestra. L’Ave Maria di Bruch è un colloquio
dell’anima col divino espresso con il suono in
luogo della voce. Dopo l’introduzione
orchestrale che prepara con il suo ritmo grave e
solenne il momento sacro, ecco la voce del
violino che dopo una prima sezione, un cantabile
pacato e di sonorità densa, suonata benissimo da
Rimonda, che esprime una volontà di pace dello
spirito, si fa inquieta e agitata, quasi
drammatico anelito al cielo e alla salvezza, che
il violino esprime con improvvisi movimenti di
rapide scale discendenti e ascendenti, di tempi
rapidissimi e sovracuti. Il ritorno alla prima
sezione della preghiera, in cui l’orecchio
coglie benissimo l’illuminarsi del passaggio dal
minore al maggiore, non è però totalmente privo
di inquietudine, come suggerisce un brusco
passaggio di ottave nel violino e una
martellante serie di accordi ribattuti del “tutto”
orchestrale, prima che la preghiera si plachi
finalmente nel suo esito rasserenante. Ancora
una volta, eccellenti Rimonda e Orizio
nell’intesa solista-orchestra, nella scelta dei
tempi e nei risultati raggiunti nella ricerca
dei colori e delle dinamiche. A confermare
l’impressione che la musica da film si sia ormai
conquistata un suo posto nei recital di musica ‘classica’,
sta il bis concesso da Rimonda e Orizio: un
brano da una delle più note colonne sonore mai
scritte, tanto da avere un suo titolo,
indipendente da quello della pellicola per cui
fu composta: “Smile”, scritta da Charlie Chaplin
nel 1936 per il suo film “La vita è bella”. In
chiusura un’opera di immensa celebrità, uno dei
capolavori assoluti di Schubert, la Sinfonia n.8
in si min. universalmente nota come l’Incompiuta.
E’ stato giustamente osservato più volte, come
l’Incompiuta segni l’approdo di Schubert, nel
genere della sinfonia, ad una completa maturità,
emancipata con grande originalità da qualsiasi
modello, a partire da quello beethoveniano.
Eppure, qualcosa dell’empito eroico
beethoveniano, e qualcosa anche di quella
grandiosa unità che caratterizza la Quinta di
Beethoven, ci pare di riconoscerle, sia pur
riespresse con tutt’altro stile compositivo, in
questa creazione schubertiana, tra le più
perfette che la storia della musica conosca.
Diciamo questo perché l’interpretazione di
Orizio, bellissima, ci è parsa valorizzare
precisamente uno Schubert, che, in particolare
nel primo tempo, per drammaticità ed
inquietudine e per trascinante energia eroica,
specie nello sviluppo e nella coda, non sarebbe
neppur pensabile senza l’esperienza
beethoveniana. Quello che più si ammira nella
direzione di Orizio è la cura precisa del
dettaglio timbrico: nessuna voce strumentale è
mai oscurata dal possente magma sonoro del primo
tempo, tutti gli strumenti sono fatti suonare
magnificamente, dai violoncelli e poi violini
che con sfumata malinconia espongono il secondo
tema, come il ricordo lontano di una danza, al
trasognato impasto dei legni cui è affidato il
motivo precedente, agli ottoni, in particolare
ai tre tromboni che nello sviluppo hanno
addirittura parti melodiche. Sempre valida la
scelta delle dinamiche, raffinata nel conferire
il ‘respiro’ giusto all’andamento discendente
che caratterizza tutti i principali temi e
motivi di questa parte dell’Incompiuta. La
bacchetta di Orizio evoca nel secondo tempo, con
altrettanta bravura, l’atmosfera di mesta
rassegnazione che lo impronta: sotto la
bacchetta del Maestro bresciano il suono dei
vari strumenti si fa più leggero, al limite
dell’arabesco, come quella distesa melodia,
prima al clarinetto, poi all’oboe che è il
secondo tema, o l’indimenticabile pianissimo su
cui si spegne il tempo e la sinfonia. Esecuzione
tra le più belle da noi ascoltate negli ultimi
anni di questa meraviglia musicale, degna
conclusione di una serata musicale di grande
qualità, che ha meritato i lunghi applausi del
numeroso pubblico in sala.
17 aprile 2022 Bruno Busca
Presentato alla Scala il
nuovo libro di Francesco Maria Colombo:
L'Aristocratico di Leningrado
L'Aristocratico di Leningrado
- Viaggi tra musica, arte, cinema, letteratura,
fotografia e cocktail, il nuovo libro di
Francesco Maria Colombo è stato presentato al
Ridotto Arturo
Toscanini
del Teatro alla Scala. Colombo è direttore
d'orchestra, giornalista, fotografo, romanziere,
esperto di cocktail e con infiniti altri
interessi. Ha parlato della sua nuova opera
letteraria, in questo speciale tardo pomeriggio
promosso dagli Amici della Scala e dalla casa
editrice Ponte alle Grazie,
insieme
al compositore Filippo del Corno e al musicologo
Emilio Sala. La nota diffusa in rete dice questo
"Questo libro racconta di arte e di artisti:
è la risposta più semplice a chi si chiedesse
cosa troverà in queste pagine. Più precisamente
potremmo parlare, con la terminologia di Walter
Benjamin, di una passeggiata tra costellazioni.
Le stelle sono le arti, gli artisti e le loro
creature; e a mostrarci le costellazioni che li
uniscono, tra un segreto svelato e un gioco del
caso, è l’autore: che ci guida a fare, con i
nostri occhi e le nostre orecchie, le sue stesse
scoperte. Billy Wilder e il Tristano, Rodenbach
e Vertigo di Hitchcock, Karajan e Brigitte
Bardot,
Šostakovič e Truffaut, Nabokov e Brassens: che
cosa li collega? Mentre osserviamo una nuova
costellazione ci sembra di sentire quella musica,
di leggere quelle pagine, di guardare quel film,
di ricordare quella fotografia. Non di rado, la
notte delle costellazioni si rovescia in un
sottosuolo doloroso. Ma intanto sotto quel cielo
abbiamo passeggiato, in buona compagnia".
14 aprile 2022
C.G.
ll pianista Seleem
Ashkar per la Società
dei Concerti
Il pianista israeliano Seleem
Ashkar ha finalmente potuto riprendere i
concerti milanesi dopo i continui rimandi degli
scorsi anni per motivi legati alla pandemia.
Ieri sera, in Conservatorio,
nella
riuscita serata organizzata dalla Società dei
Concerti, ha impaginato un programma
incentrato su Beethoven con due sue corpose
sonate, ma con anche due brani romantici di
Chopin e di Brahms: la Ballata n.3 op.47
del primo e le Due Rapsodie op.79 del
secondo. Il Beethoven di Ashkar è certamente di
ottima fattura: energico, estremamente
equilibrato nella stesura dei movimenti, e
completamente interiorizzato per una
restituzione di alto profilo tecnico-espressivo.
Sia la Sonata in do maggiore op.2 n.3,
eseguita all'inizio della serata, che la celebre
"Appassionata", in fa minore op.57,
terminante il programma ufficiale, hanno trovato
un interprete determinato nella fluente
discorsività di lavori tra i suoi favoriti e nei
quali eccelle. Bene anche i brani degli altri
due
compositori.
Probabilmente meglio la risoluta espressività di
Brahms con le architetture ben delineate delle
due ampie Rapsodie, entrambe con deciso taglio
esecutivo ricco d'intensità, rispetto uno Chopin
che, se pur ben delineato nella sua esposizione,
non ha trovato quel gusto tipico dei grandi
interpreti storicizzati o viventi, soprattutto
ma non solo polacchi. Ottimo il bis concesso con
il celebre Träumerei di Robert Schumann,
settimo brano dalle Kinderszenen Op.15. Applausi
calorosi del pubblico presente in Sala Verdi
ampiamente meritati.
14 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
Danilo Rea e Ramin Bahrami al
Teatro Parenti per FRO
Un concerto particolare
quello di ieri sera al Teatro Parenti. Due noti
musicisti, il pianista classico Ramin Bahrami e
quello jazz Danilo Rea, hanno trovato un punto
d'unione nel nome di J.S.Bach. Conosciamo il
Bach di Bahrami, un ottimo interprete che ha
fatto del grande
genio tedesco una ragione di
vita nella costante interpretazione delle sue
immense opere. Danilo Rea è tra i più affermati
jazzisti italiani con studi musicali classici e
con indubbie capacità d'improvvisazione. È
proprio sulla componente dell'improvvisazione
che è nato "Bach is in the air", uno
spettacolo dove i più celebri brani di Bach, a
partire dalla celebre Aria dalle
Variazioni Goldberg, sono eseguiti
classicamente, come da spartito da Bahrami, e
hanno trovano varianti con spunti jazzistici
nelle mani di Rea. Il risultato , che potrebbe
far rimanere basiti i puristi di Bach, trova
invece una resa estetica interessante dal punto
di vista della creatività musicale, con
frangenti di particolare luminosità.
L'impaginato dopo l'introduzione dell'Aria,
prevedeva brani
tra i più celebri del grande
tedesco, come il Preludio iniziale dal
Clavicembalo ben Temperato, l'Aria sulla
quarta corda, la nota Siciliana e
moltissimi altri. Le varianti melodiche e
armoniche estemporanee di Rea, o l'inserimento
improvviso di brevissimi spezzoni di melodie
molto popolari - c'era anche Gershwin con
Summertime- hanno spesso stravolto l'integrità
bachiana per un Bach-Rea a volte di luminosa
leggerezza, a volte di brutale integrazione,
comunque interessante nella proposta complessiva.
Il numeroso pubblico presente in teatro ha molto
apprezzato l'originale proposta dei due pianisti
in una serata ben organizzata introdotta e
animata da Max Laudadio a favore di FRO -
Federazione radioterapia oncologica- , da oltre
trent'anni vicina ai pazienti oncologici ( www.fro.care
). Sul palco anche il prof.lorenzo Livi, punto
di riferimento per la Radioterapia Oncologica e
altri ospiti che hanno sostenuto l'attività di
FRO. Chi volesse sostenere FRO può fare un
versamento su IBAN IT 29 O
0892270372000000413411 o per il 5x1000 al C.F.
94023880480
13 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
Luisa Sello e Le Agane al
Museo del Novecento
Continuano i pomeriggi
musicali organizzati al Museo del Novecento
milanese. In Sala Fontana alle ore 17.00, un
interessantissimo concerto con un gruppo di sei
flautiste, quelle di
Luisa Sello e de Le
Agane, hanno interpretato brani di nove
musicisti. Ma non è un concerto di soli brani
quello cui abbiamo assistito: è un lavoro di
teatro e danza, dove la musica ha certamente un
ruolo essenziale, ma trova una logica unitaria
d'insieme con tutte le componenti artistiche
presenti, a cominciare dal racconto sulle Agane.
Sono personaggi mitologici particolarmente noti
in Carnia, come spiriti dei corsi d'acqua, che a
volte si trasformano in fate o in streghe. Sono
state raccontate da Luisa Sello, nota flautista
internazionale e ideatrice del riuscito
spettacolo. Rendono ancor più accattivante la
messinscena le coreografie, con passi di danza
sostenute
dalle sei flautiste e ideate da una di
esse - Ilaria Prelaz-, e i costumi, cinque neri e
uno blu- quello della Sello- , spesso integrati
con vivaci foulard e con colorate maschere.
Flauti, flauti in sol, ottavino, flauti basso,
hanno suonato insieme o in alternanza, fermi o
in movimento, unendo brani contemporanei, ricchi
di effetti coloristici, ad altri più "classici"
dal sapore antico. Si sono succeduti brani di
Berthomieu, Baratello, Bichof, Clark, Corazza,
Piazzolla, Selby, Zanettovich e uno della stessa
Luisa Sello denominato Echi. Esecuzioni
raffinate, da perte delle protagoniste, che
hanno rivelato un alto livello tecnico
interpretativo,
sia individualmente che
coralmente. La Sello, a conclusione del
pomeriggio musicale, ha voluto presentare le più
giovani compagne d'avventura, Le Agane
nei nomi di Sara Brumat, Veronica Bortot,
Ksenija Franeta, Tijana Krulj, Ilaria Prelaz.
Due i bis concessi con uno struggente "Il
signore delle cime" di Giuseppe De Marzi e
il celebre Libertango di Astor Piazzolla,
ben arrangiato per sei flauti. Fragorosi
applausi al termine per uno spettacolo
particolarmente originale e certamente di
qualità.
13 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
PROSSIMAMENTE GRANDE SOIRÉE
AL CIVICO: GUIDO RIMONDA DIRETTO DA PIER CARLO
ORIZIO
Sabato 16 aprile 2022 al
Teatro Civico di Vercelli , Via Monte di Pietà
15, ore 21 Guido Rimonda al violino e Pier Carlo
Orizio alla direzione dell' Orchestra Camerata
Ducale eseguiranno musiche di F. Schubert , L.
van Beethoven, P. I. Čajkovskij
e M. Bruch Certe volte
vale la pena
aspettare. Esempio ideale è l'appuntamento che
il XXIV Viotti Festival, aveva in programma per
lo scorso 26 marzo e che purtroppo è stato
rinviato a sabato 16 aprile, sempre al Teatro
Civico di Vercelli. Ne è valsa la pena, si è
detto, perché protagonisti saranno Guido Rimonda,
ovvero il solista residente e fondatore del
Festival, un direttore d'orchestra d'eccezione
come Pier Carlo Orizio e, naturalmente,
l'Orchestra Camerata Ducale, “colonna” della
rassegna concertistica vercellese. La serata
sarà aperta e chiusa da Schubert: allo splendido
ma poco eseguito terzo Entr'acte da Rosamunde “risponderà”
idealmente la celebrata Incompiuta, vero
manifesto della poetica schubertiana il cui
finale mai scritto si dice confluì proprio in un
altro brano di Rosamunde, in un intreccio il cui
mistero forse non sarà mai chiarito. Tra queste
due ammalianti pagine, il pubblico potrà
scoprire il fascino di un'altra opera incompiuta,
ossia il Concerto WoO 5 di Beethoven, ma anche
lo struggente lirismo della Sérénade
Mélancolique di Čajkovskij e la sospesa
perfezione dell'Ave Maria di Bruch, della quale
l'autore fu tanto
soddisfatto da separarla dalla composizione di
cui faceva parte – La croce di fuoco – e
pubblicarla come pagina autonoma.
All'ascolto, una scelta che si rivela quanto mai
condivisibile. (Foto Orizio da Ufficio Stampa di Vercelli)
13 aprile Dalla
redazione
DA VIVALDI A
MORRICONE AL
VIOTTI FESTIVAL DI VERCELLI
Ieri sera, Sabato 9 aprile,
il nuovo appuntamento al Teatro Civico di
Vercelli con il Viotti Festival, organizzato
dalla Camerata Ducale, prevedeva un recital
cameristico, con un duo violoncello-pianoforte
formato da due strumentisti francesi di ormai
consolidata fama internazionale: il giovane
violoncellista (26 anni) Edgar Moreau, vincitore,
tra l’altro di un prestigioso premio Rostropovic
e il pianista David Kadouch, che a soli tredici
anni suonava già al Metropolitan di New York. Il
programma impaginato per l’occasione si
caratterizzava per la varietà stilistica,
cronologica e di ‘genere’ delle composizioni
proposte: da due sonate barocche, una di
Vivaldi, la n. 5 in Mi minore delle 6 dell’op.
14 RV 40, e una di Benedetto Marcello, la n.1
op.2 in Fa maggiore, proseguendo con la Suite
italienne n.1 di Stravinsky ( eseguita però come
seconda composizione della serata) che il
compositore russo-americano trasse nel 1932 dai
brani più famosi del balletto Pulcinella,
trascrivendoli per violoncello e pianoforte e
per concludere con Paganini, di cui si è
eseguita la famosa “Sonata a preghiera” vale a
dire l’Introduzione e Variazioni sulla quarta
corda in Fa minore sul tema ‘Dal tuo
stellato
soglio’ dal Mosé di Rossini, concepita
originariamente per violino solo e orchestra da
camera, ma che poi, dato il successo, ha avuto
diverse trascrizioni, tra cui quella per
violoncello e pianoforte ascoltata ieri sera.
Tra Stravinsky e Paganini Moreau e Kadouch hanno
inserito la versione per violoncello e
pianoforte di brani di tre delle più celebri
musiche da film composte da Ennio Morricone:
quelle per i film “C’era una volta il West”,
“Mission” e “Nuovo cinema Paradiso”. Ci pare
evidente l’idea di musica che ispira un tale
programma, un’idea che ha dominato per quasi due
millenni la musica occidentale profana, cioè
quella di una musica concepita come
intrattenimento, nel senso più nobile del
termine, sia come piacevole appagamento
dell’udito, gradevole flusso di sensazioni
sonore, grazie ad una forma elegante e di
gradevole e raffinata melodiosità e armonia, sia
come esibizione delle capacità virtuosistiche
dell’esecutore. Un’idea di musica che,
intendiamoci, non viene meno con la rivoluzione
romantica che attribuisce alla musica un
significato totalmente nuovo e di abissale
profondità nella vita spirituale dell’uomo, anzi
può affiorare ancora in pieno ‘900, ad es. in
alcuni momenti del neoclassicismo stravinskiano
del “Pulcinella”, che nasce proprio
dall’incantata riscoperta di quel mondo sonoro
di dolce eleganza della musica settecentesca
italiana di Pergolesi (o presunto tale). Insomma,
per citare le parole di Busoni, riportate nel
programma di sala, “Non sentimento o metafisica,
ma musica al cento per cento”. In tale quadro
può rientrare più che legittimamente la musica
da film, destinata ad accompagnare le immagini e
il racconto del genere di spettacolo
d’intrattenimento più tipico della modernità, il
cinema. E i due interpreti hanno perfettamente
dato voce a questa musica “al cento per cento”,
entrambi, ciascuno col proprio strumento,
distinguendosi per un suono di trasparente e
soave leggerezza, per una limpida dolcezza della
cavata melodica, per un suono, insomma
tipicamente ‘francese’, nella sua luminosa
chiarezza. Il ruolo di primo piano della serata
è naturalmente toccato a Moreau. Moreau è un
violoncellista di notevole spessore
interpretativo, capace di dare voce a mondi
sonori molto diversi tra loro: molto bella
l’interpretazione delle sonate ‘da chiesa’ (cioè
con lo schema di successione dei tempi Lento,
Allegro, Lento, Allegro) di Vivaldi e Marcello,
in cui la morbida e delicata cavata del giovane
Maestro francese ha saputo dare pienamente voce,
specie nei due tempi lenti, a quel carattere ‘amorevole
e lamentevole’, che secondo il compositore
secentesco Charpentier sarebbe proprio della
tonalità di mi minore (Vivaldi), ma vale anche
per la composizione di Marcello: un patetismo
tenuto sempre nei limiti di una impeccabile
eleganza formale, con un archetto che stacca le
note, sia nei legati, sia nei balzati, con
ottimo controllo delle dinamiche e un’arcata
melodica di rara fluidità. La duttilità
interpretativa di Moreau appare poi evidente
nella Suite di Stravinsky, dove quell’
ispirazione un po’ grottesca e spiritosa, da
opera buffa, che circola nella Serenata e nel
Finale, trova la sua adeguata espressione nei
pizzicati e nei passaggi rapidi sui registri
bassi, gestiti con notevole abilità, e controllo
efficace dei vari passaggi agogici nel dialogo
con il pianoforte. Infine, con la “Sonata a
preghiera” paganiniana, è emerso in tutta la sua
bravura il Moreau virtuoso, già nella terza
proposta del tema con un ampio ricorso agli
armonici e soprattutto nelle tre variazioni e
nel finale, con una diteggiatura acrobatica su
tempi rapidissimi, salti vertiginosi di ottava e
sovracuti che s’innalzavano ai limiti del
silenzio. Pur svolgendo inevitabilmente un ruolo
non protagonistico, il Kadouch che abbiamo
ascoltato ieri sera ci ha fatto venir voglia di
ascoltarlo da solista: stacca un suono che
unisce perentoria energia e dolce fluidità,
dando alle note, di volta in volta, una delicata
velatura di trasognata malinconia (Vivaldi e
Marcello, il tema della Suite stravinkyana) o la
nettezza allegra del ritmo puntato di una marcia
(il Tempo di marcia, appunto, delle Variazioni
rossiniane di Paganini).E’ stato un ‘partner’
ideale per Moreau, con cui ha mostrato perfetta
intesa. Un breve discorso a parte va riservato
alla presentazione dei brani di Morricone:
niente da ridire sul fatto che la musica da film
entri nelle sale da concerto della c.d. ‘musica
classica’,; del resto avviene ovunque e sempre
più spesso. Semmai ci sarebbe da domandarsi
perché, per quanto ne sappiamo per esperienza
personale, la musica da film sia solo quella di
Morricone e tutt’al più di Rota, quando il ‘900
ci ha regalato tanta altra splendida musica da
film, da Prokofiev a Korngold a Jolivet, tanto
per citare i primi nomi di una folta schiera che
ci vengono in mente. Ma il problema, per quanto
riguarda il recital di ieri sera, non è certo
questo, ma il modo in cui è stata presentata la
musica di Morricone, ovvero in una trascrizione
(ignoriamo se dei due interpreti o di chi altro)
per violoncello e pianoforte. La musica da film,
nella grande maggioranza dei casi e in
particolare nel caso di Morricone, è concepita
per orchestra, vive di effetti orchestrali, il
suo respiro è orchestrale. La suggestione che
emana dalla colonna sonora di “C’era una volta
il West” nasce dalle sempre efficaci e
splendidamente variopinte scelte timbriche di
quel grande allievo di Petrassi che fu Morricone.
Tutto questo mondo sonoro va fatalmente
perdendosi completamente in una trascrizione per
violoncello e pianoforte, fino a rendere quasi
noiosa una musica così coinvolgente quando è
eseguita nella sua veste originale. A parte
questo rilievo, è stato un bel concerto,
applaudito a lungo da un pubblico accorso
numeroso come sempre. Per dovere di cronaca, va
detto che Moreau e Kadouch hanno regalato al
pubblico due bis, che hanno presentato in
inglese, ma di cui non abbiamo capito, né
riconosciuto gli autori. Ce ne scusiamo con gli
eventuali lettori.
10 aprile 2022 Bruno Busca
La Sinfonica Verdi diretta
da Maxime Pascal per
Colasanti, Weill e Bartòk
Tre compositori tra '900 e
contemporaneo sono stati proposti dall'Orchestra
Sinfonica di Milano "G.Verdi", per
l'occasione diretta da Maxime Pascal. Tre brani
che hanno in comune la lontananza dal mondo
romantico e la modernità del nuovo linguaggio
musicale iniziata nel primo decennio del 1900.
Il brano di K.Weill, il Concerto per violino
e orchestra a fiati Op.12 è del 1924, quello
di B.Bartok, Musica per strumenti a corde, a
percussioni e celesta del 1936 e quello
contemporaneo di Silvia Colasanti, Cede
pietati, dolor - Le anime di Medea per orchestra
del 2007. Il primo eseguito in Auditorium
ieri sera, è stato quello della
compositrice
romana. Un lavoro particolarmente espressivo con
un impatto orchestrale ben marcato sin dalle
prime battutte, e una situazione di suggestiva
resa emotiva per le nette e risolute timbriche,
spesso taglienti e ricche di contrasti. In
linguaggio tonale, costruito su linee melodiche
di pochissime note, il brano ispirato dai versi
di Medea di Seneca, ha ancora una volta messo in
rilievo le abilità costruttive della Colasanti,
una tra le più affermate ed eseguite
compositrici italiane e internazionali viventi.
Il successivo brano del sassone Kurt Weill, ha
trovato come protagonista la violinista moldava
Patricia Kopatchinskaja, un'interprete nota
internazionalmente
per
le sue qualità virtuosistiche, soprattutto nel
repertorio novecentesco e contemporaneo, e per
la sua eccentricità che la vede affermarsi anche
gestualmente in modo intelligente, sottolineando
anche mimicamente peculiarità timbriche dei
brani eseguiti. Il concerto di Weill, di rara
esecuzione, è particolarmente interessante per
l'approccio coloristico dell'orchestra a fiati,
il suo utilizzo cameristico con fondamentali
interventi solistici che si sommano o si
alternano al protagonista violino solista
dell'eccellente Kopatchinskaja. I tre ampi
movimenti del corposo lavoro, hanno lo stile
tipico tra espressionismo e Gebrauchsmusik ("musica
d'uso") che ha caratterizzato in parte la musica
tedesca di quegli anni con compositori come
appunto Weill e ancor più Paul Hindemith.
L'influenza del cabaret di Bertolt Brecth si
riscontra in lontananza anche in questo lavoro
di Weill con i pregnanti timbri
dei
fiati e gli interventi del violino aiutati dalla
sorprendente gestualità della solista. Ottima,
come nel precedente brano, la direzione del
giovane direttore francese Maxim Pascal, esperto
nel repertorio contemporaneo e del Novecento.
Divertente il bis concesso dalla Kopatchinskaja:
un suo brano per violino e clarinetto dove ha
coinvolto, nel gioco di relazioni timbriche, il
bravissimo Fausto Ghiazza, primo clarinetto
della Sinfonica Verdi. L'ultimo lavoro di Barto ķ,
il brano più celebre, ha
visto ancora un'eccellente direzione e una
ottima resa espressiva in tutte le sezioni
dell'Orchestra Verdi. Applausi del pubblico
intervenuto e replica da non perdere per
domenica alle ore 16.00.
9 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
La violoncellista Julia
Hagen ai Pomeriggi
Musicali
Il concerto de I Pomeriggi
Musicali diretti da James Feddeck prevedeva
tre lavori, il primo di un compositore vivente,
Andrea Melis, classe 1979, era una prima
esecuzione assoluta.
 Composto
per l'Orchestra de I Pomeriggi Musicali,
Visio Maragdina - Quasi una Passacaglia è un
lavoro di circa dieci minuti di durata, dal
carattere riflessivo, sostenuto da note lunghe
che trovano inizialmente la sezione degli archi
più gravi ad enunciare una pacata melodia poi
appoggiata, ripetuta e ampliata delle altre
sezioni dell'orchestra. Una musica d'atmosfera,
in ambito tonale con una coralità che penetra
con facile assimilazione al primo ascolto. Il
brano, ben costruito, è stato apprezzato dal
pubblico che ha tributato applausi anche al
compositore salito sul palcoscenico. Il secondo
brano era probabilmente il più atteso per la
presenza di una giovane solista al violoncello.
Julia Hagen, è un'emergente cellista
ventisettenne nata a Salisburgo. Si è impegnata
nel bellissimo Concerto
per
violoncello e orchestra n.1 in do maggiore
di F.J.Haydn, un lavoro classico di
straordinaria qualità sia nei movimenti laterali,
il Moderato e l'Allegro molto
finale, sia nella riuscita e pregnante melodia
dell'Adagio centrale. La Hagen ha
espresso con rigore tecnico, ma soprattutto con
elegante espressività, le melodie haydniane
dimostrando un ottimo tocco e una profonda
discorsività nell'esprimere i fraseggi col suo
voluminoso strumento. Splendida l'esecuzione.
Dopo l'intervallo, valida l'interpretazione
della celebre Sinfonia n.3 op.55 "Eroica"
di L v.Beethoven, diretta con piglio energico da
Feddeck per una resa ancor più di valore nell'Allegro
molto. Finale. Fragorosi applausi al termine.
Sabato alle 17.00 si replica. Da non perdere.
8 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
Il Concerto De' Cavalieri e
Vivica Genaux in
Conservatorio
Un' eccellente serata musicale
quella ascoltata ieri sera in Conservatorio ed
organizzata dalla Fondazione La Società dei
Concerti. Il gruppo orchestrale
"Concerto De' Cavalieri ",
diretto da Marcello Di Lisa, è tra le formazioni
barocche più apprezzate in Italia e
internazionalmente.
L'ottimo
impaginato prevedeva brani di Corelli, Händel,
Vivaldi, Hasse, Porpora e Brioschi/Hasse. Alcuni
con l'ausilio dello splendido mezzo-soprano
Vivica Genaux. Il Concerto grosso op.6 n.4
di Arcangelo Corelli, due Concerti di
Vivaldi, tra cui quello per Due violini e
archi op.3 n.5 insieme all'Ouverture
da Rinaldo di Händel hanno ben individuato
l'alta cifra espressiva della formazione
cameristica giocata su una raffinata capacità
coloristica prodotta da tutti i bravissimi
strumentisti. In alternanza con i concerti, le
Arie cantate dalla Genaux sono state
Cara sposa dal Rinando di Händel, Son
qual misera colomba dal Cleofide di J.A.
Hasse, Alto Giove
dal Polifemo di
N.Porpora, Lascia che io pianga ancora
dal Rinaldo e Son qual nave da Artaserse
di Brioschi/Hasse. Tutte hanno fatto emergere la
deliziosa vocalità della statunitense Vivica
Genaux. Una voce dove la perfezione tecnica e
l'agilità sono unite ad un bellezza evidente del
suo timbro e ad una discorsività appassionante.
Applausi fragorosi al termine del programma
ufficiale e un bis altrettanto valido con ancora
Antonio Vivaldi e la sua splendida aria
Agitata da due venti dall'opera Griselda.
7 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
Pierre-Laurent Aimard
per un Bach esemplare
Uno dei più importanti
interpreti di musica del '900 e contemporanea,
ha portato in Conservatorio, in una serata
organizzata dalla Società del Quartetto,
la musica di Johann Sebastian Bach. L'impaginato
prevedeva l'esecuzione completa del Libro
Secondo BWV 870-893 del Clavicembalo ben
temperato, monumento musicale del genio
tedesco, che oltre ad
avere
uno scopo didattico, essendo universalmente
eseguito dagli studenti di Conservatorio,
rappresenta una delle più alte opere di Bach. I
ventiquattro Preludi con le relative Fughe -
oltre due ore la durata complessiva d'esecuzione
- sono stati equamente distribuiti in due parti,
separate dal breve intervallo. Pierre-Laurent
Aimard, francese, classe 1957, non ha bisogno
certo di presentazioni, essendo tra i massimi
specialisti al mondo di Stockhausen, Ligeti,
Benjamin, Boulez, e di molti altri grandi nomi
riferibili al Secondo Novecento e prima di loro
anche di Messiaen. Il fatto che oggi porti nelle
sale da concerto la musica di Bach dimostra la
molteplicità degli interessi di un pianista che
da giovanissimo, a meno di vent'anni, divenne il
solista della parigina Ensemble
Intercontemporain. Come interprete bachiano ci
ha stupito.
Con
una mirabile tenuta tecnico- espressiva ha
elargito un'interpretazione di altissimo livello
in tutti i ventiquattro brani, considerando il
Preludio e la Fuga come elemento unitario.
Stupisce la capacità di Aimard di modulare il
linguaggio stilistico e l'espressività in
ciascuno dei ventiquattro numeri, creando una
varietà incredibile di possibilità d'approccio e
rendendo sempre nuovo l'evento sonoro. Splendidi
i Preludi, alcuni più celebri di altri, e ancor
più mirabili le Fughe, interpretate con una
chiarezza espositiva esemplare nel fare emergere
le singole voci, i contrappunti e la complessa
logica costruttiva del sommo Bach. Dai momenti
di sobria riflessione di alcuni preludi alle
repentine
e leggere discorsività di altri, tutti ci sono
apparsi di pregio, e le fughe, ricche di
chiarezza e di accenti nell'esposizione del tema,
hanno trovato un intreccio nelle ripetizioni
tematiche con escursioni dinamiche esemplari. Un
esempio di grande Bach quello di ieri sera, che
grazie alle mani fatate di Aimard e alla sua
intensità riflessiva ed espressiva, ha fatto
trascorre le oltre due ore di musica
rapidissimamente. Un concerto memorabile, per un
interprete applaiditissimo dal pubblico presente
in Sala Verdi. Splendido il bis concesso con un
brano esemplare di Ligeti, Autunno a Varsavia
- il n.6 dal primo volume di Studi- in
perfetta concordanza con il Bach ascoltato per i
livello delle strutture costruttive e
polifoniche, anche se dal carattere tragico.
Dedicato da Aimard alle vittime della tragica
guerra in Ucraina, come da lui detto poteva
essere titolato Autunno a Kiev o a Maripoul.
Splendida serata.
5 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
Prossimamente a
Vercelli
TRA I SECOLI A PASSO DI
DANZA: MOREAU E KADOUCH AL TEATRO CIVICO. Se è
vero che il tempo ben speso passa in un attimo,
il concerto di sabato 9 aprile al Teatro Civico
di Vercelli (ore 21, concerto in abbonamento),
capace com'è di volare leggero su tre secoli di
musica, apparirà breve come un respiro. Eppure
si tratta di uno degli appuntamenti più
importanti del XXIV Viotti Festival, in quanto
dà il benvenuto a Vercelli a due interpreti
acclamati in tutto il mondo: il violoncellista
Edgar Moreau e il pianista David Kadouch.
Fortemente voluti dalla Camerata Ducale,
organizzatrice del Festival, Moreau e Kadouch
sono arrivati giovanissimi alla ribalta
internazionale e da anni sono una presenza fissa
sui più prestigiosi palcoscenici del mondo,
forti di una musicalità e di un'espressività che
lasciano ammirati sia il pubblico sia la critica.
Quando si esibiscono insieme, come nella serata
vercellese, formano un duo che spicca per la
profondità dell'interpretazione e allo stesso
tempo, in uno dei “miracoli” riservati solo ai
grandi musicisti, per la sublime leggerezza con
cui affrontano il loro repertorio. E il concerto
del Civico è un perfetto esempio delle loro
magistrali capacità: passa infatti con
disinvoltura dal fascinoso Settecento di Vivaldi
e Marcello all'Ottocento di Paganini per
arrivare alla meravigliosa Suite Italienne di
Stravinskij e a un florilegio di celebri pagine
di Ennio Morricone, del tutto a suo agio
– cosa che
avrebbe sicuramente apprezzato – nel confronto
con i “monumenti” della musica classica.
dalla redazione 5 aprile 2022
Giovanni Bertolazzi
alle Serate
Musicali
È un giovane promettente del
concertismo internazionale Giovanni Bertolazzi.
Veronese, classe 1998, ha vinto numerosi
concorsi internazionali e ultimamente, nel 2021,
un 2° Premio al prestigioso Concorso
pianistico internazionale "F.Liszt" di
Budapest. La sua passione per il musicista
ungherese ha trovato esplicazione nel bel
concerto di ieri sera, organizzato in
Conservatorio
da Serate Musicali. Un impaginato
interamente dedicato a Liszt, con brani tra i
più ardui per spessore virtuosistico. Tutti noti
i cinque brani in programma e alcuni di essi
celeberrimi, come Après une lecture du
Dante.Fantasia quasi Sonata, eseguito ad
introduzione e la Sonata in si minore
eseguito al termine del programma ufficiale. Non
si discute l'alto livello tecnico di Bertolazzi.
Quanto alla qualità interpretativa,
complessivamente di rilievo, abbiamo trovato il
pianista in crescendo nel corso delle esecuzioni.
La "Sonata Dante" ha visto un interprete
solido e determinato, a volte eccessivo nelle
volumetrie e nell'uso del pedale di risonanza.
Di maggior pregio il brano conclusivo. La
Sonata in si minore ha trovato un pianista
raffinato, ricco nella tavola dei colori ed
equilibrato nelle esternazioni dinamiche.
Un'interpretazione
certamente di alta qualità. Validi i tre brani
intermedi, dai 12 Studi di esecuzione
trascendentale il n.11 Harmonies du soir
e il n.13 Chasse- neige. Quindi,
ancor più valida, la Rapsodia ungherese n.12
in do diesis minore, di rara chiarezza
espressiva. Tre i bis concessi da Bertolazzi,
tutti di ottima resa: dal virtuosistico e
melodico Vecsey-Cziffra col Valse triste,
al celebre cavallo di battaglia di Arthur
Rubinstein, la Ritual fire danse di
Manuel De Falla, e dopo tanto virtuosismo, la
tranquillità di Bach con l'Aria sulla quarta
corda nella celebre trascrizione pianistica
di Siloti. Ottimo concerto e convinti applausi
del pubblico intervenuto in Sala Verdi.
5 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
Riccardo Chailly
e l'Orchestra
e il Coro della Scala per la Sinfonia n.2 "Resurrezione"
di Mahler
Una delle più monumentali
opere di Gustav Mahler, la Sinfonia n.2 in Do
minore "Resurrezione", ha trovato sul podio
scaligero ieri sera, alla seconda e ultima
replica, Riccardo Chailly. Monumentale non è
soltanto il lavoro in cinque movimenti, ma anche
la compagine orchestrale comprensiva di ampio
Coro e di due voci femminili soliste. La
sinfonia ebbe una
lunga gestazione iniziata nel
1887 ed arrivò a conclusione nel 1894, con una
prima esecuzione a Berlino nel 1896. Chailly è
un esperto di Mahler. La conoscenza del grande
sinfonista maturata nel corso degli anni con
orchestre italiane ed europee, come ad esempio
la Gewandhausorchester Leipzig, hanno portato la
sua cifra direttoriale nelle articolate sinfonie,
ad una raffinata resa espressiva, giocata sulla
cura di ogni dettaglio, sulla chiarezza delle
timbriche e sui giusti equilibri negli impasti
sonori. La risposta al suo coinvolgente gesto,
da parte dell'Orchestra della Scala , del
grandioso Coro curato in modo eccellente da
Alberto Melazzi e delle due ottime voci soliste,
ovvero il soprano Erin Morley e il contralto
Anna Larsson, è stata straordinaria. Una qualità
interpretativa
dove la trasparenza di ogni
frangente musicale è emersa con afficace resa
espressiva, sia nei momenti maggiormente
cameristici che in quelli di grande
estroversione orchestrale e corale, partendo
dall' iniziale Allegro maestoso. Mit durchaus
ernstem und feierlichem Ausdruck, sino al
monumentale Im Tempo des Scherzo. Wild
herausfahrend, rappresentazione della
resurrezione ad una vita ultraterrena. Di
qualità sia la voce della Larsson che quella
della Morley. Applausi fragorosi e numerose
uscite dei protagonisti in un teatro ancora
colmo di pubblico.
( Foto di Brescia e Amisano a cura dell'archivio
della Scala)
4 aprile 2022 Cesare Guzzardella
Maria Gabriella Mariani
alla rassegna milanese
Lieti calici agli "Amici del loggione del
Teatro alla Scala"
Un simpatico e riuscito
incontro musicale e... anche di ottimo aperitivo..,
quello tenuto questa mattina agli Amici del
Loggione della Scala, nella milanese via Silvio
Pellico. Mario Marcarini, organizzatore,
discografico e musicologo, ha portato davanti al
pianoforte della capiente sala degli Amici,
la pianista e compositrice napoletana Maria
Gabriella Mariani. L'artista da alcuni anni vive
a Campobasso, ed è anche autrice di validi
romanzi. Nella breve intervista
concessami,
ha raccontato la sua storia musicale iniziata in
tenera età con studi serissimi di Conservatorio,
e perfezionamenti con il grande Aldo Ciccolini,
dopo aver conosciuto anche Vincenzo Vitale,
grande didatta della scuola napoletana. Come
interprete ha realizzato numerosi Cd aventi come
base la scuola francese di Debussy e Ravel, ma
anche con molto Schumann. La passione
compositiva è avvenuta dopo, nel 2008, per
motivi accasionali, e da allora l'inserimento di
suoi lavori nei concerti, come nei recenti
dischi, è avvenuto puntualmente. Nel valido
concerto di circa un'ora, davanti un numeroso
pubblico, abbiamo ascoltato alcuni suoi brani.
Sono caratterizzati da una parte iniziale
scritta in modo rigoroso sul pentagramna, e da
una finale dove la
Mariani
ha dato sfoggio delle sue abiltà
d'improvvisazione. La sua interessante ed
immediata cifra stilistica, in ambito tonale,
trova riferimenti nel mondo da lei più amato,
quello francese di fine ottocento e dei primi
decenni del '900 (Debussy, Ravel e Poulenc), ma
anche nel repertorio italiano, soprattutto
dell'Italia centrale e del sud. Infatti Il suo
accentuato "lirismo" è una caratteristica
privilegiata, e la sua capacità improvvisatoria
nasce anche dalla sua ricca esperianza in ambito
interpretativo concertistico. Sin dal suo primo
brano, Ologramma: Tema Variazioni, Finale e
Improvvisazione, l'approccio stilistico, dal
taglio tradizionale ma comunque caratterizzante
di un linguaggio personale, è risultato evidente.
Le semplice melodia iniziale, dal sapore antico,
ha subito nel corso dell'esecuzione, variazioni
e complessità armoniche,
sino
a trasformarsi in una sorta di finale senza
fine, improvvisato con valida abilità discorsiva.
Anche nel più breve secondo lavoro presentato,
ha mostrato il suo stile narrativo, legato ai
personaggi che spesso emergono nei suoi romanzi.
Di grande impatto estetico il brano finale,
concesso come bis, titolato Nenè Waltz,
che inizia con un guizzo improvviso
virtuosistico e termina brevemente sempre nel
suo stile improvvisatorio. Una bella mattinata
di musiche con un lieto calice di vino, un
meraviglioso Dolcetto.
3 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
A VERCELLI SERATA
CAMERISTICA CON I GIOVANI DELLA CAMERATA DUCALE
JUNIOR
A
conferma, se mai ce ne fosse bisogno, del ruolo
sempre più importante che con gli anni si è
venuta conquistando la Camerata Ducale nel
panorama delle orchestre italiane, è
l’intelligente ed efficace attenzione che essa
dedica da anni ai giovani musicisti, avviandoli
e formandoli all’attività concertistica, sia in
ambito sinfonico che cameristico. Con un lavoro
attento di selezione e valorizzazione dei più
promettenti diplomati di vari Conservatori
italiani, sostenuto anche da istituzioni come la
romana Accademia Avos Project, la Camerata
Ducale ha ‘figliato’ in questi ultimi anni una
Camerata Ducale Junior, costituita di giovani
strumentisti, di età non superiore ai 25 anni,
protagonista di una stagione musicale sua
propria, che si svolge, con grande successo,
parallelamente al Viotti Festival della Camerata
Ducale ‘senior’. In occasione del recital
cameristico di ieri sera, sabato 2 aprile, nella
splendida cornice del Salone Dugentesco
recentemente restaurato, a rappresentare i
giovani della Camerata ducale junior erano
Giulia Rimonda (violino), Marco Introna (viola)
ed Ettore Pagano (violoncello). Ad accompagnarli
nell’esecuzione dei brani in programma erano
altri due strumentisti, che hanno già raggiunto
la fama nelle sale da concerto e in questa
occasione hanno assolto il compito di Maestri
preparatori dei tre giovani della CDJ,
guidandoli all’esecuzione e poi esibendosi con
loro: si tratta del violinista Andrea Obiso, in
verità di poco più anziano dei suoi tre giovani
allievi/colleghi, ma già primo violino
dell’Orchestra dell’Accademia di S. Cecilia, e
del pianista Massimo Spada, cofondatore, tra
l’altro, di Avos Project. Il programma della
serata prevedeva due composizioni celeberrime
della letteratura cameristica classico-romantica
ottocentesca: il “Trio degli spiriti” (GeisterTrio),
titolo con cui è universalmente conosciuto il
Trio per archi e pianoforte in Re maggiore op.70
n.1 di L. van Beethoven e il Quintetto in Fa
minore per pianoforte e archi di Cesar Franck.
Dunque, come primo pezzo in programma è stato
presentato il Trio degli spiriti, così chiamato
a causa del suo movimento centrale, il cui
motivo, stando ad alcuni suoi appunti, Beethoven
intendeva utilizzare per la scena
dell’apparizione delle streghe in un “Macbeth”,
che poi non compose. Il Trio op.70 n.1 è tra le
opere a nostro avviso più enigmatiche e perciò
più affascinanti di Beethoven: essa vive nel
cuore e nella memoria dell’ascoltatore per il
radicale contrasto tra i due movimenti esterni,
vere esplosioni di energia vitale, energia
cosmica fattasi suono, e un tempo centrale tra i
più desolatamente nichilistici che la musica
conosca, dal timbro livido e tenebroso: come uno
sguardo sugli abissi del nulla, che irrompe come
una vertigine di totale smarrimento
nell’abbandono all’ebbrezza dionisiaca della
vita. Non conosciamo riferimenti a questo Trio
nell’opera di Nietzsche, ma esso ci pare una
delle composizioni più nietzschiane mai
concepite. A eseguire questo capolavoro erano
ieri sera Giulia Rimonda al violino, Ettore
Pagano al violoncello e Massimo Spada al
pianoforte. E, diciamolo subito, è stata
un’esecuzione di altissimo valore. In generale,
possiamo dire che i tre strumentisti hanno
saputo valorizzare pienamente le caratteristiche
di questo splendido monumento musicale, con un
suono ‘spigoloso’ e potente, diremmo ‘demonico’
nei due tempi estremi, realizzato in un dialogo
sempre efficace tra gli archi e il pianoforte,
frutto di sapienza tecnica ed intesa perfetta.
Decisamente bella e coinvolgente l’esecuzione
del Largo centrale, nella quale il perfetto
lavoro sui contrasti dinamici incessanti nel
passaggio continuo tra violino e violoncello del
motivo-chiave di sette note, col sostegno degli
spogli accordi ribattuti del pianoforte,
avvolgeva il movimento in quell’ombra
inquietante che è la sua ‘tinta’ sonora più
appropriata. Più in dettaglio sono da segnalare
alcuni momenti di particolare qualità esecutiva.
Fin dal perentorio attacco dell’iniziale
‘Allegro vivace’, colla fulminante testa del
tema principale, seguito da una sezione di più
distesa cantabilità, l’ascoltatore è stato
colpito dal suono perfettamente calibrato del
violino di Giulia Rimonda, capace di sprigionare
la più intensa energia, come di effondersi in
una linea melodica dal legato morbido e suadente,
con un suono di intensità e potente proiezione,
oltre che di perfetto dominio tecnico, che ha
dato la sua impronta decisiva
all’interpretazione del movimento, in un dialogo
incessante con gli altri due strumenti. Una
bravura e una maturità, quelle di Giulia Rimonda,
che escono pienamente confermate dall’ardua
prova del tempo centrale, dove il suono delle
sue quattro corde ha vibrato, con finezza, di
quella malinconica desolazione che è la cifra
espressiva del pezzo, chiaroscurandola con lo
svariare delle dinamiche dal “sotto voce”
d’esordio ai “fortissimo” e agli “sforzando”
successivi. Una valutazione molto alta è dovuta
anche al violoncello di Pagano, eccellente
sempre nel dialogo col violino e molto accurato
nei dettagli nei momenti in cui ha goduto di una
maggiore autonomia, come nella sezione dello
sviluppo del terzo tempo, poco prima della
ripresa, ove al violoncello l’autore affida una
raffinata e tenera melodia, che col suo brunito
timbro crepuscolare, sembra anticipare Brahms.
Perfetto sostegno ai due archi è stato il
pianoforte di Spada, essenziale, nel tempo
centrale, per creare, con accordi ribattuti e
tremoli, quel clima ‘spettrale’ che lo
caratterizza, così come, nello sviluppo del
primo movimento, ha pennellato una sapiente
sfumatura di color ‘sulfureo’ accompagnando con
un che di tortuoso e oscuro l’iniziale
elaborazione. del primo tema. Seguiva un altro
capolavoro cameristico,
ma di ben altra
concezione e stile musicale, il Quintetto di
Franck. A eseguirlo Giulia Rimonda primo violino,
Andrea Obiso secondo violino, Matteo Introna
viola, Ettore Pagano violoncello e Massimo Spada
al pianoforte. Il quintetto di Franck, con la
sua tendenza al monumentale (più di quaranta
minuti per tre tempi), l’insistente ritorno
ciclico di temi e cellule motiviche, il denso
cromatismo di molti passaggi, crea, sotto
l’influenza della linea Liszt-Wagner che si
andava imponendo negli anni ’70-’80 del XIX sec.
su tanta musica europea, una sorta di onda
musicale montante, che trascina con sé
l’ascoltatore con moto irresistibile, L’ampio
ricorso al cromatismo crea delle zone di
particolare intensità e suggestione ‘sentimentale’
che hanno spesso autorizzato, insieme con
l’indicazione ‘con molto sentimento’ riferita
dall’autore stesso al Lento centrale,
interpretazioni improntate, appunto, ad un
sentimentalismo talora sopra le righe. Non è
stato, per fortuna, il caso dell’interpretazione
ascoltata ieri sera a Vercelli. I giovani
interpreti hanno semmai portato in primo piano,
ancora una volta con potente energia di suono,
un altro aspetto che pure è presente in questo
capolavoro del tardo romanticismo, cioè il
contrasto, che talora si fa drammatico, tra il ‘blocco’
degli archi, guidato con autorevolezza e
sapienza da Giulia Rimonda e il pianoforte; un
contrasto evidente fin da subito, quando il
primo violino apre, con un fortissimo “drammatico”,
come scritto in partitura, , cui risponde, in
antitesi, un “espressivo piano” del pianoforte,
suonato da Spada conferendo al ‘suo’ motivo
un’aura di trasognata sospensione, stile ‘Pelleas
et Melisande’, sfruttando al meglio l’ambiguità
tonale del dominante cromatismo. Impossibile
passare in rassegna i dettagli di un’opera così
densa: non possiamo che ribadire gli elogi per
un gruppo di giovani musicisti che ha sfoggiato
ad alto livello qualità interpretative già
mature, non solo, s’intende, nel dominio tecnico
dei propri strumenti, ma nel controllo delle
dinamiche, nella giusta calibratura agogica,
nella capacità di penetrare le sfumature più
sottili e segrete di una partitura densa e
complessa, di creare, nel dialogo strumentale,
una timbrica, sfumata e di raffinata eleganza,
perfettamente adeguata alle sfumature armoniche
della composizione. Insomma, la CDJ., per quanto
si è visto ieri sera, è già ben più che una
promessa, grazie alle qualità dei suoi giovani
rappresentanti e, naturalmente, alla bravura dei
loro Maestri. Alla fine del concerto, nell’ampio
Salone Dugentesco, tutto esaurito, nonostante la
‘concorrenza’ del concerto di Claudio Baglioni,
che si svolgeva ieri sera al Teatro Civico della
città, sono risuonati a lungo scroscianti e
meritatissimi applausi, seguiti da un bis, la
ripetizione di un brano tratto dal quintetto di
Franck. Serata che ricorderemo a lungo.(Foto dall'ufficio stampa di Vercelli)
3 aprile 2022 Bruno Busca
Honegger con Mozart
e Beethoven diretti da
Thomas Guggeis
Un programma sostanzioso per
il concerto dedicato a Franca Canuti Cervetti,
si è svolto ieri sera con replica di domenica .
Impaginato ricco,
con brani di Honegger, Mozart e
Beethoven. Il movimento sinfonico Pacif 231
del compositore francese, di origine
svizzera, Arthur
Honegger (1892-1955) ha anticipato Mozart. L'Orchestra Sinfonica di
Milano "G.Verdi" diretta da Thomas Guggeis
ha interpretato molto bene questo breve lavoro
di circa sei minuti che, composto nel 1923,
riassume in modo efficace la modernità di una
composizione ispirata dal mondo industriale e
proiettata nel futuro. Il brano, decisamente
Futurista, considerato il periodo di produzione,
è un esempio felice, dal punto di vista timbrico
e coloristico, di un genere innovativo se pur in
ambito tonale. A seguire
il Concerto per due
pianoforti in mi bem maggiore K365 (1779) di
Mozart ha trovato come solisti della testiera
Lucas & Arthur Jussen. Due fratelli affermatissimi nel panorama
internazionale, dotati di un talento
straordinario, che hanno affrontato in modo
efficace il bellissimo concerto mozartiano.
L'eccellente intesa tra i due giovani interpreti,
coadiuvati dalla Sinfonica Verdi, ha portato ad
una valida interpretazione giocata sulla chiara
esposizione e sulla resa espressiva delle
melodie presenti nei classici tre movimenti..
L'alternanza simmetrica
delle parti pianistiche,
e la bellezza melodica è stata sostenuta sino al
notissimo Rondò.Allegro del finale,
apprezzato dal numerosissimo pubblico presente
in Auditorium che al termine ha tributato
fragorosi applausi. I fratelli, visibilmente
soddisfatti, hanno concesso un virtuosistico bis
per due pianoforti con una splendida
rielaborazione di Igor Roma del celebre
Valzer di Johann Strauss da "Il
pipistrello", in chiave ritmica "sud-americana".
Bravissimi! Nella seconda
parte del concerto
l'attesissima Sinfonia "Eroica" di
L.v.Beethoven è stata preceduta dalla lettura
dell'ode manzoniana Il cinque maggio, per
i duecento anni dalla morte di Napoleone. Una
lettura resa con chiarezza espositiva da
Massimiliano Finazzer Flory. Ottima
l'interpretazione di Thomas Guggeis della
Sinfonia n.3 op.55 del genio di Bonn,
restituita con dovizia di particolari ed
espressività dalla Sinfonica Verdi, per un
eccellente equilibrio dinamico complessivo.
Ancora applausi meritatissimi. Da non perdere la
replica di domenica pomeriggio alle ore 16.00
2 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
Meritato successo per il
Don Giovanni
di Robert Carsen alla Scala
È tornato il Don Giovanni
mozartiano per la regia di Robert Carsen.
Sono passati oltre dieci anni dalla medesima
messinscena, allora diretta da Daniel Barenboim.
Nella rappresentazione vista ieri sera, la terza,
il Teatro alla Scala al completo e gli applausi
tributati al termine,
testimoniano
ancora una volta la riuscita complessiva di
un'opera che trova nell'insieme degli interventi
artistico-musicali la sua rilevante riuscita. A
partire dalla direzione dello spagnolo Pablo
Heras-Casado per una visione equilibrata della
partitura, molto rispettosa delle voci e
qualitativamente di rilievo interpretativo. Le
scene minimali di Michael Levine e i validi
costumi di Brigitte Reiffenstuel erano
perfettamente funzionali all'ottima regia di
Carsen- autore anche delle luci insieme a Peter
Van Praet. Una regia studiata per dar corpo
attoriale sostenuto alle voci. I protagonisti in
palcoscenico, molto in movimento e spesso in
unione con le comparse e l'ottimo coro preparato
da Alberto Malazzi, hanno riempito le scene
spesso spoglie con lo sfondo di grandi quinte
che rappresentavano il teatro. Valido il gioco
di specchi subentrato in alcune scene
nei
due lunghi due atti. Di ottima qualità il cast
vocale, completamente diverso rispetto
all'edizione del 2011 e alla ripresa del 2017.
Hanno reso per timbrica e voluminosità tutti i
cantanti, ad iniziare da Christopher Maltman, un
Don Giovanni con voce perfettamente
impostata ed efficace presenza scenica. Stessa
validità per Alex Esposito, voce incisiva e
presenza scenica brillante quella del suo
Leporello, il più applaudito. Sul versante
femminile decisamente di qualità Hanna-Elisabeth
Muller, una Donna Anna di grande presenza
con voce ricca di colori e impositiva nel
porgerla. Ottima attrice. Di qualità Emyli
D'Angelo, una Donna Elvirà elegante con
timbro adeguato al ruolo efficace attorialmente.
Valida Andrea Carrol, una piacevole Zerlina,
con valida emissione ed intonazione e ben
presente in scena. Ancora sul
versante
maschile, di eccellente fattura la timbrica di
Bernard Richter, un Don Ottavio perfetto
nel porsi. Bravo Fabio Capitanucci in Masetto
e rilevante vocalmente Günther Groissböck un
Comendatore impositivo in scena e anche dal
palco centrale illuminato insieme a tutto il
Teatro. Numerosi i riusciti fuori scena con
movimenti anche tra il pubblico presente.
Applausi fragorosi a tutti i protagonisti.
Prossime repliche per il 2, 5, 10 e 12 aprile.
Da non perdere! ( Foto di Brescia -
Amisano dall'Archivio del Teatro alla Scala)
1 aprile 2022 Cesare Guzzardella
PROSSIMAMENTE ANDREA OBISO E
MASSIMO SPADA CON LA CAMERATA DUCALE JUNIOR
Quando
viene riaperto al pubblico un luogo storico che
è parte integrante del patrimonio di una città,
la scelta migliore è quella di guardare al
futuro. È con questo spirito che sabato 2 aprile
(ore 21, concerto fuori abbonamento, ingresso
gratuito sotto i 25 anni) gli spettatori del
XXIV Viotti Festival potranno finalmente
ritrovare lo splendido Salone Dugentesco
– gioiello medievale e tappa fondamentale della
Via Francigena – al termine di una lunga
chiusura dovuta ai lavori di consolidamento
strutturale al piano superiore.
Guardare al futuro, si
è detto. E i protagonisti
della serata non potrebbero incarnare meglio
questo proposito: saranno infatti di scena i
solisti della Camerata Ducale Junior,
l'orchestra under 25 nata dalla Camerata Ducale
ma ormai diventata una brillante e del tutto
autonoma realtà musicale, per l'occasione
rappresentati da Giulia Rimonda al violino,
Matteo Introna alla viola ed Ettore Pagano al
violoncello. Il quintetto verrà completato da
due Maestri preparatori d'assoluta eccezione
come Andrea Obiso al violino e Massimo Spada al
pianoforte, ovvero il meglio della nuova
generazione italiana di concertisti alla
conquista dei palcoscenici internazionali. Oltre
a rappresentare un esempio d'eccezione dal punto
di vista professionale (chi non vorrebbe
ripercorrere i loro passi?), i Maestri
preparatori quest'anno non si limitano a seguire
e indirizzare le prove del concerto, ma si
esibiscono insieme ai giovani della CDJ, dando
prova di grande entusiasmo e coinvolgimento.
Coinvolgimento confermato dalla collaborazione
con Avos Project. In programma : L. van
Beethoven - Trio per archi e pianoforte n. 5,
op. 70 n. 1 Geister trio C. Franck - Quintetto
in fa minore per pianoforte e archi
1
aprile dalla redazione
MARZO 2022
Angela Hewitt
per la Società del
Quartetto
La musica di J.S. Bach, il
principale riferimento per la pianista canadese
Angela Hewitt, è tornata in Conservatorio. Il
concerto organizzato dalla Società del
Quartetto ha visto un
numeroso
pubblico in Sala Verdi, per un'interprete che ha
iniziato la sua carriera concertistica nel nome
del grande compositore tedesco e che da alcuni
decenni prosegue nell'interpretare l'amatissimo,
senza comunque tralasciare altri importanti
compositori. La Hewitt divenne infatti nota al
grande pubblico a metà degli anni '80 dopo
un'importante vittoria ottenuta ad un concorso
pianistico tenuto a Toronto nel 1985 e dedicato
a Bach, e grazie anche all'uscita - per una
prestigiosa casa discografica- di uno splendido
CD dedicato al grande musicista tedesco.
L'impaginato di ieri sera prevedeva i Quattro
Duetti, i Diciotto Piccoli Preludi,
la Fantasia e fuga in la minore , l'Ouverture
in stile francese in si minore e il
Concerto in stile Italiano in fa maggiore.
Naturalmente
di qualità l'interpretazione della Hewitt. Il
suono chiaro, ricco di sfumature ha ben
individuato il gioco d'intrecci tra le parti
della tastiera facendo emergere le linee
melodiche, il ricco contrappunto e ogni
particolare costruttivo. Le sonorità dell'ottimo
Fazioli ben si prestano alla musica barocca e
soprattutto alla musica di Bach, musica precisa,
emotiva ma anche molto razionale, che abbisogna
di precisioni millimetriche per definire le
infinite sue geometrie, e la Hewitt, come
architetto musicale ha pochissimi rivali al suo
livello. Grande successo, con applausi fragorosi
e con due bis ancora bachiani, due corali con il
secondo tra i più celebri: dalla Cantata 147
"Jesus bleibet meine Freude" nella
trascrizione pianistica di Myra Hess. Ottimo
concerto per un'importante interprete.
30 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Giuseppe Gibboni
alle Serate
Musicali
È tornato a Milano il
violinista salernitano Giuseppe Gibboni per un
concerto organizzato da Serate Musicali.
Insieme al pianista Ingmar Lazar, presente in
una parte dei brani, ha impaginato un programma
diversificato con alcuni lavori di Paganini,
musicista a lui legato avendo vinto recentemente
- nel 2021- il prestigioso Premio
Internazionale Paganini di Genova. Il primo
brano era la Sonata n.3 per violino e
pianoforte Op.108 di Johannes
Brahms. Una
sonata celebre anche per quel Presto agitato
che conclude il lavoro, scritto dal grande
amburghese nel 1888 e che spesso viene eseguito
come bis da molti virtuosi. Valida
l'interpretazione. Un netto salto di qualità è
stato riscontrato nei successivi lavori. Il
ventunenne Gibboni ha proposto tre Capricci
dai 24 dell'Op.1 e precisamente il N.1 "L'Arpeggio",
il N.5 e il corposo N.24, un
Tema con variazioni in la minore. Con i
Capricci paganiniani sono emerse in toto le
qualità virtuosistiche ed interpretative di
Gibboni, eccelse nell'esprimere con apparente
facilità virtuosismi d'immensa difficoltà. Di
evidente qualità, anche il brano successivo,
eseguito dopo il breve intervallo, ossia le
Variazioni su un tema tema originale per violino
e pianoforte Op.15 di Henryk Wieniawski
(1835-1880). Il celebre virtuoso violinista e
compositore polacco è debitore della lezione
paganiniana. Anche in questo delizioso lavoro,
Gibboni, in sinergia con l'ottimo Lazar, ha
espresso al meglio le sue naturali qualità per
un'interpretazione di alto livello. Il violino
solo è ritornato nel brano successivo del
compositore russo Alfred Schnittke ( 1934-1998).
Titolato "A Paganini", recupera frammenti
paganiniani, con una sorta di collage
tratt o
da alcuni Capricci, per uno sviluppo
virtuosistico autonomo dove è riconoscibile lo
stile politonale del compositore, caratterizzato
da colori scuri intensamente espressivi. Gibboni
ha trovato la giusta dimensione interpretativa
del difficile lavoro del 1982, attraverso
timbriche precise, dettagliate dominate da
colori scavati e profondi, resi dall'ottimo
violino con voluminosa intensità espressiva .
Originale il finale che prevede un'ultima nota
ottenuta con la "scordatura" della corda più
bassa. Eccellente interpretazione. L'ultimo
brano in programma era la celebre "La
Campanella", dal Concerto n.2 op.7 di
Paganini che ha ancora trovato un evidente
apprezzamento dal pubblico intervenuto. Un
Campanella brillante, raffinata, in ottimo
equilibrio con la parte pianistica eseguita
molto bene dal giovane Lazar. Due i bis concessi,
il primo in duo, con Hora Staccato, un
celebre brano del folclore rumeno di Grigoras
Dinicu (1889-1949), quindi il solista con l'Adagio
dalla Sonata n.1 per violino solo di
J.S.Bach, eseguito splendidamente. Applausi
intensi e prolungati ai protagonisti.
29 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Jader Bignamini
e Domenico Nordio con
l'Orchestra Sinfonica G. Verdi
Programma particolarmente
ricco quello proposto dalla "Sinfonica Verdi"
con l'importante ritorno alla direzione di Jader
Bignamini, attualmente responsabile della
Detroit Symphony Orchestra. Tre i brani
proposti, con una novità della compositrice
romana Silvia Colasanti. Il suo recentissimo
Esercizi per non dire addio per
violino e orchestra è stato proposto come
primo brano. A seguire il Concerto per
violino e orchestra op.61 di L.v. Beethoven
e quindi, dopo il breve intervallo, la
Sinfonia n.9 op.70 di Dmitri
Šostakoviç.
Nei primi due lavori -
non
a caso la serata era titolata "Un violino per
due" - al violino solista c'era l'ottimo
Domenico Nordio. L'intenso e suggestivo concerto
della Colasanti si immerge nei ricordi del
passato, ricordi molto interiorizzati,
attraverso sonorità cupe e frammentate per circa
venti minuti, elargite in un unico movimento. Il
prevalente impianto tonale rende particolarmente
comprensibile il lavoro, giocato su
un'alternanza o una sovrapposizione della parte
solistica con le profonde timbriche orchestrali,
spesso combinate con particolari effetti delle
percussioni. La presenza di una sostenuta
cadenza violinistica, di circa due minuti, resa
con grande espressività da Nordio, assimila il
brano ad un classico concerto violinistico,
anche se risulta evidente il linguaggio attuale
della nota compositrice, tipico dei nostri tempi
ma con solidi agganci alla tradizione
novecentesca, soprattutto europea ma con
influenze mediterranee ed asiatiche. È un lavoro
efficace, di ampio respiro che è stato
commissionato dalla Sinfonica Verdi e che ha
trovato un valido riscontro da parte del
pubblico presente in Auditorium. L'eccellente
direzione di Bignamini,
con
elegante e producente gestualità, si è
riscontrata anche negli altri due importanti
lavori. Eccellenti qualità violinistiche di
Nordio anche nel celebre concerto beethoveniano.
La discorsività del solista è emersa nei tre
movimenti, così come la coinvolgente
espressività delle timbriche dell'Orchestra
Sinfonica Verdi. Ottimo l'equilibrio tra le
parti per una interpretazione dell'Op.61
efficace. Di pregio la Cadenza dell'Allegro
ma non troppo sostenuta da Nordio con grinta
e profondità. Una maggiore volumetria sonora del
dolce e intonatissimo violino di Nordio, avrebbe
reso perfetto il concerto. Di particolare
rilievo il bis solistico concesso da Nordio con
un brano contemporaneo: Intervals dalla
Sonata n.2 op.95 per violino solo di Weinberg. Dopo la pausa, significativa
la Sinfonia n.9 di
Šostakoviç.
Cinque brevi movimenti composti dal russo nel
1945, improntati anche da timbriche spesso
apparentemente scherzose, permeate però da
profonda tragicità. Applausi intensi a tutti i
protagonisti. Domani, alle 16.00, ultima
replica. Da non perdere.
26 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Successo all' ultima
replica di Jewels al Teatro alla Scala
Ieri sera ultima
rappresentazione e ancora meritato successo, per
il belletto Jewels, lavoro coreografico
di George Balanchine ispirato a tre grandi
scuole di danza: il Teatro Mariinskij di San
Pietroburgo, l’Opéra di Parigi e il New York
City Ballet. È in tre parti distinte, e
precisamente: Emeralds su musiche di
Gabriel Fauré, Rubies su musiche di Igor
Stravinskij. e
Diamonds su quelle di P.I.
Čajkovskij. Presentato per la prima volta nel
1967, Jewels ha una coreografia tutta costruita
sulle musiche dei tre grandi compositori. Manca
un testo di riferimento, ma le note orchestrali
e quelle del pianoforte nel balletto centrale,
sono l'unico riferimento. Emeralds e Diamonds
seguono stili classici più
tradizionali, mentre Rubies interpreta una
composizione neoclassica di Stravinskij. I
notevoli costumi di Karinska e le preziose
scenografie di Peter Harvey hanno reso
l'intenzione di Balanchine di voler
rappresentare tre pietre preziose attraverso
passi di danza eleganti e pieni di coerenti
simmetrie. Nella rappresentazione di Emeralds si
sono avvicendati solisti quali Gaia Andreanò,
Nicola Del Freo, Vittoria Valerio, Edoardo
Capolaretti, Alessandra Vassallo, Agnese De
Clemente e Federico Fresi, insieme ad un
sinergico corpo di ballo. Hanno interpretato con
equilibrio le dolci, eleganti e leggere
timbriche del francese Fauré tratte da Pelléas e
Melisande e da Shylock. Ottima la direzione
musicale di Paul Connelly. Ribies è un balletto
moderno, che mostra un Balanchine ancor più
fantasioso e proiettato verso il futuro.Tratto
dal bellissimo Capriccio per pianoforte ed
orchestra di Stravinskij, ci troviamo di
fronte ad una ballerina solista e ad una coppia,
rappresentati dai bravissimi Alice Mariani,
Virna Toppi e Claudio Coviello, in sinergia con
il versatile corpo di ballo.
L'efficace
Capriccio è ottimamente interpretato al
pianoforte da Roberto Cominati e dagli
eccellenti orchestrali. Le particolari e
contrastate timbriche dell'originale lavoro,
sembrano aver ispirato Balanchine nel generare
movenze di danza spettacolari, ricche di
simmetrie e di asimmetrie, in perfetta sintonia
come la musica. Un balletto convincente diretto
con rigore musicale da Connelly. Con Diamonds,
costruito sulle musiche di
Čajkovskij
tratte dalla Sinfonia n.3 (gli ultimi quattro
movimenti), torniamo ad un concezione classica
del balletto: una coppia di solisti, ieri sera
Maria Celeste Lisa e Timofej Andrijashenko, si
oppongono o si integrano nel grande corpo di
ballo scaligero. L'interpretazione di Connelly e
dell'Orchestra del Teatro alla Scala ci
è apparsa sinergica con la parte
coreografiche per un'interpretazione decisamente
valida. Bravissimi i solisti e tutto il corpo di
ballo. Successo di pubblico con numerose uscite
dei protagonisti. Il prossimo balletto sarà
Sylvia dall'11 al 26 maggio con sette
rappresentazioni. Da non perdere. (prima foto di Brescia e Amisano Archivio Scala)
25 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Con “Il pianoforte in Ateneo”
si apre una nuova stagione cameristica
Cinque
pianisti di fama internazionale sul palco
dell’Aula Magna in largo Gemelli da marzo a
ottobre 2022: si apre così la nuova stagione
cameristica in Università Cattolica a Milano
grazie all’accordo tra Kawai Italia e lo Studium
musicale d’Ateneo. La presentazione è avvenuta
lunedì
21
marzo, ore 10, presso la Sala Conferenze della
Biblioteca del Conservatorio “Giuseppe Verdi” Il
pianoforte è quindi il protagonista di una nuova,
straordinaria stagione cameristica milanese in
largo Gemelli, nata dalla collaborazione tra
Università Cattolica e Kawai Pianos di
Hamamatsu, una delle più prestigiose Case
produttrici degli strumenti musicali nel mondo.
Il progetto “Il Pianoforte in Ateneo. La grande
musica a Milano” presentato in una conferenza
stampa lunedì 21 marzo, alle ore 10, presso la
Sala Conferenze del Conservatorio “Giuseppe
Verdi” in via Conservatorio 12 a Milano dove ha
partecipato anche il direttore scientifico del
Progetto Enrico Reggiani, docente di Letteratura
inglese e direttore dello Studium musicale di
Ateneo, e il direttore artistico Maestro Davide
Cabassi. «Cinque pianisti straordinari - Luca
Trabucco, Giuseppe Andaloro, Ingrid Fliter,
Carlo Guaitoli e Roberto Cominati - formano una
sorta di dream team della tastiera, alle cui
mani affidiamo i meravigliosi pianoforti Shigeru
Kawai nella cornice prestigiosa dell'Aula Magna
dell’Università Cattolica. Una nuova stagione di
musica, cultura e bellezza da donare a Milano» -
anticipa Davide Cabassi. Il concerto di apertura
è avvenuto giovedì 24 marzo nell’Aula Magna
dell’Università Cattolica con inizio alle ore
20.45, dedicato a “Maurice Ravel: il piacere
squisito di un’occupazione inutile”. Al
pianoforte Luca Trabucco. Il calendario completo
è il seguente: 24 marzo 2022 Luca Trabucco
(Ravel) 21 aprile 2022 Giuseppe Andaloro
(Chopin, Rachmaninoff, Ravel) ; 9 maggio 2022
Ingrid Fliter (Haydn, Beethoven, Scarlatti,
Schumann) ; 16 giugno 2022 Carlo Guaitoli
(Chopin, Janacek, Prokofiev); 6 ottobre 2022
Roberto Cominati (Chopin, De Falla)
Foto dall'Ufficio Stampa
dell'organizzazione.
dalla redazione 24-03-2022
Joshua Bell
in Conservatorio per la
Società del Quartetto
Il violinista americano
Joshua Bell è tornato ad esibirsi in
Conservatorio per la Società del Quartetto.
Era venuto nel 2018 con un impaginato classico
ed è tornato ancora con quattro autori classici
con brani prevalentemete noti. Schubert,
Beethoven, Bloch e Ravel si sono
succeduti
eseguiti ottimamente anche dal pianista
israeliano Shai Wosner. La giovanile Sonatina
in re maggiore n.1 D 384 di Franz Schubert
ha introdotto la serata. È un brano discorsivo,
immediato e ricco di fresca inventiva che
ricorda, soprattutto nell'Allegro molto
iniziale, Mozart. Bell, in ottima sinergia con
Wosner, ha espresso elegantemete e con efficace
resa espressiva le melodie schubertiane presenti.
Di maggior impegno costruttivo il brano
successivo di L.v. Beethoven con la Sonata
n.7 in do minore op.30 n.2. Un lavoro più
complesso, in quattro movimenti, con una parte
pianistica più importante, che rivela un
compositore maturo lontano dallo stile
settecentesco e dal linguaggio personale. La
solida intesa tra i due strumentisti ha prodotto
un' interpretazione di ottima qualità. Bell,
attento ad ogni dettagli o
e misurato nelle sonorità garbate, precise e
raffinate, ha ben evidenziato la parte solistica,
coadiuvato dall'ottima
armonizzazione
del pianoforte di Wosner. Dopo l'intervallo
cambio di stile e periodo storico con due lavori
del Novecento. Il primo, meno noto, dello
svizzaro- naturalizzato statunitense- Ernest
Bloch con la Baal Shem Suite- Tre quadri di
vita Cassidica. È un brano del 1923
caratterizzato da una suggestiva ricchezza
coloristica definita dalle intense melodie del
violino, che esprime arie meditate con citazioni
della tradizione yiddish. Le note, molto legate,
si succedono con perfetta integrazione dei due
strumenti, riflessive nelle prime due parti del
brano e di giocosa esuberanza nell'estroverso
movimento finale. Eccellente l'interpretazione.
Il
brano
conclusivo, la Sonata n.2 in sol maggiore
di Maurice Ravel, è stato composto tra il 1923 e
il 1927. È in tre movimenti, molto eseguito, con
influenze jazz-blues specie nella seconda parte,
un Blues Moderato. Semplici note del
pianoforte e del violino s'intrecciano definendo
una melodia spezzata ricca di swing. Il
virtuosistico Perpetuum mobile.Allegro
finale ritrova ancora lo spessore virtuosistico
dei protagonisti. Applausi fragorosi e
particolarmente toccante il bis concesso con una
trascrizione per violino. di rara intensità
espressiva, del celebre Notturno postumo n.20
in do diesis minore di F. Chopin. Splendido
concerto.
23 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Steven Isserlis e
Olli Mustonen
per "Serate Musicali"
Una straordinaria intesa tra
due strumentisti quella vista ed ascoltata ieri
sera in Conservatorio al concerto organizzato da
Serate Musicali. Gli estrosi musicisti,
il violoncellista inglese Steven Isserlis ed il
pianista finlandese Olli Mustonen, hanno trovato
unione in quattro brani per violoncello e
pianoforte, resi ottimamente con linguaggio
personale ed estremamente
espressivo.
Iniziando con Felix Mendelssohn (1809–1847)
e le Variazioni concertanti in re maggiore
op.17, i due da subito sono entrati in
sintonia: il pianista con la sua nota tecnica
personale, brillante ed efficace, molto precisa
nella pur evidente gestualità; il cellista con
un'intensa melodicità in perfetta sinergia con
le armonie pianistiche. Il virtuosistico brano,
composto nel 1829 dal grande lipsiano, ha visto
cambiamenti repentini nelle otto variazioni del
delizioso tema iniziale, rese molto bene dal
duo. Decisamente interessanti i due brani
successivi. La Sonata per violoncello e
pianoforte del pianista e compositore Olli
Mustonen (1967) è del 2006 e, nei suoi quattro
movimenti, - Misterioso, Andantino,
Precipitato, Con visione - è un esempio
felice di musica contemporanea, cosa non
scontata. La scrittura, comprensibile, in ambito
tonale con momenti di interessanti e ricercate
dissonanze, rivela riferimenti storici che vanno
da Stravinskij o Prokofiev a certo Messiaen ed
altri ancora. La parte pianistica, ricca di
virtuosismi espressi in modo chiaro da Mustonen,
ha trovato appoggio dall'intensa melodicità di
Isserlis, che è entrato perfettamente nel suo
importante ruolo. Un ottimo lavoro,
meritatamente apprezzato dal numeroso pubblico
presente in Sala
Verdi
con applausi convinti. Il brano successivo, del
ceco Bohuslav Martinů
(1890-1959), ha destato altrettanto interesse ed
è stato reso mirabilmente. La Sonata
per violoncello e pianoforte n.3 è del 1952
ed è molto legata al folclore ceco. La
costruzione, in tre movimenti, è nel tipico
linguaggio del compositore che partendo dal
neoclassicismo del primo Novecento , trova una
personale modalità espressiva, resa bene dal
duo. Il brano che ha concluso il bellissimo
impaginato era quello più noto: la Sonata n.3
in la maggiore op.69 di L.v.Beethoven
(1770-1827). Originalissima l'interpretazione
del duo, con una personalizzazione, in senso
virtuosistico e ritmico, valida e
caratterizzante. Applausi sostenuti dal pubblico
e un bis concesso con un brano intensamente
melodico della compositrice francese Cécile
Chaminade (1857-1954), Sommeil d'Enfant
(1907).
22 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Agli Amici del Loggione
il pianista
Diego Petrella
Un cambio di programma, per
motivi legati alla positività-covid, ha visto la
sostituzione del gruppo cameristico Ensemble
Festa Rustica che doveva presentare il recente
Cd sul
compositore
Francesco Antonio Vallotti, con un ottimo
interprete quale il ventiseienne pianista Diego
Petrella. Di lui avevamo già parlato in
occosione di un concerto del 2020 in
Conservatorio. Vincitore del Premio del
Conservatorio di Milano nel 2019 e di altri
prestigiosi Concorsi internazionali, il
bolognese Petrella ha ancora rivelato le sue
ottime qualità eseguendo con maestria J.S.Bach.
Mario Marcarini, musicologo, organizzatore e
discografico, ha anticipato il breve concerto
parlando di Bach e dei suoi contemporanei al
numeroso pubblico intervenuto
nella
sala degli Amici del loggione della Scala.
Petrella ha eseguito l' Ouverture in Stile
francese n.1 in si minore BWV 831 con
padronanza tecnica e rilevante espressività. Due
i bis concessi prima con Scriabin e il Poema
op.32 n.1 e poi Chopin con un Notturno
. Applausi sostenuti da tutti i numerosi
presenti e delizioso brindisi con un eccellente
vino bianco.
21 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Prossimamente a Vercelli la Camerata Ducale,
Orizio e Rimonda
Sabato
16 aprile 2022 al Teatro Civico, via Monte di
Pietà 15, di Vercelli, la Camerata Ducale con
Guido Rimonda al violino e Pier Carlo Orizio
alla direzione eseguiranno: F. Schubert -
Entr'acte III da Rosamunde, Fürstin von Cypern (Rosamunda,
principessa di Cipro).L. van Beethoven -
Concerto in do maggiore per violino WoO 5, P. I.
Čajkovskij - Sérénade
Mélancolique op. 26,M. Bruch - Ave Maria op. 61,
F. Schubert - Sinfonia n. 8 Incompiuta in si
minore D 759. Da non perdere.
21 marzo 2022
dalla redazione
Ancora grande successo alla
Scala all'ultima replica di Adriana Lecouvreur
Applausi meritati al Teatro
alla Scala a conclusione della settima ed ultima
rappresentazione dell'opera più celebre di
Francesco Cilea (1866-1950), Adriana Lecouvreur.
Cilea, nato a Palmi in Calabria, fu autore non
fecondo, ma con l’Adriana ebbe notorietà
internazionale.
Questi
ha il merito di aver composto un’opera, nel
1902, molto ricca di raffinate melodie, un passo
avanti rispetto al Verismo e se pur con
ambientazione settecentesca, con sonorità a
volte decadenti non lontane da Wagner o da
R.Strauss, ma soprattutto dal sapore pucciniano,
con una componente orchestrale con rilevante
valenza sinfonica. Sonorità che anche in un
allestimento tradizionale, come quello visto
ieri sera in un teatro gremito di pubblico, ha
ancora una valida ragione di essere apprezzato.
La riuscita messinscena, come spesso, accade è
dovuta al complesso delle interazioni di tutte
le componenti artistiche. La
valida regia di David McVicar -ripresa da Justin
Way-, le ottime scenogafie di Charles Edwards
con i
costumi settecenteschi di Brigitte
Reiffenstuel, le adeguate luci di Adam Silverman
e le corrette coreografie di Andrew George,
hanno trovato unione con la riuscita componente
musicale, dall'ottima direzione di Giampaolo
Bisanti, al suo debutto scaligero e
applauditissimo, al coro sempre eccellente di
Alberto Malazzi e, naturalmente, al cast vocale
che ci è apparso di alto livello, con una punta
nella coinvolgente voce di soprano di Maria
Agresta. Un'Adriana, la sua, bravissima
anche attorialmente con bel timbro, chiaro e
delicato ma all'occorrenza incisivo e voluminoso.
Yusif Eyvazov è stato un Maurizio
Conte di
Sassonia vocalmente adeguato in tutti i
registri con valide qualità attoriali. Notevole
la presenza scenica di Judit Kutasi, una
Principessa di Bojillon con voce molto
voluminosa ma anche limpida e particolarmente
ricca di espressività. Validi Alessandro Spina,
adeguato Principe di Bouillon e Carlo
Bosi, l’Abate di Chazeuil. Notevole
Corbelli in Michonnet. Questi ha
sostituito all'ultimo momento Ambrogio Maestri
indisposto. La sua splendida capacità attoriale
ha ben integrato la sua rilevante vocalità.
Bravi tutti gli altri, ballerini compresi.
Un'Adriana Lecouvreur che ha degnamente espresso
il capolavoro teatrale di Francesco Cilea. Da
ricordare! Prossima opera Don Giovanni, dal 27
marzo al 12 aprile con sette rappresentazioni.
(Prime due foto di M. Brescia e Amisano-
Archivio Scala)
20 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Il Festival 5 Giornate
per la musica
contemporanea
È iniziata oggi la
16°edizione del Festival 5 Giornate
dedicato alla musica contemporanea. Si svolge
prevalentemente nel bellissimo spazio dedicato
al Museo del Novecento di Milano per
l'organizzazione musicale di Alessandro
Calcagnile e di Rossella Spinosa. Oggi il
programma
prevedeva
la presenza del gruppo cameristico New Made
Ensemble in brani di Manzoni, Sani,
Ambrosini, Solbiati, Fedele e Sciarrino. Paolo
De Gaspari al clarinetto e Rossella Spinosa al
pianoforte hanno introdotto il concerto con un
lavoro significativo di Giacomo Manzoni del
1988, Frase per pianoforte e clarinetto.
È un breve brano, ottimamente sostenuto
dai
due validi interpreti, dove le solide timbriche
dello strumento a tastiera- con effetti anche
nella cordiera- si alternano ai timbri ricercati
del clarinetto, ricchi di effetti coloristici
ottenuti con una ampia varietà di modi
d'approccio ai timbri. Particolarmente valida
l'interpretazione. Gli altri cinque brani erano
per solo strumento solista.
Prima
il flauto contralto, con l'ottima Birgit Nolte
impegnata in Dialoghi Migranti di Nicola
Sani, un lavoro dove anche la gestualità è utile
nel definire le soffici e discrete volumetrie,
poi il clarinetto basso di De Gaspari per un
corposo pezzo di Claudio Ambrosini denominato
Capriccio, detto l'ermafrodita; quindi
ancora il flauto con un brano di Alessandro
Solbiati, "As if to land.." , lavoro che
come il precedente si snoda utilizzando lo
strumento in una gamma di possibilità totale tra
suoni tondi ed effetti ben miscelati nella
marcata linea compositiva. Di altrettanta
efficacia il successivo brano, sempre per
clarinetto basso, di Ivan Fedele denominato "High-
memoriam Miles Davis".
Vuole
essere un omaggio al grandissimo trombettista e,
la maggior melodicità del lavoro, se comparata
ai brani precedenti, trova anche relazioni col
mondo jazzistico. Precisa e dettagliata
l'interpretazione. A conclusione un originale
brano per flauto di Salvatore Sciarrino,
Immagine Fenicia, suonato molto bene e
caratterizzato da una sorte di note ribattute e
ripetute quasi a creare un effetto eco. Applausi
sostenuti ai tre interpreti al termine. Domani
alle ore 17.30 il secondo appuntamento con brani
di Sani, Castiglioni e Scelsi. Altri
appuntamenti previsti i giorni successivi sino
al 22 marzo, ultima delle 5 giornate di Milano.
Da non perdere.
18 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Il Trio Sitkovetsky
per la Società dei Concerti
La Fondazione Società dei
Concerti ha portato
sul palco di Sala Verdi in Conservatorio
il
Trio Sitkovetsky,
formato dal violonista Alexander Sitkovetsky,
dal violoncellista Isang Enders e dalla pianista
Wu Qian. È un gruppo di livello internazionale
affermato in tutto il
mondo.
Il programma serale, particolarmente corposo,
prevedeva musiche di Beethoven, Schumann e
Ravel. Il Trio in Sol maggiore Op.1 n.2,
del primo grande tedesco, ha introdotto la
serata rivelando l'ottimo equilibrio complessivo
della formazione cameristica. La classicità del
brano in quattro movimenti, composto da
Beethoven in giovane età è stata espressa
ottimamente dal gruppo. La rilevante componente
pianistica, centrale in questo trio, ha trovato
un'interprete precisa, attenta ad ogni dettaglio
e mai eccessiva nelle volumetrie perfettamente
calibrate e in ottima relazione con i due archi,
strumentisti altrettanto precisi ed espressivi.
Il Trio di Maurice Ravel, unico nel suo
genere,
composto nel 1914 da un compositore quasi
quarantenne, ha dato una svolta al clima
classico precedente, mostrando un lato
interpretativo della formazione differente. Il
dosaggio delle timbriche e l'impasto sinergico
nei colori dei tre interpreti, hanno rivelato
sottigliezze del grande compositore francese
proiettate nel secondo Novecento e
caratterizzate da bruschi cambiamenti di tempo e
da volumetrie contrastanti, come quelle degli
ultimi due movimenti: da una lenta e progressiva
Passacaglia ad un folcloristico Animé
finale, esuberante e ricco di accenti. Dopo
il breve intervallo, il Trio in re minore
op.63 di Robert Schumann, composto nel
1847-48, ha stravolto ancora la compagine
cameristica impegnata sul versante romantico,
con arditezze armoniche tipiche del secondo
compositore tedesco e decisamente innovative per
l'epoca. Ancora ottima l'intesa dei tre giovani
interpreti accomunati da un'energica e non
comune passione per il mondo musicale. Toccante
il bis delicato con un breve Beethoven in una
melodia tratta dal folclore ucraino. Applausi
del pubblico decisamente sostenuti e pienamente
meritati.
17 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Meritato successo
al Teatro alla
Scala anche all'ultima replica di Pikovaja
Dama
Sono passati diciassette anni
da quando vidi La Dama di Picche per il
Teatro alla Scala -allora agli Arcimboldi-
nell'insuperata direzione di Yuri Temirkanov.
Ieri in un teatro al completo, l'ultima recita
ha trovato ancora un meritato successo, con
applausi fragorosi protatti per lungo tempo. È
un mix di contributi, tutti validi, quelli che
hanno portato la più importante
opera di
Čaikovskij
al successo milanese. Dopo la
prima
rappresentazione
con il
direttore russo Gergiev, tutte le replica hanno
decretato il trionfo per colui che l'ha
sostitito nelle quattro
repliche previste, Timur
Zanziev,
tra i più applauditi al
termine. I sette quadri, nei tre atti dell'opera
su libretto di Modest, fratello del più
celebrato compositore, tratte dall'omonimo
racconto di Puskin, sono tradizionali nella
messinscena, ma certamente tutti di riuscita e
spesso di spettacolare resa visiva. Hanno visto
l'ottima regia di Matthias Hartman, le
appariscenti scene di Volker Hintermeier,
illuminate a volte in modo luccicante dalle
valide luci di Mathias Märker e i bellissimi costumi di Malte Lubben. Di grande pregio
le coreografie di Paul Blackman, che
in questa
messinscena giocano un ruolo fondamentale,
unitamente alla strepitosa parte corale
preparata da Alberto Malazzi. Per
la componente delle voci soliste non possiammo
che essere soddisfatti, vista la qualità
complessiva a partire dal sempre presente in
scena Najmiddin Mavlyanov ner ruolo del
protagonista Hermann, tenore
significativamente valido in ogni settore
timbrico. Ottima l'incisività e la sua presenza
scenica. L'innamorata Liza ha trovato un
valido soprano in Elena Guseva, molto espressiva
e ancor di più nell'aria forse più bella del
terzo atto, con voce ricca di colori e perfetta
intonazione. Di decisa presenza scenica e
vocalità il
mezzosoprano Julia Zerteva, la
Contessa, e di altrettanto spessore
espressivo il baritono Alexsey Markov, il
principe Eleckij. Citiamo almeno le
altrettanto valide voci di: Yevgeny Akimov in
Čekalinskij, Alexei Botnarciuc in Surin,
Sergey Radchenko in Čaplickij, Roman
Burdenko
nel
Conte
Tomskij, Matias Moncada in Nuramov,
Brayan Ávila Martínez nel
Maestro di cerimonie, Elena Maximova in
Polina e gli altri. Per concludere ottima
la direzione del già citato Zanziev, che oltre a
far emergere con evidenza la componente vocale,
ha
diretto benissimo i professori del Teatro alla
Scala definendo in modo dettagliato i colori
strepitosi di
Čaikovskij,
che, come affermato precedentemente nella
lontana messinscena del 2005, mettono in rilievo
l’anima più russa del
compositore, unitamente alla sua passione per
Mozart con i riferimenti settecenteschi del
secondo atto e alla sfarzosità dell'opera
francese. Un lavoro che rimarrà a lungo nei
ricordi del fortunato pubblico presente alle
cinque rappresentazioni. (prime tre foto di M.Brescia e Amisano
a cura dell'Archivio del Teatro alla Scala)
16 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Il pianista Yevgeny
Sudbin per "Serate
Musicali"
Serate Musicali
da molti anni porta in Sala
Verdi, nel Conservatorio milanese, il pianista
russo, nato a san Pietroburgo, Yevgeny Sudbin.
Ieri il programma, come sempre diversificato, ci
ha permesso di assistere ad una serie di brani
di ampia escursione temporale: da Haydn a Ravel,
passando per Beethoven e Chopin. Un programma
classico dove il brano più vicino ai
nostri
tempi era quel Gaspard de la nuit del
compositore francese che risale al 1908. Il
classicismo di Franz Joseph Haydn (1732-1809)
con la Sonata per pianoforte in si minore
Hob. XVI/32, ha trovato un ottimo interprete
in Sudbin, pianista sicuro e ben attrezzato per
un'ampia gradazione dinamica, espressa con
controllato equilibrio coloristico. Con Ludwig
van Beethoven (1770–1827)
e le Sei Bagatelle per pianoforte op.126,
abbiamo assaporato una valida esecuzione, anche
se forse non sempre omogenea nello spessore
espressivo. La seconda parte della serata, con
la Ballata per pianoforte n.4 in fa minore
op.52 di Fryderyc Chopin (1810-1849) e poi
il già citato Ravel (1875-19), ci è apparsa di
maggiore resa emotiva. La celebre ultima Ballata
del polacco, molto articolata, ricca di
contrasti - dall'intenso melodiare iniziale,
alle complesse
armonizzazioni centrali- è stata
ben intercettata dall'interprete e la sua resa
d'indubbia espressività. Decisamente rilevante
Sudbin nell'ultimo lavoro, Gaspard de la nuit.
I tre corposi momenti, Ondine, Le gibet e
Scarbo, che formano una delle maggiori
opere pianistiche del primo decennio del '900,
hanno visto afficace resa nelle mani del russo,
che ha definito l'intreccio timbrico attraverso
ottimi parametri interpretativi, calibrando in
modo accurato le contrastanti dinamiche ed
esternando solido virtuosismo, nel rispetto
degli equilibri coloristici complessivi. Il
numeroso pubblico intervenuto ha apprezzato
l'interprete, elargendo al termine del programma
ufficiale, fragorosi applausi. Di notevole
qualità i due bis concessi con due Sonate
di Domenico Scarlatti tra le più celebri, di cui
la prima, quella in Fa minore K 466, di
splendido equilibrio estetico esternato con
matura riflessività. Ancora fragorosi gli
applausi.
15 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Il soprano Alexandra
Marcellier e il
direttore Giuseppe Grazioli in La voix
humaine di Francis Poulenc
È tornato alla direzione
dell'Orchestra Sinfonica di Milano "G.Verdi"
Giuseppe Grazioli,
direttore milanese che
abbiamo molte volte ascoltato in repertori a lui
cari, come quelli dedicati al compositore Nino
Rota. Ieri sera due compositori francesi hanno
animato il
palcoscenico
dell'Auditoriun di Largo Mahler: prima George
Bizet con una selezione di suite da l'Arlésienne
(1872), poi Francis Poulenc con La voix
humaine( 1958),dal testo di Jean Cocteau che
ricordiamo essere stato il riferimento del
Gruppo dei Sei, di cui il compositore faceva
parte. Due lavori molto diversi, che hanno in
comune solo l'eleganza e la raffinatezza
musicale tipica dei francesi. Il voluminoso
impatto sonoro dell'Ouverture della prima
serie di Suite ha rivelato subito la splendida
musica di Bizet, giocata su un'evidente capacità
d'orchestrazione delle bellissime melodie
popolari che l'Arlésienne ritrova. La musica,
negli otto momenti scelti per le due serie di
suite, descrive con taglio deciso l’evoluzione
dei personaggi della popolare vicenda ambientata
in Camargue, nei pressi di Arles. Grazioli con
una direzione decisa, esuberante e
particolareggiata, ha plasmato ottimamente gli
splendidi orchestrali della Sinfonica Verdi,
rilevanti in ogni sezione dell'orchestra, una
compagine spesso fragorosa nell'insieme,
come
anche nella seducente Marcia finale di
Farandole, ma con momenti di pacato lirismo
cameristico come nell'Andantino e nel
Menuetto dalla seconda suite. Dopo
l'intervallo c'è stato un deciso cambio di
registro con la celebre piece per voce
recitante e orchestra del secondo parigino,
Poulenc. La semplice ed elegante messinscena era
curata dalla regista Louise Brun, mentre
protagonista in scena, il soprano francese
Alexandra Marcellier. Nell'unico atto, la donna,
raffinata ed elegante, è impegnata costantemente
in una telefonata amorosa che alterna momenti
affettuosi ad altri di crescenti contrasti,
ricchi di tensione, sino alle parole finali con
quell'affranto «Je t’aime» ripetuto più
volte. Poulenc ha in modo geniale espresso
musicalmente
l'originale testo di Cocteau, e l'integrazione
tra la voce, quasi sempre in recitazione ma con
frangenti di alto lirismo vocale, e le pregnanti
sonorità orchestrali, è emersa splendidamente
grazie all'avvincente direzione di Grazioli e
alle qualità attoriali e vocali della Marcellier.
Una voce, la sua, con timbrica perfettamente
adatta al ruolo de " La voix humaine ". Applausi
fragorosi al termine con uscite ripetute dei
protagonisti. Bravissimi. Domenica, alle ore
16.00, l'ultima replica. Assolutamente da non
perdere.
12
marzo 2022 Cesare Guzzardella
Il giovane pianista Antonio
Alessandri diretto
da Valentina Peleggi al Dal Verme
Tre sono i validi motivi
d'interesse per il concerto de I Pomeriggi
Musicali ascoltato ieri sera e in replica
sabato alle ore 17.00: la presenza di un
direttore d'orchestra donna, cosa oramai
pittosto frequente, ma che ancora incuriosisce;
l'inserimento nell'impaginato di un brano di
una
compositrice che rarissimamente si ascolta; un
giovanissimo pianista per un concerto mozartiano.
Valentina Peleggi, che ricordiamo essere
Direttore Musicale della statunitense Richmond
Symphony Orchestra e Direttore Musicale Ospite
in Brasile del Theatro de Opera São Pedro, ha
infatti diretto l'Orchestra de Pomeriggi
Musicali in tre brani tra i quali l'ultimo della
francese Louise Farrenc (1804- 1875), con la sua
Sinfonia n.3 in sol minore op.39. La
Farrenc è stata all'epoca una celebre pianista
di livello internazionale e come compositrice,
autrice di brani pianistici, cameristici e di
tre sinfonie riscoperte solo negli ultimi
decenni. Il brano forse più atteso della serata
è stato probabilmente il secondo con il
Concerto n.13 per pianoforte e orchestra in do
minore K 415 di
W.A.Mozart
per via del giovanissimo pianista milanese
Antonio Alessandri, interprete quindicenne
allievo di Davide Cabassi. Ad introdurre il
concerto, l' Ouverture la Bella Melusina
di F. Mendelssohn ha rivelato la spigliatezza
del direttore nell'affrontare un brano tipico
del musicista tedesco per energia profusa e
naturale discorsività. L'ingresso sul
palcoscenico del Dal Verme di Antonio Alessandri
ha certamente destato interesse sia per la
giovene età dell'interprete che per la scelta di
un brano non facile del grande salisburghese.
Antonio ha affrontato i tre movimenti con
straordinaria disinvoltura, fornendo
un'interpretazione di ottimo livello, con valida
resa
stilistica,
tecnica fluida ben collaudata, sicurezza e
grande musicalità. Certamente un pianista che va
seguito nella sua evoluzione nei prossimi anni.
Energico il bis concesso con lo Studio n.8 in
fa maggiore op.10 di F. Chopin. La Sinfonia
n.3 della Farrenc ha
visto una valida interpretazione della
trentanovenne direttrice. È un lavoro che
risente molto dell'influenza beethoveniana con
uno sguardo nel romanticismo soprattutto
mendelssohniano. Notevole il terzo movimento,
Scherzo.Vivace, di incredibile energia
musicale e con una calibratissima resa dinamica.
Applausi convinti a tutti i protagonisti. Come
accennato, sabato la replica. Da non perdere.
11 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Roberto Prosseda
con l'Orchestra dell'Accademia del Teatro alla
Scala per la Società dei Concerti
L'Orchestra dell'Accademia
del Teatro alla Scala, diretta da Pietro Mianiti,
è stata ospite della Società dei Concerti
per una splendida serata che prevedeva musiche
di Mozar t
e di Schubert. È una formazione di giovanissimi
strumentisti quella vista ed ascoltata in
Conservatorio per due brani di Mozart e uno di
Schubert. Prima il Divertimento per archi n.1
in re maggiore K 136 ed il Concerto per
pianoforte e orchestra n.27 in mi bem. maggiore
K.595; poi il celebre
Quartetto
D810 "La morte e la Fanciulla",
nella trascrizione per orchestra
d'archi di Gustav Mahler. Il Divertimento
mozartiano ha rivelato la fluidità discorsiva
dell'Orchestra dell'Accademia scaligera che,
ottimamente diretta da Mianiti, ha espresso
molto bene la leggerezza, in stile galante, del
giovanile brano che Mozart compose nel marzo del
1772, non ancora sedicenne. Ben evidenziata la
bellezza melodica dei temi presenti nei classici
tre movimenti. Il terzo, un Presto ricco
di folclore scandito da un ritmo ben evidenziato
dagli archi, verrà poi ripetuto come bis al
termine del programma ufficiale. Il brano forse
più atteso, il Concerto K.595, ha visto
la presenza solistica del noto pianista Roberto
Prosseda. Nato a Latina nel 1975, nel corso
della sua brillante carriera si è specializzato
in Mozart, del quale ha inciso in Cd le Sonate e
molti concerti. Prosseda ha interpretato
con
profondità di pensiero e bellezza coloristica il
celebre lavoro che ha nella semplicità delle
melodie proposte un punto di forza. Il concerto
è stato scritto nell' ultimo
anno
di vita del compositore, il 1791, quasi a
simboleggiare di come la semplicità possa
racchiudere profondità di pensiero e rilevante
bellezza estetica. Il pianoforte ha scavato sino
in fondo, evidenziando le semplici note, come
quelle centellinate nel Larghetto
centrale, servite in un piatto dorato ricco di
delizie per le orecchie degli attenti
ascoltatori. Ottima la compagine orchestrale nel
sottolineare la fondamentale parte solistica.
Applausi sostenuti al termine. Due i bis
solistici concessi da Prosseda: prima il
movimento centrale Andante dalla
Sonata in do maggiore K330, interpretata
con
ancora intensa riflessione e profondità
espressiva; quindi, a conclusione, un omaggio ad
Ennio Morricone, dopo aver ricordato il ruolo
positivo della musica nel riappacificare gli
animi umani in questo difficile momento che
stiamo attraversando tra fine covid e vicina
guerra. Di alto spessore l'interpretazione della
versione originale pianistica del noto tema del
film La leggenda del pianista sull' oceano.
Dopo il breve intervallo ancora importante
musica con la schubertiana La Morte e la
Fanciulla. I giovanissimi orchestrali
diretti con maestria da Mianiti, hanno espresso
evidente musicalità nel proporre i quattro
corposi movimenti del noto Quartetto ben
trascritto da Mahler. Ancora più bravi ed
incisivi nel Presto finale, eseguito con
grinta ed energia decisamente matura. Bravissimi!
Applausi fragorosi a tutti i protagonisti.
10 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Il pianista Paul Lewis
per la Società del Quartetto
Pianista affermato
internazionalmente, il quarantanovenne inglese
Paul Lewis ha scelto un impaginato diversificato
per il suo recital tenuto ieri sera in
Sala Verdi al Conservatorio
milanese.
La prevalenza di brani beethoveniani, con due
celebri sonate quali la Patetica (1799) e
l'Appassionata (1804-5), eseguite
all'inizio e alla fine del programma ufficiale,
rivela la passione per il genio di Bonn,
compositore prediletto nella sua imponente
discografia insieme a Schubert (non presente
nell'impaginato). Tra la Sonata n.8 in do
minore op.13 e la Sonata n.23 in fa
minore op.57 di Beethoven, brani di
Sibelius, Debussy e Chopin hanno messo in
risalto ulteriori qualità dell'interprete.
Valida l'interpretazione delle due sonate, con i
momenti migliori nell'Adagio cantabile e
nel Rondò nella Patetica e nell'Allegro
ma non troppo nell'Appassionata. Abbiamo
trovato rilevanti qualità
espressive
nelle rare Sei Bagatelle op.97 (1920) di
Jean Sibelius ed eccellenti nel successivo
Children's Corner (1906-8) di Claude
Debussy, sei brani destinati a giovani
interpreti di apparente facilità, resi da Lewis
con una raffinata esposizione coloristica e un
perfetto equilibrio costruttivo. Di buona
fattura il suo Chopin con la Polonaise-Fantasie
op.61 (1846). Due i bis concessi con un
ottimo Felix Mendelssohn dalle Romanze senza
parole, il n.1 op.19 e il n.3
op.53 eseguiti con fluida e raffinata
discorsività. Applausi sostenuti dal numeroso
pubblico presente i sala. Prossimo concerto il
15 marzo con il Quartetto Emerson.
9 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Freddy Kempf
in Conservatorio per "Serate Musicali"
Riascoltare il pianista
londinese Freddy Kempf, da più di vent'anni
ospite di "Serate Musicali", è sempre un
piacere. Il suo talento virtuosistico non è
soltanto complessa iper-tecnica digitale, ma
supporto per un linguaggio personale di qualità.
Il suo impaginato diversificato, prevedeva brani
di Bach, Chopin, Rachmaninov e
Čaikovskij
di breve e media
durata, e due corpose
composizioni con la Sonata "Appassionata"
di Beethoven e Carnaval di Schumann.
Quello che ha unito brani molto differenti,
inseriti probabilmente per scelta dettata non da
ragioni storiche, ma di piacere personale,
è il modo di interpretare
di Kempf, pianista tout court, che trova
nel virtuosismo, spesso sostenuto con tempi
rapidi, un elemento espressivo del suo
particolare linguaggio certamente ricco di
pathos. Iniziando con un fulmineo Bach, con
il Preludio e fuga n.12 (1742) dal
secondo libro del Clavicembalo ben Temperato,
con il relativo preludio eseguito celermente ma
efficace nella quadratura temporale, Kempf ha
fatto poi un salto di parecchi decenni passando
allo Studio n.1 op.10 (1829-30) di
Chopin. Un'interpretazione brillante, ricca di
accenti e luminosissima. Con l'Allegro
moderato, il n.8 in re minore dagli
Etudes Tableaux op.39 (1916-17) di
Rachmaninov, il quarantacinquenne
pianista si è
spostato di molto nel tempo per poi tornare
indietro di trent'anni con la Dumka op.59 in
do minore (1886) di
Čaikovskij.
Entrambi i brani sono stati eseguiti molto bene,
in piena sintonia col mondo russo. Il primo
brano corposo, la Sonata in fa minore op.57 "Appassionata"
( 1804-05) del genio di Bonn, ha trovato un
virtuoso energico. L'estrema accelerazione dei
tempi laterali, Allegro assai e
Allegro ma non troppo, erano di una coerenza
esemplare nello stile di Kempf, forse lontani
dalla tradizione dei grandi del passato, ma
certamente di alto valore estetico. Anche con
l'ultimo brano in programma, Carnaval op.9
(1834-35), Kempf ha risolto energicamente i
ventidue brevi pezzi che compongono il
capolavoro di Schumann, con alcuni frangenti di
intensa meditazione espressiva, nei
momenti
più moderati. Ottima
interpretazione questa e tutte le altre per un
pianista che, in Italia, andrebbe considerato
maggiormente. Riflessivo e ben interpretato il
bis con il celebre Adagio cantabile dalla
Sonata "Patetica" (1798-99) di Beethoven.
Successo di pubblico e numerose uscite del
protagonista in palcoscenico.
8 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Un duo per tre
celebri brani allo
Spazio Teatro 89
Il concerto cameristico
ascoltato ieri pomeriggio allo Spazio Teatro
89 di Milano ha visto un ottimo duo sul
palcoscenico della piccola ma elegante sale
situata in via Fratelli Zoia 89.
Formato
da due concertisti di fama internazionale, quali
la violinista rumena Anca Vasile Caraman e dal
pianista siciliano Alberto Ferro, il duo ha
scelto tre lavori tra i più eseguiti al mondo
nel repertorio dei due strumenti. La Sonata
in la maggiore di César Franck, la Sonata
n.3 in sol minore di Claude Debussy e
l'ancor più celebre Rapsodia da concerto
Tzigane di Maurice Ravel. Questi lavori non
hanno certo bisogno di presentazioni, come ben
spiegato in apertura di concerto da Luca
Schieppati, pianista e organizzatore della
serata in collaborazione con "Serate musicali"
La sonata ciclica di Franck, del 1886,
con
quel bellissimo ritorno nei quattro movimenti
dei principali temi, è un esempio di grande e
unitaria costruzione del genio belga,
naturalizzato francese. La Sonata di Debussy,
del 1917, con quei rivoluzionari colori ritrova
il musicista francese proiettato nel futuro
della musica novecentesca; mentre la celeberrima
Tzigane, op.76 di Ravel, terminata nel 1924,
vede il trionfo del violino come strumento
virtuosistico e una ricerca timbrica, quella del
secondo francese, anch'essa particolarmente
moderna. Insomma, tre capolavori che nelle mani
dei due bravissimi interpreti hanno certamente
convinto i presenti in sala. Di rilievo la
chiarezza espressiva di entrambi gli
strumentisti. Ottima intesa tra
il
fraseggio dettagliato e ben calibrato nei volumi
di Ferro e il limpido timbro del voluminoso
violino della Vasile Caraman. Di qualità i due
bis concessi, che hanno maggiormente evidenziato
le abilità della violinista: prima un
Capriccio di Niccolò Paganini (Capriccio
n.1) nella trascrizione con pianoforte di
R.Schumann e poi un bellissimo Max Reger con la
rara ma pregnante Romanza in sol maggiore.
Bellissimo concerto per i fortunati e non
numerosi presenti.
7 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Alessandro Taverna
a Villa Necchi Campiglio
La Società del Quartetto, in
collaborazione con il FAI, ha portato alla
rassegna musicale di Villa Necchi Campiglio il
pianista veneziano Alessandra Taverna. Affermato
a livello
internazionale dopo la vittoria del
Concorso di Leed del 2009, Taverna ha proposto
nel suo impaginato due brani di Chopin
inframezzati da un lavoro di Alekandr Skrjabin.
Una scelta che mette in rilievo il mondo
romantico dalla prime note, quella dell'Andante
Spianato e Grande Polonaise brillante Op.22
del polacco, tipiche di un romanticismo melodico
di fase iniziale, sino ai momenti più evoluti
del Presto della Sonata-Fantasia n.2
op.19 del russo Ma già nell'incredibile
Presto della Sonata n.2 in Si bem. minore
op.35 del polacco, eseguito come ultimo
brano, si coglie già una stile compositivo che
si spinge verso nuovi orizzonti espressivi.
Taverna ha ben interpretato i tre lavori e
specie nella celebre Sonata della Marchè
funebre di Chopin ha trovato una valenza
interpretativa di alto spessore, definito da una
dettagliata chiarezza
espositiva che esalta ogni
peculiarità del corposo lavoro. Ottima la
sintesi discorsiva nella Sonata centrale di
Skrjabin. Applausi dal numeroso pubblico
intervenuto ed eccellente il bis concesso con il
Valzer brillante op.34 n.1 di Fryderyk
Chopin. Il prossimo appuntamento della Società
del Quartetto è previsto per martedì 8 marzo
alle 20.30 in Conservatorio col pianista inglese
Paul Lewis, specialista di Beethoven e di
Schubert, eseguirà per l'occasione brani di
Beethoven, Sibelius, Debussy e Chopin. Da non
perdere!
6 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Un omaggio a
Paolo Castaldi al
Teatro dal Verme
L'Orchestra de I Pomeriggi
Musicali, dirett a da
James Feddeck, ha voluto ricordare il
compositore milanese Paolo Castaldi (1930-2021),
a un anno dalla sua scomparsa, eseguendo due
suoi lavori: il primo, più
breve, Refrains per pianoforte e orchestra,
era in prima esecuzione assoluta e il secondo,
Seven Slogans per orchestra, era in due
ampie sezioni di cui
la
prima tripartita. Il compositore, anche saggista
e docente di Conservatorio, ha sin dagli anni
'50 partecipato al dibattito relativo ai nuovi
modi di comporre la musica, inserendonsi in quel
filone di musicisti che partendo da Stravinskij
trovava un linguaggio espressivo molto libero
pur essendo ancorato al mondo tonale. I due
brani proposti ieri sera, che troveranno una
replica sabato alle ore 17.00, sono stati
particolarmente significativi per evidenziare
l'originale stile compositivo di Castaldi che
con modalità assai personali, spesso unisce
frammenti discorsivi del passato in una sorta di
collage e di polistilismo. In Refrains
la parte solistica era affidata alla pianista
Antonella Moretti. Il breve lavoro, meno di nove
minuti la sua durata, era suddiviso in nove
brevissimi momenti musicali. Il pianoforte della
Moretti, ha segnato in modo determinato e
incisivo lo svolgimento di Refrains (2000-2001)
in cui spesso la sovrapposizione di differenti
piani sonori e il rapporto dialettico con lo
strumento solista determinano brevi suggestive
timbriche, spesso improvvisamente interrotte.
Le
sonorità, molto cameristiche, dove anche i legni
e gli ottoni hanno un ruolo fondamentale, hanno
espresso bene questa sorta di neoclassicismo
molto stravinskijano mediato dall'origionale
linguaggo di Castaldi. Ottima la parte
pianistica della Moretti, anche con inserzioni
di brevissima durata. Nel secondo brano, con i
Seven Slogans, brano orchestrale composto
nel 1985-86, le modalità di scrittura hanno lo
stesso orientamento in stile neoclassico, ma
l'evolversi della composizione, più discorsiva e
meno segmentata, ritrova una chiarezza
espressiva ricca di contrasti in un contesto
sempre cameristico. Valida la direzione di
Feddeck e la restituzione dell'Orchestra de I
Pomeriggi. Il concerto è terminato con una
interessante interpretazione della Sinfonia
n.1 in re maggiore D 82 di un Franz Schubert
solo sedicenne. Ottima interpretazione. Applausi
sostenuti dal pubblico presente al Teatro Dal
Verme. Sabato, come già detto, si replica.
4 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Poesie della Merini
e musica al Museo
del Novecento
Dalla collaborazione tra il
Museo del Novecento, NoMus e la Società del
quartetto, è nata una rassegna musicale e
letteraria che ha visto ieri pomeriggio il primo
di una serie d'incontri che
si
terrano in questi mesi. L' "Omaggio ad Alda
Merini" è avvenuto con una lettura-concerto di
alcune pregnanti poesie della scrittrice
milanese e con l'esecuzione di brani dei primi
decenni del '900. Protagonisti di questa
riuscita iniziativa sono stati Elena Zegna, voce
recitante, e la pianista Eliana Grasso.
Alternando poesie ai brani pianistici di
Debussy,
Šostakoviç, Rachmaninov, Skrjabin,
Messiaen, Lutoslawski, Prokofiev, Bartók,
Boulanger e Casella, inseriti in quattro quadri
espositivi, si è venuta a creare ,
nel bellissimo spazio preposto al Museo del
Novecento, una situazione particolarmente
importante dovuta ai contrastanti testi poetici
della Merini, recitati
molto bene dalla Zegna, e dalle espressive e
diversificate composizioni interpretate con
intenso coinvolgimento emotivo dalla bravissima
Grasso.
Tra i brani eseguiti citiamo almeno quello
iniziale con il celebre Clair de lune di
Claude Debussy, il Preludio op.3 n.2 di
Sergej Rachmaninov, un selezione dalle Danze
fantastiche di Dmitri
Šostakoviç,
alcune Danze Fuggitive di Prokofiev,
alcuni brani di Skrjabin e il significativo
brano conclusivo con la rara ma efficace
Toccata in do dies.minore op.6 di A.Casella.
Una serie di brani ben accostati ai caratteri
spesso forti e taglienti di alcune poesie della
Merini, ma anche ad altre di più pacata
espressività. Citiamo tra le poesie almeno
Manicomio, Il dottore agguerrito nella notte,
Sono folle d'amore per la sera, Abbiamo le
nostre notti insonni, L'ora più solare per me,ecc.
Di qualità l'interpretazione pianistica della
Grasso che ha rivelato sicurezza e intensa
partecipazione emotiva in tutti i brani proposti.
Applausi intensi dal numeroso pubblico
intervenuto. Ottima iniziativa!
2 marzo 2022 Cesare Guzzardella
Prossimamente al Civico di
Vercelli l'arpa di Valerio Lisci
Sabato 5 marzo 2022 al Teatro
Civico di Vercelli , Via Monte di Pietà 15, ore
21 si terrà un concerto
dell'arpista Valerio Lisci. In programma N. Rota
- Sarabanda e Toccata; N.C. Bochsa - Rondeau sur
le trio Zitti zitti da Il barbiere di Siviglia
di G. Rossini;F. Mannino - Tre Canzoni;E. Parish
Alvars - Grande fantasie sur des motifs de Lucia
di Lammermoor op. 79;G. Caramiello - Rimembranza
di Napoli op. 6; V. Lisci - La Maschera; E.
Parish Alvars - Sérénade op. 83;W. Posse -
Variazioni su Il Carnevale di Venezia .
DALL'ITALIA VERSO IL MONDO:
AL CIVICO L'ARPA DI VALERIO LISCI
Oltre
a voler proporre al suo pubblico tutto ciò che
di meglio offre oggi la nuova generazione di
concertisti, il XXIV Viotti Festival vuole anche
ampliare gli orizzonti dello spettatore,
portandolo a incontrare repertori e strumenti
meno conosciuti. Due obiettivi ambiziosi che si
fondono in un unico concerto, quello in
programma sabato 5 marzo al Teatro Civico di
Vercelli (ore 21, concerto in abbonamento).
Ovvero, l'appuntamento che vedrà protagonista il
non ancora trentenne Valerio Lisci, “ambasciatore”
nel mondo di uno strumento non comune ma di
grandissimo fascino: l'arpa. Nel corso della
serata, Lisci non solo mostrerà con accattivante
virtuosismo tutta la sorprendente capacità
espressiva dell’arpa, ma proporrà anche un
programma “a tema”. Il concerto si intitola
infatti Italianeggiante, ed è un suggestivo
viaggio verso e attraverso il nostro Paese,
visto sia con gli “occhi musicali” di autori
italiani, sia con la sensibilità di compositori
stranieri che all'Italia si sono ispirati. Si
passerà così per pagine di autori che sono stati
anche grandi arpisti, come Bochsa, Alvars,
Caramiello, Posse e, non certo ultimo, lo stesso
Valerio Lisci che presenterà il suo La Maschera,
ma si scoprirà anche che due protagonisti della
musica scritta per il cinema quali Nino Rota e
Franco Mannino hanno composto per arpa, e con
risultati spettacolari. E poi si viaggerà per
l'Italia, da Napoli e Venezia, assaporando sia
temi popolari sia la musica più “colta”, e si
uscirà dal Civico stupiti che uno strumento
tanto difficile da padroneggiare
– la tecnica
arpistica è estremamente complessa
– possa
riservare così tante emozioni.
1 marzo 2022 dalla redazione
FEBBRAIO 2022
Lorenzo Viotti
dirige la Filarmonica della Scala in
Čaikovskij
e in
Rachmaninov
Il direttore Lorenzo Viotti
tra le repliche della bellissima Tha ïs,
da lui diretta, ha tenuto un concerto sinfonico,
replicato due volte, dirigendo la Filarmonica
della Scala in brani di
Čaikovskij
e Rachmaninov. Dei due compositori sono stati
eseguiti la Serenata in do
maggiore
per archi op.48, che P.I.Čaikovskij compose
nel 1880, e la Sinfonia n.2 in mi minore
op.27 che Sergej Rachmanonov concepì
nel 1907. La compattezza timbrica del lavoro
cameristico del primo russo ha trovato un'
eccellente interpretazione nel gesto asciutto,
essenziale e misurato del giovane direttore
svizzero. La celebre Serenata op.48 è
strutturata in quattro parti e presenta un tema
introduttivo dal carattere profondo e
celebrativo, tema che ritornerà ancora nel corso
del brano e anche alla sua conclusione.
L'atmosfera ricca di nostalgia e tristezza dell'Allegro
iniziale e dell' Elegia trova momenti
di estrema positività nel delizioso Valzer
centrale e nell'estroverso Allegro con
spirito finale, una danza popolare
divertente. Viotti ha trovato il giusto dosaggio
nel definire le sottili timbriche che
definiscono i contrastanti e repentini
cambiamenti del brano, mantenendo un equilibrio
perfetto nelle risoluzioni dinamiche. Bravissimi
gli archettisti della Filarmonica. Ben più
corposa, complessa e virtuosistica la rara
Sinfonia n.2 del secondo russo. L'ampio lavoro,
di quasi sessanta minuti di durate, presenta
situazioni melodiche tipiche del compositore e
frangenti di grandi volumetrie timbrica che
rivelano le alte capacità d'orchestrazione di
Rachmanimov, autore di un lavoro certamente
evoluto considerando il periodo di scrittura. La
Sinfonia, ricca di straordinari impasti
coloristici, è stata resa con maestria da Viotti
per una coinvolgente interpretazione dei
filarmonici scaligeri. Bravissimi in tutte le
sezioni orchestrali, gli strumentisti della
Filarmonica della Scala hanno trovato ancor più
una resa eccellente nell'Allegro vivace
conclusivo. L'Op.27 meriterebbe una più larga
diffusione. Applausi sostenuti in un teatro al
completo e numerose uscite in palcoscenici del
direttore.
28 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
ALEXANDRA DOVGAN
A VERCELLI - QUANDO LA MUSICA ILLUMINA
Ieri sera, sabato 26 febbraio,
il Festival Viotti, nella nuova serata della sua
ventiquattresima stagione, vedeva il debutto, al
Teatro civico di Vercelli, della giovanissima
pianista russa Alexandra Dovgan, quattordicenne
che ha cominciato a segnalarsi da qualche tempo
nel firmamento del concertismo internazionale,
con numerose esibizioni anche in Italia, e la
cui comparsa sui palcoscenici si è già meritata
l’appellativo di ‘evento’, “Lanciata” da
autorevolissimi endorsements, come quello del
connazionale Grigorij Sokolov, che, come si
legge nel programma di sala, assicura che
Alexandra non è più classificabile come un
enfant prodige, ma ha già maturato una
personalità adulta, si è guadagnata la fama di
‘piccolo genio’ della musica, Il pezzo scelto
dalla Dovgan per il suo recital vercellese è
stato uno dei due concerti di Chopin,
precisamente quello indicato come n.2 benché,
come noto, sia stato il primo a essere composto
dal grande polacco: il Concerto in Fa minore
op. 21. Ci pare interessante rilevare che
secondo il programma del ViottiFestival diffuso
a inizio stagione, la Dovgan avrebbe dovuto
eseguire il concerto KV 491 di Mozart, un
concerto che ha il suo
valore
principale nella straordinaria e tragica
tensione espressiva, soprattutto nel primo
tempo. In un’intervista di qualche tempo fa, la
giovanissima pianista russa ha dichiarato di
essere sempre lei a scegliere i pezzi da
eseguire in concerto. Se è così, e non ne
dubitiamo, è evidente che qualcosa ha indotto la
Dovgan a preferire, ad un pezzo di grande
profondità espressiva e dunque di intenso
impegno interpretativo, un pezzo che porta in
primo piano il virtuosismo del solista, specie
nei due tempi esterni, affidando al tempo lento
centrale il compito di dar voce ad un più effuso
afflato espressivo. Insomma, una virata dal
pianismo ‘espressivo’, al ‘pianismo spettacolare’.
Francamente e sinceramente: peccato! Il
programma prevedeva poi l’esecuzione di uno dei
più celebri capolavori del sinfonismo
ottocentesco, la beethoveniana Sinfonia n.6 in
Fa maggiore op.68, universalmente nota come la ‘Pastorale’,
L’orchestra era, come di consueto, la Camerata
Ducale, diretta da Guido Rimonda. Fin dalle
prime battute d’esordio del pianoforte, dopo
l’esposizione orchestrale, nel concerto
chopiniano, la Dovgan mettte in luce le
solidissime basi tecniche del suo pianismo: la
serie di quartine di semicrome in fortissimo con
cui il pianoforte irrompe sulla scena e il
successivo flusso, sempre di quartine di
sedicesimi, che introduce il secondo tema,
scorrevano sulla tastiera con un tocco elastico,
un perfetto equilibrio tra le due mani, un’
energia, capace di proiettare un adeguato volume
di suono, che si sgranava poi negli acuti degli
abbellimenti, in particolare dei trilli, con
cristallina limpidezza. Chi ascolta la Dovgan in
questi brani di alto virtuosismo, non ha però
l’impressione di trovarsi di fronte ad un
virtuosismo esibito e forzato, teso al massimo
della spettacolarità: c’è, nel fraseggio della
giovane russa, un che di sobrio, di genuinamente
spontaneo, che aderisce alla partitura senza
voler strafare: non è, insomma, per usare la
sprezzante espressione di Clara Wieck-Schumann,
“una pestona”. Un po’ piatta, a nostro modesto
parere, l’esecuzione dell’Allegro vivace finale,
in forma di Rondò, dove il fraseggio della
Dovgan, impeccabile nelle parti virtuosistiche,
non è riuscito a rendere pienamente la fresca
leggerezza popolaresca del ritornello né,
soprattutto, quella ambigua vaporosità del
secondo couplet, che è forse la parte più bella
del Finale. Ma la Dovgan ha mostrato cosa può “diventare
da grande” nell’interpretazione di quello che è
il ‘centro spirituale’ del concerto n.2 di
Chopin, cioè il centrale Larghetto. Con
intelligente scelta interpretativa, la solista
russa evita la tentazione peggiore di pezzi come
questi (e di molto Chopin), cioè l’abbandono ad
una languida sognante atmosfera di maniera,
puntando tutto sulla purezza e soprattutto sulla
dimensione interiore della melodia, grazie ad un
tocco che sa tornire suoni perlacei e delicati,
talvolta quasi sfiorati, anche nei numerosi
abbellimenti: quello che la Dovgan ci propone è
un meraviglioso brano musicale improntato ad
un’intimità avvolgente, guidata da un sapiente
controllo delle dinamiche, e che diventa davvero
cosa sublime nel dialogo con il controcanto del
fagotto, nella ripresa, dopo la contrastante
sezione centrale, più mossa e drammatica. Questa
è davvero musica che illumina chi ha il
privilegio di ascoltarla e in questo brano la
Dovgan ha mostrato di essere straordinariamente
adulta . Nei concerti chopiniani, ben si sa,
secondo il gusto Biedermeier dominante negli
anni ‘20-‘30 delll’800, l’orchestra non ha un
grande ruolo, limitandosi ad accompagnare il
protagonista assoluto, il solista. Però Rimonda
è stato bravissimo a guidare la Camerata Ducale
nel seguire, in questo splendido secondo tempo,
il fraseggio della solista, con una grande cura
dei dettagli timbrici, un giusto stacco dei
tempi, un chiaroscuro sottile e avvolgente delle
dinamiche. Davvero un’emozionante esperienza di
ascolto. E la bravura e la maturità ormai solida
di Rimonda come direttore d’orchestra hanno dato
ottima prova di sé nell’esecuzione della
Pastorale. Sotto la pluridecennale guida del suo
fondatore e direttore, la Camerata ducale ha
raggiunto una perfetta trasparenza di suono, che
Rimonda ha in questa occasione valorizzato al
massimo, curando con particolare finezza le
dinamiche e gli impasti timbrici, anzitutto
quelli, decisivi per la Pastorale, fra gli archi
e i fiati, ieri sera in forma strepitosa. Quasi
subito l’ascoltatore è stato colpito, al
comparire del secondo motivo dell’Allegro
iniziale, dal suo trascolorare meravigliosamente
reso, dai violini ai violoncelli, ai flauti: è
cosi cominciato il viaggio in un meraviglioso
mondo di suoni, che ha qualcosa dell’incantesimo
di una magia, sotto la guida della bacchetta di
Rimonda. Anche nei brani che troppe
interpretazioni di esecutori e di critici hanno
banalizzato a puri brani descrittivi di un
postdatato barocco, come la “scena al ruscello”,
l’interpretazione di Rimonda fa prevalere
nettamente le ragioni della musica, come quando
il tema di ‘barcarola’ in semicrome, più che “il
brusio delle mille voci della natura” per citare
il grande Mila, si presenta come una toccante,
tenera danza di una musica luminosa, tersa, che
avvolge nell’ebbrezza di una gioia senza limiti
l’ascoltatore, invitato a immergersi nel sereno
flusso della vita. Dicevamo della bravura dei
fiati ascoltati ieri sera: ci si conceda qui un
elogio particolare dell’oboe che, nel terzo
tempo, espone, con una tenerezza e dolcezza
straordinarie la terza idea del movimento,
accompagnato dall’”ostinato” dei violini. La
climax di questo viaggio nella magica fiaba
sonora della Pastorale veniva poi raggiunta in
quel momento di indicibile incanto, in cui
avviene il trapasso dal fragore della tempesta
allo splendido canto pastorale che domina il
finale, che nell’interpretazione di Rimonda
acquista una dolcezza e un sentimento di intima
felicità riconquistata, che è delle migliori
esecuzioni a noi note di questo capolavoro.
Applausi prolungati di un pubblico che è tornato
a riempire il Teatro Civico e che nella
splendida musica ascoltata ieri sera ha trovato
un po’ di conforto e forse di speranza, in un
periodo di peste e di guerra come quello che
stiamo vivendo. Serata che non dimenticheremo.
Bruno Busca 27 febbraio 2022
Continua il successo
per il Thaïs di Massenet al Teatro alla Scala
Le ultime repliche del
Thaïs alla Scala continuano ad avere un
meritatissimo successo. Anche alla quarta
rappresentazione, vista ieri sera, il pubblico,
in un teatro al completo, ha tributato ripetuti
applausi a tutti i protagonisti. Sono passati
ottant'anni dalle prime rappresentazioni
scaligere dell'opera di Jules Massenet. In piena
seconda guerra mondiale, nel febbraio e nel
marzo
del 1942, vennero date le uniche cinque
rappresentazioni dirette da Gino Marinuzzi.
Vedendo la riuscita messinscena di questi giorni
ci sembra evidente che questo capolavoro
musicale francese mancava da Milano da troppo.
L'apporto dell'originale e articolata musica di
Massenet, composta intorno al 1894, è elemento
strutturale per ogni messinscena. Nella versione
del 1898, quella proposta al Teatro alla Scala
dal direttore Lorenzo Viotti -svizzero di
origine italo-francese- , e dal regista teatrale
francese Olivier Py, il gioco di squadra è stato
esemplare. Le scene e i costumi di pregio di
Pierre-André Weitz hanno disegnato, con resa
efficace, la semplice storia tratta dal romanzo
di Anatole France e riportata nel libretto di
Louis Gallet. La fondamentale parte coreografica
di Ivo Bauchiero, sorretta dell'esemplare musica
del grande compositore francese e dalle adeguate
luci di Bertrand Killy, ha trovato un
inserimento perfetto nel contesto scenografico.
Ricordiamo l'ottimo intervento dei bravissimi
bellerini Beatrice Carbone e Gioacchino Starace
nel famoso intermezzo "Méditation",
tema
che conclude il primo quadro del secondo atto e
che verrà accennato o ripetuto più volte nel
corso dell'opera, anche nella toccante ultima
scena con le voci dei due principali
protagonisti. La componente vocale, di gran
pregio, ha trovato come prime voci e primi
attori, il soprano Marina Rebeka, una Thaïs
di grande spessore che affronta il difficile
ruolo con padronanza vocale esemplare, e il
baritono Lucas Meachem, un Athanaël
giovane cernobita, con timbro sicuro e ricco di
dettagli. Di qualità le altre voci. Segnaliamo
Giovanni Sala, un Nicias di grande
espressivita , Caterina Sala in
Crobyle, Anna Doris Capitelli in Myrtale,
Valentina Pluzhnikova in Albine,
Nicole Wacker La Charmeuse (in
sostituzione di Federica Guida indisposta),
Insung Sim in Palémon, ottimi
insieme agli altri. Naturalmente di grande
qualità il Coro preparato da Alberto
Malazzi. Ultima replica prevista per mercoledì 2
marzo. Da non perdere! (Foto di
Brescia- Amisano dall'Archivio del Teatro alla
Scala)
26 febbraio 2022 Cesare
guzzardella
Giuseppe Gibboni
con l' Orchestra dei
Pomeriggi Musicali per Paganini
Un'occasione da non perdere
quella offerta da I Pomeriggi Musicali
ieri sera. Giuseppe Gibboni, recente vincitore
del "Concorso Internazionale di violino
N.Paganini" di Genova,
uno
dei più prestigiosi al mondo, è venuto al Dal
Verme per eseguire il Concerto n.1 per
violino e orchestra op.6 di Paganini. L'Orchestra
de I Pomeriggi diretta da James Feddeck
aveva iniziato la serata con una valida
interpretazione dell' Ouverture e Scena di
danza da Arianna e Nasso di Richard Strauss.
La serata ha avuto una svolta con la salita sul
palcoscenico del ventenne violinista salernitano.
Proveniente da una famiglia di musicisti,
Gibboni suona da sempre il violino. Esemplare la
sua interpretazione del concerto, forse il più
noto del grande musicista e virtuoso genovese.
La celebre op.6, strutturata in tre ampie parti,
è un mirabile esempio della cantabilità italiana
legata al mondo lirico e a quello strumentale.
Paganini ha impreziosito le sue bellissime arie
con i suoi virtuosismi.
Nella
restituzione del lavoro, Gibboni ha sbalordito
per la bellezza del suo timbro. Una cantabilità
precisa e luminosa, arricchita con i noti
virtuosismi che con abilità esegue con resa
semplice, pur essendo di una complessità
inaudita. Ottima la componente orchestrale nella
direzione di Feddeck. Applausi spontanei dal
pubblico presente alla fine dell'Allegro
maestoso iniziale, e ancor più fragorosi al
termine del concerto. Due splendidi bis concessi
da Gibboni. Prima il Capriccio n.24
sempre del genovese e poi un luminosissimo Bach.
Dopo il breve intervallo, di qualità
l'esecuzione della neoclassica Suite dal
Pulcinella di Igor Stravinskij. Sabato alle
ore 17.00 si replica. Da non perdere!
25 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
La pianista Ying Li
per la
Società dei Concerti in Conservatorio
La Serie Rubino dei concerti
organizzati dalla "Fondazione la Società dei
Concerti" ha ritrovato ieri sera la pianista
cinese Ying Li per un recital variegato e ben
strutturato. Per l'occasione, in concomitanza
con la Settimana della moda milanese, la
pianista si è presentata indossando due eleganti
abiti della stilista Francesca Imperatore. Più
classico il primo, come
classici
erano i brani della prima parte del concerto,
più estroso e ricco di colori il secondo, in
sintonia con i lavori della seconda parte. Ying
Li è stata la vincitrice della prima edizione
del "Premio Internazionale Antonio Mormone",
terminato nel luglio dello scorso anno, ma ha
vinto anche altri importanti concorsi
internazionali, il più recente nell'ottobre del
2021 a New York. Certamente l'alto rilievo della
tecnica pianistica sta diventando una costante
per molti pianisti delle ultime generazioni.
Ying Li oltre ad un formidabile virtuosismo ha
una varietà di timbriche luminose e
dinamicamente ricche. La prima parte del
concerto era dedicata a J. S. Bach con la
Suite Francese n. 5 BWV 816 e a R.Schumann
con la Phantasiestücke op.12. Ottimo il
Bach ascoltato, ricco di luce e perfettamente
strutturato nella successione dei sette
movimenti, con la celebre Gigue finale
d'effetto per l'accentuata ed espressiva ritmica.
Rilevante Schumann con la nota Op.12 ben
rilevata in ogni dettaglio, una
Phantasiestücke, però, non ancora pregna di
spirito romantico. Di particolare qualità la
seconda parte della serata. I brani ascoltati di
Bartók, Albeniz e Ginastera, tutti composti nei
primi decenni del '900, dimostrano
l'attitudine
di molti giovani pianisti ad esprimersi con
maggior rigore nei lavori meno lontani o nel
repertorio contemporaneo. Ying Li dopo aver
ottimamente interpretato la Suite op 14
di Bartók, quattro
movimenti
composti dal compositore ungherese nel 1916, ha
decisamente sbalordito in Albeniz con due brani
tratti da Iberia: prima con Triana
e poi con Fête Dieu à Seville. Con grande
sicurezza ha riempito di colori i contrastati
momenti delle due splendide composizioni. Le sue
qualità ritmiche si sono poi ancor più rivelate
a conclusione del programna ufficiale, con le
più recenti Danzas Argentinas op.2, opera
del compositore argentino Alberto Ginastera del 1937. La vivacità
dei brani laterali - Danza del viejo boyero
e Danza del gaucho matrero- hanno
entusiasmato per padronanza ritmico-percussiva,
mentre il meditato bellissimo brano centrale, la
Danza de la moza donosa, ha rivelato
l'intensa vena melodica dell'interprete.
Successo caloroso con applausi fragorosi dal
numeroso pubblico di Sala Verdi in Conservatorio.
Due i bis concessi dalla bravissima Ying Li:
prima un ottimo virtuosistico Verdi-Liszt con la
celebre Parafrasi dal Rigoletto e poi un
ritorno alla pacatezza con un valido Mozart nell'
Andante cantabile dalla Sonata in si
bem. maggiore K.333. Qualche variante nelle
ultimissime battute, ma comunque di ottima
fattura. Bravissima!
24 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
PROSSIMAMENTE ALEXANDRA
DOVGAN A VERCELLI
Il
talento non ha età: si può riassumere così lo
spirito del concerto che il XXIV Viotti Festival
presenterà al suo pubblico sabato 26 febbraio al
Teatro Civico di Vercelli (ore 21, concerto in
abbonamento),
protagonisti la pianista Alexandra Dovgan e
l'Orchestra Camerata Ducale diretta da Guido
Rimonda. Non ha età perché la Dovgan, che vanta
un presente da solista internazionale
pluripremiata, ha appena 14 anni, una musicalità
purissima, una maturità sorprendente e una
spiccata insofferenza per la definizione di
“enfant prodige”. E la si può capire: la sua
presenza carismatica e la sua solidissima
capacità interpretativa non hanno proprio nulla
di adolescenziale. Ci si troverà dunque di
fronte a una solista a tutti gli effetti già nel
periodo “adulto” del suo percorso artistico, il
che conferma la caratteristica unica del
Festival vercellese, ovvero la capacità di
proporre al suo pubblico tutte le assolute
eccellenze delle nuove generazioni di interpreti.
La Dovgan proporrà il Concerto n. 2 op. 21 di
Fryderyk Chopin, e Chopin, come è risaputo,
rappresenta l'apoteosi del pianoforte. (Foto a
cura dell'ufficio stampa di Vercelli).
23 febbraio dalla redazione
Gidon Kremer
in Conservatorio per i
concerti di Serate Musicali
Le "Serate Musicali" hanno
organizzato un concerto celebrativo per i 75
anni di Gidon Kremer ospitando, oltre al celebre
violinista lettone, la violoncellista Giedré
Dirvanausskaité - da anni strumentista della
Kremerata Baltica- e il più giovane pianista
Georgijs Osokins. L'impaginato diversificato,
con trii di Schumann e Rachmaninov, ha
visto anche due brani
contemporanei:
il primo di Igor Loboda ( 1956)
un Requiem per violino solo, dedicato al popolo ucraino per le infinite
sofferenze subite; il secondo di Victoria Poleva
(1962), un trio in un unico movimento del 2022
in prima esecuzione italiana. È una
caratteristica di Kremer quella di produrre
programmi che spaziano tra differenti periodi
storici, inserendo sempre brani del Novecento e
di musicisti contemporanei. Decine di
compositori infatti, hanno scritto musica per
lui, violinista tra i più riconosciuti del
panorama mondiale. Il corposo Trio con
pianoforte n.3 in sol minore op.110 di
Robert Schumann ha introdotto la serata,
rivelando da subito la cifra qualitativa del
gruppo cameristico. Il brano eseguito per ultimo
di Serjei Rachmaninov, Trio elegiaco in re
minore op.9, opera giovanile del grande
russo, ha sbalordito per qualità prodotta e
sinergie degli interpreti. Tra loro, il pianista
Osokins si è distinto
per sensibilità e
sicurezza, sostenendo un ruolo primario e
dimostrando di penetrare in profondità - come
gli altri interpreti- nella sofferta parte di
questa elegia, opera che trova momenti di
grande riflessione e altri di imponenti
esternazioni volumetriche. Esecuzione esemplare.
Nella parte centrale del concerto i due brani
recenti, di relativamente breve durata, hanno
visto prima l'assolo di Kremer col significativo
Requiem, opera del 2014 del compositore
georgiano Loboda. È un profondo e virtuosistico
lavoro il Requiem, costruito su una canzone
popolare ucraina, variata nelle complesse ed
espressive progressioni melodiche che si
concludono lentamente al ritmo di un
significativo pizzicato ottenuto col dito
mignolo. Il Trio dedicato a Kremer denominato "Amapola",
della compositrice russa Poleva, ha modalità
polistilistiche, con un impianto
melodico-armonico fondamentalnente tonale di
immediata comprensione. Le parti solistiche del
violino e del violoncello intervengono in un
tappeto sonoro pianistico dalle timbriche
luminose, efficacemente introdotte e sviluppate
dal bravissimo Osokins. Lavoro di evidente
qualità, Amapola ha trovato riscontro
favorevole dal numeroso pubblico intervenuto in
Conservatorio. Calorosi applausi al termine del
programma ufficiale, con ripetute uscite in
palcoscenico dei protagonisti. Splendido il bis
concesso con un adattamento strumentale per trio
del noto lied Du bist die Ruh' di Franz Schubert eseguito con intensa
espressività melodica.
22 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
La violinista Carolin
Widmann diretta da Yoel Gamzou per il concerto
di Korngold
Ieri pomeriggio l'
Orchesrra Sinfonica di Milano "G. Verdi" ha
tenuto l'ultima replica del concerto diretto da
Yoel Gamzou per due lavori importanti quali il
Concerto per violino e orchestra in Re
maggiore op. 35 di Erich Wolfgang Korngold e
la Sinfonia n. 1 in Re
maggiore
"Il Titano" di Gustav Mahler. Sono riuscito
ad ascoltare- per sopraggiunti impegni- sola la
prima parte del concerto. Il lavoro del
compositore austriaco E. Wolfgang Korngold, nato
a Brno nel 1897 e morto negli Stati Uniti nel
1957, ha avuto una non breve gestazione che è
durata sino alla prima esecuzione che ebbe luogo
nel 1947 per la bacchetta di Vladimir Golshmann
e il prestigioso violino di Jasha Heifetz. Il
tardo-romanticismo, dal sapore molto nordico, di
questo splendido brano, strutturato nei classici
tre movimenti, ha trovato come protagonista la
violinista tedesca Carolin Widmann, solista di
livello internazionale. La Widmann ha dato una
lettura di altissimo livello coadiuvata
dall'ottima direzione di Yoel Gamzou e dalle
espressive timbriche di tutte le sezioni
orchestrali. Soprattutto il
coinvolgente
Moderato nobile iniziale, il movimento
più corposo, ha rivelato la valenza di un grande
musicista quale Korngold, un tempo noto
soprattutto per le numerose colonne sonore di
film americani, per le quali, per alcuni di essi
ottenne anche premi Oscar. L'incisività e la
discorsività, ricca di espressività, della
Widmann hanno esaltato la ricchezza
virtuosistica di un concerto che vanta anche
un'esemplare orchestrazione, degna di un G.
Mahler o di un R.Strauss. Applausi sostenuti al
termine ai protagonisti e ottimo il bis concesso
dalla violinista con la più nota Sarabanda
di J.S.Bach, interpretata benissimo.
21 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
L'ottimo duo di voce
e pianoforte di M.Eleonora Caminada e di Alfonso
Alberti all'Auditorium G.Di Vittorio
Un concerto di qualità quello
proposto dal Alfonso Alberti, pianista e
musicologo specializzato nella musica del '900 e
contemporanea. Sua l'originale idea di
articolare un programma che propone come
riferimento l'anno 1917: l'anno della
rivoluzione d'ottobre,
l'anno centrale della
Grande guerra, l'anno del primo jazz-Dixieland.
Ha trovato nove noti compositori che avessero
composto in quell'anno brani per voce e
pianoforte, o perlomeno brani che in quell'anno
avessero avuto una prima esecuzione. Da questa
idea, che rivela la varietà di musica di quel
lontano periodo- spesso pensata con stili e
linguaggi molto diversificati- è nato un
concerto che ha avuto come protagonista anche la
bravissima Maria Eleonora Caminada, voce di
soprano. La maggior parte dei brani, spesso
brevissimi, ma con normali tempi per alcuni,
erano di rarissimo ascolto. Lieder, song,
romanze, canti popolari, a partire dai Cinque
canti Op.27 di Sergej Prokofiev, hanno
rivelato l'ottima voce della Caminada e la sua
capacità di passare da un
genere ad altro senza
mai perdere un colpo in termini qualitativi,
insieme, naturalmente, alle indubbie abilità
pianistiche dell'Alberti che ha trovato un
momento centrale, in solitaria, eseguendo
benissimo il Menuet da Le tombeau de
Couperin di Maurice Ravel- composizioni
naturalmente terminate nel '17. Tutti
interessanti e ottimamente interpretati i lavori
presentati dallo stesso Alberti all'Auditorium
della Camera del lavoro G.Di Vittorio.
Segnaliamoli tutti, iniziando dal più melodico e
se vogliamo "tradizionale" Puccini da La rondine
con Ch' il bel sogno di Doretta, con
l'ottima intonazione della Caminada. Non
distante musicalmente da Puccini ancora un
italiano con il rarissimo Ottorino Respighi de
La fine, su testo del poeta indiano di R.
Tagore dalle Cinque liriche, un canto
raffinatissimo che meriterebbe una
larghissima
diffusione. D'impronta
popolare
e - come per il
Prokofiev iniziale- di provenienza dall'est
Europa, le Trois histoires pour enfants
di Igor Stravinskij, fiabe quasi surreali del
musicista russo, e una selezione ( le prime
quattro) dalle Otto canzoni popolari di
Bela Bartók, tutti brevi lavori, anche ben
evidenziati dalla gestualità dalla Caminada. Di
straordinaria resa espressiva, per l'unicità di
linguaggio -un'atonalità spinta- i Quattro
Lieder op.12 di Anton Webern, dove
l'intreccio tra la complessa parte pianistica e
le acrobazie vocali del soprano hanno rivelato
un'eccellente integrazione dei due interpreti.
Dagli Stati Uniti terminiamo con il
melodicissimo George Gershwin di Beautiful
Bird, scritti da un giovanissimo compositore
diciannovenne, e a conclusione, He is There!
un raro Charles Ives a ritmo di marcia.
Lunghi applausi per i protagonisti e come bis di
nuovo "voliamo" con il bellissimo brano
Beautiful Bird di Gershwin. Bravissimi!!
20 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
L'ottima direzione di Diego
Fasolis con I
Pomeriggi Musicali
Un ottimo concerto sinfonico
quello ascoltato ieri sera al Dal Verme con l'
Orchestra de I Pomeriggi Musicali
impegnata in brani di Mozart e Beethoven. A
dirigere la compagine di
strumentisti c'era
Diego Fasolis, raffinato direttore, noto per il
repertorio più lontano nel tempo, spesso
eseguito con l'ausilio di strumenti originali.
Fasolis, modificando l'ordine dei brani in
programma, ha preferito dirigere prima tutto
Beethoven lasciando, dopo il breve intervallo,
la più celebre Sinfonia n. 41 in do maggiore
K 551 “Jupiter” (1788) di W.A.Mozart. La sua
energica modalità direttoriale, minuziosa e
attenta ai dettagli, ha esaltato le qualità dei
bravissimi orchestrali. Partendo con l'ouverture
Le Creature di Prometeo (1801) di
L.V.Beethoven, Fasolis ha dato grinta agli
strumentisti de I Pomeriggi per
un'interpretazione energica dove tutte le
sezioni orchestrali hanno reso in modo adeguato,
anche nelle importanti sezioni di legni e di
ottoni. Anche i brani più corposi con la
Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 36 (1802)
di L.v Beethoven e quindi la "Juppiter"
di Mozart, hanno trovato energia e un equilibrio
stilistico di alto livello nella bacchetta di
Fasolis. Il direttore ha fatto emergere le
timbriche in modo chiaro ed incisivo di ogni
strumento o sezione strumentale. Di grande
rilievo espressivo il Molto allegro,
finale dell'ultima sinfonia mozartiana che oltre
a concludere mirabilmente il ciclo sinfonico del
salisburghese, ha posto fine alla bellissima
serata strappando fragorosi applausi del
numeroso pubblico intervenuto. Ricordiamo la
replica di sabato 19 febbraio alle ore 17.00. Da
non perdere.
18 febbraio Cesare
Guzzardella
Leonora Armellini
in Chopin per la "Fondazione
La Società dei Concerti"
Il programma del concerto
organizzato dalla Fondazione La Società dei
Concerti, ascoltato ieri sera in
Conservatorio, ha trovato sul palcoscenico di
Sala Verdi la Filarmonica del Festival
Pianistico di Brescia e Bergamo diretta da
Pier Carlo Orizio e, al pianoforte, Leonora
Armellini. Il celebre Concerto per pianoforte
e orchestra n.1 in mi minore op. 11 di F..
Chopin
ha rivelato un'eccellente interprete nella
Armellini, pianista che ricordiamo essere
entrata tra i finalisti del più recente e
prestigioso Concorso Internazionale "F Chopin",
conquistando e pienamente meritando, la quinta
posizione. L'interpretazione fornita dalla
Armellini, in piena sinergia con l'orchestra, ci
è apparsa d'eccellente qualità. Una cifra
stilistica, quella della ventinovenne padovana,
che ritrova la migliore tradizione
interpretativa del grande polacco. La sua
espressiva esecuzione ha
rivelato
un tocco brillante, perlato e ricco di sfumature
elargite con equilibrio, sottolineando ogni
dettaglio in modo luminoso. Il suo disinvolto
fraseggio è stato ben evidenziato e sostenuto
dai bravissimi orchestrali della Filarmonica
del Festival Pianistico di Brescia e Bergamo
grazie alla precisa direzione di Pier Carlo
Orizio. I fragorosi applausi - meriratissimi-
per questa esemplare interpretazione, sono
continuati anche dopo i tre bis concessi dalla
pianista. Ancora Chopin con lo Studio n.12
op.10, lo Studio n.1 op.25,
soprattutto il primo eseguito in modo esemplare
per compattezza e scorrevolezza, quindi una
rarità interpretativa
con
l'originale Tarantella del genio polacco
espressa in modo energico dalla pianista
visibilmente soddisfatta. Dopo il breve
intervallo, l'esecuzione della nota Sinfonia
n. 8 in si minore D 759 "Incompiuta"-
seguita dall' Entr’acte n.3 da
Rosamunde- di Franz Schubert, ha rivelato
ancora le sensibili qualità degli orchestrali e
del loro direttore Pier Carlo Orizio. Una
splendida serata.
17 ottobre 2022 Cesare
Guzzardella
Alexandre Kantorow
per la Società del Quartetto
Per la prima volta in
Conservatorio, il pianista francese Alexandre
Kantorow ha tenuto un recital,
organizzato dalla Società del Quartetto.
La sua avviata carriera internazionale deve
molto alla vittoria del prestigioso Concorso
Čaikovskij di Mosca nel 2019.
È un figlio d'arte, avendo come
padre il celebre direttore e violinista
Jean-Jacques Kantorow. L'impaginato
scelto,
con prevalenza di brani altamente virtuosistici,
prevedeva pagine di Schumann, Liszt e Skrjabin.
Il brano introduttivo era una parte tratta da
Weinen, Klagen Sorgen, Zagen di Liszt
dalla Cantata BWV 12 di J.S.Bach. Con la poco
eseguita Sonata n.1 in fa diesis minore op.11
di Robert Schumann , Kantorow ha espresso da
subito la sua elevata cifra stilistica, con
impalcatura tecnica solidissima, dove un tocco
leggero e preciso riesce all'occorrenza trovare
un'esternazione più estroversa e voluminosa.
Valida la sua interpretazione del complesso e
fantasioso brano del compositore tedesco. Di
maggior resa l'ancor più virtuosistica seconda
parte del concerto. Quì è risultato ben
individuato lo spessore musicale di questo
giovane interprete. Prima con il Liszt del Sonetto 104 del Petrarca
da
Italia di ""Années de pèlerinage"", quindi di
Abschied e di La lugubre gondola,
brani maturi dell'ultimo Liszt. Il breve e
visionario poema Verse la flamme op.72 di
Aleksandr Skrjabin, ha rivelato maggiormente
l'attitudine di Kantorow
alle
colorazioni scure, ben delineate dalla profonda
interiorizzazione del tessuto melodico-armonico
e ha evidenziato il suo marcato e preciso
virtuosismo, presente soprattutto nell'ultima
parte del breve lavoro. Con l'ultimo brano
dell'impaginato, il noto Après une lecture de
Dante: Fantasia quasi Sonata, il virtuosismo
lisztiano ha trovato ancora un degno interprete
in Kantorow. Di grande impatto il suo approccio
alla "Dante Sonata", con una visione complessiva
perfettamente calibrata nelle dinamiche e nelle
timbriche, e con una sicurezza nel definire
efficacemente ogni frase, anche quelle di
maggiore difficoltà tecnica. Il pubblico
presente in Sala Verdi è rimasto entusiasta,
tributando, al termine del programma ufficiale,
lunghi e fragorosi applausi. Due i bis concessi,
prima uno strepitoso luminosissimo finale dall'Uccello
di fuoco di Igor Stravinskij e poi un ottimo
Johannes Brahms con la Ballata Op.10 n.2 in re maggiore. Da riascoltare al più presto.
16 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
L'Orchestra Cupiditas
di Pietro Veneri per un interessante Richard
Strauss
È tornata in Conservatorio,
ai concerti organizzati da Serate Musicali,
l' Orchestra Cupiditas e il suo direttore
Pietro Veneri. La compagine orchestrale, formata
prevalentemente da giovanissimi di età compresa
tra i quattordici e ventotto anni, ha questa
volta interpretato due brani certamente
impegnativi. Il primo, di straordinario
interesse, era una trascrizione per violoncello
e orchestra dell'originale Sonata in fa
maggiore per violoncello e pianoforte op.6
di Richard Strauss, lavoro giovanile del
compositore. La versione con orchestra è opera
di
Giovanni Veneri, musicista che ha colto nella
trascrizione orchestrale la visione costruttiva
timbrica che si disvela nelle architetture
musicali del grande musicista tedesco. La parte
solistica era affidata alla violoncellista
Silvia Chiesa, più volte interprete
dell'originale op.6 col pianista Maurizio
Baglini. Il brano - in questa versione in prima
esecuzione mondiale-. ha trovato un valido
riscontro nella resa orchestrale, oltre
all'ottima esternazione del corposo violoncello
della Chiesa, strumentista di ottimo livello con
timbrice sicure, ricche di energia e
sapientemente dosate. L'interpretazione
è andata
via via in crescendo per qualità, partendo dal
più complesso e orchestralmente meno immediato,
Allegro con brio e passando dall'intenso
Andante ma non troppo sino all'avvincente
Finale.Allegro vivo che ha rivelato ancor
più le ottime qualità della cellista e i
potenziali dei giovani orchestrali. Applausi
sinceri al termine del brano e salita sul
palcoscenico, tra gli applausi, di Giovanni
Veneri, che, come ha poi ricordato la Chiesa, ha
il merito di aver fatto una valida trascrizione
che potrà in seguito travare risonanza tra le
orchestra italiane e non solo. Eccellente il bis
solistico della violoncellista con la Bourrée
dalla Suite n.3 di J.S. Bach. Dopo la
brevissima sosta l'impegnativa Sinfonia n.1
in do minore op.68 di Brahms, ben diretta da
Pietro Veneri, ha avuto i momenti più felici nel
Un poco sostenuto.Allegro iniziale e nel
finale dell' Allegro non troppo, ma con brio.
Applausi a tutti i giovani protagonisti e al
direttore.
15 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
Anne-Sophie Mutter
e Lambert Orkis alla
Scala per Mozart, Beethoven e Franck
Un Teatro alla Scala così
pieno non si vedeva da un po' di tempo, e con un
pubblico
mediamente più giovane. La
ghiotta occasione era rappresentata dalla
presenza della celebre violinista tedesca
Anne-Sophie Mutter, accompagnata al pianoforte
dall'ottimo Lambert Orkis, pianista presente da
anni in duo con la brava e ancora bellissima
solista. Un impaginato classico con brani di
Mozart, Beethoven e Franck, ha trovato
certamente il favore del pubblico presente. I
primi due lavori, la Sonata n.27 in sol
maggiore K 379 di W.A.Mozart e la Sonata
n.5 in fa magg. op.24 "La Primavera" di
L.v.Beethoven hanno messo in risalto, oltre alle
qualità della solista, anche quelle -eccellenti-
di Orkis. Notoriamente nelle sonate di Mozart e
Beethoven la parte pianistica non è di "accompagnamento",
ma ha un ruolo pari e spesso predominante a
quello del violino, tanto che originariamente,
nel 1781, Mozart pubblicò un gruppo di sei
sonate, tra cui la K 379, denominato "Sei sonate
per clavicembalo e pianoforte con
accompagnamento di violino". Di qualità
l'equilibrio che si è creato tra la timbrica
delicata della Mutter e le articolazioni,
perfette nel fraseggio, nei pesi, e nei ricchi
timbri del pianista. Di maggior presa
violinistica la celebre sonata "La primavera"
(1801) del genio di Bonn, con il noto
incipit iniziale del violino nel primo
movimento "Allegro". Dopo l'intervallo,
il cambio di registro dovuta alla strepitosa
Sonata in la maggiore (1886) di César
Franck, ha invece maggiormente esaltato le
eccellenti qualità interpretative di
Anne-Sophie. L'evidente incisività timbrica che
caratterizza la nota "sonata ciclica" di Franck,
ha trovato nella Mutter interprete ideale. Il
complesso sviluppo dell'ampio lavoro, con
quell'originale tema che ritorna in tutti i
movimenti, è stato espresso con timbriche chiare
e scavate della solista. La resa sonora precisa
e discorsiva della violinista, ha avuto
integrazione nelle ottime armonizzazioni di
Orkis e il risultato complessivo ha trovato un
evidente riscontro nel pubblico, tanto da
strappare applausi, cosa inconsueta, al termine
dell'Allegro iniziale. Di grande impatto
melodico i due bis concessi dall'eccellente duo.
Prima una pagina di John Williams di intensa
espressività melodica, e poi una profonda,
articolata ed incisiva esecuzione della celebre
Danza ungherese n.1 in sol minore di
Johannes Brahms nella trascrizione del grande
virtuoso violinista Joseph Joachim. Applausi
fragorosi e continue uscite in palcoscenico
degli interpreti visibilmente soddisfatti.
14 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
Prossimamente
a Vercelli Emmanuel Tjeknavorian e Kiron Atom
Tellian
Sabato
19 febbraio 2022 a Vercelli al Teatro Civico,
Via Monte di Pietà 15, alle ore 21 si terrà un
Concerto con Emmanuel Tjeknavorian, violino, e
Kiron Atom Tellian al pianoforte. In Programma:
J. Brahms - Scherzo in do minore WoO 2, A. von
Webern - Quattro Pezzi op. 7, J. Brahms - Sonata
n. 1 in sol maggiore op. 78, F. Poulenc - Sonata
Alla memoria di Federico Garcia Lorca FP119, F.
Schubert - Rondò in si minore op. 70, D 895.
Quando è stato annunciato che il XXIV Viotti
Festival avrebbe presentato il meglio dei
giovani artisti della scena internazionale, si è
fatta una promessa che, con il prossimo
concerto. sarà ancora una volta mantenuta.
Sabato 19 febbraio (ore 21, concerto in
abbonamento) le luci del Teatro Civico di
Vercelli si riaccendono per accogliere,
due
concertisti under 30 apprezzati in tutto il
mondo: Emmanuel Tjeknavorian e Kiron Atom
Tellian. Se per Tjeknavorian si tratta di un
graditissimo ritorno al Festival, dove è già
stato ospite e dove sarà ancora una volta
protagonista a maggio, quando dirigerà un altro
splendido talento emergente come Giulia Rimonda,
per Tellian si tratta del debutto a Vercelli.
Città che così aggiunge una nuova gemma al suo
tesoro di giovani, anzi giovanissimi (l'età
complessiva del duo non arriva a 50 anni)
interpreti di assoluto valore. Ormai il pubblico
del Festival sa bene che dire giovani non
significa soltanto entusiasmo e passione, ma
anche originalità nei programmi. E il concerto
di Tjeknavorian e Tellian lo conferma, con una
scelta di autori e brani capace di esaltare la
purezza del suono e di sottolineare la potenza
creativa della grande musica. Si andrà così da
due opere di Brahms molto diverse fra loro
– uno Scherzo
giovanile dedicato
al grande violinista Joachim e l'intensa Sonata
n.1 della piena maturità
–
all'ispirato e
potente Rondò di Schubert, dalla tesa e
incisiva Sonata di Poulenc alla memoria di
Garcìa Lorca alle atmosfere rarefatte dei
Quattro Pezzi di Webern. Scelte inusuali di due
interpreti coltissimi e di grande sensibilità,
capaci di dare vita a un concerto coerente ed
evocativo, sempre fluido nella sua rigorosa
compattezza. Per gli spettatori del Viotti
Festival è l'ennesimo appuntamento al quale non
mancare, ma è proprio vero che alla bellezza non
ci si abitua mai.
14 febbraio 2022 dalla
redazione
Davide Cabassi diretto da
Gábor Takács-Nagy per il concerto di Schnittke
Un impaginato rilevante
quello proposto ieri dall'Orchestra de I
Pomeriggi Musicali per l'occasione diretta da
Gábor Takács-Nagy. Tre compositori russi
eseguiti in ordine inverso al periodo storico
d'appartenenza. Prima Alfred Schnittke
(1934-1998) con il Concerto per pianoforte ed
archi, poi Dmitrij
Šostakoviç
(1906-1975) con la Suite "Amleto" op.32a,
e per
ultimo P.I.
Čaikovskij
(1840-1893) con la Suite n.4 in Sol minore
op.61 "Mozartiana". Tre lavori di
straordinario effetto musicale e d'immediata
presa emotiva. Nel concerto di Schnittke la
parte solistica è stata
sostenuta dal pianista milanese Davide Cabassi.
Schnittke, compositore eclettico, noto per il
suo approccio multi-stilistico derivante dalla
tradizione classica, ma influenzato da una serie
di riferimenti musicali che spaziano dalla
musica antica alla musica atonale, dal
neoclassicismo al minimalismo, a certo
spettralismo e anche al jazz, ha composto questo
interessantissimo Concerto per pianoforte e
archi nel 1979. È nei classici tre movimenti e
l'impiego solistico del pianoforte spazia da
momenti di semplice melodicità ad altri di
fragorose esternazioni timbriche che creano
situazioni di grande impatto sonoro.
La componente orchestrale degli archi svolge un
ruolo sia di sottolineatura dei colori
pianistici, che di organica co-participazione
alla resa compositiva. Cabassi ha sostenuto
molto bene la non facile parte pianistica in un
lavoro dove continui cambiamenti dinamici,
timbrici e ritmici comportano difficoltà
d'approccio da lui felicemente superate. Ottima
la direzione di Gábor Takács-Nagy, direttore
specializzato nel repertorio contemporaneo ma
anche valente interprete della musica meno
recente, come dimostrato dalla resa degli altri
due avvincenti lavori. Successo per il lavoro
del primo russo e ottimo il bis concesso da
Cabassi. Dapo il breve intervallo, di rilevanza
estetica la Suite composta da
Šostakoviç
per le musiche di scena di Amleto, una
serie di
tredici brevi ed intensi brani che hanno
esaltato le ottime qualità degli orchestrali
nelle varie sezioni. Altrettanto rilevante il
delizioso lavoro di
Čaikovskij
costruito su celebri temi mozartiani e sulle
dieci variazioni su un tema di Gluck del brano K
455. La Suite n.4 denominata " Mozartiana" ha
infatto uniti i deliziosi temi del salisburghese
ad un'atmosfera coloristica tipica di Čaikovskij.
Fondamentali gli interventi solistici degli
orchestrali: dal flauto, al clarinetto, dai
precisi ottoni alle incisive percussioni, e
soprattutto nel mirabile corposo intervento
solistico del primo violino Fatlinda Thaci che
ha ottimamente definito una delle più
intense variazioni mozartiane riorchestrate dal
compositore russo. Bravissima! Splendida la
direzione ed eccellenti le timbriche
dell'Orchestra de I Pomeriggi Musicali.
Sabato 12 febbraio alle 17.00 si replica. Da non
perdere!
11 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
Arcadi Volodos
per la
Società dei concerti
È tornato in Conservatorio il
pianista russo Arcadi Volodos in un recital
organizzato dalla Società dei Concerti.
Un impaginato ricco, con brani noti di Schubert
e Schumann, che ha pienamente soddisfatto il
pubblico presente in Sala Verdi. Il celebre
pianista, nato a Pietroburgo nel 1972, è tra i
migliori interpreti nel panorama internazionale,
noto anche per le sue significative
rielaborazioni, in senso virtuosistico, di molti
celebri lavori. La corposa
Sonata in re
maggiore D 850 di Franz Schubert ha
introdotto la serata. Un lavoro scritto in età
matura dal viennese, precisamente nel 1825. La
classicità della sonata si articola in quattro
movimenti ricalcando il sonatismo beethoveniano,
ma introducendo una varietà melodica tipica solo
del viennese. Volodos si è rivelato un
eccellente interprete schubertiano, capace di
una straordinaria discorsività mediata da un
peso delle dinamiche espresso in modo esemplare.
Passando da una leggerezza quasi impercettibile
dei pianissimo, sino alle robuste esternazioni
dei momenti più concitati. La chiarezza
espressiva è sembrata esemplare. Dopo il breve
intervallo ha affrontato un "tutto Schumann"
partendo dalle Kinderszenen op.15,
raccolta di 13 brani dedicati ai giovanissimi,
spesso brevi miniature di apparente facilità,
uniti nell'esecuzione, quasi senza soluzione di
continuità, alla celebre Fantasia in do
maggiore op.17.
Il netto salto virtuosistico
della fantasia ha rivelato ancor più le
abilità tecnico-espressiva dell' interprete che
ha costruito un disegno preciso e raffinato nel
definire i tre grandi poemi che compongono lo
straordinario e maturo lavoro del compositore
tedesco. Esecuzione di alto profilo estetico
quella di Volodo s, dove la sintesi discorsiva
che ha origine da uno studio accurato di ogni
dettaglio, sembra dispiegarsi in modo spontaneo,
senza alcun minimo cedimento per una
restituzione particolarmente espressiva.
Applausi fragorosi al termine del programma
ufficiale e ben cinque i bis offerti dal
generoso pianista. Partendo dal noto Vogel
als Prophet dall'op.82 di Schumann, poi i
più rari Rachmaninov con Melodie op.21 n.
e di Anatoly Lyadov il Preludio op.40 n.3 in
re minore. Quindi Scriabin. Splendido
concerto.
10 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
Andris Nelsons
dirige la Filarmonica della Scala
I concerti della Filarmonica
della Scala hanno visto ieri sul podio scaligero
il direttore lettone Andris Nelsons. Direttore
affermato internazionalmente, attualmente svolge
direzione stabile con la Boston Symphony
Orchestra e con la Gewandhausenorchester di
Lipsia. La scelta
tradizionale
dell'impaginato, ascoltato in un
teatro colmo di pubblico, prevedeva prima
Richard Wagner con il Preludio atto 1 dal
Lohengrin, introduzione all'opera del
1853, poi il Preludio e Incantesimo
del Venerdi Santo (dall'atto terzo) dal
Parsifal composti tra il 1878 e il 1882.
Dopo l'intervallo la Sinfonia n.7 in la
maggiore op.92 di L.v. Beethoven, lavoro del
1811, completava il programma. Il clima meditato
di Wagner ha trovato una valida direzione in
Nelsons che ha ottenuto ottime dinamiche, con
delicate e sottili escursioni volumetriche ben
rilevate dai Filarmonici. In seguito l'energia
discorsiva dei quattro movimenti della celebre
Settima Sinfonia beethoveniana ha quindi
portato gli eccellenti orchestrali ad esprimersi
meglio, con una definizione coloristica,
dinamica ed espressiva di alto livello, dal
Poco sostenuto. Vivace iniziale, sino al
rapido e ricco di energia Allegretto con brio
finale. Eccellente la resa direttoriale e la
complessiva restituzione in Beethoven e
fragorosi e meritati applausi al termine dal
pubblico presente. (Foto di G.Gori- Uff.Stampa Filarmonica della Scala)
8 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
Recital di Ferruccio
Furlanetto alla
Scala
Un programma impegnativo e
particolarmente drammatico quello affrontato
dal friulano Ferruccio Furlanetto al Teatro alla
Scala. Sono passati oltre quarant'anni da quel
lontano 1979, quando il celebre basso affrontò
per la prima volta il palcoscenico scaligero nel
Macbeth verdiano, nel ruolo di Banco, diretto da
Abbado. Il recital di ieri sera lo ha
visto accanto alla pianista Natalia Sidorenko-
eccellente in tutti i lavori- per affrontare
brani di Brahms,
Musorgskij, Rachmaninov,
Mozart, Massenet e Verdi. Brani che a parte
alcuni mozartiani, hanno rappresentato alta
drammaticità resa splendidamente dalla voce
voluminosa ed espressiva del cantante. Ha
iniziato dai maturi Quattro canti seri op.121
di Joahnnes Brahms, lieder composti nel 1896
che concludono con raro senso di smarrimento e
tristezza la carriera del grande compositore
amburghese, deceduto l'anno successivo. Quindi i
quattro Canti e danze della morte,
composti da Modest Musorgskij intorno al 1877,
hanno ancora messo in risalto la pregnante e
profonda voce di Furlanetto, seguiti ancora da
due toccanti brani di Sergej Rachmaninov, tra
cui Nel silenzio della morte misteriosa op.4
n.3. Dopo il breve intervallo, il ritorno
sul palcoscenico dei due interpreti ha trovato
un cambiamento di clima con tre brani di Mozart
tratti dal Flauto magico, dalle Nozze di Figaro
e dal Don Giovanni. Il carattere più dolce in
In diesen heil‘gen Hallen e quello più
spensierato in Non più andrai farfallone
amoroso e Madamina, il catalogo è questo,
hanno rivelato la duttilità del settantaduenne
cantante nel cambiare la sua timbrica vocale e
il suo stile espressivo, che trova sempre anche
una precisa ed adeguata resa attoriale rispetto
ai personaggi che interpreta. Il ritorno alla
drammaticità si è ripresentato con la Morte
di Don Chisciotte di Jules Massenet e ancor
più con la Morte di Boris, finale del
Boris Godunov di Musorgskij. Ancora drammatico
l'ultimo brano dell'impaginato con Ella
giammai m'amò dal Don Carlo verdiano.
Applausi sostenuti dal numeroso pubblico
intervenuto. Uno splendido bis concesso con
un'esemplare Cavatina di Aleko dall'opera
Aleko di Rachmaninov, intensamente espressiva.
Applausi meritatissimi per i due interpreti!
7 febbraio 2022 Cesare Guzzardella
Luca Buratto
a Villa Necchi Campiglio
I concerti organizzati dalla
Società del Quartetto di Milano
nell'ampio spazio coperto - ex tennis- di Villa
Necchi Campiglio hanno trovato ieri, nel tardo
pomeriggio, il pianista
milanese
Luca Buratto. Affermato nel panorama
concertistico internazionale, Buratto ha
impaginato un programma particolarmente vario
con Brani di Schumann, Debussy, Janá ček,
Adès, Crumb e Bartók.
Tredici lavori in un programma denominato "Nella
notte" studiato dal pianista in modo
intelligente, per un'esecuzione senza soluzione
di continuità, in modo da sembrare come una
grande suite dove i brani, pur essendo di
autori diversi e distanti nel tempo tra loro di
oltre 150
anni,
sono resi in stile unitario, con un clima
coloristico complessivo ben adeguato al clima
notturno. Cinque i brani di Schumann, quattro
quelli di Debussy, eseguiti in ordine sparso tra
gli autori di minore notorietà come Thomas Adès
(1971) e il suo Berceuse, da "The
Exterminating Angel o di George Crumb (1929) con
Dream Images da Mikrokosmos I, o di
compositori
eseguiti,
ma meno dei primi, come Janáček
e il suo Le nostre serate da "Sul
sentiero dei rovi o Bartók
con Musica notturna da "All'aria aperta".
Insomma un programma suggestivo che unifica
momenti compositivi differenti e che si è
concluso con lo splendido In der Nacht-Nella
notte dai Fantasiestüke op.12 di Schumann.
Applausi calorosi dopo il silenzio assoluto, in
uno spazio-tennis al completo. Generoso Buratto
nel concedere tre validi bis: Janáček
con Buonanotte, Debussy con Clair de
lune e l'amato Schumann con
l'ultimo dei
Canti dell'alba. Bravissimo!
6
febbraio 2022 Cesare Guzzardella
Roberto Cominati
per il concerto di Ildebrando Pizzetti
Un programma " Controcorrente"
quello proposto dall'Orchestra Sinfonica di
Milano "G.Verdi", che si ascolta raramente e che
è piaciuto molto al pubblico presente in
Auditorium
ieri
sera. Soprattutto il primo lavoro di Ildebrando
Pizzetti, col suo "Canti della stagione alta"
ovvero il Concerto per pianoforte e
orchestra, non viene mai proposto pur essendo di
indubbia qualità musicale. Composto nel 1930,
quando il musicista parmense aveva esattamente
cinquant'anni, il brano recupera quella
tradizione antica che veniva osteggiata dai
modernisti di quell'epoca. Le due parti del
lavoro, dove la seconda è in realtà formata da
un Adagio e da un Rondò, ha il
pianoforte come strumento centrale, ma anche
l'orchestra, per l'efficacia delle timbriche, ha
un ruolo importante. Il solista Roberto Cominati,
ottimo pianista cinquantaduenne napoletano,
vincitore nel 1993 del Primo premio
all'importante "Concorso Ferruccio Busoni" di
Bolzano, ha aspresso chiarezza discorsiva e
solida penetrazione nell'esprimere la non facile
parte pianistica, che, come quella orchestrale
diretta molto bene da Oleg Caetani , presenta
continui cambiamenti nella linea
melodico-armonica. Originalissimo il lavoro di
Pizzetti che speriamo torni presto nelle sale
milanesi e italiane. Di qualità i bis solistici
concessi da Cominati, con il primo brano assai
virtuosistico con un arrangiamento su valzer
viennesi e il secondo, di pregnante epressività,
con il Minuetto in sol minore HWV 434 di
G.F. Händel
nell'intenso
arrangiamento di Wilhelm Kempff. Dopo il breve
intervallo, Oleg Caetani ha ottimamente diretto
la Sinfonica Verdi nella Sinfonia n.2 in do
minore di Anton Bruckner. Composta nel
1871-72, è nei classici quattro movimenti e
ritrova il compositore austriaco, dopo la prima
sinfonia ascoltata recentemente, a cimentarsi in
un brano di ancor più ampio respiro. Valida
l'interpretazione fornita, con un'orchestra
rilevante in tutte le sezioni, anche nei più
concitati e appariscenti ottoni certamente di
rilevante qualità timbrica. Applausi convinti.
Domenica alle ore 16.00 si replica. Da non
perdere.
5 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
Pietro De Maria
diretto da James Feddeck nel concerto di
Schumann
Il Concerto per pianoforte
e orchestra in La minore op.54 di Robert
Schumann, cavallo di battaglia di tutti i
migliori pianisti, ha trovato solista al
pianoforte Pietro De Maria, un interprete
affermato e conosciuto, soprattutto nel
repertorio classico e romantico. Il celebre
Concerto in La minore venne completato e poi
eseguito a Desdra nel 1845 da Clara Wiech-Schumann.
Divenne da allora tra i più eseguiti "concerti
per pianoforte" e ancora oggi rimane
ineguagliato per brillantezza, tensione emotiva
ed equilibrio armonico. La non facile esecuzione,
che prevede un'importante integrazione con la
componente orchestrale, tanto da formare una
sorte di sinfonia con solista, è stata
affrontata con determinazione ed espressività da
De Maria. Molto bravo nei frangenti di tensione
volumetrica, è stato ancor più convincente nei
momenti di maggiore interiorizzazione, dove i
colori del pianoforte assumono un aspetto più
intimamente romantico, come nella cadenza dell'Allegro
affettuoso o nell'intenso tema dell'Andantino
grazioso centrale. Di qualità la direzione
di Feddeck e la resa strumentale dell'Orchestra
de I Pomeriggi. Applausi fragorosi dal
numeroso pubblico del Dal Verme e due splendidi
bis solistici concessi da De Maria: prima un
pregnante brano di J.P. Rameau,
Les Cyclopes,
eseguito con impeccabile precisione e chiarezza,
e poi un delicato ed intimo Schumann con
Eusebius da Carnaval op.9. Bravissimo!
Dopo la breve pausa, I Pomeriggi hanno
interpretato Mozart con la celebre Sinfonia
n.40 in Sol minore K 550. Valida la visione
complessiva di Feddeck che ha trovato il giusto
dosaggio coloristico nell'integrare i diversi
piani sonori che s'intrecciano
definendo con eleganza questo capolavoro del
grande salisburghese. Fragorosi gli applausi a
tutti i protagonisti. Sabato alle ore 17.00 si
replica. Da non perdere.
4 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
Il violoncello di Enrico
Dindo per la Società dei Concerti
Il violoncello protagonista
del concerto di ieri sera, quello di Enrico
Dindo, ha trovato un valido compagno di viaggio
col pianoforte di Carlo Guaitoli. Dindo ha
iniziato la sua brillante carriera solistica con
la vittoria, nel 1997, del Concorso
"Rostropovich", acquisendo, via via,
notorietà e diventando tra i migliori cellisti italiani ed
internazionali. Guaitoli, affermatosi in molti
concorsi internazionali, come il Casagrande di
Terni nel 1994 o il Busoni di Bolzano nel 1997,
ha trovato, oltre ad una brillante carriera
solistica nel repertorio classico, anche fama
tra i più giovani ascoltatori per via del
sodalizio musicale con Franco Battiato.
L'impaginato, interessante ed impegnativo, di
ieri sera, prevedeva musiche di Schumann, Brahms
e Miaskovsky. Dopo la frequentata
Phantasiestüke op.73 di Schumann e la
celeberrima Sonata n.1 in mi minore op.38
di Brahms, la rara Sonata n.2 in la minore
op.81 del compositore russo N.J.Miaskovsky (
1881-1950) ci ha permasso di conoscere un
artista poco eseguito, ma certamente di grande
raffinatezza musicale. Le qualità consolidate di
Dindo sono state espresse mirabilmente in tutti
tre
i lavori, e la sinergia con il pianista
Guatoli è stata ottima. Strumentista di precisa
e sensibile visione musicale, Guaitoli ha un
approccio asciutto e sicuro con la tastiera e
una visione complessiva dei brani di alto
livello. Con Dindo ha trovato la giusta
espressività nel supportare le linee melodiche
del voluminoso violoncello e, in alcuni
frangenti, come nel sostenuto Allegro finale
della sonata brahmsiana, il pianoforte ha
avuto ruolo determinante. Decisamente valida
l'interpretazione della sonata di Miaskovsky. Un
lavoro di rara bellezza che trova riferimento
soprattutto in Rachmaninov, ma anche in certo
Šostakoviç, come
nell'energico Allegro con spirito finale.
Applausi sostenuti e un bellissimo bis concesso
con una deliziosa ed intensa melodia di César
Cui. Il suo Cantabile ha ancor più
evidenziato la dolcezza del penetrante
violoncello del grande interprete torinese.
Applausi fragorosi al termine.
3 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
Il Vision String Quartet
in Conservatorio per la Società del Quartetto
È un gruppo di talenti di
sicuro valore quello che forma il Vision
String Quartet. Il concerto ascoltato ieri,
organizzato dalla Società del Quartetto,
ha visto sul palcoscenico di Sala Verdi, nel
Conservatorio milanese, Florian Willeitner al
violino, Daniel Stoll al violino, Sander Stuart
alla viola e Leonard Disselhorst al violoncello.
Quattro giovani che a Berlino, nel 2012 hanno
avuto la luminosa idea di mettersi in gioco in
una formazione quartettistica cha ha trovato in
breve tempo un meritato successo. Punto di
partenza anche la vincità del prestigioso
Concorso Internazionale Felix Mendelssohn di
Berlino nel 2016, seguito da molti altri primi
premi in altri importanti concorsi È una
formazione esemplare nell'eseguire il repertorio
tradizionale classico, ma che ha la
soddisfazione di dedicarsi anche ad \impaginati
più "moderni", che spaziano dal folk, al pop, al
funk e persino al jazz. Il programma del
concerto di ieri era però decisamente classico.
Prevedeva prima il Quartetto n.2 in la minore
op.13 di F. Mendelssohn e poi il
Quartetto n.13 in sol magg. op.106 di A.Dvo řak.
Due lavori importanti che hanno messo in rilievo
l'eccellente intesa dei quattro strumentisti.
Un equilibrio che sia nel più
estroverso e melodico quartetto giovanile del
lipsiano, composto nel 1827 da uno straordinario
Mendelssohn diciottenne, che in quello più
maturo e interiorizzato composto da Dvořak
nel 1895, rivela le raffinate qualità
del gruppo cameristico. I quattro, con i violini
e la viola suonati in piedi, hanno eseguito,
cosa assai rara, il quartetto di Dvořak
completamente a memoria, senza spartiti. Ottima
la discorsività e la resa
espressiva di entrambi i lavori con un Dvořak
di ancor più intensa
espressività. Applausi fragorosi dal mumeroso
pubblico intervenuto e un divertente "moderno"
bis con un brano denominato "samba"
eseguito tenendo violini e viola a "modo di
chitarra", pizzicando le corde, per una resa
ritmica e dinamica sorprendente. Applausi ancora
più fragorosi, al termine dal pubblico
entusiasta. Aspettiamo al più presto il
Vision String Quartet in un programma con
brani recenti come quelli del loro recente album
"Spectrum" di cui Samba fa parte.
2 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
Prossimo appuntamento a
Vercelli con Timothy Ridout alla viola e Frank
Dupree al pianoforte
Il prossimo
appuntamento con la classica al XXIV Viotti
Festival, sabato 5 febbraio (ore 21, concerto in
abbonamento) al Teatro Civico di Vercelli sarà
ancora una volta con ospiti eccellenti. Si
tratta di un duo solidissimo, composto da
interpreti molto giovani ma già acclamati in
tutto il mondo: Timothy Ridout, già capace a 26
anni di portare la viola al centro
dell'attenzione a livello internazionale, e il
pianista Frank
Dupree, 30 anni e una carriera di
successi anche come direttore d’orchestra e
jazzista. Due protagonisti d'eccezione che
brillano per passione e originalità, qualità
confermate dal programma proposto al pubblico
del Civico, nel quale la scelta dei brani riesce
a coniugare singolarità e rispetto dei “classici”,
premiando sempre la ricerca dell'espressività.
Si aprirà con Die Laune Aiolos (L'umore di Eolo,
eseguito per la prima volta nel 2014), del
compositore svizzero Richard Dubugnon: un brano
intenso ed evocativo nel quale viola e
pianoforte si inseguono in tempestosi passaggi
virtuosistici. La parte centrale del concerto
sarà poi musica 16 poesie di Heine, ma
soprattutto una struggente, pienamente “romantica”
storia d'amore, e poi con i Phantasiestücke
(1849), tre pezzi in forma di canzone che creano
un emozionante crescendo di tensione. La serata
si chiuderà quindi con una selezione di brani
dal balletto Romeo e Giulietta, qui proposti in
forma di suite per viola e pianoforte firmata da
Vadim Borisovskij: una scelta capace di esaltare
l'inventiva esuberante che contraddistingue il
capolavoro di Prokof’ev. Biglietti da 10 a 22 €
online sul sito
www.viottifestival.it o presso la
biglietteria “Viotti Club” via G. Ferraris 14,
Vercelli, dal lunedì al venerdì dalle 13 alle
18.50 –
Riduzioni per under 25, over 65, soci Coop.
Per informazioni
www.viottifestival.it
– email
biglietteria@viottifestival.it
– cell 329
1260732 l prossimo
appuntamento con il Viotti Festival è in
programma sabato 19 febbraio al Teatro Civico
(ore 21), con protagonisti Emmanuel Tjeknavorian
al violino e Kiron Atom Tellian al pianoforte.
1 febbraio 2022 dalla redazione
GENNAIO 2022
Due flauti e il pianoforte di
Bruno Canino alle "Serate Musicali"
Un concerto organizzato da
Serate Musicali
nell'elegante Sala Puccini
del Conservatorio milanese, ha visto un pianista
di classe quale Bruno Canino accompagnare due
flautisti di eccellente qualità quali il danese
-nativo di Budapest- Andras Adorján e l' udinese Luisa Sello.
Entrambi
noti in tutto il mondo, i due flautisti hanno
suonato insieme o in alternanza in brani di
Kuhlau, Mozart, Canino e Doppler. Il brillante
Trio in sol maggiore op .119 per due flauti e
pianoforte di Friedrich Kuhlau (1786-1832)
ha introdotto il concerto. Un brano che ha
subito rivelato le alte qualità dei flautisti e
l'abilità del pianista napoletano nel mettere in
rilievo le melodie flautistiche attraverso
timbriche luminose e perfettamente scandite.
Chiara e scorrevole la linea melodica e il
contrappunto dei due splendidi flauti. La più
nota Sonata per flauto e pianoforte in mi bem.
maggiore dal Quintetto KV 452 di
W.A.Mozart ha visto al flauto Adorján esprimersi
molto bene nei tre movimenti del classico brano,
coadiuvato ottimamente
da Canino. Ricordiamo che
Il Quintetto per pianoforte e fiati è stato
rielaborato dal compositore L.W. Lachnith (
1748-1820) e da Adorján stesso. Una delle novità
della serata è stata la prima esecuzione di un
lavoro di Bruno Canino (1935). Nella veste di
compositore e non solo di pianista, Canino ha
eseguito la sua Sestina per flauto e
pianoforte insieme a Luisa Sello. Un brano
di quasi sei minuti di durata, particolarmente
chiaro nell'enunciazioni timbriche, dove
l'importante parte pianistica è unita alla
fondamentale articolata timbrica del flauto. Il
brano è introdotto da una chiara linea melodica
dello strumento a fiato sorretto dalle
armonizzazioni
pianistiche, per poi trovare una
soluzione di dialogo tra le parti in un gioco
contrappuntistico ben scandito da entrambi gli
strumenti. Un lavoro di efficace resa espressiva
che sconfina in territorio atonale e che si
conclude con un'improvvisa brusca nota finale
accentuata dal pianoforte. Deciso apprezzamento
del pubblico presente in sala. L'ultimo lavoro
della serata, un'altrà novità, era la Sonata
per due flauti e pianoforte di Franz Doppler
( 1821-1883), flautista e compositore austriaco.
In prima esecuzione italiana, la Sonata di
Doppler si dipana in quattro movimenti ed è
caratterizzata da una ricca vena melodica
romantica di evidente estroversione. L'ottima
interpretazione dei tre protagonisti ha concluso
il programma ufficiale ma non la serata. Due
infatti i bis generosamente concessi, tra cui un' eccellente trascrizione del toccante Andante
dalla Sonata K 448 per due pianoforti di
W.A. Mozart. Applausi meritati.
29 gennaio 2022 Cesare
Guzzardella
Il violoncello di
Quirine Viersen diretto da Claus Peter Flor e
una novit à di Bizet-Ščedrin
per "la Verdi"
Il concerto diretto da Claus
Peter Flor, sul podio dell'Orchestra Sinfonica
di Milano, ha portato due brani nell'ottimo
impaginato scelto. Il primo, piuttosto eseguito,
era il Concerto n.1 in do maggiore per
violoncello ed orchestra di F. J. Haydn e il
secondo, certamente di raro ascolto, la
Carmen Suite di G.Bizet nella rielaborazione
del compositore moscovita Rodion Ščedrin.
Per il
coinvolgente brano iniziale la violoncellista
Quirine Viersen ha
sostenuto ottimamente il
ruolo da protagonista. La cinquantenne olandese,
solista affermata soprattutto nel nord-Europa,
ha trovato un giusto equilibrio per una
sinergica interazione con la Sinfonica Verdi,
ottimamente diretta da Flor. La sua dettagliata
interpretazione del concerto haydniano evidenzia
un'attitudine alla perfezione esecutiva che
abbiamo riscontrato in tutti i tre movimenti che
formano il classico concerto, dal Moderato
iniziale all'intenso Adagio centrale
interpretato magistralmente dalla Viersen, sino
all'estroverso Allegro finale. Scritto
da Haydn intorno al 1765, venne riscoperto
solamente nei primi anni '60 del secolo scorso
ed è un punto d'arrivo di
tutti i grandi violoncellisti. Valido il bis
concesso dalla bravissima Viersen con un ottimo
Bach particolarmente apprezzato dal pubblico.
Dopo il breve intervallo la rarità di Bizet-
Ščedrin ha rivelato le qualità
rielaborative del novantenne compositore russo
che ha saputo reinterpretari le celebri arie
tratte da Carmen utilizzando solo gli archi e le
percussioni. Quartanta minuti di musica quella
eseguita dagli eccellenti orchestrali, in grande
forma sia
nelle sezioni degli archi che in
quelle della ampie percussioni. La direzione
particolareggiata e attenta di Claus Peter Flor
ha sottolineato tutti i tredici momenti musicali
scelti da
Ščedrin
per definire il capolavoro lirico del francese,
momenti giocati sul contrasto, a volte tenue, a
volte incisivo, tra le melodiche dei violini,
delle viole, dei violoncelli e dei contrabbassi
e la ritmica percussiva spesso unita ai colori
melodici di marimbe, vibrafoni e glockenspiel.
Un lavoro di eccellente qualità
quello che
Ščedrin ha
dedicato alla moglie ballerina Majja Pliseckaja
nei primi anni '60, lavoro che meriterebbe di
entrare spesso nei repertori delle orchestre
italiane. Applausi sostenuti dal pubblico
presente in Auditorium. Prossime repliche
previste per questa sera, 28 gennaio e per
domenica 30 gennaio. Da non perdere!
28 gennaio 2022 Cesare
Guzzardella
Il duo
Hakhnazaryan-Tchaidze al Conservatorio milanese
Un programma romantico
particolarmente interessante quello di ieri sera
di Sala Verdi, organizzato nel Conservatorio
milanese da "Serate Musicali". Un duo di
ottima intesa formato dal violoncellista armeno
Narek Hakhnazaryan e dal pianista russo Georgy
Tchaidze. Hanno
impaginato
un programma con brani di Schumann, di Schubert
e di Mendelssohn. La Phantasienstücke op.73
(1849) , del primo tedesco, ha introdotto la
serata rivelando da subito la cifra stilistica
del duo. Un'intesa giocata su timbriche tenui,
di immediata discorsività, dove la fluidità
melodica del violoncellista si è ben inserita
nell'evoluto tessuto armonico pianistico di
Schumann. Di più coinvolgente emotività, per la
linearità dei temi, la Sonata in la
minore per arpeggione e pianoforte D.821
(1825) di Franz Schubert, nella più frequentata
trascrizione per violoncello. Particolarmente
conosciuta, la deliziosa sonata del viennese ha
trovato ancora
la
scioltezza del cellista e l'abilità
articolatoria del pianista per una efficace
fluida resa interpretativa. Dopo il breve
intervallo, la ingiustamente poco eseguita
Sonata n.2 in re maggiore per violoncello e
pianoforte op.58 di Felix Mendelsshon, ha
concluso il programma ufficiale. Il lavoro
composto nel 1843 dal musicista lipsiano è nel
classico stile brillante, con frangenti di
rapida esternazione, come avviene nel delizioso
Molto allegro e vivace finale. Le
repentine escursioni timbriche dei due
strumentisti hanno ancora messo in risalto
l'efficace intesa degli interpreti. Lunghi
applausi e due bis concessi: prima le
Variazioni sulla quarta corda da un tema di
Rossini tratto dal Mosè, di Niccolò
Paganini, eseguite virtuosisticamente da
Hakhnazaryan sulla corda più alta del
violoncello e poi l'Andante centrale
dalla Sonata per violoncello e pianoforte
di Sergej Rachmaninov. Applausi accorati dal
pubblico presente in Sala Verdi ed evidente
soddisfazione per gli interpreti.
25 gennaio 2022 Cesare
Guzzardella
I Capuleti
e i
Montecchi alla Scala
Continuano al Teatro alla
Scala le repliche dell'opera belliniana I
Capuleti e i Montecchi, lavoro del 1830 del
compositore catanese che non trovò mai grande
fortuna nelle rappresentazioni effettuate. Dalla
Scala mancava da quasi trentacinque anni e con
il nuovo allestimento di questi giorni, per la
direzione femminile della romana Speranza
Scappucci -
alla sua prima direzione lirica
scaligera- finalmente si è arrivati ad un
successo convinto. Il nuovo allestimento del
Teatro alla Scala, per la regia di Adrian Noble,
le scene di Tobias Hoheisel e i costumi di
Pertra Reinhardt, ha convinto il numerosissimo
pubblico presente in teatro nella terza
rappresentazione vista da me oggi, domenica 23.
Le ottime sinergie di tutte le componenti
presenti in scena, hanno trovato il punto di
forza nella sensibile direzione della Scappucci
deii bravissimi orchestrali scaligeri e nel
valido cast vocale. La Scappucci ha trovato
timbriche italianissime, delicate ed espressive,
per esprimere i colori sfumati di Bellini e per
esaltare le importanti voci soliste. Cinque le
voci in scena,
tre maschili e due femminile. Le
due principali protagoniste, il soprano Lisette
Oropesa, Giulietta, e il mezzosoprano
Marianne Crebassa, Romeo (en travesti),
sono state poi determinanti per l'indiscusso
successo del non facile lavoro. ( prime foto a
cura di Brescia e Amisano - archivio della
Scala)
La loro presenza scenica, specie nel secondo e
ultimo atto, ha risolto problematiche storiche
riguardanti proprio quest'ultima parte
dell'opera, parte un tempo non apprezzata e solo
recentemente rivalutata nella versione originale
di Bellini. Ottime anche le tre voci maschili
con il basso Jongmin Park nel ruolo di
Capellio, il tenore Jinxu Xiahou in
Tebaldo e l'inossidabile basso Michele
Pertusi in Lorenzo. Eccellenti quindi sia
la Giulietta di Lisette Oropesa che il
Romeo di Marianne Crebassa che oltre a
eccellere per coloristica e intonazione nelle
arie individuali, hanno trovato eccellenza nei
numerosi duetti presenti nell'opera, come nel
sofferto finale che vede la loro celebre morte.
Di alto livello, come sempre, il Coro del Teatro
alla Scala preparato da Alberto Marazzi.
Prossime repliche previste per il 30 gennaio e
il 2 febbraio. Assolutamente da non perdere.
23 gennaio 2022 Cesare
Guzzardella
Pietari Inkinen
dirige I Pomeriggi
Musicali in Bruckner
Un impaginato tutto dedicato
ad Anton Bruckner quello scelto dal direttore
quarantenne Pietari Inkinen alla guida dell'Orchestra
de I Pomeriggi Musicali. Ieri, nella replica
del pomeriggio di sabato, l' Ouverture in sol
minore prima, e la Sinfonia n. 1 in do
minore dopo,
hanno
riempito di note l'ampia sala del milanese
Teatro Dal Verme. Due brani di raro ascolto,
composti dal grande musicista e organista
austriaco pensando alla musica del tardo
romanticismo tedesco e a quella di Richard
Wagner. La produzione sinfonica di Bruckner ebbe
inizio in età matura, alla soglia dei
quarant'anni, è divenne copiosa fino a
raggiungere il numero "magico" di nove sinfonie
completate, la maggior parte di ampia
dilatazione musicale, come avvenne anche per il
suo collega Gustav Mahler. La delicata e più
tradizionale Ouverture in sol minore è
del 1862 e rappresenta uno dei primissimi lavori
sinfonici del viennese, già autore di molta
musica organistica, mentre la Sinfonia n.1 in
do minore ebbe un percorso compositivo più
travagliato e gli oltre cinquanta minuti di
musica, dipanati nei classici quattro movimenti,
sono da considerarsi tra le più brevi sinfonie
del compositore.
Composta
tra il 1865 e il 1866, spesso rimaneggiata,
contiene molte specificità tipiche dell'autore,
con frangenti di efficace linguaggio espressivo
tra situazioni di grande riflessività interiore
ed altri di grande estroversione timbrica ,
come nelle prime note dell'Allegro
iniziale. Il bravissimo direttore finlandese
Pietari Inkinen ha rivelato sicure attitudini
musicali verso la musica bruckneriana, dando una
prova significativa nella sua completa
esternazione musicale, ricca di dettagli e di
espressività. Bravissimi i numerosi strumentisti
dell'Orchestra de I Pomeriggi in ogni
sezione strumentale, dai numerosissimi archi ai
fragorosi ed efficaci ottoni, molto rilevanti
nella musica di Bruckner. Grande successo con
applausi fragorosi da parte del numerosissimo
pubblico presente in teatro. Un prova
decisamente valida!
23 gennaio 2022 Cesare
Guzzardella
Riccardo Chailly
e la
Filarmonica della Scala per Beethoven e Mahler.
Due Prime Sinfonie quelle
ascoltate ieri sera in replica al Teatro alla
Scala. Sul podio scaligero Riccardo Chailly ha
infatti proposto prima la Sinfonia n.1 in do
maggiore op.21 di L.v.Beethoven e poi la più
corposa Sinfonia n.1 in re maggiore "Titano"
di Gustav Mahler.
Due
lavori distanti tra loro circa 90 anni e
diventati entrambi classici del sinfonismo
musicale. L'orchestra beethoveniana, di medie
dimensioni, ha ereditato nel 1799-1800, anni
della realizzazione della sua "prima", le
esperienze della scuola classica hydniana e
mozartiana per un lavoro raffinato, ricco di
equilibrio e anche spensierato, come testimonia
il delizioso Allegro molto vivace che
conclude la sinfonia. Un'interpretazione di
grande equilibrio classico quella di Chailly,
con una restituzione orchestrale di eccellente
livello. Atmosfere più dilatate e contrastate
quelle della celebre prima mahleriana, un brano
di quasi sessanta minuti del 1888 che segna già
completamente
il
linguaggio del grande musicista viennese. C'è
già moltissimo Mahler nella prima sinfonia!
Modalità discorsive che partendo dal mondo
folcloristico austriaco, dal tardo romanticismo
tedesco e da quell'ampliamento delle timbriche
orchestrali sostenute dalla grandi orchestre
sinfoniche dall'ultimo romanticismo, portano
alla scrittura di capolavori divenuti dei
classici non da molti decenni. Riccardo Chailly
ha trovato il giusto equilibrio, senza eccessi
volumetrici, nel definire in modo chiaro ed
espressivo l'universo sonoro di Mahler. La
Filarmonica della Scala, splendida, in ogni
sezione strumentale, ha raggiunto pienamente gli
obiettivi prefissati dal direttore milanese, con
un traguardo di alta qualità assai apprezzato
dal numerosissimo pubblico presente in teatro
alla terza e ultima esecuzione. Applausi
scroscianti interminabili e numerose uscite del
Maestro.
21 gennaio 2022 Cesare
Guzzardella
Alvise Casellati e
Alessandro Taverna per
Mozart e Beethoven
La Fondazione La Società
dei Concerti ha portato in Sala Verdi
l'Orchestra Maderna, compagine nata a Forlì nel
1996 e diretta ieri sera in Conservatorio da
Alvise Casellati.
Protagonista
del primo brano in programma è stato il pianista
veneto Alessandro Taverna che ha sostenuto il
ruolo più importante nel Concerto n.9 in mi
bemolle maggiore K 271 "Jeunehomme" di
Mozart. È un brano nei classici tre movimenti
del salisburghese che segna una svolta di novità
e creatività nei lavori solistici del grande
compositore. Uscendo dal classico stile galante,
tipico di quel periodo storico, Mozart, in
questo noto lavoro del 1777, trova felici
momenti creativi nell'Allegro, nel
profondo Andantino centrale e soprattutto
nel Rondó.Presto finale, un movimento
particolarmente dilatato con all'interno un
improvvisato minuetto centrale.
Alessandro Taverna, coadiuvato con efficace resa
coloristica dalla giovanile Orchestra Maderna e
dall'ottima direzione, ha trovato un valido
equilibrio discorsivo, giocato su una delicata
ma sicura timbrica, ben articolata e trasparente.
La parte solistica, spesso in evidenza senza
accompagnamento,
ha
rivelato la rilevante cifra interpretativa del
pianista che ricordiamo aver iniziato la
carriera solistica a livello internazionale con
l'affermazione al Concorso Pianistico Leeds nel
2009. Sostenuti gli applausi del numeroso
pubblico intervenuto e valido il bis concesso da
Taverna con il delicato Cigno dal
Carnevale degli Animali di Camille
Saint-Saëns, eseguito con garbo coloristico e
rilevante espressività. Dopo il breve intervallo,
valida l'interpretazione della Quinta
Sinfonia di Beethoven, affrontata in modo
grintoso da Casellati, per una resa sicura,
chiara e ricca di energia specie nell'Allegro
finale. Fragorosi applausi al termine e come
bis ripetizione delle battute finali
dell'Allegro.
20 gennaio 2022 Cesare
Guzzardella
VIOTTI TEA
– L’APPUNTAMENTO
SETTIMANALE CON LA CLASSICA E I GIOVANI TALENTI
A VERCELLI
Nel Viotti Club, nuova sede
della Camerata Ducale, la tradizionale ora del t è
diventa l’ora della musica per ascoltare, in
pieno pomeriggio, i migliori talenti della nuova
generazione. In tempi di distanziamento, avere
l'occasione di assistere (naturalmente, nel
rispetto di tutte le norme di prevenzione) a un
concerto dal vivo in un luogo intimo e raccolto
come il Viotti Club di via Galileo Ferraris 14,
nel cuore di Vercelli, è
davvero
un lusso.E ci sono almeno due motivi per
apprezzarlo, se possibile, ancora di più. Il
primo è che quello di giovedì 20 gennaio (ore
17) è solo uno dei ben 11 concerti che il Viotti
Club proporrà da oggi fino alla fine di marzo.Un
cartellone fitto di giovani solisti già avviati
verso una prestigiosa carriera, ma anche una
rassegna settimanale pensata
– e realizzata pur
tra tante difficoltà
– per
portare davvero l'arte “vicino” allo spettatore:
il talento al servizio delle persone e della
difesa dei veri, fondamentali valori umani.Il
secondo motivo è che
giovedì 20 saranno di scena due solisti già ben
conosciuti al pubblico vercellese ed entrambi
molto amati. La violinistra Giulia Rimonda, 19
anni, figlia d’arte di Guido Rimonda e Cristina
Canziani, artista residente della Fondazione
Società dei Concerti di Milano, solista della
Camerata Ducale Junior, allieva di Salvatore
Accardo all'Accademia Chigiana e dell'Accademia
di Santa Cecilia. Josef Mossali, talentuoso
pianista, 21 anni, già ammirato lo scorso giugno
al Museo Leone nella rassegna Pianofortissimo e
acclamato “Giovane talento musicale
dell’anno”
in occasione del Festival Pianistico di Brescia
e Bergamo. Considerato che Rimonda e Mossali
proporranno brani di grande presa emotiva,
ovvero due Sonate di Franck e Prokofiev, il
pomeriggio al Viotti Club si annuncia come una
di quelle occasioni nelle quali sarà davvero
bello poter dire: io c'ero. Tanto più che
l'ingresso ha un costo estremamente contenuto,
ovvero 5 Euro. Tuttavia, visto il numero
limitato dei posti disponibili, è vivamente
consigliata la prenotazione, che si può
effettuare scrivendo a
biglietteria@viottifestival.it o telefonando al
329 1260732. Giovedì 20 gennaio 2022 Viotti Club
Via G. Ferraris, 14
– Vercelli Ore
17.00
Ingresso Euro 5 – capienza limitata
Giulia Rimonda violino
,
Josef Mossali pianoforte
Programma
C.
Franck- Sonata in la maggiore.
S.
Prokofiev - Sonata in re maggiore n. 2, op. 94
bis
Il prossimo
appuntamento con la rassegna VIOTTI TEA giovedì
27 gennaio (ore 17), Marco Carino pianoforte,
programma: L.van Beethoven Sonata n.2 in la
maggiore, op. 2 n. 2, J. Brahms Sonata n.2 in fa
diesis minore, op. 2, F.Liszt Leggenda di San
Francesco da Paola che cammina sulle onde, S.175
n.2 ufficio.stampa@camerataducale.it cell. 366
30 54 181
dalla redazione 19 gennaio
2020
Leonidas Kavakos
ed Enrico Pace per "Serate Musicali"
È tornato in Conservatorio,
ai concerti organizzati da "Serate Musicali",
un duo di altissima qualità. Quello formato
dal violinista greco Leonidas Kavakos e dal
pianista riminese Enrico Pace. Come già scritto
più volte in questi anni nelle pagine del
giornale,
un duo cameristico cha ha
pochi rivali nel panorama concertistico mondiale.
L'impaginato ascoltato ieri sera in
Sala
Verdi, prevedeva brani di Schubert, Schumann e
Beethoven. Tre lavori importanti tra cui uno
celeberrimo, la Sonata op.47 "A Kreutzer",
eseguita dopo il breve intervallo e due meno
noti, ma di altrettanto interesse: il tardo
classicismo di Franz Schubert con la Sonata
Duo n.4 in la maggiore D.574 (1817) e il
romanticismo più evoluto di Robert Schumann con
la Sonata n.2 in re minore Op.121"Grosse
Sonate" (1851), così denominata per via
della ingente dimensione. Le mirabili
interpretazioni dei due strumentisti, poggiano
su un equilibrio discorsivo e su un'accurata
divisione delle parti, in perfetta sinergia. Il
modo particolareggiato di scavare nelle
timbriche di entrambi i musicisti, ha nella
costante riflessione l'elemento centrale di
definizione per una cifra estetica di evidente
espressività. La discrezione sonora che
caratterizza entrambi è supportata dalla
consapevolezza di non voler mai esagerare con un
uso gratuito virtuosistico. Le timbriche erano
misurate ma con ampio spessore dinamico nella
più classica sonata di Schubert, sonata che
risente ancora dell'influenza mozartiana,
sebbene più sostanziosa delle
precedenti
tre "Sonatine". Nella corposa Sonata op.121
di Schumann il taglio timbrico è apparso
profondo, scavato e tormentato nelle melodie
violinistiche e nelle rielaborate armonizzazioni
pianistiche. Il risultato interpretativo è stato
sorprendente e quest'ultima sonata, certamente
tra le più complesse nell'esemplarità di tutti i
quattro movimenti, è stata resa in modo
comprensibile
dalla chiarezza analitica della
sua restituzione. A questo splendido lavoro si è
unito poi il capolavoro consolidato della
Sonata n.9 op.47 in la maggiore (1803). La
sua restituzione ha trovato ancora nella resa
analitica e dettagliata di Kavakos e di Pace il
punto di partenza per una esecuzione che ha nel
Finale.Presto il momento di più
estemporanea resa discorsiva. Peccato la brusca
interruzione nelle ultimissime battute - poi
ripetute- del Presto iniziale del primo
movimento, dovuta alla rottura di una corda del
violino di Kavakos. La ripresa è stata poi
compensata dal ritorno all'alta qualità
interpretativa. Applausi sostenuti dal numeroso
pubblico intervenuto e decisamente valido il bis
con una inserzione musicale ricca di folclore
tratta dalle rapsodie per violino e pianoforte
di Bela Bartok. Splendido concerto.
18 gennaio 2022 Cesare Guzzardella
Il direttore
Vincenzo Milletarì e la pianista Valentina
Lisitsa per le "Notti russe" dell' Auditorium
Il giovane direttore italiano
Vincenzo Milletarì è in questi giorni sul podio
dell'Auditorium di l.go Mahler per un programma
tutto russo che prevede musiche di
Čaikovskij,
Stravinskij e
Šostakoviç.
Un impaginato eseguito partendo dal brano più
recente del terzo russo, e che arrivare a quello
più lontano nel tempo, il celebre Concerto
per Pianoforte e Orchestra n.1 i si bem. minore
op.23 di P.I.
Čaikovskij,
brano composto nel 1874-75. La prima parte della
serata, con i primi due lavori, l'Ouverture
su temi popolari russi e circassi op.115
(1963) di Dmitri Šostakoviç e la Suite
"L'Uccello di fuoco" (1910 - 1919) di Igor
Stravinskij, hanno messo in risalto le qualità
direttoriali di Milletarì che ha ben espresso
l'anima musicale russa alla testa dell'Orchestra
Sinfonica di Milano G.Verdi, compagine
strumentale ben collaudata in questo repertorio.
Protagonista della seconda parte della serata-
quella ascoltata ieri sera in replica- la
celebre pianista ucraina - naturalizzata
statunitense- Valentina Lisitsa. Il Concerto
op.23, forse il più eseguito tra i concerti
pianistici, è cavallo di battaglia di tutti i
grandi interpreti.
Unisce alla bellezza melodica dei temi, tra cui
il celeberrimo tema iniziale, momenti di
raffinato virtuosismo pianistico, spesso
dominante sulla componente orchestrale. La
Lisitsa, attraverso un' esecuzione virtuosistica,
scorrevole e d'immediato
impatto timbrico, ha trovato una corretta
sinergia con l'Orchestra Verdi e con la valida
direzione di Milletarì. Un'interpretazione che
ha meritato pienamente il successo tributato dal
numerosissimo pubblico intervenuto. Applausi
fragorosi per tutti e, a conclusione. bis
solistico della Lisitsa con un
iper-virtuosistico Grande Polonaise brillante
dall' Op.22 di Chopin. Un'esecuzione
estemporanea, ricca di energia, che ha strappato
al pubblico ancora fragorosi applausi. Domenica,
alle ore 16.00, ultima replica. Da non perdere.
15 gennaio 2022 Cesare
Guzzardella
Prossimamente a Vercelli il
Concerto della CAMERATA DUCALE JUNIOR con
Benedetto Lupo
Al XXIV Viotti
Festival inizia un'”altra stagione”. Proprio
così, perché il concerto che andrà in scena
sabato 15 gennaio (ore 21) al Teatro Civico di
Vercelli –
con ingresso gratuito per gli spettatori under
25, a titolo promozionale e per avvicinare i
giovani alla musica
– sarà il primo dei 3 appuntamenti della
rassegna della CDJ - Camerata Ducale Junior. Il
termine Junior non deve trarre in inganno: si
riferisce unicamente all'età degli interpreti,
giovanissimi talenti della classica, e non al
livello della performance ormai apprezzato in
tutta
Italia. I Maestri preparatori
dell’ensemble CDJ sono affermati solisti di
livello internazionale, che quest’anno non
soltanto guideranno le prove ma si esibiranno
anche in concerto con i giovani interpreti,
dimostrando tutta la dedizione e l'inesauribile
entusiasmo di chi fa davvero della musica una
ragione di vita. In questo primo concerto,
l'onere e l'onore toccherà a Benedetto Lupo, uno
dei pianisti che rappresentano sul piano
artistico e didattico un punto di riferimento
per i giovani musicisti.Intorno a lui, la CDJ in
veste di quartetto d'archi, con Giulia Rimonda e
Riccardo Zamuner ai violini, Lorenzo Lombardo
alla viola e Luca Giovannini al violoncello,
quattro talenti provenienti dalle grandi
Accademie italiane, impegnati in due
composizioni di Schumann e Brahms di grande
fascino e appeal. C’è un altro motivo per non
mancare: il concerto è dedicato alla memoria del
professor Francesco Ottino, già docente, preside
e “colonna” della scuola vercellese, ma anche
grande appassionato di musica. Storico abbonato
del Viotti Festival, ha saputo coinvolgere e
interessare tanti giovani non solo nel mondo
della scuola, ma anche in quello dei concerti. I
3 concerti della CDJ
– Camerata
Ducale Junior non fanno parte della stagione in
abbonamento del Viotti Festival. E’
previsto l’ingresso
unico a 10 Euro, gratuito per i giovani under
25. Acquisto dei biglietti online sul sito
www.viottifestival.it
Benedetto Lupo,
pianoforte, Camerata
Ducale Junior, Giulia
Rimonda –
Riccardo Zamuner violini,
Lorenzo Lombardo viola,
Luca Giovannini violoncello.
Programma: J.
Brahms - Quartetto per pianoforte e archi in do
minore n.3 op. 60 ; R.
Schumann - Quintetto per pianoforte e archi in
mi b maggiore op. 44.
dalla redazione 12 gennaio
2022
L'addio alla Scala
di Waltraud Meier
Il mezzosoprano Waltraud
Meier ha dato l'addio al Teatro alla Scala con
un ultimo recital proprio nel giorno del
suo compleanno. Dopo quarantasei anni di
carriera, onorata sia nel teatro milanese che
nei più prestigiosi palcoscenici mondiali, la
Meier ha deciso di lasciare le esibizioni entro
il 2022 o nei primi mesi del 2023. Era il 1987
quando la Meier varcava per la prima volta il
teatro scaligero, diretta da Sawallisch nel
Cardillac di Paul Hindemith. Ieri sera
un
numeroso pubblico ha accolto la celebre cantante
in palcoscenico con fragorosi e lunghi applausi.
In compagnia del basso austriaco Günther
Groissböck, entrambi accompagnati al pianoforte
dall'ottimo Joseph Breinl, ha impaginato un
programma corposo e vario che prevedeva brani di
Rott, Bruckner, Wolf e Mahler. Alternandosi o in
duo, entrambi hanno dato prova di grande
espressività vocale. La potenza timbrica del più
giovane Groissböck ha introdotto il recital con
i brani di Hans Rott, di Anton Bruckner e i
primi di Hugo Wolf. Una voce voluminosa, da
basso profondo, precisa, dettagliata e di
notevole espressività, ha trovato un appoggio
sicuro e perfettamente calibrato nelle mani di
Joseph Breinl. Pianista specializzato nel
settore dei lieder, Breinl ha animato la serata
con un pianismo che dire di accompagnamento è
certamente riduttivo. Le valenze
melodico-armoniche, specie nei brani di Mahler,
sono state determinanti per il valore
complessivo della resa musicale. In Mahler e non
solo, vere e proprie orchestrazioni hanno messo
in risalto timbriche complesse e articolate che
solo un pianista di eccellenti qualità può
evidenziare in modo chiaro e convincente.
La
voce intensamente espressiva della Meier, si è
rivelata con ancor più intensità proprio nei
brani mahleriani, oltre che nell'eccellente
Erlkönig di Schubert - applauditissimo dal
pubblico- eseguito come bis. Ancora una volta
sono state rivelate le straordinarie qualitá
gestuali-attoriali della cantante. Al termine
del concerto il Sovrintendente e Direttore
artistico scaligero Dominique Meyer è salito sul
palcoscenico per salutare e ricordare a tutti
gli intervenuti le straordinarie qualità
artistiche dell'artista, sia nei momenti delle
grandi Prime scaligere, specie wagneriane, sia
nelle recite di tutto il mondo. Uno splendido
omaggio floreale e un manifesto incorniciato con
una grande locandina di una non lontana prima
wagneriana, sono stati donati alla cantante. La
Meier è poi intervenuta, con evidente emozione,
per ringraziare il pubblico italiano della Scala
che tanto ha contribuito ai suoi straordinari
successi. Un breve, divertente ulteriore bis a
tre ha concluso la splendida serata con ovazione
finale per Waltraud Meier.
10 gennaio 2022 Cesare
Guzzardella
A VERCELLI IL FESTIVAL INIZIA
IL NUOVO ANNO NEL SEGNO DI GLORIA CAMPANER
Il concerto che sabato 8
gennaio (ore 21, concerto in abbonamento) andrà
in scena al Teatro Civico di Vercelli sarà il
primo del 2022 nel cartellone del XXIV Viotti
Festival. E sarà dunque un appuntamento
importante per
almeno tre motivi: l'aspetto
simbolico, i contenuti musicali e la presenza di
una straordinaria pianista quale Gloria
Campaner.Simbolicamente, questo concerto apre un
anno che si annuncia ancora irto di difficoltà,
ma che nel cuore di tutti si spera possa
finalmente segnare l'uscita dall'emergenza
pandemica e sappia consolare il pubblico della
recente delusione per l’annullamento del
concerto di San Silvestro E il programma del
concerto aiuterà a recuperare una visione del
mondo in qualche misura più poetica e fiduciosa.
Gloria Campaner eseguirà infatti due capolavori
assoluti del repertorio pianistico, capaci di
coinvolgere, affascinare, commuovere. La Suite
bergamasque di Claude Debussy, opera di vibrante
e struggente bellezza che contiene, come un
tesoro racchiuso in uno scrigno prezioso, il
Clair de lune, forse tra i brani pianistici più
amati e conosciuti di ogni tempo, capace di
attraversare le epoche finendo addirittura per
comparire nelle colonne sonore di grandi film
hollywoodiani. Poi sarà la volta dei Preludi di
Frederyk Chopin, omaggio al Clavicembalo ben
temperato di J. S. Bach nel quale, in 24 brani
– uno per tonalità
– che a volte paiono quasi
dei frammenti, si compone un mondo di passioni
inquiete, sentimenti profondi, incessante
ricerca della bellezza.Una scelta musicale
esaltata dal valore dell'interprete. Gloria
Campaner, infatti, cammina da tempo con grazia e
bellezza sui palcoscenici internazionali
lasciando dietro di sé momenti unici.
Artista riconosciuta per i suoi molteplici
talenti, unisce al suo appassionato impegno
musicale un'incessante attività per la difesa
dei diritti umani.
Prossimi appuntamenti:
- sabato 15.1.2022, h. 21,
Teatro Civico di Vercelli, Benedetto Lupo,
pianoforte e la Camerata Ducale Junior
eseguiranno di Schumann Quintetto in mi b
maggiore, op. 44 e di Brahms il Quartetto in do
minore n.3 op. 60, concerto fuori abbonamento
3 gennaio 2022 dalla
redazione
DICEMBRE 2021
A Vercelli Salta il Concerto
di San Silvestro per alcuni casi di Covid
Con estremo rammarico
l'Amministrazione Comunale di Vercelli e la
Camerata Ducale comunicano che il Concerto di
San Silvestro previsto al Teatro Civico per oggi,
venerdì 31.12.2021, alle ore 19.30, è annullato.
La causa è dovuta ad alcuni casi di Covid tra i
componenti dell'orchestra e alla conseguente
impossibilità di mandare in scena uno spettacolo
a organico completo e nel rispetto delle norme
di prevenzione. Si tratta di una decisione
sofferta e dolorosa ma indispensabile in vista
della tutela della salute degli orchestrali, del
personale di scena e naturalmente degli
spettatori.
31-12 - 2021 dalla redazione
GRANDE RITORNO AL TEATRO
CIVICO: IL CONCERTO DI SAN SILVESTRO!
Se c'è un momento nel quale è
importante iniziare un nuovo anno sotto una
buona stella, è questo. Ed è difficile
immaginare qualcosa di più positivo e
beneaugurante di una serata allegra, piena di
grande musica e costellata di risate, il tutto
in ottima compagnia e con gli auguri finali che
lasciano il tempo per recarsi al tradizionale
cenone. Bene, tutto questo, e molto di più, è il
Concerto di San Silvestro che andrà in scena
–
anzi, tornerà finalmente in
scena
–
venerdì 31 dicembre al Teatro Civico di
Vercelli, con inizio alle ore 19,30. Sarà
l'appuntamento con il quale il Viotti Festival e
la Camerata Ducale daranno l'addio al tormentato
2021 e il benvenuto al prossimo anno, che dal
punto di vista musicale si annuncia
assolutamente straordinario. Inutile sperare di
ricevere qualche anticipazione: dalla Camerata
Ducale non trapela assolutamente nulla sul
programma della serata. Soltanto due sono le
certezze. La prima è che sarà un concerto fitto
di carrellate musicali travolgenti e di
divertenti intermezzi nei quali i musicisti e i
loro ospiti, anch'essi rigorosamente a sorpresa,
mostreranno la loro verve comica e la capacità
di dimenticare la serietà dei loro ruoli
abituali. “Aspettiamoci l'inaspettato” sarà
dunque la parola d'ordine. La seconda certezza è
che, per la prima volta nella più che ventennale
storia del Concerto di San Silvestro, la serata
avrà un regista, e un regista d'eccezione: si
tratta infatti di Giovanni Mongiano. Guido
Rimonda violino e direttore,
Giovanni Mongiano regia,
Orchestra Camerata Ducale . Programma a sorpresa.
(Foto dall'Uff.Stampa Camerata Ducale).
Prossimi appuntamenti: - sabato 8.1.2022, h.
21.00, Teatro Civico di Vercelli, concerto in
abbonamento del Viotti Festival, Gloria Campaner,
pianoforte eseguirà la Suite bergamasque di
Debussy e i 24 preludi, op.28 di Chopin; -
sabato 15.1.2022, h. 21, Teatro Civico di
Vercelli, Benedetto Lupo, pianoforte e la
Camerata Ducale Junior eseguiranno di Schumann
Quintetto in mi b maggiore, op. 44 e di Brahms
il Quartetto in do minore n.3 op. 60, concerto
fuori abbonamento
29-12-2021 dalla redazione
Il duo Zalejski
e Jakub
Tchorzewski in Sala Puccini del Conservatorio
Un concerto di rarissimo
ascolto quello proposto dal duo violinistico
formato da Pawel Zalejski e Monika Hager-Zalejska
e dal pianista Jakub Tchorzewski. Era
organizzato da Serate Musicali e dal
Consolato Generale della Repubblica di Polonia
di Milano. Brani di Martin ů,
Szymanowski, Šostakoviç e
Palester sono stati proposti nella Sala Puccini
del Conservatorio milanese, all'insaputa della
stampa ufficiale, visto l'esiguo numero di
spettatori presenti. Ma i
pochi fortunati hanno
assistito ad un eccellente concerto dove i tre
protagonisti, ora in duo, ora in trio, hanno
rivelato alte qualità interpretative in brani
raramente proposti ma certamente eseguit i dai
protagonisti molte volte. La sintonia tra i due
violini e l'ottima parte pianistica sono emerse
in tutti i lavori, a cominciare
dall'interessantissima Sonata per due violini
e pianoforte H213 del ceco Bhouslav Martinů
(1890-1959). Il suo stile tra l'impressionismo
alla Debussy e il neoclassicismo alla
Stravinskij è emerso in
toto nell'eccellente interpretazione, dove
l'equilibrio
perfetto del trio, giocato su
un'eleganza alla "viennese", si è certamente
notata. Eleganza, discrezione e attenzione alle
dinamiche, si sono ritrovate in tutti i brani.
Dal rarissimo Canto di Rossana per
violino e pianoforte (solista la Hager) di Karol
Szymanowski ( 1882-1937), ai deliziosi Cinque
Pezzi per due violini e pianoforte di D.
Šostakoviç (1906-1975);
per arrivare ad un compositore che non conoscevo
come il polacco Roman Palester (1907-1989) con
due suoi lavori: la Danza polacca per
violino e pianoforte (solista Pawel Zalejski) e
la sorprendente Sonata per due violini e
pianoforte, brano del 1939 in uno stile
vicino a Martinů
o ai russi del periodo. Di altrettanta qualità
il bis concesso con la Danza spagnola per
due violini e piano di Dmitri
Šostakoviç,
due minuti deliziosi. Applausi fragorosi dai
pochi fortunati.
22 dicembre 2021 Cesare
Guzzardella
Roberto Cappello
alle
Serate Musicali in Conservatorio
Torna puntualmente a Milano
in Conservatorio il pianista Roberto Cappello
per i concerti organizzati da Serate Musicali.
Questa volta per un impaginato dove il
virtuosismo pianistico era rappresentato dalla
figura del grande pianista-compositore Franz
Liszt. Un programma interamente legato a Liszt,
ma con un riferimento ad un altro grande genio
dell'Ottocento musicale quale Franz Schubert.
Tra le centinaia di trascrizioni o
rielaborazioni fatte dal musicista ungherese su
brani di altri compositori, certamente quelle
sui lieder di Schubert
occupano
una parte rilevante. Il concerto, oltre novanta
minuti di musica senza intervallo, ha trovato
inizialmente otto lieder di Schubert nella
trascrizione pianistica di Liszt, al quale si
aggiunge l'Ave Maria eseguita a
conclusione della splendida serata. Dopo i primi
otto brani, due corposi lavori completamente di
Liszt, Après un lecture du Dante: Sonata
quasi una Fantasia e Bénédiction de Dieu
dans la Solitude, hanno ancor più
evidenziato la componente virtuosistica legata a
Liszt e naturalmente espressa con efficace resa
interpretativa dal pianista salentino. Cappello
ha affrontato l'impegnativo impaginato con
evidente concentrazione e profonda penetrazione
del
complesso materiale sonoro, esaltando la
fondamentale parte melodica dei canti
schubertiani in un contesto armonico deciso e
limpido nelle timbriche espresse. La trasparenza
dei piani sonori ha messo in risalto le melodie
schubertiane in tutti i lavori, alcuni di essi
maggiormente noti, come Sei mir gegrübt,
Erkönig, Standchen ( la celebre
Serenata) o l'altrettanto celebre Ave
Maria. La perfezione tecnico-espressiva di
Cappello ha messo in risalto ogni dettaglio, ben
evidenziato nella solida costruzione
architettonica. Di particolare intensità
espressiva anche i due brani interamente di
Liszt dove Cappello ha rivelato un taglio
scultoreo nel definire le fragorose volumetrie
spesso presenti, ma anche un modo sottile e
raffinato d'espressione nei frangenti di più
pacata discorsività, come nel secondo brano
lisztiano. Una sequenza di brani scelti con
coerenza, per una cifra stilistica che ha pochi
uguali nel panorama pianistico internazionale.
Un interprete che ricordiamo avere iniziato la
folgorante carriera solistica nel lontano 1976
con la vittoria del prestigioso "Concorso
Internazionale Ferruccio Busoni". Applausi
fragorosi in una Sala Verdi purtroppo non al
completo.
21 dicembre 2021 Cesare
Guzzardella
Agli Amici del Loggione
del Teatro alla Scala le
musiche del
siciliano Antonio Trovato
Una serata ben organizzata e
ottimamente riuscita quella di ieri sera agli
Amici del Loggione del Teatro alla Scala di
via Silvio Pellico. Mario Marcarini ha portato
il pianista-compositore siciliano Antonio
Trovato sul palcoscenico della capiente sala in
occasione della conclusione del ciclo d'incontri
musicali denominati "Lieti Calici",
organizzati dal noto circolo culturale milanese.
L'evento musicale è stato anticipato dagli
interventi di Gino Vezzini, Presidente degli
Amici del Loggione, che ha ricordato
l'importanza storica degli "Amici del loggione"
come luogo d'incontro d'illustri personaggi
legati alla Scala; del Presidente di Ensto
Apollo Guglielmo Rutigliano, una società
anche specializzata in sanificazione di ambienti.
Il Maestro Alberto Malazzi, direttoro del
prestigioso Coro del Teatro alla Scala,
impegnato in questi giorni nel Macbeth verdiano,
ha ricordato il periodo di apprendistato col
Maestro Bruno Casoni e la sua esperienze recente
a Bologna, quindi quella attuale alla Scala in
sostituzione di Casoni. Il virologo Fabrizio
Pregliasco, ha poi evidenziato l'importanza
della sanificazione degli spazi chiusi per
protegerci dalla pandemia. Alcune domande di
Marcarini al compositore Trovato hanno
anticipato la sua performance di
presentazione ai suoi Cd, sia quello
recentemente uscito, "Percorsi dell'anima",
reperibile in sala, sia il prossimo, legato
ad un nuovo progetto, denominato "Luci di
Sicilia". Tra i brani eseguiti, alcuni sono
stati composti recentemente in occasione di
questo incontro. Trovato, nato a Taormina nel
1970, ma residente da decenni a Palermo, nella
breve intervista concessami nel pre-serata, ha
raccontato il precoce inizio dei suoi studi
musicali, lo studio classico del pianoforte,
strumento da sempre presente in casa, provenendo
lui da una famiglia di musicisti, e il suo
immediato orientamento verso la composizione. La
copiosa produzione ha portato
Trovato ad
eseguire in concerto i suoi espressivi lavori.
Sottolineando gli studi di composizione con
Eliodoro Sollima - padre del noto violoncellista
Giovanni- e la sua passione per i classici
italiani e soprattutto per la scuola musicale
russa di
Čajkovskij,
Musorgskij Rachmaninov, Prokofiev, Šostakoviç
e Schnittke, Trovato ha messo in evidenza la sua
scelta compositiva nata dopo un lungo lavoro di
ricerca musicale e legata alla tradizione tonale
in opposizione al linguaggio sperimentale
odierno, spesso incomprensibile. Nei suoi brani
la provenienza dalla terra siciliana ha una
ragione importante d'ispirazione. I suoi lavori
hanno spesso
come riferimento luoghi e
situazioni legati alla Sicilia: dal celebre
dipinto di Antonello
da Messina "Annunciata di
Palermo", al dramma di Falcone e Borsellino, dai
luoghi storici palermitani come il mercato
Vucciria e il relativo dipinto di Renato Guttuso,
al mondo delle marionette e dei pupi ancora
presenti in molte realtà, soprattutto locali,
della terra sicula. Mormorii del bosco, Una
preghiera (dedicato ad Antonello da
Messina), Fantasia dantesca, Luci di Sicilia,
Ad Apollo, Passeggiata alla Vucciria,
I Pupi, questi i brani eseguiti da
Antonio Trovato ieri in circa trenta minuti di
ottima musica. Lavori caratterizzati da
una valida costruzione
melodico-armonica, e da un linguaggio personale
che ha
nella tradizione e nel calore
mediterraneo i punti di forza e di pregnante
resa espressiva. L'immediatezza della
restituzione e della comprensione risultano
evidenti, grazie anche alla sua dettagliata ed
incisiva interpretazione pianistica. Applausi
convinti dal numeroso pubblico intervenuto e
ottima conclusione della serata con un aperitivo
e una cena con eccellente vino rosso gentilmente
offerti dall'organizzazione.
18 dicembre 2021 Cesare
Guzzardella
La violinista russa Alëna
Baeva
diretta da Jaume
Santonja in Auditorium
Alëna Baeva, affermata
violinista russa, è approdata a Milano per il
Concerto n.1 in Re maggiore op.35 di
Čaikovskij,
opera arcinota del suo grande connazionale. L'Orchestra
Sinfonica di Milano "G.Verdi" era per
l'occasione diretta dallo spagnolo Jaume
Santonja,
impegnato
nella seconda parte del concerto anche con la
Prima Sinfonia del grande russo denominata "Sogni
d'inverno".
La
notorietà del Concerto
op.35, composto da P.I.
Čaikovskij
nel 1878, è tale da essere
probabilmente il più eseguito al mondo. Non c'è
grande violinista che non si sia cimentato in
questo lavoro particolarmente virtuosistico che
deve la sua fama soprattutto al corposo primo
movimento, l' Allegro moderato, moderato
assai, allegro giusto. Una prima parte che
quasi sempre al termine strappa gli applausi del
pubblico, cosa che teoricamente non dovrebbe
avvenire ma che ancora una volta è avvenuta.
L'interpretazione ascoltata dalla giovane
solista Baeva è stata certamente all'altezza
della notorietà del brano. Le qualità
virtuosistiche di Alëna Baeva sono emerse dal
suo tocco energico, preciso e dettagliato non
disgiunto da eleganza anche gestuale,
impreziosite dai corposi colori del suo
splendido violino,
un
Guarneri del Gesù del 1738. Particolatmente
intenso per le ombrose timbriche l'Andante
centrale e ancora ricco di energia il
Finale.Allegro vivacissimo. Di qualità le
sinergie con l'Orchestra Sinfonica Verdi
ottimamente diretta da Santonja. Particolarmente
intenso il breve bis offerto dalla solista.
Nella seconda parte della serata ottima
l'interpretazione della Sinfonia in Sol
minore "Sogni d'inverno", primo importante
lavoro sinfonico di
Čaikovskij
iniziato nel 1868 e modificato più
volte sino al 1874. Applausi fragorosi del
numeroso pubblico intervenuto in Auditorium.
Prima replica per questa sera alle ore 20.00 e
replica ulteriore per domenica alle ore 16.00-Da
non perdere!
17 dicembre 2021 Cesare
Guzzardella
Successo meritato per il
Macbeth al Teatro alla Scala
Dopo lo straordinario
successo della prima scaligera e della diretta
televisiva, con alcuni milioni di telespettatori,
vedere finalmente ieri sera la quarta rappresentazione del
Macbeth verdiano al Teatro
alla Scala, ha dato maggiore chiarezza
alle positive impressioni
avute dalla
visione sullo
schermo. Guardare l'opera e ascoltarla dalle
vive voci in teatro, ha aggiunto certezza alla
validità di un lavoro certamente impegnativo e
complesso, ma ottimamente realizzato. La regia e
l'allestimento scenico, criticato in negativo da
alcuni osservatori nella resa teatrale, meno in
quella televisiva, mi sono assai piaciuti e le
critiche di alcuni non mi trovano per nulla
concorde. Anzi, considerando l'ottima direzione
di Riccardo Chailly, l'alta qualità del
cast vocale e l'eccellente parte corale, che in
quest'opera è componente fondamentale, la regia
di Livermore, l'allestimento Giò Forma con gli
importanti video D-Wok, i costumi di Gianluca
Falaschi e le luci di Antonio Castro, si sono
rivelati di valore non solo per modernizzare
l'opera, ma per l'attualizzazione dei contenuti.
Fondamentale l'aspetto unitario della
messinscena: non ci sono stati squilibri nelle
varie componenti, ma soprattutto sinergie, e
questo vale anche per la parte coreografica
curata splendidamente da Daniel Ezralov. La
concertazione di Riccardo Chailly, ricca di
colori, energica e rispettosissima delle voci,
ha esaltato la musica di Verdi, per un'opera
probabilmente meno conosciuta di altre, che
offre un insieme musicale, tra parti solistiche,
corali e anche sinfoniche, che non ha uguali
nella produzione del Maestro di Roncole di
Busseto. L'alta resa espressiva dell' Orchestra
scaligera ha trovato il degno appoggio nelle
voci protagoniste di Anna Netrebko, una Lady
Macbeth apparsa in grande forma sia vocale
che attoriale, e di Luca Salsi, con un
Macbeth di alto profilo timbrico. (foto a
cura di Brescia e Amisano dall'Archivio del
Teatro alla
Scala) I due maggiori interpreti
hanno rivelato volumetrie vocali invidiabili e
chiarezza espressiva evidente. Di grande
efficacia timbrica sia il Banco di Ildar
Abdrazakov che il Macduff di Francesco
Meli. Ottimi anche Chiara Isotton, Dama di
Lady Macbeth, Ivan Ayón Rivas in Malcolm
e gli altri.
La formidabile parte corale curata
da Alberto Malazzi, e per le Voci bianche anche
da Bruno Casoni, ha segnato in modo indelebile,
anche per presenza scenica, il capolavoro di
Verdi. L'integrazioni delle luminosissime
immagini proiettate, perfette in video, hanno
trovato resa ottimale in teatro nella visione
frontale del palcoscenico e meno dalle viste
laterali. Applausi sostenuti dal numeroso
pubblico in un teatro quasi al 100% completo e
numerose uscite in palcoscenico di tutti i
protagonisti. Splendida messinscena!
16 dicembre 2021 Cesare
Guzzardella
Pletnev e Chopin
alle Serate
Musicali in Conservatorio
È ritornato Mikhail Pletnev
ai concerti organizzati da "Serate Musicali"
in Conservatorio. Questa volta per un "tutto
Chopin", con una dozzina di brani tra
Polacche, Notturni, Fantasie
e
Barcarola. Un pianista che, come sempre, si
presenta statuario, con poca mimica e molta
sostanza. Certo, Pletnev è Pletnev, nel senso
che il suo modo di esprimersi è talmente
personale da non essere che lui l'interprete di
riferimento. Il problema è che il riferimento
dovrebbe essere Chopin, l'amatissimo Chopin,
storicizzato da molti eccelsi interpreti, e
invece spesso troviamo Pletnev-Chopin, con il
primo in maggiore evidenza del secondo. Premesso
che ci troviamo di fronte ad un mostro di
bravura, per quanto concerne il dominio assoluto
della tastiera, il controllo delle dinamiche,
dei timbri, di ogni dettaglio. Pletnev ha pochi
rivali nel mondo dei grandi pianisti, che è
inutile elencare.
Insomma,
quello che ha fatto il pianista russo è
certamente un allargamento della prospettiva che
consideriamo nell'ascoltare il grande Polacco.
Uno Chopin iper-sfaccettato con frangenti
eccelsi,
che lasciano sgomenti per bellezza timbrica e
raffinatezza di pensiero, come in quasi tutti i
Notturni eseguiti, a cominciare da quello
più celebre, il Notturno in mi bem. maggiore
op.9 n.2, bello da togliere il respiro.
Altri brani, come le Polacche Op.26 n.2 o
Op.53, la Fantasia op.49, la
Polonaise-Fantasie op.61 o la Barcarola
op.60, fanno riflettere perchè Pletnev, in
questi, porta l'ascoltatore dove vuole lui,
facendo spesso dimenticare Fryderyk Chopin. Ma
lui può permetterselo. Esemplare il bis concesso
di Moszkowsky, l'Étude op.72 n.6.
Applausi fragorosi dal numerosissimo pubblico
intervenuto.
14 dicembre 2021
Cesare Guzzardella
LETTERATURA E MUSICA
S’INCONTRANO AL FESTIVAL CANTELLI
Il terzo appuntamento
dell’attuale stagione del novarese Festival
Cantelli, ha proposto ieri sera, sull’ormai
consueto palcoscenico del Teatro Faraggiana, un
concerto dalla formula inconsueta e piuttosto
originale, che può aver fatto storcere il naso a
qualche musicofilo ‘fondamentalista’, ma che a
noi è apparsa iniziativa culturale intelligente
e stimolante. Fondata sull’incontro/confronto
tra musica e letteratura, la serata proponeva
l’esecuzione di un solo pezzo, la celeberrima
Sonata beethoveniana per violino e pianoforte
op. 47 in LA maggiore “A Kreutzer”, i cui tre
movimenti intervallavano la rappresentazione in
trasposizione teatrale del romanzo breve “La
sonata a Kreutzer”, capolavoro dell’ultima fase
della creazione letteraria di Lev N. Tolstoj.
Probabile ideatore della serata, nonché pianista
nell’esecuzione della sonata, Ettore Borri, per
presentare il profilo e le attività del quale si
esaurirebbe l’inchiostro di una penna: pianista
di grande valore,
studioso,
in particolare della storia del genere
pianistico del ‘notturno’ e massimo esperto in
Italia dell’opera del compositore irlandese John
Field che ne fu l’inventore, attualmente
insegnante di pianoforte principale al
Conservatorio di Milano e per anni indimenticato
direttore di quello di Novara, città cui è
profondamente legato, anzitutto con la
presidenza dell’Associazione ‘Amici della musica’
organizzatrice del Festival Cantelli. E non
abbiamo citato che una parte minima (per
quantità, non certo per qualità) delle sue
svariate attività. Al violino il giovane
violinista novarese Matteo Ruffo, da dieci anni
tra i primi violini dell’Orchestra Sinfonica
della Rai, ma con alle spalle anche una solida
esperienza sia solistica sia cameristica: è tra
i fondatori del quartetto d’archi ‘Perosi’ che
si sta facendo conoscere nelle sale da concerto
e con incisioni discografiche di notevole
qualità. La parte ‘teatrale’ della serata era
affidata al noto attore Mario Cei, che ha
interpretato una riduzione del racconto
tolstojano, in sostanza un’antologia di pagine,
pensata per l’occasione da Claudio Beccari,
attore e regista da tempo immemorabile legato al
teatro dei Filodrammatici di Milano. L’idea che
sta alla base di questo spettacolo teatral-musicale
è molto chiara: mentre per Beethoven la musica,
come ben testimonia il c.d. “Testamento di
Heiligenstadt”, costituisce l’attività
spirituale che dà senso ad una vita che rischia
di precipitare nell’abisso della disperazione,
con l’insorgere della sordità, e dunque si
presenta come elevazione dell’animo ed
alternativa salvifica alla tentazione della
morte, per il grande scrittore russo,
all’opposto, la musica “è una cosa terribile”
(come si legge nel romanzo), in quanto agisce
sull’animo non elevandolo (“sciocchezze”
commenta Tolstoj), ma eccitandolo, suscitando in
esso un turbine di passioni, soprattutto legate
alla sfera dei sensi e dell’eros, che, prima
inavvertite dalla coscienza, affiorano ora sotto
l’impulso del ritmo e del suono (Freud e la
psicanalisi non sono lontani). Si tratta di una
posizione che Tolstoj attinge a tutto un filone
radicale della mistica cristiano-orientale e
specificatamente russa e che appunto s’incarna
nella tragica vicenda di Vasja Pozdniscev,
il
protagonista e io narrante del romanzo, che,
spinto da un turbine di passione sensuale e di
gelosia, sorto in lui all’ascolto della sonata
“A Kreutzer “eseguita dalla moglie e da un
giovane violinista, giunge infine a uccidere la
moglie, della cui ‘colpa’, peraltro, lo stesso
uxoricida non ha alcuna prova certa. Dunque
musica come elevazione salvifica dell’animo, o
come scatenamento sensuale di rovinosi impulsi
inconsci ? Naturalmente dal palcoscenico del
Faraggiana non può venire alcuna risposta,
perché entrambe le tesi sono unilaterali e
parziali: la musica è il più straordinario
linguaggio non verbale creato dall’uomo, capace
di dare vita a un mondo in cui si esprimono, nei
suoni, tutte le pieghe dell’anima umana,
l’intero ‘pianeta uomo’ , potremmo dire. E
dunque l’elemento più accattivante di questa
singolare messa in scena di una composizione
musicale sta nell’atmosfera, carica di crescente
tensione, che le pagine dell’opera del grande
romanziere russo creano intorno alla musica,
suggerendo come l’eco di una tenebrosa
profondità, di un che di indicibile e di oscuro
che si nasconde nel suono. A questo effetto
contribuisce in misura decisiva l’ottima resa
interpretativa di Cei, che, alternando
recitazione e lettura, dà il ‘respiro’ giusto,
emotivamente assai coinvolgente, alle pagine
tolstojane, accompagnato da una sobria
scenografia di evidente significato simbolico:
due sedie tra loro distanziate da un lenzuolo di
un letto nuziale arrotolato e gualcito, a
significare la lontananza, l’estraneità
reciproca tra i due coniugi protagonisti del
racconto, per i quali (come per tutti gli uomini
e le donne del mondo, secondo Tolstoj) quello
che un’ipocrita convenzione chiama “amore” non
può essere altro che pura attrazione fisica e
piacere dei sensi, tragicamente sfociato nel
sangue, il cui sinistro colore rosso illumina
alla fine il lenzuolo. Ma veniamo all’esecuzione
musicale di questo capolavoro. Il problema
esecutivo fondamentale con cui gli interpreti
della Sonata a Kreutzer devono fare i conti è
già chiaramente indicato da Beethoven, quando
nel titolo dell’opera parla di “stilo (sic)
molto concertante, quasi come un Concerto”.
Dunque una sonata che, per densità di scrittura
e di intreccio delle due linee strumentali, va
ben oltre i confini tradizionali del genere, per
attingere una grandiosità di suono di rilievo
concertistico. Basti pensare, a mo’ d’esempio,
alla scrittura pianistica di eccezionale
ricchezza, a quattro parti reali, della terza
variazione dell’Andante centrale. A questo si
aggiunge la seconda componente caratteristica
della Kreutzer, quella che fece scattare la
critica inesorabile di Tolstoj: l’estrema
tensione agogica dei due tempi estremi, in
particolare del Presto iniziale, un che di
febbrile, di drammatico e sinistro che li ispira.
Ci pare che Borri e Ruffo abbiano
interpretato
al meglio entrambi i caratteri del brano,
Considerando in particolare il primo tempo,
grazie alla proiezione sempre energica e potente
del suono, al controllo sapiente delle dinamiche,
i due interpreti hanno dato compiuto rilievo
alla violenta contrapposizione, all’incessante
inseguirsi dei due strumenti, che nella seconda
sezione del movimento, dopo la breve pausa di
poche battute in Adagio, si scatena in una serie
di ottave spezzate, eseguite dal pianoforte di
Borri con la giusta energia e sostenute dai
pizzicati del violino, quasi ‘strappati’ da
Ruffo. In questa sonorità vagamente allucinata,
il rigore esecutivo dei due interpreti manteneva
un controllo sempre nitido e trasparente del
fraseggio, con un suono che non perdeva nulla
della sua chiarezza anche nella coda, dove il
pianoforte è chiamato a una vera ‘onda d’urto’
di martellanti doppie ottave arpeggi, mentre il
violino affronta un impervio ‘sforzando’, che
Ruffo esegue con olimpica naturalezza.
Tutt’altra ispirazione, e dunque altre le
esigenze espressive poste dal successivo Andante
con variazioni: qui vengono in piena luce la
luminosa cavata del violino di Ruffo, che
incanta particolarmente nella terza variazione
con una melodia fraseggiata con intima dolcezza
di sfumature, e la fluida cantabilità che Borri
sa dare al suono nella variazione iniziale,
mentre l’ultima variazione è il banco di prova
della raffinata capacità dialogica dei due
strumentisti, sempre impeccabile, ma qui resa
particolarmente suggestiva dall’incessante
fioritura di abbellimenti, fra trilli, gruppetti
e quant’altro, il tutto eseguito con limpida
tornitura di suoni e timbri. Coinvolgente ,
nell’interpretazione di Ruffo e Borri il moto
perpetuo in forma di tarantella, che nel Presto
finale riprende l’acceso dinamismo del primo
movimento, trascinante sino alla conclusione,
all’insegna di un’ebbrezza incontenibile dei
suoni: forse ha davvero ragione Quirino
Principe, quando sostiene che, nella sua essenza
profonda, la musica è energia cosmica allo stato
puro, e Beethoven è stato il compositore che più
di tutti lo ha capito. Bello lo spettacolo nel
suo insieme, bella l’esecuzione della sonata a
Kreutzer: merito dei tre bravissimi interpreti
nei loro rispettivi ruoli, salutati da una salva
di applausi del pubblico presente: abbastanza
numeroso, ma una serata come questa avrebbe
meritato almeno la platea al completo. Ma in
tempi di Covid di nuovo all’offensiva qualche
posto vuoto di troppo è più che comprensibile.
Chi c’era, comunque, ricorderà a lungo questa
serata. Ora il Festival Cantelli si prende una
lunga pausa, per riprendere a Marzo con l’ultima
serata in programma, dedicata allo ‘Spazzacamino’
di B. Britten.( Foto a cura del Festival Cantelli)
14 dicembre 2021 Bruno Busca
Wayne Marshall
all'organo e alla
direzione della "Sinfonica G.Verdi"
Un programma di particolare
interesse quello voluto dal direttore
d'orchestra inglese Wayne Marshall, con brani di Dupré, Poulenc e Bizet per un concerto
denominato "A tutto organo" , ascoltato
all'ultima replica domenicale in Auditorium.
L'Ochestra
Sinfonica G.Verdi di Milano ha trovato la
corposità delle timbriche di un grande organo,
suonato dallo stesso Marshall, per esprimere un
qualcosa che si ascolta raramente. Il
Concerto per Organo,
orchestra d'archi e timpani del parigino Francis
Poulenc, brano composto tra il 1934 e il 1938,
era in posizione centrale nell'impaginato, come
lo era il bellissimo organo posizionato al
centro del palcoscenico. Marshall ha introdotto
in solitaria il concerto con un lavoro
organistico di Marcel Dupré denominato
Cortège et Litanie op.19 n.2, dove ha
rivelato oltre alle sue eccellenti qualità di
organista, anche la varietà dei registri dello
straordinario strumento a tastiera - ben tre
tastiere più la pedaliera - per un brano
composto dal francese nel 1922 per undici
strumenti, poi trascritto per questo strumento.
È
un lavoro breve, di circa sette minuti, dal
carattere religioso, sapientemente restituito
nei colori dal solista. Di maggiore
particolarità il Concerto per Organo,
orchestra d'archi e timpani di Poulenc. Lo
stile caratteristico e unico del compositore
parigino si trova condensato in questo eclettico
brano in sette movimenti, dove gli intensi
volumi timbrici dell'organo sono a volte in
contrasto e a volte complementari, con le
timbriche degli archi. Elemento d'unione tra le
corpose masse sonore dell'organo e degli archi
è quello dei fondamentali timpani, inseriti nei
momenti cruciali della bellissima composizione.
Eccellente la resa strumentale di Marshall alle
tastiere e contemporaneamente anche alla
direzione. Di grande effetto il bis solistico concesso da
Marshall con una trascrizione organistica,
probabilmente dello stesso direttore , di Jingle Bells. Dopo l'intervallo l'esecuzione della
luminosa
e scorrevole Sinfonia n.1 in do
maggiore di Georges Bizet - un altro
compositore francese- ci ha fatto tornare
indietro negli anni al 1855. Bizet aveva solo 17
anni è componeva la sua unica sinfonia, un
lavoro in quattro movimenti di raffinata e ricca
liricità ed esemplare orchestrazione,
interpretato splendidamente dalla Sinfonica
Verdi e dalla decisa bacchetta di Wayne
Marshall. Splendido concerto!
13 dicembre 2021 Cesare
Guzzardella
Successo all'Auditorium
per il debutto dell'Orchestra Sinfonica
Giovanile di Milano
Il debutto dell'Orchestra
Sinfonica Giovanile di Milano
ha riscosso un meritato successo all'Auditorium
di largo Mahler. Formata da giovanissimi strumentisti, alcuni
neo-diplomati, altri con ancora studi in atto,
viene seguita da tutor della Sinfonica Verdi
come lo storico primo violino Luca Santaniello,
e ha prossimamente in programma altri importanti
concerti. Nell'impaginato del tardo pomeriggio
di ieri, due i brani in programma: il
Concerto per Violino e Orchestra n.1 K 207
di Mozart e la Sinfonia n.7 Op.92 di
Beethoven. Nel giovanile concerto mozartiano una
violinista di primo livello e di notorietà
internazionale quale Francesca Dego ha sostenuto
ottimamente la parte solistica, e l'Orchestra,
diretta molto bene da Andrea Oddone, ha
integrato con qualità altrettanto valida,
le eccellenti escursioni melodiche della Dego. La
resa complessiva è stata ottima. Francesca ha
poi concesso un bis solistico con un brano
composto, e a lei dedicato, da Carlo Boccadoro.
Il compositore, pianista e direttore d'orchestra
milanese ha scritto Come d'autunno per
violino solo ispirandosi dalla nota poesia di
Ungaretti. Un brano di non facile discorsività
eseguito con maestria dalla violinista, con
momenti di evidente virtuosismo. Dopo il breve
intervallo, la nota Sinfonia in la maggiore
del genio di Bonn ha rivelato ancor più le
qualità dei giovani orchestrali. La grintosa
direzione di Oddone ha trovato una valida
risposta in ogni sezione della più ampia
compagine orchestrale che, dopo l'energico
Allegro con brio finale, ha strappato
fragorosi applausi al numeroso pubblico
intervenuto. Eccellente debutto!
12 dicembre 2021 Cesare
Guzzardella
IL TRIO CHAGALL
A VERCELLI PER IL VIOTTI FESTIVAL
La seconda serata
dell’attuale stagione del Viotti Festival di
Vercelli, prevedeva, ieri sera , sabato 11/12,
secondo il programma ufficialmente pubblicato,
l’esibizione al Teatro civico del Quartetto
Adorno. Cause di forza maggiore hanno costretto
quest’ultimo alla rinuncia, ed è stato
sostituito da una delle più interessanti
formazioni cameristiche ‘emergenti’ oggi in
Italia, il Trio Chagall. Fondato a Torino nel
2013 dai giovanissimi Edoardo Grieco (violino),
Francesco Massimino (violoncello) e Lorenzo
Nguyen ( pianoforte), si è già fatto apprezzare
in molte prestigiose sale della penisola,
ottenendo
numerosi riconoscimenti, tra i quali il più
recente e significativo è il secondo premio (il
primo non è stato assegnato) alla XX edizione
dell’importante concorso “Trio di Trieste”.
Molto interessante il programma con cui il Trio
Chagall si è presentato al pubblico vercellese:
a un inizio beethoveniano, con il Trio in Do
min. n.1 op.3, è seguita una brusca virata sulla
musica contemporanea, rappresentata da una
composizione di Mauricio Kagel del 2001 , il
Trio n. 2 in einem satz (in un movimento), per
risalire agli anni venti del ‘900 con un’opera
giovanile di D. Shostakovic, il Trio n.1 op.8 in
do minore, composto nel 1923. Un impaginato
costruito ‘ad anello’, dunque: all’inizio
l’esordio nel genere Trio di un gigante del XIX
secolo, alla fine il Trio d’esordio di un
gigante del XX secolo. In mezzo, il linguaggio
polimorfo, non riconducibile a un indirizzo o a
una corrente dominante, proprio della musica
contemporanea ‘postmoderna’. Non è facile
ascoltare composizioni del ‘900, figurarsi poi
del nostro tempo, nelle sale da concerto del
Piemonte orientale e dunque grande è la nostra
gratitudine a questi tre giovani dello Chagall e
alla Camerata Ducale che li ha ospitati, per
avercene offerta l’occasione! Fin dalle prime
note del trio di Beethoven, l’ascoltatore è
colpito dal suono che contraddistingue, in tutti
e tre gli strumenti, il Trio Chagall: è un suono
di straordinaria eleganza, fatto di pulizia,
raffinata chiarezza delle linee strumentali,
perfezione dialogica dell’insieme. A queste
eccellenti qualità va aggiunta un’attenzione
accurata ai timbri e alle dinamiche, subito
messa alla prova dallo strano primo tema
dell’Allegro con brio iniziale del trio
beethoveniano, articolato in due sezioni
agogicamente assai diverse, con una dinamica
sfumata tra il piano e il pianissimo, resa con
grande efficacia dai tre strumentisti. Questo
Trio ‘battezza’ la tonalità di do minore, quale
Beethoven la concepì nel suo c.d. “primo stile”,
come voce di un’espressività improntata a un
patetismo profondo, non privo di intensità
drammatica: dunque il banco di prova ideale per
verificare le capacità interpretative dei tre
giovanissimi membri del Trio Chagall.
Il
tono generale con cui questo primo capolavoro
beethoveniano è eseguito dai tre giovani
interpreti è quello di un patetismo soffuso e
vibrante, che tende, soprattutto nel Prestissimo
finale, ad alleggerire i momenti più tempestosi
della composizione, per privilegiare, con un
sottile, quanto delicato gioco sui timbri e
sulle dinamiche, il gioco dialogico tra le
sezioni strumentali, ricondotto a un limpido
equilibrio formale. Il punto più alto, anche
emotivamente, di questa esecuzione è raggiunto
col secondo movimento, un Andante, consistente
in un tema di suggestiva cantabilità, seguito da
cinque variazioni. Qui tutte le possibili
combinazioni dialogiche fra i tre strumenti sono
sfruttate con sapienza dal compositore: salvo la
prima variazione, in cui a dominare è il
pianoforte, nelle altre i tre strumenti sono
posti su un piano di assoluta parità, in un
colloquio incessante e sempre vario. Di questo
movimento il Trio Chagall ha valorizzato al
massimo, in funzione intensamente espressiva, la
varietà timbrica, in cui il violino spiccava per
una calda dolcezza, il violoncello colpiva per
la morbidezza delicatamente brunita del colore,
il pianoforte brillava con suono di impeccabile
nitore, nel fluido disegno di biscrome della
terza variazione, così come nel denso
accompagnamento sincopato della quarta. A
suggellare questo meraviglioso pezzo
l’incantevole dolcezza che il Trio Chagall ha
impresso alla coda, in un gioco di raffinati
arabeschi, prima al pianoforte, poi al violino.
Un’interpretazione assolutamente convincente,
dunque sotto il profilo sia tecnico, sia
espressivo, indice di una maturità e di una
cultura musicale che non può non lasciare
stupiti in giovani che hanno da poco superato i
vent’anni. Il Kagel del Trio n.2, che ha la
tragica particolarità di essere stato terminato
nel pomeriggio dell’11 settembre del 2001, è
certamente un Kagel piuttosto lontano da quello
che era stato il compositore legato alle
espressioni più radicali delle avanguardie
musicali degli anni ’50-’60 del secolo scorso,
in particolare sotto l’influenza di Cage e
Stockhausen. E’ un Kagel che ha fatto i conti
colla svolta del postmodernismo, con un recupero
almeno parziale della tonalità, la
contaminazione tra ‘alto’ e ‘basso’ nell’arte (
nel caso di questo trio, ad esempio, l’allusione
al tango subito dopo momenti di sublime
tragicità ‘classica’), il confronto con la
tradizione. Il Trio n.2 presenta nel suo unico
movimento, una notevole densità di materiale
musicale, sviluppato con rapsodica libertà, ma,
a ben guardare, si tratta di un Tema con
variazioni: si apre infatti con uno sghembo
ritmo di marcia, che più o meno affiora
costantemente, trasfigurato, nel corso di tutto
il pezzo. Il colore del suono cambia,
soprattutto quello del violino, che deve
assumere fin da subito, un timbro acido, quasi
sgradevole, che si riverbera anche, attirandoli
a sé, sul violoncello e sul pianoforte. Il trio
di Kagel vede un alternarsi continuo di ritmi e
di dinamiche, come una musica sempre sul punto
di esplodere: i momenti per noi più coinvolgenti,
ed eseguiti magnificamente dai tre interpreti,
sono quei momenti lunari, avvolti in
un’atmosfera come di attonita stupefazione, nei
quali i tre strumenti mandano un suono flebile,
quasi un messaggio disperato a un destinatario
ignoto, fuori dallo spazio e dal tempo.Ma in
generale i tre interpreti sono bravissimi a dar
voce a quell’esuberanza musicale caratteristica
di questopezzo e alla tensione che si nasconde
sotto la sua superficie. Davvero un’ eccellente
esecuzione, che ha suscitato lunghi e convinti
applausi da parte di un pubblico non certo
abituato a questo tipo di musica. Quanto
all’ultimo brano in programmo, il Trio n.1 op.8
di Shostakovic, si tratta di ‘un ‘pezzo di baule’,
presenza pressoché stabile nel repertorio del
giovane Trio Chagall. Anche questo in un solo
movimento, presenta una successione libera di
momenti musicali, sull’esempio delle ‘Serenate’
settecentesche. Si apre con un tema pensoso e
triste, cui segue immediatamente, per contrasto
un tema più vivace, dal ritmo incalzante (anche
qui sembra di riconoscere l’allusione ad un
ritmo di marcia): è dunque già subito presente
il contrasto che caratterizzerà sempre la musica
migliore di Shostakovic, e che si esaspererà
negli anni cupi dello stalinismo trionfante; il
contrasto tra una musica che sa raggiungere
abissi d’angoscia e una apparentemente più
estroversa e ‘allegra’, ma di un’allegria amara
e ironica. A partire da questo attacco, il trio
prosegue con un’alternanza continua di sezioni
di diverso andamento agogico. Osiamo definire
stupenda l’esecuzione del Trio Chagall: citiamo,
tra i momenti più coinvolgenti, il tema di ‘ninna
nanna’, all’incirca al centro della composizione,
esposto dal violoncello con una struggente
intensità lirica senza pari; di poco successivo,
un tema eroico, affidato prevalentemente alla
mano sinistra del pianoforte, mentre la destra,
ribatte un ostinato, cui sa dare il giusto
colore di martellante disperazione; verso la
fine, ciclicamente, la ripresa del tema
introduttivo, in cui è il violino a spiccare con
una melodia improntata a una tristezza velata,
di sapore elegiaco. Ma ovviamente a rendere
superba l’interpretazione di questo brano è il
dialogo, sempre calibratissimo e sicuro, fra i
tre strumenti, in cui ha spesso un ruolo di
riferimento imprescindibile l’eccellente
pianoforte di Lorenzo Nguyen. Gli applausi del
pubblico, numeroso, anche se, coi tempi che
corrono, i sold out dell’era precovid sono
purtroppo un ricordo, hanno spinto il Trio
Chagall a concedere un bis: anche questo un
brano di Shostakovic, il primo dei cinque pezzi
per due violini e pianoforte, in cui la parte
del secondo violino è trascritta per il
violoncello. Ignoriamo, francamente, se la
trascrizione si debba allo stesso autore o ad
altri. Certo è che, a paragone con l’originale,
saremmo portati a preferire questa versione, che
non avevamo mai ascoltato: si tratta di un breve
pezzo, simile, per sentimento ispiratore, al
primo, malinconico tema del Trio n.1 e
interpretato altrettanto bene. Degno congedo di
una serata di musica bellissima, che va ad
aggiungersi alle tante che la Camerata Ducale ci
ha regalato in questi anni. ( Foto dall'Ufficio
Stampa di Vercelli)
12 dicembre 2021 Bruno Busca
Il pianista polacco
Piotr Pawlak per il "Concerto per Antonio" in
Conservatorio
E' il quinto anno che la
Società dei Concerti ricorda Antonio Mormone,
figura rilevante d '
organizzatore di concerti e
scopritore di talenti. Il "Concerto per
Antonio" ascoltato ieri sera in
Conservatorio, ha trovato un valido pianista
polacco sul palcoscenico di Sala Verdi. Piotr
Pawlak, classe 1998, ha partecipato recentemente
al "Premio Internazionale Antonio Mormone"
arrivando in seconda posizione e dimostrando di
avere
importanti qualità musicali. Nella
bellissima serata presentata, come sempre, da
Enrica Ciccarelli, presidente e organizzatrice
della società concertistica, l'impaginato
prevedeva un "tutto Chopin" con brani
molto conosciuti che avrebbero messo alla prova
ogni valido pianista. Nella prima parte della
serata il Preludio in do diesis minore op.45
ha anticipato, senza soluzione di continuità,
la nota Sonata in si bem. minore Op.35 "
Marcia funebre", mentre dopo il breve
intervallo le Quattro Mazurche Op.17
hanno introdotto l'Andante spianato e Grande
Polacca Brillante Op.22. Piotr Pawlak ha
evidenziato eccellenti qualità tecniche, ben
utilizzate per un'espressività certamente di
qualità ma con punti di grande rilevanza nei
lavori più giovanili del grande polacco, come
nelle Mazurche e sopprattutto nell'
Op.22 dove il carattere brillante del
celebre brano è emerso in toto,
dal chiaro
fraseggio del pianista definito da note sgranate
e luminose. L'ottima tenuta di Piotr ha portato
ad una resa complessiva notevole. Di eccellente
qualità la più nota tra le mazurche eseguite, la
N.4 in La minore , un Lento ma non
troppo reso celebre dal grande Vladimir
Horowitz, che il giovane polacco ha degnamente
interpretato. Valido anche il Preludio
iniziale. Di buona qualità la Sonata Op.35,
brano che abbisogna di completa maturità
interpretativa per una resa di alto livello, e
Pawlak ha certamente i potenziali giusti.
Successo di pubblico e ben tre bis: d'indubbia
ottima qualità il Notturno in do minore posth.,
valido lo Studio n.12 op.10 e ottimamente
eseguito il terzo, di Liszt-Chopin "Madchens
Wunsch" dai Sei Canti polacchi.
Applausi dal numeroso pubblico intervenuto.
5 dicembre 2021 Cesare Guzzardella
Ovazione
per Lang Lang al
Teatro alla Scala
Che terminasse con
un'ovazione era pressoché scontato. Il pianista
cinese Lang Lang è considerato oramai da molti
anni un mito del pianismo mondiale. I suoi
concerti, in ogni teatro, esauriscono
rapidamente i biglietti disponibili. Così è
successo anche ieri sera alla Scala. Un teatro
completamente al completo, ha ospitato un
pubblico
eterogeneo,
con presenti molti connazionali del pianista. Il
programma incentrato nel genere "variazioni",
prevedeva le celebri Variazioni Goldberg
di J. S.Bach anticipate dall'Arabesque di
Robert Schumann, un altro brano dove
all'esposizione di un tema, qui ripetuto molte
volte, segue una serie di variazioni. Certamente
il contrasto tra i due lavori, il primo con
evidenti riferimenti romantici, e il più corposo
secondo, dove la costruzione razionale raggiunge
vertici assoluti, si è notato. Il linguaggio,
autenticamente personale, di Lang ha comunque
creato una giusta unione dei due lavori. Le
Goldberg sono un punto d'arrivo di moltissimi
grandi pianisti, la maggior parte erano o
sono
specialisti di Bach. Lang Lang, noto per la
varietà del suo repertorio, ha ben affrontato il
tema e le trenta variazioni del
capolavoro bachiano che, a secondo degli
interpreti, variano notevolmente nella durata
complessiva, e parliamo anche di oltre dieci
minuti in più o in meno. Ben novanta minuti,
secondo in più o in meno, la durata delle
Goldberg, complete di ritornelli, di
Lang-Bach. La dilatazione del tempo nell'Aria
iniziale, ripetuta poi alla fine, e in molte
delle variazioni, è certamente la caratteristica
principale del suo Bach. L'escursione delle
volumetrie con alcuni pianissimo quasi
impercettibili, e i tenui contrasti, hanno
intensificato la riflessività di alcune
variazioni, in opposizione ad altre con tempi
rapidi, ricche di accenti e con taglio netto e
preciso. Indubbiamente Lang Lang ha mostrato di
avere idee molto chiare in merito al suo Bach e
le sue capacità di controllo, in ogni aspetto
dinamico e timbrico sono fuori discussione.
In
molti frangenti, maggiormente negli andamenti
rapidi, ha raggiunto dei vertici interpretativi
dove il suo pianismo "creativo" , il suo
Lang-Bach è risultato evidente. Il pubblico,
dopo oltre cento minuti complessivi di religioso
silenzio, con l'ultima nota ha dato sfogo ad
applausi interminabili e Lang Lang, uscito più
volte in palcoscenico, ha concesso due bis, il
primo con "Jasmine Flower" da un canto
tradizionale cinese e quindi il celebre
beethoveniano Per Elisa,
nell'apprezzabile dilatata versione ancora "alla
Lang Lang". Ovazioni al termine e parecchie
decine di cellulari per fotografarlo.
4 dicembre 2021 Cesare
Guzzardella
La Camerata
Ducale di Guido
Rimonda e il pianista Ramin Bahrami per la
Società dei Concerti in Conservatorio
Sono tornati, dopo la "sosta
Covid", il violinista Guido Rimonda con la sua
Camerata
Ducale
e il pianista iraniano Ramin Bahrami, celebre
quest'ultimo per il suo amore per la musica di
J.S. Bach. Del concerto parlerò poco perchè è
presente qui sotto il link che rimanda
all'accurata recensione uscita sul nostro
giornale recentemente, ad opera del
corrispondente musicologo Bruno Busca sul
medesimo concerto tenuto sabato scorso al Teatro
Civico di Vercelli . Concludiamo sottolineando
il grande successo di pubblico sia nel concerto
del tardo pomeriggio, sia per quello serale. I
protagonisti hanno voluto dedicare
l'interessante impaginato vivaldiano e bachiano
ad Antonio Mormone, storico fondatore
dell'importante società concertistica, nonchè
scopritore di talenti
divenuti
poi concertisti di fama internazionale.
Splendidi i due bis bachiani concessi: prima un
Adagio per violino e pianoforte da una
Sonata di Bach e poi la celebre Aria
dalle "Goldberg Variations" per solo pianoforte.
Ricordiamo la serata straordinaria che si terrà
sabato 4 dicembre, alle ore 20.45, in memoria di
A. Mormone, denominata "Concerto per
Antonio", dove il pianista polacco Piotr
Pawlak eseguirà un "tutto Chopin". Da non
perdere! Ecco il link:
www.corrierebit.com/musica.htm#bahrami2021
2 dicembre 2021 Cesare
Guzzardella
Il Trio di Parma
e Guglielmo Pellarin per la Società del
Quartetto
Ancora musica da camera
in Sala Verdi. Questa volta il concerto del
Conservatorio milanese era organizzato dalla
Società del Quartetto.
Ieri sera abbiamo
ascoltato la prestigiosa formazione cameristica
Trio di Parma, con Alberto Miodini al
pianoforte,
Ivan
Rabaglia al violino e Enrico Bronzi al
violoncello. In programma due trii di Johannes
Brahms: il Trio in si maggiore op.8 e il
Trio in mi bem.maggiore op.40.
Quest'ultimo però prevedeva l'uso del corno al
posto del violoncello. A svolgere il ruolo di
cornista l'ottimo Guglielmo Pellarin, da anni
primo corno dell'Orchestra dell'Accademia
Nazionale di Santa Cecilia. La qualità degli
strumenti utilizzati, come il violino Santo
Serafino costruito a Venezia nel 1740 o il
violoncello Vincenzo Panormo, costruito a Londra
nel 1775, e soprattutto le eccellenti qualità
degli strumentisti, hanno permesso l'eccellente
resa interpretativa prima nella giovanile
Op.8, un trio completato nel 1854 da un
musicista di non ancora ventun'anni; poi nella
più matura Op.40, lavoro completato nel
1865 e dedicato al padre del musicista
amburghese, ottimo suonatore di corno naturale.
Un ottimo impasto timbrico
è
emerso nel noto Trio in Si maggiore. Nel
più raro Trio in Mi bemolle maggiore la
qualità dell'interpretazione ha trovato
un'ottima resa musicale nelle note di Pellarin,
per un lavoro di non facile interpretazione
dovuto al dosaggio delle volumetrie che lo
strumento a fiato impone. Bravissimi! Molto
piacevole e ottimamente eseguito il bis concesso
da tutti e quattro gli strumentisti: una
riuscita trascrizione del terzo movimento dalla
Sinfonia n.3 di Brahms, il Poco
allegretto, che nell'originale versione
sinfonica prevede l'esposizione del bellissimo e
celebre tema iniziale ad opera del corno
francese. Applausi sostenuti al termine della
piacevolissima serata.
1 dicembre 2021 Cesare
Guzzardella
NOVEMBRE 2021
Il Quartetto Modigliani
per le "Serate Musicali" in Conservatorio
Ottima musica da camera
quella ascoltata in Conservatorio ai concerti
organizzati da "Serate Musicali", la
storica organizzazione concertistica milanese.
Il Quartetto Modigliani, formazione francese
fondata nel 2003, è formato dai violinisti
Amaury Coeyataux e Loic Rio, dal violista
Laurent Marfaing e dal violoncellista François
Kieffer. I protagonisti ,
nei due brani di Franz
Schubert, hanno trovato nel secondo lavoro in
programma, l' Ottetto in fa maggiore per
fiati ed archi op.166 D.803, altri
quattro
splendidi compagni: la clarinettista Sabine
Meyer, il cornista Bruno Schneider, il
fagottista Dag Jensen e il contrabbassista Knut
Erik Sundquist. Il Quartetto per archi in mi
magg. n.11 D.353 ha introdotto la serata.
L'ottima esecuzione è stata sostenuta con
eccellente equilibrio dinamico ed omogenea
miscela coloristica dai quattro strumentisti,
che ricordiamo utilizzare strumenti italiani,
come i violini settecenteschi di Giovanni
Battista Guadagnini o la viola del Seicento di
Luigi Mariani e il violoncello del 1706 di
Matteo Goffriller. Il Quartetto D.353 è
del periodo centrale dell'attività schubertiana
e trova ispirazione soprattutto nei classici
quartetti d'archi di Joseph Haydn, riconoscibili
nello stile soprattutto nel delizioso Rondó
finale. Ancora più interessante il corposo
Ottetto D.803 che ha concluso il concerto.
I sei movimenti che compongono il tardo lavoro
di Schubert, composto nel 1824, è un miracolo
d'invenzione melodica dove tutti i protagonisti,
sia gli archi che i fiati, si alternano in
episodi melodici, scambiandosi le parti o
accompagnando i compagni in un viaggio di
raffinata sintesi discorsiva. La difficile resa
estetica, dovuta al fatto di utilizzare
strumenti molto differenti, soprattutto dal
punto di vista delle volumetrie del suono -
basti pensare alla possanza
timbrica del corno francese- ha incontrato
professionisti
degli strumenti che hanno
individuato il giusto equilibrio di emissioni
sonore, tali da non prevaricare mai le sonorità
più "deboli". Bravissimi tutti e molto efficace
la parte solistica, spesso presente, sostenuta
da Sabine Meyer, strumentista di spicco nel
panorama musicale internazionale. Sagnaliamo il
prossimo appuntamento di "Serate Musicali",
prevvisto per il 13 dicembre, che avrà come
protagonista il celebre pianista russo Mikail
Pletnev, per un programma interamente dedicato a
Fryderik
Chopin. Da non perdere!
30 novembre 2021 Cesare
Guzzardella
PER IL FESTIVAL CANTELLI
DOPO PIU’ DI
TRENT’ANNI RITORNA A NOVARA IL PIANISTA MICHELE
CAMPANELLA
L’Associazione “Amici della
musica”, nell’ambito del Festival Cantelli di
Novara, da essa promosso e organizzato, ha
offerto ieri sera, 29 novembre, presso il Teatro
Faraggiana, un’altra serata di musica di
grandissima qualità, che ha permesso al pubblico
degli amanti della musica della città piemontese
di ascoltare un ospite illustre, dopo più di
trent’anni dal suo primo e sino a ieri unico
concerto novarese. Parliamo di Michele
Campanella, l’esponente oggi più illustre di
quella scuola pianistica napoletana ,che è vanto
e gloria della cultura musicale italiana.
Campanella è universalmente noto (e
pluripremiato) come uno dei più grandi
interpreti viventi dell’opera pianistica di F.
Liszt, eppure nel programma da lui presentato
ieri a Novara Liszt non compariva: il Maestro
napoletano ha eseguito due delle vette più
eccelse per qualità estetica e originalità, e
più ardimentose per difficoltà esecutiva,
dell’intera letteratura pianistica: i “Phantasiestucke”op.
12 di R. Schumann e “ I quadri di un’esposizione”
di M. P. Musorgskij. Un programma che testimonia
l’ampiezza di orizzonti della
ricerca
musicale di questo grande artista della tastiera.,
che non a caso, in un’intervista rilasciata
qualche giorno fa al giornale “La Stampa”,
dichiarava che alla base dello studio e della
pratica della musica “deve esserci la curiosità
totale di entrare fino in fondo in ogni brano e
repertorio». A unire i due capolavori non c’è
soltanto l’aspetto ‘tecnico’ del virtuosismo
esecutivo, c’è qualcosa di molto più profondo,
che spetta all’interprete cogliere e illuminare:
pur nelle enormi differenze di linguaggio e di
forma espressiva, ciò che accomuna Schumann e
Musorgskij è ll’idea di una musica chiamata a
sondare il mistero della vita, attraverso un
caleidoscopico vortice di immagini, voci, le più
varie e diverse, spesso percorse da una vena di
grottesco umorismo o di inquietante
allucinazione, sbigottita e sofferta espressione
dell’impossibilità di dare una risposta ultima a
quel “Warum?” (Perché?”), che echeggia quasi al
centro del pezzo schumanniano. Veniamo dunque al
modo in cui Campanella ha inteso e presentato al
pubblico, le composizioni in programma.
Schumann, come si accennava, è forse il
musicista, che con maggiore intensità, sofferta
fino al sacrificio di sé, della sua mente
tormentata, ha concepito la musica e l’arte in
generale come il linguaggio attraverso il quale
rispondere all’interrogativo dell’esistenza. E
nella musica di Schumann i modi di tale risposta
sono ben più d’uno e non certo a caso il
compositore di Zwickau amava la forma ‘a
polittico’, come appunto i Phantasiestucke,
composti da otto pezzi, ciascuno dei quali dà
voce a un atteggiamento possibile di fronte alla
vita e perciò presenta un proprio carattere ben
definito e diverso dagli altri, tanto da rendere
difficile dare unità a quest’opera affascinante.
Qui sorge dunque il problema che chi suona
l’op.12 di Schumann si trova inevitabilmente di
fronte: dare voce espressivamente adeguata a
tale varietà, scegliendo di volta in volta il
tocco, il colore timbrico, le dinamiche più
idonee: se c’è un’opera pianistica che non
ammette ‘piattezza’ e uniformità di tecnica
esecutiva è questa. Ebbene, le prodigiose dita
di Campanella ci hanno offerto una delle più
memorabili interpretazioni di questa gemma della
musica di tutti i tempi. Il suono di Campanella,
sempre sgranato con precisione assoluta, anche
nelle parti agogicamente più mosse, ha saputo
assumere una tale duttilità espressiva, una tale
’adesione all’essenza spirituale del singolo
momento della composizione, che da suono si è
fatto sentimento, emozione pura. Non possiamo
passare dettagliatamente in rassegna tutti gli
otto ‘tasselli’ del polittico, ma citeremo a mo’
d’esempio la sequenza che è un po’ come il cuore
dei Phantasiestucke. “Warum?” grazie a un
fraseggiare in sordina, raccolto e delicato, che
intrecciava con sapienza i disegni
dell’accompagnamento con la melodia, è divenuto,
nell’interpretazione di Campanella, un dialogo
tutto interiore, come di due voci dell’anima,
alla ricerca vana di una risposta, appunto, al
misterioso “Perché” della vita. Il successivo “Grillen”
(Capricci, “Grilli per la testa”)
nell’esecuzione di Campanella ha suggerito un
abbandono ad un momento di bizzarria che vuole
tutto dimenticare, di serenità solo apparente,
un girare un po’ a vuoto, in cui si inserisce un
valzer, privo di qualsiasi festosità, dal colore
che diresti quasi livido. La sequenza è chiusa
dallo stupendo “In der Nacht” (“Nella notte”),
di cui Campanella valorizza sapientemente la
disomogeneità ritmica che lo contraddistingue,
per evocare una sonorità affannosa, incerta, di
chi ha smarrito il cammino. Ma la tavolozza
espressiva del grande Maestro napoletano è
sublime anche nel dare voce all’incantevole
brano d’apertura, “Des Abends” (“Di sera”)
quell’illusoria pace di una silenziosa sera che
tutto avvolge nel suo grembo sereno, evocato da
un tocco di rara delicatezza (a nostra
conoscenza, solo la Argerich ha saputo rendere
altrettanto bene la bellezza sublime di questa
apertura), così come allo slancio impetuoso che
subito segue di “Aufschwung” (”Slancio”, appunto).
Insomma, un’interpretazione esemplare, che tocca
un’ultima vetta nel pezzo conclusivo, “Ende von
Lied” (“Fine del canto”), che dopo un andamento
maestoso si viene spegnendo lentamente in un
mesto pianissimo, che non ha più nulla della
dolcezza serale dell’inizio. Campanella ha
saputo magistralmente raccontarci la storia di
un’ anima, in tutta la varietà sempre cangiante
dei suoi sentimenti, delle sue emozioni,
dominate dalla consapevolezza dell’impossibilità
di strappare alla vita il suo segreto. Lo stesso
nodo di problemi, l’intreccio indissolubile tra
difficoltà esecutiva in alcuni punti quasi
insuperabile e problematica interpretazione,
presenta l’altro capolavoro suonato da
Campanella ieri sera: i celeberrimi “Quadri di
un’esposizione” di Musorgskij.. Anche qui,
estrema varietà di atteggiamenti e timbri e
ritmi, soluzioni dinamiche e agogiche e registri
espressivi con, rispetto a Schumann, una più
accentuata vena di grottesca follia. A questo
proposito confessiamo di faticare non poco a
riconoscerci nella definizione di ‘realismo
crudo’ che Campanella ha dato dei “Quadri”
musorsgkiani nella presentazione del concerto al
pubblico. Ci riconosciamo di più nella
definizione che ne dava lo stesso autore,
parlando di “suoni e idee sospese in aria” (che
poco ha a che fare col ‘realismo’, qualunque
cosa s’intenda con tale termine). E’ nota la
glaciale definizione che Saint-Saens diede del
compositore russo: “Un fou, obscure et
grotesque”, (“Un pazzo, oscuro e grottesco”).
Più di un dubbio ci suscita anche il riferimento
ad un presunto ‘puro canto popolare russo’ che
il Maestro ravvisa nell’opera. In questa
composizione apparentemente divagante, a nostro
modestissimo parere, è piuttosto presente un
altro filo conduttore unitario: se ascoltiamo
con attenzione il pezzo “Catacombae”, sentiamo
insinuarsi in esso senza soluzione di continuità
una variante della melodia pentatonica di
‘Promenade’, la sezione di collegamento tra i
diversi momenti, ciclicamente ritornante
nell’opera, sino al monumentale finale. Ci pare
evidente che Musorgskij intenda suggerire che la
promenade, la passeggiata, non avviene in
un’esposizione di quadri, ma nel regno della
morte e del nulla, il vero contenuto di quei ‘quadri’,
l’obscure’ di cui parlava Saint-Saens: insomma,
la musica e l’arte tutta, possono essere
soltanto, nichilisticamente, un dialogo ”Cum
mortuis in lingua mortua”, come recita, non a
caso, il titolo del pezzo subito successivo a “Catacombae”.
Ma tutto questo non toglie alcun merito alla
magistrale interpretazione di Campanella.
Anzitutto è doveroso un omaggio all’incredibile
agilità di diteggiatura che questo pianista
possiede ancora a 74 anni di età: la naturalezza
con cui ha suonato passi ‘ineseguibili’, come il
‘velocissimo’ finale del brano “Gnomus”, con una
forza e un’energia straordinarie, o la raffica
di bicordi ribattuti della mano sinistra nella
zona centrale della tastiera in “La fiera di
Limoges”, ha del prodigioso. Ma non si tratta
certo di un virtuosismo fine a se stesso, quanto
di una necessaria modalità espressiva. Anche in
questo capolavoro, Campanella rivela la
duttilità estrema del suo fraseggio e la
sapienza evocatrice del tocco, che sa passare
dalla sonorità da incubo, martellante nella sua
gravità di timbro, di “Bydlo”, alla leggerezza
scherzosa di “Tuileries” a quella un po’
surreale del “Balletto dei pulcini”, cui
Campanella conferisce una venatura ironica, fino
al tono inquietante di “Baba Yaga”, Nonostante
le premesse enunciate nella presentazione, il
brano-chiave di “Catacombae” è stato
interpretato in modo perfetto: un suono che
sembrava sbalzato da un gelido marmo,
inesorabile nella sua timbrica di un nero senza
speranza, ha mostrato cosa ci sia dietro i
momenti apparentemente più svagati o ‘popolari’
di questo inquietante capolavoro. Il pubblico
presente (abbastanza numeroso, ma vista la fama
di Campanella ci aspettavamo una partecipazione
più nutrita:) ha applaudito a lungo uno dei più
grandi pianisti viventi, che ha ringraziato con
due bis, entrambi non listziani: uno “Scherzo”
da Mendelssohn e un “Momento musicale” da
Schubert, entrambi eseguiti magistralmente. Un
concerto da ricordare.
30 novembre 2021 Bruno Busca
BAHRAMI
E RIMONDA
INAUGURANO LA NUOVA STAGIONE DEL FESTIVAL VIOTTI
DI VERCELLI
Ieri sera,
sabato 27/11, il Teatro Civico di Vercelli ha
visto, dopo la forzata chiusura da Covid di più
di un anno, l’inaugurazione ‘in presenza’ della
XXIV stagione del Viotti Festival, ovvero del
più importante evento musicale del Piemonte
orientale (ma diremmo di tutto il Piemonte,
Torino ovviamente a parte). Ad accogliere il
musicofilo, un poco emozionato, un concerto
interamente
dedicato al tardo-barocco della
prima metà del ‘700: Vivaldi, con il non
frequente “”Concerto (per violino e orchestra)
Scritto per la Solennità della S. Lingua di S.
Antonio da Padova RV 212a”, Albinoni con
l’Adagio dal “Concerto per violino e orchestra”
in Do maggiore e tre concerti di J.S. Bach: il
BWV. 1041 per violino e orchestra, e due dei
sette concerti per clavicembalo e orchestra, il
BWV 1056 in fa minore e il BWV 1052 in re minore
(in ordine di esecuzione). Gli interpreti: Guido
Rimonda nella doppia veste di violino solista e
direttore dell’orchestra Camerata Ducale e il
pianista iraniano Rahmin Bahrami, notoriamente
considerato oggi uno dei più autorevoli
interpreti del Grande di Eisenach, che, del
tutto giustamente secondo noi, come tutti i
pianisti del resto, ignora con olimpica serenità
il dibattito piuttosto stucchevole, che di tanto
in tanto si riaccende, sulla spinta della moda
delle ‘esecuzioni storicamente informate’, circa
la liceità di esecuzioni al pianoforte
dell’opera clavicembalistica di Bach. Chiaro, ed
esplicitamente enunciato nella presentazione del
programma al pubblico fatta dai due solisti, il
tema della serata: l’influenza del concerto
‘all’italiana’, soprattutto nel suo supremo
modello a quell’epoca , quello vivaldiano, sul
concerto di J.S. Bach. E l’idea di fondo che
ispira gli interpreti è che tale influenza fu
decisiva. La serata inaugurale ha quindi inizio
con un omaggio a Vivaldi, che vuole proporre la
chiave di lettura dell’intero concerto: il
Maestro Rimonda sale sul podio dalla platea,
suonando il Largo dall’”Inverno” del compositore
veneziano, introducendo subito il pubblico a
quell’atmosfera di sognante dolcezza che sarà
una delle cifre dell’intero concerto. La prima
delle composizioni in programma, appunto di
Vivaldi, è un concerto per violino, legato ad
una solennità religiosa: il tema religioso non è
però evocato direttamente ed esplicitamente, né
nella struttura (è un normale, ‘laico’
Allegro-Grave-Allegro), né nei temi: l’afflato
religioso è presente nell’estremo virtuosismo
della parte solistica, che raggiunge livelli
quasi paganiniani negli stratosferici sopracuti
della cadenza del terzo tempo. Un virtuosismo
dunque come espressione del trascendente, che
attinge, con l’ascesa finale alle note più alte,
le sfere celesti e il contatto col divino.
Rimonda e la Camerata Ducale hanno dato una
splendida interpretazione di questo capolavoro.
Il leggendario Stradivari “Le Noir” di Rimonda
risplende di una calda e tersa luminosità e di
una dolcezza di timbro, che si amalgamano
perfettamente con la leggerezza di suono
dell’orchestra: le acrobazie virtuosistiche del
violino non hanno nulla di spettacolare, ma
sorgono quasi naturalmente, con incantevole
grazia, dal mondo sonoro evocato dagli
orchestrali e dal solista. Lo stesso Grave
centrale, che formalmente sarebbe un’
recitativo’ accompagnato, nell’interpretazione
di Rimonda scioglie ogni secchezza propria di un
recitativo in quella dolce grazia del timbro che
guida la sua interpretazione. Il concerto per
violino in Do maggiore di Albinoni, di cui è
stato eseguito il solo Adagio centrale, pone gli
interpreti di fronte ad un problema: conservarne
la sonorità intima e cameristica, anche quando,
come oggi generalmente avviene, la partitura è
affidata non all’organico per cui era stata
originariamente pensata (due violini, due viole,
basso continuo), ma viene affidata ad
un’orchestra, sia pure da camera come la Ducale.
Va anche tenuto presente che Albinoni propone un
modello di concerto strutturalmente un po’
diverso da quello di Vivaldi: la parte solistica
e il ‘tutti’, non si alternano, nettamente
distinti, come in Vivaldi, ma si integrano e si
intrecciano più strettamente, imponendo al
solista un suono che al tempo stesso spicchi
sull’insieme orchestrale, ma sappia anche
dialogare con esso, nelle scelte ritmiche,
dinamiche e timbriche. La scelta interpretativa
di Rimonda è stata ancora una volta coerente e
convincente: è vero che, con il passaggio
dall’organico originario a quello orchestrale ha
perso peso il timbro delle viole, delicatamente
vellutato, ma, affidando alle morbide volute
sonore del violoncello la parte del basso e
accentuando la leggerezza e dolcezza del suono
d’insieme e solistico, in un dialogo
perfettamente bilanciato, ne è uscita davvero
quella deliziosa ‘chicca’, preannunciata da
Rimonda nella presentazione al pubblico. Rimonda
ha chiuso la prima parte della serata con il
primo dei due concerti per violino di Bach, il
BWV 1041. Qui, pur nella struttura vivaldiana
della composizione, la scrittura bachiana
presenta una trama orchestrale contrappuntistica
decisamente più fitta rispetto al modello
italiano: il formato cameristico della Ducale ha
sicuramente aiutato ad alleggerire tale elemento
contrappuntistico, consentendo una piena
realizzazione di una limpida grazia di suono,
sottilmente chiaroscurata, soprattutto
nell’Allegro iniziale, dal sicuro dominio delle
dinamiche, in continuo alternarsi sia nei
ritornelli, sia nella parte solistica. Rimonda
ha toccato una delle vette della serata
nell’esecuzione dell’Andante centrale, una
sublime melodia affidata al violino, sostenuta
costantemente da un basso ostinato
dell’orchestra. Rimonda ha dato di questo grande
brano un’interpretazione indimenticabile: il Do
maggiore dell’Andante, quando ha cominciato a
modulare in modi minori, si è innalzato dalle
corde del ‘Noir’ con l’intensità di
un’emozionante preghiera, intrisa di soavità e
di malinconia. Rimonda ci ha donato uno di quei
momenti magici in cui il suono incontra l’anima,
qualunque cosa si intenda con questo nome. La
seconda parte della serata ha visto protagonista
Bahrami, con due concerti di Bach. Conosciamo
ormai bene il Bach di Bahrami, ed è un Bach
perfettamente coerente con la parola-chiave di
questo concerto inaugurale del Viotti festival:
dolcezza. Bahrami ridimensiona drasticamente la
tradizionale tendenza dei pianisti bachiani a
‘trasferire’ la secchezza del clavicembalo sulla
tastiera del pianoforte, privilegiando un suono
morbido e decisamente addolcito, tutto virato
sul ‘piacevole’, piuttosto che sul ‘rigoroso’,
sul gioiosamente leggero’ piuttosto che
sull’austero. Ne esce dunque un Bach
“all’italiana” decisamente più coinvolgente
nelle parti più cantabili dei concerti, che in
quelle più virtuosistiche, ove la leggerezza di
tocco, pur nell’assoluta perfezione tecnica
dell’esecuzione, talvolta oscura un poco alle
orecchie dell’ascoltatore, la straordinaria
densità di scrittura di Bach (vedi, a mo’
d’esempio, le due cadenze del primo movimento
del BWV 1052). E’ invece un grandissimo e
raffinato interprete, Bahrami, dello splendido,
quanto celebre Largo del BWV 1056, suonato con
pieno, ma mai retorico abbandono alla
malinconica espressività del brano, con un suono
limpido, creato quasi accarezzando i tasti e con
un uso parco e puntuale del pedale. Bravo
Bahrami anche nel farsi seguire da un’orchestra,
che lo ha accompagnato con coerenza nelle
dinamiche e nelle coloriture espressive. Bahrami
ha definito Rimonda il suo miglior partner
bachiano attuale. E alla fine del concerto i due
Maestri hanno eseguito due bis, due movimenti da
altrettante sonate bachiane per violino e
clavicembalo: particolarmente bello il secondo
bis, l’Adagio dalla sonata in mi minore, nella
sua delicata e cantabile ‘grazia’, degno
suggello alla serata. Grande successo di
pubblico, accorso come sempre numeroso, con
cospicua presenza di giovani studenti delle
scuole vercellesi, a conferma dell’intelligente
campagna di diffusione della cultura musicale
sul territorio di cui è impareggiabile e
infaticabile ispiratrice Cristina Canziani,
Direttore artistico della Ducale. Anche il
programma della stagione stupisce per la qualità
e la quantità degli appuntamenti proposti:
dietro un programma simile c’è un intero mondo
di passione generosa, uno slancio, una fede
nella musica propria di un gruppo, quello della
Camerata Ducale, che merita tutto il nostro
ammirato e riconoscente apprezzamento. (Foto a
cura dell'Ufficio Stampa Camerata Ducale)
28 novembre 2021 Bruno Busca
Serata memorabile con la
Filarmonica della
Scala diretta da Thielemann
e Camilla Nylund
È stata una serata di
altissima qualità quella terminata da pochi
minuti. Il tedesco Christian Thielemann era alla
guida della Filarmonica della Scala. I pregi
della Filarmonica scaligera li conosciamo, ma
questa sera, nella replica del bellissimo
impaginato
che prevedeva i Vier Lieder op.27 di
Richard Strauss e la Sinfonia n.4 op.98
di Johannes Brahms, i colori della compagine
orchestrale ci sono apparsi decisamente più
importanti, specie nella sezione degli archi.
Improvvisamente abbiamo ritrovato timbriche più
nordiche, tra i wiener e i berliner.
Insomma, Thielemann ha prodotto un autentico
miracolo forgiando gli alti potenziali dei
filarmonici in modo da ottenere i suoi colori.
Nella prima parte l'eccellente voce di Camilla
Nylund ha cesellato con intensa espressione
coloristica i quattro brevi Vier Lieder,
capolavori di Strauss, ben sottolineati anche
dall'orchestra.
Appassionati, calorosi e interminabili gli
applausi del pubblico,
rivolti
soprattutto alla protagonista tornata più volte
in palcoscenico, e splendido il bis concesso con
ancora un lied di Strauss e precisamente il
raffinatissimo
Zueignung -capolavoro in meno di due minuti-
cantato dal soprano in modo angelico. Dopo il
breve intervallo, nell'ultima celebre sinfonia
dell'amburghese, la n.4 in Mi minore op.98,
il livello della serata, già elevato, si è
ulteriormente alzato con il miracolo di
Thielemann. Concerto memorabile! Domani sera
ultima replica. Da non perdere!!!
26 novembre 2021 Cesare Guzzardella
Il duo Alessandro
Carbonare e
Monaldo Braconi
È stato un piacere tornare ad
ascoltare il clarinettista Alessandro Carbonare
in questo concerto denominato "Clarinetto, un
secolo di storia". Alcuni giorni or sono il
solista di Desenzano del Garda era al Teatro Dal
Verme con gli eccellenti "Virtuosi Italiani",
ieri
sera in Conservatorio con l'ottimo pianista
Monaldo Braconi. La serata, organizzata dalla
"Società dei concerti", segna per Carbonare
e per la Società milanese un ritorno in Sala
Verdi dopo quel bellissimo concerto di Aarold
Copland ascoltato nell'aprile del 2018. Ieri, un
impaginato variegato prevedeva nella prima parte
musiche di Brahms e Bernstein, e nella seconda
di Poulenc e di Gershwin. L'affiatamento del duo
è incominciato con la Sonata in mi bem.
maggiore op. 120 n.°2 del musicista
amburghese per continuare con la rara Sonata
di Leonard Bernstein, grande musicista
statunitense, noto soprattutto come valente
direttore d'orchestra e, come compositore, solo
per pochi lavori, in una produzione in realtà
vastissima e molto importante. La sua Sonata
per clarinetto e pianoforte trova
inizialmente sonorità cupe per poi dispiegarsi
nelle ritmiche sincopate tipiche del compositore.
Di qualità la resa espressiva del duo. Con la
celebre Sonata per clarinetto e pianoforte
del parigino Francis Poulenc,
un
capolovaro assoluto di equilibrio costruttivo,
siamo passati al momento più entusiasmante della
serata. L'intesa di Carbonare con Braconi ci è
sembrata ancor più sinergica e liberatoria, per
una resa espressiva di maggiore qualità. La
chiarezza delle timbriche, precise e dettagliate,
del clarinettista sono state sostenute con
analoga resa dall'ottimo pianista. Ottima
interpretazione nella Fantasia sulle
celebri melodie di George Gershwin. Il sapore
jazzistico, mediato dall'ottima scuola classica
dei due interpreti, emersa in modo evidente, ha
creato una situazione complessiva di grande
virtuosismo melodico e ritmico. Applausi
convinti dal numeroso pubblico intervenuto in
Conservatorio e due i bis concessi: prima un
omaggio a Ennio Moricone con una fantasia sui
celebri temi del film Nuovo Cinema Paradiso
e quindi un pregnante brano di musica
Klezmer inizialmente affidato al solo
clarinetto e quindi insieme al pianoforte nel
divertente e appassionante folclore ebraico.
Bravissimi!
25 novembre 2021 Cesare
Guzzardella
A
NOVARA CONVEGNO DI
STUDI e MARATONA PIANISTICA
Sabato 27 novembre p.v.
Novara diventa capitale del pianismo italiano.
La manifestazione avrà luogo al Salone
dell’Arengo nel Broletto di Novara per l’intera
giornata. Il Convegno di studi e la Maratona
pianistica, ideati e organizzati dagli Amici
della Musica, hanno richiamato l’attenzione di
numerosi pianisti, musicologi e compositori di
grande rilevanza nazionale e
internazionale.Questo primo Convegno intende
considerare il mondo del pianoforte che, dagli
inizi dell’Ottocento fino ad ogg,i ha espresso
con grande vivacità e varietà l’azione e l’opera
di compositori, pianisti, insegnanti e
costruttori di pianoforte costituendo una
specifica “linea italiana”. Dopo i saluti
istituzionali, gli interventi sono così
articolati: Ettore Borri- Pianoforte e musica
pianistica italiana: un percorso
originale.
Piero Rattalino- Muzio Clementi romano de
Roma e gentiluomo inglese. Anelide
Nascimbene e Attilio Brugnoli -
Il pianoforte italiano
tra musicologia e propaganda.
Alessandro Marangoni Victor de Sabata e il
pianoforte. Michele Campanella La scuola
pianistica napoletana. Oreste Bossini
Musica pianistica italiana nel secondo
dopoguerra. Il convegno di studi così
concepito è supportato da un’altra importante
iniziativa che offre la rara occasione di
ascoltare una panoramica di questo ricco e
interessante repertorio: la Maratona pianistica
nella quale sette pianisti, in quattro concerti,
eseguiranno brani di 19 autori italiani da fine
Settecento a oggi. Il primo concerto, alle
14.30, si apre al femminile con i brani di
Francesca Nava d’Adda e Giulia Recli, affidati
alla giovane pianista Anna Doria, cui segue
Silvia Giliberto sensibile interprete di
Giuseppe Martucci, Alfredo Casella e Alessandro
Solbiati. Il secondo concerto, alle ore 16.00, è
affidato a Alberto Veggiotti e Alessandro
Marangoni: i due interpreti ci conducono
nell’intensa atmosfera italiana del tardo ‘800 e
del primo ‘900 con pagine di Martucci, Ferrari-
Tracate, Pick-Mangiagalli, Ponchielli,
Castelnuovo-Tedesco e Victor de Sabata. Il terzo
concerto, alle ore 17.30, vede la partecipazione
di Massimiliano Damerini (foto
P.Saracco),
tra i massimi interpreti di questo repertorio.
Nel suo programma, Damerini traccia i punti di
un’evoluzione del gusto e della ricerca musicale
pianistica italiana con brani di Sgambati,
Busoni, Casella. Dallapiccola, Di Bari e
Damerini. Il quarto concerto, alle ore 20.30,
conclude la maratona con due grandi interpreti:
Ilia Kim che propone una tra le più belle sonate
di Muzio Clementi; Simone Pedroni con le note di
Armando Gentilucci, Nino Rota ed Ennio Morricone.
Saranno inoltre presenti anche i compositori
Marco di Bari e Alessandro Solbiati, di cui
verranno eseguiti alcuni brani pianistici. Il
Convegno è a ingresso gratuito, mentre per la
Maratona pianistica l’ingresso al singolo
concerto è € 8,00; tutti e quattro i concerti €
20,00. Biglietteria: presso Amici della Musica,
via dei Cattaneo 15, 28100 Novara (tel.
0321031518): Giovedì dalle 9:30 alle 14:30,
Venerdì dalle 13:00 alle 18:30 e nel giorno
della manifestazione. Con bonifico a Ass. Amici
della Musica V. Cocito, IBAN:
IT50C0503410100000000001294, indicando nella
causale: Orario concerto, Nome, Quantità
biglietti Online: su Vivaticket cercando “Maratona
pianistica”.
www.amicimusicacocito.it (cerca “Eventi
straordinari”). Per informazioni:
info@amicimusicacocito.it Tel 0321031518
25 novembre 2021 dalla
redazione
Una grande
Maria João Pires per la Società del Quartetto
L'altro ieri in Sala Verdi
una grande interprete come la Virsaladze, ieri,
sempre in Conservatorio, un'altra grande come la
pianista portoghese Maria João Pires. Un
concerto straordinario quello organizzato dalla
Società del Quartetto, con una Sala Verdi
finalmente colma di pubblico, anche mediamente
più giovane del solito.
L'eccellente
pianista, che non ascoltavo a Milano dal 2016 -
quell'anno con due concerti, di cui uno alla
Scala- ci ha fatto completamente dimenticare che
in Sala Verdi ci sarebbe dovuto essere un altro
grande interprete quale Daniil Trifonov,
purtroppo indisposto, ma come dice un vecchio
detto "non tutte le sfortune, sono sfortune". La
Pires ha impaginato un programma ottimo, con
brani noti ed importanti. Prima Schubert con la
Sonata in la maggiore D 664, poi Debussy con
la Suite Bergamasque e dopo il breve
intervallo, Beethoven con la Sonata n.32 in
do minore op.111. Tocco magico quello della
Pires, ricco d'espressività e di una musicalità
mutevole in rapporto al carattere del
compositore. L'impatto iniziale con Schubert
ha
espresso un'interprete dal tocco leggero,
asciutto e ben articolato nella progressione
dinamica, con una tavolozza di colori ampia e
completa che riesce a variare l'intensità
volumetrica in modo eccelso. Le piccole
imperfezioni non hanno assolutamente compromesso
l'alto livello interpretativo. Ancor più
efficace il suo Debussy, con una vetta nel
celebre Clair de lune, interpretato
magistralmente, con un'intensità espressiva
mediata dalle splendide pause riflessive di chi
è capace di ascoltarsi. Un Debussy robusto,
scavato con il giusto discreto uso del pedale.
Splendido! Di qualità, ricco di forza, il suo Beethoven
con la celebre ultima sonata. La prorompente
tensione iniziale ha trovato il giusto
contrappeso con l'etereo finale definito da quei
trilli interminabili espressi con maestria dalla
pianista settantasettenne. Aveva già eseguto
l'Op.111 nel febbraio 2016, in Sala Verdi, e
come allora siamo rimasti entusiasti. Breve, ma
di qualità il bis concesso, con l'Adagio
cantabile centrale della Sonata "Patetica"
beethoveniana. Applausi scroscianti, con
molto pubblico in piedi e il sorriso soddisfatto
della grande interprete.
24 novembre 2021 Cesare
Guzzardella
Elisso Virsaladze
alle Serate musicali per Mozart e Chopin
Dal 1992 la pianista
georgiana, di Tblisi, Elisso Virsaladze
frequenta le Serate Musicali del
Conservatorio milanese. Non ha certo bisogno di
presentazioni avendo una carriera consolidata da
oltre cinquant'anni e provenendo da una scuola
musicale russa prestigiosa, quella legata al
pianista e grande didatta Heinrich Neuhaus e a
Yakov Zak.
Ieri
sera ha impaginato un programma tutto mozartiano
e chopiniano. Ha alternato brani del
salisbughese e del polacco creando un contrasto
stilistico mediato dal suo stile inconfondibile,
intriso di chiarezza coloristica e strutturale.
I primi due brani mozartiani, la Fantasia in
do minore K 396 e le 9 Variazioni in do
magg. su "Lison dormait" K.264 erano rarità
interpretative, mentre il terzo, sempre di
Mozart, il Rondò in la minore K.511, uno
tra i più eseguiti. Dai primi tre lavori è
risultata evidente la cifra interpretativa della
Virsaladze, sostenuta da una trasparenza
timbrica evidente, sorretta da una tecnica
impreziosità
dall'esperienza
di centinaia di concerti. Questo Mozart, di
altissimo livello interpretativo,
verrà ripreso ancora da
due celebri lavori quali la Fantasia in do
minore K475 e la Sonata in do minore K
457, eseguite una dopo l'altro, come da
tradizione. Il grande equilibrio dell'interprete
e la sua forza espressiva, pretesa dai due
superlativi lavori, sono emersi dalle mani della
Virsaladze, mani capace di esaltare i dettagli
nei chiarissimi piani sonori dei timbri più
gravi o più alti della tastiera. Splendide
l'esecuzioni. Anche Chopin ha trovato
un'eccellente pianista, sia con il semplice e
profondo Valzer postumo n.19 in la minore;
sia con i Notturni n.1 e 2 Op.27 e anche
nelle corpose Ballate, la n.2 op.38
e la n.3 op.47,
eseguita a conclusione del programma
ufficiale. Uno Chopin ben calibrato nelle
timbriche e perfetto nella struttura
melodico-armonica. Ancora Chopin nei due bis
concessi: prima l'ottima Mazurca in la minore
op.68 n.2 e poi un eccellente Valzer
Brillante Op.34 n.2 eseguito di getto, ma
perfetto sotto ogni aspetto. Che Chopin!
Applausi fragorosi. Da ricordare
23 novembre 2021 Cesare Guzzardella
La Cappella Mediterranea
con Sonya Yoncheva al Teatro alla Scala
Una serata davvero speciale
quella di ieri sera al Teatro alla Scala ,
dove la
Cappella
Mediterranea
ha accompagnato il soprano bulgaro Sonya
Yoncheva, una celebrità nel mondo della lirica.
La compagine di musica antica è nata nel 2005
per opera dell'argentino Leonardo García Alarcón,
direttore, organista e clavicembalista.
L'eccellente gruppo strumentale, un tempo
concentrato su un repertorio strettamente
mediterraneo, da alcuni anni ha allargato il suo
campo interpretativo, ampliando i programmi
anche con brani d'opera o di musica più recente.
La mancanza, ieri sera, del direttore per motivi
non specificati, ha permesso cumunque alla
formazione cameristica di accompagnare il
soprano e di eseguire brani anche solo
strumentali. La bravissima Mónica Pustilnik,
specializzata in arciliuto e chitarra, ha
sostituito il direttore al cembalo e all'organo
in modo egregio, restituendo un coordinamento
decisamente valido.
L'impaginato
variegato prevedeva brani per canto o
strumentali di Stradella, Monteverdi, Cavalli,
Caldara, Gibbons, Ruiz de Ribayaz, Marín,
Purcell, Alarćon,
Dowland,
Díaz e Tomás de Torrejón y
Velasco. Molti di essi erano arrangiati da Quito
Gato, suonatore di tiorba e chitarra nella
compagine. I colori delicati degli strumenti
d'epoca hanno sottolineato la splendida calda
voce della Yoncheva che con delicatezza,
sensibilità ed espressività ha restituito delle
timbriche perfettamente in linea con quelle
sottili e raffinate degli strumenti antichi
utilizzati dal gruppo cameristico. Tra i brani
strumentali segnaliamo almeno Tarantela
di Santiago de Murcia e Diego Fernández de Huete.
Tra
quelli
con soprano oltre all'originale ed espressivo
brano di Leonardo Garcia Alarćon,
Y as tu plantas, Nisea, anche il brano di
John Dowland ripetuto poi al termine nel bis con
la splendida Yoncheva accompagnata
dall'arciliuto da Mónica
Pustilnik : Come again sweet love - Vieni
ancora, dolce amore. Fragorosi gli applausi in
un teatro con moltissimi giovani. Da ricordare
sempre.
19 novembre 2021 Cesare
Guzzardella
Stefan Milenkovich
e Antonio Chen
Guang per la Società dei Concerti
Il violinista Stefan
Milenkovich ed il pianista Antonio Chen Guang
avevano suonato assieme nel dicembre 2018, in
una serata in ricordo di Antonio Mormone, il
fondatore e
il
presidente della Società dei Concerti.
Ieri sono tornati insieme per un doppio
appuntamento - nel pomeriggio e alla sera -
dedicato a Händel, a Beethoven e a Brahms. Tre
brani noti che hanno entusiasmato il numeroso
pubblico presente in Sala Verdi. Il violinista
serbo si era esibito da bambino nella sala
maggiore del Conservatorio e adesso, trent'anni
dopo e più, è tornato in piena maturità
artistica con Chen Guang. Entrambi gli
strumentisti sono scoperte di Antonio Mormone.
La raffinata Sonata n.4 in re maggiore di
Händel ha introdotto la serata meritando
un'ottima esecuzione. In perfetta sintonia hanno
dato il giusto peso alle dinamiche e alle
timbriche. Buona l'interpretazione della
Sonata n.1 in sol maggiore op.78 di J.
Brahms. Un'esecuzione precisa e dettagliata
ma
forse troppo controllata. Un maggiore slancio
emotivo avrebbe giovato alla resa complessiva.
Di maggior spessore espressivo la celebre
Sonata n.9 in la magg. op.47 "A Kreutzer",
eseguita dopo il breve intervallo. Entrambi gli
interpreti, in sinergia costante, hanno
ugualmente contribuito alla qualità della
sonata, sia negli energici movimenti laterali
che nell'Andante con variazioni centrale,
dove, nella dominante parte pianistica, con
quelle fluide e deliziose variazioni, Chen Guang
ha dato sfoggio di raffinata resa musicale. Tre
i bis concessi: prima un' Allemanda dalla
Partita n.2 per violino solo di J.S. Bach
eseguita da Milenkovich in modo eccellente; poi
ancora uno scorrevole e autorevole Bach, questa
volta pianistico, ed infine, in duo, una
semplice e suggestiva melodia che come
raccontato dal simpatico violinista, è stata
scritta da un compositore-pianista statunitense
Navajo, ispirata dagli indiani indiani d'America
e avente come titolo "Coyote". Fragorosi
gli applausi al termine.
18 novembre 2021 Cesare
Guzzardella
Milano Musica,
Michele Gamba e Nicolas
Hodges al Teatro alla Scala
Un interessante concerto
sinfonico di musica contemporanea ha impegnato
ieri l'Orchestra Sinfonica di Milano "G. Verdi"
e il direttore Michele Gamba nella splendida
cornice del Teatro alla Scala. Grazie a Milano
Musica e all'annuale rassegna di musica moderna
e contemporanea,quest'anno denominata "D'un
comune sentire", abbiamo
ancora
una volta ascoltato -e visto- dalla platea
scaligera tre valide composizioni. Dalla più
recente di Rebecca Saunders (1967) con To An
Utterance del 2020, a quella di Wolfgang
Rihm (1952) con Verwndlung III del 2008,
al classico di Benjamin Britten (1913-1976)
Four Sea Interludes, del 1945, dalla sua
opera Peter Grimes. Lavori molto diversi
tra loro, che ci rivelano la varietà espressiva
di un settore musicale attuale che deve ancora
penetrare nelle conoscenze di un più ampio
pubblico. Il suggestivo impatto timbrico del
primo lavoro, quello più recente, per pianoforte
ed orchestra, ha trovato alla tastiera un
pianista noto quale Nicolas Hodges. Per chi
aveva
dei
dubbi sul fatto che il pianoforte fosse anche
uno strumento a percussione, quale occasione per
non averne più! To An Utterance offre infatti un
utilizzo interessante dei tasti bianco e neri.
Pochissime le note isolate, ma sempre grappoli
di note, cluster di ampia dimensione
che percuotono, a volte delicatamente ma spesso
in maniera più aggressiva, i tasti. La parte
orchestrale avvolge in modo incisivo i
virtuosismi precisi, calibrati e con margini di
aleatorietà probabilmente minimi, del bravissimo
Hodges. Trenta minuti circa di suggestive
timbriche che rivelano la forza femminile e il
gran carattere della Saunders, affermata
compositrice londinese che vive da anni in
Germania. Il brano del tedesco Rihm è la terza
parte di un lavoro più ampio. Dall'ascolto di
Verwndlung III, eseguito mirabilmente dalla
"Verdi" e diretto ottimamente da Gamba, si
evidenzia la spettacolare capacità di
orchestrazione
dell'affermato
compositore nel mettere in luce i dialoghi tra
le diverse sezioni orchestrali. Movimenti
timbrici fluidi, rapidi e chiarissimi nelle loro
esternazioni. Un eccellente lavoro. I
Quattro interludi marini dell'inglese
Britten sono ben conosciuti ed eseguiti da
decenni dalle massime orchestre mondiali. Si
rimane ancora sorpresi per la modernità di
questi interludi che, composti oltre
settant'anni fa, rappresentano ancora
coloristiche attualissime. Il linguaggio di
Britten, riconoscibile in ogni frase musicale,
ha una cifra stilistica alta, dove l'eleganza
del fraseggio e il taglio deciso delle battute
richiamano mirabilmente la natura del mondo
sommerso. Ottima l'interpretazione, molto
applaudita dal numerosissimo pubblico
intervenuto. Da ricordare.
17 novembre 2021 Cesare
Guzzardella
Robert Trevino ed
Emmanuel Tjeknavorian
con la Filarmonica della Scala per Mozart e
Šostakoviç
Ha recentemente diretto la "Sinfonica
Verdi" in Auditorium con un programma dedicato a
Šostakoviç e Mendelsshon,
Robert Trevino. Ora ritroviamo il direttore
americano nel Teatro del Piermarini per dirigere
la Filarmonica della Scala in Mozart e ancora in
Šostakoviç, questa volta
per la grandiosa Settima Sinfonia.
Un
impaginato
che
ieri ha trovato in palcoscenico anche il
violinista viennese, di origine armena, Emmanuel
Tjeknavorian per il noto Concerto in la
maggiore per violino e orchestra K 219, il
quinto e ultimo di questo genere nella
produzione del salisburghese. Un'interpretazione,
quella di Tjeknavorian, all'insegna della
delicatezza nel proporre timbriche sottili,
fluide, prive di contrasti eccessivi. Il suo
suono trasparente e ricco di espressività ha
trovato l'appoggio coerente dei filarmonici
scaligeri e della direzione di Trevino per un
risultato di eccellente resa espressiva.
Applaudito con convinzione dal pubblico presente
in teatro, ha concesso un breve bis solistico
con un brano pizzicato di Paul Hindemith. Dopo
il breve intervallo, un cambiamento radicale di
colori ci ha portato alla monumentale
Sinfonia n.7 in do maggiore op.60 "Leningrado"
di Dmìtrij
Šostakoviç.
Un lavoro composto dal musicista russo nel 1941
che risente degli insegnamenti del passato dei
grandi sinfonisti - Beethoven per primo- , ma
che attraverso situazioni di estreme
esasperazioni sonore riflette la tragedia di
quel periodo storico in cui la sinfonia è stata
composta. I contrasti timbrici e volumetrici
presenti in questa partitura sono forse tra i
più marcati
tra
quelli del mondo sinfonico delle orchestre
allargate. L'ottima definizione dei colori,
espressa in ogni sezione orchestrale dagli
eccellenti filarmonici, e l'avvincente direzione
di Trevino, ricca di dettagli, ha determinato i
fragorosi applausi espressi dal pubblico
presente in teatro. Prossimo appuntamento per la
serie dei Concerti d'autunno 2021 con
Riccardo Chailly che dirige la Filarmonica della
Scala in Beethoven con la Sesta Sinfonia, e in
Mendelsshon con la Sinfonia n.3 "Scozzese", il
22 di questo mese. Da non perdere!
16-11-2021 Cesare Guzzardella
Successo per L' Elisir d'amore
alla Scala
con Meli e la Torre
La ripresa de L'Elisir d'amore
di Gaetano Donizetti sta risquotendo ancora
notevole successo al Teatro alla Scala. Già nel
settembre 2019, in un'Italia per pochi mesi
ancora non pandemica, mettevamo in luce questa
tradizionale messinscena pensata nel 1998 da
Tullio Pericoli autore delle colorate, naïf e
fiabesche scene, con i relativi costumi
perfettamente in sintonia con la bellissima
scenografia. Una delicatezza d'insieme che è
perfettamente appropriata con
i
personaggi che entrano
in gioco, pensati e inseriti nel semplice ma
efficace libretto di Felice Romani. L'ottima
regia di Grischa Asagaroff e le luci di
Hans-Rudolf Kunz riprese da Marco Filibeck, ben
sottolineano le caratteristiche dei protagonisti
in questi bellissimi quadri dominati da una
leggerezza funzionale a sottolineare la vicenda
e soprattutto la musica del grande bergamasco,
musica che è stata diretta ottimamente ancora da
Michele Gamba.
Il giovane eclettico direttore
d'orchestra, esperto anche di musica
contemporanea - dopodomani dirigerà alla Scala
musica contemporanea- ha certamente dimostrato
di essere in sintonia col repertorio lirico
otticentesco, esprimendo grande equilibrio e
spessore nei momenti più importanti dell'opera e
trovando una convincente visione complessiva
della piacevole vicenda a lieto fine. Nella
seconda rappresentazione, vista ed ascoltata nel
pomeriggio, i
due principali protagonisti sono
subentrati inaspettatamente sostituendo gli
indisposti Aida Garifullina e Paolo Fanale. Si
tratta di Benedetta Torre nel ruolo di Adina
e di Francesco Meli in Nemorino. Ottime
le loro interpretazioni. Il Nemorino di Meli, la
voce più applaudita, con una memorabile "Una
furtiva lagrima", seguita da alcuni minuti
di applausi, - tanto che sembrava dovesse
replicarla- è in perfetta sintonia con il
personaggio. Meli ha una voce timbricamente
perfetta in ogni registro che utilizza, e
sopperisce la normale volumetria sonora di cui è
dotato, con capacità espressive superlative nel
modulare tutte le altezze sonore. Valida anche
attorialmente il soprano Benedetta Torre. La
sua Adina ha convinto. Specie nei toni più alti
mostra perfetta intonazione nell'esprimere con
sicurezza ed
espressività il suo ruolo.
(prime foto di Brescia e Amisano- Archivio Scala)
Efficace anche Davide
Luciano in Belcore, una voce corposa e
dettagliata. Adeguato il Dottor Dulcamara
di Giulio Mastrototaro, molto bravo
attorialmente. Di qualità la Giannetta di
Francesca Pia Vitale. Ottime le mimiche
di Davide Gasparro, accompagnatore di Dulcamara,
e bravissimo alla tombra, sul palcoscenico,
Gianni Dallaturca. Ottima la parte corale curata
da Alberto Malazzi e il fortepiano di Beatrice
Benzi. Le prossime repliche sono previste per il
17, il 21 e il 23 novembre. Da non perdere!!
14 novembre 2021 Cesare
Guzzardella
I Virtuosi Italiani e
Alessandro Carbonare
al Dal Verme
I Virtuosi Italiani sono
tornati puntualmente al Dal Verme per i concerti
organizzati da I Pomeriggi Musicali. È
una compagine di strumenti ad arco capeggiata
dal primo violino e direttore Alberto Martini.
Un'eccellenza musicale in questo ambito
cameristico ricco di composizioni di moltissimi
autori, non solo delle tradizioni più lontane.
Ieri
pomeriggio,
in replica, abbiamo ascoltato tre splendidi
lavori per archi. Il primo di rara esecuzione
era di Padre Komitas ( 1869-1935), un
religioso-musicista armeno che svolse nella sua
vita anche un'importantissima ricerca sulla
tradizione musicale del suo popolo,
diffondendola un po' ovunque. Di particolare
profondità le sue Sei melodie per Orchestra
d'archi, eseguite ottimamente dai Virtuosi
Italiani. Negli espressivi movimenti che
compongono i brani, si riconosce la tradizione
vocale e popolare che ha costituito le
fondamenta della poetica del grande compositore
armeno. Il secondo brano in programma, di
Carl
Maria von Weber(1786-1826), ha visto come
protagonista l'eccellente clarinettista
Alessandro Carbonare per il Quintetto per
clarinetto ed archi in un'ottima versione
con Orchestra d'Archi. Gli efficaci quattro
movimenti che compongono il noto lavoro, sono
stati resi con efficace espressività da
Carbonare, coadiuvato splendidamente dai colori
orchestrali di ogni sezione. Bellissimo il bis
concesso dal clarinettista con l'ausilio degli
archi. Un lavoro della tradizione Klezmer, con
un tema iniziale per solo clarinetto ispirato e
incisivo che ha ancor più rivelato le
qualità
virtuosiste del solista. A conclusione del
programma ufficiale la giovanile Simple
Symphony per archi op.4 di Benjamin Britten
ha evidenziato, unitamente alle qualità del
grande compositore inglese, anche quelle
coloristiche de I Virtuosi Italiani, dei quali
ricordiamo oltre al violinista e concertatore
Martini, almeno l'eccellente prima viola Flavio
Ghilardi. Di qualità i bis concessi: prima una
trascrizione strepitosa per orchestra d'archi
del noto brano pianistico dal film The Piano -
The Heart Asks Pleasure First di Michael
Nyman e poi un incisivo Presto, terzo
movimento dall' Estate dalle Quattro
Stagioni di Antonio Vivaldi. Applausi fragorosi
ai protagonisti. Da ricordare.
14 novembre 2021 Cesare
Guzzardella
Josef Edoardo Mossali
per la Società dei Concerti
Doveva esserci la
giovanissima Alexandra Dovgan sul palcoscenico
di Sala Verdi in Conservatorio, una
straordinaria pianista quattordicenne russa già
famosa e molto attesa. Problemi legati alla
pandemia non le hanno permesso di essere
presente. L'ha sostituita in extremis il giovane
pianista ventenne Josef Edoardo Mossali,
recentemente semifinalista del "Premio
Internazionale Antonio Mormone", e vincitore di
numerosi altri concorsi internazionali, dove ha
rivelato le sue indubbie qualità virtuosistiche.
Un
impaginato
variegato, all'insegna delle difficoltà
trascendentali, specie nella seconda parte della
serata, con brani di Beethoven, Chopin e poi di
Liszt e Brahms-Paganini, ci ha permesso di
conoscerlo e di godere appieno la sua
performance, espressa con notevole
esuberanza. La Sonata op 81a "Les adieux"
di Beethoven, introduttiva alla serata, ha avuto
un buon inizio di concerto con momenti
superlativi nel Vivacissimamente (Das
Wiedersehen) finale. La Ballata n.4 in fa
minore op. 52 del grande polacco ha trovato
sensibili e leggere mani. L'evidente
discorsività nel fraseggio di Mossali hanno
portato ad un'ottima interpretazione. Con Liszt
prima, nella sua Dante Sonata e con
Brahms e le sue Variazioni su un tema di
Paganini ( libro 2), abbiamo colto
pienamente la cifra virtuosistica del
giovane
talentuoso pianista. L'incredibile scorrevolezza
delle dita sulla tastiera, sempre orientate
all'ottenimento di un tempo perfetto, ha
rivelato potenzialità che raggiungerano
probabilmente molto presto l'obiettivo in
termini di profondità espressiva. Momenti di
alta resa interpretativa sono emersi laddove le
strutture complesse musicali si risolvono con
l'esercizio meccanico e di articolazione
digitale. Alcune variazioni sul tema di Paganini
hanno raggiunto vette di precisione ed
equilibrio non disgiunti da notevole
espressività. Solo in alcune situazioni è
mancata una certa maggiore riflessività, che
darebbe più respiro ai brani. Ben quattro i bis
concessi: un valido Studio di Chopin (Op.25
n.1), due trascrizioni di Pletnev dallo
Schiaccianoci di
Čaikovskij,
tra cui la nota Marcia, e una splendida
La Campanella di Paganini-Liszt.
Un
pianista da seguire costantemente. Ottima serata.
11- 11- 2021 Cesare
Guzzardella
Il MDI Ensemble
per la Società del Quartetto
Nel panorama dei concerti
organizzati dalla Società del Quartetto,
da alcuni anni gioca un ruolo importante la
musica moderna e contemporanea. Per moderna
intendiamo quella musica che nei primi anni del
'900, con figure storiche della composizione
come Schönberg, Berg e Webern -la cosiddetta
Seconda Scuola di Vienna- dà inizio ad un
cambiamento
radicale del linguaggio, passando dalla tonalità
all'atonalità, attraverso la dodecafonia.
L'interessante impaginato proposto dal gruppo
cameristico MDI Ensemble- per un
importante lavoro diretto da Marco Angius-
prevedeva brani di questi grandi compositori
unitamente al più recente Arlequin Poupí per
pianoforte e cinque strumenti (2010) di
Sylvano Bussotti (1931-2021), brano composto
specificatamente per il MDI Ensemble. Dai
Quattro pezzi op.5 per clarinetto e
pianoforte (1913) di Alban Berg, al Trio
op.20 per violino, viola e violoncello
(1926-27) di Anton Webern, siamo andati indietro
nel tempo per arrivare al 1906 con la
Kammersymphonie in La maggiore op.9 di
Arnold
Schönberg, brano in cinque parti - ascoltata
nella versione per 5 strumenti (1922-23) curata
da Webern- che con tonalità d'impianto risente
ancora degli influssi del tardo romanticismo,
Brahms prima di tutti, uscendo però spesso dagli
schemi della tradizione ottocentesca per
proiettarsi nel futuro atonale. Le esecuzioni
restituite dall'eccellente
gruppo cameristico, nelle differenti formazioni
proposte, hanno evidenziato la predisposizione
naturale delle nuove generazioni ad accostarsi
ad una musica che rimane ancora di non facile
ascolto, per gran parte del pubblico che
frequenta le sale da concerto. Nel duo
clarinetto-pianoforte di Berg segnaliamo le
qualità del pianista Luca Ieracitano e del
clarnettista
Paolo
Casiraghi, entrambi presenti negli ulteriori
brani. Ottima l'esecuzione del Trio op.20
di Webern ad opera di Lorenzo Gentili-Tedeschi,
violino, Paolo Fumagalli, viola e
Giorgio Casati, violoncello. Splendida l'Op.9
di Schönberg. Dopo il breve intervallo, uno
stacco di oltre ottant'anni dai lavori ascoltati
ci ha portato a Sylvano Bussotti e al suo
Arlequin Poupí. Nel lavoro del compositore
toscano recentemente scomparso, la componente
gestuale e d'effetto gioca un ruolo fondamentale.
Il pianoforte, con le eccellenti sonorità
fornite da Ieracitano, ha un ruolo centrale,
mentre gli strumenti presenti, dai tre archi ai
flauti dell'ottima Sonia Formenti, ai clarinetti
del già citato Casiraghi, ruotano, spesso
alternandosi, per definire un lavoro elegante e
di importante pregnanza espressiva.
Progressivamente, a turno, gli strumentisti
terminano in modo tronco la loro parte ed escono
di scena. Ultimo ad uscire, naturalmente
il
pianista. Brano clou, e più preponderante
della serata, con i suoi quasi quaranta minuti
di durata, è stato l'ultimo, il celebre
Pierrot lunaire op.22 (1912) di Schönberg.
Oltre alla direzione accurata di uno specialista
quale Marcus Angius, protagonista è stata la
voce recitante della bravissima Cristina
Zavalloni, una cantante specializzata nel
repertorio novecentesco, jazz compreso, e nel
contemporaneo. La bellissima, espressiva musica
del capo-scuola Schönberg, ha trovato ottimi
interpreti ad attenderla, prima fra tutti la
cantante, che nel particolare ruolo di canto-recitato
si è trovata perfettamente, grazie anche alle
sue qualità mimiche e attoriali. Un'
interpretazione complessiva luminosa e ricca di
sfumature per un lavoro oramai diventato un
classico del Novecento. Applausi intensi al
termine dal numeroso pubblico intervenuto in
Sala Verdi del Conservatorio. Un breve bis con
la ripetizione di una sequenza del Pierrot.
Da ricordare.
10 novembre 2021
Cesare Guzzardella
IL FESTIVAL STRING
LUCERNE E LEIA ZHU
INAUGURANO A NOVARA LA 41° STAGIONE DEL
FESTIVAL CANTELLI
Ieri sera 9 novembre a Novara
era doveroso vincere quei timori che ancora
assillano per un Covid tutt’altro che debellato,
per andare ad ascoltare, al Teatro Faraggiana,
il concerto inaugurale del Festival Cantelli
2021/22, organizzato da quella che da
settantacinque anni è la più autorevole e
prestigiosa società musicale della città,
l’Associazione Amici della Musica Cocito (dal
cognome del suo benemerito fondatore). Chi
scrive era la prima volta dallo scoppio della
pandemia che rimetteva piede in una sala da
concerto per ascoltare musica dal vivo e
l’ingresso in un palco del Faraggiana è stato
una sorta di rito di rinascita. A rallegrare
ulteriormente l’animo dello scrivente c’era, tra
il pubblico (buona l’affluenza) una folta, mai
veduta prima, presenza di giovani e giovanissimi,
lieto augurio di giorni migliori per noi e per
il mondo dello spettacolo, soprattutto quello
musicale. Il programma della serata vedeva due
protagonisti: lo svizzero complesso orchestrale
da camera (di soli archi) Festival Strings
Lucerne che, nato nel 56, si è conquistato in
più di sessant’anni di attività, larga fama
internazionale ed è attualmente guidato dal
violinista australiano-cinese Daniel Dodds,
nel
ruolo di konzertmeister (quindi l’orchestra non
ha un direttore che salga sul podio),
coerentemente con la volontà dei fondatori
dell’orchestra di rinverdire le tradizioni
musicali del mondo austro-tedesco. L’altra
protagonista era Leia Zhu, quindicenne
violinista anglo-cinese, astro nascente del
firmamento musicale internazionale, nonostante
l’ancor giovanissima età. L’impaginato proponeva
quattro composizioni: la” Suite n.3 di antiche
arie e danze per soli archi”, una delle opere
più celebri di O. Respighi, risalente al 1931;
una versione per violino e orchestra della
“Suite Italienne” di I. Stravinsky, formata da
brani ricavati dalla musica per il balletto “Pulcinella”;
la “Fantasia su temi del Faust di Gounod”op. 20
del “Paganini polacco” H. Wieniawski, in un
arrangiamento per violino e orchestra ; infine
di P.I. Ciajkovskij la “Serenata per orchestra
d’archi in Do maggiore op.46”. Come balza subito
all’occhio, salvo il brano di Wieniawski,
inserito nel programma, immaginiamo, per
permettere a Leia Zhu di sfoggiare il meglio del
suo repertorio tecnico ,l’impaginato segue un
filo conduttore molto
coerente che lega le altre tre opere e cioè una
delle tendenze principali della musica europea
tra ‘800 e ‘900, quel ‘ritorno al passato’ tra
XVII e XVIII secolo, cui si guarda per attingere
nuove linfe da immettere in un linguaggio
musicale, quello classico-romantico, ormai
logorato: ed ecco Respighi e Stravinsky, sia pur
in forme assai diverse, recuperare la secolare
tradizione italiana, il grande russo volgersi a
quello che fu sempre per lui uno dei musicisti
del passato più ammirati, Mozart. Il Festival
Strings ha una qualità che spicca su tutte e che
subito ammalia i sensi dell’ascoltatore: un
suono di luminosa trasparenza, calibratissimo
sulle minime sfumature timbriche e dalle
dinamiche variegate e intensamente espressive.
Questa caratteristica ha reso ieri possibile una
delle esecuzioni più belle da noi mai ascoltate
della Serenata di
Ciajkovskij, che di mozartiano,
in verità, non ha nulla se guardiamo al
linguaggio musicale sotto il suo profilo
strettamente tecnico: Mozart per il russo
significa soprattutto evocazione di un mondo di
grazia e dolcezza, di leggerezza ed apollineo
equilibrio compositivo, nel quale trovar rifugio
per il suo animo tormentato: sono proprio queste
grazia e dolcezza, appena increspate
dall’affiorare di una lieve malinconia (con
l’eco ripetuta di un tema-chiave dell’Oneghin)
che gli Stringers di Lucerna
sanno far cantare
con straordinaria
bravura. La scelta, poi, dei violoncelli a tre e
un solo contrabbasso conferisce al registro
degli archi gravi un colore morbido e vellutato,
ideale, ad esempio, per portare in primo piano
un tratto essenziale della ricerca di nuove
risorse coloristiche, languidamente decadenti,
di Respighi, con un’esecuzione, davvero
incantevole dei due pezzi centrali della suite,
“Arie di corte” e “Siciliana”. Ma il suono
dell’orchestra svizzera sa anche dar voce alla
severa austerità di una passacaglia, l’ultimo
movimento della suite di Respighi, o alla
grandiosità del tema da corale che ricorre nel
finale della serenata ciajkovskijana. Insomma,
una splendida orchestra da camera, che ci
augureremmo di ascoltare più spesso (dal vivo!).
E veniamo, last but not least a Leia Zhu.
Confessiamo che ci aspettavamo la solita enfant
prodige cinese, tutta sbalorditiva bravura
tecnica e zero capacità interpretativa ed
espressiva. Grande è stata la nostra sorpresa
nell’ascoltarla: Leia ha già maturato un suo
suono, una sua capacità di rendere le acrobazie
tecniche non un fine spettacolare a sé, ma un
mezzo per dare voce a un sentimento, a
un’emozione, a un mondo spirituale evocato dal
suono. La sua cavata è intensa, soprattutto
cristallina nel suono, anche nel registro
sovracuto, o nelle rapidissime scale e nei
trilli, ma quello che più ci ha colpito è la sua
eccellente capacità di variare le dinamiche con
matura sapienza, colorando e tornendo un suono
sempre ricco di sfumature e di chiaroscuri. Da
qui la bellissima resa interpretativa di passi
come la Serenata e la Gavotta della Suite
Italienne , ma anche il brano più accesamente
virtuosistico della Fantasia di Wieniawski
usciva dal violino di Leia Zhu non come uno
stucchevole numero ad effetto, ma come
un’interpretazione efficace e coinvolgente di
alcuni dei momenti più drammatici o patetici
dell’opera di Gounod. Davvero un bellissimo
concerto di apertura di una stagione, che ci
auguriamo davvero il mostro del coronavirus non
debba turbare. Gli scroscianti applausi del
pubblico e l’entusiasmo dei giovani presenti
sono il meritato tributo ad una serata che
ricorderemo. Attendiamo con gioia il prossimo
concerto del Festival Cantelli, il 29 novembre:
ospite al Faraggiana sarà il grande pianista
italiano Michele Campanella.
(Foto di Ettore Borri)
10 novembre 2021 Bruno Busca
Zlata Chochieva
alle
Serate Musicali
Da alcuni anni la pianista
Zlata Chochieva è una costante presenza in
Conservatorio ai concerti organizzati da
Serate Musicali. Zlata è nata a Mosca ma è
residente da tempo a Berlino. Ieri sera, in Sala
Verdi, ha impaginato un programma di particolare
interesse per la composizione dei brani scelti,
alcuni di rara esecuzione. La maggior parte sono
rielaborazioni o trascrizioni fatte da grandi
pianisti del passato - e non solo pianisti- ,
quali Franz Liszt, Ignaz Friedman e Sergej
Rachmaninov. Nella parte centrale della serata,
la corposa suite in cinque parti Miroirs
op.43, di Maurice Ravel, era l'unico lavoro
originale. Brani di Grazioli, Bach, Mahler,
Schubert, Mendelssohn e Gartner, quasi tutti
estrapolati da lavori più ampi, sono stati
ripensati virtuosisticamente dai
pianisti-compositori sopracitati e hanno trovato
in Zlata Chochieva un'inteprete eccellente per
qualità espresse. La virtuosa, allieva in
passato anche di Pletnev, ha rivelato facilità
interpretativa anche nei frangenti più complessi.
I brani, presenti anche in un suo recente Cd, si
sono succeduti senza la classica interruzione di
metà concerto. Il primo era un rarissimo
Adagio, da una sonata per clavicembalo di
G.B.Grazioli ( 1746-1820), trascritto da Ignaz
Friedman (1882-1948), storico interprete che
frequentò i corsi di Ferruccio Busoni. Il
celebre Allegro iniziale, dal Concerto
Brandeburghese n.3 di J.S.Bach- rivisto
ancora da Friedman-
ha rivelato ancor più le
qualità virtuosistiche ed espressive della
Chochieva. Dopo l'ottimo Tempo di Minuetto
dalla Terza Sinfonia di Gustav Mahler,
sempre nella trascrizione di Friedman, la
pianista ha rivelato sensibilità ai colori di
Ravel nelle celebri Miroirs, composti dal
francese tra il 1904 e il 1905.
Un'interpretazione precisa, sicura, all'insegna
della delicatezza e della tenue espressività. Di
ottimo livello anche i tre lieder di Schubert
rivisti da Liszt, precisamente Wohin?,
Litaney e Auf dem Wasser zu singen.
Ancor più coinvolgente il lied di
Mendelssohn-Liszt Auf Flügeln des Gesanges.
A conclusione del programma ufficiale, prima un
impeccabile Scherzo dal mendelssohniano
Sogno di una notte di mezza estate, nella
virtuosistica trascrizione di Rachmaninov e poi,
dalle rarissime Sei danze viennesi di
Eduard Gartner (1862-1918), il Tempo di Valse
lente rivisto sempre da Friedman. Fragorosi
gli applausi del pubblico intervenuto in Sala
Verdi, purtroppo non numerosissimo, e due i bis
concessi dalla bravissima e bella interprete:
prima la nota Gopak di M.Musorgskij-
Rachmaninov e quindi una rarissima,
iper-virtuosistica e stravolgente Toccata
del francese Pierre Sancan (1916- 2008). Ancora
applausi fragorosi. Da ricordare
9 novembre 2021 Cesare
Guzzardella
Nobuyoki Tsujii con
la Sinfonica Verdi in Auditorium
Il concerto dell'Orchestra
Sinfonica di Milano "G.Verdi" tenuto in questi
giorni ed ascoltato nella replica di domenica
pomeriggio era diretto da Robert Trevino ed ha
avuto come protagonista il pianista giapponese -
cieco dalla nascita- Nobuyoki Tsujii,
noto
in tutto il mondo per le sue qualità
d'interprete decretate con la vittoria del
Concorso Internazionale "Van Cliburn" nel
2009. Il Concerto per pianoforte e tromba n.1
in Do minore op.35 di Dmitri
Šostakoviç
eseguito nella prima parte del sostanzioso
concerto dell'Auditorium, ha trovato una parte
solistica importante anche nella tromba di
Alessandro Caruana, ottimo per chiarezza
espressiva. La valida direzione di Trevino è
riuscita ad evidenziare le qualità di Nobo. Le
sue timbriche luminose, precise e ricche di
sonorità, hanno rivelato ogni dettaglio del
profondo lavoro che il grande musicista russo
compose nel 1933.
Un
concerto tutto sommato breve nella durata, pur
essendo in quattro movimenti, ma ricchissimo nei
contenuti, con un Lento (secondo
movimento) di espressività assoluta. Splendida
la resa complessiva del concerto e due i bis
pianistici concessi dall'eccellente interprete.
Prima Chopin con la celebre Berceuse op.57
e poi di Liszt-Paganini la celebre La
Campanella. Splendidi. Dopo l'intervallo, di
qualità la direzione dello statunitense Trevino
e ottima prova degli orchestrali, nella
Sinfonia n.3 in la minore op.56 "Scozzese"
di F. Mendelsshon. Prossimo concerto in
Auditorium previsto per l'11-12-14 novembre con
il Messiah di Händel diretto da Ruben
Jais, con quattro voci soliste importanti.
7 novembre 2021 Cesare
Guzzardella
Successo alla Scala
per La Calisto
di Francesco Cavalli
Prosegue al Teatro alla Scala
la messinscena de La Calisto di Francesco
Cavalli. Il teatro d'opera post-monteverdiano è
tornato a risplendere con questo lavoro in un
Prologo e tre Atti, su libretto di Giovanni
Faustini, tratto dalle Metamorfosi di Ovidio.
Presentata a Venezia al Teatro Sant'Apollinare
nel 1651, si rivela ben 370 anni dopo a Milano,
con l'ottima regia di David McVicar,
con le valide scene di Charles Edwards, i
costumi d'epoca secenteschi di Doey Lüthi e
l'avvincente direzione musicale di
Christophe
Rousset -tra i massimi esperti di repertorio
barocco- alle testa di una formazione
orchestrale che ha unito strumentisti
dell'Orchestra del Teatro alla Scala con i suoi
dei Les Talens Lyriques, tutti impegnati
su strumenti storici. La terza rappresentazione,
ascoltata e vista ieri sera, ha rinnovato il
successo delle precedenti. La coerenza di un
lavoro estremamente unitario nella molteplicità
degli interventi - comprese le ottime luci di
Adam Silverman, la coreografia di Jo Meredith,
perfettamente inserita nel contesto scenografico,
e anche i non pochi ed efficaci video di Bob
Vale- ha contribuito in modo sostanziale alla
riuscita di quest'opera barocca, certamente di
non facile lettura per la molteplicità di
angolazioni da cui può essere osservata ed
analizzata. Le argomentazioni trattate, di
straordinaria attualità pur appartenendo alla
mitologia classica, spaziano tra erotismo, abusi
di potere con relative punizioni, metamorfosi e
tradimenti. Gli interventi attoriali di tutti i
protagonisti, spesso resi ancor più efficaci dai
ridondanti ed eccellenti costumi, non sono da
meno rispetto alle ottime voci del valido cast
internazionale.
Cast
che ha avuto modo di rivelarsi ancor più grazie
alla passerella che corre attorno alla buca
dell’orchestra, collegando il palcoscenico alla
platea. Tra i cantanti, tutti di qualità,
segnaliamo almeno il soprano israeliano Chen
Reiss nei panni della protagonista, Calisto.
Sensuale e leggera ha voce con bel timbro,
luminoso e limpido in tutti i registri.
Autorevole, con timbriche scure ed incisive,
Giove nella voce del basso Luca Tittoto. Di
qualità per il modo diretto di comunicare, il
Mercurio del baritono Markus Werba; Olga
Bezsmertna è un'ottima Diana, un soprano
ricco di sonorità specie nei timbri più alti.(Foto
di Brescia - Amisano- Arch. Scala)Molto
apprezzato dal pubblico presente in teatro il
controtenore Christophe Dumaux, un Endimione
timbricamente espressivo e ben inserito nel suo
ruolo. Perfettamente a suo agio nel severo
costume, il soprano Véronique Gens si è rivelata
una Giunone particolarmente valida. Di
imponente presenza scenica ha espresso una
timbrica chiara, asciutta e determinata. Di
spessore e meritevoli tutte le altre numerose
voci presenti. Ricordiamo le prossime recite
previste per il 10 e il 13 novembre. Uno
spettacolo assolutamente da non perdere.
6 novembre 2021 Cesare
Guzzardella
Concerto pianistico
straordinario di
Daniel Barenboim alla Scala
Un bel regalo il Concerto
Straordinario donato al pubblico scaligero, in
sostituzione dei concerti sinfonici programmati
per il 3 e il 4 novembre al Teatro alla Scala e
improvvisamente cancellati. "(...) Un caso
sospetto di positività al Covid-19 nella
Staatskapelle
Berlin è stato rilevato nel pomeriggio e la
direzione del Piermarini, in accordo con la
Staatsoper Unter den Linden, ha scelto di
rimandare a data da definirsi la prevista
integrale delle quattro Sinfonie di Brahms per
garantire la massima sicurezza ad orchestrali,
maestranze scaligere e pubblico ...".Questo il
messaggio arrivato: e immediata è stata la
risposta del grande direttore ed eccelso
pianista,che ha deciso di anticipare a ieri sera
il concerto con le ultime tre Sonate di
Beethoven, precisamente la n.30 op.109 in Mi
maggiore, la n.31 Op.110 in La
bem.maggiore e la n.32 op.111 in Do
minore. Tre capolavori che, al pari degli
ultimi quartetti per
archi
o della Sinfonia n.9, rappresentano la fine di
un ciclo di produzioni in cui vengono raggiunte
le più alte vette artistiche. Daniel Barenboim,
ritornato al Teatro alla Scala - quello che
alcuni anni fa era diventato il suo Teatro - ha
condiviso con gli ascoltatori la forza
dirompente delle ultime sonate pianistiche del
genio tedesco. Una forza espressa dal
direttore-pianista con un'apparente discrezione
nei volumi sonori, un taglio stilistico tenue,
che ha reso altresì evidente l'interiorizzazione
totale
degli elementi melodici e armonici. Piccole
smagliature, peraltro rarissime, non hanno certo
influito sulla resa intensamente espressiva
delle tre celebri composizioni. Il pianista
argentino ha fatto vivere al pubblico presente
alcuni momenti di altissime esternazioni, in un
contesto complessivo di elevata rielaborazione
musicale. Rimarrà un ricordo indelebile il
chiarissimo finale dell'op.111, magnificamente
intenso e conclusivo. Nessun bis dopo le
straordinarie ultime note, ma solo fragorosi e
lunghissimi applausi, ad accompagnare le
numerose uscite in palcoscenico del Maestro.
Eccellente serata!
5 novembre 2021 Cesare
Guzzardella
Boris Petrushansky
per la Società
dei Concerti
Il pianista moscovita Boris
Petrushansky ha tenuto ieri sera un recital
per la Società dei Concerti in
Conservatorio, affrontando due lavori importanti,
impegnativi e corposi di Robert Schumann e di
Modest Musorgskij. Davidsbündlertänze op.6,
del musicista
tedesco,
eseguita nella prima parte del concerto, è una
serie di diciotto brevi miniature composte nel
1837. Sono nel pieno stile romantico del
compositore. I Quadri di un'esposizione,
del grande compositore russo, datano invece
1873. L'ampia suite fu ispirata dai
disegni e dagli acquerelli prodotti da Hartmann
e destinati poi ad una grande mostra dalla quale
Musorgskij prese ispirazione per realizzare il
celebre lavoro. Rapprentano un deciso
allontanamento dal linguaggio romantico. Due
lavori molto in contrasto tra loro che il
pianista russo, che da molti anni vive in Italia
dove opera anche attraverso un'intensa attività
didattica nella nota scuola specialistica di
Imola, ha voluto unire in un medesimo impaginato,
probabilmente per dare al concerto una
possibilità
di ascolto diversificato. Petrushansky ha
evidenziato, ancora una volta, le sue eccelenti
qualità espressive attraverso letture
particolarmente analitiche che mettono in
risalto gli elementi strutturali dei lavori. I
tempi sono spesso dilatati, a vantaggio di una
chiarezza espressiva che evidenzia i dettagli, e
i colori sono apparsi, in entrambe le
composizioni, molto nitidi. Esecuzioni quindi
valide e personali . Specie nei Quadri,
il noto interprete ha restituito la sua anima
musicale russa attraverso una ricchezza di
particolari e di contrasti evidenti. Il pubblico
ha decisamente apprezzato l'ottima performance
pianistica del Maestro, tributando fragorosi
applausi al termine del programma ufficiale.
Petrushansky ha concesso
poi ben tre bis: di
S.Prokofiev
Suggestioni Diaboliche, di Claude Debussy
Minstrels e, a conclusione, di Domenico
Scarlatti la Sonata "Pastorale" K 9.
Ottime interpretazioni. Da ricordare.
4 novembre 2021 Cesare
Guzzardella
L'Accademia dell'Annunciata
e Mario Brunello per
la Società del Quartetto
È tornato in Conservatorio,
dopo pochi giorni dalla sua presenza con
Giovanni Sollima, Mario Brunello. Questa volta
con la compagine barocca L'Accademia
dell'Annunciata,
diretta
da Riccardo Doni, anche cembalista ,
per un programma incentrato sul barocco
settecentesco. Compositore di riferimento della
serata di Sala Verdi è stato Giuseppe Tartini
(1692-1770), con i suoi Concerti in La
maggiore e in Re maggiore entrambi
per violoncello piccolo, archi e basso continuo,
ma anche nel brano rivisto da Respighi con la
Pastorale dalla Sonata tartiniana, con
L'antro dell'orco del milanese Vanni Moretto
(1967), liberamente tratto da L'Arte dell'arco
di Tartini e con Giulio Meneghini (1741-1824) e
la sua traduzione in Concertone dalle
Sonate tartiniane.
Inframmezzato
a questi lavori un Concerto, ancora
per violoncello piccolo e archi, del
bolognese Antonio Vandini (1690-1778),
contemporaneo di Tartini. Una serata valida
sotto ogni aspetto, che ha stimolato il pubblico
di appassionati intervenuti per un ascolto dal
sapore antico, nelle bellissime timbriche del
prezioso cello piccolo di Mario Brunello e in
quelle degli archi armonizzati dal cembalo a dal
liuto. Particolarmente riuscita l'elaborazione
musicale di Moretto, uno Scherzo di
suggestivo impatto creativo. Il suo "L'antro
dell'orco" ritrova lo stile antico
di
Tartini, unitamente ad una serie di timbriche
contemporanee con utilizzo attualizzato degli
strumenti ad arco e con la presenza di artifizi
coloristici e percussivi che rendono
particolarmente suggestiva la sua composizione.
Un brano incentrato su una serie di
Variazioni originate dal tema di Tartini,
esguite molto bene nell'ottima direzione di Doni
e nella resa interpretativa di Brunello.
Fragorosi applausi al termine del programma
ufficiale e due i bis concessi con una
graziosissima Furlana di Tartini e un
valido Bach con il movimento centrale, Largo,
dal noto Concerto in fa minore BWV 1056.
Serata da ricordare.
3 novembre 2021 Cesare
Guzzardella
OTTOBRE 2021
L'Orchestra del Teatro
Carlo Felice diretta da Alessandro Cadario
Un
impaginato pieno di colori quello scelto da
Alessandro Cadario alla guida dell'Orchestra del
Teatro Carlo Felice di Genova. Al Teatro dal
Verme la compagine genovese ha rivelato a noi
milanesi le sue eccellenti qualità timbriche,
in
ogni sezione orchestrale. Per farlo ha scelto
d'interpretare brani di primo '900 di Respighi,
Stravinskij e Ravel, tutti compositori che
dell'espressività coloristica, in ambito
orchestrale, primeggiano. Il Trittico
Botticelliano, d'ispirazione vivaldiana, di
Respighi ha introdotto, in replica, il tardo
pomeriggio di ieri. La Suite n.1 e n.2 di
Stravinskij ha espresso il lato più cameristico
del russo, mentre le musiche dal balletto Ma
Mère l'Oye di Maurice Ravel
hanno
reso il concerto ancor più interessante per
quanto concerne le abilità di orchestrazione e
di espressione coloristica. Gli artefici di
questo ottimo concerto, il direttore Cadario e
gli orchestrali genovesi, hanno dato prova di
grande capacità coloristica. Le sottili
dinamiche, ricche di luminosità ed espressione,
si sono rivelate soprattutto in Respighi e in
Ravel e le qualità dei solisti dell'orchestra
nelle originali suite di Stravinskij. Insomma,
un concerto che andava ascoltato e restituito
almeno dalle mie poche righe. Da ricordare.
31 ottobre 202 Cesare
Guzzardella
Mario
Brunello e Giovanni Sollima alle Serate
Musicali
È uno spettacolo diverso,
particolare e anche divertente, quello che
stanno portando in giro per l'Italia i due
talentuosi violoncellisti Mario Brunello e
Giovanni Sollima. Con
quattro violoncelli sul
palcoscenico alternati per l'occasione, hanno
presentato in Sala Verdi in modo scherzoso la
loro performance, giocando con la parola "falso"
e dimostrando poi che con i loro strumenti di
quattro, a volte cinque corde, si può fare di
tutto. Entrambi sessantenni, (del 1962 il
compositore palermitano Sollima e del 1960 il
veneto - di Castelfranco- Brunello) sono noti in
tutto il mondo per le loro eccellenti qualità di
strumentisti. La fama di Sollima riguarda anche
le sue belle e mediterranee composizioni.
Insieme hanno impaginato un programma articolato
dove, tra Verdi con le arie più celebri di
Traviata, Stravinskij con
la nota Suite
Italienne, Bach con l'arcinota Ciaccona
dalla Partita n.2, hanno inserito la splendida
composizione di Sollima "The Hunting Sonata"
e rarità di Antonio Bertali ( 1606-1669) e
Giovanni Battista Costanzi ( 1704-1778).
Concludendo poi con il classico dei Queen "Bohemian
Rapsody" in una trascrizione raffinata ed
espressiva per due celli. Il numeroso pubblico
intervenuto in Conservatorio - molti giovani e
giovanissimi - , ha potuto apprezzare le
raffinatezze delle timbriche sottili dei due
interpreti. Alternandosi spesso nelle parti
melodiche e completando le armonie con un
eccellente "basso continuo" i due
anticonformisti interpreti, con la presenza
mimica accentuata del "mediterraneo", hanno
fatto miracoli restituendo capolavori nella loro
integrità espressiva. La Sonata nuova di
Giovanni Sollima ha poi, ancora una volta,
rivelato le qualità compositive del musicista.
Melodie sinuose, con timbriche arabeggianti
ricche di glissando e toni sottili - anche
quarti di tono- serpeggiano in un contesto
armonico tonale, comprensivo e suggestivo.
Ottimo lavoro. Tripudio di applausi al termine,
con i violoncelli alzati in aria, gesto molto
apprezzato in quanto simpatico simbolo del
trionfo della Musica. Concerto indimenticabile.
29-10-2021 Cesare Guzzardella
Rudolf Buchbinder
e le Diabelli
Variations
Finalmente è tornato Rudolf
Buchbinder in Sala Verdi, nel Conservatorio
milanese, per un concerto organizzato dalla
Società dei Concerti. Buchbinder,
tra i più assidui pianisti presenti alle serate
della nota società concertistica, ha voluto
ritornare al suo amato Beethoven con le celebri
33 Variazioni su un Walzer di Diabelli op.
120. La serata ha avuto motivo di grande
interesse anche per l'anticipazione musicale
avvenuta nell'
ambito
del The Diabelli Project. Un progetto
voluto da Buchbinder per omaggiare Diabelli,
comissionando nuove variazioni sul celebre tema
a 12 compositori contemporanei. Ieri sera sono
state eseguite quattro variazioni
rispettivamente di Brett Dean (1961, di Toshio
Hosokawa (1955), di Tan Dun (1957) e di Jörg
Widmann (1973). Lavori interessanti e molto
differenti tra loro. Di grande impatto timbrico
la prima di B.Dean e decisamente scherzosa la
parodia elaborata da J.Widmann. A questo momento
di "musica contemporanea", sempre nella prima
parte della serata, ha fatto seguito
l'esecuzione di Variazioni sul tema di quattro
musicisti del periodo di Diabelli quali
Kalkbrenner, Liszt, Schubert e Czerny, tutte
pregievoli e ottimamente interpretate dal
pianista austriaco.
Dopo
il breve intervallo, l'ascolto delle più celebri
Diabelli Variations beethoveniane, ha
fatto ancora una volta apprezzare, al numeroso
pubblico di Sala Verdi, le qualità di Buchbinder.
Interprete celebre per la sua assiduità nel
frequentare le opere dei grandi autori classici
della prima Scuola di Vienna, anche nelle
Diabelli ha rivelato la sua cifra stilistica di
grande interprete. La sintesi discorsiva operata
nell'eseguire le 33 variazioni non è stata
dsgiunta da fluidità ed espressività. Vette
molto elevate sono state raggiunte in moltissime
variazioni, dove il perfetto equilibrio delle
dinamiche e i rilievi espressivi sono stati
mediati da tocco leggero e luminosissimo. Grande
interpretazione! Al termine un bis concesso con
un eccellente Improvviso di Schubert, il N.4
dall'op.90. Da ricordare.
28 ottobre 2021 Cesare
Guzzardella
Alexander Malofeev
per la Società del
Quartetto
Avevamo ascoltato Alexander
Malofeev nel febbraio del 2019 in uno splendido
e variegato concerto (Beethoven, Ravel,
Rachmaninov,
Čaikovskij
e Prokof'ev) in Sala Verdi e poi ancora
nell'ottobre dello stesso anno alla Scala con il
celebre Rach
3.
Sono passati due anni e l'attuale ventenne
pianista moscovita ha mostrato i suoi
straordinari
progressi
virtuosistici in un concerto organizzato
dalla
Società del
Quartetto. Ha scelto un programma
particolare, con tre brani di raro ascolto.
Probabilmente il brano più noto era la Sonata
in la minore D 785 di Franz Schubert,
eseguita ad introduzione; mentre la Sonata
n.5 in sol minore op.22 del russo Nikolaj
Medtner, composta nel 1910, rappresenta
un'autentica rarità interpretativa milanese.
Dopo il breve intervallo anche la corposa
Sonata n.1 in re minore op.28 di Sergej
Rachmaninov ha rappresentato un'inconsueta
presenza nelle sale da concerto. Malofeev ha
affrontato i tre difficili lavori con una
sicurezza sorprendente, utilizzando al meglio
l'evidente forza delle mani e una mobilità
digitale di assoluta precisione, per una ricerca
audace di timbriche giocate all'occorrenza anche
su sequenze pacate e leggere, in un tessuto
dinamico sottile. Il suo Schubert, iniziato con
colori marcati, ha trovato poi nell'Andante
esternazioni leggere, con momenti
di
pianissimo quasi impercettibili. Sonate
particolarmente difficili le successive, sia
quella breve ma ricca di sostanza di Medtner -
un unico movimento con un Interludio centrale
dalle tinte scure- , sia quella corposa e
iper-virtuosistica di Rachmaninov, scritta nal
1906-07, che esprime sonorità "orchestrali" di
grande impatto espressivo. Malofeev ha
affrontato le indubbie difficolta tecniche con
facilità sorprendente, senza mai cedere in
termine di precisione ed espressione. Applausi
calorosi al termine del programma ufficiale , ma
fragorosi e ancor più convinti al termine di
ognuno dei sei bis concessi. Tra questi
ricordiamo il primo, di Medtner la n.6 dalle
Forgotten melodies op.38, quindi il noto
Precipitato dalla Sonata n.7 di
Prokof'ev, e la trascrizione di Pletnev di
Trepak dallo Schiaccianoci di
Čaikovskij.
Ovazioni al termine.
27 ottobre 2021 Cesare
Guzzardella
Fiorenzo Pascalucci
alle Serate
Musicali
Alle Serate Musicali
del Conservatorio milanese il pianista Fiorenzo
Pascalucci ha impaginato un programma vario e
incentrato soprattutto su brani del primo
decennio del '900. Debussy, Ravel, Skrjabin e
rarità del lituano
Čiurlionis,
noto forse
maggiormente
come pittore, appartengono a questo periodo di
trasformazione del linguaggio musicale. Sono
brani "visionari", dove i colori, le timbriche,
risultano elementi dominanti. Pascalucci ha
mostrato di essere in decisa sintonia con questo
momento storico, esprimendosi con una sensibilità
di tocco non indifferente, mediata da un
virtuosismo di elevata sintesi espressiva.
Les Estampes e L'isle Joyeuse di
Debussy, Jeux d'eau di Ravel, la
sorprendente Sonata n.5 op.53 di Skrjabin
e, tra i due Debussy, la deliziosa selezione tra
le Danze Popolari e i Preludi di
Čiurlionis, hanno rivelato l'ottima cifra
espressiva del pianista molisano, un interprete
raffinato, ricco di qualità.
L'ultimo brano in programma, la celebre
Rapsodia in blu di George Gershwin era
invece del 1924. Splendida ma in contrasto
stilistico
con
i brani precedenti. Pascalucci ha colto della
rapsodia soprattutto l'aspetto
classico-virtuosistico, tralasciando quello
legato al mondo del jazz. Valida ed apprezzata
dal pubblico, purtroppo non numeroso, la sua
interpretazione. Due i bis concessi: uno
splendido Händel con deliziose variazioni
- peccato i piccoli inciampi- e un bellissimo e
brevissimo Preludio di Skrjabin
interpretato in modo eccellente. Ottimo
concerto!
26 ottobre 2021 Cesare
Guzzardella
Monica Cattarossi e
Emanuela
Piemonti in Conservatorio per "Musica Maestri"
L'interessante concerto che
ha visto in tarda serata le mani, su una
tastiera di pianoforte, di Monica Cattarossi e
di Emanuela Piemonti, prevedeva brani di Kurtág-Bach,
Brahms- Schumann
e Beethoven. Brani importanti adattati a "quattro
mani", in un pianoforte "orchestrale" per le
estensioni che venivano ricoperte. Prima quattro
Corali d'organo di Bach trascritti
sapientemente dal musicista ungherese Gýorgy
Kurtág (1926) quali O Lamm Gottes, unschuldig,
Alle Menschen müssen sterben, Allein Gott in der
Höh'sei Her e Aus tiefer Not schrei ich
zu dir; quindi dell'amburghese, Dieci
variazioni op.23 sul "Geister thema", "tema
degli spiriti" di Robert Schumann. La parte
finale del concerto era riservata a Beethoven,
con una superba trascrizione della Grosse
Fuge in si bem.maggiore op.134, dalla
versione originale per Quartetto d'archi
(op.133).
Di
qualità l'interpretazione ascoltata in Sala
Puccini, alla presenza di un numeroso pubblico.
Il duo a quattro mani ha rivelato un'ottima
intesa nel sostenere le sottili timbriche dei
differenti brani di Bach, come la maggiore
tensione dinamica di Brahms e ancor più nella
coinvolgente op.134 di Beethoven,
composta dal grande genio tedesco in piena
sordità. Applausi sostenuti al termine e come
bis ancora un Kurtág-Bach dalla Cantata BWV
106 "Gottes Zeit ist die allerbeste Zeit"
(Il tempo di Dio è il tempo migliore). Ottima
serata.
25 ottobre 2021 Cesare
Guzzardella
Ultime recite per
Il turco in
Italia al Teatro alla Scala
Poco più di duecento anni fa
venne rappresentato al Teatro alla Scala "Il
turco in Italia". Era il 1814, l'insuccesso di
quest'opera rossiniana seguiva al grande
interesse suscitato
invece
dalla più rappresentata "Italiana in Algeri".
Negli anni '50 Gavazzeni, la Callas e Zeffirelli
cambiarono i giudizi del pubblico e della
critica riportando in scena un'opera che venne
poi, più recentemente, rivalutata con le
interpretazioni di Riccardo Chailly alla fine
degli anni '90. La ripresa scaligera di questi
giorni, per la direzione musicale di Diego
Fasolis, la regia di Roberto Andò, le scene di
Gianni Carluccio, i costumi di Nanà Cecchi e i
video di Luca Scarzella, riportano l'interesse
per questa divertente e riuscita messinscena.
Due atti, su libretto di Felice Romani, che
oltre alle voci di qualità, rivelano anche le
abilità attoriali dei protagonisti. È una valida
rappresentazione quella vista ieri sera, con
situazioni di rilievo nel secondo atto, quando
la componente corale ha un ruolo più esposto ed
entrano in scena tutti i protagonisti. Diego
Fasolis ha ben diretto la compagine orchestrale,
senza mai eccedere nelle volumetrie, e dando il
giusto spazio alle voci soliste, voci
complessivamente di ottimo livello.
Punto
di forza è il soprano Rosa Feola, timbricamente
perfetta nel ruolo di Donna Fiorilla, con
intonazione equilibrata nella sua estensione
vocale disinvolta ed incisica. Bravissima anche
attorialmente. ( Foto di Brescia e
Amisano - Archivio Scala) Di qualità
anche il Selim di Erwin Schrott, un basso
voluminoso e dinamicamente articolato. Di
spessore anche il Geronio di Giulio
Mastrototaro, con un fuori scena su un palco
molto apprezzato dal pubblico presente in teatro.
Ottimi la Zaida di Laura Verrecchia, il
Don Narciso di Antonino Siragusa,
applaudito fragorosamente nell'aria principale,
il Prosdocimo di Alessio Arduini e anche
Albazar di Manuel Amati. Prossima recita,
l'ultima, per lunedì 25 ottobre. Da non perdere.
23 ottobre 2021 Cesare
Guzzardella
Anna Tifu per le Quattro
Stagioni di Vivaldi-Richter
È finalmente tornata in
Conservatorio la violinista Anna Tifu. Da alcuni
anni è ospite immancabile della Società dei
Concerti e ieri, in una Sala Verdi con molto
pubblico, ha trovato ad attenderla un brano
particolarmente diffuso anche nella
rivisitazione operata dal compositore-musicista
britannico - nato in Germania- Max Richter
(1966). Ci
riferiamo alle Quattro Stagioni
vivaldiane denominate,
nella nuova veste,
"Vivaldi recomposed". È un'operazione
interessante e molto piacevole quella operata
dal musicista inglese nel 2012, un lavoro
eseguito in tutto il mondo e che ieri ha trovato
per l'esecuzione l'eccellente Orchestra d'Archi
di Padova e del Veneto diretta per l'occasione
da Biagio Angius, uno specialista nel settore
contemporaneo. L'ottima interpretazione ha messo
in rilievo le qualità di Anna Tifu, che in modo
determinato, con grinta e con splendide
timbriche, si è unita ai colori ricchi di
sfumature dell'orchestra d'archi. La
composizione è una sorta di rivisitazione in
chiave " minimalista" dei dodici movimenti che
compongono le celebri Stagioni. I temi, tutti
riconoscibili e spesso assimilabili
all'originale lavoro, subiscono cambiamenti in
termini armonici e ritmici che mettono in
risalto e rendono riconoscibile l'originale
linguaggio estetico di Richter. Spesso i
movimenti sono troncati in maniera brusca e
altre volte terminano in modo sfumato. Applausi
sostenuti al termine del brano e due i bis
concessi: il primo nella ripetizione
dell'energico Presto dall'Estate di
Vivaldi-Richter e quindi un ottimo Bach con la
celebre Sarabanda (Partita n.2) eseguita
con espressività dalla violinista sarda. Nella
parte introduttiva del concerto, l'Orchestra
aveva ben interpretato il noto Adagietto
dalla Quinta Sinfonia di G.Mahler e poi una
novità compositiva di Alvise Zambon (1988) dal
titolo "Un guardare senza confini" , un
lavoro di circa dieci minuti per Orchestra
d'archi, che sfrutta tutti i potenziali timbrici
di questi strumenti, per una restituzione sonora
di suggestiva presa
emotiva. Da un inizio che
utlizza i glissando degli archi, alla parte
finale dove gli elementi più ritmici e maggiori
contrasti tra le sezioni degli archi vengono
messi in rilievo. Zambon con questo brano ha
recentemente vinto il Concorso Nazionale di
Composizione "Francesco Agnello", conferito da
una giuria presieduta dal Maestro Salvatore
Sciarrino. Ottimo lavoro.
21 ottobre 2021 Cesare
Guzzardella
Un Salotto Musicale
al Teatro alla Scala
Un tardo pomeriggio musicale
di qualità quello di ieri al Ridotto dei Palchi
"A.Toscanini" del Teatro alla Scala.
L'associazione Musica con le Ali in
collaborazione col Museo Teatrale alla Scala
ha organizzato una serie di concerti
denominati "Il Salotto musicale" aventi
lo scopo di far conoscere giovani promettenti
interpreti che
ambiscono
ad una carriera professionale nel non facile
settore concertistico. La giovanissima
Carlotta Maestrini, di soli 15 anni, ha
interpretato brani di Beethoven, Sollima e
Mendelssohn insieme ad un violoncellista di fama
quale Giovanni Sollima. La giovane interprete,
vincitrice di numerosi concorsi pianistici e
attualmente frequentante i corsi di Andrea
Lucchesini presso la Scuola di Musica di
Fiesole, ha rivelato indubbie qualità nei tre
lavori proposti per violoncello e pianoforte.
Due classici quali la Sonata in sol minore
n.2 Op. 5 di L.v. Beethoven e la Sonata
in si bemolle maggiore n.1 Op.45 di F.
Mendelsshon, sono stati inframezzati da un brano
di Giovanni Sollima, Il bell'Antonio (tema
III), un lavoro intensamente lirico ed
espressivo nel tipico stile
mediterraneo
del musicista siciliano con influssi
arabeggianti e interessanti glissandi con quarti
di tono. Le indiscusse qualità del
violoncellista hanno trovato un appoggio
qualitativo ottimo nelle mani disinvolte di
Carlotta. La sala, colma di pubblico, ha
riservato al termine fragorosi applausi ai
protagonisti. Questi hanno concesso un bis
ripetendo lo splendido movimento centrale
Andante della sonata mendelsshoniana. Il
prossimo "Salotto musicale" è previsto per il 19
novembre con il Quartetto Werther in musiche di
Mahler e di Strauss.
www.musicaconleali.it
20 ottobre 2021 Cesare
Guzzardella
L'Orchestra Cupiditas
e Freddy Kempf alle Serate Musicali
L'Orchestra Cupiditas
diretta da Pietro Veneri è approdata in
Conservatorio per un concerto di estroversa resa
musicale, con due lavori noti quali il
Concerto in la minore per pianoforte ed
orchestra Op.16 di Edvard Grieg e la
Settima Sinfonia in la maggiore di
L.v.Beethoven. Un programma certamente arduo,
considerando la
presenza
di giovani orchestrali, tutti di età compresa
tra i quattordici e i ventotto anni. Sono
giovani motivati, provenienti dalle migliori
scuole musicali toscane. A rendere ancor più
attraente la serata è stata la partecipazione
del pianista londinese Freddy Kempf, un virtuoso
scoperto ed ospitato moltissime volte da
Serate Musicali. Il Concerto in la minore
di Grieg è certamente tra i più
virtuosistici di quel genere. Kempf ha saputo
dominare la tastiera esprimendosi con
grinta
e con un giusto equilibrio complessivo. L'ottima
direzione di Veneri nel sostenere l'appoggio
degli orchestrali, ha determinato
un'interpretazione di eccellente qualità, dove
l'elemento dominante, il pianoforte solista, ha
trovato un aiuto nelle timbriche di ogni sezione
dell'ampia orchestra, aiuto utile e appropriato.
La forza espressiva del quarantaquattrenne
pianista è visibile anche nella sua evidente
gestualità, non fine a se stessa, ma funzionale
all'ottenimento delle sue chiare e incisive
timbriche. Di spessore la resa coloristica nel
controllato contrasto delle dinamiche. Applausi
fragorosi del pubblico al termine e decisamente
bello il bis solistico con un Valzer di Chopin,
l'Op.69 n.1, reso delicatamente e con
profonda espressività. Il brano successivo, la
Settima di Beethoven, ha dato la
possibilità di osservare in modo
più
dettagliato l'operato dei giovani orchestrali.
Valida la resa interpretativa complessiva,
considerando le indubbie difficoltà da
affrontare per un'interpretazione di un lavoro
maturo e importante quale quello del genio
tedesco. Bravi! Fragorosi applausi del numeroso
pubblico intervenuto.
19 ottobre 2021 Cesare
Guzzardella
Milano Musica
al Teatro alla Scala
Il Festival di musica
contemporanea Milano Musica ha avuto ieri
una nuova serata al Teatro alla Scala per
l'esecuzione di quattro brani di altrettanti
compositori. Da Helmut Lachenmann (1935) con il
suo Staub per orchestra (1985-87), in
prima esecuzione in Italia, a Giacomo Manzoni
(1932) con il recente Schuld per tenore e
orchestra (2016-18 rev. 2021), una commissione
di Milano Musica in prima esecuzione assoluta.
Dopo il breve intervallo, prima abbiamo
ascoltato un lavoro di Fausto Romitelli
(1963-2004)
con
Dead City Radio. Audiodrome per orchestra
(2003) e per finire di Francesco Filidei (1973)
il suo Fiori di fiori per orchestra
(2012). Sul podio scaligero un esperto di
esecuzioni contemporanee quale Gergely Madaras
ha diretto l'Orchestra Sinfonica Nazionale della
Rai. Lavori estremamente diversi, ma certamente
legati da una ricerca timbrico-gestuale tipica
di questi ultimi decenni. Non tutto è stato
apprezzato con entusiasmo dal numeroso pubblico
del Teatro alla Scala. Il brano composto tra il
1985-87 da Lachenmann è certamente di non
immediata comprensione, essendo giocato sulla
disintegrazione del materiale sonoro e su una
non definizione unitaria. La quantità di
frammentazioni, con frequenti pause o effetti
timbrici, spesso non percepibili, si dipanano
per oltre venti minuti con un finale non-finale
di quello che si può definire un non-brano.
Pubblico piuttosto freddo al termine. Il secondo
lavoro, Schuld, del milanese Giacomo
Manzoni prevedeva la voce tenorile. In questa
prima esecuzione, la voce era quella di Leonardo
Cortellazzi. Un brano ricco di energia che parte
con un certo numero di battute iniziali per la
sola orchestra esprimenti sonorità ricche e
suggestive.
Con
l'ingresso della voce tenorile e del testo
cantato su un sonetto di Albrecht Haushoferil,
il clima energico dell'orchestra si riduce di
tensione per evidenziare maggiormente
l'eccellente timbrica di Cortellazzi nel suo
dialogo con le sezioni orchestrali che esprimono
timbriche più cameristiche. Un lavoro di grande
impatto emotivo che è piaciuto al pubblico
presente. Applausi sostenuti anche al
compositore salito sul palcoscenico. Di
pregnante espressività il terzo brano, Dead
City Radio. Audiodrome per orchestra, un
lavoro scritto un anno prima della scomparsa
dell'autore, avvenuta nel 2004. È un brano di
immediato effetto e di efficace presa emotiva,
dove effetti di glissando, suoni campionati e
strumenti elettronici, si mescolano alle
timbriche corpose e sostenute della grande
orchestra. I riferimenti alla musica tonale,
tipici di Romitelli, dopo l'inizio suggestivo
con contrasti in glaciali sonorità, ci portano
ad una logica di comprensione maggiormente
vicina alla tradizione. Molto interessante la
tensione emotiva ed espressiva che ruota intorno
ad una nota lunga riproposta in continuazione
nella parte centrale del lavoro, e lo sviluppo
successivo che ripropone effettistiche dal
carattere bucolico. Il lavoro rimane tra i più
sconvolgenti e moderni del compositore. Decisi
gli applausi del pubblico che ha molto
apprezzato l'opera dello scomparso ancor giovane
musicista. Per concludere, il brano Fiori di
fiori per orchestra di Francesco Filidei ci
ha portato al termine, in una serata nella quale
la gestualità ha avuto una componente
determinante. È un brano soprattutto da vedere e
non solo da ascoltare, quello di Filidei. Una
performance dove gli orchestrali,
soprattutt o
nelle sezioni percussive e degli
archi, operano per ottenere effetti
sonori-coreografici determinanti per la buona
resa esecutiva. Temi dal clima mediterraneo o
dal sapore antico subentrano in modo discreto e
lasciano poi ancora spazio alle gestualità
effettistiche degli orchestrali che concludono,
dopo un martellante, stridente e suggestivo
culmine sonoro, con pacatezza l'originale lavoro.
Successo deciso. Eccellente la direzione di
Madaras in tutti i brani e bravissimi tutti i
componenti dell'orchestra.
18 ottobre 2021 Cesare
Guzzardella
La nuova Stagione
de I Pomeriggi
Musicali con J.Feddeck e Jae Hong Park
La nuova stagione musicale de
I Pomerggi Musicali ha preso avvio
ufficialmente ieri sera, al Teatro Dal Verme,
con un interessante concerto sinfonico diretto
da James Feddeck. Tre brani in programma,
apparentemente molto diversi tra loro, ma
volutamente legati ad un filo conduttore nella
denominazione suggerita: "Racconti
senza
parole". F. Mendelssohn con la Suite
op.61 da Sogno di una notte di mezza
estate, Aaron Copland con la suite
Appalachian Spring e Maurice Ravel col suo
virtuosistico Concerto in Sol per pianoforte
ed orchestra, si sono succeduti nella sala
gremita di pubblico del Teatro Dal Verme. È da
pochissimi giorni che è finalmente possibile
occupare tutti i posti disponibili. Tre brani,
che come avviene nei racconti, vorrebbero
esplorare infinite situazioni, utilizzando, nel
linguaggio musicale, una coerente successione di
timbriche misurate e in relazioni tra loro.
Tutti e tre i compositori presentati sono stati
maestri di orchestrazione e ricercatori di
colori adeguati per esprimere la loro arte.
Adeguato e decisamente all'altezza di questi tre
eccellenti lavori, è stato il direttore di
riferimenti dell'orchestra "I Pomeriggi" James
Feddeck.
Questi
ha affrontato con sensibilità, minuziosità e
chiarezza espressiva i brani, forgiando
un'orchestra ottima in ogni sezione strumentale.
I numerosi interventi solistici- specie nel
brano di Copland- sono apparsi perfetti nei
chiari ed espressivi interventi. Dopo una valida
interpretazione della Suite di Mendelssohn,
siamo rimasti ancor più convinti del brano
dell'americano Copland. Appalachian Spring,
composto nel 1944, è un balletto dal quale
l'autore ha ricavato una suite costruita
splendidamente, di apparente facilità, che
abbisogna invece di un equilibrio perfetto nelle
parti orchestri, per una resa adeguata. L'ottima
compagine e la calibrata direzione di Feddeck,
hanno raggiunto l'obiettivo di qualità per
l'interpretazione di un lavoro che andrebbe
proposto maggiormente nelle sale da concerto.
L'ultimo brano, il Concerto in Sol, del
grande compositore e orchestratore
francese,
era probabilmente quello più atteso.
Fondamentale la presenza di un solista al
pianoforte quale il giovane Jae Hong Park,
talentuoso virtuoso, fresco di vincita del
Concorso Internazionale F. Busoni, uno tra i più
prestigiosi al mondo. Park ha sostituito
all'ultimo momento l'affermato Nicholas Angelich,
indisposto. La prestazione del pianista
ventiduenne sud-coreano, è stata eccellente,
come adeguata la sinergia orchestrale. Oltre ad
una disinvolta e sciolta abilità tecnica, che il
brano impone, specie nell'Allegramente e
nel Presto finale, Park ha fornito
profonda espressività in tutto il brano.
La
precisione raffinata e la chiarezza nei dettagli
dei frangenti più impervi, hanno trovato
un'uguale resa estetica nel più apparantemente
semplice Adagio assai, movimento centrale
il cui lungo tema viene introdotto dal solo
pianoforte per poi integrarsi con le tenui
timbriche orchestrali. Park è un solista di
indubbia eccellenza che ci auguriamo di
ascoltare presto in un recital solistico. Di
qualità i bis solistici concessi, entrambi di
Claude Debussy. Prima La fille aux cheveux de
lin e poi La cathédrale engloutie.
Interpretazioni con perfetto dosaggio
coloristico. Accorati applausi del pubblico a
tutti i protagonisti. Sabato alle ore 17.00 si
replica. Da ricordare.
15 ottobre 2021 Cesare Guzzardella
Ying Li e la NWD
Philharmonie diretta da J. Heyward
La pianista cinese Ying Li ha
vinto recentemente, meritatamente, il primo
Premio Internazionale A.Mormone, concorso
pianistico nato per commemorare la figura del
fondatore
e organizzatore della Fondazione La Società
dei Concerti. Ieri sera, in Sala Verdi,
abbiamo avuto l'occasione di riascoltare Ying Li
in un classicissimo Mozart col noto Concerto
per pianoforte e orchestra in la maggiore K488.
Tre movimenti dove la parte solistica risulta
fondamentale e trova il coronamento con una
componente orchestrale che deve sottolineare ed
esaltare gli interventi pianistici. Ying Li ha
rivelato una particolare sintonia con Mozart,
evidenziata da una perfezione tecnica di primo
livello che definisce con chiarezza e bellezza
di colore ogni frase. I momenti riflessivi del
celebre Adagio sono stati ben delineati
dalla pianista e la scorrevolezza dell'Allegro
assai finale ha esaltato la carica energica
della solista. Valida la componente
orchestrale
e la direzione del giovane Jonathon Heyward.
Eccellente il bis concesso con l'Allegro dal
Concerto Italiano di J.S.Bach e personale e
ricco d'introspezione l'Intermezzo op.118 n.2
di J.Brahms proposto come secondo bis. Dopo
il breve intervallo, rilevante la lettura
orchestrale della giovanile Sinfonia n.1 in
do maggiore di Beethoven, lavoro che trova
nell'Allegro molto e vivace conclusivo il
momento di maggiore esternazione e piacevolezza.
Grintosa la direzione di Heyward in Beethoven ed
ottimo ed energico il bis orchestrale con l'Ouverture
mozartiana da "Le Nozze di Fogaro".
14 ottobre 2021 Cesare
Guzzardella
Uno strepitoso Beethoven con
Jordi Savall e Le Concert des Nations inaugura
il "Quartetto"
Dopo due anni è tornato in
Conservatorio, per inaugurare la nuova Stagione
della Società del Quartetto, il direttore
spagnolo Jordi Savall con i suoi Le Concert
des Nations, una splendida orchestra che usa
strumenti originali, molto riconoscibili nelle
timbriche,
specie nelle sezioni dei fiati. Il 21 ottobre
del 2019, in epoca ante-pandemia, avevamo
ascoltato Savall interpretare in modo eccellente
le Sinfonie n.3 e n.5 di Beethoven. Ieri sera,
in una Sala Verdi finalmente colma di pubblico,
- da due giorni si possono occupare tutti i
posti- si è ripetuto l'incantesimo con la
Sesta Sinfonia in fa maggiore op.68 "Pastorale"
e la Settima Sinfonia in la maggiore
op.92. Come ho scritto la scorsa volta,
siamo stati abituati alla frequentazione di
Savall al Conservatorio milanese nel repertorio
di musica antica o del '700, anche per poter
ascoltare i colori strumentali d'epoca. Questi
strumenti, soprattutto nella sezione dei legni e
degli ottoni, sono stati utilizzati anche per
Beethoven. Ancora due capolavori, definiti da
momenti più cameristici, soprattutto nella Sesta,
dove emergono le sonorità pure e autentiche dei
legni, spesso suonati singolarmente o i tipici
suoni "antichi" degli ottoni; in altri frangenti,
una prorompente
estroversione,
come nei più voluminosi movimenti della Settima,
ci portano al Beethoven più irrequieto, come nel
geniale finale Allegro con brio, un
movimento mozzafiato. La bellezza delle
timbriche, la chiarezza dei singoli strumenti-
tutti riconoscibili e perfettamente inseriti-
gli equilibrati piani sonori, hanno ancora una
volta reso le due interpretazioni di un livello
di alta valenza estetica. Sono di nuovo emerse
le profondità di pensiero del genio di Bonn e le
qualità eccellenti della compagine orchestrale e
del suo direttore. Savall prima del bis - il
Minuetto dell'Ottava Sinfonia- ha voluto
ancora ricordare l'avv. Antonio Magnocavallo,
presidente per molti anni della prestigiosa
Società del Quartetto. Splendida serata!!
13 ottobre 2021 Cesare
Guzzardella
Piotr Anderszewski
alle Serate
Musicali
incontra
Bach
Ieri sera per le Serate
Musicali, nella Sala Verdi del Conservatorio
milanese - finalmente con un potenziale di posti
fruibili al 100%-, è tornato il pianista polacco
Piotr Anderszewski. Ha presentato un impaginato
incentrato su J.S.Bach dove 12
Preludi
e fughe dei 24 che compongono il Libro
Secondo del Clavicembalo ben temperato erano
in programma, da eseguire senza intervalli. I
due libri del Clavicembalo, per complessivi 48
preludi e relative fughe, rappresentano un
monumento di costruzione polifonica e armonica,
utilizzato anche nella didattica per
l'insegnamento degli strumenti a tastiera. È un'
opera di straordinaria rilevanza estetica. Come
già rilevato in precedenti concerti di
Anderszewski dedicati a Bach, abbiamo trovato
coinvolgente il livello interpretativo del
pianista polacco. L'originale scelta di un
ordine d'esecuzione che rispondesse ai propri
gusti estetici è certamente
adeguato.
La sequenza era questa:
N.1-12-17-8-11-22-7-16-9-18-23-24. (non ha
eseguito però il n.12). La concentrazione
assoluta, sottolineata anche dalla soffusa
illuminazione del palcoscenico di Sala Verdi,
con attenzione rivolta sulla tastiera dello
Steinway, era funzionale alla messa in risalto
delle splendide architetture musicali bachiane.
Le dinamiche, ricche di contrasti, in un
contesto esecutivo molto intimista, sono
risultate eccellenti sia nei Preludi che nelle
Fughe, esaltando sia i momenti più riflessivi
che quelli di maggiore estroversione. I piani
sonori e la sovrapposizione delle voci sono
risultati di chiarissima resa all'ascolto.
Certamente un Bach di altissimo livello quello
di Anderszewski! Breve il bis e molto valida
l'esecuzione, con il Preludio n.12 BWV 881
( quello mancante dal programma ufficiale...ma
non fa fatto la Fuga) con adeguata "personalizzazione"
- in termini di fioriture- dell'eccellente
interprete. Da ricordare a lungo.
12 ottobre 2021 Cesare
Guzzardella
Al Teatro alla Scala
un "Barbiere
di qualità" quello di Muscato-Chailly
Il ritorno alla tradizione è
ancora una volta presente nelle nuove
rappresentazioni liriche. La nuova produzione
del Teatro alla Scala del rossiniano Barbiere
di Siviglia, opera in due atti su libretto
di Cesare Sterbini, per la regia di Leo Muscato,
sostituisce egregiamente la solida e quasi
inespugnabile regia di Jean-Pierre Ponnelle -
anche scenografo e costumista- che dal lontano
1969 e sino al 2015 -oltre 45 anni - ha
imperversato al Teatro alla Scala. Ricordiamo
che la prima rappresentazione del 9 dicembre
1969 di Abbado-Ponnelle, nella revisione critica
di Alberto Zedda, venne offuscata
dall'attentato
di piazza Fontana avvenuto il 12 dicembre di
quel anno, tragica vicenda che fece saltare le
due rappresentazioni successive. La nuova regia
di Leo Muscato, nel linguaggio della tradizione
lirica, omaggia certamente Ponnelle e porta
sostanziali cambiamenti. Muscato - regista
teatrale da oltre vent'anni- si è avvalso delle
riuscite scene di Federica Parolini, inquadrate
in un' ampia cornice semi-circolare, dei costumi
nella tradizione di Silvia Aymonino, dei
ballerini classici della coreografa Nicole
Kehrberger presenti in molte scene, della
concezione delle luci non invasive di Alessandro
Verazzi, unitamente alla unificante,
italianissima e valente direzione di Riccardo
Chailly. Modalità tradizionali, ma certamente di
ottima fattura. La prima evidenza rilevata ieri
sera, nella quarta e terz'ultima
rappresentazione, è l'unità di lavoro di tutte
le componenti artistiche. Un legame tra le parti
piaciuto al numeroso pubblico intervenuto, ed
unificato dalle novità inserite in messinscena,
quali il teatro nel teatro con la
preparazione del "L'inutil precauzione",
i ballerini classici con Rosina in costume di
danza, i numerosi
interventi
strumentali sul palco, ad iniziare dalla
presenza di un'orchestra con Fiorello primo
violino. Idee originali, potenziate dalla
presenza di un ottimo cast vocale, ad iniziare
dall'ancora unificante Figaro: timbro
deciso, chiaro, corposo quello di Mattia
Olivieri, la voce più applaudita. Ottime tutte
le voci, con un Conte d'Almaviva-Lindoro
elegante come Conte e dolce come Lindoro, nel
timbro sottile e chiaro di Maxim Mironov.
( Foto di Brescia- Amisano- Archivio della
Scala)
Di spessore e
timbricamente rilevante per bellezza la
Rosina di Svetlina Stoyanova. Ottima la
presenza vocale di Bartolo ovvero Marco
Filippo Romano, sia nell'espressiva voce
che
nella chiara sillabazione; valido il limpido,
anche se non troppo buffo, Basilio di
Nicola Ulivieri. Bene anche Lavinia Bini in
Berta e Costantino Finucci in Fiorello.
Parte corale ben preparata da Alberto Malazzi.
Chailly, come già detto, in grande forma, ad
iniziare dall'Ouverture a sipario chiuso.
Più evidente di un clavicembalo il Fortepiano
di Paolo Spadaro Munitto e riconoscibile
l'originale e raro strumento metallico a
percussioni con funzione prevalentemente ritmica,
denominato Sistro, progettato da
Gioacchino Rossini per il suo “Barbiere di
Siviglia”, ma scomparso subito dopo la prima di
Roma nel 1816. Applausi intensi del pubblico e
numerose uscite in palcoscenico dei protagonisti.
Prossime recite - con utilizzo completo dei
posti in teatro- per l'11 e il 15 ottobre. Da
non perdere!
9 ottobre 2021 Cesare
Guzzardella
In Conservatorio
i vincitori
del Concorso Internazionale Musicale della
Società Umanitaria
Da molti anni è diventato un
Concorso Internazionale musicale importante
quello della Società Umanitaria, dove nel Salone
degli affreschi il 6 e il 7 ottobre si sono
svolte le
prove
finali. Il concerto dei vincitori,
ascoltato
ieri sera nel Conservatorio milanese, ha
evidenziato le qualità indubbie dei giovani
interpreti. I primi tre classificati sono stati
scelti da una giuria formata da sette musicisti
noti e qualificati. La serata, organizzata
benissimo e presentata in Sala Verdi da
Francesco Biraghi, ha trovato interventi del
Presidente della Società Umanitaria Alberto
Jannuzzelli, del Direttore generale Maria Elena
Polidoro e dal Direttore artistico e ideatore
del Concorso sin dal 1989, Maestro Massimiliano
Baggio. Presente in Sala anche Francesca Di Cera,
coordinatrice delle
attività.
Il primo premio è stato assegnato alla
violoncellista belga Stéphanie Huang,
il secondo al Trio Soleri
formato dal violinista Dainis Medjaniks, dal
violoncellista Moritz Weigert e dal pianista
Asen Tanchev; il terzo premio al fisarmonicista
Radu Ratoi. Alla presenza del
numeroso pubblico che occupava tutti i posti
disponibili della sala, abbiamo ascoltato prima
lo straordinario brano De Profundis della
compositrice novantenne Sofia Gubaidulina,
interpretato magistralmente dal fisarmonicista
moldavo/romeno Radu Ratoi. Questi ha mostrato
oltre alle eccellenti qualità musicali che il il
brano impone, anche sensibilità gestuali e
mimiche. Quindi il trio Soleri (bulgaro-lettone
e tedesco) ha eseguito in modo espressivo e con
grande equilibrio delle dinamiche, gli ultimi
tre movimenti del noto Trio n.2 op.87 di
Johannes Brahms. A conclusione della splendida
serata la vincitrice Stéphanie Huang,
accompagnata per l'occasione dall'ottimo
pianista
Gaspard Thomas , ha interpretato prima
Schumann con Adagio e Allegro op.70,
quindi Martin ů
con Variazioni su un tema di Rossini e
per finire il virtuosistico
Cassado
con Danse du diable vert. Di eccellente
qualità il tocco della
Huang nel rendere espressivo il suo violoncello.
L'ottima interprete ricordiamo provenire dal
Conservatorio di Parigi. Al termine fragorosi
applausi a tutti i protagonisti e organizzatori
di nuovo in palcoscenico. Da ricordare
9 ottobre 2021 Cesare
Guzzardella
A Varallo Sesia la 41esima
edizione di Musica a Villa Durio
Sono già alcuni i decenni di
attività concertistica, di ospiti prestigiosi e
di proposte sempre nuove e il 10 ottobre, nella
Città di Varallo,
si inaugurara la 41esima
edizione di Musica a Villa Durio,
stagione musicale diretta da Massimo Giuseppe
Bianchi che avrà luogo sino al 18 dicembre. Il
10 ottobre si ascolteranno musiche di R.Hahn ,
Debussy e Ravel interpretate dal trio formato da
Klara Flieder al violino, Christophe Pantillon
al violoncello e Massimo G. Bianchi al
pianoforte. Il concerto avverrà alle ore 17.30
al Palazzo dei Musei - Pinacoteca di Varallo e
Museo Calderini. Da non perdere
WWW.MUSICAVILLADURIO.COM
8 ottobre 2021 dalla
redazione
Beatrice Rana
per la nuova
Stagione della Società dei Concerti
L'impaginato scelto dalla
pianista pugliese Beatrice Rana per il
bellissimo concerto ascoltato ieri sera ad
inaugurazione della nuova Stagione concertistica
della Società dei Concerti, ha messo in
risalto i diversi approcci stilistici utilizzati
per esprimere brani di compositori molto
differenti. Nella prima parte erano presenti i
Quattro Scherzi di Fryderyk Chopin,
quindi, dopo il breve intervallo, il '900 di
Claude Debussy con il 1°libro degli
Etudes, e quello di Igor Stravinskij, con
gli estroversi Trois Muovements de Petrouchka.
Danse Russe, Chez Petruchka e Le
semaine grasse compongono la
versione
pianistica, in tre parti, tratta dal celebre
balletto per orchestra del russo. Ricordiamo che
Chopin è in pieno '800, gli Scherzi datano dal
1831 al 1842, mentre Debussy, se pur nato nel
1862, compose i suoi due libri di Studi nel
1915, tre anni prima della sua morte parigina.
Petrushka è invece del 1910-11 e la trascrizione
pianistica ascoltata è del 1921. Gli ultimi
lavori, gli Studi e Petrushka, rappresentano
modalità nuove di intendere la musica pianistica,
nelle quali la componente coloristica diventa
dominante. Beatrice Rana ha affrontato tutti e
tre i brani in programma con esemplare sicurezza,
esprimendo in modo personale l'essenza musicale
dei grandi compositori.
L'impatto
stilistico complessivo, ben determinato, ha
rivelato piena maturità. La rilevante sintesi
discorsiva emersa negli Scherzi di Chopin, con
taglio netto e preciso nei frangenti più
movimentati era in alternanza ai momenti di
maggior riflessività delle parti centrali.
Abbiamo ascoltato certamente qualcosa di nuovo
in Beatrice nel modo d'intendere Chopin e
certamente di rilevante qualità estetica. Ottimi
anche i sei Studi che compongono il Primo Libro
di Debussy, un Debussy molto moderno e
precursore di nuovi linguaggi. I Tre Movimenti
stravinskijani, eseguiti a conclusione del
programna ufficiale, hanno ancor più esaltato le
enormi qualità tecnico-espressive della Rana. I
tempi rapidi, ma chiari e ricchi di dettagli, di
questa eccellente interpretazione, hanno ben
evidenziato l'idea complessiva del lavoro, idea
restituita in alta qualità al numeroso pubblico
presente. Sala Verdi del Conservatorio era al
completo nei limiti imposti dalla pandemia.
Eccellente il bis concesso con un riflessivo ed
espressivo Notturno n.13 Op.48 n.1 di
Chopin. Fragorosi applausi e numerose uscite
della protagonista. Da ricordare a lungo
7 ottobre 2021 Cesare Guzzardella
Myung-Whun Chung e
Alessandro Taverna al Teatro alla Scala a
sastegno di LILT
Ieri sera grande successo al
Teatro all Scala per il concerto sinfonico
benefico a sostegno di LILT-Milano Monza
Brianza APS con l’Orchestra Filarmonica
della Scala,
il
direttore Myung-Whun Chung e il pianoforte
solista Alessandro Taverna. I fondi raccolti
sosterranno l’apertura del nuovo Spazio
Parentesi a Milano per i malati oncologici e
i loro familiari. Il programma, di rilievo,
prevedeva due noti brani: il Concerto per
pianoforte n. 5, in mi bemolle maggiore “Imperatore”
Op. 73 di L.v Beethoven e la Sinfonia n.9
in mi minore “Dal Nuovo Mondo” Op. 95 di
Antonìn Dvo řák.
Nel primo brano il pianista veneziano
Alessandro
Taverna ha espresso ottimamente la parte
solistica, coadiuvato dalle ottime timbriche
della Filarmonica della Scala e dalla valida
direzione di Myung-Whun Chung . Particolarmente
di rilievo l' Adagio un poco mosso
centrale, sia per i tenui colori degli archi
esaltati dai bravissimi orchestrali, che per la
delicata e profonda parte pianistica restituita
con sensibilità ed intensa espressione da
Taverna. Di grande effetto il bis pianistico
concesso dal pianista: una formidabile Fuga
dalle Telemann Variations op.134 di
Max Reger, interpretata con disinvoltura e
nitore espressivo. Di qualità, dopo il breve
intervallo, la Sinfonia "Dal
Nuovo
Mondo", brano nei classici quattro movimenti
che specie nell'Allegro molto iniziale e
nell'Allegro con fuoco finale trova
situazioni di coinvolgente notorietà che ha
decisamente avvinto il pubblico presente in
teatro. Applausi fragorosi e numerose uscite in
palcoscenico per l'ottimo direttore sud-coreano.
Chi volesse sostenere le attività della LILT può
farlo attraverso bonifico bancario, versamenti
postali e consultando le pagine di FB e il sito
internet
http://www.legatumori.mi.it
5 ottobre 2021 Cesare
Guzzardella
POSSIMAMENTE BEATRICE RANA
INAUGURA LA SERIE SMERALDO DELLA SOCIETA' DEI
CONCERTI
Oggi è una delle pianiste più
acclamate a livello internazionale; nel 2011,
prima dellaconsacrazione al Van Cliburn, fu il
fondatore della Società dei Concerti Antonio
Mormone a capirne il talento e a farla
debuttare
in Sala Verdi con il Concerto di Tchaikowskj. A
9 anni già suonava con l’orchestra; a 18 già
vinceva il concorso di Montreal; ma fu nel 2013,
nella più selettiva competizione pianistica al
mondo, la texana Van Cliburn, che Beatrice Rana
fece prepotentemente irruzione sulla ribalta
maggiore. Prima però, Antonio Mormone ne aveva
già compreso il talento e l’aveva invitata alla
Società dei Concerti: incantò il pubblico come
solista nel primo concerto di Tchaikowskj. Da
allora si è instaurato un rapporto profondo che
trascende il mero fatto artistico; Rana ha
confessato più volte il piacere nel tornare in
Conservatorio per la Società che l’aveva
lanciata, e questa volta lo fa con un programma
di trascinante intensità: i 4 Scherzi di Chopin,
manifesto della poetica musicale romantica,
appena incisi nel suo nuovo premiato albumper
Warner; i Tre movimenti da Petrouchka, brano di
funambolico virtuosismo dove Stravinskij
conferma la sua visionarietà rivoluzionaria; nel
mezzo un’altra pietra miliare di inizio 900, il
primo libro degli Etudes di Debussy, indagine
immaginifica sulle nuove possibilità espressive,
timbriche e coloristiche del pianoforte.(
foto dell'ufficio stampa della
Società
dei Concerti)
LADRI DI NOTE in Sala
Verdi il 6 ottobre al Conservatorio di Milano -
Sala Verdi
Ladri di Note
anche agli Incontri Musicali
Sarà il pubblico a scegliere
il bis, chiedendolo agli interpreti. E lo ruberà,
portandosi a casa la registrazione delle note
appena ascoltate. Una originale, coinvolgente
novità segna il cartellone 2021- 22
degli storici “Incontri Musicali” della Società
dei Concerti, quest’anno ospitati alla Palazzina
Liberty. Sarà il pubblico a chiedere il bis, ma
non semplicemente insistendo con gli applausi e
ascoltando i classici encore che gli artisti
sono soliti regalare dopo il programma ufficiale.
Come accadeva nei grandi concerti del passato,
quando Mozart doveva ripetere l’Adagio del suo
Concerto in do minore o Beethoven l’Allegretto
della sua settima Sinfonia, gli spettatori
saranno chiamati a scegliere il preferito tra i
brani o i movimenti dei brani appena ascoltati,
e i musicisti lo riproporranno come bis.
Un’esecuzione live unica che la Società dei
Concerti registrerà e invierà per mail ai
partecipanti: l’ascolto live, per sua natura
estemporaneo e irripetibile, verrà così rubato e
immortalato, così che si potrà riassaporare ad
libitum l’emozione vissuta quella certa serata
alla Palazzina Liberty.Ad inaugurare gli
Incontri Musicali saranno Ludovica Rana
(violoncello) e Maria Grazia Bellocchio
(pianoforte). Gli Incontri Musicali furono
creati da Antonio Mormone proprio per offrire ai
giovani talenti un palcoscenico prestigioso per
presentarsi sulla ribalta milanese. Fu il primo
a intuire il talento della sorella di Ludovica,
Beatrice, oggi considerata una delle più
interessanti pianiste a livello internazionale.
Ludovica aveva già inaugurato gli Incontri
Musicali, accompagnata da Beatrice. Questa volta
al suo fianco c’è Maria Grazia Bellocchio,
pianista di grande esperienza, collaboratrice di
Accardo, Filippini, Divertimento Ensemble.Rana e
Bellocchio affrontano due capolavori della
letteratura per violoncello e pianoforte: la
quinta e ultima delle Sonate di Beethoven, dove
il genio di Bonn, inoltrandosi in quello che la
critica ha indicato come “terzo stile”, dal suo
nuovo romanticismo guarda oltre il classicismo
viennese e spinge lo sguardo fino al barocco,
riprendendone la scienza polifonica, che qui
pervade tutta la Sonata e modula il dialogo tra
i due strumenti, fino a sfociare nel vertiginoso
fugato a quattro parti del finale. Ed è sempre
fonte di sorprese ascoltare i rari cimenti di
Chopin construmenti diversi dal pianoforte: che
qui è presente, ma per fondere il proprio timbro
con quello del violoncello, in una ricerca non
solo melodica ma di colori ed effetti di
struggente suggestione. ( foto
dell'ufficio stampa della
Società dei Concerti)
1 ottobre dalla redazione
SETTEMBRE 2021
L'Ensemble Barocca
"La Magnifica Comunità"
alle Serate
Musicali
L'originale percorso musicale
scelto dall'Ensemble strumentale barocco La
Magnifica Comunità, ha trovato un motivato
titolo, anche di recente attualità, nella
denominazione
dello
spettacolo "Sulla via della seta". Il
gruppo cameristico di strumenti antichi, diretto
da Enrico Casazza, anche violino solista, ha
proposto brani di Gallo, Händel, VIvaldi e Hasse,
concerti interi o brani lirici estratti da opere
liriche settecentesche che trovano riferimenti
con le culture dei popoli orientali di
provenienza cinese, turc a, araba, persiana,
indiana. Un percorso raccontato in modo chiaro
dall'attore-lettore Umberto Terruso e recitato e
cantato in modo pregnante dal soprano romano
Raffaella Milanesi. Le arie d'opera, estratte
dal Tamerlano o da Alessandro di
G.F.Händel, dalle opere
Bajazet
e Teutone di Antonio Vivaldi, dall'Artaserse
di J.A Hasse erano introdotte da Sonate, come la
rara “La Follia” per 2 violini, viola,
violoncello e continuo di D.Gallo,
eseguita ad introduzione o come il Concerto
per violino, archi e basso continuo in re
maggiore “Grosso Mogul” di A. Vivaldi
eseguito ottimamente dall'Ensemble e sostenuto
con virtuosismo dal violino solista Enrico
Casazza. Non dimentichiamo poi le Ouverture di
alcune opere e
gli
originali e orientali interventi del bravo
percussionista che legava i momenti di lettura
di
Terruso agli immediati interventi strumentali.
Uno spettacolo decisamente interessante e
coinvolgente quello ascoltato ieri sera alle "Serate
Musicali" del Conservatorio milanese, alla
presenza di un pubblico, al termine, decisamente
entusiasta. Bravissimi tutti quanti. Un plauso
alla chiara e decisa voce da soprano e
mezzo-soprano di Raffaella Milanesi e alle
ottime parti solistiche del violinista-direttore
Enrico Casazza. Da ricordare.
28 settembre 2021 Cesare
Guzzardella
Andrea Lucchesini in
Conservatorio per la Società del Quartetto
Si è concluso ieri sera il
ciclo pianistico "Preludi, la serie A del
pianoforte", organizzato dalla Società
del Quartetto, con un pianista autorevole
quale Andrea
Lucchesini.
Classe 1965, il pianista toscano iniziò la sua
carriera concertistica con la vittoria del
Concorso Dino Ciani
nel 1983. Il programma, interamente dedicato a
Schubert, prevedeva i Tre Klavierstüke D 946
e la Sonata in la maggiore D 959.
Notevole la qualità espressa da Lucchesini in
entrambi i lavori. Un timbro chiaro e ricercato
si è esternato nella precisa e lucida idea
complessiva di questi capolavori. L'inesauribile
ricchezza moledica del genio vennese è stata
sostenuta da un'impalcatura pianistica solida,
che ha delineato in modo sicuro tutte le
componenti musicali delle
articolate
composizioni. In molti frangenti Lucchesini ha
raggiunto altissimi vertici interpretativi ,
come nel superlativo Andantino della
Sonata, dove le poche note che esprimono la
semplice linea melodica, hanno visto una carica
espressiva pregnante e di purezza assoluta.
Lucchesini, nel rapportarsi con la musica del
grande compositore ha rivelato importanti
affinità che nella restituzione in sala da
concerto, trova pochissimi rivali. Applausi
calorosi in Sala Verdi e un inaspettato bis con
una Variazione su un tema di Diabelli
dello stesso Schubert. Da ricordare a lungo.
24 settembre 2021 Cesare
Guzzardella
Dmytro Choni e il duo
Krylov-Lifits al Dal Verme
per MiTo
Doppio concerto ieri al Dal
Verme. Per il Festival MiTo,
nel pomeriggio la novità era rappresentata dal
giovane pianista di Kiev Dmytro Choni. Classe
1993, ha vinto nel 2018 il primo premio al
Santander International Piano Competition ed ha
avuto ottimi piazzamenti nei più importanti
Concorsi. Ha presentato un programma incentrato
su
brani
del primo Novecento di Debussy, Skrjabin e
Rachmaninov e uno Studio (1985) di Ligeti. Il
lavoro più preponderante era la nota Sonata
n.2 op.36 del secondo russo, brano che ha
concluso il programma ufficiale. Abbiamo molto
apprezzato il pianismo di Choni, espresso con
modalità interpretative che trovano nella grande
scuola russa evidente riferimento. La leggerezza
di tocco, non disgiunta da efficaci timbriche
nei brani di Debussy, come in Et la lune
descend sur le temple qui fût, (seconda
serie di Images) o nel successivo L' isle
Joyeuse, ha trovato in contrasto le
disinvolte modalità
espressive
delle virtuosistiche Sonate n.4 op.30 di
Skrjabin e soprattutto in quella citata op.36
versione 1931 di Rachmaninov. La robustezza e la
plasticità del suo tocco, netto e preciso in
ogni dettaglio, hanno portato ad espressioni di
alto livello. Validi anche lo Studio n.5
di Ligeti e il più dolce e nitido Margaritki
dall'op.38 sempre di Rachmaninov. Di qualità
i bis proposti con uno splendido arrangiamento
di Valzer viennesi e una energica scultorea
Rapsodia op.79 n.2 di Brahms. Un pianista
che certamente va riascoltato, speriamo presto.
Nel concerto serale un fuoriclasse come il
violinista Sergej
Krilov
ha trovato l'appoggio di un ottimo pianista come
Michail Lifits per un impaginato diversificato e
di eccellente qualità. In programna brani di
Prokof'ev, Stravinskij, De Falla e Kreisler.
Eccellente
l'integrazione dei due strumentisti che con
raffinata classe hanno espresso i numerosi
numeri che compongono i Cinque canti senza
parole op.35bis del primo russo, per
procedere col Divertissement dal balletto
stravinskiano Le baiser de la Fee. Sempre
su toni pacati e di colori raffinati la Suite
popolare spagnola di Manuel De Falla e a
conclusione i classici, sia eleganti che
virtuosistici, brani di Fritz Kleisler: La
gitana, Caprice viennois e il profondo
Preludio e Allegro. Applausi fragorosi al
termine del programma ufficiale con un bis
ancora di Kleisler. Dua concerti di ottima
qualità.
23 settembre 2021 Cesare
Guzzardella
Luca Buratto al Teatro
Delfino per il
Festival MiTo
Il pianista milanese Luca
Buratto ieri sera ha impaginato un programma di
straordinario interesse, esegundo
brani di compositori quali Chopin, Adès (1971),
Couperin e
Ravel.
Una scelta ben strutturata dove in una prima
parte l'alternanza di alcune Mazurche del grande
polacco - op.7.n1, op. 24 n.2, Tre Mazurche
op.50- alle Tre
Mazurche op.27 di Thomas Adès ha evidenziato,
oltre ai celebri brani chopiniani, le qualità
espressive del compositore inglese che partendo
dai colori e dagli accenti di Chopin, riscrive,
con un personale e riconoscibile linguaggio, i
suoi brevi ed espressivi brani. Dopo i primi
meritati applausi del pubblico presente in sala,
Buratto ha proposto Les folies françoises ou
Les dominos di François Couperin, dodici
barocche variazioni sul tema della follia
spagnola, cui ha fatto seguito in modo continuo,
la celebre Suite di Maurice Ravel Le tombeau
de Couperin (1914-17), brano che con una
scrittura dal sapore "antico" riscopre il
collega francese nato ben due secoli prima.
Buratto ha ancora una volta dimostrato le sue
eccellenti qualità d'interprete. La perfezione
nei dettagli, la chiara visione complessiva
dell'insieme sonoro, in un contesto di equilibri
decisamente strutturati e misurati, ha reso alta
la qualità delle sue interpretazione. Oltre
all'ottimo Chopin delle Mazurche, eseguite quasi
di getto, decisamente valida la restituzione
delle mazurche contemporanee, datate 2009, di
Adès. Il convincente Couperin ha poi trovato una
straordinaria continuazione nella suite di danze
di Ravel, eseguita con fluidità e chiarezza
espressiva nei pur rapidi andamenti, ben sei dal
Prelúde iniziale alla Toccata
finale. Un eccellente concerto quello ascoltato,
con due rarità nei bis concessi: prima Schumann
e poi ancora Adès. Da ricordare a lungo!
22 settembre 2021
Cesare
Guzzardella
Prossimamente a
Vercelli due giornate di musica e cultura nel
nome di Giovan Battista Viotti
Due giornate di musica e
cultura nel nome di Giovan Battista Viotti,
il
più importante compositore
piemontese
di sempre. 150 mini concerti "Face to Face" per
un solo spettatore nel pomeriggio di sabato, in
5 giardini storici di Vercelli in e la serata al
Teatro Civico, a partire dalle 19, un duo
pianistico con un programma brillante dedicato
alle arie d'opera di Verdi, uno spettacolo
teatral-musicale "Viotti o Amleto, questo è il
problema!" di e con Giovanni
Mongiano
con Guido Rimonda, violino e Cristina Canziani,
pianoforte e, per finire, l'estro travolgente di
Danilo Rea in "Piano Solo". La manifestazione
Viotti Day and Night si svolgerà nello stesso
weekend di Raccolti, Festival delle nuove
narrazione con cui è stata realizzata una
collaborazione con prezzi agevolati sui
biglietti degli spettacoli al Teatro Civico ( www.raccoltifestival.it).
(Foto dall'uff. Stampa di Vercelli)
22 settembre 2021 dalla
tredazione
Le Goldberg di Bach
eseguite dal duo Tal &
Groethuysen
È un duo pianistico affermato
e di qualità quello ascoltato ieri sera al Dal
Verme per il Festival MiTo È formato
dalla israeliana Yaara Tal e dal tedesco Andreas
Groethuysen.
La
trascrizione per due pianoforti delle
Variazioni Goldberg BWV 988 di Bach operata
da Joseph Gabriel Rheinberger, nella revisione
di Max Reger, ha certamente dato una differente
prospettiva d'ascolto alla felice struttura
architettonica del Sommo genio tedesco. Partendo
dalla celebre Aria iniziale, poi
riproposta alla fine, Bach ha creato una serie
interminabile di variazioni , ben trenta, nelle
quali gli elementi melodici, armonici e ritmici
si susseguono con restituzioni perfette nella
costruzione e godibilissimi all'ascolto.
Il
"raddoppio" della tastiera operato da
Rheinberger e migliorato, soprattutto nelle
dinamiche e nelle articolazioni da Reger, ha
potenziato la composizione bachiana, con effetti
di maggiore coralità dovuti anche a
sovrapposizioni melodico-armoniche di originale
interesse. Il duo ha rivelato un perfetto
equilibrio timbrico, alternando molto bene le
parti in un tutt'uno pianistico di ottima resa
espressiva. La leggerezza di tocco sia di Tal
che di Groethuysen, e l'eccellente capacità di
alternarsi o sovrapporsi all'occorrenza nel
delineare le frasi musicali, ha portato ad
un'interpretazione di indubbio valore. Successo
di pubblico, con numerose uscite in palcoscenico
degli interpreti e un breve bis, ancora di Bach.
Da ricordare.
21 settembre 2921 Cesare
Guzzardella
Corde Spagnole per la
chitarra di Francesco
Romano al MiTo
Le corde spagnole della
chitarra di Francesco Romano hanno riempito in
modo tenue, ma deciso, l'ampio spazio del
milanese Teatro Delfino. La chitarra, di piccole
dimensioni,
ma di chiara sonorità, era quella costruita dal
liutaio Luis Panormo nel 1835 e la musica dei
chitarristi-compositori Fernando Sor, Johann
Kaspar Mertz e Dionisio Aguado, ha trovato in
Fabio Vacchi la presenza di un compositore
contemporaneo, non chitarrista ma certamente
conoscitore dello strumento . Suo il suo breve
ed intenso brano Plynn. Le arie di Mozart
dal Flauto magico, arrangiate da Sor, hanno
introdotto il concerto. Brani di Schubert tra
cui la celebre Serenata, rivisti
da
Mertz, hanno occupato la parte centrale della
serata. Dopo la Fantasia n.7 di Sor e
Fandango di Aguado, una nuova accordatura
della storica chitarra, ha coinvolto
Francesco
Romano nel lavoro di Vacchi. Raramente si
ascolta lo strumento a sei corde in sala da
concerto. È un'esperienza quasi mistica poter
penetrare le sonorità sottili di uno strumento
assolutamente completo, sia melodicamente che
armonicamente. Basti citare ad esempio la
celebre Serenata del grande viennese che, nella
precisa trascrizione chitarristica di Mertz, ci
fa cogliere dettagli simili alla più celebre
trascrizione pianistica di Liszt. Bravissimo
Francesco Romano in tutti i lavori, eseguiti con
nitore espressivo e fluidità evidente.
Sorprendenti i colori sottili e nascosti,
ritrovati nelle parti più alte delle sei corde,
nell'originale brano di Fabio Vacchi. È una
composizione non recente, che data 1986, e che
ha concluso ottimamente l'avvincente serata. Da
ricordare.
18 settembre 2021
Cesare Guzzardella
Gabriele Carcano e
Pietro De Maria per la
Società del Quartetto
Settimana interessante in
Conservatorio per i concerti organizzati dalla
Società del Quartetto per la serie "Preludi".
Martedì, il pianista torinese Gabriele Carcano
ha
eseguito
tutto Beethoven, oggi il veneziano Pietro De
Maria ha scelto un impaginato interamente
dedicato a Chopin. Carcano, classe 1985, sta
eseguendo da tempo le sonate beethoveniane
ottenendo unanime consenso. L'altra sera ha
affrontato tre opere importanti quali l'Op.14
n.2, l'Op.13 "Patetica" e l'Op.57
" Appassionata". Tre lavori differenti,
contrastanti, che rivelano il carattere
complesso del grande genio di Bonn. Carcano ha
rivelato le sue ottime qualità interpretative
attraverso i luminosi colori della Sonata in
sol maggiore, la prima in programma. Delle
altre due, certamente più celebri,
ci
è piaciuto soprattutto l'Allegro assai
dell'Appassionata. Un movimento
affrontato con sicura disinvoltura ed eccellente
resa espressiva. Valido il bis di Schubert (
Momento musicale n.3). Pietro De Maria, classe
1967, da anni è specializzato nell'opera del
grande polacco. Il suo impaginato, comprendeva
nove
brani
estrapolati tra Mazurche, Ballate, Notturni,
Scherzi e Walzer. Questi hanno rivelato la
geniale varietà compositiva di Chopin, ma anche
la valenza interpretativa del pianista veneziano
che ha rivelato di essere in sintonia con i
colori del polacco. Ottima la resa espressiva,
frutto di coerenza e chiarezza d'intenti. Tutti
ben eseguiti i brani, con una mia preferenza per
le tre Mazurche - op.67 n.4, op 24 n.2 e
op.63 n.3-, per lo Scherzo n.2 op.31,
il Valzer op.42 e per la Ballata op.52
n.4. Di qualità la Sonata scarlattiana
suonata come bis. Bravissimi! Questa sera alle
20.30 replica per De Maria. Il 23 settembre, in
Sala Verdi, ultimo concerto della serie Preludi
con Andrea Lucchesini che esguirà tutto
Schubert. Da non perdere!
16 settembre 2021 Cesare
Guzzardella
Alexandra
Conunova ed Enrico Pace al Festival MiTo
I concerti del Festival
MiTo, ieri sera, al Teatro Dal Verme, hanno
aggiunto eccellenti qualità interpretative
grazie ad un duo superlativo: quello formato
dalla giovane
violinista
moldava Alexandra Conunova e dal pianista
riminese Enrico Pace. L'impaginato prevedeva due
corpose sonate, la primi, meno nota ma
importante, era la Sonata n.2 in fa minore
op.6 di George Enescu ( 1881-1955); la
seconda la celebre Sonata op.47 "Kreuzer"
di L.v. Beethoven. La Conunova, violinista di
raffinata capacità, ha vinto importanti concorsi
internazionali, primo fra tutti il "Joachim" di
Hannover nel 2012. Enrico Pace, con la vittoria
del Concorso Franz Liszt del 1989, si è imposto
internazionalmente sia come solista che in duo
con violinisti del calibro di Kavakos e di
Zimmermann. Siamo rimasti stupiti dalla
splendida intesa dei protagonisti,
sia
nella significativa sonata di Enescu, parecchio
influenzata dal folclore rumeno e moldavo, sia
dalla celebre "Kreutzer". La perfetta intesa dei
due interpreti ha aspresso incisività timbrica e
attenzione ad ogni dettaglio. Determinante il
ruolo primario di Pace nel costruire un'
architettura musicale che trova un perfetto
equilibrio nelle parti, sempre espresse con
disinvoltura e con forza musicale dirompente. La
componente maggiormente melodica della
violinista si è inserita con rigore e perfezione
nel contesto armonico di Pace e il risultato
complessivo ha portato ad elevate restituzioni
in entrambi i lavori. Applausi convinti al
termine del programma. Di estrema qualità il bis
concesso con il primo dei Romantic Pieces
op.75 di Antonin Dvo řàk.
Bravissimi!
16 settembre 2021 Cesare
Guzzardella
Ivo Pogorelich
per il Festifal
MiTo al Dal Verme
Probabilmente era la serata
più attesa quella di ieri sera al Teatro Dal
Verme. Per il Festival MiTo di Milano e
Torino la presenza del pianista croato Ivo
Pogorelich è certamente un motivo di grande
richiamo per tutti gli appassionati di musica
pianistica.
Abbiamo
notato in sala, tra il pubblico anche numerosi
ottimi pianisti. L'impaginato classico, con
brani di Schubert e di Chopin, ci ha molto
incuriosito, sapendo che il Maestro, in questi
ultimi anni, dopo i trionfi degli anni '80, ha
modificato il suo approccio stilistico per una
via riflessiva di più
ampia dilatazione temporale.
Ascoltare Pogorelich oggi significa cercare di
entrare in un mondo misterioso e suggestivo dove
le note, i timbri e le dinamiche hanno bisogno
di trovare un ascoltatore attento, paziente e
disponibile. Due grandi lavori nel programma
ufficiale: i sei Momenti Musicali D780 op.94
di Franz Schubert e la Sonata n.3 in si
minore Op.58 di Frederick Chopin. I celebri
Momenti
del viennese, nelle robuste mani del Maestro,
non sono stati certamente brevi. Dal Moderato
iniziale in poi abbiamo trovato i tempi di
Pogoreich certo riflessivi, ma chiari e di un
equilibrio perfetto. Quello che piace di più nel
suo personalissimo liguaggio è la formidabile
coerenza nel sistemare, con giuste misure, ogni
parte dei singoli brani per una restituzione che
ha nell'"attesa" una costante centrale. Una
visione complessiva chiara, lineare, con anche
momenti di andamenti sostenuti come quelli del
quarto brano. Dopo l'eccellente Schubert, il
passaggio al suo Chopin ci è sembrato non
facile. Pogorelich nell'eseguire il polacco,
esce
dai canoni interpretativi entrati nella storia e
si propone con un nuovo linguaggio, dove al
primo ascolto sembra di perdere il senso
dell'unità complessiva,
passando da situazioni molto dilatate a
repentini cambiamenti. Certo, spesso si
riconoscono frangenti chopiniani profondi e
illuminati che ci son piaciuti assai. Ancora
Chopin nel bis concesso al termine del programma
ufficiale, con una straordinaria Fantasia
op.49 che ha letteralmente appassionato il
numeroso pubblico presente in teatro,
limitatamente alle poltrone imposte dal covid.
Fragorosi gli applausi. Certamente da ricordare
15 settembre 2021 Cesare
Guzzardella
Uto Ughi e Bruno
Canino alle
Serate Musicali
È una coppia d'interpreti
oramai entrata nella storia quella formata dal
violinista Uto Ughi e dal pianista Bruno Canino.
Suonano insieme da decenni e spesso arrivano in
Conservatorio,
nella Sala Verdi che ben conoscono, per
omaggiarci di un repertorio classico, collaudato,
ma sempre piacevole da riascoltare. La
Ciaccona in sol minore per violino e pianoforte
di Tomaso Antonio Vitali, la Sonata n.3 in re
min. op.108 di Johannes Brahms, la Suite
popolare spagnola di Manuel De Falla e
Introduzione e Rondò Capriccioso op.28 di
Camille Saint-Saëns componevano il programma
ufficiale. Brani di repertorio che convincono
sempre e che trovano una estemporanea
interpretazione nelle mani dei due celebri
interpreti. Canino, il più anziano, napoletano,
classe 1935, ha rivelato ancora una freschezza
di tocco stupefacente e una capacità di mettersi
in rapporto col solista in modo pressochè
perfetto. Ughi, Busto Arsizio 1944, conserva
una
classe ancora ottima, con eccellente vibrato e
modi interpretativi tipicamente italiani per
luminosità delle timbriche e per melodicità di
fraseggio. Tra i brani eseguiti ci hanno
convinto ancor più la Suite popolare spagnola di
De Falla e il Rondò Capriccioso del francese.
Naturalmente anche i due bis concessi, con la
trascrizione per violino e pianoforte della
celebre Melodia di Gluck-Sgambati e il
classico finale, presente in moltissimi concerti
di Ughi: la Ridda dei folletti di Antonio
Bazzini. Successo di pubblico e numerose uscite
in palcoscenico dei protagonisti. Da ricordare.
14 settembre 2021 Cesare
Guzzardella
Alla Scala
l'inaugurazione
della Stagione dell'Orchestra Sinfonica di
Milano "G. Verdi "
Come ogni anno
l'inaugurazione della nuova stagione
dell'Orchestra Sinfonica di Milano "G. Verdi"
avviene al Teatro alla Scala . Abbiamo ascoltato
un concerto importante ieri sera, diretto da
Claus Peter Flor. Prevedeva brani di Liszt e
Brahms: prima il Concerto per Pianoforte e
Orchestra n.1 in mi bem. maggiore del grande
virtuoso
ungherese e poi la Sinfonia n.4 in mi minore
Op.98 dell'amburghese. La pianista
napoletana Mariangela Vacatello, spesso presente
nel teatro milanese, ha introdotto la serata con
il brano virtuosistico composto da Liszt nel
1849 e modificato negli anni seguenti sino alla
prima esecuzione del 1855. Quattro movimenti
eseguiti senza soluzione di continuità, in circa
venti minuti, che alternano momenti di pacate
melodie romantiche molto chopiniane, al
virtuosismo pianistico tipicamente lisztiano,
perfettamente integrato nella complessa e
fondamentale componente orchestrale. Mariangela
Vacatello ha rivelato, ancora una volta, di
possedere eccellenti qualità interpretative in
questo repertorio a lei evidentemente affine. La
complessa parte pianistica, ricca di contrasti e
con frangenti di evidente complessità tecnica, è
stata affrontata con facilità, con energica
fluidità e con una definizione timbrica chiara
nei dettagli.
Ottima
anche la direzione di Flor e la resa orchestrale
della Sinfonica Verdi. Di qualità il bis
concesso dalla Vacatello con Widmung di
Schumann nel più noto arrangiamento di Liszt,
brano che, nell'interpretazione della Vacatello,
si è distinto per leggerezza espressiva, velata
ma di sicura qualità. Applausi sostenuti dal
pubblico presente. Di valore, nella direzione e
nella resa orchestrale, l'ultima delle sinfonie
brahmsiane. Un capolavoro in quattro movimenti
che ha trovato nei giusti tempi, nei colori di
ogni sezione orchestrale e nell'insieme timbrico,
una valida resa espressiva. Fragorosi applausi
al termine e ancora omaggi floreali. Da
ricordare. Il primo appuntamento della Sinfonica
Verdi nella sede dell' Auditorium di l.go Mahler
è previsto per il 30 settembre - con replica l'1
e 3 ottobre- con la direzione di Alondra de la
Parra per brani di Copland, Mahler, Ravel e
Milhaud. Da non perdere.
13 settembre 2021 Cesare
Guzzardella
Filippo Gorini in
Conservatorio per la Società del Quartetto
Secondo appuntamento
pianistico in Conservatorio per la Società
del Quartetto per la serie "Preludi, la
Serie A del pianoforte". Il pianista
brianzolo Filippo Gorini, classe
1995, ha
proposto le note 33 Variazioni su un Valzer
di Diabelli op.120, composizione matura di
L.v. Beethoven. Gorini, vincitore nel 2015 del
Concorso Telekom-Beethoven di Bonn, ha rivelato
ancora una volta di essere in piena sintonia con
il grande compositore tedesco fornendo
un'interpretazione di rilevante qualità
espressiva. La tenuta discorsiva del corposo
capolavoro è avvenuta con chiara visione
d'insieme nell'esternazione fluida, sicura e
dettagliata di tutte le 33 variazioni. Sia nei
momenti di maggiore riflessione emotiva, che nei
più virtuosistici e movimentati frangenti,
Gorini
ha mostrato di entrare nelle peculiari
caratteristiche coloristiche del genio tedesco,
rivelando uno stile pianistico tipico della
migliore scuola classica. L'ottima
interpretazione ascoltata ha avuto un'eccellente
coda con il breve bis concesso al termine, una
Variazione dalle Diabelli di Schubert.
Ricordiamo che dopo il successo dei primi due Cd
di Gorini dedicati a Beethoven, con appunto le
Variazioni Diabelli e con le Op.106 e 111, è da
poco uscito un terzo Cd con la bachiana Arte
della Fuga. Pubblico decisamente soddisfatto
al termine del concerto e replica serale. Il 14
settembre alle ore 18.00 e alle ore 21.00, terzo
appuntamento con il pianista piemontese Gabriele
Carcano che eseguirà alcune sonate di Beethoven.
Da ricordare
10 settembre 2021 Cesare
Guzzardella
Benedetto Lupo
inaugura la rassegna "Preludi,
la serie A del pianoforte" della Società
del Quartetto
Oggi, 7 settembre 2021, si è
inaugurato il ciclo Preludi, la serie A del
pianoforte. Cinque pianisti italiani
si alterneranno per offrire agli spettatori
della Società del
Quartetto
le loro interpretazioni di capolavori,
soprattutto romantici. Il primo pianista,
ascoltato nel tardo pomeriggio nella Sala Verdi
del Conservatorio è stato il pianista pugliese
Benedetto Lupo che ha proposto brani di Brahms e
Schumann. Lupo, affermatosi nel 1989 al
prestigioso Concorso Internazionale Van
Cliburn, ha scelto i Tre Klavierstüke
op.117 e i Sei Klavierstüke op.118
dell'amburghese, ai quali ha fatto seguito la
Sonata n.2 in sol min. Op.22 di Robert
Schumann. Valida l'introspezione musicale dei
nove
brani brahmsiani, eseguiti con mistica
interiorizzazione e buona resa espressiva. Più
estroversa e sicura la splendida Sonata
di Schumann, nella quale Lupo ha colto con
illuminato virtuosismo il carattere
improvvisatorio, sapientemente espresso, del
compositore tedesco. Valido il bis concesso con
una Romanza di Schumann. Applausi dal
pubblico presente in sala. Replica questa sera
alle ore 21.00.
7 settembre 2021 Cesare
Guzzardella
LUGLIO 2021
Prossimamente
la terza edizione del "Festival Beethoven" a
Villa Durio di Varallo
Il sodalizio tra
Musica a Villa Durio, storica
stagione musicale diretta da Massimo Giuseppe
Bianchi, e l’Associazione Musica con le Ali,
dedita alla valorizzazione dei
giovani
talenti del panorama nazionale, rende omaggio al
grande compositore tedesco con la terza edizione
del Festival di musica da camera che si svolgerà
a Varallo (Vercelli) dal 30 Luglio al 1 Agosto
2021, con il patrocinio e la collaborazione del
Comune di Varallo, nell’ambito dell’Alpàa 2021.
“Musica a Villa Durio, la Stagione di musica
classica che da oltre vent’anni è il fiore
all’occhiello della programmazione culturale di
Varallo e della Valsesia
–
dichiara Eraldo Botta, Sindaco di Varallo -
partecipa
anche quest’anno
agli eventi dell’Alpàa
edizione 2021. Il 3° Festival Beethoven,
realizzato in collaborazione con l’Associazione
Musica con le Ali presieduta da Carlo Hruby,
cittadino onorario di Varallo, viene ad
arricchire, nel cuore dell’estate, la già
notevole offerta culturale che la città dispensa
abitualmente ai suoi visitatori. Per il terzo
anno consecutivo ritorna il "Festival Beethoven"
che in questa edizione, denominata “Beethoven
e i Romantici”, propone accostamenti tra
opere cameristiche del genio di Bonn e
capolavori del periodo romantico. Gli interpreti
che si avvicenderanno nelle tre serate accanto a
me al pianoforte, saranno il controtenore David
Feldman, la violinista Gaia Trionfera, la
clarinettista Gaia Gaibazzi e il violoncellista
Giacomo Cardelli.
16 luglio 2021 dalla
redazione
Ying Li vince il Premio
Internazionale Antonio
Mormone
Tardo pomeriggio speciale al
Teatro alla Scala per la finale del Premio
Internazionale Antonio Mormone. Tre i
candidati che si contendevano il premio: la
coreana Su Yeon
Kim
che ha eseguito il Concerto n.1 Op.23 di
Čaikovskij, il polacco Piotr Pawlak che
interpretava il Concerto n.2 Op.16 di
Prokof'ev e la cinese Ying Li con il Concerto
n.2 Op.18 di Rachmaninov. L' Orchestra
dell'Accademia Teatro alla Scala
è stato diretta ottimamente dal
giapponese Toshiuki Kamioka. Al termine della
non breve maratona, dopo un'attesa di quindici
minuti circa, il verdetto della giuria ha
decretato la vittoria di Ying Li. Meritatissima!
Ying Li, nelle prove finali di questi giorni, ha
rivelato una maturità interpretativa fuori dal
comune, giocata da una tecnica eccellente unita
a disinvoltura e fluidità nel controllare le
timbriche e le dinamiche dei brani classici,
proposti sempre con intensa espressività.
A
questi si aggiunge una strepitosa
interpretazione del brano contemporaneo di Ivan
Fedele, quel virtuosistico e complesso WS
Variations ascoltato venerdì scorso. È una
pianista che ha tutte le qualità per
intraprendere una luminosa carriera
concertistica. Molto bravi comunque gli altri
due candidati, con Pawlak che ha interpretato
con grinta e perfezione il difficilissimo
Concerto di Prokof'ev e, tra i brani proposti
nei giorni scorsi, un'eccellente Sonata n.3 di
Brahms. Ottima Su Yeon Kim con il celebre
concerto di
Čaikovskij.
Un augurio di grande successo ai tre finalisti,
con
la
certezza di riscontri internazionali
per
Yiang Li.
Un plauso
all'eccellente
organizzazione
artistica
del Premio
dovuta a
Enrica Ciccarelli Mormone e Matthieu Mantanus.
11 luglio 2021
Cesare
Guzzardella
Le finali del
Premio
Internazionale Antonio Mormone
In questi giorni si sono
svolte le prove finali dei tre pianisti
recentemente selezionati al Premio
Internazionale Antonio Mormone. È un importante
Concorso Internazionale, voluto per ricordare la
figura del fondatore e Presidente della Società
dei Concerti di Milano, nonchè grande
ricercatore di talenti musicali. L'alto livello
del concorso è
garantito
dalla presenza, in qualità di Presidente
Onorario del premio, del grande pianista russo
Evgenij Kissin, nonchè dalla partecipazione in
giuria di pianisti di fama quali Bruno Canino,
Aleksandar Madzar, Alexei Volodin, Ingolf Wunder,
Olga Kern e di altri importanti musicisti come
il compositore Ivan Fedele, il direttore
Matthieu Mantanus, l'organizzatrice e pianista
Enrica Ciccarelli Mormone, il pianista Nazzareno
Carusi e ancora altri. In Sala Verdi del
Conservatorio abbiamo ascoltato il polacco Piotr
Pawlak, la cinese Ying Li e la coreana Su Yeon
Kim. Hanno eseguito brani classici di Beethoven,
Brahms, Chopin, Prokof'ev, Bach-Rachmaninov,
Dvorak e Franck.
Inframmezzata,
tra questi brani, una valente composizione
contemporanea, scritta appositamente dal noto
compositore leccese Ivan Fedele, ha dato modo di
raffrontare tre differenti interpretazioni di un
medesimo lavoro. Il brano di Fedele, denominato
WS Variations, è certamente di alto
virtuosismo e ha modalità compositive che,
partendo da esperienze dodecafoniche, trova, a
mio avviso, in autori come Messiaen o Ligeti
sicuri riferimenti. Tutti e tre i pianisti hanno
prodotto una brillante e sicura resa
interpretativa, con qualità certamente di alto
livello a riprova del fatto di come le nuove
generazioni - i tre pianisti hanno età comprese
tra i 22 e i 27 anni - siano oramai abituate
all'esecuzione
dei nuovi e complessi linguaggi attuali.
Ricordiamo anche lo svolgimento di un'
importante prova cameristica, dove i tre solisti
hanno trovato il completamento con l' eccellente
quartetto d'archi composto, per l'occasione, da
Edoardo Zosi e Liù Pelliciari ai violini, Simone
Gramaglia alla viola e Stefano Cerrato al
violoncello. I due lavori proposti sono stati,
per le due pianiste orientali, il Quintetto
per pianoforte e archi in la magg. op 81 di
Antonin Dvorak e per il polacco il Quintetto
per pianoforte ed archi in fa minore di
César Franck. Domenica, alle ore 17.00,
al
Teatro alla Scala si svolgerà la prova finale
con l'esecuzione dei Concerti per pianoforte e
orchestra di
Čaikovskij,
Prokof'ev e Rachmaninov, rispettivamente l'
Op.23 con Su Yeon Kim al pianoforte, l'Op.16
con Piotr Pawlak e l'Op.18 con Ying
Li. Il direttore giapponese Toshiyuki Kamioka
dirigerà l'Orchestra
dell'Accademia Teatro alla Scala. La serata si
concluderà con la premiazione di colui o colei
che sarà sicuramente un nome di grande rilevanza
nel panorama concertistico attuale.
9 luglio 2021 Cesare
Guzzardella
PROSSIMAMENTE
ANDREA LUCCHESINI AL VIOTTI FESTIVAL ESTATE
Non si sono ancora spente le
emozioni suscitate dalle recenti esibizioni di
Anna Tifu e Giovanni Sollima, che la “parata di
stelle” proposta dal Viotti Festival di Vercelli
prosegue con un'altra straordinaria presenza:
sabato 10 luglio, al Teatro Civico (ore 20) sarà
infatti protagonista Andrea Lucchesini,
senz'altro uno dei più grandi pianisti del
panorama classico, accompagnato dall'Orchestra
Camerata Ducale diretta da Guido Rimonda.Una
sequenza di artisti di livello mondiale che ha
davvero pochi eguali in una rassegna
concertistica, e che insieme al numero degli
appuntamenti in cartellone – ben 40 in 4 mesi –
innalza Vercelli al rango di ideale “capitale
della musica” di quest'estate 2021, quella che
segna il tanto atteso ritorno dei concerti dal
vivo. Enorme soddisfazione, dunque, per la
Camerata Ducale, organizzatrice del Festival,
essere riusciti a coinvolgere il pubblico in un
tourbillon musicale incessante e dai contenuti
così importanti. Inoltre, la presenza di
Lucchesini a Vercelli
continuerà
anche dopo il concerto del Civico: mercoledì 14,
il pianista si esibirà in quintetto insieme ai
giovanissimi musicisti della Camerata Ducale
Junior, da lui seguiti in veste di maestro
preparatore. Una conferma della capacità di
Lucchesini di essere non solo un eccelso
interprete, ma anche un grandissimo didatta. Il
programma dell'appuntamento del Civico, poi,
rappresenta un altro motivo per non mancare:
promette infatti di essere un'autentica
celebrazione della bellezza. Si aprirà infatti
con lo scintillante, magico Concerto K595 di
Mozart, l'ultimo composto dal genio di
Salisburgo prima della sua prematura morte, e si
chiuderà con l'elegantissimo, sognante Concerto
n.2 di Chopin. Composto da un autore appena
diciannovenne, non è solo fresco e originale, ma
riesce anche, nell'incantevole Larghetto, ad
esprimere tutto il mistero e il turbamento di un
amore giovanile.Con uno sguardo più ampio, che
con il “cuore” guarda più in là, oltre la platea
degli abitué del Viotti Festival, con il
concerto di Lucchesini parte l’iniziativa del
BIGLIETTO SOSPESO Un “biglietto sospeso” per chi
non può permettersi di andare a teatro:
solidarietà e cultura si fondono nell’iniziativa
della Camerata Ducale. Il meccanismo è molto
semplice: chiunque, con soli 5 €, può offrire un
“biglietto sospeso” e fare in modo che il teatro
sia davvero uno strumento di cultura per tutti.
Per ogni biglietto sospeso donato, la Camerata
ne offrirà un altro. Le Associazioni solidali
che vogliono collaborare a questo progetto
possono contattare gli uffici della Camerata al
366 30 54181, carolina.melpignano@camerataducale.
8 luglio dalla redazione
Fedor Rudin
e Boris Kusnezow alle
Serate Musicali del Conservatorio
Un programma incentrato sulla
musica di Franz Schubert ma anche con un breve
brano di Mozart e una rarità esecutiva di J.V.H.
Vo říšek,
quello proposto in Conservatorio dal violinista
Fedor Rudin e dal pianista Boris Kusnezow,
entrambi moscoviti. Un duo
cameristico
particolarmente classico, dove già
dalle prime note è emerso un equilibrio
interpretativo di alto livello: chiarezza
espressiva, controllo delle dinamiche e rispetto
dei rispettivi ruoli, sono emersi in modo
evidente in tutti i brani. La deliziosa
Sonatina per violino e pianoforte in re maggiore
op.137 n.1 D.384 (1816) e il più incisivo e
virtuosistico Brillante per violino e
pianoforte in si bemolle minore D895 (1826),
hanno rivelato le ottime qualità interpretative
del duo, ispirate da un esemplare
"classicismo
viennese". Sempre riferito al compositore
austriaco abbiamo ascoltato l'interessante
rivisitazione virtuosolistica di H.W.Ernst
(1814-1865) del celebre lied Elkönig: nel
Grand Caprice op.26 per violino solo
(1854) del compositore ceco sono emerse ancor
più le qualità virtuosistiche di Rudin. L'
intenso lavoro è ricco di effetti timbrici, con
uso di accordi e linee melodiche persino a
quattro voci, armonici artificiali e difficili
passaggi in pizzicato. Certamente Paganini è
stato il principale riferimento di Ernst. Di
ottima qualità il Rondò per violino e
pianoforte in do maggiore KV373 (1781) di
W.A.Mozart eseguito tra i due brani di Schubert.
Il sostanzioso brano conclusivo dell'impaginato
ufficiale prevedeva
la
Sonata per violino e pianoforte in sol
maggiore op.5 (1820) di Jan Václav Voříšek,
compositore
boemo
contemporaneo di Schubert e di qualche anno
maggiore. È un lavoro,
particolarmente virtuosistico, specie nella
componente pianistica, - Voříšek
è stato infatti un
eccellente virtuoso di pianoforte - che ha
ribadito l'ottima intesa del duo nell'esternare
espressività in tutti i quattro classici
movimenti che compongono la sonata. Applausi
sostenuti al termine del programma ufficiale ed
eccellente il bis concesso con lo splendido
Cantabile in re magg. op.17 di Niccolò
Paganini. Bravissimi!!!
7 luglio 2021 Cesare
Guzzardella
Beatrice Rana
e Manfred Honeck con la
Filarmonica della Scala per Brahms e Dvo řák
Un programma sostanzioso per
la Filarmonica della Scala quello
ascoltato ieri sera nel principale teatro
milanese, con due brani importanti quali il
Concerto n.1 in re min. op.15 di Johannes
Brahms e la Sinfonia n.8 in sol magg. op.88
di Antonín Dvo řák.
Sul podio il direttore austriaco Manfred Honeck
ha trovato al pianoforte, nel concerto
brahmsiano, la salentina Beatrice Rana,
attualmente la più affermata pianista italiana.
Due
lavori molto diversi nell'impaginato, datati
rispettivamente 1858 e 1889, che hanno in comune
timbriche sinfoniche imponenti. Anche il
Concerto n.1 dell'amburghese infatti, trova
nell'orchestra una componente sinfonica
particolarmente accentuata. Beatrice Rana,
pianista di ancora giovane età ma con già vasto
repertorio, ha corraggiosamente affrontato un
lavoro che richiede in genere maturità, oltre
che forza fisica e tecnica non indifferente,
specie nel monumentale Maestoso iniziale,
dove la parte pianistica, interagendo
sinergicamente con le sezioni strumentali ha
ruolo primario al pari dell'orchestra. La Rana,
dotata di tecnica precisa e minuziosa e di ferma
gestualità, ha trovato coerenza interpretativa
affrontando le difficili pagine con misurato
equilibrio nei momenti meno concitati e con
ampia volumetria sonora, e di decisa timbrica
nelle parti di maggiore incisività. L'ottima
direzione di Honeck, rivelata nelle eccellenti
sonorità dei Filarmonici, ha ben rispettato lo
spazio della solista, esaltando le parti dove
l'orchestra e il pianoforte interagiscono. Molto
delicato il timbro della Rana nell'intimo
Adagio centrale e particolarmente elegante
il Rondò conclusivo con le battute finali
rese mirabilmente. Applausi scroscianti e
numerose uscite in palcoscenico della pianista.
Una resa eccellente per il bis concesso: la
Romanza n.2 dall' Op.28 di Robert
Schumann. La Sinfonia n.8 di Dvořák
proposta dopo il breve intervallo, ha ancor più
messo in risalto le splendide qualità
direttoriali di Honeck. Il brano, nei classici
quattro movimenti e nel tipico linquaggio del
compositore ceco, ha frangenti di sublime
bellezza, come nelle celebri battute dell'Allegretto
grazioso e inserzioni folcloristiche nell'Allegro
non troppo finale espresse con fragoroso
virtuosismo orchestrale dagli eccellenti
filarmonici, notevoli in ogni sezione
strumentale. Honech ha quindi centrato
perfettamente l'obiettivo fornendo un'esecuzione
complessiva di altissimo livello estetico e
rivelando le caratteristiche più autentiche del
celebre compositore di Nelahozeves (Boemia).
Ancora applausi fragorosi. Da ricordare
4 luglio 2021 Cesare Guzzardella
Prossimamente Giovanni
Sollima al Teatro Civico di Vercelli
Se si ripensa alla delusione
provata quando, l'anno scorso, il concerto di
Giovanni Sollima al Viotti Festival dovette
essere annullato a causa dell'emergenza Covid,
allora l'attesa per l'appuntamento di domenica 4
luglio al Teatro Civico di Vercelli (ore 20)
diventa ancora più intensa, perché alla gioia di
una serata storica per il Festival si aggiunge
l'ineguagliabile soddisfazione di vedersi
idealmente
chiudere
una così lunga e sofferta parentesi. Giovanni
Sollima, dunque, domenica sarà finalmente in
scena al Civico. Nulla può fermare la musica,
viene spontaneo dire; e la stessa frase vale
anche per questo carismatico artista, non solo
uno dei più noti violoncellisti e compositori
viventi, ma anche e soprattutto una figura
capace di attraversare epoche, generi e confini,
riuscendo a rendere la musica stessa “universalmente
contemporanea”, a contatto con il mondo e vicina
a ogni persona. Dimostrazione di questa capacità
di coinvolgere e trascinare lo spettatore sarà
il concerto vercellese, perfetta espressione
della personalità di un artista in grado di
collaborare con Riccardo Muti e Claudio Abbado
così come con Philip Glass e Patti Smith, di
comporre temi per Peter Greenaway e John
Turturro, di suonare il violoncello sott'acqua o
su uno strumento fatto di ghiaccio. Nel
programma, infatti, compaiono classici assoluti
come Bach o Stravinsky, ma anche gioielli
filologici come il riferimento al settecentesco
Giuseppe Clemente Dall'Abaco, il tutto insieme a
brani dello stesso Sollima, compreso un Fandango
ispirato a Luigi Boccherini. Tutto quanto serve
per saziare la voglia di musica e per andare
anche oltre, aprendo orizzonti verso i quali,
forse, lo spettatore non ha mai pensato di
avventurarsi. L'incontro tra Giovanni Sollima e
il Viotti Festival, insomma, promette davvero di
stupire. Il concerto è a pagamento: biglietto
intero 20 €, ridotto (under 26) 10 €. Per
prenotare è possibile scrivere a
biglietteria@viottifestival.it o telefonare al
329/1260732, oppure recarsi di persona al Viotti
Club - via G. Ferraris 14, Vercelli (dal lunedì
al venerdì dalle 10.30 alle 17.30, sabato dalle
14.30 alle 17.30). Il programma è il seguente:
Giovanni Sollima violoncello Sollima - Hell I da
Songs from the Divine Comedy ; Galli- Sonata II
da Trattenimento musicale sopra il violoncello,
1691; Stravinski - Tre pezzi per clarinetto
eseguiti sul violoncello; Bach - Suite n.3 in do
maggiore BWV 1009; Dall'Abaco - Capricci n.6 e
8; Sollima - Natural Songbook n.1, 6 e 12,
Fandango (after Boccherini)-
2 luglio
dalla redazione
GIUGNO 2021
Il Trio Gorna, Pieranunzi
e Fiore per le Serate
Musicali
Una formazione inconsueta ma
estremamente interessante, quella formata dalle
violinista LAURA GORNA, dal violinista GABRIELE
PIERANUNZI e dal violista FRANCESCO FIORE. Tre
archi per un programma che prevedeva brani di
Dvorak, Prokofiev e Mozart. La Suite
Miniature per 2 violini e viola (4 Pezzi
Romantici) op.75
di
Antonin Dvorak ha introdotto il concerto
presentando subito la cifra stilistica dei
protagonisti, cifra che ha trovato in tutti le
qualità della grande scuola di strumenti ad arco
italiana. Il dolce melodiare del grande
compositore ceco, spesso espresso da poche note
ricche di profondità espressiva, ha visto nel
trio eccellenti interpreti, con intonazione,
vibrato e dinamiche ottimamente gestite e in
splendido equilibrio. Nella successiva Sonata
per due violini op.56 di Sergej Prokof'ev i
due archi si alternavano ed integravano
definendo un mondo sonoro più astratto, meno
lineare del precedente, ma con una costruzione
armonica
altrettanto importante. Le timbriche "spaziali"
del grande compositore russo sono emerse grazie
all'ottimo virtuosismo della Gorna e di
Pieranunzi. Con Mozart e il suo Duo Kv 423
per violino e viola, siamo tornati ad un
classicismo di fine Settecento, che unisce
l'espressività delle mirabili melodie del
salisburghese ad una sapiente costruzione
d'insieme, dove la linea del violino di
Pieranunzi è stata sostenuta dalla timbrica
calda e profonda della corposa e volumetrica
viola di Francesco Fiore. Ottima la resa
complessiva. Di nuovo tutti e tre i protagonisti
per il coinvolgente Terzetto Op .74 per
due violini e viola ancora di Dvorak. I tre
hanno
ancora
splendidamente interagito, creando quell'unico
strumento ad arco che risulta quando
l'affiatamento della parti e il rispetto dei
ruoli raggiunge alti livelli, come quelli
svelati con maestria dai tre sensibili attori.
Applausi sostenuti dal pubblico intervenuto.
Ottimo e divertente il bis concesso con il
violista che lascia il suo strumento prediletto
per sedersi al pianoforte e accompagnare i due
violini in un brano del grande Pablo De Sarasate:
Navarra op.33, un lavoro ricco di
virtuosismi raffinati come è stato delineato in
modo brillante e raffinato, evidenziando
elementi folcloristici pensati magistralmente
dal grande compositore e virtuoso spagnolo. Da
ricordare.
30 giugno 2021 Cesare
Guzzardella
Recital di Maurizio
Pollini al
Teatro alla Scala
Ogni ritorno di Maurizio
Pollini al Teatro alla Scala è un avvenimento da
non perdere. Anche questa volta il pubblico,
prevalentemente milanese, ha risposto con
evidente calore alle straordinarie qualità del
grande virtuoso. Ieri sera, infatti, circa
settecento persone presenti in teatro,- quelle
consentite dalle severe regole della pandemia-
hanno
ascoltato in religioso silenzio l'artista
milanese in un programma interamente dedicato a
Fryderyk Chopin. Un impaginato ben strutturato,
ben articolato e di ricca qualità, quello
proposto: due Notturni Op.27, la
Barcarola Op.60, la Sonata N.2 Op. 35
e, dopo il breve intervallo, lo Scherzo n.3
Op.39, la Berceuse Op.57 e la
Polacca Op.53 "Eroica"; per finire due bis
con lo Studio n.11
Op.25 e la Ballata
n.1 Op.23. Tutti brani che ascoltiamo da
decenni, ma che spesso trovano nel Maestro una
ancora maggiore profondità interpretativa.
Pollini oggi, all'età di 79 anni, ha il grande
merito di dire qualcosa di nuovo, di non ancora
sentito. Certo, in questi anni, le incertezze
tecniche sono aumentate, l'elasticità digitale
non è quella degli anni migliori, ma questo
rappresenta, a mio avviso, un dettaglio di non
significativa importanza rispetto alla
profondità di pensiero e di resa complessiva di
molti dei brani eseguiti. Nell'arte
interpretativa, quello che maggiormente conta è
lo spessore espressivo che si disvela
internamente ai brani scelti in funzione
dell'idea complessiva. L'espressività non solo è
ancora presente nello Chopin di Pollini, ma è in
costante salita per chiarezza d'idee e tensione
drammatica. I due Notturni hanno trovato un'
ottima introduzione al concerto in senso
drammaturgico, con uno sviluppo della tensione
emotiva già dal Notturno n.1 in Do diesis
minore e dal più disteso e romantico
Notturno n.2 in Re bem. maggiore, reso con
estrema luminosità.
La pacata Barcarola in Fa
diesis maggiore, di straordinario equilibrio
complessivo, ha anticipato il momento clou
del concerto rappresentato dalla Sonata n.2
in Si bem. minore op.35, probabilmente
quella più celebre e resa magistralmente in 24
minuti e 5 secondi. La straordinaria sintesi
espressiva globale, ha trovato momenti
apicali negli ultimi due movimenti, il terzo,
quello dello Marcia funebre ed il
brevissimo e rapidissimo Finale, Presto,
movimento quest'ultimo di sconvolgente sintesi
discorsiva e di straordinaria contemporaneità.
Il breve intervallo ha visto di nuovo Pollini in
palcoscenico per tre lavori ufficiali. Lo
Scherzo n.3 in Do diesis minore op.39 è
stato reso molto bene nella splendida "cascata"
inversa di note; straordinaria la Berceuse in
Re bem. maggiore op.57, ricostruita in modo
perfetto e chiarissima nei dettagli. La
successiva Polacca in La bem. maggiore op.53
"Eroica", altro cavallo di battaglia
polliniano, ha trovato imperfezioni perdonabili
nel complessivo impaginato. Tra i due bis
proposti, lo Studio n.11
Op.25 "Winter
Wind"
e la Ballata n.1 in Sol minore Op.23,
la seconda è stata di maggiore ricchezza, con
profonda tensione emotiva ed equilibrio misurato
come solo Pollini può! Numerose le uscite in
palcoscenico dell'artista tra l'entusiasmo del
pubblico. Da ricordare sempre.
26 giugno 2021 Cesare
Guzzardella
Pierre-Laurent
Aimard diretto da James
Feddeck per il Concerto n.2 di Brahms e la
Sinfonia n.2
Con la quarta settimana siamo
arrivati al termine dellla riuscita rassegna
musicale "A tutto Brahms". Un doppio
incontro che ha visto impegnati il mercoledì e
il giovedì solisti di fama internazionale ed
eccellenti direttori d'orchestra. Ieri,
nell'anteprima delle
ore
17.00, abbiamo trovato al pianoforte il francese
Pierre-Laurent Aimard e sul podio dell'Orchestra
de "I Pomeriggi Musicali" il direttore
americano James Feddeck. Un concerto importante
e un brano particolarmente noto quello proposto.
Il Concerto n.2 in si bem. maggiore op.83,
ebbe una gestazione più facile del precedente e
venne terminato da Johannes Brahms nel 1881,
dopo tre anni d'intenso lavoro. Ottenne da
subito un notevole successo. Come il primo
concerto, ha caratteristiche decisamente
sinfoniche ed è strutturato però in quattro
movimenti, una rarità per questo genere di
composizioni che di solito annoverano solo tre
parti. L' eccellente dialogo che s'instaura tra
il solista e l'orchestra, entrambi protagonisti,
mette in
risalto
i numerosi temi che pervadono il celebre lavoro,
ad iniziare dal corposo Allegro non troppo
iniziale, per arrivare al fluido e
spensierato Allegretto grazioso finale.
Ottima l'integrazione sinergica tra il noto
solista francese Aimard - pianista conosciuto
soprattutto per le sue fondamentali
interpretazioni del repertorio novecentesco e
contemporaneo - e il direttore James Feddeck.
Aimard ha mostrato un approccio molto
strutturato e preciso nel suo modo di
fraseggiare, attento ai dettagli e molto
rispettoso dell'importante componente
orchestrale.
Momenti d'intensa forza espressiva si sono
alternati ad altri di più pacata leggerezza.
Valida la visione complessiva di Feddeck e
l'espressività ottenuta, grazia agli ottimi
orchestrali de I Pomeriggi, bravi in ogni
sezione di strumenti. Applausi meritati dal
numeroso pubblico pomeridiano. Nel pomeriggio di
oggi, la Sinfonia n.2 in re maggiore op.73
(1877) ha rivelato le qualità direttoriali
del trentasettenne Feddeck, che ricordiamo
essere dal 2020 il direttore principale di
questa valente orchestra e di essere stato
vincitore, nel 2013, del prestigioso Sir
Georg Solti Conducting Award.
Particolarmente analitico, ma efficace, l'
Allegro ma non troppo iniziale e di grande
impatto discorsivo l'Allegro con spirito
finale. Concerti da ricordare.
24 giugno 2021 Cesare
Guzzardella
PROSSIMAMENTE
LA PROMESSA MANTENUTA: ANNA
TIFU AL VIOTTI FESTIVAL ESTATE
Si dice “ogni promessa è debito”, e il Viotti
Festival Estate lo conferma: l'anno scorso,
quando la pandemia aveva imposto la chiusura dei
teatri, uno dei concerti annullati
– senz'altro
uno dei più attesi
– era stato quello di Anna Tifu, la
fantastica violinista italiana ormai consacrata
tra le stelle della musica mondiale. Ma subito,
come confermato dalla stessa Tifu intervistata
da Giulia Rimonda nel suo format Note a piè di
pagina, ci si era ripromessi di comune accordo
che quel concerto sarebbe
sicuramente
andato in scena, e presto, anzi appena possibile.
Detto fatto: venerdì 25 giugno (ore 20), Anna
Tifu sarà al Teatro Civico di Vercelli per un
appuntamento che offre almeno tre motivi per
restare scolpito nella storia del Festival:
l'incontro con un'interprete straordinaria, la
bellezza e l'originalità dei contenuti musicali
e, non certo per ultimo, il gesto di chiudere
simbolicamente il cerchio, affidando alla grande
musica il compito di celebrare il ritorno alla
mai così sospirata vita “normale”. Questo per il
significato ideale della serata, ma un concerto
è soprattutto musica. E sotto questo aspetto, il
concerto di venerdì 25 rappresenta un'occasione
più unica che rara: quella di immergersi nel
mondo vibrante, appassionato, travolgente del
tango. Anna Tifu, infatti, in quartetto con
musicisti (e compositori) eccelsi come Fabio
Furia al bandoneon, Romeo Scaccia al pianoforte
e Giovanni Chiaramonte al contrabbasso, darà
vita a un vorticoso e coinvolgente viaggio alla
scoperta (o riscoperta) di una musica dalla
storia lunga e complessa, ma soprattutto capace
di stupire e quasi “rapire” l'ascoltatore. Dire
tango vuol dire prima di tutto Astor Piazzolla,
l'autore che più di ogni altro ha saputo elevare
un genere da musica da ballo a musica “colta” (e
che proprio per questo fu definito dai puristi “l'assassino
del tango”), e al quale la formazione di Anna
Tifu dedica giustamente ampio spazio, con
classici struggenti quali Adios Nonino, Escualo
e la celeberrima Libertango. Ma significa anche
attingere alle molte pagine memorabili composte
dagli epigoni di Piazzolla, tra i quali proprio
Scaccia e Furia, che si esibiranno al Civico con
la Tifu. Insomma, gli ingredienti per rendere un
concerto indimenticabile ci sono tutti, e anzi,
forse c'è anche quel qualcosa in più che spinge
assolutamente a non mancare: la bella e
rassicurante sensazione di vivere il momento in
cui una promessa viene mantenuta.
23 giugno dalla redazione
Louis Lortie per
il Concerto n.1 di
Brahms e la Quarta Sinfonia con Donato Renzetti
Siamo arrivati alla terza
settimana di appuntamenti per la rassegna
musicale "A tutto Brahms" .
Un doppio
incontro che mercoledì ha trovato al pianoforte
il canadese Louis Lortie e sul podio
dell'Orchestra de I Pomeriggi Musicali
ancora Donato Renzetti. Un
concerto
esemplare per potenza espressiva. Il Concerto
n.1 in re minore per Pianoforte e Orchestra
op.15, ebbe una gestazione non facile per il
giovane Johannes Brahms che lo terminò nel 1858.
Ai tempi venne considerato un concerto difficile
da eseguire e non venne apprezzato, al contrario
del meno trasgressivo e più "tradizionale"
Concerto n.2. Le caratteristiche molto
sinfoniche del lavoro, pongono l'orchestra ad un
livello di esposizione pari, a volte superiore,
a quella del solista. L'integrazione tra la monumentale parte orchestrale e quella solistica
rimane
esemplare, soprattutto nel lungo e scultoreo
Maestoso iniziale, movimento dove l'ottima
direzione di Donato Renzetti con i bravissimi "I
Pomeriggi" unitamente alla plastica resa di
Louis Lortie, che ha adattato le sue eccellenti
qualità solistiche in ogni
frangente del brano, hanno prodotto
un'esecuzione di alto livello. L'Adagio
centrale, dove le note più intime e personali
del pianoforte hanno un ruolo maggiore, hanno
rivelato l'ottima introspezione e la notevole
espressività del pianista canadese. Molto bello
anche il più estroverso e disteso Rondò
finale.
Applausi
fragorosi dal numeroso pubblico. La Sinfonia
n.4 in mi minore op.98, ascoltata oggi, è
l'ultima delle quattro, ed è stata terminata nel
1885. Capolavoro assoluto per varietà e bellezza
dei temi proposti, per rielaborazione delle
architetture e per resa espressiva complessiva,
questo lavoro conclude un ciclo compositivo
proiettato verso il '900. Ha trovato un'ottima
direzione nella bacchetta di Donato Renzetti in
tutti i quattro movimenti, a partire dallo
stupendo Allegro non troppo. Bravissimi
gli orchestrali de I Pomeriggi in ogni
sezione. Applausi meritati e per bis ancora una
celebre Danza ungherese. Da ricordare.
17-06-2021 Cesare Guzzardella
Andrea Bacchetti
alle Serate
Musicali
È una costante presenza
milanese quella del pianista genovese Andrea
Bacchetti. Conosciamo bene le sue frequentazioni
in territorio barocco, con l'eccellenza
interpretativa
riservata a Bach. Ieri sera in Sala Verdi era
con l'Orchestra della Scuola dell’Opera del
Teatro Comunale di Bologna diretta da Marco Boni
per due concerti mozartiani: il Concerto per
pianoforte e orchestra n. 26 in re maggiore K
537 ed il Concerto per pianoforte e
orchestra n.12 in la maggiore K 414. Questi
sono stati preceduti dall'Ouverture in si
minore op.26 “Le Ebridi” di F.Mendelsshon,
lavoro del 1832 del compositore tedesco che ci
ha rivelato da subito la cifra espressiva dei
giovani orchestrali che
formano
l'orchestra della Scuola dell'Opera bolognese
attraverso un'interpretazione energica e ben
sostenuta dall'ottima direzione di Boni.
L'ingresso di Bacchetti nel palcoscenico di Sala
Verdi ha segnato un cambio di rotta per un
ritorno ad un classicismo chiaro e luminoso
quale è quello del grande salisburghese. L'
opera K 537, denominato anche "Concerto
dell'Incoronazione" è del 1788. In stile
galante presenta una moltiplicità di temi
esposti sia dall'orchestra che dal solista
mentre l'opera K 414 è del 1784 ed ha tinte più
scure con situazioni che anticipano il
romanticismo, come spesso accade nei concerti
più eseguiti. Bacchetti ha rivelato in entrambi
i lavori una scioltezza discorsiva sostenuta da
una evidente luminosa espressività. L'ottima
integrazione con le timbriche orchestrali, ben
espresse in
ogni
sezione della compagine, ha portato ad
interpretazioni di qualità in entrambi i lavori,
con momenti di ancora maggiore profondità
espressiva nell'Andante del Concerto in
la maggiore (K.414). Fragorosi gli applausi al
termine del programma ufficiale da parte del
pubblico, purtroppo con limite numerico imposto
dalla pandemia. Di grande qualità il bis
concesso da Bacchetti con il Preludio n.9
dal Secondo libro del Clavicembalo ben temperato.
Da ricordare
15 giugno 2021 Cesare
Guzzardella
Prosegue
l’Estate musicale dalla Camerata
Ducale
Sabato 19
giugno 2021, ore 20 al Teatro Civico via Monte
di Pietà 15, Vercelli, Protagonisti saranno
l'Orchestra Camerata Ducale al gran completo
condotta da Emmanuel Tjeknavorian, giovane
direttore e violinista di fama internazionale
con la giovanissima e brillante Giulia Rimonda
nel ruolo di violinista solista, per un
programma di grande fascino: Prokofiev Concerto
per violino n. 2 in sol minore, op. 63 e
Beethoven Sinfonia n. 4 in si b maggiore, op.
60. IMPORTANTE: si segnala che viste le recenti
disposizioni che rimuovono il coprifuoco e per
andare incontro alle preferenze dimostrate da
molte persone interessate, tutti i concerti al
Teatro Civico del Viotti Festival Estate - 25.6
Anna Tifu Quartet, 4 luglio Giovanni Sollima, 10
luglio Andrea Lucchesini e la Camerata Ducale,
28 agosto Guido Rimonda e Ramin Bahrami -
inizieranno alle ore 20, e non alle ore 19 come
inizialmente comunicato.
15
giugno 2021 dalla redazione
Lucas & Arthur Jussen
con l'Orchestra
Sinfonica "G.Verdi"
I fratelli Jussen, i pianisti
olandesi Lucas & Arthur, sono approdati in
Auditorium con l'Orchestra Sinfonica di Milano "G.Verdi"
per eseguire il noto Concerto per due
pianoforti ed orchestra di Francis Poulenc,
un lavoro di grande impatto discorsivo scritto
dal grande compisitore parigino nel 1932 ed
eseguito per la prima volta nel settembre di
quell'anno al Teatro la Fenice di Venezia. È
nello stile tipico di Poulenc, un
neo-classicismo
ricco d'inventiva, con una quantità enorme di
melodie unite in una sorta di "collage musicale"
che denota anche influenze futuriste. I due
pianoforti, in perfetto equilibrio tra loro e
con esemplare integrazione con l'orchestra,
hanno travato in Lucas e Arthur due interpreti
ideali per determinazione e senso ritmico. Gli
elementi virtuosistici, determinati anche da uno
scorrimento rapido di molti frangenti musicali,
come gli attacchi repentini nell'Allegro ma
non troppo iniziale e dell'Allegro molto
del terzo ed ultimo movimento, sono anche
presenti nelle parti orchestrali che devono
perfettamente integrarsi con
le
accentuate e ritmiche note dei pianoforti.
Momenti di pacata liricità sono presenti nel
suggestivo Larghetto centrale, ispirato
dal classicismo dei concerti mozartiani.
Un'esecuzione memorabile per i due fratelli e
per l'Orchestra Verdi, diretta ottimamente da
Alpesh Chauhan. Applausi fragorosi da parte del
numeroso pubblico e due bis solistici concessi:
il primo per due pianoforti con virtuosismi dei
Jussen ispirati dal primo movimento della
Sinfonia n.40 di Mozart ma anche da un celebre
Carosone e poi un breve ma intenso Bach con la
BWV 106 trascritta da G.Kurtàg per
quattro mani. Il brano di Poulenc è stato
preceduto da un interessante lavoro in "prima
esecuzione assoluta" del compositore torinese
Nicola Campogrande. Il brano per soprano e
orchestra è
denominato
Hello, World ed è in quattro brevi parti.
Una sorte di quattro lieder, intonati
ottimamente dal soprano Vittoriana De Amicis,
ispirati da termini usati nel linguaggio
informatico. I quattro movimenti si chiamano
infatti In B, Unix-Shell, In Delphi, In
Malbolge. Questi termini e poche altre
parole, vengono aggregate tra loro ed intonate
dal soprano in modo quasi "futuristico "
integrandosi con la parte orchestrale che
utilizza invece timbriche tonali ottimamente
costruite, con un linguaggio che ricorda la
leggerezza della migliore musica dei primi del
Novecento con riferimenti che vanno da Puccini
sino ai viennesi più lirici. Un ottimo lavoro
diretto benissimo dal direttore Chauhan. Il
concerto è terminato con una rara giovanile
Sinfonia n.1 in do minore op.11 di F.
Mendelssohn, brano con molti spunti interessanti
e ben orchestrati che rimandano ai grandi
compositori che hanno preceduto il grande
compositore tedesco. Da ricordare!
11 giugno 2021 Cesare
Guzzardella
"A tutto Brahms" con Krylov,
Maisky e Renzetti
Procede la rassegna dedicata
a Johannes Brahms con due lavori importanti
quali il Doppio Concerto in la minore per
violino, violoncello e orchestra op.102 e
con la Sinfonia n.3 in fa maggiore op.90.
Sul podio dell'Orchestra I Pomeriggi Musicali
abbiamo trovati questa volta il direttore Donato
Renzetti. Solisti nel Concerto ascoltato
mercoledì 9, un duo di eccellenti qualità come
quello dei russi Sergej Krylov e Mischa Maisky.
Due fuoriclassi, spesso presenti nelle sale
concertistiche di Milano, che hanno esaltato il
contesto ampiamente melodico del celebre Doppio
Concerto, composto
dall'amburghese nel 1887. I
canonici tre movimenti, Allegro, Andante
e Vivace non troppo, si dipanano
nell'arco di poco oltre trenta minuti partendo
dal serioso inizio del primo movimento, quello
più ampio, come spesso accade nei concerti per
solista e orchestra. Le potenti brevi battute
orchestrali iniziali e l'ingresso autonomo del
violoncello solista sono da subito indicativi
della forza drammatica di questo capolavoro. Una
Cadenza, quella del violoncello, che
trova una posizione iniziale inusuale, e che
stabilisce quasi una gerarchia di valori nel
quale questo strumento ad arco vorrebbe essere
dominante. Maisky, con il suo tocco preciso e
scavato riesce da subito a mostrare la sua
eccelsa cifra stistica. Dopo poche note
orchestrali l'ingresso più melodico del violino
di Krylov, confluisce poi in una seconda cadenza
esternata da entrambi i solisti. Bravissimi i
due protagonisti, unitamente agli ottimi
orchestrali diretti splendidamente da Renzetti,
un direttore famoso nel mondo sin dalla vittoria
del Concorso Cantelli nel lontano 1980.
Di suadente impatto il celebre Vivace non troppo
finale, con la folclorica melodia che
introduce il terzo movimento. Grande successo
con fragorosi applausi e un inaspettato bis -
sembrava non esserci- con due incredibili, per
qualità, Bach: prima la Sarabanda dalla
Suite n.2 per violoncello solo e po senza
soluzione di continuità, col violino la
Sarabanda per violino solo dalla Partita
n.2. Successo e fragorosi applausi dal
numeroso pubblico intervenuto. Di qualità anche
l'interpretazione della Sinfonia n.3 in fa
maggiore op.90 ascoltata nel tardo pomeriggio
sempre per la direzione di Donato Renzetti. Il
noto lavoro sinfonico dell"amburghese, composto
nell'estate del 1883 ha trovato una decisa
sintesi formale in tutti i quattro i movimenti,
dall'ampio Allegro con brio iniziale all'Allegro
finale, passando per l' Andante e dal
delizioso Poco allegro. Ottime tutte le
sezioni della compagine orchestrale. Applausi
sentiti per Renzetti e l'Orchestra anche dopo il
bis concesso, ancora di Brahms, con una Danza
ungherese. Da ricordare.
10 giugno 2021 Cesare
Guzzardella
SMILE: VERCELLI RITROVA LA
MUSICA CON GUIDO RIMONDA E LA CAMERATA DUCALE
Là dove c'era il
distanziamento sociale, ora ritorna la musica
dal vivo: è ciò che accadrà domenica 13 giugno
(ore 21) a Vercelli nello spazio Pisu, ovvero
l'area ex ospedale, con protagonisti Guido
Rimonda e l'Orchestra Camerata Ducale. Inserito
nel programma estivo del Viotti Festival (40
concerti da maggio a settembre), il concerto
sarà dunque fondamentale per il suo significato,
ma anche originale per il suo contenuto. Guido
Rimonda e il suo Stradivari Leclair 1721
accompagneranno infatti gli spettatori in
un'avventura musicale tra le colonne sonore che
hanno contrassegnato la storia del cinema.
Smile - Uno Stradivari al
cinema nasce dal nuovo e sorprendente cd inciso
da Guido Rimonda per Decca e mette insieme tre
carte vincenti: uno Stradivari dal fascino
oscuro e inquietante, un grande violinista che
ama addentrarsi in territori inusuali e
l'incanto del grande schermo. Il tutto
condensato in una parola che regala leggerezza e
ottimismo: smile.
Guido Rimonda non si
accontenta di ripercorrere i
“classici”
che hanno reso
indimenticabili molte pellicole, bensì regala
una scelta di melodie spesso sorprendente,
andando a scavare nelle pieghe della
“settima
arte”
e uscendone con dei veri
tesori. Smile, lo splendido tema da Tempi
moderni di Charlie Chaplin, dà il titolo a un
viaggio musical-cinematografico che via via
toccherà lo struggente tema dell'Olocausto, con
la celeberrima colonna sonora di John Williams
per Schindler's list, ma anche il tango di
Carlos Gardel con Por una cabeza, i capolavori
del sommo Ennio Morricone, come Nuovo Cinema
Paradiso, e molte altre gemme, come ad esempio
il tema dell'ultima interpretazione di Massimo
Troisi, ovvero Il postino. Ma ci sarà ancora
molto altro da scoprire in Smile, un concerto
che saprà emozionare e stupire come capita
davvero di rado.
10 giugno dalla redazione
DUCALE.LAb E PIANOFORTISSIMO:
DOPPIO APPUNTAMENTO AL MUSEO LEONE
La fitta stagione
concertistica estiva vercellese non conosce
soste: in piena coerenza con la sua fama
–
Vercelli è risultata di recente
in assoluto l'ottava città in Italia per offerta
musicale
–
il Viotti Festival Estate propone
per venerdì 11 giugno, nell'ambito delle
rassegne Ducale.LAb e Pianofortissimo,
addirittura un doppio appuntamento con due
giovani talentuosi pianisti: Chiara Biagioli e
Josef Mossali. Un concerto che è reso possibile
da tre collaborazioni tanto importanti quanto
consolidate. La prima è quella con un'altra
eccellenza cittadina, ovvero il Museo Leone, che
–
come accade da anni
–
ospiterà i concerti nei suoi
splendidi ambienti, offrendo agli spettatori
l'occasione di vivere non solo la musica, ma
anche la bellezza e l'atmosfera di uno dei
luoghi più affascinanti di Vercelli. La seconda
riguarda il concerto di Chiara Biagioli (alle
ore 18), ed è quella con il Concorso Ducale.LAb,
“creatura”
della Camerata Ducale,
giunto ormai alla VII edizione. Pensato per
selezionare e premiare i migliori talenti dei
Conservatori piemontesi, il Concorso ha
suscitato in questi anni un crescendo di
interesse, e offre da sempre al pubblico
l'opportunità di ascoltare dal vivo i vincitori
in una rassegna estiva a loro dedicata. La terza,
per quanto concerne il concerto di Mossali (alle
ore 20), è quella con la Fondazione Società dei
Concerti di Milano, la quale ha già notato e
premiato il giovanissimo pianista nell'ambito
del suo prestigioso Premio Mormone, e che con la
sua disponibilità ha reso possibile questo
appuntamento
10 giugno dalla redazione
L' Arcangelo incantatore
Mikhail Pletnev alle
Serate Musicali
È tornato Mikhail Pletnev in
Conservatorio per le Serate Musicali.
Atteso, come sempre, da un numeroso pubblico di
affezionati, ieri sera il grande pianista russo
ha trovato i limiti di capienza di Sala Verdi
imposti dal covid. I fortunati presenti, circa
quattrocento,
hanno ascoltato un impaginato tutto dedicato a
Frederick Chopin: l' Impromptu op.51 in sol
bemolle maggiore, una serie di ben 13
Mazurche ( dalle opere
6-7-17-24-30-33-63-67-68- b134) e la
Sonata n.3 in Si minore op.58. Premesso che
il pianista russo, classe 1957 di Arkhangelsk (Arcangelo),
sia uno dei massimi interpreti viventi, sappiamo
anche che analizzarlo nel repertorio del grande
compositore polacco non è cosa facile. In esso i
grandi del passato, soprattutto ma non soli i
polacchi, hanno dato risultati sorprendenti
entrati nella storia dell'interpretazione. Lo
stile di Pletnev probabilmente non è molto
vicino al territorio "polacch o", ma
indubbiamente ha una carica vitale ed espressiva
unica, molto personale, con situazioni diffuse
di eccellenze inarrivabili. Nei pezzi di breve
durata, quindi certamente in tutte le Mazurche -
parte sostanziale del programma- , Pletnev ha
dato probabilmente la prova migliore, dominando
la tastiera con un controllo delle dinamiche
stupefacente. Tutto concentrato
nell'interpretazione, con la postura ferma, il
volto severo e immobile plasticamente, Pletnev è
puro pensiero musicale. Ogni difficoltà tecnica
è superata dalla sua
fomidabile
capacità d'introiezione del materiale sonoro, ed
il suo unico problema risulta essere il
controllo del peso delle note o delle pause,
nelle più semplici o complesse frasi musicali.
La sua escursione dinamica, dai quasi
impercettibili pianissimo ai fortissimo - questi
mai eccessivi- presenta un'infinità di
gradazioni. Solo un ascolto attento ci può fare
cogliere in profondità molti dei particolari
presenti nelle sue chiare e poetiche
esternazioni. Dopo l'eccellente Impromptu
introduttivo - luminoso nella sua "vivace"
esplicazione ed indicativo della capacità di
Pletnev di elaborare
sfumature sottili in
molteplici piani sonori ben evidenziati-, la
serie delle Mazurche ha raggiunto vertici
assoluti a partire dalla prima, l'Op.6 n.1 in
fa diesis minore, eseguita in continuità con
l'Improvviso. Citiamo le più coinvolgenti
mazurche, anche se tutte sono di altissimo
livello e legate tra loro, tutte e tredici,
secondo una sequenza certamente studiata per
creare un effetto di continuità e di unità. L'Op.7
n.1 in si bem. maggiore ha evidenziato il
sottile gioco di accenti in una sintesi
discorsiva chiara ed estroversa. La celebre
Op.17 n.4 in la minore - ricordiamo
l'interpretazione del sommo Horowitz- eseguita
subito dopo, è un vertice assoluto di gradazioni
coloristiche evidenziate da tenui contrasti che
in certi momanti tendono a svanire nel nulla. L'Op
24.n.2 in do maggiore è un
altro
capolavoro di contrasti ritmici e di accenti in
una rapida sintesi discorsiva che non nasconde
nulla ma che anzi evidenzia ogni particella
musicale. Interessante il collegamento in
continuità con l'Op.63 n.2 in fa minore e
con il suo andamento lento e meditato. Citiamo
ancora l' Op. 63 n.3 in do diesis minore,
insuperabile per equilibrio e bellezza timbrica.
Dopo le Mazurche, la Sonata n.3 in Si minore
op.58, ci è piaciuta soprattutto per
l'esternazione originale di moltissimi dettagli
che rientrano nelle originali modalità di
ricerca coloristica di Pletnev. La Sonata è
lontana da alcune interpretazioni entrate nella
storia, ma è indubbiamente di enorme interesse
per personalizzazione. Dopo i fragorosi applausi
tributati al termine del programma ufficiale, i
tre bis concessi hanno esaltato ancor più le
qualità del grande interprete: una rara e
mirabile The Lark (l'allodola) di Glinka
nella trascrizione di Balakirev, una rapida e
perfetta esecuzione di una Fuga di Bach,
la n.22 dal secondo volume del
Clavicembalo ben temperato, e per concludere una
delle più celebri Sonate di Domenico Scarlatti,
la "Pastorale" ovvero la K 9 in Re
minore eseguita con una sintesi estetica
sublime. Da ricordare sempre.
8 giugno 2021 Cesare
Guzzardella
Marianne Crebassa
al Teatro alla Scala
Il recital del mezzo-soprano
francese Marianne Crebassa, ascoltato ieri sera
in teatro, ha trovato oltre al pubblico
scaligero presente, limitato alle 500 persone
imposte dalla pandemia, anche numerosi video-ascoltatori
in diretta streaming. Accompagnata molto
bene
dal pianista parigino Alphonse Cemin, Marianne
ha scelto un programma prevalentemente di autori
francesi quali Debussy, Ravel, Berlioz e Bizet,
anticipati da quattro brani del compositore
basco-spanolo Jesús Guridi tratti da Seis
canciones castellanas e inframezzati
dall'altro spagnolo, Manuel de Falla, con due
brani quali Séguedille da Trois Mélodies
eVivan los que rien! da La vida breve.
Forte l'impatto con i lavori di Guridi. Il
taglio incisivo delle melodie ottimamente
armonizzate e ben rese dalle mani di Cemin,
hanno trovato una sinergica voce della Cabrassa
con timbriche chiare, espressive, quasi
angeliche nel lieve riverbero della platea del
teatro scaligero, libero dalle poltrone.
Decisamente coinvolgente l'ultimo dei quattro
brani di Guridi: Mañanita de San Juan.
Cambio di registro con i quattro brani di Claude
Debussy proposti successivamente tra cui citiamo
l'originale La chevelure e il cupo e
sensuale Le tombeau des Naïades. Ritorno
ad un taglio spagnolo ricco di contrasti con
Chanson espagnole di Maurice Ravel e
soprattutto con Sèguedille tratto dalle
Trois Mélodies di Manuel de Falla. Nella seconda
parte della serata, dopo il breve intervallo, i
sei brani di Hector Berlioz da Les nuits
d'été op. 7 per voce ed orchestra, hanno
riportato ai sapori francesi e, in questi lavori,
espressi con intensa drammaticità e sofferenza
dalla voce ancor più calda della splendida
interprete, abbiamo apprezzato le complesse
armonizzazioni pianistiche dell'ottimo Cemin.
Dopo un breve ritorno alla Spagna di Manuel de
Falla con Vivan los que rien! da La vida
Breve, il celebre brano di Georges Bizet tratto
da Carmen, Près des remparts de Séville,
ha concluso felicemente il programma ufficiale.
Due i bis concessi: prima Ravel con la sua
sensuale Habanera e poi ancora Bizet con
l'Amour est un oiseau rebelle ancora da
Carmen. Splendida la voce della Crebassa, ottimo
il pianoforte di Cemin! Fragorosi gli applausi,
con numerose uscite dei protagonisti. Da
ricordare.
7 giugno 2021 Cesare
Guzzardella
" A
tutto Brahms" con I
POMERIGGI MUSICALI
È una rassegna estremamente
interessante quella che è iniziata ieri
pomeriggio al Teatro Dal Verme con l'
Orchestra I Pomeriggi Musicali. Denominata
"A tutto Brahms", il non breve festival musicale
dedicato al grande musicista amburghese occuperà
i giorni di mercoledì e di giovedì delle prime
tre settimane di giugno per l'esecuzione delle
Sinfonie e di tutti i Concerti solistici.
Direttori come George Pehlivanian, Donato
Renzetti e James Feddeck e solisti di fama
internazionale quali Julian Rachlin, Sergej
Krylov, Mischa Maisky, Louis Lortie e
Pierre-Laurent Aimard, si alterneranno sino al
24 giugno per questo "tutto Brahms". È un
festival importante anche perchè segna
finalmente il ritorno del pubblico in questa
storica sala milanese. I concerti verranno
sempre ripetuti: l'anticipazione del tardo
pomeriggio -ore 17.00- verrà infatti riproposta
nella prima serata alle ore 20.00, per dare la
possibilità d'ascolto ad un pubblico più
numeroso, viste le restrizioni imposte dalla
pandemia che limitano di molto
l'affluenza degli
spettatori. Ieri è stata la volta di un grande
virtuoso quale Julian Rachlin, diretto da George
Pehlivanian, per il Concerto in Re maggiore
per violino e orchestra op.77. Un capolavoro
di scrittura sinfonica e violinistica del 1878,
dedicato da Brahms al grande virtuoso di violino
ungherese Joseph Joachim, violinista che ha
personalmente curato la parte solistica ricca di
difficoltà tecnico-virtuosistiche. Pehlivanian,
prima del lavoro brahmsiano, in occasione della
Festa della Repubblica ha eseguito l'Inno di
Mameli. L'esecuzione dell'op.77 ha
trovato una direzione corposa e decisa, ben
rivelata nella valida interpretazione
dell'orchestra de I Pomeriggi. La rilevante
parte solistica di Rachlin è stata sostenuta con
determinazione e virtuosismo sia nell'ampio
Allegro non troppo iniziale che nei due
movimenti successivi, quello più meditativo
dell'Adagio e quello estroverso dell'Allegro
giocoso. Due i bis solistici concessi da
Rachlin al termine del programma ufficiale :
prima un valido Bach con la
Sarabanda
dalla Partita n.2 e quindi un eccellente Ysaye
con la Sonata n.3 "Ballade", brano che a
conclusione ha strappato fragorosi applausi,
decisamente meritati. Oggi, nell'anteprima
pomeridiana, I Pomeriggi, ancora diretti da
Pehlivanian, hanno ottimamente interpretato la
Sinfonia n.1 in do minore op.68, lavoro
di ampie proporzioni che Brahms terminò dopo
lunga gestazione nel 1876. La valida
interpretazione ascoltata ha trovato il momento
migliore nello splendido Allegro non troppo
del finale. Applausi sentiti. Prossimo
appuntamento per mercoledì 9 con Donato Renzetti,
Sergej Krilov e Mischa Maisky e il Doppio
concerto op. 102. Da non perdere!
3 giugno 2021 Cesare Guzzardella
Enrico Dindo
e I Solisti di Pavia per Serate Musicali
Da circa venti anni il
violoncellista Enrico Dindo dirige l'orchestra
d'archi I Solisti di Pavia, esprimendosi
oltre che nella direzione anche con il suo
prediletto strumento ad arco. Ieri sera, dopo
alcuni rimandi "causa covid", finalmente è
tornato sul palcoscenico
di
Sala Verdi in Conservatorio nel duplice ruolo di
direttore e di solista. Dindo prima d'iniziare
ha voluto ricordare l'Avv. Andrea Massimo
Astolfi, compianto presidente de I Solisti di
Pavia. L'impaginato prevedeva brani classici
di marcata valenza melodica, alcuni di questi in
trascrizione o orchestrazione per cello ed archi
fatte dallo stesso Dindo. Il bellissimo brano
Chant du Menestrel (1901) per violoncello ed
archi di Aleksandr Glazunov, ha felicemente
introdotto la serata rivelando da subito la
cifra stilistica ed espressiva dell'eccellente
violoncellista. Il suono dolce e vellutato, del
suo strumento, ricco di vibrato, è apparso di
notevole qualità sin dal primo breve ed intenso
lavoro. A seguire il Rondò per violoncello ed
archi (1891) di Antonin Dvorak ha proseguito
la serata. La felice orchestrazione di Dindo del
Requiem per tre violoncelli ed archi
(1891) di David Popper - compositore e
violoncellista boemo vissuto nel secondo
Ottocento- ci ha portato ad un lavoro di rara
esecuzione ma di ottima resa espressiva. Molto
bravi anche gli altri
due
solisti entrati in giocoin modo
determinante nel valido brano. Rientrato in
palcoscenico nel ruolo di direttore, Dindo ha
scelto poi la celebre Serenata per archi
di P.I.
Čaikovskij,
un
ampio lavoro cameristico del 1880 caratterizzato
da quattro movimenti d'immensa ispirazione e di
perfetta costruzione melodico-timbrica L'ottima
direzione operata da Dindo ci ha rivelato la
statura d'alto livello del gruppo d'archi di
Pavia, arrivato ad una tensione musicale di
notevole impatto emotivo sin dal primo movimento,
il profondo ed incisivo Andante non troppo,
seguito poi dal celebre luminoso Valzer.
Il programma ufficiale ha avuto una non breve
coda con tre brani per violoncello ed orchestra
eseguiti come bis. Il primo,
il
Notturno di Čaikovskij
trascritto dal russo dall'originale per
pianoforte op.19 n.4
; il
secondo, una trascrizione di Dindo del Cigno
dal Carnevale degli animali di C.
Saint-Saens ed in fine un'Ave Maria di
Piazzolla ancora egregiamente trascritta
per violoncello ed orchestra dal bravissimo
solista. Mirabili esecuzioni. Successo di
pubblico ed applausi meritatissimi.
1 giugno 2021 Cesare
Guzzardella
MAGGIO 2021
L'Orchestra d'Archi
dell' Accademia Teatro
alla Scala in Conservatorio per la Società
dei Concerti
Un programma eccellente
quello scelto da Francesco Manara e dai giovani
Archi dell'Accademia del Teatro alla Scala. Le
celebri Quattro Stagioni di Antonio
Vivaldi in alternanza alle stagioni di Astor
Piazzolla o meglio "Cuatro Estaciones
Porteñas", hanno intrattenuto il numeroso
pubblico intervenuto in Sala Verdi per oltre
settanta
minuti.
Non è certo la prima volta che vengono accostati
i due lavori composti intorno al 1725 dal
veneziano e tra il 1965 e il 1970 dall'argentino.
In anni recenti abbiamo ascoltato i due
capolavori dalla Sinfonica Verdi, dalla
Kremerata Baltica e addirittura dagli Archi dei
Filarmonici di Berlino. Ogni volta siamo rimasti
piacevolmente soddisfatti delle interpretazioni,
tutte valide anche se differenti nelle rese
coloristche. Francesco Manara, da moltissimi
anni violino di spalla dell'Orchestra del Teatro
alla Scala e ieri sera anche direttore, ha
trovato un ottimo equilibrio nelle scelte
adottate per definire al meglio i rispettivo
dodici
movimenti
che compongono i lavori. L'idea, certamente non
nuova, dell'accostamento delle rispettive
stagioni partendo dalla Primavera per
Vivaldi e dall'Estate per Piazzolla , ha
rivelato le differenze sostanziali tra i modi
compositivi dei due grandi musicisti, accomunati
nei due lavori dalle timbriche tipiche degli
strumenti ad arco. Piazzolla ha pensato bene di
ispirarsi alle stagioni vivaldiane inserendo,
nelle sue più brevi Estationes,
inserzioni ben riconoscibili del capolavoro
veneziano. La resa complessiva, ottima, ha
rivelato anche le qualità dei giovani
orchestrali scaligeri con punte di eccellenza
nelle prime parti dell'orchestra, spesso messe
in evidenza nei momenti più cameristici dei
brani. Grande successo al termine del programma
e due splendidi bis concessi con il celebre
Oblivion di Piazzolla e la ripetizione del
Presto finale dell' Estate
vivaldiana. Bravissimi tutti! Da ricordare.
27 maggio 2021 Cesare Guzzardella
Sono tornati i concerti
con pubblico
alle Serate Musicali con i Lonquich
Splendido il ritorno ai
concerti delle Serate Musicali. Sala
Verdi in Conservatorio ha visto un buon numero
di attenti spettatori al concerto di Alexander
Lonquich, di Tommaso Lonquich e di Irena Kav čič.
Rispettivamente pianoforte, clarinetto e
flauto
per
brani di ben sette compositori, con alternanza
degli strumenti a fiato e quasi
costante
presenza del pianoforte di
Alexander
Lonquich. Il primo lavoro, il bellissimo
Syrinx (1913) di Claude
Debussy, ha trovato il flauto in solitaria della
bravissima Kavčič. Luminosa e precisa la sua
interpretazione
per un lavoro particolarmente moderno e
anticipatore di atmosfere più recenti.
A questo brano è seguito
quello del secondo francese, Gabriel Fauré con
la Fantasia per flauto e pianoforte
(1898). L'ottima interpretazione ascoltata è
stata determinata da un sinergico intervento dei
due protagonisti con la parte pianistica di
Lonquich senior ben articolata nell'incedere
grintoso e molto preciso, con timbriche ricche
di sfumature. Di qualità i colori del sonoro
flauto della Kavčič.
Con il lavoro di F. Busoni e la sua Elegia in
mi bemolle (1920), è
entrato in scena il figlio d'arte Tommaso
Lonquich col suo splendido e timbricamente
corposo clarinetto. L'interpretazione del duo ha
avuto un'intesa perfetta. Perfezione ripetuta
poi negli altri lavori per pianoforte e
clarinetto.
Ricco
di colori il brano di Oliver Messiaen, Le
merle noir per flauto e pianoforte (1954)
reso in modo mirabile dalla flautista in
perfetta sintonia col pianista. Lavoro questo di
assoluta contemporaneità per ricerca coloristica.
Ancora autori francesi in programma, prima con
le note grintose e ricche d'armonia di Camille
Saint-Saens con la Sonata per Clarinetto e
pianoforte (1921) eseguita in modo
eccellente e poi i timbri eleganti e divertiti
di Francis Poulenc con la Sonata per flauto e
pianoforte (1957) interpretata con grande
fluidità. A conclusione del programma ufficiale,
un salto indietro nel tempo di oltre sessanta
anni dai lavori più recenti con la romantica
Sonata per clarinetto e pianoforte (1894) di
J.Brahms ha determinato al termine fragorosi
applausi dal pubblico. Finalmente il trio al
completo nei due bis concessi con l'eccellente,
rara e deliziosa Tarantella op.6 (1857)
di Saint-Saens, espressione di raffinata
costruzione melodica e armonica e a conclusione
un movimento lento e breve dalla Sonatina
op.85 (1935) del francese Florent Schmitt.
Splendido concerto, certamente da ricordare.
25 maggio 2021 Cesare Guzzardella
Musica e poesia
con Andaloro e Curci
in Conservatorio
L'interessante intreccio tra
letteratura e musica ha visto realizzazione nel
programma proposto dalla Società dei Concerti
e dai due interpreti che si sono alternati
sul palcoscenico di Sala Verdi in Conservatorio.
L'attore Angelo Curci ed il pianista
Giuseppe
Andaloro hanno trovato, in occasione del settimo
centenario dalla morte di Dante Alighieri, un
motivo di congiunzione dei rispettivi linguaggi.
Versi tratti dalle Rime, dalla Vita
Nova e dalla Divina Commedia sono
stati ottimamente recitati da Angelo Curci; a
questi si sono alternati brani eseguiti con
chiara e decisa esposizione dal pianista
siciliano. Il tema poetico della serata si è
rivelato anche nella scelta accurata e ben
strutturata operata da Giuseppe Andaloro: sue
trascrizioni pianistiche di madrigali a
cinque voci di Luca
Marenzio con Così nel mio parlar voglio
essere aspro e di L. Luzzaschi con Quivi
sospiri e anche su una breve trascrizione
dalla Cantata op.9 di Wolf-Ferrari dalla
dantesca Vita Nova e poi brani originali
pianistici quelli di H. von Bülow /F. Liszt,
Sonetto di Dante “Tanto gentile e tanto onesta”
e la celebre lisztiana “Après une
lecture
de Dante: Fantasia quasi Sonata”.
Andaloro,
interprete di fama internazionale - ricordiamo
la oramai lontana vittoria al Concorso
Internazionale Ferruccio Busoni- ha reso con
efficace chiarezza espressiva tutti i lavori,
domostrando ancor più il suo evidente
virtuosismo nell'ultimo lavoro proposto, quella
"Dante Sonata" di difficoltà trascendentale,
dove momenti di pacate e scure timbriche si
oppongono a sorprendenti arditezze digitali,
sostenute quest'ultime con apparente facilità,
per una resa interpretativa di grande qualità.
Dopo gli accorati applausi del pubblico
intervenuto, una non breve coda musicale si è
avuta con tre bis pianistici: un omaggio a
Franco Battiato, scomparso ieri, con il suo
profondo brano L'ombra della luce nella
breve, quasi estemporanea e riuscita
trascrizione di Giuseppe Andaloro; quindi un
brano di Sergej Rachmaninov da Francesca da
Rimini e una per finire una felice rara
trascrizione di Sergio Fiorentino dal noto
Widmung di Robert Schumann, eseguito con
grande sensibilità emotiva. Fragorosi applausi
dei presenti, purtroppo non numerosi. Da
ricordare.
20 maggio 2021 Cesare
Guzzardella
Maurizio Pollini
per il Festival
Milano Musica
Con la ripresa dei concerti
in presenza, è da poco iniziato il trentesimo
Festival Milano Musica. Ieri sera, nella
sala Verdi del Conservatorio milanese abbiamo
ascoltato Maurizio Pollini. L'interessante
impaginato, per la rilevanza
di brani del Novecento storico unitamente a
lavori romantici di Robert Schumann, ci ha
rivelato ancora una volta le sorprendenti
qualità del grande pianista milanese. Questo
concerto, dedicato a
Luciana
Pestalozza ed a Claudio Abbado, ha visto la Sala
Verdi relativamente al completo per le misure
imposte dalla pandemia. Nella prima parte della
serata le note di Pollini si sono espresse nei
lavori pianistici di Arnold Schönberg: prima i
Drei klavierstücke op. 11 e poi i
brevissimi Sechs kleine Klavierstucke op.19,
lavori datati rispettivamente 1909 e 1911.
Un'esecuzione impeccabile quella di Pollini,
giocata su contrasti coloristici sapientemente
dosati e d'intensa espressività. I lavori
atonali di Schönberg risentono ancora
parzialmente di un certa influenza brahmsiana, e
segnano un'importante svolta nella formazione di
un nuovo linguaggio. Pollini ha ben
interiorizzato ogni frammento discorsivo
restituendo sonorità di profondo impatto
drammatico e di esaustiva sintesi espressiva.
Il
successivo brano di Luigi Nono, ...sofferte
onde serene..., del 1976, era stato pensato
dal Maestro veneziano proprio per Pollini e
prevedeva oltre al pianoforte live, anche
una registrazione su nastro magnetico. Il
dialogo tra il pianoforte e la componente
pianistica pre-registrata dallo stesso Pollini,
unitamente alle timbriche elettroniche, sviluppa
un effetto suggestivo d'interazione tra le parti
in gioco. La regia del suono di André Richard e
l'esecuzione precisa live ben
sincronizzata con la componente registrata,
hanno determinato uno straordinario rapporto
discorsivo tipico dell'innovativo linguaggio di
Nono. Dopo un breve intervallo, il programma
schumanniano prevedeva prima l'Arabeske in do
magg. op.18 e quindi la Fantasia in do
maggiore op.17. Eccelso il Pollini
dell'Arabeske,
restituita con una luminosità sorprendente.
L'altrettanto celebre Fantasia ha trovato
Pollini convincente nella scelta interpretativa
complessiva, giocata su tempi ben contrastati e
spesso rapidi. Decisamente valido l'ultimo
movimento, Durchweh leise zu halten, di
pregnante resa espressiva. Applausi sentiti al
termine e continue uscite in palcoscenico di
Pollini ma nessun bis. Da ricordare.
17 maggio 2021 Cesare Guzzardella
Francesco Libetta
riporta il pubblico in Sala Verdi
Il Conservatorio milanese ha
finalmente riaperto l'attività concertistica col
pubblico in presenza. Ieri sera, in Sala Verdi,
per "La Società dei Concerti"
abbiamo assistito al
concerto pianistico di Francesco Libetta. Il
noto solista pugliese ha impaginato un programma
all'insegna della classicità interpretando
musiche di Weber, Chopin,
Beethoven
e Liszt. I posti limitati, circa quattrocento
quelli disponibili, erano al completo e
l'entusiamo dei presenti si è riscontrato in
modo evidente al termine della serata, serata
introdotta dalle parole di Enrica Ciccarelli,
Presidente e Direttore artistico della nota
società concertistica milanese. Il brano
introduttivo, di rara esecuzione, Invito alla
danza op.65 di C.M.v.Weber, ha evidenziato
da subito le qualità coloristiche
dell'interprete. Un lavoro questo di estrema
eleganza, all'insegna di un valzer brillante con
un inaspettato postludio finale. Una
serie di brani chopiniani hanno continuato la
serata. Prima i Tre valzer op.64, poi tre
Studi dall' op.25 ( n. 1-6-12),
quindi la nota Ballata n.1 in sol min. op.23.
Uno Chopin particolare quello di Libetta,
lontano dalle esecuzioni
entrate
nella storia, ma ricreato secondo un gusto
personale certamente non banale. Decisamente
apprezzabile la Ballata, per incisività e
coerenza. Con la Sonata n.8 in do min.op.13 "Patetica"
di Beethoven siamo rientrati nelle modalità
espressive più vicine ai gusti consolidati.
Libetta ha comunque personalizzato la celebre
sonata con un taglio intetpretativo
straordinario per chiarezza e coerenza
espressiva. I contrasti accentuati del primo
movimento, hanno dato un' immagine di forza e
vitalità degna del migliore Beethoven. Valido
anche l'Adagio centrale, eseguito con
andamento spedito ma molto chiaro ed espressivo.
Ancora di spessore il contrastato Rondò
finale. L'ultimo brano in programma era la
nota Parafrasi da concerto dal Rigoletto
verdiano, riassunto con eccelso vurtuosismo da
F. Liszt e interpretato splendidamente da
Libetta. Ancora una volta, e forse ancor meglio,
il virtuoso pugliese ha evidenziato le sue
attitudini per il grande compositore ungherese.
Una lezione di stile quest'ultimo lavoro,
delineata da una infinità tavolozza coloristica
ricca di luce. Lunghi e calorosi gli applausi al
termine e un bis concesso con un omaggio a
Milano: " Oh mia bela madunina" di
Giovanni D'Anzi completamente ricreata da
Libetta stesso, in una successione di timbriche
scure ma di grande vitalità espressiva. Calorosi
gli applausi. Concerto da ricordare!
13 maggio 2021 Cesare
Guzzardella
CONCERTO DI
INAUGURAZIONE DEL VIOTTI FESTIVAL ESTATE
La stagione estiva prenderà
ufficialmente il via domenica 16 maggio 2021
alle ore 18.00 nella Chiesa di Sant'Agnese, con
Guido Rimonda e il quintetto della Camerata
Ducale impegnati nell'atteso concerto di
presentazione.
Programma: Vivaldi Concerto
per violino e archi “Per la SS. Lingua di S.
Antonio da Padova”; Albinoni Concerto per
violino in do maggiore; Nardini Concerto per
violino in la maggiore. Ingresso libero.
Prenotazione obbligatoria scrivendo a
biglietteria@viottifestival.it
12 maggio dalla redazione
VERCELLI: 40 CONCERTI IN
QUATTRO MESI: È TORNATO IL "VIOTTI FESTIVAL"!
“La musica (ri)splende”:
è con questo slogan che il Viotti Festival di
Vercelli torna finalmente in contatto con il suo
pubblico, dopo oltre un anno dall'inizio
dell'emergenza Covid e la, purtroppo breve e
solo parziale, riapertura della scorsa estate. E
torna in grande stile: ben 40 concerti
programmati da maggio fino a settembre, in
location diverse (e, come si dirà, in alcuni
casi inedite), con grandi solisti internazionali
e il meglio delle nuove generazioni. Ma
soprattutto, con grandissimo entusiasmo: i
musicisti, con alle spalle un anno di abbandono
forzato
del
palcoscenico, non vedono letteralmente l'ora di
tornare a suonare dal vivo. Il che, naturalmente,
sarà garanzia di concerti straordinari. La
stagione estiva prenderà ufficialmente il via
domenica 16 maggio 2021 nella Chiesa di
Sant'Agnese in San Francesco, con Guido Rimonda
e il quintetto della Camerata Ducale impegnati
nell'atteso concerto di presentazione. Altro
appuntamento importante sarà il 3 giugno con
l’inaugurazione del nuovissimo Viotti Club.
Guido Rimonda e Cristina Canziani daranno il
benvenuto al pubblico in quello che sarà il
nuovo punto di riferimento per la musica a
Vercelli: la sede della Camerata Ducale in via
Ferraris, 14. Denominato Viotti Club per
sottolineare il desiderio di creare una comunità,
un senso di appartenenza tra coloro che tengono
alla musica e alla cultura, sarà uno spazio
aperto a tutti nel quale verranno organizzati
concerti, incontri, presentazioni e molto altro
ancora, in aggiunta a tutte le attività di
biglietteria e prenotazione legate al Viotti
Festival. A questo evento inaugurale seguiranno
molti altri appuntamenti di grande interesse,
come il concerto orchestrale di apertura,
dedicato al progetto Smile, Uno Stradivari al
cinema ospitato nell’Area ex Ospedale messa a
disposizione dall’Amministrazione Comunale, e i
6 appuntamenti con grandi solisti in cartellone
al Teatro Civico, tra i quali sono assolutamente
da segnare in agenda il concerto con Emmanuel
Tjeknavorian direttore e Giulia Rimonda al
violino, quello con la violinista Anna Tifu e
l'evento che vedrà protagonista uno dei più
grandi compositori e interpreti mondiali,
Giovanni Sollima. Ma il resto non sarà certo da
meno: nello splendido chiostro del Museo Leone
sarà possibile seguire i 4 concerti legati alla
VII edizione del Concorso Ducale.LAb, che premia
i migliori diplomati dei Conservatori piemontesi,
e, sempre al Museo Leone, gli appuntamenti della
serie Pianofortissimo in collaborazione con la
Società dei Concerti di Milano (gli artisti
inseriti fanno parte del prestigiosissimo Premio
Mormone). Da non perdere, poi, i 3 concerti con
la CDJ - Camerata Ducale Junior, formazione
under 25 nata dalla Camerata Ducale o ormai
diventata, in soli due anni, una realtà di
valore nazionale. La novità di questa stagione
sarà che i maestri preparatori, tutti solisti di
valore mondiale come il pianista Andrea
Lucchesini, il violinista Alessandro Milani,
spalla dell’Orchestra Nazionale della Rai di
Torino, il flautista Massimo Mercelli, non solo
seguiranno la preparazione del concerto, ma si
esibiranno insieme ai giovani musicisti.
Impossibile dimenticare, poi,
sia il tradizionale concerto del 1 agosto per la
festa patronale nella Basilica di S. Andrea, sia
gli eventi di spicco per il Viotti Day&Night, la
kermesse che per un intero fine settimana
riempirà di musica strade, piazze e palazzi di
Vercelli e di Fontanetto Po. Impossibile
dimenticare, poi, sia il tradizionale concerto
del 1° agosto per la festa patronale nella
Basilica di S. Andrea,
sia
gli eventi di spicco del Viotti Day & Night, la
kermesse che per un intero fine settimana
riempirà di musica strade, piazze e palazzi di
Vercelli e Fontanetto Po. Fiore all'occhiello
del Viotti Day & Night sarà, il 25 settembre, il
concerto del grande pianista jazz Danilo Rea. Un
concerto che, tra l'altro, sarà anche
l'occasione per avviare una nuova collaborazione:
quella con Raccolti Festival, la rassegna
culturale che per tre giorni animerà il chiostro
dell'ex monastero di San Pietro Martire. Con
questo appuntamento, quindi, due realtà
collaudate della cultura vercellese si
incontrano e collaborano, favorendo lo scambio
reciproco di relazioni e di competenze.
Ultimo ma non certo meno
importante, i ben 16 concerti organizzati
all'ora del tè nel nuovissimo
Viotti Club: un modo
simpatico e “leggero” per creare una vera,
positiva (ma sicura) aggregazione dopo tanti
mesi di forzato distanziamento sociale. La
rassegna non poteva che chiamarsi Viotti-Tea.
Dalla redazione 10 maggio
2021
APRILE 2021
UN ECCELLENTE
BACH PER ANDREA
BACCHETTI
Un monumentale Johann
Sebastian Bach quello ascoltato questa sera dal
teatro Carlo Felice di Genova con l'affermato
pianista ligure Andrea Bacchetti. L'impaginato
del
concerto
organizzato da GOG Giovine Orchestra Genovese,
prevedeva infatti il secondo libro del "Il
Clavicembalo ben temperato" opera del genio
tedesco conosciuta da tutti i pianisti che si
sono cimentati nello studio classico dello
strumento a tastiera. Bacchetti è uno
specialista di Bach. Ha tenuto decine di
concerti in Italia e nel mondo eseguendo
moltissimi dei capolavori bacchiani per tastiera.
Lo abbiamo ascoltato più volte nelle Goldberg,
nelle Suite francesi ed inglese, nel Concerto
Italiano e in molti altri celebri brani. Il suo
timbro chiaro e preciso ha sempre evidenziato
ogni
componente
melodica e contrappuntistica del grande
musicista. Anche nei noti Preludi e nelle Fughe
del secondo
libro
bachiano -ben ventiquattro- Bacchetti ha
rivelato le sue qualità interpretative. L'ottima
resa stilistica è emersa anche nella valida
ripresa audio-video e la composta gestualità del
pianista genovese ha ancora una volta trovato la
corretta ragione per un'eccellente espressività.
Consigliamo la visione del filmato che speriamo
rimanga per molto tempo tra i video di YouTube.
( le immagini sono ricavate dal video trasmesso).
Da non perdere la visione e l'ascolto!
12 aprile 2021 Cesare
Guzzardella
MARZO 2021
Un eccellente Mozart
per due pianoforti con Davide Cabassi e Luca
Buratto
Due pianoforti decisamente
speculari e delicati quelli di Davide Cabassi e
di Luca
Buratto
per un concerto tra i più belli e conosciuti di
Wolfgang Amadeus Mozart. Il concerto K.365 in
Mi bemolle Maggiore è stato eseguito il
giorno 19 scorso all'Auditorium di Milano ma la
registrazione di quell'ottimo streaming è
ancora presente in rete. L'Orchestra
Sinfonica di Milano "G. Verdi" era diretta
dal direttore palermitano Gaetano D'Espinosa
mentre i due pianisti milanesi, affermati
internazionalmente e spesso presenti nelle sale
da concerto di Milan o, hanno trovato una resa
stilistica analoga di eccellente livello.
Entrambi i solisti hanno vinto importanti
Concorsi Internazionali e il più giovane,
Buratto, ha avuto tra i suoi insegnanti
il meno giovane Cabassi. Segnaliamo oltre
all'ottima interpretazione del concerto
mozartiano da parte dei solisti e della
Sinfonica Verdi e alla valida direzione di
D'Espinosa, le ottime riprese video che, a causa
dello streaming e del bisogno di sopperire allo
mancanza del pubblico in sala, hanno subito
miglioramenti qualitativi straordinari. Si
consiglia la visone del concerto ancora presente
nel sito della Sinfonica Verdi. (Foto dallo
streaming)
23 marzo 2021 Cesare
Guzzardella
PRIMA USCITA DEL PROGETTO
“G.B.VIOTTI COLLECTION”
A CURA DI G. RIMONDA E DELLA
CAMERATA DUCALE
La Camerata Ducale comunica
la prima uscita del progetto editoriale
"Giovanni Battista Viotti Collection" curato da
Guido Rimonda per le Edizioni Curci in
collaborazione con CIDIM, Comitato Nazionale
Italiano Musica. Una iniziativa importante
lanciata allo scopo di pubblicare tutti i
concerti per violino e orchestra di G.B. Viotti,
ovvero la partitura e la riduzione per violino e
pianoforte per rendere finalmente disponibile
agli interpreti e al pubblico un prezioso
patrimonio musicale ancora in larga parte da
scoprire. Finalmente disponibile, dal 20 marzo
2021, neI negozi di musica e online sul sito
della Curci, il concerto n. 3 in La maggiore, il
primo scritto da Viotti, nel 1769, quando aveva
solo 14 anni.
23 marzo 2021 la Redazione
L' Orchestra Sinfonica di
Milano diretta da Jader Bignamini e la
violinista Francesca Dego
Bellissimo il concerto
trasmesso ieri sera in streaming dall'Auditorium
milanese con l'Orchestra Sinfonica di Milano "G.Verdi"
diretta da Jader Bignamini. In programma il
Concerto n.1 in la minore per Violino e
Orchestra op.77 di Dmitrij
Šostakoviç,
un
classico
della letteratura violinistica della prima metà
del '900. Solista, nel profondo concerto del
russo, la violinista lecchese Francesca Dego,
certamente tra le migliori interpreti presenti
sulla scena internazionale. I colori cupi della
lunga parte introduttiva del corposo lavoro,
sono emersi in toto dalle eccellenti timbriche
degli orchestrali della "Verdi" nella
dettagliata direzione di Bignamini, ed in
perfetta sintonia con il tocco intenso, preciso
e maturo della Dego. Francesca, ancora giovane
d'età, ha dimostrato in questa interpretazione
un' ulteriore maturità stilistica ed espressiva,
immergendosi
completamente
nei profondi colori del difficile e complesso
lavoro del russo. Dalle prime iniziali, lunghe e
drammatiche note solistiche è emersa la cifra
interpretativa della Dego, in sintonia con
un'orchestra che lei ben conosce per via della
collaborazione avuta in questi anni. Dopo lo
sconvolgente Notturno, un moderato
introduttivo, il più ritmico Allegro, uno
Scherzo in danza demoniaca decisamente
efficace ed orecchiabile, ha ravvivato il clima
sonoro. Con l'Andante del terzo movimento,
una coinvolgente
Passacaglia,
siamo ritornati alle timbriche più intense
che ci rammentano il periodo storico della
composizione, gli anni 1947-48, anni che
risentono ancora in modo evidente la tragedia
della guerra appena conclusa. Molto pregnante la
Cadenza sostenuta con espressione dalla
solista. L'ultimo movimento,
Burlesque:Allegro, ha nuovamente ravvivato
il lungo lavoro di
Šostakoviç,
rimarcando le qualità
della Sinfonica Verdi, della bravissima
violinista e di un direttore d'orchestra, Jader
Bignamini, che sta facendo un'importante e
straordinaria carriera internazionale anche come
direttore della Detroit Symphony Orchestra .
Bravissimi tutti! Splendido concerto! Si
consiglia l'ascolto presente nel sito della
Sinfonica Verdi! ( immagini prese dallo
streaming)
13 marzo 2021 Cesare
Guzzardella
FEBBRAIO 2021
La violinista Liza Ferschtman
per la Stagione Sinfonica della Verdi
Per la Stagione
2021 dell'Orchestra
Sinfonica Verdi di Milano, ieri
abbiamo ascoltato in streaming il notevole
Concerto per Violino e Orchestra di Benjamin
Britten, tra i massimi lavori del compositore
inglese, scritto sul finire degli anni '30 ed
eseguito negli Stati Uniti nel marzo del 1940
con la New York Philharmonic diretta da John
Barbirolli.
È un lavoro tonale tipico dello
stile di primo Novecento e molto caratterizzante
dei modi incisivi e profondi di Britten, modi
che spesso risentono della musica più lontana
nel tempo. La notevole parte violinistica,
sostenuta con efficace espressività dalla
solista olandese Liza Ferschtman, non esclude la
coralità di un lavoro che ha nella componente
sinfonica un altro elemento fondamentale.
L'Orchestra Sinfonica Verdi è stata diretta con
maestria da Claus Peter Flor e ha rilevato
ancora una volta di essere in grande sintonia
con la produzione musicale di
primo Novecento.
L'abile virtuosa Ferschtman ha rivelato
incisività finalizzata a profonda espressività,
anche nei passaggi più impervi, come nella
difficile Cadenza del primo movimento. Splendide
le sonorità cupe della nota Passacaglia e
di qualità la resa espressiva in ogni settore
orchestrale. Consigliamo l'ascolto in streaming
dell'importante brano accedendo gratuitamente
dal sito dell'Orchestra Verdi. Da non perdere ed
ascoltare attentamente! Se possibile fate una
donazione alla Verdi in questo difficile momento.
N.B. foto prese dal filmato in streaming).
13 febbraio 2021 Cesare Guzzardella
GENNAIO 2021
Importanti medaglie per la pianista
cosentina
Ingrid Carbone all'ultima edizione del
Global Music Awards
La
pianista cosentina Ingrid
Carbone è risultata vincitrice nell'importante
concorso musicale
Global Music Awards istituito in California
ed in totale indipendenza dalle linee di mercato
dominanti. È una competizione basata sul merito,
molto attenta alla presenza femminile. Numerose
infatti sono le donne premiate nelle categorie
del concorso. La nota pianista ha ricevuto ben
due medaglie per due recenti incisioni
discografiche - dischi recensiti anche nelle
pagine del nostro giornale -, e anche una
medaglia per una riuscita registrazione dal
vivo. I validi CD, editi da Da Vinci Classics,
sono dedicati a musiche di
Schubert e di Liszt, autori in sintonia
con il forte temperamento artistico
dell'interprete. Non possiamo che complimentarci
con Ingrid Carbone, interprete che mette ancora
una volta in primo piano la valente scuola
pianistica italiana nel più ampio contesto
internazionale.
27 gennaio 2021 C.G.
Al Teatro
alla Scala musica moderna e contemporanea
diretta da Carlo Boccadoro
in streaming
Anche il teatro alla Scala in
questo periodo pandemico, ha realizzato una
serie di concerti senza pubblico trasmessi in
streaming e destinati a migliaia di attenti
ascoltator i. Ieri sera, un
esaustivo concerto di musica moderna e
contemporanea ci ha permesso di accostarci ad
autori del secondo '900 e anche a compositori
viventi. Un'ampia ensemble scaligera
diretta da Carlo Boccadoro -anche compositore
con un suo brano in
programma
ci ha fatto accostare a linguaggi musicali
oramai consolidati con brani di Castiglioni,
Glass, Maderna, Montalbetti, Boccadoro, Pärt e
Reich. ( immagini estratte dalla diretta
streaming a cura del Teatro alla Scala).
Il Concertino per la notte di Natale di
Niccolò Castiglioni, opera prima del 1952 del
compositore milanese, ha introdotto la splendida
serata. L'impatto iniziale d' impronta
stravinskiana ha rivelato l'origine stilistica
di questo grande Maestro italiano, origine poi
evoluta in modalità stilistiche certamente più
personali è facilmente riconoscibili. Company,
lavoro del 1982 del compositore statunitense
Philip Glass, eseguito nella versione per archi
dall'originario quartetto d'archi, ci ha portato
nel
mondo
minimalista. È un brano apparentemente semplice
ma profondo nell'espressività. Probabilmente tra
i migliori dell'americano. Il terzo brano
eseguito , di Bruno Maderna, è stato Serenata
2 per 11 strumenti, un lavoro del 1954 di
stampo espressionista con riferimenti alla
seconda Scuola di Vienna. I singoli strumenti,
partendo da semplici enunciazioni tematiche si
mettono poi in relazione sino ad momento di
climax centrale, per ritornare poi alla
tranquillità individuale. Corpo in
controcanto, di Mauro Montalbetti(1969), è
un brano di circa 10 anni fa per orchestra
d'archi ispirato da una poesia di Flaviano
Pisanelli e caratterizzato da forti contrasti
nei vari registri timbrici e da interventi
d'intensa espressività
degli
archi solisti che formano un inglobato
quartetto.
Come polvere o vento di Carlo Boccadoro(
1963) è ancora un brano orchestrale di una
decina d'anni fa ispirato dalle poesie della
milanese Alda Merini. È in tre brevi parti con
un iniziale carattere lento e suggestivo che
ritorna nell'ultimo movimento, mentre la parte
centrale esplode in un'articolata carica
energetica particolarmente espressiva. Da
pacem domine è un breve lavoro del
compositore estone Arvo Pärt. Quattro minuti d'
intenso lirismo che esprimono una evidente pace
interiore nel suo singolare linguaggio musicale.
L'ultimo brano in programma è stato un lavoro
del 2016 di Steve Reich concepito per un
balletto denominato Runner. Il grande
minimalista statunitense, oggi ottantaquatrenne,
ha prodotto un lavoro ritmico ma anche
particolarmente ricco di luminosità espressiva.
Ottima sia la precisa direzione di Boccadoro che
l'interpretazione degli scaligeri in ogni
sezione strumentale. Da ricordare.
16- 01- 2021 Cesare
Guzzardella
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