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DICEMBRE 2018
Splendido Concerto
di Natale alla Scala
diretto da Diego Fasolis
Una direzione orchestrale che
sa di "antico e moderno" quella di Diego Fasolis,
l'eccellente direttore in piedi davanti al suo
clavicembalo mentre dirige l'Orchestra della
Scala
nel bellissimo Concerto di Natale.
L'impaginato prevedeva Vivaldi e Mozart con il
Coro preparato splendidamente da Casoni e
cantanti, da uno a cinque, tutti bravi! Dopo il
breve ed efficace Concerto in sol minore RV
157 di Vivaldi, è entrata sul palcoscenico
in blu intenso il soprano Rosa Feola per
il Mottetto per soprano, archi e basso continuo
O qui Coeli Terraeque Serenitas RV 631,
ancora di Vivaldi. Voce splendida quella della
Feola, corposa ed intonatissima in ogni
registro. Nel Magnificat Ossecensis RV 610
sempre del Prete rosso, insieme alla Feola
son saliti sul palcoscenico Anna Doris
Capitelli, soprano, Elisabeth Kulman,
mezzosoprano,
Mauro Peter, tenore e Gianluca Buratto,
basso.
Tutti
bravi con Buratto con voce intensamente corposa.
Ininterrottamente, senza pausa, siamo arrivati a
Mozart con la Messa in do magg.
-Krönungsmesse- K.317 per quattro solisti,
coro e orchestra. Ottime le quattro voci -senza
Capitelli- e splendida la resa corale. Applausi
interminabili e per finire un pacato e autentico
Ave Verum Corpus K.618 per Coro,
orchestra e organo, intensamente profondo.
Splendido tutto. Un concerto natalizio da
ricordare!
23- 12- 2018 Cesare
Guzzardella
UN’OPERA PRIMA DI
GIAMPAOLO TESTONI AL COCCIA DI NOVARA
Lottando eroicamente contro
una situazione finanziaria che proprio in questi
giorni si è scoperta più difficile di quanto
s’immaginasse, lo staff che amministra e dirige
il Teatro Coccia si sforza di proporre ai
novaresi un programma che, almeno per quanto
riguarda il versante musicale, unisca alle
esigenze di risparmio, quelle, altrettanto
irrinunciabili, di un’offerta quantitativamente
e qualitativamente degna della storia e della
tradizione del più importante teatro piemontese
(inaugurato, non dimentichiamolo da Toscanini…)
dopo il Regio di Torino, Tra le iniziative che
caratterizzano la programmazione della sala
novarese da qualche stagione c’è l’esecuzione in
prima assoluta di un’opera lirica composta
appositamente
per il Coccia da un autore italiano
contemporaneo: quest’anno, e precisamente ieri
sera Venerdì 21/12, è toccato al compositore
milanese Giampaolo Testoni, con due atti unici,
ispirati a due novelle del grande scrittore
romantico francese A. De Musset. I due atti,
della durata di un’ora e mezza circa ciascuno,
recano come titolo il nome dei due rispettivi
protagonisti: “Fantasio” e “Fortunio”. Lo
spettacolo è stato coprodotto dalla Fondazione
Teatro Coccia e dall’ungherese Bartòk Plusz
Operafesztivàl. Tutto ungherese l’organico
responsabile della realizzazione: il regista e
scenografo Andràs Almàsi-Toth, la Hungarian
State Opera Orchestra, a organico ridotto a
dimensioni quasi cameristiche (dodici
strumentisti, tra archi, fiati, percussioni e
pianoforte) col suo direttore stabile Balàzs
Kocsàr, l’intero cast dei cantanti. Orchestra e
direttore li avevamo già apprezzati pochi giorni
fa (vedi articolo del 18/12). Testoni,
nell’occasione autore non solo della musica, ma
anche del libretto, è stato, nei primi anni ’80,
uno degli alfieri della reazione alle
avanguardie musicali del ‘900, capofila del
movimento c.d. “neoromantico” , inteso a
recuperare quei principi del linguaggio musicale
di cui l’avanguardia si era sbarazzata forse con
eccessivo radicalismo: la tonalità, lo sviluppo
melodico del tema, in generale un linguaggio
musicale “comunicativo” ed espressivo e non
elitariamente chiuso alla comprensione di un
pubblico che non fosse di sofisticati
specialisti. Presentando la sua opera ieri sera,
Testoni, con un giudizio a nostro parere un po’
discutibile, ha liquidato lo sperimentalismo
post Darmstadt come una palestra di bolse
mediocrità.
Due
sono i modelli cui l’autore milanese guarda come
riferimenti imprescindibili per una musica che
voglia uscire dalle secche dell’avanguardismo:
R. Strauss e lo Stravinskij neoclassico.
Ascoltando ieri la sua musica, oltre ai due nomi
citati, non era difficile riconoscere anche
tracce di Prokofiev e del Berg più lontano da
Schonberg e da Webern. E’ dunque, quella di
Testoni, una musica incardinata solidamente sul
sistema tonale, con costruzioni melodiche che
poggiano su un saldo contrappunto, peraltro
alleggerito e illimpidito da una costante
valorizzazione dei colori timbrici. La scrittura
per le parti vocali tende generalmente a un
declamato, che non esclude peraltro parti più
squisitamente liriche, nella forma di veri e
propri numeri chiusi di ottocentesca memoria,
come canzoni e romanze, presenti soprattutto
nella seconda anta del dittico, “Fortunio”.
Quello che a nostro avviso ha funzionato poco
ieri sera è stato il punto nevralgico del
rapporto musica-situazione scenica: La musica,
capace di ottenere effetti timbrici e melodici
talora suggestivi, sembrava però totalmente
staccata da quanto avveniva sulla scena,
incapace di creare musicalmente personaggi e
situazioni. Nel libretto di sala, l’autorevole
presentazione di Paolo Isotta, che firma il
saggio di analisi di “Fantasio e Fortunio”,
parla di ‘parola scenica’, di verdiana memoria,
che francamente abbiamo avuto difficoltà a
riconoscere. Così come siamo in difficoltà a
seguire il discorso dell’altro coautore del
programma di sala, Marco Gatto, quando
ossimoricamente parla, a proposito della musica
di Testoni, di “un’anacronista che guarda al
futuro”: pur riconoscendo che quella di Testoni
non è (quasi) mai banale musica” neomelodica”,
francamente, non vediamo quale futuro possa
aprire questo linguaggio musicale, quali nuove
idee, o prospettive di ricerca, almeno in nuce,
dischiuda. Poco convincenti sono anche state la
regia e la scenografia di Almasi-Toth. I due
atti hanno come tema centrale il carattere
fuggevole, fragile e illusorio dell’amore, più
specchio nel quale uomini e donne proiettano
narcisisticamente il proprio ego, che reale
rapporto e intesa tra individui. I due
protagonisti, Fantasio e Fortunio, si
distinguono dagli altri personaggi, generalmente
ottusi e volgari, perché capaci di amare in modo
autentico, di concepire l’amore come dono di sé
alla donna, spinto sino alla devozione, ma
condannato a restare un sogno, una fantasia, che
, al massimo, può spingersi sino ad un delicato
bacio alla propria dea. La donna , entrando in
contatto con questi personaggi “diversi” ne esce
turbata, ma in entrambi i racconti la vicenda
resta sospesa nell’ambiguità, non ha una
soluzione definitiva, realtà e sogno non possono
incontrarsi. Almasi-Toth ha creato una
scenografia identica per entrambi gli atti,
elementare e un po’ banalotta: al centro del
palcoscenico una sorta di piccola scena teatrale
(teatro nel teatro?), chiusa da un tendaggio
rosso, nella quale entravano e uscivano i vari
personaggi, trovandosi circondati da specchi su
cui si proiettavano le loro immagini. Intorno a
questo apparato, qualche pianta di plastica, ad
evocare il giardino della casa di Giacometta nel
“Fortunio”. Per il resto, nulla di significativo
da segnalare nella caratterizzazione e nei
movimenti dei cantanti. Decisamente meglio
questi ultimi. Le parti dei trasognati
protagonisti, Fortunio e Fantasio erano
attribuite al mezzosoprano Gabriella Balga, che
il programma di sala ci presenta come una
cantante di gran successo attualmente in
Ungheria: ha sicuramente una voce ben impostata,
buoni acuti con timbro limpido, ma è un po’
debole nelle zone centrali della tessitura.
Valida la prestazione canora e interpretativa
del basso Géza Gàbor (Il re in Fantasio e Andrea
in Fortunio), dalla vocalità densa e voluminosa,
e del soprano Zsòfia Nàgy, soprattutto nella
parte di Giacometta nel Fortunio, ove ha messo
in evidenza una tessitura ottimamente calibrata
in tutta la sua estensione. Tra le altre,
numerose, parti di fianco segnaleremmo il
giovane baritono Zsolt Haja, un ottimo
Clavaroche nel Fortunio: bella voce, dalle dense
sfumature brunite, capace di sgranare con
efficacia il fraseggio grazie a un buon
controllo delle dinamiche. Complimenti , poi, a
tutti i cantanti per il loro italiano, dalla
pronuncia pressoché impeccabile. L’orchestra
ungherese e il suo direttore hanno confermato le
qualità di suono e accuratezza nella resa
timbrica e dinamica già dimostrate nel concerto
di martedì. Per essere una serata fuori
abbonamento e di musica contemporanea, il
pubblico era abbastanza numeroso: alla fine ha
tributato un prolungato applauso, a dimostrare
il suo gradimento per lo spettacolo.
22 dicembre 2018 Bruno Busca
La Camerata Ducale il
26 dicembre al Teatro Civico di Vercelli
Il concerto “Come se”
avrà luogo mercoledì 26 dicembre 2018 alle ore
21 presso il Ridotto del Teatro Civico di
Vercelli. Protagonisti: l' Ensemble Camerata
Ducale con Guido e Giulia Maria Rimonda, violini
solisti. La serata è dedicata alla memoria di
Ezio Candellone. In programma musiche di J.S.
Bach.
22 dicembre dalla redazione
Mario Brunello e
Gidon Kremer in un concerto mahleriano
Un concerto molto
interessante quello ascoltato ieri sera in
Conservatorio per Serate Musicali. La
Kremerata baltica di Gidon Kremer ha trovato
un ospite speciale nel violoncellista/direttore
Mario Brunello e interventi fondamentali con la
violista Kristina Anuseviciute, con il pianista
Michail Lifits e con la giovanissima voce bianca
Freddie
Jemson.
Un impaginato con tutto Mahler per tre lavori di
efficace resa musicale: il giovanile
Quartetto in la minore per pianoforte ed archi,
l'Adagio dalla Sinfonia n.10 per
l'arrangiamento di Hans Stadlmair e, dopo il
breve intervallo, la Sinfonia n.4 ( arr.
cameristico di Klaus Simon ) con l'intonatissima
voce bianca del tredicenne Jemson al
 posto
della voce di soprano cui siamo abituati. La
resa complessiva, di ottima qualità ha rivelato
ancora una volta strumentisti affiatati di primo
livello come quelli della Kremerata.
Particolarmente pregnante il Quartetto con il
trio d'archi Kremer-Anuseviciute-Brunello, tutti
eccellenti, coadiuvati dall'ottimo Lifits al
pianoforte. Di particolare coinvolgimento
emotivo l'Adagio della Decima qu i
eseguita con 21 strumenti ad arco perfettamente
organizzati, con violini e viole in piedi.
Un'interpretazione di eccellente
qualità
con parti solistiche ben suddivise e molto
espressive.
Per la celebre Sinfonia mahleriana abbiamo
trovato alla direzione della compagine
orchestrale Mario Brunello. L'esecuzione, con
organico ridotto, ha messo in risalto tutte le
peculiarità
cameristiche del lavoro evidenziando
maggiormente i numerosi interventi solistici.
Splendido il terzo movimento, Poco adagio,
e l'ultimo, Molto comodamente "La vita
celeste", con l'intervento vocale di Jemson
commovente per espressività e bellezza timbrica.
Applausi interminabili a Brunello , alla eterea
Voce bianca e a tutti gli orchestrali. Ritorno
sul palcoscenico di Kremer per un originale bis
con Brunello, Voce bianca e Kremerata con una
variante moderna di Alfred Schnittke del celebre canto di Natale
Stille Nacht, brano composto dall' austriaco
Franz Xaver Gruber nel 1818
e ora rivisitato per una suggestiva restituzione
volutamente "stonata" ma di efficace
espressività. Un concerto da ricordare a lungo!
21 dicembre 2018 Cesare
Guzzardella
Una interessante lezione-concerto su
Dmitri
Shostakovich
in Conservatorio
La
Società
dei Concerti oltre
ad organizzare le frequentatissime serate
musicali che tutti conosciamo si adopera ad
iniziative mattutine molto interessanti anche
dal punto di vista didattico e culturale a più
ampio spettro. Questa mattina una "lezione
concerto"
tenuta dal critico musicale Sandro
Cappelletto, per l'occasione anche voce
recitante, ha visto sul palcoscenico di Sala
Verdi il Quartetto Adorno per interpretare il
Quartetto n.8in do min.op110 di Dmitri
Shostakovich.
La lezione denominata "Musica, sofferenza e
libertà"
ha messo in risalto la
figura del grande musicista russo-sovietico nei
contesti storici-musicali che hanno interessato
un difficile e contraddittorio periodo storico.
Alternando spiegazioni ad
esempi musicali e quindi l'esecuzione completa
dello splendido quartetto d'archi con inserzioni
recitate su
Šostakovic, la mattina è trascorsa rapidamente
ed il pubblico formato da adulti, giovani
studenti e allievi del vicino Istitut0
Omnicomprensivo Musicale ha dimostrato grande
interesse rivolgendo poi interessanti
domande a
Cappelletto ed ai componenti del quartetto. Il
Quartetto Adorno ha interpretato ottimamente il
celebre brano cameristico dimostrando
ancora una
volta qualità di primo livello che lo
inseriscono tra le migliori giovani formazioni
presenti sulla scena italiana ed europea.
Ricordiamo i nomi dei componenti del quartetto
con Edoardo Zosi al violino, Liù
Pelliciari, violino, Benedetta Bucci,
viola
e Danilo Squitieri al violoncello.
Operazione perfettamente riuscita che
avrà un seguito con ulteriori incontri mattutini
organizzati dalla società concertistica.
19-12-2018 Cesare Guzzardella
ROSSINI E BEETHOVEN
SI INCONTRANO A NOVARA
E’ altamente probabile che il
‘mitico’ incontro tra Rossini e Beethoven a
Vienna nel 1822, raccontato in diverse e
contraddittorie versioni dallo stesso Rossini,
non sia mai realmente avvenuto, come affermato
dal critico musicale Alberto Mattioli nella
presentazione del concerto tenutosi ieri sera
18/12 al Teatro Coccia di Novara, nell’ambito
della stagione sinfonica della sala novarese.
Tuttavia i due geni della musica si sono almeno
incontrati appunto a Novara ieri sera in un
concerto il cui programma, piuttosto singolare,
proponeva nella prima parte composizioni
rossiniane, nella seconda, dopo l’intervallo, la
Terza Sinfonia di Beethoven. A eseguire il
programma una delle più antiche orchestre
d’Europa, fondata nel 1838, la Hungarian State
Opera Orchestra, diretta dal maestro Balàsz
Kocsàr, suo attuale direttore stabile.
L’antologia rossiniana prevedeva composizioni
arcinote, come le Sinfonie d’opera dall’Italiana
in Algeri, dalla Cenerentola, dal Barbiere di
Siviglia, e una meno celebre e di piuttosto
infrequente
esecuzione,
la Sinfonia in Re o Sinfonia di Bologna,
composta nel 1808, frutto ancora immaturo, in un
unico tempo, di un Rossini sedicenne, benché in
esso già affiorino i primi scatti di quella
trascinante energia sonora che sarà poi del
Rossini maturo. L’orchestra magiara è stata una
delle migliori ascoltate negli ultimi tempi a
Novara. Il suono è quello della miglior
tradizione austro-tedesca, che più che alla
cantabilità si affida alla solida quadratura dei
volumi sonori, alla perfetta integrazione dei
registri timbrici, alla resa precisa dei valori
agogico-dinamici. Questo tratto era
plasticamente espresso dal gesto stesso di
Kocsàr, che dirigeva senza bacchetta, con ampi e
solenni gesti delle mani e un movimento molto
articolato delle dita, a scandire i fraseggi, le
cavate degli archi, il ritmo dei pizzicati e
degli staccati Per questo ovvio motivo, e
naturalmente anche per l’eccelso livello
estetico della partitura, è nella parte “beethoveniana”
del concerto che L’Hungarian Orchestra ha dato
il meglio. Fin da subito gli ascoltatori sono
stati proiettati, dalla potenza dei raddoppi
d’ottava dei fiati e dall’energia degli archi
(superbi in particolare viole e violoncelli), in
un mondo sonoro di straordinaria densità, che è
poi la novità rivoluzionaria della terza
sinfonia del grande di Bonn. Soprattutto ci è
sembrato che la direzione di Kocsàr mirasse a
evidenziare una divisione dell’orchestra in due
granitici “blocchi” (archi e fiati),
giustapposti l’uno all’altro, quasi
reciprocamente indipendenti, come due orchestre
distinte, anticipando una tecnica che poi sarà
quella, ad esempio, dell’Allegretto della
Settima. I timbri si esaltano reciprocamente,
senza che nessuno dei due ceda all’’altro.
Intendiamoci: questo è proprio uno dei tratti
essenziali del nuovo sinfonismo beethoveniano,
ma raramente l’abbiamo avvertito così accentuato
come nel concerto di ieri sera. Niente bis,
nonostante i prolungati applausi del non
numeroso pubblico presente. L’Orchestra
ungherese e il Maestro Kocsàr, saranno di nuovo
al Coccia dopodomani, venerdì 21/12, per la
prima assoluta di un’opera del compositore
milanese G. P. Testoni. Vedremo come se la
caverà questo nobile complesso con una musica
che certo non rientra nel suo repertorio.
19-12-2019 Bruno Busca
Due pianisti
per Beethoven alle Serate
Musicali
Un programma tutto
beethoveniano ha caratterizzato il bellissimo
concerto ascoltato ieri sera in Conservatorio.
Tre titoli, tutti importanti, per una giovane
orchestra come
l'italianissima
"Orchestra
Sinfonica
Schönberg" - il nome potrebbe essere
fuorviante- diretta da Alessandro Travaglini;
due i pianisti, in ordine di apparizione, Enrico
Pompili e Zlata Chochieva. Il primo brano
capolavoro, l'Ouverture in fa minore op.84
"Egmont", ha introdotto dignitosamente il
concerto. Due i capolavori pianistici,
prima
il Concerto in sol magg.op.58 n.4 poi
quello in mi bem.magg.op.73
n.5
"Imperatore" . Ottime le performance dei due
solisti. Pompili, dal tocco delicato e sfumato
ma attento, preciso ed articolato, ha un'idea
del concerto più gentile e aggraziato,
lontana forse da quella che poteva essere la
forza espressiva scultorea del genio tedesco; la
Chochieva ha un approccio diverso, più netto,
tagliente, deciso ed altrettanto articolato e
preciso, forse più in linea con le
caratteristiche del grande Maestro, e
soprattutto con le caratteristiche del
concerto
"Imperatore", che già dalla titolazione dice
molto. Entrambi gli interpreti, nelle evidenti
differenze di stile, ci sono piaciuti, con un
valore aggiunto per il bis di Pompili ed
il suo Etincelles di Moszkovski, eseguito
splendidamente con fluidità inarrivabile. Ma
anche il bis della bella e bravissima Chochieva
l'abbiamo molto apprezzato: una trascrizione del
grande pianista Friedman
del celebre Siciliano di J.S.Bach,
trascrizione a mio avviso leggermente inferiore
per bellezza a quella più celebre del grande
pianista W. Kempff. A conclusione un bis
orchestrale ottimamente eseguito con la più nota
delle Danze ungheresi di Johannes Brahms.
Splendida serata e fragorosi
applausi in una Sala Verdi con molto pubblico.
Da ricordare!
18 dicembre 2018 Cesare
Guzzardella
Giuseppe Grazioli
dirige la Sinfonica Verdi in un programma
"siciliano"
Da molti anni il direttore
d'orchestra Giuseppe Grazioli si adopera in
esecuzioni di raro ascolto e soprattutto
mettendo in rilievo il repertorio un po'
dimenticato dei musicisti italiani di primo
'900. Ieri, partendo dalla celebre Ouverture
verdiana de I Vespri Siciliani, eseguita
in modo eccellente, abbiamo ascoltato anche
musiche di Casella,
Rota
e Marinuzzi.
Comune
in tutti i lavori il riferimento alla Sicilia.
Di Alfredo Casella (1883- 1947) è stata eseguita
la Suite Sinfonica dal balletto La
giara, una serie di brevi brani legati al
folclore siciliano, in uno dei quali la limpida
voce fuori scena del tenore Denys Pivnitskyi
canta in dialetto stretto la storia della
fanciulla rapita dai pirati. Gli influssi
antichi e neoclassici della scuola
stravinskijana e le melodie italiane emergono in
questo lavoro ottimamente orchestrato da Casella
ed eseguito con maestria dalla Sinfonica Verdi
per l'ottima direzione di Grazioli. Da Casella
al milanese Nino Rota
(1911-1979) ci spostiamo di circa trent'anni per
età del compositore e di
quaranta
per anno di composizione per ascoltare la
Suite Sinfonica da Il Gattopardo,
celebre film di Visconti dal romanzo di Tomasi
di Lampedusa. La maestria compositiva e timbrica
in Rota emerge in tutti gli otto movimenti che
compongono la suite e Grazioli
è bravissimo nella direzione di un compositore
di cui è specialista avendo
diretto un'ingente quantità di lavori. La
Suite Siciliana di Gino Marinuzzi (
1882-1945) ci ha rilevato un valido compositore,
ottimo orchestratore e decisamente mediterraneo
nei riferimenti
melodici.
La bellissima suite parte da una riuscita
Leggenda di Natale per arrivare ad uno
splendido quarto movimento con la Festa
popolare nel quale unisce melodie
folcloristiche del sud-Italia ad un sapiente ed
interessante uso delle timbriche orchestrali.
Marinuzzi è un musicista poco conosciuto che
merita rivalutazione e frequenti esecuzioni.
Applausi fragorosi al termine del programma
ufficiale e un bis eseguito in modo eccellente
con celebri momenti melodici da Cavalleria
rusticana di Pietro Mascagni. Un altro
omaggio alla Sicilia. Da ricordare.
17 dicembre 2018 Cesare
Guzzardella
Il duo
Scacchi-De Gregorio a Novara
Il Conservatorio G. Cantelli
di Novara ha proposto ieri, 15/12, nell’ampio
ciclo dei suoi appuntamenti del sabato
pomeriggio, un concerto per violoncello e
pianoforte, interamente impaginato su
composizioni di autori russi, dall’800 ad oggi.
Il programma prevedeva la sonata in do magg.
op.119 di Prokofiev (pare che la parte per
violoncello si debba prevalentemente
all’allora-1951- astro nascente Rostropovic, cui
l’opera è dedicata), la Danse orientale op.2 n.2
di un Rachmaninov diciannovenne, Nearly Waltz e
Burlesque dell’estroso contempotaneo ucraino N.
Kapustin (n.1937) un immancabile Ciajkovskij,
con il Notturno in re min. op.19 n.4. Al
violoncello era Andrea Scacchi, un recente
passato di primo violoncello alla Verdi di
Milano e di secondo violoncello alla Scala,
mentre al pianoforte sedeva
Luca
De Gregorio, con intensa attività concertistica
da solista e in formazioni da camera in giro per
il mondo e qualche significativa affermazione in
importanti concorsi. Entrambi sono da anni
apprezzati docenti dei rispettivi strumenti
presso il Conservatorio novarese. Il primo pezzo
in programma, e senz’altro il più rilevante, la
sonata di Prokofiev, ha subito messo in risalto
le qualità dei due interpreti: ottima intesa
nella dialettica strumentale, tocco preciso, a
tornire le note sia nella più effusa cantabilità
del primo tempo, tra i pezzi più melodiosi che
Prokofiev abbia scritto, sia nel complesso
disegno costruttivo del finale Allegro ma non
troppo, ove, soprattutto al violoncello, si
richiede di affrontare difficoltà tecniche non
alla portata di tutte le dita. Nel complesso, in
questa composizione di Prokofiev, lontana dal
martellante percussivismo delle sue opere più
caratteristiche, come nella Danse di Rachmaninov
e nel Notturno di Ciajkovskij, Scacchi e De
Gregorio hanno dato prova di dominare un tipo di
fraseggio fluidamente melodioso, ricco di
ombreggiature dinamiche e di piani sonori
delicati e sfumati. Con le due composizioni di
Kapustin il duo novarese ha sfoderato un’altra
“personalità “: Kapustin è ampiamente
influenzato dal jazz, di cui riproduce abilmente
la ritmica e una certa aria di improvvisazione
che sembra improntare ogni battuta. Ne
scaturisce una musica dai ritmi indiavolati, con
una forte vena di ironia, soprattutto nel Nearly
Waltz, il cui elemento ispiratore di fondo è
tutto in quel ‘nearly’ (quasi), estrosa
rivisitazione in chiave jazzistica di una delle
forme di danza più classiche della musica
europea dal primo ‘800 in poi. Qui il tocco dei
due interpreti, abbandonata ogni delicatezza
melodica, ha sgranato le note con metallica
lucidità, incidendole con sicurezza e precisione
anche nei passaggi più vorticosi e armonicamente
complessi. Bel tocco, tecnica impeccabile,
ottimo fraseggio: queste le virtù con cui Scacci
e De Gregorio hanno ottenuto l’unanime consenso
del numeroso pubblico che affollava la platea
della sala Olivieri del Cantelli. Un altro bel
pomeriggio di musica offerto da una delle più
importanti istituzioni musicali della città
piemontese.
16 dicembre 2018 Bruno Busca
Gianni
Schicchi al Teatro Coccia
di Novara
Non siamo
riusciti ad accertare se il “Gianni Schicchi”
della stagione 1927-28, riportato nell’elenco
dei programmi delle prime stagioni del Coccia
che campeggia nell’atrio del teatro, sia stata
l’ultima rappresentazione novarese dell’atto
unico pucciniano. Certo è che da molto tempo il
trittico del Maestro lucchese, integrale o nei
suoi singoli tasselli, era scomparso dalla più
importante sala della città piemontese. Il
Gianni Schicchi vi ha fatto ritorno ieri sera,
venerdì 14/12, in una produzione curata dalla
Fondazione Teatro Coccia, con la regia di Davide
Garattini e l’Orchestra del Teatro Coccia.
Direttore e cantanti, a parte il baritono
Federico Longhi nella parte dell’eponimo
protagonista, sono stati selezionati dopo una
serie di prove durate circa due mesi,
dall’Accademia di perfezionamento in canto
lirico e
direzione
d’orchestra dello stesso Coccia. Si è trattato
di una rappresentazione ben curata e di più che
dignitosa qualità artistico-musicale, che alla
fine ha strappato un lunghissimo applauso al
folto pubblico che affollava platea e palchi. La
regia, anzitutto: Garattini ha ambientato la
vicenda in un interno “d’epoca” evocato con
pochi elementi essenziali, in cui un ruolo
centrale occupa la bara ove giace Buoso Donati.
Intorno a questa si muovono, abbigliati con bei
costumi medievali confezionati da Silvia Lumes,
i numerosi personaggi, parenti e amici del
morto, in un moto incessante, febbrile, ai
limiti del grottesco, che è la cifra essenziale
della scelta registica di Garattini: intorno al
morto e al suo testamento si muove una piccola
folla di meschini e avidi eredi, che dietro
l’ipocrita maschera del compianto per il
defunto, nascondono a stento il loro unico, vero
interesse: entrare in possesso del testamento,
che nomina erede universale del ricco patrimonio
di Buoso un convento di frati. Ad accentuare il
colore grottesco dell’insieme è la scelta, da
parte di Garattini, di trasformare il “cadavere”
di Buoso in una sorta di burattino, che si
muove, gesticola, sembra voler interloquire coi
vivi che gli vorticano attorno, sottolineandone
lo squallore e la misera furbizia dell’inganno,
cui invano ricorrono per alterare il testamento.
E’ una muta maschera umoristica ottimamente
interpretata da Paolo Lavana del gruppo milanese
“Quelli di Grock”. La parte musicale sostiene
molto bene questa impostazione registica. Il
direttore, il giovane e abbondantemente chiomato
Nicolò Jacopo Suppa, è abile nel gestire un
ritmo secco, tagliente, fatto di ostinati, di
echi di fox-trot, con continuo intervento delle
percussioni. I tempi scelti da Suppa sono in
generale abbastanza lenti, in un efficace
contrasto con il moto perpetuo del palcoscenico:
nella buca è la voce ora livida ora beffarda
della morte a parlare, mentre sul palcoscenico
impazza il vano affaccendarsi degli umani.
Intelligente anche la scelta di introdurre
l’atto unico con una famosa composizione
strumentale di tema “funebre” di Puccini: “
Crisantemi”, nell’originale per quartetto
d’archi, qui ovviamente in versione orchestrale.
Il tono mesto, di morbida malinconia
tardo-romantica di questo brano d’apertura,
contrasta violentemente con l’attacco
dell’opera, dal ritmo e dall’armonia che,
rispetto al flusso melodioso di quanto precede,
possono evocare uno sghignazzo crudele, che
svela brutalmente, all’alzarsi del sipario, cosa
si nasconda realmente dietro l’ipocrisia
dell’omaggio al defunto. Valide le prestazioni
delle parti vocali, sia sotto il profilo
prettamente musicale, sia sotto quello
drammaturgico. Ci limitiamo ai ruoli principali,
perché l’elenco delle parti di fianco è davvero
lunghissimo. Un bravo, anzitutto a Longhi, un
buon Gianni Schicchi, dalla voce baritonale ben
timbrata, con fraseggio sciolto e fluido su
tutti i registri, capace di una vena umoristica
perfettamente adatta alla situazione. Buona voce
tenorile quella di Mauro Secci, Rinuccio, densa
e di valida estensione nei centri, fluente nelle
zone più alte della tessitura. Tra le parti
femminili un plauso va senz’altro alla Lauretta
del soprano Eleonora Boaretto, dotata di buon
volume di voce, luminosa e ben impostata in
tutta la tessitura e alla Zita del mezzosoprano
macedone Nikolina Janevska, perfettamente calata
nel burbero personaggio affidatole, cui ha dato
efficacemente voce con il timbro brunito della
sua vocalità densa e voluminosa.Un elogio
collettivo al resto della compagnia. Come detto,
gran consenso finale per una serata sicuramente
riuscita, a conferma di una qualità in costante
crescita delle stagioni liriche del Coccia.
Replica domani, domenica 16/12 alle h. 16, con
direttore (Lorenzo Orlandi) e parte del cast
diversi.
15-12-2018 Bruno Busca
Beatrice Rana ed il Quartetto Modigliani per la
Società dei Concerti
Il concerto ascoltato ieri
sera organizzato dalla Fondazione La Società
dei Concerti, ha trovato sul palcoscenico di
Sala Verdi in Conservatorio l' eccellente
Quartetto
Modigliani
e la giovane
ed
affermata pianista Beatrice Rana. Il programma
interamente dedicato a Johannes Brahms prevedeva
prima il Quartetto n.3 in si bem. magg. op.67
e poi il Quintetto in fa min. op.34.
L'ottimo equilibrio strumentale del "Modigliani"
ha trovato un valore aggiunto nelle mani della
pluripremiata pianista venticinquenne pugliese
quando,
dopo la breve pausa, è stato eseguito il
Quintetto op.67. Un lavoro questo in quattro
movimenti particolarmente articolati che
rappresenta in assoluto tra le composizioni
migliori del compositore amburghese anche per
l'organizzazione complessiva delle solide
architetture musicali. Il numeroso pubblico
intervenuto ha tributato lunghi e fragorosi
applausi al termine del programma ufficiale. Un
bis altrettanto valido è stato concesso dai
cinque strumentisti con
lo Scherzo da un Quintetto di Dvorak.
Ricordiamo i componenti del francese
"Modigliani": Amaury Coeytaux al violino,
Loic Rio, secondo violino, Laurent
Marfaing alla viola e François Kieffer al
violoncello. Da ricordare a lungo.
13 dicembre 2018 Cesare
Guzzardella
Emanuel
Ax alla Società del Quartetto
È tornato dopo alcuni anni di
assenza il pianista statunitense, nato in
Ucraina, Emanuel Ax. L' avevamo ascoltato in
Schubert e Liszt nel febbraio del 2009 in Sala
Verdi e nel
2011
al Teatro alla Scala con un eccellente Beethoven
nel celebre Concerto n.5 "Imperatore".
L'impaginato di ieri sera , particolarmente
diversificato, prevedeva pagine di Brahms,
Benjamin, Schumann, Ravel e Chopin. Un programma
quindi che ci ha permesso di ascoltare il noto
pianista, non ancora settantenne, da diverse
angolazioni. I differenti brani hanno
evidenziato ancora una volta la sua "classicità"
con espressione definita da una solida, precisa
e ordinata impalcatura tecnica. Tra i brani che
maggiormente ci sono piaciuti segnaliamo le
Due Rapsodie op.79 del compositore
ungherese che
hanno
introdotto il concerto, le dieci piccole
miniature dell'inglese George Benjamin( 1960)
denominate Piano Figures - a dimostrazione
del grande interesse di Ax per il repertorio
contemporaneo -, molte delle Phantasiestucke
op.12 di Robert Schumann, certamente i
geniali Valses nobles et sentimentales
di Maurice Ravel e, nella parte finale dedicata
a Fryderyk Chopin, l'eccellente Andante
spianato e grande Polacca brillante op.22,
eseguita con incredibile scorrevolezza e
pregnante espressività. Uno solo il bis concesso
con ancora un Notturno di Chopin, secondo
dopo quello ascoltato nel programma ufficiale (
op.62 n.1) cui erano seguite le Tre
Mazurche op.50. Fragorosi applausi al
termine di una ricca e soddisfacente serata. Da
ricordare.
12 dicembre 2018 Cesare
Guzzardella
Il
pianista russo Mikhail Lidsky alle Serate
Musicali
Mikhail Lidsky alle Serate
Musicali ha intrattenuto per quasi due ore
un pubblico non numeroso in Sala Verdi, nel
Conservatorio milanese, con un impaginato tutto
dedicato a Sergej Rachmaninov. Abbiamo ascoltato
molti brani, alcuni di raro ascolto, che ci
hanno rilevato
lo spessore compositivo del
grande musicista russo ma anche le qualità di
indubbia rilevanza del pianista cinquantenne
moscovita. Lidsky ha nelle sue corde la musica
di Rachmaninov. Lo ha evidenziato attraverso una
lettura approfondita e calibrata nei colori.
Dopo il brano introduttivo, Melodia,
terzo da "Cinque pezzi di fantasia op.3", la
rara Sonata n.1 in re minore op.28,
lavoro particolarmente complesso e di non facile
lettura, ha concluso la prima parte della
serata. Melodia ha evidenziato
l'equilibrato tocco del pianista nel rilevare le
parti melodiche nei differenti piani sonori e la
sua eccellente mano sinistra. L'Op.28 è
una sonata particolarmente elaborata nella sua
varietà espressiva e con momenti di pacata
luminosità nel bellissimo Lento centrale.
Lidsky ha centrato l'obiettivo con
un'esecuzione
chiara e profonda. I momenti di più estroversa
esternazione, con
virtuosismi
difficili e pregnanti, sono stati espressi con
facilità discorsiva senza mai eccedere nelle
volumetrie timbriche. I colori delicati nei
momenti di più pacata esternazione melodica,
resi con assoluta maestria, hanno incrociato
complessità armoniche estreme con calibrata
dosatura di suono. Caratterizzanti delle qualità
del pianista anche i più brevi brani della
seconda parte della serata:
dall' Etude-Tableau in fa minore
op.33 n.1 a Daisies op.38 n.3 (rid.
per pf. di Rachmaninov del 1922) eseguita con
chiarissimi trilli, dall' Etude-Tableau in do
maggiore op.33 n.2 al Preludio in la
minore op.32 n.8, dal Preludio in fa
minore op.32 n.6 al “Sogno” op.38 n.5
nella riduzione per pianoforte dello stesso M.
Lidsky (dai relativi Sei canti), dall'
Etude-Tableau in re minore op.39 n.8 all'
Etude-Tableau in re maggiore op.39 n.9. Un
concerto si straordinaria qualità per un
pianista che meritava una Sala Verdi stracolma
di pubblico! Da ricordare a lungo!
11 dicembre 2018 Cesare
Guzzardella
Un duo per violoncello e
pianoforte prossimamente a Novara
Sabato 15
dicembre 2018 ore 17 presso l'Auditorium
Fratelli Olivieri di Novara continua la stagione
dei Concerti del Cantelli 2018/2019 con
il Quinto concerto denominato " Dalla
Russia con amore". I protagonisti saranno Andrea
Scacchi, violoncello e Luca De Gregorio,
pianoforte per le musiche di Sergej Prokof’ev,
Sergej Rachmaninov, Nikolaj Kapustin e Pëtr Il’ic
Cajkovskij Protagonista sarà il fascinoso duo di
violoncello e pianoforte. Quanto agli interpreti
si tratta di due artisti dal variegato
curriculum e dall’intensa attività
professionale: entrambi docenti presso il
Conservatorio “G. Cantelli” (per le relative bio
cfr. pertanto il sito del Conservatorio stesso):
per l’occasione i due artisti, il cui repertorio
spazia dal Barocco al Novecento, hanno
predisposto un programma per intero
‘sbilanciato’ sull’universo russo, con autori in
prevalenza novecenteschi (significativa altresì
la presenza dell’ottocentesco Cajkovskij che
della musica del primo ‘900 può essere
considerato a buon diritto il nume tutelare:
Stravinskij, per dire, aveva per l’autore del
Lago dei cigni un’ammirazione a dir poco
smisurata)
11 dicembre
2018 dalla redazione
Prossimamente a Vercelli
Prossimamente per la 21°
stagione del Viotti Festival che avrà luogo
sabato 15 dicembre 2018 alle ore 21 presso il
TEATRO CIVICO di Vercelli ci sarà Lo scrigno
e l'anima di Giovanni Mongiano con Giovanni
Mongiano,Anna Antonia Mastino,Guido Rimonda e l'
Orchestra Camerata Ducale
11 dicembre 2018 dalla
redazione
Stefan
Milenkovich e A.Chen Guang in ricordo di Antonio
Mormone
Il concerto ascoltato ieri
sera in Conservatorio - introdotto come sempre
da Enrica Ceccarelli- era in ricordo di Antonio
Mormone, fondatore della prestigiosa Società
dei Concerti, ed ha visto sul palcoscenico
di Sala Verdi il violinista Stefan
Milenkovich
ed
il
pianista Antonio Cheng Guang, strumentisti che
hanno iniziato la loro carriera proprio grazie
ad Antonio Mormone. Per oltre trent'anni Antonio
oltre che organizzare serate musicali
prestigiose, è andato alla ricerca di giovani
talenti, molti dei quali sono divenuti col tempo
celebrità. I due splendidi interpreti hanno
avuto modo di esternare le loro qualità suonando
sia come solisti che in duo. Il celebre
Concerto Italiano di J.S.Bach eseguito al
pianoforte da Chen Guang ha introdotto il
concerto seguito poi dalla Sonata n.2 in la
minore op.26 per violino solo di Evgéni
Ysaye interpretata mirabilmente da Milenkovich.
Entrambi, nel ruolo solistico, hanno mostrato
una evidente fluidità discorsiva e
una
talentuosa
perfezione
tecnica. La prima parte della serata è terminata
in duo con un altro celebre brano quale
Tzigane. Rapsodia da Concerto di Maurice
Ravel. La difficoltà di scrittura del brano, sia
nella parte violinistica che in quella
pianistica, è stata superata con facilità dai
due virtuosi attraverso un'interpretazione di
evidente qualità espressiva dove il perfetto
equilibrio dinamico e timbrico negli interventi
solistici e nell'insieme armonico ha ancora una
volta messo in risalto le loro qualità. A
conclusione del programma ufficiale valida l'
esecuzione della Sonata n.3 in re minore
op.108 di J.Brahms cui è seguita una lunga
coda di fuori programma. In solitaria Chen Guang
con la nota Polacca op.53 "Eroica" di F.
Chopin, eseguita con scioltezza e con
incredibile determinazione, e Milenkovic col
Capriccio n.24 di N.Paganini, celebre per le
variazioni del tema eseguite dal virtuoso con
espressività e precisione. In duo hanno
concluso la bellissima serata con tre brani
presentati in modo divertente da Milenkovich:
prima il finale brahmsiano della Sonata FAE,
quindi un raro ed interessante brano del
compositore russo Radion C. Shchedrin (Mosca
1932) in stile spagnolo che -come ricordato da
Milenkovich- ricorda la Spagna di Albeniz, e per
finire una semplice e suggestiva melodia che
come ancora raccontato dal simpatico violinista,
è stata scritta da un compositore-pianista
statunitense Navajo, ispirata dagli indiani
indiani d'America e dal titolo Coyote .
Una " Serata per Antonio " da ricordare a
lungo.
6 dicembre 2018 Cesare
Guzzardella
Il Danish
String Quartet e Evgeny Sudbin per Serate
Musicali
Il programma scelto per il
concerto di ieri sera in Conservatorio
presentava tre lavori contrastanti e non legati
da una comunanza espressiva. La presenza
dell'ottimo
Danish
String
Quartet e del pianista Yvgeny Sudbin,
costante presenza per Serate Musicali, ha
in parte reso giustizia ad un impaginato
discordante che sarebbe meglio non riproporre.
Siamo infatti passati dal Quartetto in fa
maggiore op.135 di Beethoven alla Ballata
n.4 di Chopin per poi tornare indietro nel
tempo con un Quartetto con pianoforte che
ha visto il violino di Rune Tonsgaard Sørensen,
la viola di Abjørn Peter Nørgaard e il violoncello
di Fredrik Sjölin sostenere la splendida parte
del pianoforte di Sudbin nel
bellissimo
K.478 in Sol
minore
di Mozart. Il tardo lavoro del genio
salisburghese è strutturato come un concerto
solistico con ruolo fondamentale per il solista.
Dimenticando l'impatto d'insieme dei lavori e
concentrandosi sulle singole prestazioni, siamo
rimasti decisamente soddisfatti del brano finale
mozartiano eseguito con avvincente risoluta
classicità . Nella nota ballata chopiniana,
Sudbin ha mostrato una precisa e determinata
sicurezza interpretativa di relativa visione
romantica. Di ottima qualità l'esecuzione anche
se lontana da le linee interpretative entrate
nella storia. Di livello il Quartetto
beethoveniano per il quale citiamo anche la
presenza, come secondo violino, di Frederik
Øland. Una formazione cameristica che merita un
ascolto in un programma unitario.
4 dicembre 2018 Cesare
Guzzardella
Il canto di
Simone Piazzola alla Scala
Il
recital del baritono Simone Piazzola,
ascoltato ieri sera alla Scala in un teatro con
molti posti liberi, ha trovato un programma
soprattutto incentrato nel compositore Francesco
Paolo Tosti, autore di oltre 350 brani di cui
alcuni molto noti ed eseguiti da cantanti
entrati nella storia dell'interpretazione.
Soprattutto,
ma non solo, per gli italiani, Tosti rappresenta
un cavallo di battaglia nei recital, in quanto
ideatore di piacevoli e spesso luminose melodie
che abbisognano di voci particolarmente duttili
e orientate al bel canto. Cominciamo
dall'ottimo pianista che ha supportato le
numerose melodie previste nel programma della
serata. L'irlandese James Vaughan ha mostrato
eccellente equilibrio di fraseggio sottolineando
con giusti accenti la decisa voce di Piazzola.
Tra i dodici brani di Tosti, tutti ben
interpretati e molti assai celebri, alcuni erano
su testi di D'Annunzio a dimostrazione della
notorietà del compositore: italianissimo anche
artisticamente ma naturalizzato inglese nel 1906
e introdotto nel mondo
aristocratico a tal punto da venire nominato
baronetto. L'ottima emissione timbrica del
baritono veronese ha messo in risalto brani come
A Vucchella e O falce di luna calante
di D'Annunzio e altrettanto noti lavori come
Ideale, La promessa, Non t'amo più, L'ultima
canzone, solo per citarne alcuni. Dopo Tosti
due brani di Bellini e tre di Verdi hanno
concluso il programma ufficiale. Ma è
soprattutto con i bis concessi che il concerto
ha avuto una svolta decisamente in crescendo:
brani come Per me giunto e Io morrò
dal verdiano Don Carlo e Dagli immortali
vertici, dal verdiano Attila, hanno trovato
un Piazzola di alto spessore interpretativo. Con
una maggiore emissione vocale nei registri
medio-bassi, il veronese acquista in potenza e
in qualità e, nella fattispecie degli ultimi
brani, anche in espressività attoriale. La
soddisfazione del baritono, leggibile nel suo
volto, e i fragorosi applausi del fortunato
pubblico presente, hanno sancito una serata
particolarmente positiva. Da ricordare.
3 dicembre 2018 Cesare
Guzzardella
La gestualità di Teodor Currentzis e degli
orchestrali di Perm al Teatro alla Scala
Se c'è un concerto che
individua nel rapporto gesto e suono un
risultato di qualità, questo è quello riferito
alla splendida serata vista ed ascoltata
ieri al Teatro alla Scala
con
l'istrionico direttore greco-russo Teodor
Currentzis e la sua musicAeterna orchestra
dell'Opera di Perm. In programma un "tutto
Mahler" con Il corno magico del fanciullo
e la Sinfonia n.4. L'ottima posizione da
un palco sopra l'orchestra mi ha permesso di
osservare con attenzione la produttiva
gestualità del direttore e la corale
partecipazione nei gesti e nelle timbriche dei
giovani strumentisti, tutti eccellenti e
sottolineanti, col gesto, i loro precisi
interventi sonori, ancor più quando trattasi di
fondamentali ruoli solistici, cosa che in Mahler
capita in continuazione. Anche per questo,
l'eccellente Currentzis al termine del concerto
e durante la giustificata ovazione del fortunato
pubblico presente, ha stretto personalmente la
mano a moltissimi orchestrali come ad
evidenziare la completa unità partecipativa
direttore/orchestra che ha prodotto i capolavori
eseguiti. Gestualità invece più "tradizionale"
per le ottime voci intervenute quali quelle del
mezzo soprano Paula Murrihy e del tenore Florian
Boesch negli undici lieder che compongono Des
Knaben Wunderhorm e del soprano Jeanine De
Bique nell'ultimo movimento della Sinfonia
Das himmlische Leben. La direzione senza
bacchetta, accompagnata spesso da
gesti
quasi danzanti di Courrentzis e la presenza
degli orchestrali in piedi nella Sinfonia, ad
eccezione per ovvie ragioni dei violoncelli e
dei controfagotti, sono elementi caratterizzanti
le modalità gestuali. Nei volti dei singoli
orchestrali si è
notato
spesso la partecipazione emotiva di gioia
all'ascolto anche dei compagni dei diversi
settori. In questo, il ruolo di ogni
strumentista si avvicina maggiormente a quello
dell'attore o della comparsa che in palcoscenico
deve stare attento ad ogni movenza in quanto
parte in causa del "tutto". Il risultato
strettamente musicale di questa "messinscena" è
stato eccellente con sonorità espresse di
inarrivabile qualità nelle articolate dinamiche:
tra i pianissimi quasi impercettibili ad
orecchie non più giovani, e i fortissimi
dei momenti più animati. Dopo la tradizione dei
capolavori di Mahler, strepitoso è stato il bis
offerto con un brano ritmico dal sapore africano
del serbo Marko Nikodijevi ć
dove gestualmente nulla è
cambiato per partecipazione gesto-musicale
dei bravissimi e simpatici strumentisti.
Questi , insieme al Maestro Currentzis, hanno
reso magnifica una serata che difficilmente si
potrà scordare. Tutto splendido!
1 dicembre 2018 Cesare
Guzzardella
NOVEMBRE 2018
Il violoncellista Victor Julien-Laferrière
ai Pomeriggi Musicali
Una settimana di violoncelli
a Milano. Dopo l'inglese Steven Isserli ed il
parigino Edgar Moreau, ascoltati nei giorni
scorsi, ieri è stata la volta di un altro
giovane parigino, Victor Julien-Laferriére,
recente vincitore del Concorso Internazionale
Regina Elisabetta di Bruxelles e promettente
solista
che
insieme
all'Orchestre de I Pomeriggi Musicale, diretta
dal giapponese Yusuke Kumehara, ha eseguito l'Op.129
in la minore di Robert Schumann. Il tardo
lavoro del musicista tedesco in tre movimenti
uniti unitariamente per circa
25 minuti di musica ha trovato ,un ottimo
solista nel mettere in rilievo le specificità
melodiche, molto rilevanti, di questo lavoro.
Avvincente il timbro del violoncello con
un'ottima cantabilità nelle mani di
Julien-Laferrière espressa da colori luminosi.
Ottima la resa orchestrale. Un bel bis del
violoncellista con una Sarabanda
di
Bach a coronamento del suo intervento. Questo
brano era stato preceduto da un
altro recente del musicista Carlo
Alessandro Landini(1954) denominato View of
the Cathedral of Wroklaw from the Odra River.
In effetti questo lavoro in cui la componente di
maggior risalto è quella degli archi, è
costruito mediante una ripetizione timbrica che
ricordano le finestre di un'antica cattedrale.
Il clima musicale, particolarmente omogeneo con
pochi momenti di contrasto è ben rilevato nella
sua suggestiva espressione. Applausi al termine
anche al compositore
salito sul palcoscenico. Il brano proposto al
termine, la celebre Settima Sinfonia di
Beethoven, ha rilevato l'ottima direzione
orchestrale di Kumehara e le qualità de I
Pomeriggi, orchestra duttile che con
direttori di qualità si esprime al meglio.
Incisività ed intensità espressiva anche nel
coinvolgente Allegretto del secondo
movimento. Fragorosi applausi dal pubblico non
al completo nel capiente Dal Verme, ma c'è la
replica di domani, sabato alle 17.00, che
certamente avrà moltissimi spettatori. Da non
perdere.
30 novembre 2018 Cesare
Guzzardella
La
Mitteleuropa Orchestra
al Teatro Faraggiana di Novara
Il novarese Festival Cantelli,
da trentotto anni organizzato dall’ Associazione
amici della musica, giunto ieri sera, 29 /11, al
suo terzo appuntamento stagionale al Teatro
Faraggiana, proponeva una interessante serata
sinfonica, con la Mitteleuropa Orchestra, erede
della già gloriosa Orchestra Sinfonica del
Friuli, impegnata in un programma interamente
dedicato a F. Liszt: la ‘Rapsodia n.2 in do
min.’ S 244/1, nella trascrizione per orchestra,
dal notissimo pezzo per pianoforte, di K.
Muller-Berghaus, non autorizzata dall’autore, ma
sicuramente più bella nei colori rispetto a
quella di Doppler, l’unica autorizzata da Liszt;
la’Fantasia su temi popolari ungheresi per
pianoforte e orchestra’ S 123, versione
elaborata dallo stesso
Liszt
della Rapsodia ungherese n.14 per pianoforte
solo; il ‘Concerto n.2 in La magg. per
pianoforte e orchestra’ S125 e, a chiudere, il
poema sinfonico ‘Les Préludes’ S 97. Sul podio e
alla tastiera era chiamato quello che con
Campanella e Restani si può considerare oggi in
Italia il più autorevole pianista interprete di
Liszt: Vittorio Bresciani. Come i due maestri
sopra citati, anche Bresciani si è formato
presso la prestigiosa scuola pianistica
napoletana di V. Vitale, ma decisivo per lui è
stato anche l’incontro con N. Magaloff. Dalla
combinazione di queste due influenze nasce il
pianismo lisztiano di Bresciani, che nella
serata di ieri ha dato il meglio di sé nel
Concerto. La premessa fondamentale da cui
partire per presentare l’interpretazione di
Bresciani è che Liszt non rappresenta per lui il
pretesto per acrobatici virtuosismi, per
l’esibizione di una tecnica trascendentale, che
pure Bresciani ovviamente possiede. All’effetto
Bresciani antepone l’approfondimento: il suo
suono è sobrio, chiaro ma non esteriormente
brillante, talora quasi umbratile.
L’articolazione dei piani sonori è contenuta
entro una gamma di sottili screziature
timbriche, di una signorile eleganza che sfrutta
le dinamiche per cavarne un fraseggio che più
che ‘cantare’ sembra ‘evocare’. Così il momento
migliore, a nostro avviso, dell’interpretazione
del Concerto n. 2, affidato alle mani di
Bresciani diventa la sezione ‘Un poco meno
mosso’, affidata al solo pianoforte, la cui
indicazione dinamica della partitura, ‘mezzo
forte appassionato’, dava luogo a un incantevole
gioco di timbri, esplorati nella loro
iridescente varietà: l’ascoltatore, incantato,
veniva introdotto in un mondo sonoro,
lontanissimo dagli strepitanti clangori di tante
esecuzioni listziane, come di un sogno remoto e
inafferrabile. E’ questa, per noi, la lettura
migliore di questo concerto di Liszt, che punta
le sue carte soprattutto sulla ricerca timbrica,
estesa anche agli strumenti dell’orchestra, in
particolare all’oboe, al flauto e al
violoncello. Anche il Bresciani direttore è
apparso molto attento alla valorizzazione dei
colori e delle varie zone timbriche
dell’orchestra, sicché ne Les Préludes il
vertice interpretativo è stato raggiunto nelle
sezioni dominate dal tema di carattere
lirico-pastorale, scavato con particolare
acutezza nelle sue sfumature più delicate e
sottilmente patetiche. Buona senz’altro la
prestazione della Mitteleuropa Orchestra, anche
se non ci sono sempre parsi al massimo della
precisione gli ottoni gravi. Valida in generale
l’esecuzione degli altri pezzi in programma. Il
pubblico presente ha tributato un lungo applauso
a Bresciani e all’orchestra, che ciononostante
non hanno concesso bis.
30 novembre 2018 Bruno Busca
Edgar Moreau e David Kardouch per la
Società del Quartetto
Non conoscevo il duo formato
dal violoncellista parigino Edgar Moreau e dal
pianista David Kardouch
e
sono rimasto pienamente soddisfatto delle loro
qualità interpretative. Ieri sera in
Conservatorio, per la prima volta ospiti della
Società del Quartetto, hanno impaginato
un programma impegnativo che prevedeva brani di
Poulenc, Mendelssohn e Franck, ai quali hanno
aggiunto anche un inaspettato Debussy. Di Franck
hanno eseguito la celebre Sonata in la
maggiore, scritta per violino
ma
molto nota anche nell'altrettanto straordinaria
versione per violoncello, versione autorizzata
dal musicista nel 1888, due anni dopo la
realizzazione dell'originario lavoro, e frutto
di una trascrizione del violoncellista Jules
Delsart. È un capolavoro compositivo, certamente
tra le migliori partiture di Franck e
dell'Ottocento musicale con un litemotiv
che torna nel corso dei tre movimenti uniti tra
loro in uno stile unitario molto originale. I
due strumentisti,con energia, fluidità
discorsiva
e perfetta integrazione nelle parti, hanno
raggiunto una vetta interpretativa. Il timbro
elegante del ventiquattrenne violoncellista si è
ben integrato nella complessa ed armonica
struttura pianistica sostenuta con disinvoltura
dal trentatreenne pianista. Le ottime qualità
sono emerse anche nella vivace Sonata FP 143
tipica dello stile tra il leggero ed il
virtuosistico di Poulenc. Bene anche Mendelssohn
e particolarmente rilevante l'originale lavoro
di Debussy, la sua Sonata per violoncello e
pianoforte composta nel 1915
è proiettata nella musica di pieno
Novecento per fattura ed espressività. Splendido
concerto e ottimo il bis concesso . Da
ricordare.
28 novembre 2018 Cesare
Guzzardella
Il duo
Meloni-Rebaudengo al Coccia di Novara
Ieri sera, martedì 27
novembre, si è inaugurata la stagione
cameristica del Teatro Coccia di Novara. Le
serate prevedono una formula un po’ particolare:
i due tempi in cui è diviso il concerto sono
introdotti da letture che hanno a che vedere col
tema generale della musica, del suo significato
nella vita dell’uomo etc. etc. Ieri lo scrittore
novarese Alessandro Barbaglia ha letto un
racconto “Pensare in musica” che
aveva
per protagonista Einstein e sul quale
sorvoliamo, per entrare subito nel merito del
concerto. Il programma della serata proponeva al
non numeroso pubblico composizioni per
clarinetto e pianoforte, affidate a un duo
composto da Fabrizio Meloni, storico primo
clarinetto dell’Orchestra del Teatro e
Filarmonica della Scala, e da Andrea Rebaudengo,
pianista, tra l’altro, dell’ensemble milanese
Sentieri Selvaggi. L’impaginato si articolava su
due tempi nettamente distinti per tipo (e
qualità estetica) delle composizioni. Il primo
tempo, come dichiarato dallo stesso Meloni, era
dedicato alla musica operistica, cioè a quella
musica che da poco meno di quarant’anni è la
musica più familiare allo scaligero Meloni: ecco
dunque le parafrasi per clarinetto e orchestra
sulla Norma e sulla Semiramide, opere di un oggi
dimenticato Ferdinando Sebastiani, che fu però
nel secondo ‘800 uno dei più acclamati
clarinettisti europei, ” padre” della scuola
napoletana dello strumento. Si tratta di
composizioni banalotte anzichenò, semplici
trasposizioni di brani famosi delle due opere,
che tuttavia hanno consentito a Meloni di
esibire le qualità melodiche e belcantistiche
del suo strumento, da cui l’eccellente solista
ha espresso un suono morbido, caldo e
trasparente, con prevalenza dei registri
centrali e acuti.. Tutt’altra cosa, ovviamente,
la parafrasi, per pianoforte solo, sul
Rigoletto, uno dei pezzi più celebri di Liszt,
posta a chiusura del primo tempo del concerto.
Qui protagonista diventava Rebaudengo, che ha
sfoggiato doti di virtuoso, dal tocco esatto e
scolpito con un’energia che non eccedeva mai i
confini di un fraseggio nitido ed elegante: un
Liszt salottiero, più che muscolare, che ci è
piaciuto molto. Dopo l’intervallo è seguita la
parte più interessante della serata, impaginata
su due pezzi, la cui bellezza è pari alla fama
nella letteratura per clarinetto e pianoforte:
il “Gran duo concertante per clarinetto e
pianoforte” di C. M. von Weber e la Sonata di F.
Poulenc. Il pezzo di Weber, caratterizzato dall’
equilibrio tematico e melodico fra i due
strumenti, ha messo in particolare evidenza le
doti di eccellente virtuoso di Meloni, che ha
eseguito con tecnica spumeggiante passaggi di
rapidità vertiginosa, scale e salti di doppia
ottava. Molto bello anche il suono del
clarinetto di Meloni, che in questo pezzo si è
acceso di una brillantezza del timbro che non
avevamo ascoltato nel primo tempo, sempre
controllata da un fraseggio elegante, capace di
aprirsi alla tenerezza dell’Adagio. Ma anche il
pianoforte ha qui un ruolo di tutto rispetto,
specie nel terzo movimento, dove Rebaudengo è
chiamato di nuovo a sfoggiare la sua raffinata
tecnica con una bella serie di rapidi passaggi e
di ottave spezzate. Eccellente anche
l’interpretazione della Sonata di Poulenc, che
richiedeva un altro tipo di interpretazione, più
intimistica e rarefatta, con un suono immerso in
un’atmosfera di assorta malinconia. Bravissimi i
due esecutori nel restituire questo carattere
inconfondibile di questa estrema fase dell’opera
di Poulenc, in particolare Meloni, con una linea
melodica di incantevole pathos. Nell’insieme un
concerto decisamente riuscito, che è piaciuto
agli happy few convenuti, che hanno tributato un
lunghissimo applauso ai due strumentisti,
ricompensato da parte loro con ben tre bis.
28 novembre 2018 Bruno Busca
Prossimamente a
Novara l'Accademia del Ricercare
Ecco che questa volta il
Conservatorio “Cantelli” accoglie un ensemble
‘ospite’ entro la propria stagione: e si tratta
della blasonata Accademia del Ricercare,
prestigiosa formazione con decenni di esperienza
nell’ambito della musica antica. Una smazzata di
autori che spaziano in varie aree geografiche,
dall’Italia alla Francia ai paesi di ambito
tedesco tra fine ‘500 e seconda metà del XVIII
secolo. Un’occasione ghiotta e pressoché unica
per gli amanti del Barocco e più in generale
della musica antica e, forse, per una parte del
pubblico di non specialisti l’opportunità per
scoprire le sonorità fascinose di strumenti
dalla foggia inconsueta ed arcaicizzante, quali
la tiorba e la viola da gamba, ma anche la poco
nota chitarra barocca. In programma musiche di
G.B. Riccio, G.B. Fontana, S. Scheidt, F. Turini,
J. Pachelbel, L.A. Dornel, J. Bodin de
Boismortier, A. Vivaldi . Strumentisti: Lorenzo
Cavasanti e Susanne Geist, flauto, Manuel
Staropoli, flauto e oboe , Antonio
Fantinuoli, violoncello e viola da gamba,
Ugo Nastrucci, tiorba e chitarra barocca,
Claudia Ferrero, clavicembalo.
28 novembre dalla redazione
Il violoncello di
Steven Isserlis ed il fortepiano di Robert Levin
Da molti anni il
violoncellista inglese Steven Isserlis viene in
Conservatorio per i concerti di Serate
Musicali accompagnato ogni volta da
differenti pianisti. Ieri sera lo abbiamo
ascoltato insieme ad un
eccellente
fortepianista quale Robert Levin,
specialista
di questo strumento e per l'occasione con il
Fortepiano a coda Johann Schantz realizzato
a Vienna nel 1810 e appartenente alla collezione
di Fernanda Giuliani. Il programma prevedeva la
prima parte dell'integrale di un "tutto
Beethoven" con le 12 Variazioni dal Giuda
Maccabeo di Händel, le 12 Variazioni dal
Flauto magico di Mozart, la Sonata op.5
n.1, la Sonata op.69 e una trascrizione
dalla Sonata per corno e pianoforte op. 17.
Ascoltare Beethoven con il fortepiano è un
esperienza interessante ed entusiasmante
per
quel sapore di "antico" che traspare dalle timbriche
non voluminose ma nette e precise della tastiera
che nel duo con violoncello esaltano
maggiormente lo strumento
ad arco pur mantenendo una specificità
della componente
fortepianistica che specie nelle sonate
beethoveniane risulta essere determinante. Sia
Isserlis, che ricordiamo suona uno Stradivari
del 1726, che Levin, hanno rivelato eccellenti
qualità che raramente si ascoltano in questo
particolare duo. Le modalità interpretative, con
l'aspetto gestuale "improvvisatorio" di Isserlis
e la perfetta tecnica di Levin, fanno trapelare
una musicalità di altissimo livello estetico che
emerge ancor più nei momenti di grande
melodicità beethoveniana. La perfezione
nell'integrarsi sui differenti piani sonori -
pur nelle specificità delle timbriche- ha
segnato in modo indelebile queste splendidi
interpretazioni che hanno nella Sonata in la
maggiore op.69 il momento di più celebre e
alto splendore. Fragorosi gli applausi tributati
al termine ai due grandi interpreti e un
luminoso bis con Ich ruf' su Dir, Herr Jesu
Christ, BWV 639 di J.S.Bach. Da ricordare
sempre.
27 novembre 2018 Cesare
Guzzardella
Il
sassofonista Simone Moschitz vincitore del
Premio del
Conservatorio 2018
Per la IV edizione di Musica
Maestri!, nel tardo pomeriggio di oggi abbiamo
assistito a Milano, in Sala
Puccini
al
concerto
del vincitore del Premio Conservatorio 2018, un
premio che annualmente mette in rilievo il
migliore studente dell'anno. Una giuria formata
dai Docenti interni dell'importante istituto
musicale e dai migliori studenti ha deciso, tra
i rispettivi vincitori delle varie sezioni
strumentali,m di premiare il sassofonista Simone
Moschitz quale migliore strumentista. Presentato
dalla direttrice del Conservatorio milanese
dott.ssa Cristina Frosini e accompagnato al
pianoforte dall'ottimo Daniele Bonini, Moschitz,
impugnando prima il sax soprano e poi quello
tenore, ha eseguito
brani
di Berry Cockcroft con Kuku e Rock me,
di Astor Piazzolla con quattro brani da
Histoire du tango, di Pedro Itturalde con la
Suite Hellénique e con Pequeña Czárdá
e di Takashi Yoshimatsu la Sonata "Fuzzy
Bird". È
veramente
un eccellente sassofonista Simone Moschitz: ha
dimostrato di essere particolarmente versatile e
di eccellere in ogni frangente con colori
morbidi ed espressivi in alcune sequenze di
Piazzolla, pungente e con segno pregnante nei
lavori di Itturalde e ricercato e virtuosistico
in Cockcroft, compositore del 1972 che utilizza
il sax per ricerche su effetti, suoni doppi e
modalità che ricordano elementi improvvisati del
free jazz degli anni '60. Le volumetrie espresse
dai bellissimi sassofoni usati, unitamente alle
timbriche precise e dettagliate del bravissimo
pianista Bonini hanno portato ad un tripudio di
applausi nella piccola ma elegante Sala Puccini
per l'occasione al
completo. Splendido il bis concesso con ancora
Piazzolla. Bravissimi e ......un aperitivo per
festeggiare l'evento.
25 novembre 2018 Cesare
Guzzardella
Filippo Gorini
al Teatro Civico di Vercelli
La serata di ieri, sabato 24
novembre, ha visto al Teatro civico di Vercelli
l’atteso esordio della nuova stagione
cameristica del Viotti Festival. Nell’opuscolo
contenente il programma dell’intera stagione
concertistica del festival vercellese c’è un
titolo, o un motto, di sicura suggestione:
“Musica chiama terra”. Non sappiamo se chi l’ha
concepito abbia letto il commento dello
scrittore tardo latino Macrobio al “Somnium
Scipionis” ciceroniano, ma quel titolo ci ha
richiamato alla mente proprio le pagine stupende
in cui l’antico scrittore evoca un cosmo di pura
musica che tende ad attrarre verso di sé, con i
suoi modi e le sue armonie, il globo terrestre.
Ebbene, il concerto di ieri sera, nei suoi
momenti più alti, pareva proprio diffondere i
suoi suoni dalle più suggestive lontananze
cosmiche, per offrirsi ad un
pubblico
che avevamo visto di rado così concentrato e
attirato dal palcoscenico, quasi attonito.
Protagonista della serata il giovanissimo
pianista Filippo Gorini, da un triennio, ormai,
più che una promessa dell’ultima generazione di
pianisti italiani, vincitore di numerosi
concorsi prestigiosi e discepolo dell’immenso
Brendel. Gorini presentava un programma a un
tempo temerario (per il confronto che
sollecitava inevitabilmente con i grandi nomi di
interpreti del passato e del presente) e
intelligente, già solo per l’idea di aprire
l’impaginato con un pezzo di musica
contemporanea, “Szàlkàk/Splinters (Schegge)
op.6d di G. Kurtag, diremmo inevitabile omaggio
al protagonista delle trionfali celebrazioni che
Milano gli ha dedicato in queste ultime
settimane. Secondo noi l’idea di inserire nei
programmi concertistici una composizione di
autore contemporaneo, accanto a quelli
“storici”, dovrebbe diventare un’abitudine, per
educare gradualmente il pubblico a capire che
anche oggi si compone musica meravigliosa, in un
linguaggio nuovo che non è meno affascinante e
significativo (anzi!) di quello cui le orecchie
del pubblico sono abituate: si eviterebbe magari
di sentire i “noo!” bisbigliati da alcuni
ascoltatori all’annuncio di Gorìni che il primo
bis sarebbe stato un altro brano di Kurtag…A
seguire, Gorini si misurava con due monumenti
del pianismo romantico: la Kreisleriana op.16 di
Schumann e la Sonata in Si bem. Maggiore D 960,
l’estremo capolavoro di Schubert, che ,
nell’intervista rilasciata al musicologo A.
Piovano, poco prima del concerto, Gorini ha
dichiarato di avere studiato per due anni. Come
ci è parso, dunque, questo giovane pianista? Fin
dal primo numero, le Schegge di Kurtag, è emersa
quella che alle nostre orecchie è apparsa una
delle qualità migliori di Gorini: il raffinato e
già maturo controllo dei piani sonori della
partitura, con un fraseggio impostato su un
suono ombreggiato dal vario gioco delle
dinamiche, sfumato e alleggerito nei bassi, mai
pesanti: splendidamente suonato l’ultimo dei
quattro brevissimi tempi in cui è suddiviso il
pezzo, il Mesto, tombeau per il violinista
romeno Romascanu, sotto le dita di Gorini un
delicato sussurro di note cupe che andavano,
cariche di struggente malinconia, a perdersi in
uno sgomento silenzio. Una delicatezza di
fraseggio che riaffiorava in certi momenti di
maggior incanto poetico della Kreisleriana, come
nel primo intermezzo dell’ottavo pezzo, ove con
rara sapienza il giovane maestro bergamasco, sul
filo di un pianissimo ai limiti del silenzio, ha
calato in sovrapposizione suoni tenuti nel
registro grave e suoni staccati, quasi puntati,
nel registro medio. Meno convincente ci è
sembrata l’interpretazione di Gorini nelle zone
della partitura più improntate al segno della
follia, al vortice trascinante e violento di
un’esaltazione febbrile e irrazionale: dove,
insomma Florestano manda al diavolo Maestro
Raro. Qui, forse, affiora un aspetto
dell’interpretazione pianistica su cui Gorini
può ancora migliorare: il suo tocco non è certo
privo, quando occorre, di energia e intensità,
ma non possiede ancora pienamente quella
drammaticità e diremmo ‘violenza’, che
composizioni come questa richiedono. Il miglior
Gorini ritorna trionfalmente con l’ultima sonata
di Schubert, ove, soprattutto nello stupendo
primo tempo, esibisce altre qualità del suo
profilo d’interprete, indispensabili per suonare
Schubert: la cantabilità del colore, capace di
espandersi con pieno dominio sulla ‘ forma
lunga’ tipica del Maestro viennese. A Gorini
riesce benissimo l’interpretazione
‘liederistica’ di Schubert, cioè quel suono che
sfrutta con una sottigliezza senza eguali le
zone centrali della tastiera, con un suono
(quasi) mai molto intenso, e una variazione
timbrica inesauribile: l’infinito nella
semplicità. E’ grazie a queste qualità che
Gorini ( e qui l’aver avuto come mentore un
Brendel non è accidente, ma sostanza) valorizza
al massimo la quintessenza del pianismo
schubertiano: la funzione timbrica
dell’intervallo. La nostra mente è
leopardianamente naufragata all’attacco del
secondo tempo, all’ascolto di un suono di una
cantabilità venata di cupezza e di un pathos
sussurrato, che Gorini ha reso sfruttando
superbamente la valenza timbrica dell’intervallo
di terza, sostenuto da un uso accorto del pedale
di risonanza. Dei bis concessi, tre, il migliore
è stato per noi ancora una volta un pezzo di
Schubert: il celebre Impromptus op. 90 n.1 in do
minore, eseguito con quel sottile velo di
malinconia che fa parlare Rattalino di
‘cerimonia funebre’. Tra applausi scroscianti e
lunghissimi, il pubblico assai numeroso del
Civico ha salutato un'altra stella che si è
accesa nel firmamento ormai abbondante del
Festival Viotti.
Bruno Busca 25-11-2018
Ultime repliche per
Elektra al Teatro alla Scala
L’Elektra di Richard
Strauss è tornata a Milano dopo le
rappresentazioni del 2014, per la regia di
Patrice Chéreau, le scene di Richard Peduzzi ed
i costumi di Caroline de Vivaise. L’opera, un
unico atto con libretto di Hugo von Hofmannsthal,
è stata rappresentata per la prima volta nel
1909 e la si può
considerare come una
delle
massime realizzazioni dell’espressionismo
musicale tedesco. In essa Strauss porta ai
livelli più alti il cromatismo orchestrale e in
più momenti si riscontra anche la tendenza
“atonale” che sarà tipica della Seconda Scuola
viennese. Nella sesta rappresentazione, vista
ieri sera, ancora una volta il direttore Markus Stenz ha sostituito Christoph von Dohnányi,
presente alla prima rappresentazione. Stenz in
questi giorni sta dirigendo anche Fin
de Partie di Kurtág e in entrambi gli arditi
lavori ci sembra svolgere con risolutezza e
determinazione il non facile compito. Ricordiamo
che Elektra, ultimo lavoro di Chéreau, aveva
debuttato nell'estate del 2013 per il Festival
di Aix--en Provence, nell'anno in cui è mancato
il grande regista, ed è oggi ripreso da Peter
McClintock. La rappresentazione si è conclusa
con lunghi e fragorosi applausi alla presenza di
un pubblico giovanile in una serata dedicata
agli Under30. La più applaudita, Ricarda Merbeth,
Elektra,(le prime due foto sono di Brescia ed Amisano Arch.Scala)
ha
pienamente meritato il successo per la sua
costante presenza scenica, sin dal primo
monologo e fino alla nota scena finale. La
Merbeth ha da subito rivelato una timbrica
particolarmente efficace nei registri alti e
centrali oltre ad ottime
qualità attoriali. Molto bravi tutti gli altri
protagonisti tra i quali segnaliamo almeno ed in
ordine di preferenza, Regine Hangler,
Chrysothemis, Michael Volle, Orest,
Waltraud Meier, Klytämnestra, Roberto
Saccà, Aegist. Il successo, pienamente
meritato, certamente troverà riscontro anche
nell'ultima replica prevista per il 29 novembre.
Assolutamente da non perdere.
24 novembre 2018 C. G.
Fin de partie
al Teatro alla Scala
Ieri sera alla Scala è andata
in scena la quarta rappresentazione di Fin de
Partie, l'opera in un atto di György Kurtág
su testo di Samuel Beckett, commissionata dalla
Scala ed in prima mondiale. Un'operazione non
facile e di lunga gestazione portata avanti
alcuni anni orsono dall' oggi novantaduenne
compositore ungherese. Kurtág è riuscito a
mettere in musica il testo di Beckett lavorando
sulla parola e sulla recitazione. La sua musica
diventa supporto unitario all'evento teatrale
nel quale i protagonisti, quattro in tutto, sono
attori che parlano seguendo le non facili
intonazioni dettate dalla musica.
Raramente la
musica è autonoma. La forza di questo lavoro,
non facile e non apprezzato da tutti, - anche
ieri sera alcune decine di persone lasciavano la
sala dopo meno di un'ora di rappresentazione- è
certamente nel testo di Beckett potenziato dalle
pregnanti e spesso taglienti timbriche di Kurtág.
La bravura vocale ed attoriale dei protagonisti
( le prime due foto di Walz Ruth) non si discute, ad iniziare da quella di Frode
Olsen, un energico Hamm, mobile in quella
sedia a rotelle sempre presente in scena,
continuando con Leigh Melrose un
valido e sempre impiedi Clov, presente al fischio del
padrone; di ottima levatura Leonardo Coltellazzi,
Nagg e Hilary Summers, Nell, la
prima dei due uscita di dalla scena per morte
improvvisa ed entrambi costretti alla recita ed
al canto all'interno di due contenitori
metallici cilindrici. Valida la regia teatrale di
Pierre Audi nel contesto scenografico e
costumistico di Christof Hetzer. La scena è
essenziale, discreta, riempita da una
casa-contenitore che al cambio delle situazioni,
nel veloce calare e risalire di sipario, si
ritrova in differenti posizioni e risolve
dignitosamente il problema della monotonia
visiva per via delle azzeccate variazioni
prospettiche. La scena, che ricorda i quadri di
Sironi, ci è piaciuta assai, come anche le
illuminazioni studiate da Urs Schönebaun. Non
dimentichiamo un eccellente protagonista quale
il direttore Markus Stenz che ha curato nei
dettagli la difficile partitura di Kurtág,
partitura intrisa di pause e di accenti sonori
al limit e del discorsivo.
Le "parole musicali", a volte venivano
sottolineate dalla gestualità visiva da Hamm a
dimostrazione dell'unità d'intenti tra testo e
suoni. Uno spettacolo non facile, molto
originale che abbisogna di un pubblico
competente. Altamente consigliabile.
23 novembre 2018 Cesare
Guzzardella
La
Stutgarter Philharmoniker
e i violini di Nemanja Radulovič
e di
Tijiana
Milosevič per la
Società dei Concerti
Ieri sera in Conservatorio un
"doppio concerto" ha reso di notevole interesse
la serata organizzata dalla Fondazione
Società dei Concerti. Infatti nella prima
parte i concerti di Bach e Vivaldi hanno trovato
la Stuttgarter Philharmoniker diretta da Dan
Ettinger e due splendidi violinisti serbi quali
Nemanja
Radulovič
e Tijiana Milosevič. Nella seconda parte, cambio
di registro, con l'orchestra di Stoccarda ed il
suo direttore che hanno trovato l'appoggio del
Figure Humaine Chamber Choir diretto da
Denis Rouger per il celebre brano sinfonico
The Planets op.32 di Gustav Holst. La qualità
interpretativa complessiva è emersa subito con
l'inizio del Concerto in la min. RV522 per 2
violini e orch. di Antonio Vivaldi, sia per
l'impronta esecutiva della sezione d'archi della
Stuttgarter Philharmoniker che
per il tocco grintoso di Radulovič
e della Milosevič. Con il Concerto in la min.
BWV1041 per violino e orchestra
di Bach
il solista
Radulovič è stato il protagonista del
palcoscenico di Sala Verdi. La sua evidente
costruttiva gestualità nel dialogo con i
bravissimi archi dell'orchestra e l'attenta
direzione di Ettinger hanno esaltato ogni
frangente di questo capolavoro. Ancora Bach con
l'ultimo brano in programma nella prima parte
della serata per il celebre Concerto in re
minore BWV1043 per 2 violini e orchestra
dove ancora una volta i due solisti si sono
fronteggiati e hanno duettato insieme nei
bellissimi tre movimenti del capolavoro. Il
sublime canto del Largo ma non tanto
centrale definito in alternanza dalle due voci
soliste in un intreccio di tonalità pregnanti e
sensuali ha
portato
all'energico Allegro del finale
completato da un intreccio
d'interventi
solistici di pura energia sonora. Applausi
fragorosi e un bellissimo e folcloristico bis
per due violini che ha evidenziato la
sorprendente musicalità sia di Radulovič
che della Milosevič. Bravissimi. Dopo
l'intervallo, come detto, cambio di sonorità
con la Stuttgarter e Ettinger protagonisti nel
celebre The Planets op.32. Questa Suite
per grande orchestra in sette movimenti è stata
composta dal compositore inglese Gustav Holst
fra il 1914 e il 1916 ed
eseguita
per la prima volta a Londra nel 1916. Dopo oltre
cento anni di esecuzioni il celebre lavoro ha
mantenuto inalterata la sua evidente efficacia
timbrica ad iniziare del primo movimento
Marte, portatore della guerra, ispiratore
per pregnanza e fragorosa potenza espressiva di
innumerevoli future colonne sonore. Efficace e
valida sotto ogni aspetto la resa espressiva
orchestrale anche negli altri movimenti a
partire dal secondo, Venere, portatore della
pace, per concludere con Nettuno, il
mistico, nel quale il giovane coro femminile
del Figure Homain Chamber Choir diretto da Denis
Rouger, nascosto in una sala attigua -per
ottenere un effetto conclusivo di lontananza- ha
evidenziato le ultime note in calare
della splendida e celebre composizione.
Fragorosi e lunghi applausi a tutti i validi
strumentisti, ai coristi entrati in Sala Verdi
per i meritati applausi e ai due validi
direttori. Da ricordare a lungo.
22 novembre 2018 Cesare
Guzzardella
Alessandro Taverna per
la Società del Quartetto
Il pianista Alessandro
Taverna ieri sera è stato ospite della
Società dei Quartetto ed ha impaginato un
programma con musiche di Chopin e Brahms. Non è
facile accostarsi a due Sommi musicisti quando
bisogna misurarsi con interpreti di alto valore
che hanno reso immortali con le loro
interpretazioni le
musiche
dei due grandi compositori. Taverna,
presentandosi di fronte ad un numeroso pubblico
quale quello venuto in Sala Verdi nel
Conservatorio milanese, ha avuto certamente
coraggio. Ha passato la prova esecutiva? La
risposta a questa domanda non è facile e nel
caso di un interprete personale e creativo come
Taverna di non facile soluzione. A me è
complessivamente piaciuto ed in alcuni frangenti
anche molto. Le sue qualità vanno ricercate in
una sua personale coerenza d'intendere la musica
sia del
polacco che dell'amburghese, lontana dai modi
interpretativi che conosciamo. Il suo tocco non
romantico ha una sua ragione d'essere nella sua
personale ed interessante rivisitazione con
sensibilità attuale della musica di Chopin. A
volte modalità nuove interpretative superano di
molto imitazioni di modalità entrate nella
storia . Il suo Chopin, nella Barcarola op.60,
nella serie di celebri Valzer con le
opere 34 n.1, 64 n.2, 42, 64 n.1, nella
Ballata
n.4 op.52 e nello Scherzo n.3 op.39,
lontano dai Pollini, da Zimerman, dai Blechacz,
solo per citare noti eccellenti interpreti, è
ben interiorizzato e restituito con timbriche
dai colori scuri, in penombra e con piani sonori
discreti e non troppo contrastati. Manca una
certa estroversione e una certa brillantezza
specie nei due Grandi Valzer Brillanti, ma ciò
non toglie nulla alla resa comunque valida delle
esecuzioni ascoltate. In Brahms, nella seconda
parte del concerto, solo
in parte vale lo stesso discorso specie nella
selezione delle Danze ungheresi ascoltate
con i numeri 1-4,5,6,7,8 eseguiti con
sicurezza e ed energica risolutezza. Decisamente
di qualità e rilevanza le note Variazioni su
un tema di Paganini Op.35. Qui con
sorprendente facilità esecutiva Taverna
ha superato i passaggi
più difficili che alcune variazioni impongono,
ma è soprattutto la resa interpretativa
complessiva che si è rivelata valida sotto ogni
aspetto. Due i bis concessi con l' Intermezzo
op.118 n.2 molto interiorizzato, ancora
personale e valido nella resa, e una bellissima
e rara Fuga dalle Variazioni su un tema di
Telemann di Max Reger resa spettacolare col
suo sorprendente virtuosismo. Bravo. Da
riascoltare. Lunghi applausi al termine.
21 novembre 2018 Cesare
Guzzardella
Milano Musica per
György Kurtág al Teatro alla Scala
Continua la rassegna
organizzata da Milano Musica e dedicata
al compositore György Kurtág. Ieri sera il
concerto previsto al Teatro alla Scala con
l'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
diretta per l'occasione da Heinz Holliger,
prevedeva brani di Kurtág unitamente a lavori di
Ligeti e Bartòk. Nella prima parte della serata
la presenza del pianista francese Pierre-Laurent
Aimard ha impreziosito il
programma
con il Concerto per pianoforte e orchestra
di György Ligeti e poi con sette brevi e
recenti brani di Kurtág, alcuni in Prima
esecuzione assoluta e altri in Prima italiana.
L'eccellente esecuzione del concerto di Ligeti,
opera della fine degli anni '80, ha rivelato
l'originale e complesso stile del compositore
che in quel periodo risente soprattutto
delle influenze etniche
nelle quali la poliritmia ha un ruolo
preponderante. Particolarmente efficace e
accentuata la parte solistica di Aimard in
perfetta sinergia con la direzione di Holliger e
con i bravissimi orchestrali, tutti espressivi
in ogni sezione strumentale. Interessanti i
sette brevi brani pianistici
di
Kurtág ascoltati per la prima volta in Italia
e composti tra il 2011 e
il 201. Il primo, Sostenuto con slancio è
un Omaggio a Scarlatti II dedicato a
Margie, giocato su poche e contrastanti note ben
evidenziate che si rincorrono lentamente tra
suoni alti e bassi. Nel secondo , ..Für
Heinz.. , l'elemento armonico dissonante è
maggiormente pregnante in un andamento lento; il
terzo "Per Marta il primo ottobre" ,
armonie vibrate attraversano i registri della
tastiera per poi arrivare a note ripetute
isolate particolarmente accentuate; il quarto,
il Larghissimo " Lamento in memoriam Gábor
Mózes accordi netti si interpongono a
semplici note per poi unirsi in un clima di
severa complicità intonando una semplice e
tonale melodia facilmente riconoscibile; il
quinto il Sostenuto "...che è nata
oggi...Marta compie 90 anni.."(2017) gli
accordi accentuati e
grintosi
si rincorrono in dissonanze particolarmente
espressive; il sesto Passio sine nomine è
un Molto agitato; nel settimo e ultimo brano,
Dialogo, Balint Varga 70, l'andamento
lento e lontano evidenzia alcune nitide note
sottolineate da una austera melodia inquadrata
in contrastati ma lievi accordi. Dopo
l'intervallo il collaudato brano Stele op.33
per grande orchestra di Kurtág, lavoro del
1994 , ebbe la prima esecuzione in quell'anno
con i Berliner Philharmoniker diretti da Claudio
Abbado. Il suggestivo lavoro è ricco di tensione
emotiva ed è giocato su timbriche di elevata
pregnanza espressiva rese in modo eccellente
dagli orchestrali della Rai. Probabilmente
questo il lavoro più riuscito e profondo della
serata. A conclusione un brano collaudato e
sempre di grande efficacia come il Concerto
per Orchestra di Béla Bartòk ha completato
un programma che ha messo in risalto tutti e tre
i grandi compositori ungheresi. Da ricordare.
Prossimamente alla Scala le repliche (una questa
sera) dell'opera di Kurtág Fin de partie.
Da ricordare
20 novembre 2018 Cesare
Guzzardella
Prossimamente a
Novara i Concerti del Cantelli 2018
Sabato 24 novembre 2018 alle
ore 17 presso l'Auditorium Fratelli Olivieri per
la stagione dei Concerti del Cantelli 2018/2019
si terrà un concerto cameristico per flauto e
pianoforte con Musiche italiane del ‘900 e una
première assoluta. i protagonisti sono: Gianni
Biocotino, flauto e Gigliola Grassi, pianoforte.
Verrano eseguite musiche di Pilati, Balliana,
Casella, Rota.
dalla redazione 20 novembre
2018
Il
Mosè in Egitto al
Teatro Coccia di Novara
Con il Mosè in Egitto,
andato in scena venerdì 16 e oggi, domenica 18
novembre, il Teatro Coccia di Novara ha reso il
dovuto omaggio all’anno rossiniano, ormai vicino
alla conclusione. E’ stata, diciamocelo, una
scelta coraggiosa: del Rossini ‘serio’ il Mosè è
opera tra le meno facili da rappresentare:
richiede un buon numero di voci all’altezza di
ruoli di non facile esecuzione, nonché, da parte
di regista e scenografo, la soluzione di
problemi di allestimento spettacolare, quale ad
es. il passaggio del Mar Rosso, che siano
credibili e non scadano, come talora pur
succede, nell’assurdo e nel ridicolo. Per non
parlare dell’orchestra e della direzione, che
non possono scendere sotto un certo livello .Ma
il Coccia, di questi tempi, con una politica
intelligente di coproduzioni, sta decisamente
migliorando la qualità della sua programmazione,
e proprio questo Mosè ne è stata un’ulteriore
prova. Coproduzione del Teatro Verdi di Pisa,
della Fondazione Haydn di Bolzano e dell’Opéra Thèàtre di Metz e ovviamente dello stesso
Coccia, questo capolavoro del Pesarese era
affidato per la parte registica a Lorenzo Maria
Mucci, affiancato per scene e costumi da José
Yaque e Valentina Bressan. Sul podio Francesco
Pasqualetti, a dirigere un’ottima compagine
italiana, l’Orchestra regionale della Toscana
(ORT). La regia di Mucci opta per una scena
sostanzialmente fissa: un solo cambiamento, al
terzo atto, quando le colonne sbrecciate e
inclinate che inquadrano i primi due atti,
simbolo abbastanza ovvio del potere del Faraone
ormai sull’orlo della rovina, vengono sostituite
da un telo o rete di colore azzurro, incombente
sulla scena, a simboleggiare il mare. Questa
sobria scenografia ha il suo punto di forza
nelle luci di Michele Della Mea, gestite con
interventi raffinati e molto varie, fin dalla
memorabile tenebrosa scena iniziale. Il meglio
della regia di Mucci è a nostro parere nei
finali dei tre atti: nel primo, grazie anche a
una perfetta intesa col podio, l’episodio della
grandine riesce assai suggestivo; nel finale
secondo la morte di Osiride, folgorato da Dio, è
realizzata con potente efficacia, grazie anche
all’ottima interpretazione teatrale di Elcìa e
del Faraone che piangono tutto il loro strazio
sul corpo senza vita del, rispettivamente,
marito e figlio; nel finale terzo,
intelligentemente, Mucci rinuncia a una
qualsiasi soluzione ‘realistica’ dell’episodio
del Mar Rosso, ricorrendo a una scelta che può
sembrare fin troppo ‘povera’, ma che, all’atto
pratico, si è rivelata più bella a vedersi che a
dirsi: l’ampio telo o rete di cui sopra, si
avvolge su se stessa per cedere il passo a Mosé
e al suo seguito, per poi ricadere sull'esercito
egiziano, mentre una videoproiezione (sembra che
ormai le attuali regie proprio non possano farne
a meno!) proietta sullo sfondo l’immagine del
mare o delle dune del deserto (non abbiamo
capito bene, l’immagine era in bianco e nero)
comunque allusiva alla raggiunta salvezza del
popolo d’Israele. Più debole appare la regia di
Mucci nella ‘gestione’ dei movimenti di masse e
solisti, che risulta alquanto statica e talvolta
francamente poco originale e significativa;
sorge la solita domanda: è un limite della regia
o è piuttosto una soluzione imposta, quando vi
sia un gran numero di cantanti e comparse, dalla
non vastissima superficie del palcoscenico del
teatro novarese? . Quanto alla parte musicale,
Pasqualetti è direttore dall’appiombo rigoroso e
preciso, dirige bene i cantanti, ma il suono che
chiede all’orchestra ha talvolta qualcosa di
freddo e pesante, che finisce con lo spegnere i
momenti più intensi che sono anche del Rossini
‘serio’, checché ne dicano autorevolissimi
critici, come Bortolotto, che giudicano
“sontuosa, ma vuota” l’opera seria del Pesarese
. Non si può che dire bene del coro Ars Lyrica
diretto da Marco Bargagna, così come nel
complesso valido è stato il livello tecnico e
interpretativo espresso dal cast dei cantanti,
in parte significativa provenienti dal fecondo
vivaio dell’Accademia musicale di Pesaro,
collegata al Rossini Opera Festival.. Tra tutti
daremmo la palma del migliore al giovane tenore
russo Ruzil Gatin, Osiride, dalla voce di bel
timbro sonoro, ottima proiezione e omogeneità,
perfetto controllo del fiato con centri robusti
e acuti sciolti fino all’eleganza: un ottimo
cantante rossiniano di cui siamo certi si
parlerà in futuro.. Decisamente apprezzabile
anche la prova di Silvia Dalla Benetta nel ruolo
della regina Amaltea, parte sopranile non di
primissimo piano, ma che, grazie a questa
cantante, acquista un rilievo inconsueto. Le
qualità vocali più spiccate di Dalla Benetta
consistono in un perfetto controllo del fiato,
nella morbidezza del timbro e nell’energia e
potenza del volume di voce, che le consentono,
tra l’altro, di spiccare nei numeri d’assieme..
Sorretto da una buona personalità, Alessandro
Abis, nel ruolo di Faraone, tipico per
basso.baritono, sembra trovarsi un po’ a
disagio, avendo una tessitura vocale chiaramente
da basso puro, che gli permette di raggiungere
le zone acute della sua parte con una certa
fatica, in parte compensata da un’agilità
limpida e sicura nelle zone più centrali. Un
grato encomio va all’altro basso Federico
Sacchi, Mosé,, che, nonostante l’annunciata
indisposizione, grazie al bel volume della voce,
denso e grave, ha dato alla sua parte quella
potente maestosità che le si confaceva,
eseguendo con efficacia la memorabile aria del
terzo atto “Dal tuo stellato soglio”. Buona
anche l’Elcìa del soprano moldavo Natalia
Gavrilian, che, oltre ad avere un ottimo acuto,
padroneggia bene le dinamiche, ottenendo un
fraseggio raffinato nelle messe di voce in piano
e pianissimo, pur non esibendo un gran colore.
Più che dignitose le parti di fianco, dal Mambre
di Marco Mustaro, tenore di limitata proiezione,
ma ben timbrata e corretta, all’Aronne di Matteo
Roma per finire con Ilaria Ribezzi nella parte
di Amenofi. Lunghi, meritati applausi alla fine,
da un pubblico che, come sempre, ha quasi
riempito platea e palchi del Coccia. Applausi
strameritati per un Rossini degno delle
celebrazioni di quest’anno.
18 novembre 2018 Bruno Busca
“IL pianoforte
del’900 e il timbro dell’euphonio”
al Conservatorio di Novara
“IL pianoforte del’900 e il
timbro dell’euphonio”: questo il titolo del
secondo concerto della nuova stagione del
Conservatorio G. Cantelli di Novara, tenutosi
oggi pomeriggio, Sabato 17 novembre. Il titolo
indica con precisione le due parti, tra loro del
tutto indipendenti, in cui era suddiviso
l’impaginato. Nella prima parte il pianoforte di
due giganti del ‘900, Debussy e Prokof’ev. Nella
seconda, accompagnato dal pianoforte, uno
strumento, della vasta famiglia degli ottoni, di
raro impiego sia in
insiemi orchestrali e
cameristici, sia come strumento solista, appunto
l’euphonio, o euphonium, che altro non è che un
flicorno basso, accordato sul Sib: come in
genere i flicorni, di impiego soprattutto
bandistico. La prima parte vedeva protagonista
la giovanissima pianista Giulia Ventura, allieva
presso il Conservatorio novarese del maestro L.
Schieppati. Di Debussy ha proposto i tre pezzi
della seconda serie delle “Images”, dandone
un’interpretazione decisamente valida:
l’atmosfera ambiguamente vaporosa di questo
Debussy è stata resa al meglio dal tocco della
Ventura, già scaltrita nella gestione dei
registri, come ne “Et la lune descend sur le
temple qui fut” in cui i vari registri
medio-acuti delle linee pentatoniche sono stati
evocati dalle dita della giovane e promettente
pianista con una sonorità ‘giavanese’, che
penetra nell’essenza di questo magico mondo
sonoro. Tecnicamente sicuro, ma da approfondire
nell’interpretazione, il Prokof’ev della
Ventura, che proponeva la Sonata n.2 in re
op.14: degne di lode la chiarezza nitida del
suono, e la precisione del tocco, anche nei
passaggi più impervi, ma nel secondo tema del
primo movimento non abbiamo sentito quel suono
“dolorosamente sognante “, (per citare Rattalino)
che lo contraddistingue e che è di certe
memorabili pagine del grande
Maestro russo, così
come è apparso all’ascolto un po’ scolastico lo
Scherzo, tra i più grotteschi e feroci composti
da Prokof’ev. Si tratta comunque di rilievi che
nulla tolgono ai meriti e alle virtù di una
pianista dotata di qualità che, se ben
coltivate, faranno certamente parlare di lei in
futuro. Dobbiamo dichiarare apertamente che la
seconda parte del concerto ci ha appagato molto
meno. Non certo per demerito delle due
interpreti, Marina Boselli, comasca, ma anche
lei allieva del Cantelli, all’euphonium e
Roberta Menegotto accompagnatrice al pianoforte.
La Boselli è in questo momento, nonostante la
giovanissima età, una delle migliori esecutrici
di euphonium in Italia, vincitrice quest’anno
del primo premio assoluto al concorso Premio
Naziuonale delle Arti, in possesso di una
tecnica che sconfina nel virtuosismo puro. Il
problema è che il suono, il timbro di questo
euphonium, cupo, scuro, metallicamente
bandistico’, proprio non ci piace. Non sappiamo
chi abbia avuto il coraggio di battezzarlo
euphonium, cioè, con etimologia greca
latinizzata “bel suono”. Deve trattarsi di una
di quelle stravaganti etimologie ‘e negatione’
di cui erano bizzarri maestri i Latini, del tipo
.”lucus a non lucendo” di varroniana memoria.
Sia come sia abbiamo provato sinceri brividi di
orrore a sentire la versione bandistica della
Sonata n.3 per viola da gamba e clavicembalo in
sol BWV 1029 di J. S. Bach, in cui la viola da
gamba era appunto sostituita dall’euphonium. Il
brano bachiano era preceduto dalla sonata per
pianoforte ed euphonium di un John Reeman, di
cui il programma di sala dà le date di nascita e
morte nel 1873-1916, sul quale nelle nostre
ricerche non abbiamo trovato alcuna notizia: al
suo posto risulta un omonimo, nato nel 1946. Si
tratta di una composizione piuttosto breve in
più movimenti, tra i quali non ci è dispiaciuto
il tempo lento, un’elegia malinconica e grave.
Il concerto si è concluso con un brano piuttosto
noto, Le Variazioni sul tema “Il Carnevale di
Venezia” del compositore ottocentesco francese
J. B. Arban, originariamente per tromba: è un
brano dal tema di pretto sapore bandistico, da
sagra paesana, in cui le variazioni mettono
l’esecutore di fronte alle più ardue difficoltà
dello strumento (la tromba, ma naturalmente
anche l’euphonium). Senza bis il concerto si è
concluso tra gli applausi del numeroso pubblico
che affollava la Sala Olivieri del Conservatorio
novarese.
18 novembre 2018 Bruno Busca
Prossimamente Filippo Gorini a
Vercelli

dalla redazione 17 novembre 2018
L'inossidabile
Andràs Schiff con Bach alle
Serate Musicali milanesi
Siamo abituati alla costante
presenza in Sala Verdi, nel Conservatorio
milanese, del pianista ungherese Andràs Schiff.
Ieri per Serate Musicali ha ancora una volta
rimarcato la sua sorprendente musicalità con un
tutto Bach che comprendeva nella prima parte il
Concerto italiano BWV 971 e l'
Ouverture in stile francese BWV 831 e nella
seconda le stranote Variazioni Goldberg,
monumento
bachiano
di architettura musicale e di equilibrio
formale. Di grande qualità i primi due lavori.
Avevamo ascoltato le Goldberg nel dicembre 2011
e anche questa volta siamo rimasti sorpresi
dalla sorprendente musicalità di un pianista
dalla memoria prodigiosa e dalla gestualità
discreta tutta concentrata nell'interpretazione.
Come scritto quell'anno, la celebre composizione
data 1741 ed è un esempio grandioso di polifonia
vocale. Le linee melodiche principali della
composizione, prendendo spunto dalla semplice
Aria iniziale, ritornano continuamente in tutte
le trenta varianti del brano per circa
settantacinque minuti di musica. Schiff in una
non lontana intervista rimarcava l'essenziale
riferimento della voce più bassa, quella
sostenuta dalla mano sinistra, e raccomandava
l'ascoltatore di concentrarsi soprattutto su
questa. Il pianista ieri ha sostenuto ancora una
volta un'eccellente interpretazione complessiva
evidenziando, con chiarezza
espositiva
e luminosità, le voci in un contesto di moderati
contrasti
timbrici.
La partenza leggermente incerta con qualche
errore di tipo mnemonico nel finale della prima
variazione, non ha certo inficiato il valore
dell'esecuzione che è andata qualitativamente in
crescendo con picchi eccelsi di raffinata
espressività per alcune variazioni finali. Da
notare che Schiff in questo brano non usa mai i
pedali (eccezione per la sordina nella
variazione n.26) e utilizza il pianoforte in
modo quasi clavicembalistico anche se le
sonorità dell'ottimo Steinway non nascondono una
più evidente espressività classica evidenziata
da un colore che solo la timbrica di quella
tastiera puo' mettere in rilievo. Fragorosi
applausi al termine.
12 novembre 2018 Cesare
Guzzardella
Prossimamente un
omaggio a Rossini al Conservatorio di Novara
Martedì 13 novembre 2018 alle
ore ore 17.00 in Sala Musica presso il
Conservatorio "Cantelli" di Novara si terrà Un
tè con Rossini Omaggio al Compositore nel 150°
anniversario della morte. Unn
pomeriggio
davvero singolare, ideato e curato da Simonetta
Sargenti. Rossini, si sa, è passato alla storia
per aver scritto una quantità incredibile di
opere buffe, opere serie e semiserie, farse e
quant'altro. «Egli si chiedeva spesso - rammenta
Simonetta Sargenti - se sarebbe stato ricordato
dopo la sua morte per la musica che aveva
composto, temendo il contrario ed inseguendo un
ideale capolavoro che ritenne di non avere mai
scritto». Rossini è passato alla storia peraltro
anche per la musica cameristica, pianistica e
vocale (non teatrale) che compose lungo una vita
intera operosa ed infaticabile. Rossini
impenitente gourmet, la cui villa parigina
costituiva un verio e proprio fulcro della vita
musicale ed intellettuale dell'epoca. Ed è
proprio l'intento di ricostruire una di quelle
celebri soirées chèz Rossini che ha ispirato
l'ideazione di detta giornata: non tanto una
commemorazione vera e propria con prolusioni o
conferenza, bensì grazie all'ascolto della sua
stessa musica immortale. E dunque, in scaletta
una nutrita schiera di pagine strumentali,
cameristiche, vocali e in trascrizione, secondo
il gusti e la moda di un'epoca tipica del XIX e
di parte del XX secolo. Un pomeriggio
godibilissimo e intenso al tenpo stesso, dove ci
sarà spazio per alcune celie musicali (e non
solo), compreso un breve intermezzo salottiero
dialogato, a far da 'sorbetto', intervallando le
delibazioni musicali vere e proprie. Interpreti
e protagonisti allievi e docenti del "Cantelli"-
12 novembre dalla redazione
La
chitarra
di Eugenio Della Chiara ed il pianoforte di
Alberto Chines per Scarlatti, Galante e
Sciortino.
Il concerto visto ieri
pomeriggio allo Spazio Teatro 89 era dedicato a
tutti quei bambini e ragazzini che vengono
sfruttati nel mondo attraverso attività
lavorative spesso gravose e inadatte per la
giovane età.
L'associazione Forte?Fortissimo!, nata
nel 2014 ha sponsorizzato lo splendido concerto
attraverso
la presenza in sala di alcuni rappresentanti tra
cui Alessandro Marangoni. Questi hanno
sensibilizzato il pubblico presente al
triste problema del lavoro minorile. Il
chitarrista Eugenio Della Chiara ed il pianista
Alberto Chines si sono quindi alternati in
dodici Sonate di Domenico Scarlatti
interrompendo la serie con un duo
piano-chitarra per interpretare due brani
contemporanei di Carlo Galante e di Orazio
Sciortino, entrambi in prima esecuzione
assoluta. Il concerto, particolarmente
interessante ed inusuale, ha accostato due
strumenti apparentemente diversi ma che trovano
valida unione in un grande compositore del
Settecento
come Domenico Scarlatti. Le timbriche più
precise e nette delle
sonate eseguite al pianoforte
K.209, K.9,K.125, K.149, in Sol
maggiore (non catalogata) e K.159,
hanno trovato più discrezione e più intimità nei
volumi sonori più contenuti della chitarra di
Della Chiara che ha eseguito le sonate K.208,
K.175, K.380, K.32, K.391 e K.213.
Entrambi molto bravi, i due validi strumentisti
hanno avuto comunanza d'intenti prima nel brano
Domenico 'S Fragments di Galante
e
poi nella Scarlattiana di Sciortino,
entrambe naturalmente per chitarra e pianoforte.
Molto valide le composizioni. Quella di Galante,
circa dodici minuti di musica, è in cinque parti
più una coda di ritorno alla prima.
Un'introduzione dinamica e ritmica vede i due
strumenti intrecciarsi rincorrendosi
reciprocamente, mentre il secondo movimento più
pacato ed incantato anticipa un terzo movimento
dal sapore settecentesco molto aggraziato
che si conclude con le corde pizzicate nella
cordiera del pianoforte e nella chitarra, in un
atmosfera magica da carillon. Il quarto
movimento, dal carattere folcloristico e
mediterraneo, ha ancora un valido intreccio dei
due strumenti con momenti che ricordano la
musica progressiva degli anni '70. Il quinto
movimento alterna una melodia della chitarra dal
sapore spagnoleggiante ad interferenze pianistiche
aspre e nette per poi tornare ad una comunanza
armonica e melodica. La coda finale (o sesta
parte) riprende il movimento iniziale con un
netto equilibrio delle parti tra i due
strumenti. Un brano, quello di Galante,
interessante e decisamente ascoltabile, cosa non
sempre certa quando si ascoltano brani
contemporanei. Il lavoro di Sciortino,
altrettanto valido, è più breve, circa sei
minuti di musica , molto dinamico e costruito su
note ribattute sia del pianoforte che della
chitarra per una costruzione ricca di energia e
ben risolta armonicamente nell'alternanza e
nella comunanza delle parti, con staccati
grintosi e inesorabili che fanno presagire un
dramma. Molto bello il bis con ancora Scarlatti
questa volta in duo con una trascrizione da un
originale brano per mandolino e continuo. Bravi
tutti. Da ricordare.
12 novembre 2018 Cesare
Guzzardella
I
Virtuosi Italiani e
Giuseppe Albanese al Teatro Dal Verme per i
Pomeriggi musicali
Il concerto ascoltato ieri
pomeriggio al Teatro Dal Verme era
particolarmente interessante per varie ragioni:
la presenza di un valido gruppo cameristica
d'archi quali I Virtuosi italiani
capeggiati
da
Alberto
Martini - primo violino e direttore; un pianista
di eccellenti qualità quale Giuseppe Albanese;
la scelta di un impaginato di raro ascolto con
il Concerto per archi di Nino Rota,
Malédiction per pianoforte ed archi di Franz
Liszt, Young Apollo per quartetto d'archi
ed archi di Benjamin Britten ed infine la
celebre Serenata per archi op.48 di P.I
Čaikovskij. Il brano del milanese Rota ci ha
rivelato le qualità di un compositore noto per
le musiche dei film di Fellini, meno per un
repertorio vasto e diversificato come quello che
annovera il bellissimo Concerto per archi.
Nella varietà dei
quattro
movimenti
che lo compone si trovano influenze
neo-classiche legate
a Šostakovic e ad altri compositori del primo
'900 ed è bravissimo Rota nell'aver trovato una
linea compositive con pregnanza melodica
italiana ed armonie in stile russo e nord
europeo. Nel raro Malédiction il solista
Albanese si è mostrato un virtuoso di primissimo
livello dominando la tastiera e capeggiando
l'orchestra d'archi in un brano complesso e
ricco di contrasti tipico del migliore Liszt;
anche in Young Apollo op.16 abbiamo
trovato un valido Albanese, ben coadiuvato da
Alberto Martini in questa rarità caratterizzante
lo stile personale e raffinato dell'inglese
Britten. Due i bis concessi da Albanese dedicati
a Claude Debussy di cui ricorre il centenario
dalla morte, con uno strepitoso Clair de lune.
Dopo il breve intervallo la nota Serenata per
archi, eseguita splendidamente dai Virtuosi
e dal violinista-direttore Martini ha concluso
con fragorosi applausi finale il bellissimo
concerto. Da ricordare.
10 novembre 2018 Cesare
Guzzardella
Mikhail
Pletnev alle Serate Musicali
È il terzo anno di fila che
il pianista russo Mikhail Pletnev viene a Milano
nella Sala Verdi del Conservatorio per un
concerto all'insegna della classicità. Ieri, in
una giornata diversa dalle consuetudini del
lunedì di Serate Musicali, davanti un
pubblico parzialmente numeroso, abbiamo
assistito ad un eccellente concerto classico con
Mozart e Beethoven. Brani notissimi e
contrastanti
con
due sonate mozartiane, la K.282 in mi
bem.maggiore e la K.330 in do maggiore
in alternanza con due sonate del periodo più
maturo di Beethoven con l'Op.110 in la
bem.maggiore e l'Op.111 in do minore.
I lavori, dal punto di vista del carattere
nettamente in contrasto, ci hanno permesso di
ascoltare Pletnev da diverse angolazioni. Come
detto lo scorso anno, Pletnev ha rilevato
dinamiche varie e differenziate con espressività
che trasuda di caratteri introspettivi. Sia in
Mozart che in Beethoven ha fornito una cifra
stilistica riconoscibile e personale, i dentificabile
da
una
assoluta precisione di scansione timbrica,
accentuata da una tendenza alla dilatazione
dell'evento sonoro che risulta sostenuto da
chiara riflessione intellettuale. La compostezza
delle posture, in sintonia con l'estetica
dell'interprete si è mostrata in perfetta
sintonia con gli ottimi risultati espressivi
ottenuti. Le sonorità sono state precise e
delicate in Mozart e corpose e spesso scultoree
in Beethoven, specie nella Sonata Op.111
eseguita in modo superlativo da un Pletnev in
crescendo nel corso della serata. Nell'op.111,
capolavoro assoluto della letteratura
pianistica, abbiamo maggiormente individuato le
alte qualità del russo. Splendido il bis
concesso con una sonata di Scarlatti
eseguita elegantemente. Fragorosi applausi al
termine di una serata certamente da ricordare.
9 novembre 2018 Cesare
Guzzardella
Il violoncello di
Sol Gabetta per la Società
dei Concerti
La violoncellista argentina
Sol Gabetta ed il pianista francese Bertrand
Chamayou hanno suonato in duo per la Società dei
Concerti interpretando Schumann, Britten e
Rachmaninov. Un'intesa musicale di qualità per
tre lavori diversi come Fünf Stücke im
Volkston op.102 di R.Schumann, la Sonata
in
do
magg. op. 65 di B. Britten e La Sonata in
sol min. op.19 di S. Rachmaninov. I cinque
brani del tedesco hanno messo in risalto la
melodicità di Sol Gabetta e la splendida
timbrica del raffinato violoncello Guadagnini
del 1759. In questi brevi lavori in cui lo
strumento a corda ha un ruolo dominante,
bravissimo è stato anche Chamayou a sostenere le
celebri
melodie intonate in modo
perfetto della cellista. La Sonata in sol
minore dell'inglese Britten è una rarità
esecutiva composta nel 1960-61 ed indicativa
dello stile vario e personale del grande
musicista inglese vissuto nello
scorso secolo. La Sonata, di non facile
immediatezza
all'ascolto,
è uno scrigno ricco di trovate timbriche
particolari, spesso sottili e delicate,
e nei suoi inconsueti
cinque movimenti, evidenzia le infinite
potenzialità dello strumento ad archetto. Emerge
l' Allegretto del secondo movimento nel
quale la Gabetta lascia l'archetto per uno
scherzo-pizzicato energico nel quale le fa
da eco il pianoforte con note ribattute che
creano una suggestiva ed armoniosa atmosfera.
Splendido l'equilibrio dinamico espresso dai due
strumentisti per un brano che andrebbe eseguito
spesso. La Sonata in sol minore
ha concluso il
programma ufficiale ed appartiene al periodo più
romantico del compositore russo. Essa rivela la
complessità di un tessuto musicale nel quale le
riconoscibili melodie del grande musicista si
inseriscono in strutture armoniche complesse ed
evolute. I due interpreti hanno mirabilmente
centrato il bersaglio con un' esecuzione
espressiva e ricca di dettagli che ha rivelato
ancora una volta la perfezione nel tocco della
Gabetta e anche le valide qualità interpretative
del pianista francese. Lunghi applausi al
termine del programma ufficiale e due bis di
Manuel De Falla dalla Suite Populaire
Espagnole: Nana e Polo. Da
ricordare
8 novembre 2018 Cesare
Guzzardella
Straordinarie Diabelli Variazioni per
Anderzewski alle Serate Musicali
Ho riascoltato ieri sera il
pianista polacco Piotr Anderzewski da molti
lustri ospite di Serate Musicali
in
Conservatorio e devo dire che sono rimasto ancor
più soddisfatto degli anni scorsi avendolo
trovato più maturo e personale. Il suo lavoro di
cesellatore da alle sue esecuzioni una chiarezza
espositiva evidente, chiarezza che certamente è
dovuta
ad un accurato studio dei dettagli. I sei
Preludi e fughe dal Secondo libro del
Clavicembalo ben temperato di J.S. Bach
hanno introdotto la serata e hanno rivelato
tutta la classicità di Anderzewski espressa con
equilibrio perfetto sia nel dosaggio delle
sonorità che nella varietà delle dinamiche. Più
rilevante , devo ammettere sbalorditiva,
l'interpretazione delle celebri Diabelli
Variazioni Op.120 di L.V. Beethoven.
L'incisività delle timbriche espressa sin dal
Valzer iniziale, unitamente ad una luminosa
coloristica ricca di contrasti ben controllati,
rendono personale e decisamente di eccellente
qualità questa esecuzione che segna una nuova
svolta nel panorama delle interpretazioni.
Peccato non abbia eseguito anche le Variazioni
op.27 di Webern previste in programma. Pregnante
di espressività la Bagatella - Andante
con moto Op.126- beethoveniana elargita come
bis. Da ricordare a lungo.
6 novembre 2018 Cesare
Guzzardella
Francesco
Libetta allo Spazio Teatro 89
Lo Spazio Teatro 89
organizza moltepli ci
attività tra le quali spicca quella musicale in
collaborazione con Serate Musicali.
Spesso interpreti di grande levatura giungono in
questa elegante sala della periferia milanese ,
accogliente e con poco più di duecento posti
disponibili. Ieri nel tardo pomeriggio un
interprete di eccellenti qualità come Francesco
Libetta è stato accolto da un numeroso pubblico
tra
cui riconoscibili critici del settore che ben
conoscono le qualità del pianista pugliese.
Libetta ha impaginato
un
programma diversificato ma legato ad un robusto
filo conduttore sui
temi
del viaggio e degli incontri tra culture
lontane. Brani di Joplin, Padova, Libetta, Liszt,
Pixis, Godowsky, Ravel, Ricci, si sono succeduti
nel corposo programma presentato sia da Luca
Schieppati, organizzatore della rassegna, che da
Libetta stesso. Rarità esecutive di Pixis,
Godowsky e Ricci si sono alternati a lavori più
noti di Liszt tratti da Années
de
pèlérinage, di Ravel tratti dalla Suite
Ma mère l'Oye, di Joplin con gli
introduttivi e celeberrimi Maple leaf rag
e The Entertainer. A questi si aggiungono
brani recenti di Andrea Padova (1962) con Rap
del Quai d'Orsay e di Libetta stesso che si
è rivelato anche ottimo compositore con tre
brani da Prosthesis ( La coppia di
anziani, Danza Cubana e Due) e il più articolato
Frammenti di una Parafrasi immaginaria su La
Saracena di Wagner. La diversificazione dei
lavori ha messo in risalto la straordinaria
duttilità dell'interprete nel passare a modalità
esecutive differenti ma con un taglio stilistico
personale che ha nella trasparenza
coloristica, nel risalto melodico tra
diversi piani sonori e nell' incisività
del segno musicale i punti di forza.
I
due brani di Scott Joplin, nobilitati da Libetta
al repertorio classico, sono stati eseguiti con
modalità che ricordano gli stilemi del secolo
scorso e che dimostrano le qualità del musicista
americano considerato un tempo solo un grande
intrattenitore. I tre lavori di Liszt, di
straordinaria espressività ed eloquenza
virtuosistica, hanno trovato in Libetta il
grande interprete che conosciamo, forse il
massimo italiano nell'ungherese. Gondoliera,
Canzone e Tarantella si sono
succedute senza soluzione di continuità nella
nitidezza delle timbriche e nelle leggere e
rapide soluzioni virtuosistiche. Il raro lavoro
di Godowsky denominato Canto arabo esce
dalle celebri peripezie virtuosistiche del
grande pianista-compositore russo e ci presenta
una semplice ma intensa melodia eseguita a
quattro mani con il ballerino Giulio Galimberti,
per l'occasione pianista in un ruolo
semplice ma fondamentale. Valida
l'interpretazione complessiva. Galimberti ha
anche sostenuto insieme a Libetta i brani di
Ravel tratti da Ma mère l' Oye, l'opera
conosciuta soprattutto nella versione
orchestrale ma splendida anche in quella a
quattro mani, con Libetta che esaltava, per
bellezza coloristica, i registri alti della
tastiera. Di grande caratura tecnica
il lavoro di J.P.Pixis ( 1870-1938) denominato
Scena popolare di Roma con l'ultimo dei
tre brani, Saltarello,
straordinariamente limpido nella successione di
note ribattute. I brani contemporanei di Andrea
Padova e dello stesso Libetta hanno dato un
valore aggiunto al concerto in termini di
novità. Rap del Quai d'Orsay di Padova
parte da una nota ripetuta che rappresenta la
tipica voce mono-nota del rap, per organizzare
una struttura ritmico- percussiva di grande
impatto sonoro reso benissimo da Libetta
"schiaffeggiando" la tastiera in una
sovrapposizione
delle
timbriche in tutti iregistri sino ad arrivare a
quelli più alti e da ultimo a quelli gravi. Un
ottimo lavoro e applausi anche al compositore
salito sul palcoscenico. I tre brani da
Prosthesis di Libetta - La coppia di anziani,
Danza Cubana e Duo- sono particolarmente
diversificati nell'approccio stilistico con
riferimenti che spaziano da un certo jazz nelle
armonie del primo brano , a un divertente sapore
francese alla Poulenc o sud-americano alla Jobin,
nella Danza Cubana. Più interessante
compositivamente i Frammenti su la Saracena
da Wagner che trovano nel finale prima una
valida ed estroversa esternazione , poi una
pacata e tenue soluzione. Avvincente il brano
che ha concluso il programma ufficiale con
Grida dei venditori di Napoli di Federico
Ricci che ha visto l'impiego insieme a Libetta
di ben quattro voci: tre validi professionisti
come Kulli Tomingas, Silvia Susan Rosato
Franchini e Gianluigi Palme e un
non-professionista - per l'occasione- come Luca
Schieppati. Divertenti e valide le dieci brevi
canzoni popolari con titoli riferiti alle
Ostriche, alle Castagne, ai Broccoli, ai Fichi,
alle Mele, alle Fave,ai Frutti secchi ecc.,
benissimo interpretate da tutte le voci,
Schieppati compreso. Eccellente il bis concesso con la nota canzone di Franco
Battiato La Cura rivisitata dal pianista
con varianti melodiche e armoniche splendide.
Fragorosi applausi. Da ricordare!
5 novembre 2018 Cesare
Guzzardella
Prossimamente a Vercelli
inizia la 21° stagione del Viotti Festival
Il concerto inaugurale della
21° stagione del Viotti Festival avrà luogo
sabato 10 novembre 2018 alle ore 21 presso il
TEATRO CIVICO di Vercelli. Ci sarà TOUR DE DANSE
À LA ROSSINI nel 150° della morte di Gioachino
Rossini con la compagnia Egri Bianco Danza e
L'Orchestra della Camerata Ducale e quindi IL
CIOCCOLATO SPEZIE E AROMI con coreografie di
Raphael Bianco.
4 novembre dalla redazione
Lorenzo Viotti e la
Filarmonica della Scala
Un impaginato corposo, ben
organizzato e molto interessante quello
ascoltato ieri sera nell'ultima replica del
concerto scaligero della Filarmonica della Scala
diretta per l'occasione da Lorenzo Viotti. Il
ventottenne direttore,(Prima foto Archivio Scala di Brescia-Amisano) per la prima volta alla
Scala
con l'orchestra scaligera, rappresenta una
sicura promessa della direzione internazionale e
ieri ha certamente dimostrato di avere tutti i
potenziali per continuare con successo una
carriera già espletata attraverso numerose
direzioni sia sinfoniche che liriche in
prestigiosi teatri. Il programma prevedeva
quattro brani orchestrali, due certamente tra i
più eseguiti come il Siegfried Idyll di
Richard Wagner e Prélude à l’après-midi d’un
faune di Claude Debussy e due di più rara
esecuzione come L'isola dei morti di
Sergej Rachmaninoff e Le poème de l’extase
di Skrjabin. I primi due composti negli
ultimi trent'anni dell'Ottocento-
rispettivamente 1870 e 1894- sono certamente
anticipatori del nuovo secolo; i secondi,
realizzati al termine del primo decennio del
secolo scorso, hanno un evidente impatto
virtuosistico. Originale la scelta inusitata ed
intimista da parte del direttore di non usare la
bacchetta nei primi due lavori e di usarla
invece nei lavori più corposi e spesso fragorosi
della grande orchestra. La resa direttoriale di Viotti, dalla gestualità
composta ed elegante,
ha raggiunto complessivamente ottimi risultati
con, a mio avviso, una più che buona direzione
per Wagner e Debussy ed
eccellente resa per Rachmaninoff e Skrjabin. Il celebre lavoro
wagneriano, scritto dal grande operista per
tredici strumenti ed eseguito nella versione più
allargata, ha trovato un buon compromesso tra
l'esigenza più intima d'espressione dei
pianissimi e la più estroversa esternazione
del tutto orchestrale. Nella valida
interpretazione del preludio debussyniano
segnaliamo l'ottimo intervento del decisivo
primo flauto. Grandi impatti timbrici ed
esternazioni volumetriche nei due brani
allargati dove l'orchestra scaligera ha mostrato
tutte le sue qualità interpretative. Una
segnalazione per la sezione degli ottoni -
bravissima la prima tromba nel poema di
Skrjabin- e delle percussioni sempre
nel brano che ha concluso
la bellissima serata. Grande successo e ripetute
uscite sul palcoscenico del giovane Viotti.
Questo concerto ha anticipato il ritorno di
Viotti alla Scala previsto nel 2019 con il
Romeo e Jiuliette di Gounod. Da ricordare.
1 novembre 2018 Cesare
Guzzardella
Prossimamente a Novara il
Concerto inaugurale della stagione dei "Concerti
del Cantelli 2018/2019"
Il componimento da camera
Apollo in Cielo, cantata di Antonio Caldara
(1670-1736) e in prima assoluta in epoca moderna
inaugurerà Sabato 10 novembre 2018 alle ore 17,
i Concerti del Cantelli 2018/2019. nel cast un
pool di esperti barocchisti per una esecuzione
di alto livello Angela Hyun Jung Oh, Apollo,
Giulia Musuruane, Clizia, Maria Pahlman,
Climene, Giorgia Sorichetti ,Mercurio,
Luca Dellacasa, Cefiso, Marco Saccardin,
Sterope e l' Ensemble Barocco del
Conservatorio “Guido Cantelli” di Novara
1 novembre 2018 Dalla
Redazione
OTTOBRE 2018
Un impareggiabile Daniil Trifonov per la
Società del Quartetto
al Conservatorio milanese
Ho ascolta Daniil Tifonov per
la prima volta nel 2012 in un concerto splendido
ma non memorabile. Come già scritto, allora mi
era rimasta impressa la straordinaria capacità
di superare ogni difficoltà tecnica per una resa
espressiva di alto livello. Poco prima di quel
lontano 2012 il pianista si era affermato
internazionalmente grazie ad un'eccellente
affermazione al "Concorso Chopin" di
Varsavia
e
a due importanti primi premi con il "Concorso
Rubinstein" di Tel Aviv e con il "Čaikovskij"
di
Mosca. Lo scorso anno, per la prima volta con la
Società del Quartetto,
eravamo rimasti sorpresi dei sbalorditivi
progressi del virtuoso sostenuti da un programma
particolarmente variegato di compositori -
Schumann, Grieg, Barber,
Čaikovskij e
Rachmaninov con brani legati a Chopin- ma
incentrato sostanzialmente nella
Sonata n.2 Op.35 del genio polacco.
Ieri sera, sempre
per il "Quartetto" abbiamo riascoltato
Trifonov in un impaginato corposo nel quale lo
spazio temporale era riservato a tre immensi
compositori quali Beethoven, Schumann e Prokof'ev.
In una Sala Verdi al completo Trifonov ha
sostenuto un concerto probabilmente ancor più
memorabile dello scorso anno. Al di là dei
discutibili accostamenti di alcuni lavori avuti
nella prima parte della serata - in Beethoven l'Andante
favori senza soluzione di continuità con la
Sonata in mi
bem.
Maggiore Op.31 n.3 e i rari Bunte Blätter
op.99 eseguiti in tutt'uno con il Presto
Passionato in sol minore op.22a sempre di
Schumann - dobbiamo ribadire con ancor più
pregnanza le considerazioni espresse lo scorso
anno: la sua sbalorditiva qualità interpretativa
esce dagli schemi storici del pianismo di questi
ultimi trecento anni per una reinvenzione
musicale
comune a non molti pianisti-compositori. A
questa categoria Trifonov appartiene in toto nel
livello della più alta invenzione ed espressione
musicale, essendo lui anche un eccellente
compositore, anche se, in questo campo, poco
noto. Quello che fa la differenza tra un grande
interprete ed un unico e geniale interprete e
proprio la capacità di quest'ultimo di ri-creare
la musica con modalità stilistiche e
d'invenzione personali, dettate da un bisogno
profondo di trasformazione delle sonorità. Come
in Beethoven e in Schumann anche nella celebre
Sonata n.8 in si bem. Maggiore op.84 di
Prokof'ev, eseguita dopo l'intervallo, Trifonov
ha espresso con assimilazione totale di ogni
annotazione scritta in partitura, modalità
interpretative che non hanno uguali in altri
pianisti. Il dosaggio delle dinamiche mediato da
una non gratuita gestualità volta a sottolineare
ogni pensiero musicale determina un flusso
espressivo ricco di contrasti che destano
stupore per sintesi discorsiva, modalità questa
tipica dei pochi grandi della
tastiera entrati nella storia delle
interpretazioni e Daniil, a soli ventisette
anni, è già uno di questi. Splendido il bis
concesso con il Largo dalla Sonata per
violoncello op. 65 di Chopin nella
trascrizione di Cortot. Applausi fragorosi e
interminabili. Memorabile e da ricordare sempre.
31 ottobre 2018 Cesare
Guzzardella
Musica Maestri!
in Conservatorio
Tra le numerose attività del
Conservatorio milanese c'è quella legata
all'organizzazione di concerti cameristici
effettuati anche in Sala Puccini da interpreti,
spesso affermati, che insegnano in
quella
importante
istituzione musicale. Oggi, nel tardo pomeriggio, per
la 3°edizione di Musica Maestri! ho
ascoltato un validissimo duo per viola e
violoncello formato rispettivamente da Maria
Ronchini, docente di viola al Conservatorio "G.Cantelli"
di Novara e da Matteo Ronchini, docente di violoncello al
Conservatorio "G. Verdi" milanese. Un impaginato
interessante tra il classico e il moderno che
prevedeva brani di Franz Danzi, Beethoven,
Hindemith, Piston e Lutoslawski. La rarità nel
sentire soprattutto la viola solista, insieme al
fratello maggiore violoncello, ha rivelato le
splendide calde sonorità in cui le particolari
timbriche dei due archi risultano ben rilevate.
Ottime tutte le interpretazioni a partire dal
Duo III in do minore di Danzi (1763-1826),
al raro Duo per viola e violoncello col simpatico
titolo Due paia di occhiali obbligati di
Beethoven, per terminare con un valore aggiunto
di qualità interpretativa per i novecenteschi
Hindemith e il suo Schnelle Achtel, per
lo statunitense Walter Piston e il suo Duo
per viola e cello e per lo splendido polacco
Witold Lutoslwski con Bucolics per viola e
violoncello. Splendido il bis concesso con
un brano intenso e tipico di Astor Piazzolla,
La Calle 92, eseguito con sapiente lirismo
dai due validi strumentisti. Bravissimi! Da
ricordare.
28 ottobre 2018 Cesare
Guzzardella
The
Beggar's Opera al Teatro Coccia di Novara
Il Teatro Coccia di Novara è
impegnato in un’opera di rilancio fra i teatri
“di tradizione” a livello nazionale, “facendo
rete” con realtà teatrali di qualità, sia
europee, sia italiane. Ne è stata prova, ieri
sera, sabato 27/10, con replica oggi, domenica
28 alle h.16, la messa in scena di The Beggar’s
Opera, divenuta universalmente celebre nel ‘900
grazie all’Opera da tre soldi, ad essa
direttamente ispirata, composta da Kurt Weill
nel 1928 su testo di B. Brecht. The Beggar’s
Opera (“L’opera del mendicante”), composta nel
1728 dall’inglese John Gay su musica del
compositore tedesco, naturalizzato inglese, J.
Ch. Pepusch, fu all’epoca il primo esempio, di
enorme successo, della c.d.
Ballad
Opera, un tipo di opera comico-farsesca con
dialoghi parlati al posto dei recitativi tipici
del melodramma italiano, alternati a melodie in
parte adattate dalla tradizione popolare, in
parte create ex novo dal compositore.
L’esecuzione è stata curata dal gruppo
strumentale e vocale “Les Arts Florissants”,
formazione musicale francese tra le più
affermate in Europa tra quelle specializzate
nell’interpretazione ‘storicamente informata’
della musica barocca, affidata per l’occasione
alla bacchetta di Florian Carré, mentre William
Christie, fondatore e direttore storico, si è
riservato il ruolo prettamente filologico
dell’”ideatore musicale”. Questo allestimento
della Beggar’s opera, come si diceva, è il
frutto di una coproduzione di un numero molto
ampio di istituzioni teatrali francesi e
italiane, tra cui spicca il Festival dei Due
Mondi di Spoleto, ed è stato curato dal canadese
Robert Carsen, con la collaborazione di Ian
Burton. La vicenda, con numerosi personaggi, è
ambientata nei quartieri più miserabili di
Londra, ove la fanno da padroni delinquenti e
reietti di ogni risma: ladri, prostitute,
banditi, carcerieri corrotti, la cui squallida
esistenza è segnata irrimediabilmente dal vizio
e dal crimine. Una società, quella che fa da
sfondo alla Beggar’s opera, fondata sulla più
brutale diseguaglianza e sulla più cinica
avidità. Carsen affronta quest’opera, ci pare,
cercando di
conciliare
la fedeltà all’originale con una
reinterpretazione innovativa. Da un lato,
infatti, la trama e i personaggi dell’originale
sono sostanzialmente rispettati, ma al tempo
stesso sono aggiornati alla nostra epoca
nell’ambientazione e ovviamente, in parte
sostanziosa, nel testo. Non si tratta, però,
diciamolo subito, di quegli aggiornamenti
forzati talora sino all’assurdo, che vengono
proposti sempre più spesso sui palcoscenici di
gran parte del mondo: in questo caso si tratta
di una scelta che fa affiorare in primo piano
riferimenti all’attualità che nel testo della
Beggar’s Opera sono certamente riconoscibili:
Peachum e la sua banda diventano spacciatori di
droga e ladri di smartphone,, consumatori
estremi di superalcolici e cocaina. Tutto in
questo mondo si compra e si vende, a cominciare
dal sesso, che scade a squallida oscenità, non
per compiacimento di una regia portata a
solleticare i gusti più bassi del pubblico, ma
in perfetta coerenza con un mondo di tenebrosa
bassezza e volgarità senza scampo, in cui
l’amore è semplicemente inconcepibile se
separato dal denaro. Il motto di questo mondo si
riassume nella domanda che Peachum, il
capitalista cinico e spietato, pone a se stesso
e al pubblico fin dall’inizio dell’opera: “Che
ci guadagno?”, la stessa domanda che
successivamente il capo della prigione Lockit
porrà alla figlia Lucy, innamorata e ingannata
dal giovane e affascinante capobanda Macheath.
La bassezza di questo mondo trova poi
espressione in un linguaggio traboccante di
volgarità, spesso sconfinante nel turpiloquio,
unica forma possibile di comunicazione
all’interno di questa subumanità, capace persino
di farsi un selfie sul patibolo al momento
dell’esecuzione. Esecuzione che peraltro, con un
cambiamento dell’epilogo, viene revocata perché,
grazie a un colpo di stato, il bandito e
pluriomicida Macheath viene nominato …ministro
della Giustizia del nuovo governo. Ottima la
direzione di Carré, che, sfruttando la timbrica
degli strumenti d’epoca, ha guidato Les Arts
Florissants su un registro’ acido’, metallico,
molto adatto all’insieme, conferendo all’agogica
e alle dinamiche una vivacità fresca e a tratti
travolgente, giocando anche
sull’improvvisazione, tipica del barocco, tre
secoli prima del jazz. Eccellenti le voci,
appartenenti al mondo del musical britannico,
fra le quali citiamo almeno Robert Burt (Mr.
Peachum), Beverley Klein (nel doppio ruolo di
Mrs Peachum e Diana Trapes), Kate Batter come
Polly Peachum, Benjamin Purkiss, un grande
Macheath e Kraig Thornber nel ruolo di Lockit:
non solo bravi nei rispettivi ruoli vocali, ma
anche ottimi attori, in una gestualità ed
espressività sempre perfettamente calibrate sul
ritmo e sul particolare momento della vicenda.
Molto originale la scenografia, creazione di
James Brandily e consistente in una parete di
scatoloni che riveste completamente il fondale
e, con i più geniali spostamenti manuali o
meccanici di parti di essa, si trasforma in
ambienti di volta in volta diversi, quali casa
Peachum, la stanza di Polly, il pub della banda,
la prigione. Ma le scatole possono anche aprirsi
come armadi, essere usate come banconi, tavoli
etc: l’universo, appunto, ridotto a merce,
inscatolato e confezionato. Questo mondo
miserabile e senza riscatto è continuamente
investito da un movimento frenetico, vivace sino
all’eccesso, una sorta di vitalismo puro senza
scopo e valore, quasi un’involontaria ribellione
dei corpi alla soffocante prigione di
un’esistenza senza luce: spettacolare la
coreografia di Rebecca Howell, sostenuta dai
costumi vistosamente orientati al kitsch e alla
volgarità di Petra Reinhardt. Un bellissimo
spettacolo, che ha saputo ridare vita ad
un’opera musicale del passato, in modo
intelligentemente coinvolgente. Non lo
dimenticheremo facilmente: una delle cose più
belle viste al Coccia.
28 ottobre 2018 Bruno Busca
Importanti
Masterclass al Conservatorio G. Cantelli di
Novara
Al
Conservatorio "G. Cantelli" dal 29 al 31 ottobre
si terranno due masterclasses di rilievo con
Giuliano Bellorini al pianoforte ( clavicembalo)
il 29 e con Evelyn Tubb e Michael Fields ( dal
28 al 31) rispettivamente soprano e liuto.
Un'occasione speciale per gli studenti che
intendano conoscere differenti repertori con
consapevolezza ed allargare i propri orizzonti
interpretativi. Da non perdere.
27 ottobre 2018
dalla redazione
A Milano la terza
edizione del Concorso Internazionale di Canto
lirico
Angelo Loforese
Dal 1 al 4 novembre 2018, si
terrà presso la sala Puccini del Conservatorio
di Milano, la terza edizione del Concorso
Internazionale di “Canto Lirico Angelo Loforese”.
Con il Patrocinio del Comune di Milano, questo
talent musicale, diventato tra i concorsi di
canto lirico più autorevoli di Italia, ha già
aperto le iscrizioni sul sito
www.angeloloforese.com.
L’organizzazione, come sempre, è a cura del
Baritono Wang Huan Dong, uomo illuminato e con
una grande passione per la lirica e per
l’arte
in senso lato. Scopo dell’iniziativa è la
valorizzazione del connubio tra cultura italiana
e cinese. Huan Dong, scolaro di Angelo Loforese,
è stato baritono del Teatro cinese dell'Opera e
della Danza. Il suo concorso non ha alcun fine
commerciale, mission lontana del solito cliché
cinese. Questa è la prima volta che un cantante
cinese produce un concorso internazionale così
popolare e professionale fuori dalla Cina. Quasi
una rivoluzione! Il concorso, aperto a giovani
talentuosi provenienti da tutte le parti del
mondo e appartenenti a tutti i registri vocali,
è ispirato e intitolato alla figura del grande
tenore e Maestro Angelo Loforese. Milanese,
classe 1920, Loforese è a tutti gli effetti una
gloria italiana, vincitore del Premio Caruso.
Nel mondo della lirica il Maestro rappresenta
uno dei più grandi cantanti del periodo d'oro
italiano. Lui più di ogni altro, può parlare di
tecnica canora ai giovani cantanti che
partecipano al concorso. Da sottolineare il
fatto che il vincitore della passata edizione,
Riccardo Della Sciucca, dopo pochi mesi dalla
proclamazione è entrato a far parte del cast del
celebre Teatro a La Scala, di Milano. Anche
quest’anno grande lustro all’evento viene
conferito dalla presenza di giurati di fama
mondiale. Alcuni nomi sono in via di conferma,
ma ogni rappresentante è Maestro straordinario
nel mondo della lirica.
27 ottobre 2018 dalla
redazione
Rudolf Buchbinder
per la Società dei Concerti
Il pianista viennese Rudolf
Buchbinder è tornato sul palcoscenico del
Conservatorio per il consueto concerto
organizzato della Società dei Concerti. È
sempre molto atteso
dal
numerosissimo pubblico
di
abbonati e non che riempiono Sala Verdi e l'idea
di riproporre un impaginato con ben cinque
sonate di Beethovenn ha trovato ulteriore
motivo d'interesse alla partecipazione. Del
grande musicista di Bonn sono state eseguite: l'Op.2
n.1 in fa minore , l'Op.14 n.2 in sol
maggiore , l'Op.27 n.1 in mi bem maggiore
, l'Op 7 in mi bem. maggiore ed
infine l'Op.27 n.2 in
do diesis minore "Al
chiaro di luna". Buchbinder è un eccellente
interprete beethoveniano, l'abbiamo detto più
volte recensendo numerosi concerti negli anni
scorsi e lo ribadiamo ancora una volta. Il suo
Beethoven è elegante e dal sapore "viennese". La
facilità con cui interpreta la non semplice
scrittura pianistica sostenuta da andamenti
spesso eseguiti rapidamente - a volte forse con
eccessiva disinvoltura - è un supporto ideale
per un'interpretazione collaudata ma sempre
efficace e toccante. Lo si nota anche nei
movimenti centrali di più pacata andatura nei
quali il pianista mostra una profonda capacità
di
riflessione del materiale sonoro. La convincente
interpretazione che Buchbinder ha elargito ci dà
un’idea certa di quello che la musica di
Beethoven sia stata veramente. La resa
stilistico-interpretativa della celebre
Sonata "Al chiaro di luna" ,eseguita a
conclusione, ha destato sensazione per forza
espressiva e disinvoltura discorsiva ed ha
strappato al termine del programma ufficiale
interminabili fragorosi applausi. Altrettanto di
livello il noto bis ancora beethoveniano con
l'ultimo movimento di un'altra celebre sonata.
Da ricordare.
25 ottobre 2017 Cesare
Guzzardella
La finta giardiniera
alla
Scala
Il successo di pubblico che
sta avendo in questi giorni alla Scala l'opera
mozartiana La finta giardiniera lo si
deve soprattutto alla popolarità del grande
compositore, all'impatto dei suoi grandi
capolavori più conosciuti e più rappresentati.
Questa grande popolarità
non può che suscitare un più
che
motivato bisogno d'ascolto anche per un'opera
raramente interpretata, che manca dal teatro del
Piermarini da oltre quarant'anni. Mozart in
giovane età, a 19 anni, scrisse le note di un
lavoro che risente in modo evidente l'influenza
dell'Opera buffa italiana e che utilizza la
forma del Singspiel, cioè la presenza
costante di parti recitate. Su quasi tre ore di
durata, più di un terzo è puro teatro recitato
che abbisogna di protagonisti (prime due foto a cura dell'Archivio della Scala)che prima di
essere cantanti sappiano ben recitare la loro
parte avendo come riferimento anche la Commedia
dell'arte italiana. Le qualità attoriali, qui
più che in altri melodrammi, devono emergere. La
quarta rappresentazione vista
ed
ascoltata ieri sera mi è piaciuta molto, cosa
questa che per rappresentazioni all'insegna
della tradizione, non mi capita spesso. Un primo
motivo di apprezzamento lo si deve senza ombra
di dubbio all'ottima direzione musicale operata
da Diego Fasolis, direttore specializzato in
musica antica che anche qui fa uso di strumenti
originali. La resa dell'orchestra scaligera con
strumenti d'epoca, oltre ad entrare maggiormente
nello stile settecentesco risulta più discreta
nei volumi sonori espressi, con dinamiche ben
adatte a sottolineare la fondamentale componente
vocale e di ambientazione scenica. Bravissimi
gli strumentisti del basso continuo con
James Vaughan al fortepiano, Paolo
Spadaro al
cembalo e Simone Groppo al violoncello: questi
in modo chiaro e nello stile improvvisatorio
tipico, ben uniscono la parte recitata a quella
cantata: una carellata di oltre venti splendide
arie che rivelano le qualità virtuosistiche
operate nel canto da Mozart. Un altro
apprezzamento va all'unità complessiva della
messinscena, molto sinergica in tutte le
componenti, partendo dall'avvincente regia di
Frederic Wake-Walker per arrivare alle voci dei
sette protagonisti, tutti all'altezza nel loro
mutevole ruolo. Semplice ma appropriate le scene
e i costumi d'epoca di Antony McDonald ben
illuminate da Lucy Carter. Valide le voci: Krešimir
Špicer, il Podestà, Bernard
Richter, il Contino Belfiore, Anett
Fritsch, Armida, Hanna-Elisabeth Müller, Giulia
Semenzato, Serpetta, Lucia Cirillo, Il
Cavaliere Ramiro, Mattia Olivieri, Nardò.
Ultime repliche per il 26 e 29 ottobre. Da non
perdere.
24 ottobre 2018 Cesare
Guzzardella
A Fontanetto Po
Vivaldi in Paradiso
con la Camerata Ducale e Guido
Rimonda
Presso
il Teatro Viotti in Corso Massimo Montano 29 a
Fontanetto Po si terrà il 27 ottobre 2018 ore 21
Vivaldi in Paradiso di Giovanni Mongiano
con Giovanni Mongiano in Antonio Vivaldi ,
Anna Antonia Mastino Suor Griselda. La
Camerata Ducale sarà diretta da Guido Rimonda
anche al violino; Stefano Simondi oboe e Lorenzo
Mastropaolo al fagotto.
23 ottobre 2018 dalla
redazione
Una serata in ricordo
di Daniele Lombardi
Un incontro importante quello
organizzato ieri sera in Sala Verdi, nel
Conservatorio milanese, in ricordo di Daniele
Lombardi, pianista, compositore e artista visivo
fiorentino recentemente scomparso. All'incontro
denominato Sogno, Segno, Gesto, Visione,
sono intervenuti amici pianisti
come Antonio
Ballista, Emanuele Arciuli, Massimiliano
Damerini, Alfonso Alberti, il flautista Roberto
Fabbriciani ed ex-allievi come Stefano Ligoratti,
Ana Spasic, Antonello D'Onofrio e Claudio
Soviero. La serata, coordinata dal critico
Angelo Foletto, ha trovato anche la presenza
di
Philippe Daverio e Maddalena Novati. Tutti hanno
ricordato il compositore e il suo modo
interdisciplinare d'intendere l'arte, modo
particolarmente vicino al Futurismo, corrente
alla quale Lombardi si sentiva particolarmente
legato. Filmati e ottime esecuzioni di brani
dello stesso Lombardi e di musicisti da lui
amati come Lourié, Cage, Antheil, Cowell, Crumb,
Roslavets, Bussotti e Scriabin, hanno visto
alternarsi gli
interpreti a cominciare dal duo
pianistico D'Onofrio-Soviero che ha eseguito
Trasale Sospeso, Arciuli con i Preludi
n.5 e 6, Fabbriciani con
Rondellus e
L'aria
cedevole per flauto, il soprano
Ana Spasic con Tra i calanchi di Selene e
Wagnerreise tutte composizioni di
Lombardi e quest'ultima in duo con Stefano Ligoratti. Valide anche tutte le esecuzioni
riferite ad altri compositori delle quali
ricordiamo almeno quelle di Alfonso Alberti
con
Forme en l'Air di A.V. Lourié e brani da
La femme 100 Têtes di G. Antheil, di
Emanuele Arciuli con un bellissimo In a
Landscape di J.Cage, del luminosissimo
Accademia di S. Bussotti eseguito dal duo
Fabbricini- Damerini e la divertente e gestuale
performance di A.Ballista con H.Cowell e G.Crumb
rispettivamente con Aeolian Harp e
Tora!Tora!Tora! Una serata notevole per
interesse e organizzazione musicale- da un'idea
di Silvia Limongelli- che verrà a lungo
ricordata.
23 ottobre 2018 Cesare
Guzzardella
Milano Musica
porta al Teatro alla Scala le musiche di György
Kurtág
La nuova Stagione musicale di
Milano Musica quest'anno vede in
posizione centrale la musica dell'ungherese
György Kurtág. Il compositore novantaduenne
presenterà la sua opera Fin de partie,
su
testi di Samuel Beckett, il
15 novembre. Ieri, nel tardo pomeriggio, una
mostra dedicata a
Kurtág
ha anticipato il Concerto serale nel ridotto
scaligero con anche anticipazioni sul programma
della nuova Stagione di Milano Musica Alle ore
20.00 l'interessante concerto ha visto la
Filarmonica scaligera diretta da Gergely Madaras
impegnata in tre lavori, due più recenti - di
Kurtág e di Dusapin- e l'ultimo, di Igor
Stravinskij con la sua celebre suite da
Petruska. Nel brano Zwegespräch, per
sintetizzatori e orchestra, scritto a due da
Kurtág padre con il figlio omonimo -
dall'originale con quartetto d'archi nella
trascrizione orchestrale in nove parti dello
svizzero Olivier Cuendet - abbiamo visto
impegnato ai sintetizzatori il
figlio
György . In effetti il brano, di oltre venti
minuti, è risultato rilevante anche per l'uso
ricercato di timbriche discrete, interiori e di
evidente suggestione, articolate in brevi
sequenze nelle quali le testiere sono in
alternata sintonia con le parti orchestrali in
modo
da creare un concertato di evidente
qualità. Il secondo brano ha visto protagonista
Mike Svoboda al trombone. Watt per trombone e
orchestra (1994) di Dusapin ha messo in
risalto tutti i potenziali timbrici
dell'incisivo strumento a fiato. La costruzione
orchestrale, molto interessante, nasce dai
potenziali espressi dal solista in sinergia con
esso. Molto bella l'interpretazione fornita.
Curioso e divertente il bis solistico concesso
da Svoboda. Il celebre brano stravinskijano
Petruska, conclusivo della bella serata, ha
rivelato l'ottima direzione del giovane Madaras,
bravissimo con la Filarmonica nel creare
sonorità luminose e ben contrastate nel brano
rivisto dal grande russo nel 1947. Splendida
l'interpretazione complessiva. Grande successo
di pubblico in un teatro con moltissimi
spettatori, fortunatamente anche giovani. Da
ricordare.
22 ottobre 2018 Cesare
Guzzardella
Il grande pianista
russo Arcadi Volodos per la
Società dei Concerti
È da alcuni anni che non
veniva in Italia il pianista russo, di San
Pietroburgo, Arcadi Volodos. La Fondazione
Società dei Concerti è riuscita a portarlo
sul palcoscenico del Conservatorio milanese.
La
serata di ieri rimane
tra quelle più riuscite di quest'anno, tra
quelle che devono essere ricordate. Volodos,
classe 1972, è noto anche per le sue ardite
trascrizioni, come quella del celebre "Alla
turca" mozartiano variato in virtuosismi
impressionanti e di resa estremamente
interessante. L'impaginato proposto ieri
prevedeva nella prima parte della serata
Schubert e dopo l'intervallo Rachmaninov e
Skrjabin. La rara Sonata in mi maggiore D 157
ha introdotto il concerto seguita dai pi ù
eseguiti
e
noti Moments Musicaux op.94 D 780
. La chiarezza espositiva, il timbro
vellutato e controllato, unitamente ad un uso
perfetto del pedale di risonanza hanno
messo
in risalto in Schubert andature tranquille e
riflessive anche per via di quelle stupende
pause ben evidenziate dal grande interprete.
L'accuratezza nei dettagli e la trasparenza dei
diversi piani sonori, con scambi di melodie
privilegiate, hanno rivelato l'altissima statura
artistica di Volodos. La seconda parte della
serata, incentrata sui compositori
russi
di primo Novecento quali Rachmaninov e Skrjabin
ci ha portato in un altro mondo musicale. Ottima
la scelta dei sei brani per il primo russo e dei
sei per il secondo. Rachmaninov, classicamente
asciutto, ha trovato un' ottima resa per tre
Preludi dall'op.3, op.23
e op.32 come quello celebre in do
diesis minore op.3 n.2, quindi nella
Romance Op.21 n.7( arr. Volodos), nella
Serenade op.3 n.5 e nell'Étude-Tableau
op.33 n.3. Un approccio stilistico
differente, estemporaneo e a mio avviso più
interessante quello rivelato in Skrjabin con sei
brani visionari e raffinati quali la Mazurca
op.25 n.3, Caresse dansée op.57 n.2, Enigme
Op.52 n.2, Poème op.71 n.2 e Vers la Flamme
op.72. I fragorosi applausi dei presenti,
seguiti da alcune ovazioni dei più appassionati
rimasti fino all'ultimo in sala, hanno portato a
ben quattro bis, meravigliosi nella loro
semplicità e carica espressiva: ancora un
Preludio di Skrjabin, un Minuetto di
Schubert, un celebre Intermezzo di Brahms
e una Siciliana di Vivaldi.
Indimenticabile!
18 ottobre 2018 Cesare
Guzzardella
Rossini al
Teatro Coccia di
Novara
Ieri sera, mercoledì 17
ottobre il Teatro Coccia di Novara ha offerto al
suo pubblico, accorso abbastanza numeroso,
nonostante si trattasse di una serata fuori
abbonamento, la farsa in un atto di un ancor
giovanissimo Rossini, “La cambiale di
matrimonio”. E’ il primo omaggio della stagione
2018-19 da parte del teatro novarese al grande
Maestro pesarese, in occasione del 150° della
morte, in attesa del ben più impegnativo “Mosé
in Egitto” del prossimo novembre. La farsa era
preceduta dall’esecuzione di due melologhi su
musiche create da studenti delle classi di
composizione del Conservatorio di Milano: “LES
MOTS QUI SONNENT Due melologhi per Gioachino
Rossini”. In effetti la serata è nata da una
coproduzione tra il Coccia e il Conservatorio
milanese G. Verdi, oltre alla milanesissima
Accademia di Brera. Il Conservatorio del
capoluogo lombardo ha fornito l’orchestra, la
direzione della medesima, affidata a Margherita
Colombo( diplomatasi al Verdi, ma
con
alle spalle significative esperienze europee,
soprattutto in Germania) e la regia, firmata da
Laura Cosso, docente di Arte scenica al Verdi,
coadiuvata nella coreografia da Emanuela
Tagliavia, insegnante presso la Scuola di Teatro
P. Grassi di Milano: insomma un bel soffio di
aria ambrosiana sotto la cupola di S.
Gaudenzio…Sorvoleremo sui due melologhi per voce
narrante e orchestra, incentrati su due momenti
diversi della vita di Rossini: quello dei primi,
grandi successi, narrati secondo la prospettiva
delle lettere inviate da Rossini alla famiglia,
e quello della tarda età e del ‘mitico’ incontro
con Wagner: si è trattato di due pezzi che
testimoniano una notevole preparazione musicale
dei giovanissimi autori e dimostrano che in un
Conservatorio prestigioso come quello di Milano
si può ancora imparare a fare buona musica.
Veniamo alla “Cambiale di matrimonio” . Si
tratta di una farsa dalla trama assai semplice,
ambientata esoticamente in una immaginaria
Inghilterra, il cui tipico rappresentante è
Tobia Mill, figura odiosa di padre dispotico e
avido di denaro, che arriva a vendere la propria
figlia Fannì , ovviamente innamorata di un bel
giovanotto, a un americano a caccia di una
moglie. Non dimentichiamo che l’operina fu
composta nel 1810, quando gli inglesi erano i
nemici numero uno di Napoleone, cui l’Italia
obbediva. Tutto naturalmente finisce per il
meglio, con l’americano saggio e generoso che
acconsente a rinunciare ai propri disegni. Nel
complesso è un Rossini ancora
debitore di una lunga tradizione di opere buffe
e di Intermezzi, ma nel quale si nota qualche
presentimento dei futuri capolavori: nel
personaggio di Norton, peraltro marginale, c’è
già qualcosa del futuro Figaro. L’esecuzione è
stata di dignitosa qualità: valido il Tobia Mill
di Davide Rocca, basso baritono, già ascoltato
al Coccia, che si è efficacemente espresso nel
canto piuttosto sillabico e orientato su un
registro acuto, richiesto dal suo ruolo di
“buffo caricato”, mentre Raffaele Facciolà (Slook,
l’aspirante marito americano) un “buffo nobile”
più vincolato a una tessitura centrale, ha
mostrato buon timbro, forse un po’ monocorde (ma
andrebbe riascoltato in parti più
impegnative).Per terminare con i ruoli
protagonistici ha cantato bene il soprano
Lucrezia Drei (Fannì) , altro ‘prodotto’ del
vivaio milanese, con una vocalità di buona
proiezione e discreta tessitura sul registro
acuto, mentre senza infamia e senza lode ha
sbrigato la sua parte il tenore Schinichiro
Kawasaki (Edoardo, l’amato di Fannì). Nelle
parti di fianco si sono ben destreggiati Filippo
Quarti, il terzo basso della compagnia, Norton,
e una vivace e simpatica Cristiana Faricelli
nella parte di Cristina. Colombo è direttrice
dal gesto autorevole ed essenziale, sia con la
bacchetta, sia con la mano sinistra, che ha
saputo dettare tempi e dinamiche giuste ai
cantanti, coordinando bene il rapporto
buca-scena. Non ci ha convinto appieno la
sinfonia introduttiva, a nostro avviso un po’
lenta nella seconda sezione (Allegro vivace).
Essenziale la regia, che ha eliminato ogni
orpello d’epoca, per una messa in scena che
punta sul dominio opprimente dell’interesse
economico: l’opera si apre in una sorta di
emporio in cui si muovono freneticamente uomini
e merci e sulla scena campeggiano portali con
l’indicazione di città commerciali, una rete di
traffici al cui centro è Tobia, e in cui tutto è
in vendita, figlie comprese…Un pubblico
soddisfatto ha lasciato, dopo lunghi applausi,
la platea del Coccia.
18 ottobre 2018 Bruno Busca
L'Ottetto dei
Berliner Philharmoniker inaugura la nuova
Stagione del "Quartetto"
Ieri sera è iniziata la nuova
Stagione musicale della Società del Quartetto
con un concerto tenuto da una formazione
cameristica d'archi d'eccezione quale l'Ottetto
dei Berliner Philharmoniker. Fondata
nel
1994, tiene concerti in tutto il mondo ed è
stata per la prima volta ospite in Sala Verdi
nel Conservatorio milanese. L'impaginato
prevedeva tre brani quali il Sestetto
dall'opera Capriccio op.85 di R. Strauss, il
Sestetto op.18 n.1 di J.Brahms e
l'Ottetto op.20 di F. Mendelssohn. . Le
altissime qualità estetico-espressive di questa
formazione si sono rivelate dalle prime arcate.
La fluida discorsività di tutti i sei
strumentisti - due violini, due viole e due
violoncelli- ha ben delineato questo Andante,
rivelatore esemplare della poetica straussiana.
Con il più noto sestetto brahmsiano ci siamo
ancor più immersi in un mondo di raffinatezze
coloristiche espresse con impasti timbrici che
fanno pensare ad un unico strumento per
omogeneità espressiva di tutti gli archi. Il
secondo movimento, il celebre Tema con
variazioni,
ha
ancor più mostrato l'unicità esecutiva del
gruppo d'archi. Il brano finale, l'Ottetto in
mi bem.maggiore di Mendelssohn, ha aggiunto
altri due violini al sestetto precedente. La
rapidità esecutiva sostenuta da dinamiche molto
equilibrate ha messo in risalto le geniali
qualità di un giovane musicista - aveva solo
sedici anni Mendelssohn quando compose l'Op.20-
ma con uno stile già delineato e personale. Lo
Scherzo e il Presto finali,
eseguiti in modo eccellente dall'ottetto d'archi
dei Berliner, hanno ancor più rilevato le
precoci qualità del secondo compositore
amburghese. Eccellente il bis proposto dalla
prestigiosa formazione con un raro ma splendido
Scherzo dall'Op.11 di
Šostakovic reso con
incredibile energia dagli otto strepitosi
virtuosi. Applausi fragorosi in una Sala Verdi
colma di pubblico. Da ricordare.
17 ottobre 2018
Cesare Guzzardella
Due solisti per due
concerti di Schumann in Conservatorio
Un concerto particolarmente
interessante quello ascoltato ieri sera in
Conservatorio per Serate Musicali. La
Kodaly Philharmonic Orchestra Debrecen diretta
da Daniel Somogyi-Toth ha eseguito musiche di
Robert Schumann anticipate da una piacevole
Ouverture in do maggiore "in stile italiano"
di F. Schubert. In effetti questo lavoro
introduttivo che il compositore
viennese scrisse
in
giovane età, risente l'influenza di tutta la
musica italiana di quel periodo e si presenta
come lavoro di grande freschezza melodica che ci
ricorda il bel canto italiano. Ottima
l'esecuzione della giovane orchestra
cameristica. I brani poi eseguiti di Robert Schuman hanno rivelato i due solisti
protagonisti: il primo, il Concerto il la
minore Op.129, ha visto una violoncellista
molto giovane, di soli vent'anni, Matilde
Agosti. Matilde ha mostrato un tocco delicato
per un lavoro in un unico movimento sebbene
suddiviso in tre parti. Particolarmente
melodiosa e con elevati potenziali, ha però
mancato di una più
sicura incisività,
pur
dimostrando ottime timbriche ed alto senso
musicale per un lavoro non facile, ricco di
contrasti e cambiamenti di registro. Meritato il
successo ottenuto. Dopo il breve intervallo è
salito sul palcoscenico un pianista consolidato
quale Roberto Prosseda per il celebre
Concerto in la minore Op.54, un brano che in
questi giorni sta spopolando
nelle sale da
concerto milanesi, domenica infatti è stato
interpretato al Dal Verme da Ivan Krpan. Ottima
l'interpretazione del pianista laziale, ben
coadiuvato dalla valida direzione di
Somogyi-Toth. Prosseda ha espresso con
incisività e con rigore timbriche luminose,
sottolineando molto bene i frangenti di maggiore
rilevanza melodica ben evidenziati nei
contrastati piani sonori. La sua prospettiva
analitica, certamente dovuta da un attento e
costante studio, ha rilevato ogni dettaglio del
celebre concerto evidenziando con grande
lucidità la sua bellezza coloristica. Fragorosi
gli applausi al termine e due splendidi bis
quali Träumerei di Schumann e il
Notturno postumo di Chopin, lavori tanto
celebri quanto meravigliosi, eseguiti con una
perfezione di dettaglio stupefacente ed
espressività di alto valore estetico.
Bravissimo! Fragorosi applausi. Da ricordare.
16 ottobre 2018 Cesare Guzzardella
Inaugurata la nuova Stagione Sinfonica de
I Pomeriggi Musicali
La nuova Stagione di concerti
de I Pomeriggi Musicali con sede al
Teatro Dal Verme di Milano si è aperta giovedì
scorso con un concerto dedicato interamente a
Robert Schumann. Nella replica
domenicale
ascoltata ieri pomeriggio sono stati eseguiti
due noti lavori quali il Concerto per
pianoforte e orchestra Op.54 (1841-45) e la
Sinfonia n.4 op.120. L'orchestra de I
Pomeriggi era diretta da George Pehlivanian,
musicista naturalizzato statunitense. Solista al
pianoforte nel più celebrato Concerto in la
minore, il ventunenne croato Ivan Krpan.
Krpan lo scorso anno ha vinto il primo premio al
prestigioso Concorso Internazionale F. Busoni
di Bolzano e lo attendiamo, speriamo presto,
in un recital solistico. Valida la sua
interpretazione che ha rivelato un efficace
approccio stilistico nel quale la delicatezza di
tocco e la scorrevolezza di fraseggio si
uniscono ad un giusto equilibrio nella messa a
punto delle dinamiche. Il suo Schumann risulta
meno contrastato rispetto ad altre celebri
interpretazioni ed è giocato su sottili
equilibri di maggiore classicità che hanno reso
particolarmente rilevante l'Allegro vivace
finale. Il giovane interprete è stato
inoltre ben coadiuvato da Pehlivanian, direttore
attento ai dettagli e particolarmente rispettoso
della parte solistica. Molto bello il bis
solistico concesso con la nota Arabesque
op.18, sempre di Schumann. Ottima la resa
interpretativa complessiva della Sinfonia n.4
in re minore, eseguita nella seconda parte
del concerto con energica introspezione
dall'ottimo orchestra. Lunghi e fragorosi gli
applausi al termine. Il prossimo appuntamento
della Stagione sinfonica e concertistica
quest'anno denominata "Ritratti d'autore"
è per giovedì 18 ottobre alle ore 20.00 ( nuovo
orario) con replica domenicale alle ore 17.00.
L'Orchestra de "i Pomeriggi" sar à
diretta da Alessandro Cadario in musiche di
Mozart, Vacchi ( Love's Geometries) e
Prokof'ev. Da non perdere.
14 ottobre 2018 Cesare
Guzzardella
Jorg Demus a
Novara
La città di Novara ha
tributato ieri sera, giovedì 11 /10 presso il
Teatro Faraggiana, il suo doveroso omaggio al
centenario della morte di C. Debussy, con quello
che, per una volta senza enfasi retorica, si può
definire un ‘evento’: un concerto di uno dei
monumenti del pianismo del secondo novecento,
l’austriaco Jorg Demus (90 anni a dicembre!).
Con questa serata, tra l’altro, l’Associazione
Amici
della
musica, tra le istituzioni protagoniste della
vita musicale novarese, inaugura la XXXVIII
stagione della sua più importante attività
annuale, il Festival Cantelli (e anche 38 è un
bel numero…). Al numeroso pubblico accorso al
Faraggiana Demus ha presentato, ovviamente, un
programma impaginato monograficamente su
composizioni di Debussy: la Suite Bergamasque,
entrambe le serie delle Images, per concludere
con un’antologia dai Preludes. Come si nota, la
scelta è caduta sulla prima produzione
pianistica del sommo compositore francese, in
cui da un pianismo dalle linee nitide, di
limpida sonorità ‘parnassiana’ (la Suite) lo
stile compositivo si viene immergendo in un
mondo musicale in cui a imporsi in primo piano è
sempre più il timbro, sorretto da una
particolarissima e suggestiva ricerca armonica.
Demus ha insomma inteso proporre un accostamento
dei due volti del mondo musicale di Debussy, non
solo cronologicamente successivi, ma spesso
compresenti sincronicamente. nelle sue opere: la
chiarezza cristallina del suono e l’esplorazione
sonora simbolistico-impressionistica, che
ovviamente richiedono, da parte dell’esecutore,
estrema duttilità e sensibilità espressiva,
unite a una raffinatissima tecnica
interpretativa. Di fronte a questo complesso
mondo sonoro, Demus si è posto evocandolo con un
tocco di meravigliosa morbidezza e di signorile
eleganza, totalmente alieno da qualunque idea di
esteriore spettacolarità, ma suggerendo
piuttosto, anche nei passaggi più brillanti
delle composizioni, l’impressione di un intimo
colloquio con le profondità più recondite della
pagina. La calma solenne con cui superava le
difficoltà tecniche della scrittura, dagli
incroci tra le due mani, le doppie ottave, gli
arpeggi rapidissimi o l’accostamento simultaneo
di diversi tipi di accordi (come in Hommage a
Rameau o Et la lune descend, nelle Images)
suggerivano plasticamente
all’ascoltatore/spettatore l’immagine di un
olimpico dominio delle più sottili sfumature
della tastiera, oltre che dar prova di
un’agilità di diteggiatura, prodigiosa ad un’età
così avanzata. Un suono, inoltre e soprattutto,
quello offertoci dalla sapienza esecutiva di
Demus, misurato (e gliene siamo grati)
nell’”effetto flou” delle pagine più
‘impressionistiche’ del programma: esemplare
l’interpretazione della fin troppo celebre “Cathedrale
engloutie”, dove l’accorto uso del pedale sui
bassi affidati alla mano sinistra, senza
esagerare nel legato, e la contemporanea scelta
agogica nella successione di quarte e quinte per
moto parallelo, di una lentezza misurata, hanno
offerto all’ascolto il mistero dell’emersione
della cattedrale dagli abissi, senza scadere
però, come troppo spesso succede, in una
irritante e vuota vaporosità di suoni, ma
tenendo ben fermi il disegno e i valori timbrici
dell’insieme. Infine, da ammirare le scelte
dinamiche del Maestro, con una affascinante
variegazione chiaroscurale, capace di dare
risalto al minimo dettaglio della partitura:
semplicemente meraviglioso “Ce qu’a vu le vent
de l’ouest” (dai Preludes), in cui il ritmo
tumultuoso era illuminato in lampi improvvisi
dai raffinati contrasti dinamici. Due bis e un
lunghissimo applauso finale hanno coronato una
serata che certamente i musicofili novaresi
ricorderanno a lungo.
12 ottobre 2018 Bruno Busca
Ernani al Teatro alla
Scala
È dal lontano 1982 che Ernani,
opera drammatica in quattro atti di Giuseppe
Verdi su libretto di Francesco Maria Piave, non
veniva rappresentata alla Scala. Nella quarta
rappresentazione, il
successo di pubblico
tributato in un Teatro pressoché al completo è
stato evidente. Fragorosi gli applausi rivolti
ai protagonisti vocali, alla direzione
orchestrale e corale e allo spettacolo nel
complessivo della realizzazione. Certo, un tipo
di rappresentazione come quella vista e
ascoltata ieri sera ci fa tornare indietro nel
tempo. La messinscena, all'insegna della
tradizione,(le prime tre foto di Brescia-Amisano Archivio Scala) per la regia di Sven-Eric- Bechtolf,
con i
costumi d'epoca di Kevin Pollard, le scene
ben rappresentate di Julian Crouch e le adeguate
luci di Marco Filibek. , si è mostrata coerente
e funzionale a questa tipologia di spettacolo.
Valida la direzione musicale di
Ádám Fischer, di
grande energia e di immediata resa timbrica
nell'ottimo concertato che sottolinea la vicenda
in cui la protagonista femminile Elvira è amata
e corteggiata da ben tre protagonisti maschili:
Ernani, Don Carlo e Silva. Quest' opera Verdiana
è ricca di cori, di arie solistiche, di duetti,
terzetti e quartetti e ha anche coreografie
molto evidenziate nei colori e ben inserite nel
contesto scenico. Punto di forza di questa nuova
produzione è l'equilibrio vocale dei quattro
protagonisti che rivelano ottimo livello di
canto: Ailyn Pérez, Elvira, ha potenza
vocale ricca di colori soprattutto nei toni
alti; Francesco Meli è un valido Ernani
con timbriche tonde e chiare, molto bravo nelle
mezze voci dell'ultimo atto; anche Luca Salsi si
è dimostrato un Don Carlo adeguato con
voce tenorile robusta ed incisiva; Ildar
Abdrazakov è un Silva tra le voci
migliori per incisività, morbidezza e chiarezza
espressiva. Di ottima levatura anche Daria
Chernyi, Giovanna, Matteo Desole, Don
Riccardo e Alessandro Spina, Jago. Il
Coro preparato da Bruno Casoni, come sempre è
stato di altissimo livello. Ricordiamo le
prossime repliche per il 13-18-22-25 ottobre.
10 ottobre 2018 Cesare
Guzzardella
La pianista Fernanda
Damiano inaugura la nuova stagione dello
Spazio Teatro 89
di Milano
E' iniziata la nuova stagione
concertistica dello Spazio Teatro 89. Nel
primo concerto la giovane pianista tarantina
Fernanda Damiano ha impaginato un programma di
elevato virtuosismo che comprendeva musiche di
Liszt, Chopin, Granados, Rameau, Berio,
Cognolato e Rachmaninov. Una
varietà
di compositori ben
armonizzati
nella scelta dei brani che hanno messo in pieno
risalto le qualità virtuosistiche della
ventitreenne pianista. Il concerto è stato
introdotto , come sempre avviene, da Luca
Schieppati ( nella foto) organizzatore della
collaudata rassegna musicale. Siamo rimasti
stupiti della padronanza tecnica della Damiano,
dalla sicurezza con cui risolve ogni difficoltà
di scrittura che è particolarmente evidente
nella bellissima e poco eseguita Ballata n.2
di Franz Liszt, come nell' impervia
Sonata n.2 op.36 di Sergej Racmaninov, ma
anche
nel
complesso Allegro da Concerto Op.46 di
Granados. Il corpo esile di Fernanda e le sue
giovani mani nascondono una forza incredibile
nel padroneggiare la tastiera. L'articolato
Les Sauvage di J.P.Rameau, il celebre
Andante spianato e Grande Polacca Brillante Op.22
di Chopin e lo splendido brano
Wasserklavier di Luciano Berio, hanno
rivelato anche il lato più delicato, elegante ed
interiore dell'ottima interprete. Il concerto è
terminato - nel suo programma ufficiale -
con
l'esecuzione in Prima assoluta di un
brano del compositore milanese quarantanovenne
Sebastiano Cognolato (nella foto con Fernanda),
denominato Mabrouk. Un lavoro non breve -
sei intensi minuti- e profondo, che rievoca la
tragedia del piccolo Mabrouk sul barcone
affondato l'11 ottobre 2013 al largo di
Lampedusa. Pochi minuti che riassumono
magistralmente la vicenda del bambino emigrante:
dalla nascita alla morte. Partendo da
una
semplice melodia, di poche e semplici note che
probabilmente rappresentano l'anima delicata ed
innocente del bambino, il brano si trasforma
rapidemente in una tragedia umana. L'uso di
clusters nei momenti finali del lavoro
esprimono drammaticamente gli ultimi attimi di
vita del piccolo innocente. Fernanda Damiano è
stata superlativa nell'esprime con rilevante
gestualità ogni momento della tragedia e, nel
finale, la triste scena della morte, dapprima
mimando perfettamente il volto sofferente di
Mabrouk e poi accasciandosi per lunghi secondi
sulla tastiera. Il pubblico ha riservato lunghi
e fragorosi applausi a Fernanda per l'
interpretazione di un lavoro che è anche una
performance visiva di intelligente gestualità.
Di elevato livello il bis concesso con
l'appagante Debussy del Clair de lune.
Un' interprete di valore che merita certamente
un attento riascolto. Da ricordare a lungo.
8 ottobre 2018 Cesare
Guzzardella
Nuova Stagione
Musicale al Teatro Coccia di Novara con
Rigoletto
Con l’inaugurazione, ieri
sera venerdì 5 ottobre, con il “Rigoletto”, ha
avuto inizio la nuova stagione musicale del
Teatro Coccia di Novara, che promette di essere
una delle più ricche degli ultimi anni. L’ultima
volta di un Rigoletto novarese fu nella stagione
2011, e chi scrive non conserva di quella
rappresentazione un ricordo propriamente
esaltante. Tutt’altra cosa il Rigoletto di ieri
sera, soprattutto grazie al cast e alla
direzione orchestrale. La regia dello
spettacolo, coproduzione del Coccia e dell’Ente
Concerti di Sassari, era affidato all’affiatata
coppia Paolo Gavazzeni/Piero
Maranghi,
che hanno optato per una messa in scena sobria,
essenziale, sullo sfondo di una semplice
scalinata e di qualche colonna, giusto una
facile allusione allo spazio della corte e del
potere, teatro della tragica vicenda. L’anima
della regia è stata affidata ai giochi di luce
,una luce che nella presentazione del programma
di sala si definisce ispirata alla “pittura del
‘500”. Non sappiamo bene quali esempi di pittura
del ‘500 abbiano avuto in mente Gavazzeni e
Maranghi, ma a noi è parso che l’impiego della
luce fosse guidato soprattutto dall’ovvio
criterio di dare il massimo rilievo ai
personaggi protagonisti delle scene
drammaturgicamente più rilevanti, avvolgendo nel
buio di oscure tenebre i momenti più foschi e,
appunto ‘notturni’ della vicenda. Nel complesso
ci è parsa una regia un po’ scontata, con una
certa staticità delle masse corali. Il cast dei
cantanti era, come detto, di tutto rispetto.
L’eroe eponimo era affidato a Roberto De Candia,
baritono in origine rossiniano, solo più tardi
accostatosi a ruoli verdiani, in particolare a
quello di Falstaff. Dobbiamo dire che da lui ci
aspettavamo molto, e siamo alla fine rimasti un
pochino delusi: la voce è ampia, di bel volume,
tecnicamente
diremmo corretta, ma dal colore un po’ troppo
monocorde, non del tutto capace di aderire, in
tutte le sue pieghe espressive, a quella
meravigliosa ‘parola scenica’ verdiana che qui
nel Rigoletto fa la sua prima grande prova di
sé. La nostra delusione ci è parsa condivisa dal
pubblico, che alla fine non gli ha tributato
quegli applausi che si immaginava sarebbero
toccati a una tale celebrità della nostra
lirica. Ci ha invece convinto l’emergente tenore
romeno Stefan Pop, nei panni del Duca: magari
non sempre precisissimo, ha però sfoggiato una
voce ben timbrata, calda e luminosa,
belcantistica, un buon tenore lirico spinto
dalla intensa duttilità espressiva: volendo
cercare il pelo nell’uovo, gli è forse mancata
un po’ di quella cinica spavalderia propria del
Duca, fatuo don Giovanni, totalmente privo di
quella luciferina grandezza tragica che è
dell’eroe mozartiano. Nonostante il giudizio
positivo, che ribadiamo, ci pare che il mondo
musicale di Pop sia più belliniano che verdiano.
Vedremo la sua futura carriera. Anche Alessandra
Kubas-Kruk, soprano polacco di ultima
generazione, in via di affermazione sui
palcoscenici internazionali, nel ruolo di Gilda
ha messo in evidenza un bel timbro vocale, anche
se di volume non molto ampio. Ci è piaciuta in
particolare la sua interpretazione della grande
aria sul finire del primo atto “Caro nome”, di
un belcantismo puro, belliniano quanto mai, con
qualche spruzzatina rossiniana nelle fioriture
delle variazioni. Da migliorare da parte della
Kubas-Kruk gli acuti, che le escono qualche
volta un po’ sforzati, ma ha buone doti
espressive e ha saputo rendere in modo
convincente, intenso e senza eccessiva enfasi,
la parte tragico-sentimentale di Gilda. Tra i
ruoli di primo piano, la Maddalena del
mezzosoprano georgiano Sofia Janelidze è
rientrata nell’ordinaria amministrazione,
contraddistinta da una linea di canto non sempre
fermissima e da un’espressività un po’ scialba.
Più che dignitosamente se la sono cavata le
numerose parti di fianco: Andrea Comelli (un
fosco Sparafucile), Serena Muscariello (Contessa
di Ceprano), Fulvio Fonzi (Monterone), Stefano
Marchisio (Marullo), Ariol Xhaferi ( un Ceprano
dalla buona calibratura tragica
nell’espressione) Didier Pieri (Borsa) e
Valentina Garavaglia (Paggio). L’Orchestra e il
Coro del Teatro Coccia erano come quasi sempre
diretti da Matteo Beltrami, che ha ben gestito
il rapporto buca-palcoscenico, con scelta
incisiva delle dinamiche, giocate su un
chiaroscuro molto adatto all’atmosfera del
dramma in scena. Beltrami, di opera in opera, va
migliorando decisamente la qualità della
direzione, correggendo un’iniziale attitudine a
tempi troppo veloci e soprattutto va ‘costruendo
‘ un’orchestra che sotto la sua bacchetta sta
trovando una sua precisa identità. Successone
alla fine, con lunghissimi applausi da parte di
un pubblico da tutto-esaurito.
6 ottobre 2018 Bruno Busca
Il
violino di Anna Tifu con
Čajkovski
incanta Sala Verdi
Avevo ascoltato per la prima
volta la violinista Anna Tifu nel febbraio del
2012, nel bellissimo Concerto per Violino e
Orchestra in la minore di Antonín Dvořák
. Da allora l'ho seguita in molte
altre
serate milanesi,
sia
come solista che nei repertori con orchestra.
L'ottima impressione avuta allora si è
consolidata nel tempo. Ieri sera, in una quasi
completa Sala Verdi in Conservatorio, abbiamo
assistito ad un'eccellente concerto sinfonico
per la Società dei Concerti dove la
trentenne solista italo-rumena è state
ottimamente accompagnata dalla SWD
Philharmonie Konstanz diretta da Ari
Rasilainen in un caposaldo della letteratura
concertistica quale il Concerto in re
maggiore Op.35 di P.I.
Čajkovskij. La
splendida lettura della Tifu è emersa in
ogni dettaglio, favorita anche
dalla
direzione di Rasilainen, molto attento a far
emergere le peculiarità della virtuosa,
peculiarità che sostanzialmente sono dovute ad
una sicurezza estrema nel fraseggio, una
perfetta intonazione ed una quadratura del tempo
sempre precisa e corretta.
Il
timbro incisivo ha evidenziato ogni sonorità del
bellissimo e voluminoso violino. I
lunghi e fragorosi
applausi tributati dal numeroso pubblico
intervenuto sono stati adeguati all'eccellente
interpretazione ascoltata. Due i bis solistici
concessi dalla bella e brava violinista: prima
una nota Sarabanda di Bach e poi una
straordinario movimento dalla Seconda Sonata
di Ysaÿe. Non dimentichiamo gli ottimi brani
che hanno contornato il celebre concerto. Ad
introduzione una popolare Ouverture su
temi russi di Balakirev e, dopo il breve
intervallo, un repertorio tutto inglese con R.
Vaughan Williams e la sua Fantasia su un tema
di Thomas Tallis ed E.Elgar con il raro ma
pregnante In the South Op.50. Splendide
sonorità, interiori e discrete in Williams ed
incisive ed estroverse in Elgar per l'ottima SWD
Philharmonie di Kostanz diretta benissimo.
Celebre il bis concesso con il meraviglioso
Valzer triste di J.Sibelius. Fragorosi
applausi. Da ricordare.
4 ottobre 2018 Cesare
Guzzardella
Il
virtuosismo di Freddy Kempf alle Serate
Musicali
Il quarantenne pianista
londinese Freddy Kempf torna ogni anno in Sala
Verdi nel Conservatorio milanese per Serate
Musicali. Ieri sera
di fronte ad un
numeroso
pubblico, ha impaginato un programma
variegato nel quale ha potuto ancora una volta
rivelare la sua cifra stilistica giocata su un
personale
e spettacolare
virtuosismo.
Chopin con gli Studi Op.10, Rachmaninov
con gli Etudes Tableau Op.39, Liszt con
quattro celebri rielaborazioni di brani di
Verdi, Donizetti, Rossini, hanno contribuito ad
evidenziare la tecnica prodigiosa di un pianista
che possiede anche il dono dell'espressività. Il
suo Chopin, con i celebri primi 12 Studi,
eseguiti con andamenti particolarmente
sostenuti, sono lontani dalle esecuzioni entrate
nella storia dei più affermati interpreti, ma
sono coerenti nella personalizzazione di questo
pianista dotato di un
controllo formidabile della tastiera. Più
aderente alla tradizione esecutiva il suo
Rachmaninov con i rari Etude Tableau eseguiti
molto bene mediante incisivi contrasti
volumetrici, con una preferenza per le dinamiche
più marcate
ma
con anche con momenti d'intenso lirismo. Molto
bello il suo Liszt, dal
Miserere dal Trovatore verdiano , alle
Reminescenze dal donizettiano Lucia di
Lammermoor, alla rossiniana aria Cujus Animam
dallo Stabat Mater per poi terminare con
ancora Verdi e la splendida Parafrasi dal
Rigoletto dove Kempf ha certamente raggiunto
una personale vetta interpretativa . Non poteva
mancare al termine del programma ufficiale un
celebre bis ascoltato più volte gli anni scorsi,
con il classico e funambolico The Star and
Stripes Forever dell'innarrivabile Vladimir
Horowitz. Applausi fragorosi al termine. Da
ricordare.
2 ottobre 2018 Cesare
Guzzardella
SETTEMBRE 2018
Bignamini, Soltani e
la Sinfonica Verdi
in Auditorium
È ricominciata la nuova
stagione di concerti all'Auditorium milanese con
l'Orchestra Sinfonica di Milano "G.Verdi". Ieri
sera la direzione di Jader Bignamini ha espresso
splendide sonorità con quattro brani: da quello
introduttivo con la nota Ouverture da Il
Franco Cacciatore di Carl Maria von Weber a
Schumann con il Concerto per violoncello e
orchestra in la min. Op.129.
Nella
seconda
parte
Nunquam Sinfonia Romana di Carlo Finzi e
Pini di Roma di Ottorino Respighi. Un
programma vario e particolarmente interessante
che ha messo in contrasto la scuola sinfonica
tedesca ottocentesca con quella italiana di
primo Novecento. Dopo le note ed avvincenti
timbriche di Weber è salito sul palco il
violoncellista austriaco, di origine iraniana,
Kian Soltani per il Concerto in la minore
di Schumann. Coadiuvato dalla energica e sicura
direzione di Begnamini e dalla duttile
orchestra, Soltani ha mirabilmente espresso il
tardo lavoro del tedesco - tre movimenti senza
soluzione di continuità- con timbriche sia
incisive che morbide nell'unicum discorsivo. Di
grande qualità la resa complessiva. Valido il
bis solistico con una composizione -Persian
Fire Dance- dello stesso Soltani
dall'evidente sapore folcloristico orientale. Il
raro lavoro proposto dopo l'intervallo del
milanese Aldo Finzi (1897-1945) - di famiglia
mantovana
di
origine
ebraiche-,
denominato Nunquam, ci rivela un'altro
compositore appartenente a quella scuola
musicale strumentale di primo Novecento che ha
cercato una linea espressivo-strumentale che si
aggiungesse alla più diffusa tradizione lirica
dei Verdi e dei Puccini. Finzi, decisamente meno
noto di Respighi, ha ereditato prima dalla
scuola tedesca e poi da quella italiana,
un'eccellente capacità di orchestrazione con
timbriche ben miscelate ricche di colori. La sua
Sinfonia Romana, datata 1936, ha
un'introduzione di stampo wagneriano-straussiano
e uno svolgersi melodico tipicamente italiano.
Ottima la resa orchestrale nei dieci minuti
circa di esecuzione. Il brano conclusivo, il
celebre poema sinfonico Pini di Roma del
più noto italiano, ha trovato il migliore
Bignamini nel contesto dell'ottima direzione
complessiva. Le sonorità suggestive e
scenografiche di questo fortunato lavoro,
dimostrano ancora una volta i grandi potenziali
di un' orchestra che si esprime ad alto livello
quando trova direttori di spessore come il
bravissimo cremasco. Fragorosi gli applausi al
termine. Domenica alle 16.00 ultima replica. Da
non perdere.
22 settembre 2018 Cesare
Guzzardella
Elisso Virsaladze
diretta da Vasily Petrenko per il Festival Mito
Ieri sera al Teatro Dal verme
una sala al completo ha accolto la pianista
georgiana Elisso Virsaladze
per
il celebre Concerto n.1 in si bem.
m Op.23 di
Čaikovskij.
L'orchestra
del Teatro Regio era diretta da Vasily Petrenko,
direttore quarantenne russo. La Virsaladze,
pianista spesso presente nei palcoscenici
milanesi, ha ancora una volta rivelato le sue
eccelse qualità
interpretative attraverso un'esecuzione robusta,
sicura e particolarmente luminosa, in un
concerto le cui difficoltà tecniche ed esecutive
sono ben note. Coadiuvata dall'ottima orchestra
torinese e da Petrenko, la pianista ha mostrato
chiarezza interpretativa in ogni frangente
musicale, dall'incisivo e spesso percussivo
Allegro non troppo e molto maestoso, primo
movimento, al delicato Andantino semplice
centrale che ha fatto
emergere
le più raffinate
caratteristiche
della grande pianista, efficace nel modulare i
colori più tenui. Il ritorno al segno incisivo
dell'Allegro con fuoco ha determinato al
termine un tripudio di applausi per la
protagonista e anche per l'eccellente
interpretazione della valida compagine
orchestrale. Nella seconda parte della serata,
tutta orchestrale, un altro grande
compositore russo come Sergey Prokof'ev e
le sue Suite dal Romeo e Giulietta n.2 e n.1
hanno trovato un direttore grintoso e
determinato per un'esecuzione di spessore
soprattutto nei movimenti finali della Suite
n.1, eseguita a conclusione, specie in
Maschere e Morte di Tebaldo. Applausi
fragorosi al termine ma nessun bis...peccato! Da
ricordare
15 settembre 2018 Cesare
Guzzardella
Il balletto
La Bisbetica domata alla Scala
Questa
sera ultima replica alla Scala per il Balletto
del Teatro Bol' šoj
di Mosca
con "La Bisbetica domata". Ieri sera
nella seconda replica grande successo per la
coreografia del francese Jean-Christophe Maillot
e per l'Orchestra
Sinfonica di Milano
"G.Verdi"
diretta da Igor Dronov. La Bisbetica
domata
(foto Blangero Alice-Archivio Scala)
trova una valida valorizzazione con le splendide
musiche di Šostakovic caratterizzate da una
grande varietà
di stili assemblati nell'originalità compositivà
del grande musicista russo. Molto bravi tutti i
ballerini che hanno restituito in maniera
vistosa e superlativa tutti i momenti musicali,
da quelli più ritmici vicini alla musica jazz a
quelli più "romantici" maggiormente riferibili
alla tradizione classica. Nella serata di questa
sera ritorneranno alcune prime parti della prima
serata. Da non perdere.
13 settembre 2018 A.G.
Prossimamente una rassegna
musicale a Fontanetto Po
Prossimamente
si terranno tre concerti al
Teatro Viotti di Fontanetto Po in Corso Massimo
Montano 29 . Questo il programma: il 15
settembre 2018 ore 21 Le Violon noir
con Guido Rimonda al violino e la Camerata
Ducale; il 27 ottobre 2018 ore 21 Sulle
tracce di Antonio Vivaldi con Guido Rimonda
violino, Lorenzo Mastropaolo fagotto, e la
Camerata Ducale; il 30 novembre 2018 ore 21
J. S. Bach: I Concerti per violino con Guido
Rimonda e Giulia Rimonda ai violini e la
Camerata Ducale. Da non perdere!
dalla redazione 10 settembre
2018
"Anima e corpo" con la
Neojiba Orchestra di Bahia per MiTo
Un'orchestra di giovanissimi
quella ascoltata ieri sera in Sala Verdi nel
Conservatorio milanese. MiTo ha infatti portato
dal brasile la Neojiba Orchestra diretta dal suo
fondatore, il pianista-direttore Ricardo Castro.
Castro certamente ispirandosi al noto modello
venezuelano El Sistema di José Antonio
Abreu, aiutato dal governo di Bahia, porta in
giro per il mondo questa compagine orchestrale
formata
da un numero ingente di strumentisti. I
programmi in genere prevedono una prima parte
più "classica" e una seconda incentrata su brani
particolarmente
ritmici
e legati alla tradizione sudamericana. Sala
Verdi era al completo in attesa
della grande Martha Argerich che doveva eseguire
il celebre Concerto per pianoforte e
orchestra in la minore Op.54 di Robert
Schumann. Niente da fare, anche Martha non ha
potuto esserci. Una caduta le ha causato
contusioni non gravi ad un braccio e ad una
gamba. La delusione del pubblico in sala per la
mancanza della grande interprete è stata
sostanzialmente superata ascoltando il
bravissimo Ricardo Castro al pianoforte: con
ottima prestazione, ha eseguito la parte
pianistica
del concerto schumanniano. Ricordiamo che Castro
nasce pianista, ha vinto importanti concorsi
internazionali come quello di Leeds, ed ha
suonato spesso in duo con Maria João Piras.
Fragorosi e continuati gli applausi tributati
sia a Castro che all'Orchestra, riuscita
quest'ultima a procedere molto bene senza
direttore. La seconda parte del concerto
all'insegna del ritmo, fragorosa e divertente,
era perfettamente in sintonia con il tema di
danza che caratterizza la stagione 2018 di MiTo.
Partendo dalla celebre Ouverture da
West Side Story di Leonard Bernstein con il
celebre Mambo finale, abbiamo poi
ascoltato brani in prima esecuzione come
Sonhos Percutidos di Wellington Gomez
(1960), lavoro tonale costruito su una ritmica
percussiva molto accentuata e ripetuta. Ancora
all'insegna del ritmo la Cuban Ouverture
di George Gershwin. Danzón n.2 di Arturo
Márquez ha concluso il concerto. Il brano finale
è stato eseguito senza direzione e ascoltato
attentamente in platea anche da Ricardo Castro.
Ancora fragorosi applausi al termine.
7 settembre 2018 Cesare
Guzzardella
Sergej Krylov ha inaugurato alla Scala il
Festival MiTo Settembre Musica
Il Festival MiTo Settembre
Musica di quest'anno è dedicato alla danza e
annovera la presenza di importanti interpreti
quali Ilya Gringolts, Martha Argerich, Elisso
Virsaladze e molti altri che si cimenteranno anche
in repertori di raro ascolto. La rassegna, per
la direzione artistica di Nicola Campogrande, è
iniziata ieri sera a Torino ed il concerto ha
avuto
replica, come consuetudine, al Teatro alla
Scala. La Royal Philharmonic Orchestra diretta
da Marin Alisop ha trovato un pubblico al
completo per un programma interessante che
prevedeva musiche di Schumann,
Čajkovskij e Stravinskij.
Il primo brano, il celebre Träumerei
dalle Kinderszenen op.15 di Robert
Schumann, è stato eseguito in prima esecuzione
italiana in una trascrizione orchestrale di
Victoria Borisova-Ollas. Suggestive le velate
sonorità del breve lavoro schumanniano che ha
subito una trasformazione in chiave bucolica con
distribuzione del tema nel soffio dei bravi
solisti orchestrali, soprattutto legni, negli
archi, nelle arpe, ecc. Un'operazione rischiosa
ma certamente nuova ed apprezzabile. Il celebre
Concerto in re maggiore Op.35 di Pëtr Il’ič
Čajkovskij
doveva avere
come solista Julia Fischer. Indisposta, è
stata sostituita da un altro celebre virtuoso
quale Sergej Krylov. L'interpretazione ha visto
un'orchestra molto rispettosa della parte
solistica che specie nel celebre
Allegro moderato iniziale, ha nel violino
virtuosismi resi dall'interprete
russo in modo sciolto e disinvolto. Il pubblico
non ha saputo contenere gli applausi al termine
del primo movimento. Il virtuosismo di Krylov è
emerso poi nel bis concesso: il Capriccio
n.24 di Paganini noto per le numerose
variazioni. Nella seconda parte della serata, in
tema con la rassegna di quest'anno incentrata
sulla danza , è stata eseguita la nota Suite da
L'uccello di fuoco di Igor Stravinskij.
La buona esecuzione ha esaltato le ottime
qualità direttoriali di Marin Alsop. Di grande
impatto dinamic o
il bis: un omaggio a Leonard Bernstein
per i cento anni dalla nascita con la sua
celebre Ouverture dal Candide. Fragorosi
gli applausi al termine.
5 settembre 2018 Cesare
Guzzardella
LUGLIO 2018 -
Il Pirata
di Bellini al Teatro alla Scala con
due Imogene
È tornata all Scala dopo
sessant'anni l'opera di Vincenzo Bellini su
libretto di Felice Romani Il Pirata.
Allora nel ruolo di Imogene c'era Maria
Callas e alla direzione orchestrale Antonino
Votto. La nuova produzione del Teatro alla Scala
in co-produzione con il Teatro Real di Madrid e
il San Fracisco Opera, riprende in scena un
lavoro giovanile del compositore siciliano che
per la prima
volta
nel lontano 27 ottobre 1827 debuttò a Milano.
Ottenne un grande successo, rimase in cartellone
per circa quindici anni per poi sparire per
oltre cent'anni dal celebre teatro milanese.
Certo, le opere mature di Bellini destano molta
più attenzione, ma anche Il Pirata trova nella
corposa partitura una tale quantità di splendide
arie e cabalette destinate ai protagonisti,
Imogene e Gualtiero, da rendere
doverosa una maggiore frequentazione. Nella
prima replica, quella ascoltata ieri sera, (
prime due foto di Brescia/Amisano dall'Archivio
Scala) il cast era quello della "Prima" con
Sonya Yoncheva nel ruolo di Imogene,
Piero Pretti in Gualtiero e Nicola Alaimo
in Ernesto. Un improvviso calo di
pressione della Yoncheva avvenuto alla fine del
primo atto ed annunciato sul palcoscenico dal
sovrintendente Alexander Pereira ci ha permesso
di ascoltare nel ruolo della protagonista la
voce della siciliana Roberta Mantegna, soprano
previsto nel secondo cast e destinato alle
ultime recite. Fortunatamente era
preparatissima. Per quanto concerne la
messinscena, abbiamo trovato ottima la regia
dello spagnolo Emilio Sagi, un po' fredda la
scenografia di Daniel Bianco completata dai
validi costumi di Pepa Ojanguren e dalle luci di
Albert Faura. Un gioco di specchi nelle pareti
della scena ha potenziato in modo eccessivo la
visione del quadro geometrico con fastidiose
illuminazioni improvvise. La scena minimale e
"addobbata" in bianco e nero era
comunque
interessante perchè ben inquadrava i
protagonisti facendo risaltare la loro
individualità. Valida complessivamente
l'orchestrazione di Riccardo Frizza, energica e
con colori un pò secchi nel frangente
strumentale ma molto attenta agli interventi
vocali. Per la fondamentale componente vocale,
quella che rende maggiormente interessante
questa opera belliniana, abbiamo raggiunto
l'apice nell'interpretazione della bulgara
Yoncheva. Le difficoltà oggettive del bel canto
belliniano con il gran numero d'interventi
solistici presenti, sono state superate con
maestria da una voce, quella della Yoncheva,
ricca di chioro-scuri e superba per profondità
timbrica in ogni registro. La bellezza estetica
dei suoi colori non si discutono. L'inaspettato
cambio del soprano, nel secondo atto, ci ha
lasciato inizialmente perplessi, anche per la
completa differenza di tipologia timbrica di
Roberta Mantegna che ha richiesto un adattamento
alla nuova voce , per poi apprezzarne in
toto le qualità. La sua voce, meno corposa e
duttile di quella della Yoncheva, presenta una
timbrica comunque ricca di qualità nei registri
alti, con perfetta intonazione e capacità
complessiva di gestione vocale come evidenziato
anche nella nota aria finale Col sorriso
d'innocenza, interpretata splendidamente e
applauditissima. Non dimentichiamo anche
l'ottima presenza scenica e attoriale della
Mantegna nel ruolo non facile di Imogene. Ci è
particolarmente piaciuto Piero Pratti, un
Gualtiero dalla timbrica sicura anche se a
volte troppo impostata. Valida complessivamente
l'interpretazione di Nicola Alaimo in Ernesto
e bene anche Francesco Pittari in Itulbo,
Riccardo Fassi in Goffredo e Marina de
Lisi in Adele. Un plauso, come sempre al
Coro preparato da Casoni. Al termine il pubblico
era entusiasta per la resa complessiva e per
l'interpretazione della giovane interprete,
certamente la più applaudita. Da ricordare.
Prossime recite per il 6-9-12-14- 17-19 luglio.
4 luglio 2018 Cesare
Guzzardella
Il
Fidelio diretto da
Myung-Whun Chung alla Scala
Meritato il successo
tributato dal pubblico presente alla quinta
rappresentazione scaligera al Fidelio
beethoveniano diretto da Myung-Whun Chung. La
messinscena (le prime tre
foto dall'Archivio Scala), ripresa della
stagione scaligera 2014-2015, ha trovato ancora
una giusta affermazione dovuta a più elementi:
l'ottima regia di Debora Warner unitamente
ell'efficace scenografia con
relativi
costumi di Chloe Obolensky e alle splendide luci
di Jean Kalman riprese da
Valerio
Tiberi; l'eccellente direzione di Myung-Whun
Chung che con sintesi discorsiva di ogni
elemento musicale ha sostenuto un'appariscente
tensione strumentale rifinita nei dettagli
dall'ottima orchestra scaligera; il livello
espressivo del Coro preparato da Bruno Casoni,
che soprattutto nella strepitosa e finalmente
luminosa scena finale ha superato se stesso in
qualità. La componente vocale, accettabile nel
complesso e con delle vette per alcune voci, è
quella che non convince completamente. La
semplice vicenda a lieto fine ha trovato
un'ambientazione spartana ed irregolare in un
contesto da cortile di prigione dove alti
pilastri
di
cemento armato definiscono spazi irregolari
all'interno dei quali si muovono i protagonisti
che sembrano calcare una grande scena da cinema
neo-realista. Certamente efficace la resa
scenografica, molto teatrale, considerando anche
i determinanti interventi di recitazione nei
quali primeggia Stephen Milling -Rocco-
anche valida voce con timbro corposo e
pregnante. Nel primo atto gli interventi di Eva
Liebau - Marzelline
figlia di Rocco- e di Jacquelyn Wagner-
Fidelio/Leonore- si alternano o partecipano
vocalmente insieme con buona resa vocale, più
incisiva nel primo atto per la Liebau. Tra le
due voci femminili si inserisce quella maschile
di Martin Piskorski -Jaquino il portiere
innamorato non corrisposto di Marzelline-
che ci è apparso ben impostato ed espressivo.
L'entrata in scena di Luca Pisaroni -Don
Pizarro direttore della prigione- ci è
sembrata
maggiormente
valida vocalmente per la chiarezza timbrica
espressa, che attorialmente, con costume
inappropriato da dirigente aziendale. Il secondo
atto, nell'ambientazione cupa tra scantinato
sotterraneo e caverna, ha visto l'ingresso in
scena di Stuart Skelton, Florestan il
prigioniero nascosto, certamente ottimo
attorialmente nel suo incedere zoppicante e con
voce adeguata al suo ruolo. Abbiamo trovato
significativamente migliore la voce di Jacquelin
Wagner - prima Fidelio poi Leonore moglie di
Florestan - nel secondo atto, maggiormente
determinata e con timbro chiaro e voluminoso.
Nella splendida e finalmente luminosissima scena
finale, oltre che all'insuperabile coralità che
ha concluso un' opera dove emerge in modo
evidente il genio musicale di Beethoven, un
ottimo ed incisivo Martin Gantner - Don
Fernando- è entrato in scena per stabilire
ordine in quella prigione, mentre il cattivo Don
Pizarro veniva giustiziato fuori scena dal
"popolo" con un colpo di pistola: situazione
questa che in un contesto complessivo certamente
di alto valore etico, fa discutere. Ultime
repliche previste
per il 5 e il 7 luglio.
Da ricordare.
3 luglio 2018 Cesare
Guzzardella
GIUGNO 2018-
Fierrabras
di Franz Schubert al Teatro alla Scala
Se vogliamo evidenziare un
lavoro di Franz Schubert che riassuma
l'estensione in più settori del suo genio
compositivo dobbiamo indicare come lavoro
privilegiato Fierrabras, opera in tre
atti mai eseguita quando lui era in vita e
rivalutata dal grande Claudio Abbado nel 1988 a
Vienna ed in una
sua
prestigiosa versione
discografica.
La messinscena (prime 4 foto a cura
dell'Archivio della Scala) tradizionalmente
esposta da Peter Stein, in questi giorni alla
Scala in alternanza
al beethoveniano Fidelio,
rivela la forza di un musicista votato al
lied e con grande capacità di espressione
nel settore sinfonico- corale.
Quello che convince maggiormente - nella sesta
replica vista ieri sera - è certamente la
rilevante direzione di Daniel Harding,
interpretazione di stampo abbadiano per tensione
drammatica e per unitarietà di tenuta
complessiva. Harding ha diretto con grinta e
anche discrezione l'ottima orchestra scaligera
rispettando la componente vocale sia delle buoni
voci soliste che dell'eccellente Coro preparato
mirabilmente da Casoni, in modo da far
risaltare
ogni dettaglio timbrico, anche nei frangenti
meno voluminosi. A nostro avviso nel complessivo
dei tre atti, all'interno dei quali si rivelano
gli squilibri ed i pressapochismi della vicenda
eroico-romantica, il migliore è
certamente
il primo. In questo, più che negli altri,
l'equilibrio globale sinfonico-liederistico
raggiunge vette mai ascoltate prima di allora.
La geniale semplicità di alcune arie
schubertiane, che devono molto al migliore
Mozart per bellezza estetica, è rafforzata dai
colori orchestrali in una unità d'intenzione che
ha pochi uguali. Certamente ci sono altissimi
momenti musicali anche negli altri atti. Questi,
grazie alle numerose voci soliste sono stati ben
evidenziati all'interno della discreta e quasi
disegnata scatola scenografica. Le tradizionali
scenografie di Ferdinand Wögerbauer e i classici
e molto raffinati costumi
d'epoca di Anna Maria Heinreich ben sottolineano
con la valida regia di Stein i preziosi ideali
cavallereschi, ricchi di valori umani ed etici.
I protagonisti, per ottenere la pace tra i
francesi di
Carlo
Magno e i Mori spagnoli si muovono nelle
monocromatiche e poco
dinamiche scene con situazioni rilevate nel
primo atto e nel finale del terzo e un po'
nascoste nella cupa e poco chiara scena dei
prigionieri della torre. Un po' banale quella
piccola finestrella che fa finalmente ben vedere
alcuni dei volti dei prigionieri francesi e
quello di Florinda. Tra le numerose voci
soliste segnaliamo soprattutto quella di
Dorothea Röschmann una Florinda con
timbro molto espressivo specie nei registri
gravi, e di Bernard Richter un Fierrabras
dal dal timbro generoso e chiaro. Quindi le voci
di Peter Sonn in Eginhard di Anett
Fritsch in Emma e di Markus Werba in
Roland. Rilevante la composta presenza
scenica di Sebastian Pilgrim un König Karl
chiaro ed incisivo, buona la timbrica di
Lauri Vasar in Boland principe dei Mori e
valida Marie-Claude Chappuis in Maragond.
Ultima replica prevista per il 30 giugno.
28 giugno 2018 Cesare
Guzzardella
Meritato
successo e grande entusiasmo al Teatro alla
Scala per Anna Caterina Antonacci
Il concerto di canto tenuto
ieri sera alla Scala dal soprano Anna Caterina
Antonacci ha messo in risalto l'eccellenza
vocale dell'interprete e le sue ottime qualità
attoriali. Punto di arrivo importante era il
celebre lavoro di Francis Poulenc La voix
humaine: circa quaranta minuti di monologo
vocale
nel quali l'elemento melodico, presente ma
ridotto a pochi interventi, è sovrastato da una
declamazione ricca di sentimento e d'incisività
dominata dall'interprete. La minimale
scenografia composta da un piccolo tavolino e da
un telefono rosso era circondata dalle poche ma
necessarie movenze dell'attrice-cantante. Il
monologo racconta essenzialmente il dialogo di
lei con l'amante cui seguirà il congedo
definitivo. I continui cambiamenti umorali della
protagonista sono stati interpretati
nell'alternanza ricitazione-canto in modo
sorprendente dalla Antonacci
e ogni minima variazione
affettiva è stata esaltata da una mimica
gestuale perfetta. Sottoliniamo anche le qualità
dell'ottimo pianista Donald Sulzen, che con
sinergica sensibilità, ha evidenziato ogni
momento espressivo della voce. Le qualità
melodiche della splendida artista sono emerse
ancor più nella prima parte del concerto con una
sequenza di brani di ben tre autori: Ottorino
Respighi, Gabriel Fauré e Reynaldo Hahn.
Deità Silvana, cinque brani su testi di
Antonio Rubino e Sopra un'aria antica ,
da Quattro liriche su testi di Gabriele
D'Annunzio, ci hanno rivelato le
ingenti
qualità di Respighi sia nel trattare la voce che
nella fondamentale parte pianistica qui espressa
in modo eccellente. In questi brevi brani del
1917 e nell'ultimo del 1920 si riscontra
l'influenza di Debussy nelle timbriche ma le
qualità d'impatto sonoro tra il canto e il
pianoforte ci rivelano un Respighi affascinante.
L'Horizon Chimérique, opera matura di
Fauré è un ritorno al canto tipico francese di
quel periodo caratterizzato da eleganza e
dolcezza. I cinque brani conclusivi nella
raccolta denominata Venezia ed eseguiti
al termine della prima parte, erano di Reynaldo
Hahn, compositore francese di origine
venezuelana. Splendida l'esecuzione della
ferrarese Antonacci, precisa e dettagliata nella
lingua dialettale lagunare. Successo strepitoso
con uscite ripetute sul palcoscenico del duo e
ottimo il celebre bis L'amour est un oiseau
ribelle dalla Carmen di Bizet. Da ricordare
a lungo.
18 giugno 2018 Cesare
Guzzardella
Prossimamente a
Vercelli
Nell'ambito della 20°
stagione del Viotti Festival, il giorno
22 giugno 2018 alle ore 18.00 presso il Museo
Leone di Vercelli si terrà il quarto concerto
della rassegna Ducale.LAb. Il pianista
Alberto Pipitone Federico al pianoforte eseguirà
musiche di Schumann e Debussy.
18 giugno dalla redazione
Domenico Nordio esegue e dirige Schumann con
la Sinfonica Verdi
Il desiderio della direzione
orchestrale è cosa assai diffusa oggi da parte
di molti solisti affermati con risultati buoni
per alcuni e ottimi per altri. Barenboim è il
prototipo del grande pianista e grande
direttore.
Askenazy e Pletnev nascono eccellenti pianisti e
diventano poi anche direttori d'orchestra in
vasti ambiti musicali e con più che ottimi
risultati. Spesso per alcuni la direzione è
orientata ai concerti per solista ed orchestra,
al repertorio barocco o, parzialmente, a quello
contemporaneo, come per Gidon Kremer, Yuri
Bashmet, Alexander Lonquich, Mario Brunello,
Enrico Dindo, Alessio Allegrini, ecc. Una novità
per me è stata quella ritrovata in campo
direttoriale da Domenico Nordio, da molti anni
affermato violinista che ha ha voluto cimentarsi
dirigendo l'Orchestra Sinfonica Verdi in un
programma interamente schumanniano dove, nella
parte centrale della serata, è stato eseguito il
raro ma efficace Concerto per violino e
orchestra, opera postuma riscoperta solo nel
1937 per una celebre esecuzione berlinese
diretta nientemeno che da Karl Bohm.
Questo
brano era incastonato tra due composizioni
orchestrali quale l'Ouverture, Scherzo e
Finale Op.52 e la Sinfonia n.2 in Do
maggiore Op.61 Ottime le interpretazioni
ascoltate ma con una preminenza
esecutiva
nel concerto solistico, per via certamente delle
eccellenti qualità virtuosistiche di Nordio che
spiccano in modo intenso e decisivo nell'opera
postuma. L'incisività della componente
violinistica è stata affrontata con grinta e
fluidità da Nordio anche se alcune timbriche
all'ascolto perdevano d'intensità dovendo il
virtuoso improvvisamente
girarsi per la direzione orchestrale. Una certa
disorganicità d'insieme nella composizione del
brano di Schumann non ha nascosto la
sorprendente qualità della parte solistica che
emerge ripetutamente nei tre movimenti, il primo
Energico, ma non troppo veloce, il secondo,
Adagio in continuità all'Allegro ma non
troppo
finale. Una esecuzione di qualità per una resa
estetica ottima anche nella componente
orchestrale. Successo di pubblico. Domani,
domenica 17, alle 16.00
la seconda replica. Da non perdere.
16 giugno 2018 Cesare
Guzzardella
Fazil Say e la
Stuttgarter Philharmoniker Orchestra per la
Società dei Concerti
Il Concerto ascoltato ieri
sera in Conservatorio per la Società dei
Concerti ha evidenziato due momenti musicali
importanti: quello legato al passato con il
brano che ha introdotto la serata, l'Ouverture
"Der Freischutz" Op.77 di Carl Maria von
Weber e la Sinfonia n.7 in la maggiore Op.92
di L.v.Beethoven e quello relativo ai nostri
giorni con una composizione recente,
del
2012, il
Concerto
per pianoforte e orchestra "Water" del
pianista-compositore turco Fazil Say, un artista
legato alla nostra città da una presenza
costante specie per le serate organizzate dalla
nota società concertistica. La Stuttgarter
Philharmoniker era diretta da Dan Ettinger e
ha trovato intensità espressiva nei due noti
lavori classici ed eccellente sinergia nel brano
contemporaneo. Say ha proposto un concerto dove
l'elemento naturale definito dalle soffici note
iniziali del pianoforte è stato inserito in un
contesto orchestrale ricco di sonorità
"concrete" che spesso imitavano la Natura. La
proposta musicale di Say - anche ottimo e
personale interprete classico- e i suoi
originali modi di far musica, li abbiamo oramai
interiorizzati avendo in questi
anni
ascoltato molte sue composizioni, tutte in
ambito tonale e di efficace ed immediata presa
sul pubblico. Anche in Water abbiamo
ritrovato la sua
anima
mediterranea al confine -come la sua terra
d'origine- tra oriente ed occidente. L'influenza
sostanziale della cultura occidentale è apparsa
spesso mediata da un certo modo di melodiare o
armonizzare alla "francese" - Debussy, Ravel o
certi chansonnier
del Novecento- dal folclore dell'est - Bartòk,
Kodali ecc.- e dalla cultura jazzistica di tipo
improvvisatorio alla quale Say è molto legato.
Nel corposo concerto pianistico in tre movimenti
- Blue water, Black water, Green water
eseguiti senza soluzione di continuità-
l'elemento "sinfonico" è forse preminente:
infatti il pianoforte, delicato ed intimistico
nella parte iniziale ed in quella finale,
diventa nella fase centrale uno strumento
orchestrale, appartenente ad una vasta compagine
strumentale che costruisce sonorità suggestive e
liberatorie immerse in un mondo naturalistico.
Gli elementi "concreti" ottenuti sia con gli
strumenti tradizionali che con "oggetti" pensati
per l'imitazione ad esempio del vento e
dell'acqua, hanno portato ad una definizione
unitaria della proposta musicale certamente
personale ed interessante con elementi
descrittivi e anche dal carattere filmico. In
questi suoi modi espressivi, anche ricchi di
elementi estrapolati dal folclore turco, Say
trova motivi di convergenza con un nostro noto
compositore, il siciliano Sollima, virtuoso del
violoncello, apprezzato, come accade pure in
Say, da un pubblico anche più giovane. Dopo il
brano in questione ben tre i bis solistici
offerti: un bellissimo e raffinato arrangiamento
jazz di Summertine di Gershwin, una
originale interpretazione del
Notturno Op.9 n.2 di
Chopin ed un classico e melodico suo brano
denominato SES. Successo in una Sala
Verdi colma di pubblico. Da ricordare.
14 giugno 2018 Cesare
Guzzardella
Uno
Stradivari Brodsky del 1702 alla presentazione
della Sesta edizione dello STRADIVARIfestival
di Cremona
Nell'elegante Sala del Camino
dell'Hotel Four Seasons di Milano si è svolta la
presentazione della prossima Sesta Edizione
dello STRADIVARIfestival,
importante
manifestazione musicale che si
svolgerà
a Cremona tra il 28 settembre e il 14 ottobre.
Violinisti e strumentisti di altissima qualità
quali Maxim Vengerov, Nicolaj Znaider, Sarah
Chang, Kirill Troussov, James Ehnes, Gidon
Kremer, Mario Brunello, Vladimir Spivakov,
Sergej Krylov, ecc. saliranno sul palcoscenico
del bellissimo Auditorium Giovanni Arvedi
impegnando i migliori violini Antonio Stradivari
che la città di
Cremona
ha prodotto e che in parte conserva
nell'importante Museo del Violino. Alla
presentazione del festival,
insieme al Sindaco di Cremona Gianluca
Galimberti, al Direttore della Fondazione Museo
del Violino A.Stradivari, dott.sa Virginia Villa
e al Direttore artistico del Festival Roberto
Codazzi, hanno partecipato due prossimi
protagonisti quali il violinista Kirill Troussov
e la pianista Alexandra Troussova che hanno
evidenziato lo splendore timbrico del violino
Stradivari Brodsky 1702, strumento con il
quale il virtuoso Adolph Brodsky nel 1881 eseguì
per la prima volta il celebre
Concerto
per violino di P.I.Čaikovskij.
L'eccellente duo ha eseguito in modo mirabile la
nota Ciaccona in sol minore di Tomaso
Antonio Vitali. Kirill Troussov ha evidenziato
con sicurezza e nitore stilistico le timbriche
del bellissimo Stradivari e l'espressività
del celebre brano cavallo di battaglia dei
maggiori virtuosi internazionali. Non
dimentichiamo, insieme ai solisti citati, la
presenza al festival di eccellenti compagini
strumentali quali l'Orchestra Filarmonica di
Torino, I Virtuosi di Mosca, la Kremerata
Baltica, la Lithuanian Chamber Orchestra, I
Virtuosi italiani e i London Mozart Players. Un
festival che va assolutamente seguito e che
speriamo abbia un grande successo di pubblico.
13 giugno 2018 Cesare
Guzzardella
La fisarmonica di
Richard Galliano e la
Camerata Ducale per
Serate Musicali
Il fisarmonicista francese di
origine piemontese Richard Galliano ha tenuto un
concerto per Serate Musicali in
Conservatorio accompagnato dalla Camerata
Ducale,
compagine
cameristica
vercellese
diretta dal noto violinista Guido Rimonda.
Insieme hanno eseguito brani di Bach , Vivaldi,
Piazzolla, Gardel e Galliano stesso. Il successo
della serata, svoltasi di fronte ad un numeroso
pubblico, è stato motivato soprattutto dalle
qualità virtuosistiche di questo eccelso
fisarmonicista che attraverso uno strumento
particolarmente incisivo nell'espressione
melodica ed armonica tende ad imporsi
timbricamente nel contesto cameristico dominato
dagli archi. Nelle trascrizioni per fisarmonica
di Bach dal Concerto in Do minore per oboe e
archi BWV 1060 o di Vivaldi nella celebre
"L' Estate" dalle Quattro stagioni,
l'operazione di Galliano tende un po' a
stravolgere le timbriche originarie più discrete
per un'estroversione della musica barocca di
grande impatto sonoro in ambito
folcloristico-popolare. Abbiamo trovato più
consoni e artisticamente rilevanti i brani di
Piazzolla come il bellissimo Invierno Porteño
per fisarmonica e orchestra o la suggestiva e
meravigliosa Oblivion eseguita come bis,
dove la maestria del grande compositore
argentino Astor
Piazzolla
(1933-1990) è stata riportata con stile e
competenza dall'eccellente fisarmonicista. Ma
anche i suoi lavori come Petite suite
français, New York Tango, Tango
per Claude e La Valse a Margaux ci
sono molto piaciuti: esecuzioni da grande
virtuoso dove l'interiorizzazione di ogni
elemento musicale restituisce al pubblico
sonorità incisive ma anche raffinate.
Grandissimo successo. Bravissimo anche Rimonda
solista nella pregnante Per una cabeza
per violino e orchestra di Carlos Gardel.
Eccessiva e timbricamente non sempre valida
l'amplificazione operata sugli strumenti per chi
come noi, pubblico fedele a Sala Verdi, è
abituato alle timbriche degli strumenti
naturali. Da ricordare.
12 giugno 2018 Cesare
Guzzardella
Piccoli e grandi
musicisti in Sala Verdi
al Conservatorio di Milano
La prestigiosa Sala Verdi
del Conservatorio milanese, sede dei più
importanti concerti serali della
nostra
città , ha ospitato il giorno 7 giugno una
manifestazione musicale denominata "Piccoli e
grandi in musica". Moltissimi allievi del
vicino Istituto Omnicomprensivo Musicale
"G.Verdi" - istituto legato per affinità e
attività al Conservatorio- di età compresa tra i
sei e i diciotto anni, hanno avuto modo di
esprimersi musicalmente attraverso il coro e gli
strumenti. La lunga mattinata introdotta dalla
dott.sa Graziella Bonello - preside
dell'Omnicomprensivo, presentata da alcuni
studenti del liceo, ha visto ad inizio mattina
il numerosissimo Coro dei piccoli allievi delle
elementari diretti dal M°Edoardo Cazzaniga,
docente di canto corale in Conservatorio. Questi
hanno eseguito un pot pourri di brani per
ragazzi ben accompagnati al pianoforte dal prof.
Massimo
Bussani. Poi è toccato elle esecuzioni
strumentali di
ogni
ordine scolastico: dai piccoli di quarta e
quinta elementare provenienti dal corso
propedeutico di violino, clarinetto e flauto
diretti dal Prof.Giovanni Mirolli, alle
esecuzioni di piccole formazioni cameristiche
dei ragazzi del liceo musicale. Ad eseguire
brani di Wieniawsky, Poulenc, Paganini e
Prokof'ev per i liceali segnaliamo la violinista
Sara Bellettini accompagnata al pianoforte da
A.Ducariu, la flautista Sara Nallbani
accompagnata da G.Duranti, il violoncellista
Andrea Cavalazzi accompagnato da M.Rizzotto ed
infine l'eccellente Gabriele Duranti nella
splendida Sonata per pianoforte in la min.
op.28 n.3 di S.Prokof'ev. I ragazzi della
media hanno poi destato ancora grande interesse:
prima il Coro degli allievi del Prof. Mauro
Tudino, quindi il progetto "Orchestra
Classica" e la compagine strumentale
dei
giovanissimi diretta rispettivamente dai M.tri
Roberta Ruffilli e Fabrizio
De
Rosa per tre ottime trascrizioni di alcuni noti
brani quali l'Allegretto dalla
Sinfonia n.7 di Beethoven, l'Intermezzo
dalla Cavalleria rusticana di Mascagni
e l'Allegro dal Concerto in Sol
minore di Vivaldi dove sono emerse le
abilità solistiche al violoncello delle giovani
Elisa Contedini e Valentina Ferrari. Per
concludere, il progetto "Viaggio nelle
musiche
del mondo"
dove i giovani strumentisti di chitarra,
violino, flauto e clarinetto hanno trovato
l'ottima direzione del Prof. Piero Scarpelli,
bravissimo autore degli arrangiamenti musicali
tratti anche da Brahms, Paradiso ed Elgar.
Segnaliamo anche l'importante collaborazione
dei prof.ri Rosanna Dambrosio
-preparazione Coro e accompagnamento al
pianoforte-, Maddalena Miramonti
-accompagnamento al pianoforte-, Emanuele
Giarrusso -clarinetto e preparazione
strumentale-
,
Fabrizio De Rosa- preparazione strumentale e
direzione coro, Gaetano
De Filippis-preparazione strumentale-e
Roberta Ruffilli-preparazione strumentale e
direzione coro. Una mattinata musicale con una
Sala Verdi al completo, con moltissimi genitori
, a dimostrazione della validità degli Istituti
che ritengono centrale lo studio della musica.
8 giugno 2018 Cesare
Guzzardella
La giovanissima Leia Zhu per
la Società dei Concerti
Non avere ancora dodici anni
è presentare un programma musicale come quello
ascoltato ieri sera in Conservatorio per la
Società dei Concerti è particolarmente
coraggioso. È quello che sta facendo in giro per
il mondo la strepitosa violinista Leia Zhu che
non ha certo esagerato nella scelta di brani
spesso di alto virtuosismo eseguiti con il suo
violino
3/4 di eccellente liuteria, anzi i brani
eseguiti erano assolutamente alla sua portata e
la maturità esecutiva quella di un virtuoso
adulto in carriera da anni. Andrebbe ascoltata
ad occhi chiusi per non essere condizionati,
come spesso accade,
a torto o a ragione, dalla dicitura "bambino
prodigio". Nulla si può dire all'ascolto di
giustificatorio dell'età: Leia Zhu, la undicenne
- dodici a ottobre- di Newcastle è perfetta,
altamente espressiva e supera ogni difficoltà
tecnica senza alcuna fatica. Il variegato
programma, che ha trovato nella parte pianistica
la bravissima Jennifer Hughes, prevedeva una
sonata di Beethoven, l'Op. 12 N.3, quindi
la Carmen Fantasie nella efficace
rielaborazione di Waxman, quindi due lavori di
Mozart come l'Adagio in mi maggiore K.261
e il Rondò in do maggiore K.373, un
momento di assolo violinistico con Fritz
Kreisler e il suo Recitativo e
Scherzo-Caprice Op.6. Al termine la celebre
paganiniana La Campanella. Equilibrio
sinergico splendido tra la pianista e la
violinista: la Hughes è stata molto attenta alle
volumetrie del piccolo ma timbricamente
eccellente violino della Zhu. Leia è stata
eccellente sia nei momenti più classici e
virtuosisticamente meno rilevanti della sonata
beethoveniana e dei brani mozartiani, sia in
ogni situazione virtuosistica dalla Carmen a
Kreisler, alla nota La Campanella, con quei
sopracuti perfetti nell'intonazione e nei
rapporti dinamici. La presenza della
graziosissima piccola in rosso acceso, ha
sottolineato ancor più una serata che rimarrà in
modo indelebile nei ricordi di tutti i numerosi
presenti in Sala Verdi. Applausi convinti e
fragorosi. Eccellenti i due bis: di Veracini il
Largo dalla Sonata Accademica n.6
e di Kreisler la Marche miniature Viennoise.
7 giugno 2018 Cesare
Guzzardella
Alexander Lonquich
per Serate Musicali
Quello che mi è sempre
piaciuto di Alexander Lonquich, pianista
affermato internazionalmente, è la sua scelta
d'impaginato dove in genere mette brani classici
molto noti alternati ad altri di rara
esecuzione
ma di grande qualità. Ieri sera per Serate
Musicali ha
voluto
inserire tra Schubert, eseguito brevemente
all'inizio con la Melodia ungherese D 817
e al termine del concerto con la corposa
Sonata in la maggiore D 959, due rarità che
meritano una maggiore frequentazione: la prima,
alcune volte proposta, è Nella nebbia di
Leoš Janá ček
della quale ricordo una straordinaria esecuzione
di Radu Lupu di una decina d'anni fa; la
seconda- che per la prima
volta ascolto live-
è la Sonata n.2 denominata
27 aprile 1945 di Karl Amadeus Hartmann,
scritta nel 1945
alla
fine della guerra per ricordare i prigionieri
dei campi nazisti. Le eccellenti esecuzioni di
Lonquich hanno rivelato
ancora una volta lo spessore estetico di questo
interprete che ha il pregio di approfondire le
sue esecuzioni con una concezione solida,
equilibrata e molto personale della proposta
sonora. Le giuste pause, le sonorità spesso
secche e composte, il corretto uso del pedale -
mai eccessivo- , la varietà delle dinamiche,
hanno contribuito a rendere validi sia i quattro
pezzi del ciclo di brani di Nella nebbia
che la complessa e pregnante sonata di Hartmann.
Ma anche Schubert con la sua contrastata e
raffinata D 959 ha trovato in Lonquich un
interprete di alta levatura. Il taglio
razionale, più tedesco che viennese della
celebre Sonata è stato autenticamente personale
e di grande equilibrio formale. Ottime le
timbriche ben scavate e limpide. Nel
bis ancora una riproposta della Melodia
ungherese iniziale di
Schubert. Da ricordare a lungo.
5 giugno 2018 Cesare
Guzzardella
Cominati e Bignamini all'Auditorium per
George Gershwin
Grandissimo successo in
Auditorium per la Sinfonica Verdi diretta da
Jader Bignamini e per il pianista Roberto
Cominati. Il programma della replica ascoltata
oggi, prevedeva i lavori più noti del
compositore
americano George Gershwin come il Concerto in
fa maggiore, la Rapsodia in Blu e la
Suite da Porgy and Bess. I tre
noti lavori sono stati preceduti dal
Divertimento per orchestra di Leonard
Bernstein, il grande compositore-direttore
statunitense tra i migliori interpreti del primo
grande compositore. Bignamini ha diretto con
determinazione tutti i brani in perfetta
sinergia con un'orchestra, LaVerdi, che conosce
molto bene provenendo da essa come eccellente
strumentista. Dopo il breve Divertimento nel
tipico stile di Bernstein, il Concerto in fa,
brano del 1925, rappresenta quanto di più
complesso composto da Gershwin e ha trovato
un'eccellente restituzione ad opera di Cominati
che con
stile
ed eleganza, coadiuvato dall'ottima direzione,
ha centrato l'obiettivo della qualità. Nella
successiva Rhapsody in Blue la resa
interpretativa, pur di alto livello, non ci è
apparsa della medesima qualità forse anche per
la scelta stilistica un po' lontana dal mondo
jazzistico cui il lavoro, scritto per una
orchestra jazz, era parzialmente destinato.
Splendido il bis solistico concesso da Cominati
con una chiarissima I Got Rhithm. Al
termine del bis notevoli colori orchestrali per
la Suite da Porgy and Bess datata 1934 e
riassuntiva della omonima celebre opera.
Calorosi applausi in un Auditorium al completo.
Da ricordare.
3 giugno 2018 Cesare
Guzzardella
L'Aida scaligera per i 95 anni di Franco
Zeffirelli
Per rendere omaggio ai 95
anni del grande regista e scenografo Franco
Zeffirelli è stata riproposta al Teatro alla
Scala l'Aida del 1963, una messinscena curata
nei dettagli dal grande regista con le scene e
costumi di Lila De Nobili. Sul podio il
direttore israeliano Daniel Oren ha costruito
musicalmente un'ottima Aida fatta di equilibri
orchestrali, vocali e corali di genuina fattura.
Certo,
pensando
alla proposta zeffirelliana della Aida di questo
millennio, ci rendiamo conto della grande
differenza d'impatto visivo: quella del '63 è a
nostro avviso meno criticabile e maggiormente
coerente. Un'Aida meno sfarzosa che - nella
sesta rappresentazione ascoltata giovedì scorso-
ha messo in risalto uno splendido equilibrio
pittorico
nelle scene esaltando la componente sia delle
voci soliste che del Coro. Una messinscena
studiata nelle luci da Marco Filibeck, con
efficace resa coreografica, quella allora fatta
da Vladimir Vasiliev e ripresa da Lara
Montanaro. Ottime quindi le voci soliste(tutte
le foto di Brescia-Amisano archivio Scala)
complessive partendo dall'elevata qualità per
quella sottile e raffinata di Krassimira
Stoyanova: una Aida
ricca di equilibrio, mai eccessiva nelle
timbriche e con colori misurati ma intensamente
espressivi;
segue
il Radamès di Fabio Sartori, in crescendo
nel corso dell'opera con timbro ben evidenziato
ed in sintonia con il suo ruolo e,
a pari merito,
la bravissima Violeta Urmana, un' Amneris
di elevata intensità vocale -rilevante anche
attorialmente -omogenea nelle emissioni
timbriche valide in ogni registro. Tra le altre
voci, tutte valide, la migliore ci è apparsa
quella di George Gagnidze, un Amonastro
intensamente espressivo sia nella corposa
emissione vocale che tecnicamente ed anche
attorialmente. Di pari statura,
e certamente dignitosi,
il Ramfis di Vitalij Kowaljow e il Re
d'Egitto di Paolo Colombara. Bravi gli
altri. Ottima, come sempre la componente corale
preparata da Bruno Casoni e tra le eccellenze
del Corpo di Ballo di Frédéric Olivieri
segnaliamo la Akhmet di Marta Romagna e
la coppia di selvaggi di Maria C. Lisa e
Mick Zeni. Meravigliosi tutti i piccoli
selvaggi. La platea, i palchi e le gallerie
complete dimostrano l'interesse del pubblico per
quest'opera, un pubblico che al termine ha
dispensato fragorosi applausi a tutti i
protagonisti. . Ultima replica prevista per
domani 3 giugno in attesa poi del Fierrabras di
Franz Schubert che per sette rappresentazioni,dal
5 al 30 giugno, troverà
la direzione di Daniel Harding per la regia di
Peter Stein. Da ricordare.
2 giugno 2018 Cesare
Guzzardella
MAGGIO 2018-
Una coinvolgente
Lilya Zilberstein per la
Società dei Concerti
Ricordo ancora uno splendido
concerto ascoltato nel 2009 in Conservatorio nel
quale Lilya Zilberstein affrontava un programma
molto vario insieme alla grande Martha Argerich,
interpretando musiche di
Mozart, Schumann,
Shostakovich, Brahms, Rachmaninov. e ,
nel
bis,
Milhaud.
Da allora sono passati quasi dieci anni e la
pianista russa
ha
mantenute integre tutte le sue splendide qualità
d'interprete. Ieri sera, in Sala Verdi per la
Società dei Concerti, ha sostenuto un recital
ancora variegato ed interessantissimo che
prevedeva musiche di Schubert, Liszt e
Beethoven. I Moments Musicaux D.780, sei
brani tra i più frequentati da ogni pianista,
hanno da subito rivelato la cifra interpretativa
della Zilberstein, cifra definita da sicurezza,
robustezza timbrica, equilibrio dinamico
corretto e
penetrazione
espressiva. L'ottimo Schubert, secondo una linea
interpretativa collaudata da molti grandi del
pianoforte, ha raggiunto l'obiettivo della
qualità. Validi anche i quattro brani
estrapolati da Schubert ma firmati da Liszt con:
Der Wanderer, Ständchen, Gretchen am
Spinnrade, Auf dem Wasser zu singen. In
questi la maggiore componente virtuosistica
intessuta dal musicista ungherese ha trovato
nella pianista un' adeguata interprete con
livelli espressivi differenti ma certamente di
spessore. La seconda parte della serata, in
crescendo, ha visto due lavori di L.v.
Beethoven: il primo, di rara esecuzione come
le 24 Variazioni sull'Arietta "Venni amore" di
Vincenzo Righini e il secondo tra i più
celebrati quale la Sonata Op.57 in fa minore
"Appassionata" . Splendido il Beethoven
della Zilberstein. La forza leonina
nell'affrontare prima le Variazioni e poi l'Allegro
assai iniziale e l'Allegro ma non troppo
finale della celebre "Appassionata"
hanno reso questo concerto tra i più esaustivi
di quest'anno insieme a quello di Pletnev e di
Sokolov. Il suo modo contrastato e risoluto di
affrontare ogni frase beethoveniana, con forza e
con gestualità composta, ci rivela una completa
interiorizzazione del materiale sonoro dovuta a
componenti fondamentali per i pianisti quali
l'esperienza e la maturità. Bellissimo l'unico
bis concesso con l'Adagio
sostenuto dai "Moments musicaux op.16"
di Sergei Rachmaninov. Da ricordare a lungo.
31 maggio 2018 Cesare
Guzzardella
La pianista Zlata
Chochieva alle Serate
Musicali
È un'ottima pianista Zlata
Chochieva, l'interprete ascoltata lunedì scorso
alle Serate Musicali del
Conservatorio
milanese.
Impaginando
un programma variegato che prevedeva musiche di
Rachmaninov, Schubert, Liszt e Chopin, la russa
Chochieva, allieva anche di Pletnev, ha rivelato
le sue qualità attraverso una eloquente
discorsività mediata da sicurezza esecutiva ed
elevato
controllo
delle dinamiche. Di ottimo livello la
trascrizione di Rachmannov della Suite dalla
Partita di Bach in mi maggiore 1006 e di
grande impatto sonoro la Grande Fantasie de
bravoure sur la Clochette de Paganini di
F.Liszt, rara versione variata e infarcità di
creatività della più celebre La Campanella. Le
difficoltà trascendentali del lavoro lisztiano
sono state superate con disinvoltura dalla brava
e appariscente interprete. Rapidi ma coerenti i
due Improvvisi dall'Op.142 di F.Schubert
( n.1 e n.4) e , dopo l'intervallo, di grande
equilibrio formale e di ottima resa espressiva
la serie chopiniana dei 12 Studi Op.25.
Due i bis concessi con ancora uno Studio
di Chopin dall'Op.10 e un felice e
significativo brano di Medtner, Canzona
Serenata n.6 Op 38. Un'interprete
decisamente da riascoltare.
30 maggio 2018
Cesare Guzzardella
Luigi Piovano e le
Suites di Bach per le Serate
Musicali
Il violoncellista Luigi
Piovano è tornato ieri sera in Sala Verdi per
eseguire la seconda parte delle Suites per
violoncello solo di Bach, precisamente la
n.6, la n.3 e la n.5. Motivo
di grande
interesse
per il concerto è stata anche la presenza del
violoncello Giuseppe Guarneri "filius Andreae"
costruito a Cremona nel 1712 e messo per
l'occasione a disposizione da Tarisio Fine
Instruments and Bows. Utilizzato da Piovano
con efficace resa nella Suite n.3 in do
maggiore BWV 1009 e nella Suite n.5 in Do
minore ( con scordatura) BWV 1011, questo
splendido strumento ad arco ha rivelato anche
tutta la sua bellezza
estetica
di forma e colore. I due brani sono stati
eseguiti dopo il breve intervallo mentre nella
prima parte la Suite n.6 in re maggiore BWV
1012 ha visto l'interprete con un valido
violoncello a cinque corde William Forster
III del 1795 dalle timbriche particolarmente
dolci. Ottime le interpretazioni del
violoncellista, dovute ad un perfetto equilibrio
formale mediato tra una completa
interiorizzazione di ogni elemento
melodico-armonico ed una restituzione sonora
precisa e dettagliata. La corposità del timbro
bachiano è emersa maggiormente nelle suites
eseguite con il Guarneri a riprova di come la
qualità di uno strumento musicale possa ampliare
e rendere ancora più efficace un'interpretazione
, chiaramente quando lo strumento è nelle mani
di un grande virtuoso. Concerto splendido e
nessun bis come giustificato dal violoncellista
stesso che al termine del concerto , mostrando
al pubblico il meraviglioso Guarneri, ha detto "dopo
il ciclo delle Suite di Bach non si può fare il
bis". Da ricordare.
26 maggio 2018 Cesare
Guzzardella
Filippo Gorini per la Società del
Quartetto
Avevamo ascoltato il pianista
lombardo Filippo Gorini nel febbraio del 2017
per la Società del Quartetto in un
programma dedicato a Beethoven, Brahms e Chopin.
Ieri sera, sempre per il
Quartetto,
il pianista ventiduenne ha scelto un unico
autore: Beethoven. Le due celebri sonate
dell'impaginato, l'Op.106 e l'Op.111
rappresentano in genere un punto d'arrivo
per ogni grande interprete. La scelta di Gorini
poteva sembrare inopportuna per la sua giovane
età. In realtà i risultati esecutivi sono
apparsi ottimi ed anche eccellenti. Ricordiamo
un importante premio quale il Telekom
Beethoven 2015 di Bonn vinto da Gorini
all'età di 19 anni e i corsi di Filippo con
Alfred Brendel. Indubbiamente il genio di Bonn è
particolarmente congeniale al giovane interprete
e dall'attacco iniziale dell'Allegro
della Hammerklavier Op.106, deciso,
chiaro e rapido, abbiamo registrato la positiva
cifra interpretativa. Certo, questa Sonata in
Si bemolle maggiore è tra le più complesse
delle 32 beethoveniane e non è facile trovare il
giusto equilibrio tra i momenti più concitati e
quelli di grande riflessione. Gorini, a mio
avviso, è riuscito
parzialmente a conciliare l'equilibrio nell'
Op.106 con frangenti di grande rilevanza
estetica nei movimenti più dinamici e
virtuosistici con altri, come ad esempio l'Adagio
sostenuto, dove la maggiore semplicità
strutturale abbisogna di maggior profondità di
pensiero. Giudizio nettamente positivo invece
nella Sonata in do minore Op.111,
l'ultima del genio tedesco. In questo altro
capolavoro assoluto Gorini ha raggiunto un
equilibrio complessivo
eccellente, anche con il profondo
Adagio molto semplice cantabile del finale.
Malgrado la tendinite annunciata da Gorini a
metà concerto che ha sacrificato l'intervallo e
l'eventuale bis, siamo rimasti entusiasti di
questa esecuzione "matura" del giovane Maestro:
articolazione, tempi, timbriche, tensione
narrativa e perfetto equilibrio formale oltre
naturalmente ad una profonda espressività,
hanno fatto comprendere al pubblico presente in
Sala Verdi, le qualità e certamente i grandi
potenziali del giovane
interprete. Bravissimo!
25 maggio 2018 Cesare
Guzzardella
Il ritorno
del sublime Grigory Sokolov per
la Società dei Concerti
Da molti anni Grigory Sokolov
torna in Sala Verdi, nel Conservatorio milanese,
per il recital organizzato dalla
Società dei Concerti. L'ovazione conclusiva
di un pubblico entusiasta e i bis, da alcuni
anni nel numero di sei, portano i presenti nel
cortile del Conservatorio milanese dopo la
mezzanotte.
È accaduto anche ieri in un concerto in
crescendo in tre parti che prevedeva nella prima
Tre sonate di J. Haydn, nella seconda
Quattro
improvvisi di Schubert (D 935) e nella terza i
Sei bis. Abbiamo più
volte parlato della strepitosa tecnica di
Sokolov e delle sue scelte interpretative che
evidenziano l'analisi particolareggiata
dell'elemento musicale e anche della sua
restituzione chiara e "scultorea". La sua
incisività è emersa subito con le tre Sonate
haydniane , la N.32 ( bipartita) , la
N.47 e la N.49. Eseguite senza
soluzione di continuità, come fosse una unica
sonata in otto parti, i tre brani, soprattutto
il n.32 e il n.49, non sono tra i più noti ma
rivelano un classicismo solo in parte Sturm
un Drang dove l'abilità pianistica spicca
nel rilevare ogni dettaglio con elementi
coloristici incisivi e ben amalgamati. Il
passaggio
al mondo romantico di Schubert con i quattro
celebri Improvvisi Op.142 D. 935 hanno
portato il pianista in un ambito musicale
diverso e ricco di contrasti evidenti. La
luminosità del fraseggio di Sokolov ottenuta con
timbriche scavate nelle note e ben articolate in
andamenti non rapidi, ha evidenziato un artista
di primissimo livello mondiale e con spiccata
autonoma personalità. Anche in Schubert come
prima in Haydn il rilievo del particolare a
volte sovrasta la visione complessiva che
comunque rimane di raffinata definizione. Dopo i
fragorosi applausi del programma ufficiale
abbiamo ascoltato sei bis nei quali tre brani
ancora di di Schubert-un Improvviso Op.90 n.4,
una Melodia ungherese D.817 e un
Allegretto in Do minore D.915- , sempre di
efficace resa, si sono alternati ad un delizioso
Rameau con Le rappel des oiseaux, con
modalità interpretative che forse solo Sokolov
al mondo può elevare a sublime qualità. Quindi
uno Chopin eccelso con la famosa La goccia,
il Preludio Op.28 n.15, di bellezza
materica tridimensionale e magica e un breve ed
intenso Skrjabin con il Preludio Op.11 n.4.
Ovazioni infinite. Da ricordare sempre.
24 maggio 2018 Cesare
Guzzardella
Lucas Dabergue
ritorna in Conservatorio per Serate Musicali
Ancora una volta dopo il
concerto milanese dello scorso anno, il pianista
francese Lucas Debargue si è rivelato un
interprete splendido. Ieri sera sempre in
Conservatorio per Serate Musicali, ha
impaginato
un programma dedicato a due compositori
polacchi: Chopin e Szymanowski. Il primo con una
variegata sequenza di brani quali la Polacca
"Eroica", lo Scherzo n.1 e n.2, la
Barcarola op.60 e il Notturno Op .48 n.1;
il
secondo, dopo l'intervallo, con la rara
Sonata n.2 in la maggiore Op.21. Ci è
piaciuto molto Chopin interpretato dal
venticinquenne francese: la decisa discorsività
e il tocco incisivo mediato da forza e
leggerezza insieme, hanno determinato una valida
restituzione complessiva con una migliore resa
nella
Polacca
"Eroica" e nei due Scherzi, brani dove
l'elemento più appariscente virtuosistico è
stato dominato dalla debordante tecnica di
Debargue non disgiunta dalla coerente
espressività. Decisamente di alto livello
estetico la non facile Sonata n.2 di
Szymanovski, un lavoro del 1911 che partendo dal
romanticismo e incontrando atonalità e
classicismo bachiano mostra di essere in pieno
Novecento. La chiarezza stilistica e formale del
pianista nel superare ogni difficoltà e anche il
complesso momento contrappuntistico con le
strepitose variazioni e fuga in quattro parti
nel finale, dimostrano lo spessore estetico e
qualitativo del bravissimo pianista. Due i bis
concessi con una semplice ma pregnante
Nostalgie du pays
dalle "Miniature polacche" di Milosz Magin e
un'eccellente Sonata di Scarlatti. Da
ricordare.
22 maggio 2018
Cesare Guzzardella
Il Quartetto di Cremona conclude il
ViottiFestival
di Vercelli
Il ViottiFestival di
Vercelli ha chiuso la stagione ieri sera, sabato
19/05, offrendo al suo numeroso e fedele
pubblico, sul consueto palcoscenico del Teatro
Civico, una serata di altissima qualità
musicale. Protagonista uno dei migliori
quartetti italiani del momento, il Quartetto di
Cremona, con C. Gualco e P. Andreoli primo e
secondo violino, S.Gramaglia viola e G.
Scaglione violoncello.
Con
un radicale cambiamento rispetto ai titoli
indicati nell’opuscolo che riporta i programmi
della stagione (ma crediamo che il cambiamento
sia stato in meglio), il Quartetto di Cremona ha
proposto due capolavori di Beethoven: il
Quartetto in mi min. op.59 n.2 Razumovskij e il
Quartetto in la min. op.132 Galitzin. Due
vertici di due fasi distinte della straordinaria
parabola creativa del Grande di Bonn: il
Razumovskij 2, coevo dell’Eroica, tutto
vibrante, specie nel primo tempo, di ispirazione
ardente e appassionata, l’op.132 appartenente
invece a quel “tardo stile”, decisamente
orientato verso un percorso di ricerca di
inedite e affascinanti soluzioni compositive,
che portano alla dissoluzione di strutture ormai
tradizionali come la forma sonata. Per giudicare
della qualità interpretativa di un quartetto,
non c’è pezzo migliore di quel trascendentale
capolavoro che è il terzo tempo dell’op.132, la
Canzona di ringraziamento, una delle più sublimi
meditazioni sul mistero della vita e dell’uomo
che mai siano state scritte in musica, sospese
nell’estatico mistero del modo lidio e della sua
quarta aumentata. Fin dall’attacco di questo,
che possiamo considerare un vero e proprio
corale, si conferma l’eccellenza esecutiva di
questa formazione: il suono è di rara
raffinatezza, elegante, di energia intensa ma
contenuta, per tutte e quattro gli strumenti, da
una cavata morbida, calibratissima, che distilla
il timbro senza mai forzarlo, denso e
trasparente allo stesso tempo. Viola e
violoncello dialogano coi due violini
intrecciando il loro suono singolarmente
vellutato, che si fonde con fluidità fascinosa,
nella sezione in Andante, in una melodia che,
più che carezzare le orecchie, trasporta la
mente e il cuore in qualche remota regione del
cosmo. Tutti i parametri della partitura sono
studiati con precisione certosina, senza
peraltro mai dare l’impressione di artificiosità
e di ricerca dell’effetto: gruppetti,
appoggiature e altri abbellimenti sembrano
fiorire naturalmente, quasi evocati, più che
suonati, in un mondo sonoro in cui a dominare è
un tono sempre sommesso, quasi un’immensa
sordina. Questo nitore finissimo del dettaglio
non viene certo meno nei momenti più veloci,
come l’animatissimo Finale. Presto del
Razumovskij 2, ove il denso contrappunto dello
sviluppo si sdipanava perfettamente
intelligibile in tutte le sue linee in un
fraseggio di tersa luminosità e precisione
calibrata dei colpi d’arco. A tutto questo si
aggiunga un controllo delle dinamiche sempre
accurato e sapiente, capace di contrasti di rara
efficacia, come, proprio ad apertura del
concerto, l’enigmatico incipit del Razumovkij 2
, sospeso tra i due energici accordi di tonica e
dominante e, dopo una pausa, i successivi
arpeggi in pianissimo: nell’interpretazione del
Quartetto di Cremona, si creava subito un mondo
sonoro nettamente chiaroscurato, una sfida tra
luce e tenebre che impronta l’intera
composizione. Ieri sera, insomma, i fortunati
ascoltatori hanno avuto l’occasione di ascoltare
due capolavori di Beethoven in una
interpretazione di eccellente qualità tecnica ed
espressiva. Non ci è riuscito di sapere se gli
strumenti usati nel concerto di ieri sera
fossero i quattro Stradivari appartenuti a
Paganini e attribuiti al Quartetto di Cremona lo
scorso anno dalla Nippon Music Foundation,
oppure gli abituali archi, comunque di altissima
qualità. Applausi entusiastici del pubblico che
ha stipato la platea del Civico e un bis, dal
Quartetto delle dissonanze di Mozart (l’Adagio),
anch’esso eseguito superbamente, hanno concluso
la serata e la stagione del ViottiFestival, nel
modo più degno per celebrare il ventesimo
anniversario di questa che è attualmente la più
significativa iniziativa musicale del Piemonte
orientale. Davvero una serata da ricordare..
20 maggio 2018 Bruno Busca
La
Sinfonica Verdi
diretta da Boccadoro rende omaggio a Goffredo
Petrassi
L'Orchestra Sinfonica di
Milano "G.Verdi "
ha voluto ricordare il
compositore italiano Goffredo Patrassi a
quindici anni dalla scomparsa, con un concerto
diretto da Carlo Boccadoro il cui impaginato
prevedeva oltre ad un importante lavoro del
musicista di Zagarolo quale il Quinto
Concerto per Orchestra, anche brani di Luca
Francesconi, Giorgio Colombo Taccani e lo stesso
Boccadoro.
Di Francesconi (1956) abbiamo ascoltato un
lavoro del 1985,
Vertige per orchestra d'archi: dieci minuti
di musica nella quale la tensione tra tenui
suoni degli armonici acuti ed intensi degli
archi si alternano o si mescolano a situazioni
voluminose in un moto circolare di grande
impatto sonoro e in un contesto di eccellente
equilibrio formale. Di qualità la resa musicale
ottenuta dalla valida direzione di Boccadoro,
con l'ottima Orchestra d'archi della "Verdi".
Applausi anche a Francesconi salito sul
palcoscenico. Il secondo brano, Quattro
Parole di Giorgio Colombo Taccani (1961) è
stata una prima esecuzione assoluta
commissionata da LaVerdi e dedicata a Boccadoro.
In circa tredici minuti di musica i due
movimenti laterali, impetuosi e decisi, si
oppongono ai due centrali, pacati e riflessivi.
Decisamente valido il lavoro con un inizio
d'impatto aggressivo e liberatorio che ricorda
un certo jazz
molto
"libero" degli anni '60. Applausi anche
al compositore salito sul palcoscenico. Il terzo
brano di Carlo Boccadoro (1963) era denominato
Orbis Tertius. Commissionato dalla
Sinfonica Verdi, era
stato
eseguito già nel 2015 per la direzione di J.
Axelrod. Le leggere sfumature timbriche che
pervadono i circa dieci minuti musicali sono
interrotti due volte da situazioni turbolente
con due movimenti più rapidi e ritmici ben
descritti nell'ottima direzione dello stesso
autore. Applausi meritati al termine. A
conclusione della serata abbiamo ascoltato il
Quinto Concerto per Orchestra che Petrassi
(1904-2003) scrisse nel 1951. Con note tratte
dal Coro dei morti, composizione dei
primi anni '40, il lavoro si dipana tra
serialismo e neoclassicismo con rilevante
equilibrio formale nell'ottima orchestrazione
del grande Maestro del Novecento. Lunghi e
meritati applausi per le esecuzioni
dell'Orchestra Verdi che ancora una volta
dimostra la sua splendida versatilità.
Bravissimo Boccadoro. Platea non molto numerosa
con pubblico specialistico e molti "addetti ai
lavori". Da ricordare.
16 maggio 2018
Cesare Guzzardella
Massimo Giuseppe
Bianchi agli Incontri
Musicali dell'Auditorium
"G.
Gaber"
Tra le iniziative della
Società dei Concerti quella degli
Incontri Musicali occupa una parte
importante. I concerti, riservati soprattutto a
giovani interpreti, si svolgono presso
l'Auditorium Gaber del grattacielo Pirelli.
Ottimo è il livello artistico dei concertisti
impegnati ogni lunedì e non poche volte,
nell'elegante sala vengono ospitati artisti già
affermati con notevoli attività espletate sia in
Italia che all'estero. Uno di questi è Massimo
Giuseppe Bianchi, un ottimo pianista sempre alla
ricerca
di programmi ben organizzati, vari e con rarità
esecutive. Ieri sera al Pirellone ha impaginato
un programma di sicuro interesse che alternava
Schubert a Godovskij, Bach e Liszt a Chopin. Le
rare Huttenbrenner Vaiationen in la minore
di Schubert hanno trovato una lettura chiara e
dettaglia da parte di Bianchi che ha introdotto
ottimamente il concerto dedicato prevalentemente
alle variazioni. Il secondo lavoro,
Passacaglia e 44 Variazioni, Cadenza e Fuga
sul tema iniziale della celebre sinfonia
Incompiuta di Schubert, è un brano altamente
virtuosistica di un musicista, Leopold
Godovskij, noto anche come grande virtuoso del
pianoforte e
autore
di pagine tecnicamente estreme. Ottima la
lettura complessiva ascoltata. Dopo l'intervallo
Bianchi ci ha rivelato la sua passione bachiana
con una riuscita interpretazione della Suite
Inglese n.4 in fa maggiore. Valido l'
equilibrio dei tempi delle sette parti, dal
Preludio iniziale alla Giga finale, e
chiare e definiti i piani sonori nelle splendide
architetture di Bach. Gli ultimi brani, di F.
Liszt da un Corale di Bach, Weinen, Klagen,
Sorgen, Zagen e di F. Chopin, Ballata n.4
in fa min. op.52, hanno rivelato ancora una
volta la versatilità di questo pianista sempre
alla ricerca di un percorso ampio e valido che
sappiamo prendere spunto anche da repertori
musicali di diverso genere essendo Bianchi
attento cultore dalla musica jazz e del rock
progressivo. Applausi dal numeroso pubblico
intervenuto e ottimi i bis concessi con un
curioso breve brano di Ghedini di poco meno di
un minuto denominato La
ballerina del circo equestre
che danza sulla corda (1912)
e un celebre Momento musicale di
Schubert. Da ricordare.
15 maggio 2018 Cesare
Guzzardella
Conrad Tao e Maxim Rysanov con la
Sinfonica Verdi
in Auditorium
L'ultima replica di domenica
pomeriggio ha rivelato l'eccellente direzione
del direttore ucraino - britannico Maxim Rysanov
e il talento indiscutibile del
pianista
ventiquattrenne Conrad Tao, nato
negli
Stati Uniti con origine cinesi. Il programma
interamente russo prevedeva brani di Prokof'ev e
di Šostakovič. Il
lavoro introduttivo, la giovanile Sinfonietta
Op.5/48 del primo russo è stata
eseguita con grande equilibrio neo-classico
dall'ottima Sinfonica Verdi. Un salto di qualità
sia composito che interpretativo si è avuto con
il secondo brano di Prokof'ev: il Concerto
n.3 in Do maggiore Op 26 , lavoro terminato
nel 1921-22 che rivela lo stile più
virtuosistico ed interessante del grande
musicista ucraino. La parte solistica del
pianoforte ha trovato l'interprete ideale in
Conrad Tao, musicista completo che oltre ad
essere eccellente pianista, è anche ottimo
violinista e
valido
compositore. Si rimane folgorati dalla sua
tecnica virtuosistica che lo porta a superare
ogni passaggio con una sicurezza e facilità
incredibili. La sinergia con l'eccellente
interpretazione di Rysanov ha portato ad una
resa complessiva di prima qualità estetica. Il
pubblico presente in sala ha particolarmente
apprezzato l'esecuzione complessiva con applausi
continuati. Due i bis solistici concessi da Tao:
prima un Alla turca mozartiano
ottimo, con accentuazioni ritmiche ed equilibri
dinamici pregnanti e poi una valida Sonata
di Scarlatti. Dopo l'intervallo
particolarmente profonda l'interpretazione della
Sinfonia da camera Op.110 di
Šostakovič. Gli
archi dell'Orchestra Sinfonica G.Verdi
splendidamente orientati da Rysanov, hanno
esaltato la profondità di pensiero di
questo capolavoro russo nella trascrizione per
organico più ampio di Rudolf Barshai dal
Quartetto d'archi n.8. Da ricordare a lungo.
14 maggio 2018 Cesare
Guzzardella
La pianista Gile Bae ha
presentato la prossima Stagione della Società
dei Concerti
Un numerosissimo pubblico ha
affollato Sala Verdi in Conservatorio per
assistere alla presentazione della Stagione
2018-2019 della Società dei Concerti.
Dopo le parole del Presidente e Direttore
artistico Enrica Ciccarelli è salita sul
palcoscenico la pianista olandese di
origine
sud- coreana Gile Bae per un concerto dedicato
alle Variazioni. Ha iniziato con una
rarità di J.S.Bach, l'Aria Variata in la
minore BWV 989, per passare poi alle più
eseguite Variazioni e fuga "Eroica" in mi
ben. Magg. Op.35 di
L.v.
Beethoven e, a conclusione, le note
Variazioni su un tema di Händel Op.24 di
J.Brahms. La giovane interprete ha mostrato
determinazione non disgiunta da una certa
emozione. Le variazioni di Bach, eseguite con
piglio clavicembalistico nelle
timbriche
nette e precise, hanno rivelato un brano di rara
esecuzione ma certamente molto interessante. Una
certa rigidità interpretativa si è rivelata
nelle celebri Variazioni sulla nota Eroica
beethoveniana mentre abbiamo trovato migliori e
più discorsive le celebri Variazioni su un
tema di Händel che J.Brahms scrisse nel 1861
ispirandosi dal barocco bachiano ed handeliano.
Nelle ultime variazioni la pianista ha mostrato
maggiore disinvoltura attraverso una resa di
efficace qualità. Fragorosi applausi del
numeroso pubblico intervenuto e splendido il bis
concesso con un Notturno di Chopin, l'Op.9
n.1, eseguito con eleganza e maestria e
dedicato ad Antonio Mormone storico fondatore
della società concertistica. Ricordiamo, come
riferito dalla Presidente Ciccarelli all'inizio
della serata, la grande qualità della prossima
Stagione Concertistica data dalla presenza di
grandi orchestre, gruppi cameristici e solisti
del calibro di Volodos, Buchbinder, Say, Kern,
Madzar, Volodin, Berman, Sokolov, Rana,
Grosvenor, Lifshitz, Hamelin, ecc.,solo per
citarne alcuni. Una stagione sicuramente da non
perdere.
12 maggio 2018 Cesare
Guzzardella
Nicola Ferro al
Conservatorio di Novara
Prima del jazz il repertorio
‘colto’ per trombone non è certo sterminato e
non si può dire abbia attirato l’interesse dei
grandi Maestri della musica c.d.”classica”,
soprattutto fino al ‘900, quando, alla ricerca
di sonorità sperimentali e sotto l’influenza del
linguaggio jazzistico, la fortuna solistica o
cameristica di questo negletto strumento è un
po’ cresciuta. Eppure il trombone, grazie alla
coulisse, che amplia a piacere la lunghezza del
canneggio, può dare qualsiasi nota si voglia,
compresi
gli armonici, e per questa proprietà di
flessibilità e adattamento è fuor di dubbio
capace di uno stile melodico e cantante unico
tra gli ottoni e forse tra tutti gli strumenti a
fiato. Ne abbiamo fatto personale esperienza
ascoltando ieri sera, venerdì 11 Maggio,
l’ultimo concerto in programma al conservatorio
di Novara per il FestivalFiati, il cui
protagonista è appunto stato uno dei più
importanti trombonisti italiani di questi anni,
il salernitano Nicola Ferro, che affianca ad una
intensa attività concertistica (orchestrale,
solistica e cameristica) anche quella di
insegnante e di compositore. Al pianoforte è
stato accompagnato da Roberta Menegatto, docente
al Conservatoire de la Vallée d’Aoste e da tempo
‘accompagnatrice’ al Conservatorio di Novara.
L’impaginato, leggermente modificato in corso
d’opera rispetto a quanto stampato, proponeva un
esordio nell’età di Haydn e di Mozart: il
“Concerto per trombone alto e pianoforte” di
Georg Christoph Wagenseil, una curiosa mistura
di barocco e stile galante, in due soli tempi,
entrambi agogicamente mossi, non senza qualche
sezione più distesa e melodica. Fin da questa
prima composizione l’ascoltatore ha avuto modo
di riconoscere la bravura di Ferro, davvero
eccellente nella morbidezza e varietà dinamica
con cui delinea il fraseggio, anche nei momenti
più ‘esplosivi’ della partitura. Il nostro vago
timore, dettato da uno stolto pregiudizio, di
trovarci di fronte ad una esibizione vagamente
‘bandistica’ era definitivamente fugato dalla
successiva esecuzione di un brano di un
contemporaneo a noi sinora ignoto, il
compositore e direttore d’orchestra francese
Eugène Bozza (m.1991), la Ballade per trombone e
pianoforte. Totalmente ignaro di qualsiasi
avanguardismo e sperimentalismo novecentesco
(sia chiaro: non è un giudizio di valore…),
rigorosamente incatenato al tonalismo, ha infuso
in questa Ballade uno spirito di intimismo
romantico, non privo però di momenti di gravità
e solennità: due ‘registri’ musicali diversi,
che coi sapienti movimenti della sua coulisse il
trombonista salernitano ha trasmesso al pubblico
con intensa espressività e forza comunicativa.
Tutt’altro il mondo sonoro evocato dal pezzo per
trombone solo di L. Bernstein. L’”Elegy for
Mippy II” (Mippy pare fosse il nome della
cagnolina di un amico del grande compositore e
direttore statunitense) , di chiara impronta
jazzistica, con battute energicamente
‘strappate’ e sincopate e un filo di gradevole
ironia, alla Stravinsky, cui Ferro dava voce
perfettamente adeguata con una interpretazione
calibrata tra tenera malinconia e ritmi puntati
di effetto comico. La prima parte della serata
si concludeva con un arrangiamento, opera dello
stesso Ferro, della celeberrima romanza dalla
Tosca “Lucevan le stelle” per un ensemble, in
cui al trombone e al pianoforte si aggiungeva il
violoncello affidato alla giovane Nathalie
Dewaard. Da apprezzare, in questo caso,
l’impasto timbrico particolare dei tre
strumenti, che aumentava lo slancio patetico
della romanza pucciniana, cui dava il suo
contributo decisivo la voce sommessa del
trombone, da cui Ferro estraeva, come oro da un
giacimento, note di delicatezza inimmaginabile
per un ottone, capaci di amalgamarsi
perfettamente con la pastosa morbidezza di un
violoncello molto ben suonato dalla giovane e
graziosa olandese e con la soffusa malinconia
degli arpeggi pianistici. Alla ripresa il “Sang
Till Lotta” del contemporaneo svedese Jan
Sandstrom (n. 1954), famoso per alcuni concerti
per trombone e orchestra. Il brano proposto era
un duo per trombone e pianoforte, del 1990, in
cui si riconoscono diverse influenze musicali,
un po’ nel gusto del pastiche postmoderno: da
momenti minimalistici, ad altri improntati a un
melodismo neoromantico, e persino sezioni da
‘corale’ in uno stile vagamente alla Arvo Part.
Parrebbe un” brano di baule” per qualsiasi
trombonista che si rispetti, ma Ferro ne ha
fornito un esecuzione che privilegia i registri
più solenni e rarefatti della partitura,
facendone dimenticare all’ascoltatore i momenti
più scontati e banali. La serata si è chiusa con
due composizioni di Ferro: di una, non riportata
dal programma di sala, dedicata alla moglie, non
siamo riusciti a capire bene il titolo in
inglese. L’altra “A friend for a friend” è un
duetto di tromboni e pianoforte: il nome del
secondo trombone, un giovane e bravo allievo di
Ferro che ha anche presentato il concerto, non è
stato comunicato. In entrambi i casi si tratta
di composizioni molto melodiche, sostanzialmente
di impianto tonale, concepite proprio con
l’intento di sviluppare i registri più lirici e
‘intimistici’ dello strumento. Abbiamo detto
tutto il bene possibile di Ferro, sarebbe
oltremodo ingiusto non esprimere il nostro
apprezzamento anche per la Menegatto, di cui si
fa apprezzare, oltre alla nitida precisione del
fraseggio, anche un suono particolarmente
morbido e sfumato, in perfetta intesa con le
scelte interpretative del trombonista. Il
pubblico, in verità scarsino (probabilmente
quella dei cultori del trombone è una setta
elitaria) ha applaudito a lungo, sottolineando
il meritato successo della serata.
12 maggio 2018nn Bruno Busca
Prossimamente
il Quartetto di Cremona al Teatro Civico di
Vercelli
Sabato 19 maggio 2018 alle
ore 21 presso il Teatro Civico di Vercelli il
Quartetto di Cremona eseguirà musiche di
Beethoven con Quattro Stradivari.
12 maggio dalla redazione
Il duo Griminelli-Romanowski alle Serate
Musicali
Un duo di eccellente qualità
quello ascoltato ieri sera in Sala Verdi in
Conservatorio. Il pianista Alexander Romanowski
e il flautista Andrea Griminelli sono nomi noti
internazionalmente, il primo,
più
giovane, -ucraino classe 1984- ha studiato in
Italia e ha vinto ancora 17enne il prestigioso
Concorso Internazionale F.Busoni. L'emiliano
Griminelli ha un'attività concertistica
consolidata da oltre quarant'anni di concerti.
Ieri hanno impaginato un programma variegato con
quattro autori: Schubert, Prokof'ev, Donizetti e
Fránck. Un brano del compositore viennese ha
introdotto la serata: una rarità quale
Introduzione e Variazioni su un tema dai
Müllerlieder. Il duo ha rivelato subito
un'elevata cifra interpretativa. La facilità
discorsiva con l'ottimo colore del flauto di
Griminelli è stata sostenuta dal sicuro,
dettagliato e incisivo timbro pianistico di
Romanowski. Un salto di qualità abbiamo trovato
nella nota Sonata n.2 in Re maggiore Op.94
di Prokof'ev, la versione originale per
flauto dalla più eseguita versione violinistica.
La fondamentale parte pianistica ha visto
il più giovane interprete particolarmente in
sintonia con le geometriche sonorità del genio
russo. Bravissimo anche Griminelli nella
difficile e virtuosistica parte solistica. Dopo
l'intervallo il flautista ha sottolineato
benissimo la melodicità della breve Sonata in
do maggiore donizettiana. La
bellezza
melodica del lavoro giovanile del compositore
bergamasco ha trovato freschezza e scorrevolezza
nella luminosa interpretazione flautistica. Il
brano conclusivo, la celebre Sonata in la
maggiore di César Frank, nell'ottima
trascrizione per flauto di Griminelli
dall'originale per violino, è stata
splendidamente interpretata attraverso un
perfetto equilibrio delle parti. La corposità
della componente pianistica e i difficili
intrecci melodici del flauto hanno ben reso
questo capolavoro del compositore belga.
Applausi fragorosi da parte del poco pubblico
intervenuto in una Sala Verde che avrebbe dovuto
essere al completo. Carrellata di bis concessi
dai generosi musicisti: la brillante
Tarantella di Rossini, Syrinx
(1913) per flauto
solo di Claude Debussy, una straordinaria La
Campanella di Paganini-Liszt per pianoforte
solo, e infine, in duo, la celebre Czardas
di V. Monti, brano popolare in stile
ungherese del 1904. Da ricordare a lungo.
11 maggio 2018 Cesare
Guzzardella
Marco Schiavon e Luca De
Gregorio a Novara per il FestivalFiati
Per i concerti del novarese
FestivalFiati, ormai giunto quasi al termine,
questa sera, 10 maggio, l’auditorium del
Conservatorio ha visto protagonista il primo
oboe dell’Orchestra della Radio della svizzera
italiana, il trevigiano Marco Schiavon, per anni
primo oboe alla Scala, accompagnato al
pianoforte da Luca De Gregorio, apprezzato
solista e camerista, membro della folta colonia
di pianisti milanesi che insegnano presso il
Conservatorio di Novara Il programma prevedeva
pezzi per solo oboe, come la singolare Fantasia
n.1 di Telemann, il curioso “La cicala e la
formica” di A. Dorati, più noto come grande
direttore d’orchestra, e il bellissimo “Pan” di
Britten; e pezzi per
pianoforte
e oboe: La Sonata in la min. di Telemann (ove
naturalmente il pianoforte faceva le veci del
clavicembalo del basso continuo), la Sonata in
Re maggiore del semisconosciuto Julius Roentgen,
pianista e compositore olandese di origine
tedesca, che ebbe i suoi momenti di gloria tra
fine ‘800 e inizi del ‘900, esponente minore del
tardo romanticismo, ma non alieno da ardite
sperimentazioni atonali, e infine quel gioiello
che è la Sonata di F. Poulenc. Schiavon ha
eseguito in modo esemplare i brani in programma,
grazie alla perfezione tecnica con la quale ha
superato notevoli difficoltà presenti in alcune
partiture, in particolare accordi complessi, e
salti d’altezza, presenti soprattutto nelle
sonate di Roentgen e di Poulenc. Ma Schiavon ha
dato anche prova di fine sensibilità
interpretativa, con una cura delicata delle
dinamiche e una ricca gamma di sfumature
timbriche e di toni, che gli hanno permesso di
rendere al meglio sia l’ironia della Fantasia di
Telemann, quasi un canto di ubriaco, o la grazia
leggera, da favola esopica, del brano di Dorati,
sia la misteriosa magia evocativa del Pan di
Britten, sia, soprattutto, il carattere lirico e
sognante, con venature funebri nel terzo tempo,
della Sonata di Poulenc. Decisamente valido
l’accompagnamento di De Gregorio, pianista dal
tocco limpido ed energico, che ha sapientemente
assecondato le scelte interpretative
dell’oboista. Bis con il delicato Abendlied per
pianoforte e oboe di R. Schumann e grandi
applausi del numeroso pubblico.
11 maggio 2018 Bruno Busca
Il
Divertimento Ensemble per la Società del
Quartetto
Particolarmente interessante
il programma ascoltato ieri sera nel concerto
organizzato dalla Società del Quartetto
dove la nota formazione cameristica
Divertimento Ensemble fondata, diretta e
organizzata da Sandro Gorli, ha proposto autori
del Novecento e contemporanei.
Partendo
da György Kurtàg con numerosi suoi brani per
pianoforte, violino e violoncello, eseguiti sia
singolarmente
che in duo o trio, siamo tornati indietro nel
tempo con Claude Debussy e il suo Ariettes
oubliées per voce e pianoforte, per poi
arrivare al contemporaneo Mold di Zeno
Baldi ( Verona
1988) brano per flauto, clarinetto,
violino, violoncello, pianoforte e percussioni
eseguito in prima esecuzione assoluta.
L'ultimo lavoro proposto, Eight Songs for a
Mad King per baritono e piccola ensemble di
Peter Maxwell Davies ha trovato la valida
presenza scenica e attoriale del baritono
Maurizio Leoni. I brani
di Kurtág, sono stati interpretati molto bene
dei tre strumentusti: Maria Grazia Bellocchio,
pianoforte,
Lorenzo Gorli, violino e Martina Rudic,
violoncello. Con nitore dinamico ed
estetico hanno
 evidenziato
le sottili varianti coloristiche dei raffinati
lavori del compositore ungherese, come ad
esempio in alcuni Játekok, in Games
and Messages e nel Trio. Il passaggio
ai più antichi colori di Debussy ci ha permesso
di ascoltare le ottime timbriche del soprano
Barbara Massaro accompagnata benissimo dalla
Bellocchio nelle deliziose sei
Ariettes oubliées. Il brano successivo
presentato dal trentenne compositore Zeno Baldi
è una sua nuova composizione scritta per il
Divertimento Ensemble. La modernità della
visione sonora giocata su un uso totale dei sei
strumenti
utilizzati -quelli
già
citati oltre il flauto di Lorenzo Missaglia, il
clarinetto di Maurizio Longoni e le percussioni
di Elio Marchesini- ci porta in un mondo di
timbriche nelle quali l'attenzione ai minimi
dettagli diventa fondamentale per capire le
valenza compositive del bravo Baldi. Baldi è
partito da esperienze scientifiche per trovare
una rappresentazione di queste in sede musicale.
Ottimo il lavoro giocato sull'instabilità del
suono e sulle minime varianti dei timbri.
L'ultimo brano in programma era un monodramma in
otto parti del noto compositore inglese Peter
Maxwell Davies. Il ruolo da protagonista ha
trovato le splendide qualità attoriali, mimiche
e musicali del baritono Maurizio Leoni nel ruolo
di Giorgio III. L'incisività della sua mimica e
delle sue timbriche e la prestigiosa qualità
vocale baritonale espressa, unitamente alla
valida parte strumentale eseguita splendidamente
dall'Ensemble nella direzione di Sandro Gorli,
fanno di questo lavoro la punta di diamante di
un concerto vario e di ottima qualità. Grande
apprezzamento dal numeroso pubblico intervenuto
in Sala Verdi, fortunatamente anche formato da
numerosi giovani. Fragorosi applausi. Da
ricordare.
9 maggio 2018 Cesare
Guzzardella
Un
immenso Mikhail Pletnev per Serate Musicali
in Sala Verdi
Il concerto ascoltato ieri
sera in Conservatorio certamente rimarrà nei
ricordi dei numerosi appassionati intervenuti in
Sala Verdi. Il russo Mikhail Pletnev - classe
1957 - è venuto a Milano
l'ultima
volta nel
gennaio
2016 interpretando ottimamente Bach, Grieg e
Mozart. Ieri ci ha stupiti con Beethoven e
Liszt. Prima le 32 Variazioni in Do minore
e la
Sonata in Fa minore op.57
"Appassionata" del genio tedesco, quindi,
dopo l'intervallo, una preziosa scelta di brani
lisztiani tratti da celebri raccolte:
Funérailles, Valses oubliées n.1, Sonetto 104
del Petrarca, Schlaflos S.203, Etude n.2 "La
leggerezza",Unstern S.208, Mormorii della
foresta, Ridda di folletti, Nuages Gris,
Rapsodia ungherese n.11, Trauermarsch.
Undici brani per quasi settanta minuti dedicati
al genio ungherese. Decisamente di qualità il
suo Beethoven, eseguito con chiarezza
discorsiva, rilievi di ogni elemento
melodico-armonico in differenti e sensibili
piani
sonori. Ancora più convincente Liszt dove le
infinite dinamiche utilizzate, da quelle corpose
e incisive di Funérailles o del
Sonetto 104, fino a quelle sottili e
delicate de La leggerezza , Mormorio
della foresta o Ridda dei folletti,
hanno trovato una sorprendente gradualità di
peso che fa trasudare di caratteri introspettivi
ogni frangente musicale. La sua tecnica
prodigiosa ed efficiente,
con le mani che oconomizzano i movimenti per
produrre la migliore espressività con il minimo
sforzo, e la sua postura ferma e riflessiva,
hanno reso insuperabili per raffinatezza e
profondità espressiva i brani lisztiani, scelti
in modo perfetto per dare unità all'insieme.
Ovazione del pubblico e ancora tre splendidi bis
con il Notturno Op.19 n.4 di
Čaikovskij, una
formidabile trascrizione di Schulz-Evler
dal Bel Danubio Blu di J. Strauss e un
funambolico Studio di virtuosismo N.11 Op.72
di Moszkowski. Da ricordare sempre!
8 maggio 2018 Cesare
Guzzardella
Massimiliano Caldi e Alexander Gadjiev per il
Concerto Op.61a di Beethoven
Il concerto ascoltato in
replica ieri pomeriggio al Dal Verme per I
Pomeriggi Musicali prevedeva due momenti ben
distinti d'impaginato: prima il celebre
Concerto op.61 di L.v. Beethoven nella
trascrizione
per pianoforte
ed
orchestra dello stesso musicista (Op.61a)
e poi con brani di derivazione stilistica
barocca di Henryk Górecki (1933-2010) e di
Ottorino Respighi ( 1879-1936). Il concerto
pianistico beethoveniano, naturalmente meno
eseguito rispetto alla versione originale per
violino e orchestra, è indubbiamente di grande
interesse, anche per l'originale cadenza
pianistica dell'Allegro ma non troppo che
ha rivelato al grande pubblico la versatilità
del genio tedesco. Certo, alcune timbriche
eccelse ottenute con i suoni tenuti e vibranti
del violino vengono in parte attenuati
pianisticamente, ma nel complesso l'operazione
operata da Beethoven ha una sua validità.
L'Orchestra diretta da Massimiliano Caldi
trovava come solista il goriziano
ventiquattrenne, di origini russe, Alexander
Gadjiev. Abbiamo trovato di rilevanza estetica
la prestazione fornita dall'orchestra de I
Pomeriggi
e
dal direttore Caldi. Ottima la parte pianistica
di Gadjiev che ha avuto modo di esternare la sua
sicurezza interpretativa e lo spessore timbrico
nella lunga cadenza beeethoveniana, assistita
nella parte conclusiva anche dai timpani. Il
numeroso pubblico presente al Dal Verme ha
mostrato, al termine, di aver particolarmente
gradito l'esecuzione attraverso ripetuti e
sentiti applausi. Gadjiev ha concesso un ottimo
bis con un Preludio di Chopin. La seconda parte,
nel tardo pomeriggio, ha visto una rarità
esecutiva con i brevi Tre pezzi in stile
antico di Górecki e quindi il poco eseguito
Trittico Botticelliano di Respighi.
Ottime le pacate e riflessive interpretazioni di
Caldi e de I Pomeriggi. La valenza
timbrica nell'aggregato soprattutto nei numerosi
archi, ha rivelato le qualità coloristiche di
entrambi i compositori che hanno preso in
prestito la musica antica e barocca per una
restituzione in chiave novecentesca di indubbia
qualità estetica. La corposità delle piacevoli
dissonanze del compositore polacco e quelle di
stampo vivaldiano del bolognese hanno anche
convinto il numeroso pubblico intervenuto che ha
tributato rilevanti applausi conclusivi. Da
ricordare.
6 maggio 2018 Cesare
Guzzardella
Al Teatro Civico di Vercelli
un omaggio a Rossini
E’ con la consueta, raffinata
intelligenza che da sempre ne contraddistingue
la programmazione, che il ViottiFestival ha
offerto il suo omaggio al 150° della morte di
Rossini: ieri sera, sabato 5 Maggio, sul
palcoscenico , il pubblico, accorso numeroso
come sempre, ha potuto ascoltare alcune
deliziose gemme di quell’immenso e un po’
misterioso tesoro musicale che sono i
quattordici volumi dei “Péchés de vielliesse”,
“Peccati della vecchiaia” , ovvero quelle
composizioni per pianoforte e voce o per
pianoforte solo che Rossini venne scrivendo nei
tardi anni francesi, sino a poco prima della
morte,
una volta abbandonato definitivamente il teatro
musicale. Partiture ‘da salotto’, che,
stranamente sono ancora poco esplorate e poco
eseguite nelle nostre sale da concerto. Dunque,
un Rossini intrigante e piuttosto sui generis,
come giustamente sottolineato nel programma di
sala, quello di ieri sera a Vercelli. A
eseguirlo sono stati chiamati due interpreti di
eccellenza, uno dei migliori mezzosoprani
italiani d’oggi, specie per il melodramma
barocco, Manuela Custer, e Massimo Viazzo,
singolare figura poliedrica di pianista,
musicologo, critico musicale, docente
universitario. Per i due, tra l’altro, la serata
di ieri è stata una sorta di ‘rimpatriata’ nella
loro terra d’origine: novarese di nascita lei,
vercellese lui. I Péchés rossiniani
rappresentano un mondo musicale assai
particolare, molto vario, sia per stile
compositivo, sia per tono e temi, ma la
componente dominante è decisamente quell’humour
che è tipico del Rossini dell’opera buffa e che
si presenta in varie sfaccettature, dal bonario
sorriso alla geniale trovata strampalata e
paradossale, che fa della musica un pirotecnico
gioco
di suoni e parole. In questo mondo si sono
avventurati la Custer e Viazzo, non limitandosi
alla semplice esecuzione dei pezzi in programma
uno via l’altro, ma presentandoli di volta in
volta al pubblico. In genere queste
presentazioni possono riuscire fastidiose,
specie se interrompono la continuità del
concerto, ma nel caso di ieri sono state, al
contrario, parte essenziale e integrale della
serata, grazie soprattutto alle straordinarie
doti di vera attrice della Custer, che ha
animato un vero e proprio spettacolo teatrale
nel concerto, con la straripante simpatia e la
vis comica con cui presentava i vari pezzi.
Spalla ideale Viazzo, naturalmente più
‘serioso’, ma anche lui pienamente partecipe di
quel fine e garbato umorismo che è stata la nota
dominante della serata. Se come attrice la
Custer ha sfoggiato doti che non le conoscevamo,
come cantante ha confermato le eccellenti
qualità per cui è ormai da anni celebre in
Italia e all’estero: la sua è una vocalità di
bellissimo timbro, di un vellutato scuro nei
registri bassi e di limpidezza cristallina negli
acuti, perfetta nei legati e nei filati , con
una tenuta di voce che le permette di tornire
fraseggi impeccabili anche superando difficoltà
‘tecniche’, come bruschi salti d’altezza e
simili. Ma la dote più apprezzabile del
mezzosoprano novarese è l’espressività della
voce: la Custer non solo canta, ma interpreta,
sempre, con il colore della voce e con la
gestualità del corpo. Pezzi come la “Légende de
Marguerite” ( parafrasi di “Una volta c’era un
re” dalla “Cenerentola”), le “Dodo des Enfants”
“La Chanson du Bébé”, che hanno aperto il
concerto, hanno preso vita nell’interpretazione
sapiente della Custer, inimitabile nel dar voce
a quell’irresistibile mistura di malinconia e di
infantile comicità che era la cifra dominante di
questi titoli. Diremmo che la climax
interpretativa della Custer sia stata raggiunta
con le variazioni sull’aria “Mi lagnerò tacendo”
dal “Siroe” di Metastasio, in cui le diverse
sfumature e i cangianti registri sentimentali,
sempre venati da un sottinteso parodistico, sono
stati esaltati dalla duttile vocalità di questa
bravissima cantante. Abbiamo detto della
scintillante verve comica della Custer attrice:
naturalmente questa stessa verve si è espressa
nell’esecuzione dei pezzi di più ilare
ispirazione, “Se il vuol la molinara”, “La
regata veneziana” (cantata in perfetto dialetto)
la “Canzonetta spagnuola” e la stessa “A
Grenade”, che chiudeva il concerto con un altro
divertente esempio di enfasi finto-seria, ma i
realtà burlesca, di quell’incredibile
giocherellone musicale che fu Rossini,
eternamente giovane anche negli anni della
vielliesse. Non da meno della Custer è stato,
per parte sua, Viazzo, le cui risorse di
interprete sono emerse ovviamente soprattutto
nei pezzi per pianoforte solo. Tra questi, il
più impegnativo era senz’altro il “Memento
Homo”, una composizione che spiccava, per il
tono gravemente meditativo, a contrasto
coll’ispirazione umoristica dominante del
programma e, in generale, dei Péchés: è
chiramente un Rossini che riprende modi e toni
di Liszt, particolarmente all’inizio, quando più
di una semplice allusione risuona alla Sonata in
si min .Il dubbio è: si tratta di un Rossini
“serio”, che si piega sul profondo mistero della
vita e della morte, o di un Rossini che “si
diverte” a rifare lo stile di un divo della
musica pianistica del tempo, indossandone la
maschera? Trattandosi di Rossini, il dubbio
resta, ma Viazzo sceglie decisamente la prima
soluzione e ci dà un Rossini splendidamente
suonato su un registro livido, cupo, fraseggiato
con estrema cura delle dinamiche, ricche di
effetti chiaroscurali. Riuscitissime, sia sotto
il profilo tecnico, sia sotto quello
interpretativo, anche “Une caresse à ma femme” e
“Petite caprice”, un can can ispirato a
Offenbach, irto di difficoltà di scrittura, tra
salti e glissandi, che Viazzo supera con la
disinvoltura del vero maestro. Un concerto
bellissimo, nella sua singolarità e per la
bravura e la simpatia contagiosa dei due
interpreti, che hanno concluso con un bis
celeberrimo e perfettamente intonato alla
serata: il “Duetto buffo di due gatti”, previsto
per pianoforte e due soprani, che, a voler fare
gli arcigni filologi, è erroneamente attribuito
a Rossini, essendone ormai stata dimostrata la
paternità dell’inglese Pearsall, su musiche
effettivamente rossiniane, s.t. l’Otello. Tra
sbellicarsi di risate e fragorosi applausi si è
conclusa quella che crediamo rimarrà alle
cronache come una delle iù interessanti e
divertenti serate commemorative di questo anno
rossiniano.
6 maggio 2018 Bruno Busca
Silvia Chiesa per il Viotti Festival a
Vercelli con la Camerata Ducale Junior
Per
la 20° stagione del Viotti
Festival,
sabato 12 maggio 2018 alle ore 21presso la
Chiesa di Santa Maria Maggiore in Via del Duomo
6 a Vercelli si terrà un concerto che prevede
musiche del lucchese Geminiani e di Haydn per un
percorso che dal Barocco va al Classicismo. La
Camerata Ducale Junior avrà come interprete
principale Silvia Chiesa anche maestro
preparatore. L'ingresso è libero
6 maggio 2018 dalla redazione
L’Ensemble Progetto
Pierrot al Faraggiana di Novara
Per il ciclo “Musica in
scena” ieri sera, 4 maggio, al Teatro Faraggiana
è stato eseguito uno dei concerti più
interessanti in assoluto dell’intera stagione
musicale novarese. Protagonista una compagine
formata da giovani strumentisti e di recente
formazione, l’Ensemble Progetto Pierrot (EPP),
fondato e diretto da Alessandro M. Carnelli,
direttore d’orchestra e musicologo,
specializzato in studi mahleriani e
schoenberghiani. Nato con lo scopo di dare vita
ad una
rappresentazione
scenica del “Pierrot Lunaire” di A. Schoenberg,
vista lo scorso anno anche a Novara, l’EPP è
formato secondo l’organico previsto appunto per
il Pierrot: un violino (Stefano Raccagni), una
viola (Lorenzo Lombardo), un violoncello (Lucia
Molinari), un clarinetto/clarinetto basso
(Simone Margaroli), un flauto/ottavino (Marco
Rainelli) e un pianoforte (Gaston Polle
Ansaldi). La serata di ieri aveva un titolo: “Il
mondo di Mahler tra Lied e Sinfonia”. Snodandosi
lungo uno sterminato programma di sala
–
sterminato per quantità di pezzi proposti, ben
diciassette, non per durata, perché i singoli
pezzi erano piuttosto brevi- il concerto,
concepito con grande intelligenza musicologica,
mirava a ‘ricostruire’ l’humus e il contesto
musicale da cui sorse il grandioso miracolo dei
capolavori liederistici e sinfonici di G.
Mahler, tra musica popolare dei caffè viennesi e
apporto di una tradizione viennese colta, il cui
riferimento essenziale è individuato in
Schubert. Ecco allora un continuo incrocio e
dialogo, di un interesse che presto si è
trasformato in fascino, tra pezzi di J. Strauss
padre, la Sperl-Polka, frammenti dalla Rosamunde
di Schubert (Il Balletto n.1, la Romanza, il
Balletto n. 2), frammenti dalla prima. dalla
terza e dalla quarta sinfonia di Mahler, il
tutto alternato a Lieder mahleriani tra i quali
ci limitiamo qui a citare alcuni dei più
celebri, come “Das Irdische Leben”,
“RheinLegendchen”,
“Des
Antonius von Padua Fischpredigt”, “Urlicht”,
confrontati a loro volta a Lieder di A. Berg,
“Schilflied” (Il canto del canneto) e “Die
Nachtigall” ( L’usignolo). La voce di soprano
era quella di Federica
Napoletani,, italiana, ma
la cui formazione è avvenuta soprattutto in
Svizzera, ove si sta specializzando in un
repertorio prevalentemente novecentesco e
contemporaneo. Come si sarà ben compreso,
dunque, lo scopo della serata era quello di
evocare un’atmosfera e una cultura musicale, o
meglio ancora un affascinante mondo sonoro, che
proprio nelle orchestrine e negli ensemble dei
caffè viennesi aveva i suoi protagonisti, senza
che vi fossero confini rigidi e invalicabili tra
musica ‘colta’ e ‘musica di consumo’. Lo scopo è
stato pienamente raggiunto: l’ascoltatore è
stato trasportato per poco più di un’ora in un
castello incantato di suoni improntati a quella
particolarissima allegria venata di malinconia,
che presente la fine e può d’un tratto
precipitare nella più allucinante angoscia, come
in “Das Irdische leben”: quella strana e
sfuggente ombra che avvolge anche la Polka di J.
Strauss, in cui la ripetizione ossessiva del
motivetto principale sembra quasi voler
esorcizzare un’enigmatica minaccia. Eseguite
dalla piccola formazione orchestrale, anche le
pagine mahleriane, com’è noto destinate a
gigantesche orchestre, risultavano pienamente
partecipi di un mondo musicale e di quella
civiltà crepuscolare evocata magistralmente
nella letteratura da S. Zweig ne “Il mondo di
ieri”: uno ieri, capace di ammaliare a catturare
e inquietare anche l’ascoltatore di oggi. L’EPP,
che avevamo già ascoltato lo scorso anno, si è
confermato ottima formazione musicale, capace di
penetrare con cura del dettaglio, nelle pieghe
più raffinate della partitura, restituendo,
sotto la guida sapiente di Carnelli, una
ricchezza di timbri e di dinamiche che svaria
dalle aspre sonorità di certi momenti mahleriani
all’evanescenza dolcissima del Nachtigall di
Berg, alla ?banalità’’ salottiera di un J.
Strauss. Ci ha convinto di meno la voce della
Napoletani: un po’ debole e inespressiva nei
centri, tende a forzare troppo gli acuti, talora
quasi striduli. E’ anche lei molto giovane,
lasciamola maturare. Un nostro vicino di
poltrona, al termine della serata commentava:
“Un concerto per palati fini”. Meglio non si
sarebbe potuto dire. Ci si consenta però
un’amara postilla. I “palati fini” ieri sera
erano davvero pochi: l’ampia platea del
Faraggiana era vuota per tre quarti…
5 maggio 2018 Bruno Busca
Christoph von
Dohnányi e Rudolf Buchbinder al Teatro alla
Scala
Il Concerto sinfonico
ascoltato in replica ieri sera al Teatro alla
Scala ha visto sul
palcoscenico la Filarmonica scaligera diretta
dall'ottantottenne berlinese Christoph von
Dohnányi per tre brani classici particolarmente
conosciuti quali l'Ouverture Op.84 "Egmont"
di
L.v. Beethoven, il Concerto n.22 per
pianoforte e orchestra K.482 di W.A.Mozart e
la Sinfonia n.3 Op.90 di J.
Brahms.
Al pianoforte solista in Mozart il viennese
Rudolf Buchbinder. Abbiamo trovato una certa
disomogeneità interpretativa della Filarmonica
scaligera nella parte orchestrale mozartiana
rispetto alle maggiormente definite e
determinate espressioni sinfoniche, prima con
Egmont e, dopo l'intervallo, con la più
corposa Sinfonia n.3 brahmsiana. Il
lavoro introduttivo, la celeberrima Ouverture
del genio di Bonn, forse tra le massime
espressioni tipiche -insieme all'Eroica e alla
Quinta- del carattere contrastato di Beethoven,
è stato ben reso dell'anziano direttore che con
determinazione e chiarezza espressiva e buon
rigore stilistico ha iniziato la serata. Il
brano successivo mozartiano ha visto il
fondamentale supporto del classicissimo
Buchbinder, pianista spesso presente a Milano in
repertori consolidati. Questi ha espresso
l'importante parte pianistica con raffinata ed
elegante discorsività anche nelle sue Cadenze,
in perfetto stile mozartiano, specie quella
dell'Allegro iniziale. La componente orchestrale
si è rivelata complessivamente valida ma non
perfettamente adeguata rispetto la più
scorrevole e
significativa
parte pianistica. La celeberrima sinfonia
brahmsiana, dopo la breve pausa, ha trovato
decisamente più agguerrita la Filarmonica e
unitaria nello svolgimento dei quattro
movimenti. La classica direzione di Donhányi,
dettagliata e discorsiva, ci è piaciuta sia nei
momenti contrastati dell'Allegro con brio
iniziale e dell'Allegro finale, che nel
celebre Poco Allegro, ricco di sfumature
e di sentimento. A parte la contestazione finale
di uno o due ascoltatori presenti nelle parti
alte del teatro che -sottolineo per dovere di
cronaca- meriterebbero la frequentazione solo di
qualche alta curva da stadio per mancanza di
rispetto ed evidente maleducazione, il pubblico
al termine ha omaggiato il bravissimo direttore
con meritati, ripetuti e fragorosi applausi.
Ultima replica per domani alle ore 20.00. Da
ricordare.
4 maggio 2018
Cesare Guzzardella
APRILE 2018
Meritato
successo per
Francesca da Rimini di Zandonai alla Scala
È piaciuta molto al pubblico
presente ieri sera al Teatro alla Scala
Francesca da Rimini. Era la quinta
rappresentazione. L'opera in quattro atti di
Riccardo Zandonai, su testi tratti dalla pièce
di Gabriele D'Annunzio, è certamente figlia di
quei tempi, tra Puccini, Simbolismo francese e
Futurismo. La dinamicità della musica è emersa
splendidamente nella preziosa e minuziosa
direzione di Fabio Luisi. Questi, attraverso le
timbriche sottili del primo e del terzo atto
sottolinea l'amore di
Francesca
per Paolo e con i suoni fragorosi e roboanti del
secondo e del quarto atto fa emergere la
brutalità maschile nelle persone di
Malatestino dall'Occhio
o di Giovanni lo Sciancato. Il tutto è
reso più vivo e iper-reale attraverso la valida
regia di David Pountney mediata dalle ottime e
contrastate scene di Leslie Travers. La
messinscena inizialmente neoclassica è
rappresentata dal sovradimensionato volto
femminile marmoreo che richiama l'aspetto
gentile e antico di Francesca e delle sue
Ancelle. La scena cambia con il volto
trafitto e sfigurato da potenti lance e la
presenza di un'orribile macchina da guerra:
un'enorme torre con tanto di guerrieri e cannoni
che
rappresentano
la brutalità maschile. Nella guerra tra guelfi e
ghibellini, questa seconda scena si sviluppa in
verticale e sovrasta il palcoscenico creando un
effetto sorprendente e certamente di grande
impatto visivo. Questa straordinaria visione è
elemento unitario con la raffinata e moderna
musica di Zandonai che nei contrasti timbrici
del "tutto orchestrale" e delle parti solistiche
si dimostra di pregio e vicina alla musica
futurista. Ricordiamo che l'opera è del 1914 e
precede di poco l'inizio della Grande guerra. La
presenza dannunziana trova sulle scene oggetti
simbolici di richiamo quali oltre la grande
statua dal Vittoriale, il grande libro
che rappresenta la poesia, l'amore e la cultura
e l'aereo di D'Annunzio cioè la
propaganda, l'interventismo e la guerra. A
conclusione possiamo dire che nel complesso la
messinscena
(foto di
Amisano-Brescia
a cura Archivio Scala) è certamente valida con
il punto di forza nella componente musicale di
Zandonai e nell'eccellente direzione di Luisi. I
quattro atti, un po' disomogenei, hanno nel
secondo atto quello maggiormente riuscito
soprattutto
scenograficamente,
mentre troviamo meno significativo il terzo e un
po' debole il momento finale del quarto atto con
l'uccisione di Paolo e Francesca definita
parzialmente. Ottimo complessivamente il cast
vocale con una bravissima Francesca,
Maria José Siri, la più apprezzata dal pubblico
ma a mio avviso con timbriche a volte poco
incisive e mancanti di drammaticità rispetto a
quelle smaglianti e decise dell'orchestra. Bravo
anche nella sua perfetta fisicità Marcelo
Puente, Paolo il Bello. Di grande qualità
ed incisività le voci di Gabriele Viviani, un
Giovanni lo Sciancato voluminoso e
dettagliato, e Luciano Ganci, un Malatestino
chiarissimo nella dizione. Non dimentichiamo i
bravissimi Alisa Kolosova la Samaritana,
Costantino Finucci, Ostasio, Idunnu Münh,
Smaragdi,
Elia Fabian, il Giullare, Matteo Desole,
Ser Toldo e tra gli allievi
dell'Accademia del Teatro alla Scala Sara
Rossini, l'ancella Biancofiore, Hun Kim
il balestriere e Lasha Sesitashvili il
Torrigiano. Splendido, come sempre il Coro
di Bruno Casoni e di qualità i costumi di
Marie-Jeanne Lecca e le luci di Fabrice Kebour.
Prossime repliche previste per il 2-6-10 e 13
maggio. Da non perdere.
30 aprile 2018
Cesare
Guzzardella
Um Sestetto olandese per il
FestivalFiati di Novara
Un sestetto formato da
strumentisti di una delle più celebri orchestre
europee, il Concertgebouw di Amsterdam, è stato
il protagonista, ieri sabato 28 aprile, di una
delle numerose serate di musica che, al
Conservatorio, accompagnano l’annuale
FestivalFiati, in corso in queste settimane a
Novara. La composizione del sestetto era
alquanto singolare: corno (Peter Houben),
violino (Myrthe Helder), Viola (Martina Forni),
violoncello (Fred Edelen), pianoforte, (Frank
van de Laar) e clarinetto, affidato ad Alberto
Lattuada, in questi giorni docente di una
masterclass nell’ambito del FestivalFiati e che
nella compagine olandese ha la parte del
clarinetto basso, dopo aver ricoperto la
stessa
parte in prestigiose orchestre italiane quali le
filarmoniche di S. Cecilia e della Scala. I sei
maestri hanno eseguito due composizioni, di
ascolto più unico che raro: il sestetto in Do
maggiore op.37 di Erno von Dohnany, scritto nel
1935 e la trascrizione della sinfonia n.7 di A.
Dvorak, opera di Henk de Vlieger, storico
percussionista dell’Orchestra sinfonica della
Radio olandese e specializzato nei più audaci
arrangiamenti (persino del Ring di Wagner,
inciso su CD!).L’ungherese Von Dohnany, fu tra
fine ‘800 e primo trentennio del ‘900 pianista e
direttore d’orchestra tra i più celebri in
Europa e negli USA e a questa attività affiancò
anche quella di compositore, che ai suoi esordi
fece in tempo a riscuotere l’entusiastico
apprezzamento di Brahms. Formatosi in clima
tardo romantico, ne recò l’impronta indelebile
anche nel pieno ‘900 delle avanguardie. Il suo
Sestetto op.37 ha la solida quadratura della
composizione ottocentesca, coi suoi quattro
tempi e il suo chiaro impianto tonale, con
qualche increspatura cromatica di sapore
wagneriano, lo schema della forma sonata
rigorosamente rispettato nel primo tempo “
Allegro appassionato” e un accentuato empito
sentimentale. A un incipit improntato a una
sonorità cupa e brumosa, segue un progressivo
rasserenarsi dell’atmosfera che culmina nei toni
trionfalmente festosi dell’”Allegro giocoso”
finale, cui non è estranea l’influenza della
musica popolare magiara, naturalmente ricreata
in un lessico musicale colto e raffinato,
lontanissimo dagli sperimentalismi di un Bartok
o di un Kodaly. A dare un tocco di originalità
alla composizione, la strumentazione, poco
‘classica’ con zone timbriche e colori fra loro
in vivace dialogo (lo stesso pianoforte non ha
una semplice funzione di accompagnamento) che
svaria tra il tagliente contrasto, quasi
stravinskjano, e il morbido e delicato
accostamento di timbri, che raggiunge sfumature
di rarefatta dolcezza in particolare nel secondo
tempo, l’”Intermezzo-Adagio”, che, molto alla
lontana, nella sezione principale poteva
ricordare certa ‘musica della notte’ bartokiana.
Pur diffidenti nei confronti di trascrizioni e
arrangiamenti, dobbiamo riconoscere che
l’arrangiamento di de Vlieger della settima
sinfonia di Dvorak è un piccolo gioiello, che
meriterebbe maggior notorietà. Per goderne
appieno bisogna che l’ascoltatore cancelli dalla
propria mente ogni confronto con l’’originale’ e
ascolti il sestetto come se esso fosse la forma
per cui quella musica è stata concepita. Il
risultato è uno splendido sestetto. Un ruolo
decisivo hanno il corno, il clarinetto e il
pianoforte, che già da subito si affiancano al
violoncello e alla viola nell’esposizione del
primo tema, che perde la concentrata austerità
della sinfonia, per guadagnare in ricchezza di
colori, culminante nello sviluppo, vorticoso e
incessante gioco di timbri, che accompagna con
straordinaria energia emotiva la trasformazione
delle linee motiviche. Indimenticabile il
secondo movimento “Poco Adagio”, già sublime
nella sinfonia: nel sestetto gli arabeschi
intensamente cromatici del corno e del
clarinetto, accompagnati dagli armonici dei tre
archi in sordina e dai voluttuosi arpeggi del
pianoforte, producono sull’ascoltatore un
impatto emozionale vicino all’estasi. Insomma
“chapeau” per de Vlieger, ma anche, ovviamente,
per i sei strumentisti, degni di ogni lode non
solo per la perfezione nell’esecuzione tecnica
della musica, curata nei dettagli più sottili,
ma anche per la capacità espressiva
dell’interpretazione, di raro spessore e
squisita finezza. I sei non hanno concesso il
bis, ma Lattuada ha promesso che torneranno il
prossimo anno e si faranno perdonare il piccolo
‘sgarbo’ ad un pubblico straripante ed
entusiasta, con nutrita presenza di giovani,
ovviamente, perlopiù, studenti del
Conservatorio.
29 aprile 2018 Bruno Busca
La
Sinfonia n.2 "The Age of Anxiety" di
Leonard Bernstein in Auditorium
Interessante il programma
ascoltato ieri sera in Auditorium per i concerti
della Sinfonica Verdi. Jader Bignamini, l'ottimo
direttore della compagine orchestrale, ha scelto
come primo lavoro la
rara
ma efficace The Age of Anxiety del grande
Leonard Bernstein, sinfonia del 1949
particolarmente indicativa della complessa
varietà stilistica del direttore-compositore
statunitense. Il brano traduce in musica
l'omonimo lavoro letterario che il poeta Wystan
Hugh Auden scrisse nel 1947 e richiede nella
corposa partitura una fondamentale parte
pianistica, tanto da poter considerarsi una
sorta di concerto pianistico. La parte solistica
è stata sostenuta da Emanuele Arciuli, pianista
italiano specializzato nella musica del '900 e
contemporanea, specie in quella statunitense. Il
pianoforte dialoga intensamente con l'orchestra
esprimendo un'unità discorsiva dove anche le
timbriche orchestrali, certamente di natura
sinfonica, delimitano stili genuini tipici di
Leonard Bernstein che ricordiamo essere stato
oltre al grande direttore che tutti conoscono e
fondamentale compositore, anche ottimo pianista.
Il lavoro diviso sostanzialmente in sei momenti
musicali presenta nell' Epilogo finale
una
cadenza
pianistica inserita da
Bernstein
successivamente - nel 1965- che vuole
rappresentare il collegamento tra la parte
orchestrale - la complessità del mondo e della
natura- e quella pianistica, l'uomo che lotta
per la sopravvivenza e per trovare una valida
collocazione nel tutto. Bravissimo Arciuli nel
delineare con il
pianoforte il rapporto dialettico con i
pregnanti timbri orchestrali dell'ottima
Sinfonica Verdi diretta per l'occasione in modo
prestigioso da Bignamini. Arciuli ha concesso al
termine un bis solistico con un raro e breve bis
beethoveniano. Il valido lavoro di Bernstein ha
trovato completamento con una rilevante
interpretazione della Sinfonia n.6
"Pastorale" di L.V.Beethoven. Successo di
pubblico e fragorosi applausi per entrambi i
lavori. Ricordiamo la replica prevista per
domenica alle ore 16.00. Da ricordare.
28 aprile 2018 Cesare
Guzzardella
L'ACHROME ENSEMBLE al Teatro
Faraggiana di Novara
Nell’insolito fervore di
appuntamenti musicali di questa primavera a
Novara, al Teatro Faraggiana ieri sera 27 aprile
si è inaugurato un breve ciclo di concerti
cameristici dedicati a C. Debussy per il
centenario della morte e più in generale alla
musica del ‘900. In scena era l’ACHROME (ma la R
andrebbe
scritta rovesciata) ENSEMBLE, fondato cinque
anni fa e diretto dal milanese Marcello
Parolini. L’impaginato prevedeva l’inevitabile
“Prélude al’apres-midi d’un faune” debussyano,
ma nella trascrizione per ensemble di B.
Sachs-A. Schoenberg, salvo la decisione di
conservare un’arpa al posto del pianoforte
previsto dalla trascrizione; a seguire la
Kammersymphonie op.9 di A. Schonberg, anche
questa nella trascrizione cameristica di A.
Webern per violino, violoncello, flauto,
clarinetto e pianoforte. Infine l’Inroduction et
Allegro di M. Ravel . Dobbiamo francamente
confessare che i primi due brani non ci hanno
lasciato molto soddisfatti. Non è in questione
la qualità dell’Achrome Ensemble, formato da
strumentisti di valore, con un organico
tecnicamente agguerrito e ottimamente diretto da
Parolini. Il problema riguarda proprio le
trascrizioni, anche se recano firme di imponente
autorevolezza come quelle di Schoenberg e di
Webern. Esse nascono, com’è risaputo,
dall’avversione che accomunò gli esponenti della
c.d. Seconda scuola di Vienna per la grande
orchestra tardo-romantica,
bruckneriano-mahleriana, tanto che già la
partitura della Kammersymphonie schoenberghiana
nell'originale prevede un organico di quindici
strumentisti. Ora, la trascrizione musicale non
è operazione “a costo zero”: comporta
inevitabilmente il sacrificio ?orizzontale’ di
timbri, e ‘verticale’ di spessore
armonico-contrappuntistico. E’ esattamente quel
che si è sentito ieri sera: trascritto per
ensemble, il Prélude di Debussy perdeva gran
parte del suo immenso fascino, consistente
proprio nel gioco straordinario e cangiante dei
timbri che accompagnano e avvolgono il magnifico
primo tema
del flauto. Un solo esempio: affidare al
clarinetto, invece che all’oboe, escluso
dall’organico, senza un adeguato ‘tappeto’ di
archi la melodia che, franta tra fiati e archi,
avvia la sezione centrale, sfociando in una
stupenda frase lirica, priva l’ascoltatore di
uno dei momenti di maggior fascino incantatorio
dell’intera composizione , Ancora più grave, a
nostro avviso, il danno subito dalla
Kammersymphonie di Schoenberg: la trascrizione
rendeva certo più nitide le linee tematiche del
pezzo, come sottolineato da Parolini nella
presentazione, ma impoveriva oltre il limite del
tollerabile la densità contrappuntistica della
partitura, non certo compensata dal pianoforte,
il cui suono, oltretutto, forse per problemi di
acustica, giungeva alle nostre orecchie
piuttosto debole. Pienamente appagante, invece,
l’esecuzione del pezzo di Ravel, nell’organico
originale. Parolini ha diretto l’Achrome con un
suono trasparente e delicato, gestendo a
perfezione le dinamiche: ne è scaturito un
bellissimo gioco timbrico, dominato dall’arpa,
che avvolgeva nelle spire del suo magico suono i
colori degli altri strumenti, trovando il suo
momento più emotivamente intenso nel dialogo con
la viola, nella seconda sezione del brano.
Merita davvero un elogio, questo Achrome
Ensemble, per la cura tecnica del dettaglio, la
precisione nelle entrate e nelle progressioni,
la qualità complessiva del suono: ci pare
doveroso in particolare, tra gli strumentisti,
segnalare i nomi di Yokjo Morimo, primo violino,
eccellente nel fraseggio, sempre nitido e di
solida tecnica, Emanuele Rigamonti (violoncello,
da applausi nella melodia per quarte nel pezzo
di Schoenberg) e Federica Mancini (arpa). Il
concerto, senza bis, è stato a lungo applaudito
da un pubblico, non molto numeroso, ma formato
in gran parte da giovani, cosa poco frequente
nelle nostre sale da concerto (specie a Novara).
28 aprile 2018 Bruno Busca
Prossimamente " Une soirèe
chez Rossini" a Vercelli
Sabato 5 maggio 2018 alle ore
21 presso il Teatro Civico in Via Monte di Pietà
15 a Vercelli si terrà un concerto denominato
"Une soirèe chez Rossini" nel 150° della morte
di Gioachino Rossini. Il duo formato da Manuela
Custer, mezzosoprano, e Massimo Viazzo,
pianoforte, eseguiranno brani di Rossini.
28 aprile 2018 dalla
redazione
Il
pianista Steven Osborne diretto da Eduardo
Strausser al Dal Verme
Un
concerto dedicato interamente
a
Beethoven quello ascoltato ieri sera al Teatro
Dal Verme. L'orchestra "I Pomeriggi Musicali"
per l'occasione era diretta dal giovane
Eduardo Strausser, direttore emergente nel
panorama internazionale, con vasta esperienza
nel repertorio lirico. Il Concerto n.4 per
pianoforte e orchestra in Sol maggiore Op.58
del genio di Bonn ha trovato come solista
l'inglese Steven Osborne, pianista di solida
esperienza e
vincitore
d' importanti Concorsi Internazionali quali ad
esempio il "Clara Haskil".
Particolarmente energica la direzione e
l'esecuzione del celebre concerto. Osborne ha
definito con estrema sicurezza, precisione ed
equilibrio formale ogni frangente pianistico per
un'interpretazione classica di ottimo livello.
Lunghi applausi e un raffinato bis solistico con
la Bagatella Op.125
n.4. Dopo il breve intervallo
valida l'esecuzione della
Sinfonia n.2 in Re maggiore Op.36.
Ricordiamo la replica per sabato alle 17.00
27 aprile 2018 Cesare
Guzzardella
La fagottista Sophie
Dartigalongue a Novara
Una fagottista
di prim’ordine Sophie Dartigalongue, esibitasi
questa sera, 26/04, all’Auditorium del
Conservatorio G. Cantelli di Novara, nell’ambito
del FestivalFiati 2018: nonostante la giovane
età (è del 1991), la musicista francese vanta
già un invidiabile curriculum sia
solistico-cameristico, sia sinfonico (è primo
fagotto dei prestigiosi Wiener Philarmoniker),
sia didattico, con frequenti e sempre
apprezzatissimi corsi. La sua figura, ormai
saldamente affermatasi nell’Europa franco- germanica,
è da noi ancora poco nota, sicché è stata una
vera fortuna poterla ascoltare a Novara, in una
delle sue rare comparse in Italia. Dartigalongue
presentava un programma piuttosto vario,
specchio fedele dei suoi interessi che spaziano
lungo la storia della musica per fagotto
dall’età barocca ai giorni nostri,
avventurandosi anche alla ricerca di pagine e
autori rari o
addirittura dimenticati. L’impaginato prevedeva
la Sonata n. 6 per fagotto e pianoforte di
Antoine Dard, protagonista della musica per
fagotto nella Francia del XVIII sec., la
trascrizione per fagotto della sonata per flauto
solo di J. S. Bach BWV 2013, una sonatina per
fagotto solo del celebre oboista contemporaneo
svizzero H. Holliger, il Concertino per fagotto
e pianoforte del compositore francese Marcel
Bitsch, un altro contemporaneo (scomparso nel
2011) e infine il pezzo senz’ombra di dubbio più
seducente della serata: la Sonata per fagotto e
pianoforte in Sol Magg. op 168 di Saint Saens.
Al pianoforte sedeva Alberto Magagni,
l’accompagnatore per antonomasia dei concerti al
Conservatorio novarese. Sophie Dartigalongue
possiede in sommo grado due virtù esecutive che
subito esercitano un fascino irresistibile
sull’ascoltatore: la trasparenza del suono e la
sorprendente varietà di colori che riesce a
ricavare da uno strumento come il fagotto, che
in genere immaginiamo come un tubo da cui esce
un suono piuttosto monocorde, tendente alle zone
scure dello spettro timbrico. Ebbene, chi voglia
misurare l’infondatezza di simile pregiudizio
ascolti la Dartigalongue: capace, grazie a una
tecnica di estrema raffinatezza, di un suono
smaltato e brillante nei tempi veloci della
sonata barocca di Dard, addirittura squillante
nel secondo tempo, vagamente jazzistico, del
Concertino di Bitsch (cosina per la verità
piuttosto modesta), di una trascolorante melodia
nei due tempi più belli della sonata di Saint
Saens, il primo e il terzo, quest’ultimo
interpretato con una cavata melodica di rara
intensità e avvolta dalla crepuscolare velatura
di un’intima malinconia, ma capace anche di
rendere al meglio le dissonaze, i “frullati”, le
sonorità acide e taglienti di Holliger. Lo
confessiamo: da questa sera amiamo di più il
fagotto! Va reso anche il doveroso omaggio al
sempre ottimo Magagni, che nei momenti più
intensi della partitura fa sentire la sua
autorevole presenza: i suoi delicatissimi
bicordi nell’Adagio della Sonata di Saint Saens
non si dimenticano facilmente. Dopo il bis (il
secondo tempo della Sonata di Dard), i
prolungati applausi del numeroso pubblico hanno
concluso degnamente un’altra serata di qualità
del FestivalFiati.
27 aprile 2018 Bruno Busca
Andrea Bacchetti e gli Archi dell'Orchestra
Sinfonica della Rai per Serate Musicali
È un momento di grande
attività musicale quella del pianista Andrea
Bacchetti. Presente in formazioni cameristiche
diversificate, prima con Uto Ughi per una serie
di concerti, adesso con gli
Archi
dell'Orchestra Sinfonica della Rai per eseguire
alcuni concerti di L.V. Beethoven
nell'adattamento "cameristico" di Lachner. Ieri
sera è tornato in Sala Verdi, nel Conservatorio
milanese, per Serate Musicali presentando
il Concerto n.1 e n.2 del genio di Bonn.
Queste versioni da "salotto" - 14 archi che
sostituiscono la più corposa orchestra
sinfonica- hanno il merito di sottolineare ancor
in modo più rilevante la parte solistica. Certo,
alcune timbriche più corposa e grintose
orchestrali beethoveniane risultano sacrificate,
ma la piacevolezza di questi due primi concerti
maggiormente legati al classicismo mozartiano
risulta comunque rispettata e sottolineata dalla
bravura di tutti i validi strumentisti a
cominciare dall' ottimo Bacchetti. Questi si
dimostra ancora una volta un esigente
perfezionista classico, elegante ed attento ad
ogni dettaglio. L'esperienza
maturata
e consolidata nel repertorio del Settecento e
dell'Ottocento, avviata dall'importante
frequentazione bachiana, ha portato a solide
fondamenta
che si riflettono anche in questo bellissimo
Beethoven, dove in ogni movimento l'equilibrio
tra gli archi e la tastiera è risultato
perfetto. Anche i movimenti centrali come il
Largo centrale dell'Op.15 e l'Adagio
dell'Op.19 hanno rivelato un Bacchetti
trasportato dalla bellezza melodica. Valide
anche le Cadenze solistiche come quella
splendida dell'Allegro con brio del
Concerto in Do maggiore op.15, sostenuta dal
pianista ligure con sicurezza ed espressività.
Lunghi e fragorosi gli applausi al termine in
una Sala Verdi purtroppo non affollata. Ottimo
il bis solistico con il
Preludio dalla Suite Inglese n.2 di Bach
eseguito come magicamente sa fare Bacchetti. Da
ricordare.
24 aprile 2018 Cesare
Guzzardella
Il
violoncellista Daniel Müller-Schott ai
Pomeriggi Musicali del Dal Verme
Il violoncellista tedesco -
di Monaco- Daniel Müller-Schott è affermato in
tutto il mondo. A solo 15
anni
risultò vittorioso - per la sezione giovanile-
del prestigioso
Concorso
Internazionale
Čaikovskij di Mosca. Ieri sera è stato
ospite de I Pomeriggi Musicali diretti da
Alessandro Cadario per interpretare due brani
poco eseguiti ma di significativa sostanza. Il
primo, in ordine di esecuzione, era la
Romanza per violoncello e orchestra in fa
maggiore Op. 75 di Richard Strauss, un
Adagio Cantabile nello stile più "classico'
del musicista tedesco. Quindi un'assoluta rarità
esecutiva come il Concerto per violoncello e
orchestra in La minore Op.33 del compositore
romantico tedesco Robert Volkmann.
Le interpretazioni, in entrambi i lavori, hanno
messo in rilievo tutte le qualità di questo
eccellente
virtuoso, dotato di un elegante cantabile e di
timbriche energiche e dettagliate. Ottima
l'interpretazione fornita dall'Orchestra I
Pomeriggi Musicali e dal direttore Cadario.
Questi, dopo la breve pausa ha fornito una
rilevante esecuzione dell Sinfonia n.3 Op.97
"Renana" di Robert Schumann. Non
dimentichiamo l'eccellente bis solistico
concesso da Müller-Schott con l'Habanera
di Maurice Ravel: interpretazione di alta
qualità.
20 aprile 2018 Cesare
Guzzardella
Il clarinetto di
Alessandro Carbonare con l'Orchestra Toscana
L'ottima compagine
orchestrale della Regione Toscana, ORT, è
stata ospitata in Sala Verdi dalla Società
dei Concerti per un interessante e
contrastato
concerto
che prevedeva musiche americane
nella
prima parte e di Schubert dopo l'intervallo.
Alla direzione orchestrale il valido George
Pehlivanian- di recente ascolto al Teatro Dal
Verme- ha condotto con competenza ed efficace
resa espressiva i brani in programma. Il brano
introduttivo di Charles Ives, The Unanswered
Question, del 1906 è particolarmente
interessante e segna un momento importante per
il compositore statunitense, considerato
pioniere della nuova musica d'oltre oceano. Di
particolare pregio la resa estetica e la parte
stilistica della prima tromba. Il Concerto
per clarinetto di Aarold Copland ha trovato
solista l'eccellente Alessandro Carbonare. Il
brano, composto da Copland nel 1947 e dedicato
al celebre
clarinettista
jazz Benny Goodman, è uno dei maggiori esempi
della riuscita contaminazione jazzistica nel
mondo del repertorio classico. Nei tre momenti
del concerto, dopo un'introduzione più
introspettiva e classica, il cambio di ritmica
ci porta in atmosfere jazz che si concludono con
un movimento di impronta blues. Bravissimo
Carbonare in ogni frangente con splendide
timbriche e perfezione tecnica in un contesto di
grande fluidità espressiva. Lunghi applausi al
termine e virtuosistico il breve bis concesso
dal clarinettista con un breve lavoro dal
carattere improvvisatorio. La Sinfonia n.3 in
Re maggiore D 200 di Franz Schubert, lavoro
giovanile del compositore viennese, ha portato
con la sua freschezza di stile, alla conclusione
della serata ed ha mostrato le ottime qualità
della compagine orchestrale toscana. Da
ricordare.
19 aprile 2018 Cesare
Guzzardella
Il Festival Fiati a Novara
l concerto cameristico
previsto per ieri sera, 18/04, dal FestivalFiati
presso il Conservatorio di Novara, proponeva un
programma di composizioni più o meno note per
flauto e pianoforte. Al flauto Maria Siracusa,
musicista impegnata in un un’intensa attività
didattica e concertistica, in organici sia
orchestrali (è attualmente secondo flauto
dell’Orchestra del regio di Torino), sia
cameristici , in varie formazioni; personalmente
la ricordiamo con piacere, anni fa, primo flauto
della torinese/vercellese Camerata Ducale. La
flautista piacentina era accompagnata al
pianoforte da Aniello Iaccarino, specializzato
nel ruolo di accompagnatore, fondatore del duo
Kairòs
flauto/pianoforte
con C. Coppola, con cui sta approfondendo in
particolare la musica del ‘900 “storico” e
contemporanea. L’impaginato proponeva i seguenti
pezzi, tutti per flauto e pianoforte: la Sonata
FP 164 di F. Poulenc, la Sonatina di E. Burton
(compositore americano “minore” scomparso nel
1979, di cui questo pezzo è il più noto), la
Fantasia op.79 di G. Fauré e infine il Chant de
Linos del francese di inizio ‘900 A. Jolivet,
considerato il padre della moderna scuola
flautistica francese. Il suono della Siracusa
esibisce perfezione tecnica e qualità timbrica:
è un suono di energica intensità, di morbida
dolcezza, che in un fraseggio di nitida
trasparenza scolpisce la nota e, a un tempo, la
sfuma col sapiente chiaroscuro delle dinamiche.
Esemplare l’interpretazione del secondo tempo,
Cantilena, della sonata di Poulenc, imperniato
su un’aria struggente dei Dialogues des
Carmelites: la flautista piacentina ha sfumato
il suono con una delicatezza quasi rarefatta,
che ha creato un’atmosfera sonora trasognata,
onirica: uno dei momenti più alti della serata.
La sonatina di Burton, aliena da qualsiasi
‘avanguardismo’ novecentesco, conservando un
impianto sostanzialmente tonale, ha il suo
centro di maggior interesse nel terzo e ultimo
tempo, uno vivace finale che può ricordare certo
Copland, con ritmo di fandango. La Siracusa ha
accelerato decisamente i tempi, scatenando una
ritmica trascinante, che ha riscattato almeno in
parte una composizione in generale alquanto
banale, nell’invenzione tematica e nella
costruzione armonica. Con la Fantasia di Fauré
si è tornati a una musica di grande suggestione,
che la Siracusa ha sapientemente valorizzato
ammorbidendo il registro timbrico, con
l’emissione di un suono sottilmente avvolgente,
molto adatto ai cromatismi della partitura,
sino, talvolta a raggiungere un’atmosfera flou
predebussyana. Interessante la composizione di
Jolivet, che immerge l’ascoltatore in un remoto
e arcano mondo mitologico, presagio di certo
neoclassicismo dei decenni centrali del ‘900: il
suono del flauto della Siracusa si alona di
iridescenze incantatorie, che accarezzano le
orecchie di un pubblico che ripaga questi
istanti di sogno con un lungo e grato applauso.
Un giudizio assolutamente positivo va espresso
anche su Iaccarino, il cui tocco ha saputo
accompagnare con sapienza ed efficacia le scelte
timbriche e dinamiche della Siracusa. Dopo il
bis, originale e bellissimo, l’Aria di Lenskij
dall’Oneghin di Ciajkovskij (col flauto che,
ovviamente, sostituisce il tenore), il pubblico,
non troppo numeroso, ha applaudito a lungo i due
concertisti: un’altra bella serata di musica
regalata ai novaresi dal FestivalFiati e dal
Conservatorio della città.
19 aprile 2018 Bruno Busca
Sa Chen per le Serate
Musicali
E da alcuni anni ospite di
Serate Musicali la pianista cinese Sa Chen. Ieri
sera ha proposto un impaginato incentrato su due
musicisti diversi quali Claude Debussy e Franz
Schubert. Prima i rari
12
Studi del francese e, dopo il breve
intervallo, i Quattro Improvvisi D 935
del viennese. Brani certamente diversi ma
accomunati da un' interprete che ha nella
perfezione tecnica
assoluta
e nelle qualità riflessive elementi per una
convincente restituzione. I 12 Studi di
Debussy, raccolti in due libri, sono nel tipico
stile del francese, dedicati a Chopin soni stati
composti nel 1915. Sa Chen ha fornito
un'interpretazione coloristicamente di qualità
con andamenti moderati e riflessivi. La sintonia
tra lo spirito dei brani del francese e la
sensibilità meditativa orientale è indubbia e la
Chen si è trovata perfettamente a suo agio con
la tavolozza dei colori di Debussy. La pianista,
di Chongqing, inaspettatamente si è poi rilevata
un'eccellente interprete di Schubert. I quattro
celebri Improvvisi op.142 D.935 sono
stati eseguiti in modo magistrale con dinamiche
corrette e perfettamente equilibrate: tempi
riflessivi e melodie luminose ben sottolineate
nel contesto armonico.Non una sbavatura e
soprattutto profondità di pensiero. Una
rivelazione che dimostra la vicinanza oramai
consolidata dell'Oriente alla cultura europea.
Da ricordare.
17 aprile 2018 Cesare
Guzzardella
I violini
di Sonig Tchakerian e Guido Rimonda per la
Camerata Ducale a Vercelli
Accade spesso, a chi
frequenti le serate del vercellese
ViottiFestival, di lasciare il Teatro Civico
alla fine del concerto con la sensazione di una
mesta vertigine, come di chi ricada nella
dimensione normale della realtà dalle vette di
un’esperienza interiore di straordinaria
intensità emotiva e mentale, quella che solo la
grande musica (e la grande poesia) sanno
comunicare e che si vorrebbe non avesse mai
fine. Questo stato d’animo abbiamo di nuovo
provato ieri sera, sabato 14/04, dopo
che
si era spenta l’ultima nota dei violini di Sonig
Tchakerian e di Guido Rimonda, al termine di una
serata di straordinaria qualità musicale. Come
talora accade ai concerti della Camerata Ducale,
il programma era rigorosamente monografico,
consacrato a J. S. Bach e prevedeva il Concerto
Brandeburghese n.3 per archi e continuo in Sol
magg. BWV 1048, e a seguire i due Concerti per
violino archi e continuo BWV 1041 e 1042 e il
BWV 1043 per due violini, archi e continuo.
Protagonista della serata, come detto, la
violinista armeno-siriana d’origine, ma ormai
naturalizzata italiana Sonig Tchakerian,
naturalmente coadiuvata nel concerto 1043 da
Guido Rimonda, mentre la tastiera del
clavicembalo per il basso continuo era affidata
a Cristina Canziani, direttore artistico della
Camerata Ducale, in una delle sue (purtroppo!)
sempre più rare apparizioni sul palcoscenico in
veste di musicista. La cavata che la Tchakerian
trae dalle quattro corde del suo splendido
Gennaro Gagliano 1760, dalla voce nobile e di
mediterranea solarità, è di quelle che non si
dimenticano facilmente: unisce cantabilità
raffinata e sensibile alle minime vibrazioni
armonico-melodiche a una impetuosa energia di
suono che trascina l’ascoltatore in un flusso
senza sosta di note, sempre calibrate con
distillata precisione, come donate dall’alto di
un supremo dominio dello strumento. Arditezze
tecniche quali le doppie corde si sciolgono come
d’incanto in un fraseggio che, come anni fa
osservò bene L. Arruga, la Tchakerian “affonda”
alla ricerca della minima sfumatura del suono,
del più sottile dettaglio timbrico dell’accordo.
E’ insomma un Bach, quello della violinista
armena, di cui sono pienamente valorizzati i due
‘volti’ compositivi presenti nei concerti per
violino: la cantabilità italiana (Vivaldi) e il
rigore imitativo-contrappuntistico di pretta
marca tedesca, come appare fin da subito dal
Terzo brandeburghese, ove, pur suonando gli
strumenti su un piano di assoluta parità, con
scrittura polifonica al quadrato, la voce del
Gagliano della Tchakerian prende un suo
particolare rilievo alle orecchie
dell’ascoltatore, nel profilo dei temi e delle
progressioni. Ma ovviamente il rigore e la
bellezza delle quattro corde della Tchakerian
sfolgorano di luce abbagliante nei concerti per
violino: se nel primo tempo del BWV1041 la
gestione delle dinamiche, nel continuo
alternarsi dei piano e dei forte è di squisita
finezza e conferisce all’esecuzione del
movimento un chiaroscuro di delicatezza
raramente ascoltata, si raggiuge il sublime
vertiginoso con i due tempi Lenti
rispettivamente del BWV 1041 e del BWV 1042. Qui
il suono del violino solista raggiunge una
trasparenza timbrica di levità assoluta, che
tocca il cuore dell’ascoltatore nel Lento del
1042, quando, dopo un lungo accordo, comincia
una serie di modulazioni dal modo minore al
maggiore, ‘scavate’ da un fraseggio di
morbidezza indicibile. La gioia che il far
musica procura e che si comunica
irresistibilmente a chi la ascolta ha illuminato
l’esecuzione dell’ultimo concerto in programma,
il BWV 1043 in re min. per due violini. Il
Gagliano della Tchakerian e il Noir di Rimonda
hanno dato vita ad uno spettacolare dialogo
musicale, dettato da un’ intesa perfetta, con
l’amabile scambio di frasi melodiche o con
l’intreccio rigoroso di una trama
contrappuntistica di impervia densità,
illimpidita dalla sovrana chiarezza di timbri e
precisione di arcata dei due Maestri.
Naturalmente all’eccellente qualità della serata
hanno dato il loro contributo anche gli archi
della Camerata Ducale esatti nello stacco dei
tempi, e nell’intesa coi solisti. Il suo momento
di gloria ha avuto anche la Canziani, nella
cadenza per clavicembalo del Terzo
Brandeburghese, eseguita con precisione e
veemenza. Dopo i due bis, un duetto per due
violini di cui non siamo certi di aver capito
bene il nome dell’autore (forse J. F. Mazas,
violinista e compositore francese a cavallo tra
‘700 e ‘800) e la ripetizione, a gran richiesta
del pubblico, del primo tempo del BWV 1043, la
serata, aperta dall’introduzione del prof. A.
Piovano, come sempre essenziale e preziosa, si è
conclusa con un tripudio prolungato di applausi
di un pubblico straripante. Non solo i solisti,
ma tutti gli orchestrali (tranne ovviamente la
clavicembalista) hanno eseguito in piedi il
concerto; forse, di fronte a tanta bravura e
bellezza anche il pubblico dovrebbe ascoltare in
piedi…
15 aprile 2018
Bruno Busca
L'Orchestra
della Svizzera Italiana e Patricia
Kopatchinskaja per Serate Musicali
Tra i numerosi concerti
organizzati in Sala Verdi da Serate Musicali,
in genere cameristici, troviamo a volte anche
grandi orchestre sinfoniche. Quella ascoltata
ieri sera era l'Orchestra della Svizzera
Italiana -OSI- . È stata diretta da Markus
Poschner in due importanti lavori del Secondo
Ottocento musicale: il Concerto in Re
maggiore Op.35 di P.I.
Čaikovskij e la
Sinfonia n.4 in Mi bem. magg.
"Romantica"
di Anton Bruckner.
Nel primo lavoro del
musicista russo,
certamente
più
noto, c'era Patricia Kopatschinskaja, violinista
quarantenne moldava riconoscibile per il suo
estro e la sua evidente gestualità. Ha rilevanti
qualità Patricia: appartiene alla categoria
degli interpreti "creativi", quelli che pur
rimanendo sostanzialmente fedeli alla partitura,
cercano nuove soluzioni in termini dinamici e
coloristici. L'Op.35, forse il concerto
per violino più eseguito al mondo, trova decine
di splendide interpretazioni fatte dai più
grandi virtuosi di ogni tempo. Non è facile
aggiungere qualcosa di nuovo. La violinista, a
mio parere, in questo è riuscita. I suoi modi
"irregolari" d'interpretare, con lievi
cambiamenti dinamici e temporali, accelerazioni
improvvise o timbriche appena percepibili, come
nel delizioso Canzonetta.Andante
centrale, hanno portato ad un modo originale e
diverso d'interpretare
Čaikovskij.
Bravissima la compagine orchestrale e l'ottimo
direttore Poschner
a regolare perfettamente i volumi delle sezioni
orchestrali in maniera da far rilevare ogni
peculiarità dell'estrosa violinista.
Patricia
nei momenti interamente orchestrali seguiva
soddisfatta l'orchestra, accennando con le labra
alla melodia, con brevi movimenti a piedi nudi -
come sua abitudine- sul palcoscenico. Ottima
l'interpretazione complessiva e inaspettato
l'interessante bis concesso dalla
Kopatchinskaja: senza violino ma con un
pianoforte verticale d'emergenza - se volete
anche un po' scordato e in posizione defilata-
per interpretare
Hommage
a Čaikovskij
di György
Kurtag. Un
brevissimo brano di poco più di un
minuto
dove la gestualità,
evidente e importante, si somma alla capacità
dell'interprete di utilizzare cluster di
note evidenziando dinamicamente i contrasti
timbrici sulle differenti posizioni nella
tastiera, quasi a voler dominare il pianoforte
con effetti risolutori anche pregievoli.
Applausi fragorosi alla simpatica, sempre
sorridente artista. Dopo l'intervallo abbiamo
apprezzato la direzione e le alte qualità della
compagine orchestrale nella Sinfonia "Romantica"
di Bruckner, forse il lavoro più celebre del
compositore austriaco di Ansfelden. Brava tutta
l'orchestra e un plauso alla scintillante
sezione degli ottoni. Da ricordare.
14 aprile 2018 Cesare Guzzardella
Il clarinetto di Michel Arrignon col
pianoforte di Alberto Magagni a Novara
All’Auditorium Olivieri del
Conservatorio G. Cantelli di Novara si è
inaugurata ieri sera, giovedì 12 aprile, la
sedicesima stagione del Festival Fiati, che,
insieme con NovaraJazz, costituisce una delle
due iniziative musicali di rilievo nazionale ed
europeo che hanno come teatro la cittadina
piemontese. Festival fiati organizza infatti,
per circa un mese, un’attività quasi quotidiana
di masterclass che richiama allievi e maestri da
tutta Italia e anche dall’estero e offre
numerosi concerti ad accesso gratuito in cui è
possibile ascoltare strumentisti celebri del
nostro e di altri Paesi. Ieri sera, di fronte ad
un folto pubblico (quando non c’è da aprire il
portafoglio i musicofili novaresi escono dalla
clandestinità…) si è esibito uno dei più celebri
clarinettisti francesi degli ultimi decenni,
Michel Arrignon, molto legato a P. Boulez, con
il quale è stato uno dei fondatori dell’Ensemble
Intercomporain. Con un repertorio che comprende
musica francese dell’otto-novecento e musica
contemporanea,
ieri Arrignon presentava un conciso programma
impaginato su tre composizioni molto famose: due
per clarinetto e pianoforte , la Sonata in Mi
bem.maggiore op. 167 di C. Saint-Saens e la
Sonata FP 184 di F. Poulenc; una per clarinetto
solo, le celeberrime Tre Piéces di I Stravinsky.
Al pianoforte il maestro francese era
accompagnato da Alberto Magagni, pianista e
compositore molto attivo a Novara, ove insegna
nel locale Conservatorio ed è tra gli animatori
dell’Accademia internazionale di musica di
Novara ICONS, tra le scuole musicali di Alto
Perfezionamento riconosciute in Italia.
L’Arrignon ascoltato ieri sera è clarinettista
di prima grandezza, un ‘magnifico settantenne’,
ancora capace di una straordinaria energia di
suono, unita a sapiente duttilità nelle scelte
timbriche e dinamiche. Semplicemente strepitosa
la sua esecuzione della sonata di Saint Saens: a
parte le difficoltà tecniche, per la ricchezza
di arpeggi e di salti bruschi di registro, hanno
affascinato il pubblico la morbidezza e
l’elegante pulizia del fraseggio del sognante
Primo tempo e il colore livido, terreo, di un
dolore trattenuto, ma angoscioso, del terzo
tempo Lento. Tutto un diverso mondo musicale
quello evocato dai tre pezzi di Stravinsnky,
soprattutto il secondo, con i suoi scatenati
sincopati, chiaramente influenzati dal
linguaggio musicale del Jazz, che nel finale si
spengono in un malinconico “piano”, teneramente
sussurrato dal clarinetto. Ma la duttilità di
Arrignon dava la sua prova suprema nel breve
pezzo di Poulenc, fatto di improvvisi cambi di
umore, dall’ironia più maliziosa alla malinconia
più struggente, di ritmi secchi e taglienti e di
melodie sdolcinate: una ricchezza di sfumature
che Arrignon ha evocato in tutta la loro
varietà, con un suono sempre esatto, una sicura
gestione delle dinamiche e dei colori e un
fraseggio limpido e incisivo. Un plauso è dovuto
anche a Magagni, che ha accompagnato con tocco
sapiente il clarinetto di Arrignon
assecondandone con efficacia la timbrica, specie
nei pezzi più complessi, come il Lento della
sonata di Saint Saens, ove giustamente Magagni
negli accordi arpeggiati ha attenuato il
“fortissimo” indicato nella partitura, a favore
di una dinamica meno marcata, timbricamente
velata da un sottile gioco del pedale. Dopo il
bis, la ripetizione del vivace terzo tempo della
sonata di Poulenc, è seguito il lungo e
scrosciante applauso, strameritato, del numeroso
pubblico.
14-04-2018 Bruno Busca
Luca Buratto in Auditorium con Claus Peter Flor
e la Sinfonica Verdi
Il concerto ascoltato in
Auditorium ieri sera ha
avuto come momento più rilevante una rarità
esecutiva
quale il Concerto n.2 in Sol
minore Op.16 di S. Prokof'ev. Questo
è stato anticipato da un breve brano di
Dmitrij Sostakovič
- anche questo di rara esecuzione
e di
grande impatto coloristico-
quale
l'Ouverture Festiva
Op.96.
Sul palco insieme al direttore Claus Peter Flor
il pianista milanese Luca Buratto. Buratto
vincitore nel 2015
di un importante
concorso
internazionale
- Honens International Piano Competition-
ha
mostrato rilevanti qualità interpretative
in questo lavoro del grande russo scritto nel
1913 in stile "futurista" per la dinamicità e la
fragorosità delle timbriche. Le difficoltà
tecnico-esecutive del brano
sono apparse
superate
con apparente facilità da Buratto per una restituzione
esemplare nella limpidezza dei particolari
timbrici. L'interiorizzazione di ogni dettaglio,
anche nei frangenti più difficili, dimostrano le
alte potenzialità di questo giovane pianista che
speriamo di riascoltare presto a Milano in un
recital solistico. Sottoliniamo
anche le ottime qualità della Sinfonica Verdi e
del direttore Flor per la rilevanza della parte
orchestrale, in perfetta sinergia con il
pianoforte. Molto delicato e profondo il bis
solistico concesso da Buratto con una
valida trascrizione da una
nota aria di Monteverdi, Pur ti miro,
pur ti godo, da "L'incoronazione di Poppea".
Dopo l'intervallo, conclusione della triade
russa con Stravinskij e
la celebre suite da
Uccello
di fuoco eseguita con
grande energia e determinazione dalla compagine
orchestrale. Da ricordare. Repliche per questa
sera e domenica alle ore 16.00. Da non perdere.
13 aprile 2018
Cesare Guzzardella
Nikita Abrosimov per la Società dei Concerti
Il concerto ascoltato ieri
sera in Sala Verdi ha trovato al pianoforte il
ventinovenne pianista russo Nikita Abrosimov in
un programma variegato che prevedeva musiche di
Musorgskij, Beethoven e
Stravinskij.
La prima parte della serata ha visto
l'esecuzione dei celebri Quadri di
un'esposizione, lavoro in più movimenti del
musicista russo intervallati dalla nota melodia
della "passeggiata" . Abbiamo trovato valida,
non entusiasmante, la resa pianistica di
Abrosimov: momenti di incertezza iniziale hanno
portato poi a chiare definizioni coloristiche al
termine del lavoro. Cambio di registro nella
seconda parte del concerto con in prima battuta
la Sonata n.15 In Re maggiore Op.28
"Pastorale" di Beethoven e quindi Tre
movimenti da Petrouchka di Igor Stravinskij.
La sonata beethoveniana, pur lontana dal
classicismo consolidato dalle interpretazioni
storiche, ci è piaciuta molto per la capacità di
penetrazione
di
ogni elemento melodico-armonico eseguito con
eleganza e chiarezza di dettaglio e per la
scelta stilistica unitaria del lavoro. In questo
caso la conoscenza approfondita del materiale
sonoro ha portato ad un ottimo risultato.
L'ultimo brano del programma ufficiale, il
celebre Petrouchka stravinskijano nella
versione pianistica in tre parti, ha fatto
emergere le migliori qualità del giovane
interprete attraverso un'esecuzione altamente
virtuosistica dove la chiarezza espressiva, in
ogni frangente e in un contesto di elevata
penetrazione estetica, ha centrato l'obiettivo
della resa eccellente. Due i validi bis concessi
con l' Improvviso Op.90 n.3 di Franz
Schubert ed lo Studio trascendentale n.10
di Franz Liszt. Fragorosi applausi al termine.
Un pianista che merita un accurato riascolto.
12 aprile
2018 Cesare Guzzardella
Un
memorabile Maxim Vengerov al Dal Verme per
Serate Musicali
Ci sono dei concerti che
assolutamente non andrebbero persi per la
qualità artistica espressa. Ieri sera abbiamo
assistito ad uno di questi al Teatro Dal Verme.
Organizzato da Serate Musicali, la
serata
prevedeva il duo violino-pianoforte formato da
Maxim Vengerov e Polina Osetinskaia. Hanno
espresso qualità di primo livello, con picchi
eccelsi in un programma
vario ed interessante sotto ogni profilo: da
Brahms con le sonate Op.78 e Op.108,
eseguite nella prima parte della serata, a Ravel
con la Sonata in Sol maggiore, quindi
Paganini con Cantabile in Re maggiore Op.17
e per finire Rossini/Kreisler con I
Palpiti Op.13. La corposità dello Stradivari
"Kreutzer" del 1727 di Vengerov si è subito
rivelata dalle prime note del Vivace ma non
troppo della Sonata in Sol maggiore
del grande amburghese. L'impasto sonoro ottenuto
dal violino col pianoforte, strumento
quest'ultimo rilevante in tutte le Sonate
brahmsiane con archetto , era perfettamente
delineato e unitario. Anche la posizione sul
palcoscenico scelta da Vangerov, molto vicina
alla Osetinskaya, dimostra come il solista
siberiano volesse creare un sorta di unità
timbrica evitando di mettersi in posizione
strategica - più vicina al pubblico- per far
risaltare le proprie
qualità
stilistiche. Evidenziamo le eccellenti qualità
tecnico-musicali della pianista moscovita che in
molti frangenti sottolinea con generosa tenue
presenza i momenti rilevanti della parte
violinistica. Anche nei frangenti più
affascinanti delle sonate brahmsiane, come nel
celebre Adagio della Sonata in Re
minore Op.108 o nei movimenti conclusivi,
un poco presto e con sentimento e il
Presto agitato finale -che con impeto
conclude la celebre Sonata- , l'equilibrio tra i
due strumentisti è risultato determinante per
l'eccellente resa complessiva. Nella seconda
parte de l
concerto, partendo dalla nota Sonata in Sol
di Maurice Ravel il ruolo del violino è
andato via via aumentando e soprattutto è
cambiato il clima dal punto di vista del
virtuosismo sempre più evidenziato. La moderna
sonata raveliana, che risente l'influenza
d'oltre oceano specie nel coinvolgente secondo
movimento denominato Blues.Moderato, è un
capolavoro per sintesi discorsiva e coloristica,
con momenti importanti anche per la rilevante
parte pianistica. Con il Cantabile in Re
maggiore di Paganini e con le splendide
variazioni sul tema "Di tanti palpiti"
tratte dall'opera Tancredi di G.Rossini, nella
formidabile trascrizione del
compositore-virtuoso Fritz Kreisler, sono emerse
tutte le peculiarità del Vengerov virtuoso. La
facilità discorsiva resa dal solista, pur nelle
incredibili difficoltà tecniche delle
composizioni affrontate, rendono di apparente
semplicità i brani, a dimostrazione della
grandezza interpretativa di questo artista
dell'archetto. Splendide le esecuzioni con
sopracuti ingenti di una chiarezza allarmante.
Successo evidente e fragorosi gli applausi al
termine del programma ufficiale e ben quattro
bis concessi dai generosi interpreti con due di
Fritz Kreisler, Caprice viennois e
Tambourin chinois, un Brahms con la Danza
ungherese n.2 e quindi una meravigliosa
Meditation dal Thais di Jules
Massenet . Memorabile.
11 aprile 2018 Cesare
Guzzardella
Fabio
Luisi e la Filarmonica della Scala nella
giornata della vittoria a Londra per gli
"International Opera Awards"
Anticipando quella che sarà
la sua direzione nella prossima opera scaligera
con Francesca da Rimini di
Zandonai, il direttore genovese Fabio Luisi ha
diretto ieri sera la Filarmonica della Scala
in
un programma sinfonico impegnativo che prevedeva
lavori di Webern, Schubert e Schönberg. La
Passacagli Op.1 del primo dei tre viennesi è
un brano del 1908 assai "evoluto" avendo
l'autore già composto numerosi lavori non
catalogati durante il suo ciclo di studi
musicali. Pur essendo la Passacaglia
essenzialmente tonale, si ravvisa già quello
spirito moderno e innovativo tipico della
Seconda Scuola di Vienna. I circa dieci
minuti di questo non facile brano sono stati ben
rilevati dall'ottima direzione di Luisi e dai
bravi strumentisti della corposa compagine
orchestrale. La Passacaglia ha anticipato la
salita sul palcoscenico del basso-baritono Luca
Pisaroni per l'esecuzione di ben sei Lieder di
Franz Schubert nelle ammirevoli orchestrazioni
per voce e orchestra di Brahms, Reger, Mottl e
Schmalcz. Il clima austero, triste e a volte
tormentato della Passacaglia iniziale era in in
perfetta continuità con i Lieder schubertiani e
l'interpretazione vocale è stata
qualitativamente in crescendo per Pisaroni che,
dopo un inizio leggermente incerto, ha trovato
la giusta e rilevante collocazione
nella valida direzione di Luisi.
Tra
i sei brani, al quale si aggiuge come bis il
settimo ancora orchestrato da Brahms, citiamo
almeno i più noti con Der Tod und das
Mädschen e il coinvolgente Erlkönig.
Dopo il breve intervallo l'esecuzione di
Pelléas und Melisande Op.5 di Arnold
Schönberg ha concluso la serata. Questo poema
sinfonico (1902-1903) venne eseguito per la
prima volta a Vienna nel 1905, diretto dallo
stesso Schönberg ed ottenne un buon successo per
un lavoro che all'epoca rappresentava certamente
musica di difficile ascolto. Nell'unico
movimento di oltre quaranta minuti , all'interno
del quale si riconoscono almeno quattro
andamenti, si evidenziano situazioni tematiche
ricche di suggestioni timbriche e armoniche,
rese ottimamente dalla profonda e accurata
direzione di Luisi. Bravissima la Filarmonica
scaligera, valida in ogni settore orchestrale.
Citiamo almeno i ragguardevoli interventi
solistici di Francesco De Angelis, spalla dei
violini con eccellente vibrato. Ricordiamo che
il concerto si è svolto nella stessa giornata in
cui a Londra si concludeva la cerimonia della
prestigiosa "International Opera Awards"
nella quale La Scala ha vinto nella categoria
"Opera Orchestra", un riconoscimento al
lavoro splendido di tutti gli orchestrali
scaligeri, del Direttore Musicale Riccardo
Chailly e naturalmente di tutti i direttori come
Luisi che si avvicendano nel dirigere gli
eccellenti strumentisti. Lunghissimi applausi al
termine.
10 aprile 2018 Cesare Guzzardella
Il
BEE Quartet a Novara
La bella chiesa gotica
novarese di S. Nazzaro alla Costa ha visto ieri
sera, sabato 7/04, la ripresa primaverile della
“Stagione degli affetti”, il titolo che la
Scuola civica musicale Brera, che ne è
l’organizzatrice, ha dato al ciclo di musica
antica e barocca che si svolge a Novara in
ottobre e ad aprile-maggio. Protagonista della
serata un quartetto dalla composizione piuttosto
originale: tre flauti traversi e un flauto
basso. Si chiama BEE
Quartet, è nato un anno
fa ed è a composizione
esclusivamente
femminile: le tre giovanissime Benedetta
Ballardini, Sofia Bevilacqua, Isabella Mancin ai
flauti traversi e Chiara Pavan al flauto basso
(il laconico programma di sala non fornisce
altre informazioni) Il repertorio del BEE
quartet consiste essenzialmente in arrangiamenti
di composizioni del periodo barocco, senza
escludere incursioni nel ‘500 o nel ‘700. Il
programma proposto, incorniciato da due
Ouverture mozartiane, ad apertura di concerto
quella da “Così fan tutte”, a chiusura quella
dalle “ Nozze di Figaro, proponeva brani di
Handel: una parte del Concerto grosso che
compare come interludio nell’Oratorio
Alexanderfest e la celeberrima aria del
“Rinaldo” “Lascia ch’io pianga”; di Telemann: un
Quartetto in sol maggiore, due minuetti in sol
maggiore e due bourrée in sol minore, di
Vivaldi: il singolare “Concerto alla rustica RV
151, brevissimo e di asciutta elaborazione
melodico-tematica, e una cinquecentesca pavana
di Anonimo francese del tardo ‘500, piacevole
nella sua solenne gravità, che aveva poco di
‘danzante’. Premesso che non ci è parsa molto
felice la scelta dei due brani mozartiani, poco
adatti ad arrangiamenti per questo tipo di
organico strumentale, che ne mortifica oltre i
limiti del tollerabile la ricchezza timbrica e
armonica, per il resto il concerto merita un
giudizio positivo: il timbro dei flauti, col
sostegno del flauto basso, riesce a ricreare, a
suo modo, il mondo sonoro tipicamente barocco,
fatto di timbri squillanti e di sottili
tenerezze elegiache, registri entrambi adatti al
particolare suono del flauto. A questo si
aggiunga la bravura ‘tecnica’ delle quattro
interpreti, che hanno dimostrato una sicura
padronanza del loro strumento, in particolare in
quei passaggi veloci dei contrappunti handeliani
dell’Alexanderfest, gestiti con ammirevole
disinvoltura, nella limpida chiarezza
dell’intreccio delle linee melodiche. Un plauso
particolare al primo flauto, Benedetta
Ballardini, dal suono intenso e potente, già
matura nelle scelte dinamiche e nello stacco dei
tempi, punto di riferimento essenziale per
l’intero quartetto. Pienamente meritato
l’applauso del purtroppo sparuto pubblico che
superava di poco la decina di presenti. E’ il
paradosso di Novara: molti studiano musica,
pochi l’ascoltano.
8 aprile 2018 Bruno Busca
Prossimamente a
Vercelli Sonig Tchakerian
Sabato
14 aprile 2018 alle ore 21 presso il Teatro
Civico in Via Monte di Pietà 15 a Vercelli la
violinista Sonig Tchakerian insieme
all'Orchestra Camerata Ducale terrà un concerto
con musiche di Bach denominato "L'eterno
presente"
8 aprile 2018 la redazione
Un riuscito Don
Pasquale al Teatro alla Scala
Don Pasquale, nuova
produzione del Teatro alla Scala in scena con
nove recite fino al 4 maggio, è tra le opere più
apprezzate di Gaetano Donizetti. Ieri sera,
nella seconda rappresentazione, il
successo
unanime tributato dal pubblico scaligero
testimonia l'efficace resa complessiva
dell'opera buffa, -con venature drammatiche- del
compositore bergamasco. L'oggettiva riuscita
di
questa messinscena
(foto
Brescia-Amisano a cura del Teatro alla
Scala) nasce da un grande lavoro di squadra.
Efficace la direzione musicale di Riccardo
Chailly, energico, dettagliato e attento alla
componente vocale sia nell'ottima
interpretazione complessiva del cast che nel
Coro preparato benissimo -come sempre- da Bruno
Casoni. Moderna, in un contesto tradizionale, la
regia -dal taglio cinematografico - di Davide
Livermore in compresenza per le scene -
ambientate negli anni '50 con tanto di auto
d'epoca, vespe, biciclette e riferimenti a set
cinematografici- con lo studio di designer,
scenografi e architetti denominato Giò Forma.
I
costumi appropriati di Gianluca Falaschi, le
luci perfette di Nicolas Bovey e le inserzioni
video a cura di Video Design D-Wok, completano
il tutto. Insomma un gioco di squadra che si
dimostra vincente in questa produzione lirica e
che continua una serie valida di
rappresentazioni della stagione 2017-18.
Ricordiamo i protagonisti, pochi e tutti
all'altezza: Ambrogio Maestri un Don Pasquale
con chiare timbriche, bravissimo anche
attorialmente; Rosa Feola, Norina, ha
voce significativa in ogni registro, eleganza
timbrica anche sicura e precisa; Renè Barbera è
un Ernesto con timbrica precisa,
abbastanza voluminosa e con eccellenti
colorature ed intonazione; Mattia Olivieri, il
Dottor Malatesta, riesce attorialmente a
riempire molto bene la scena ed ha voce corposa
e valida sotto ogni profilo; ed infine un plauso
anche ad Andrea Porta, il Notaro. Insomma
un cast decisamente di qualità che insieme al
resto, ha meritato i lunghi e fragorosi applausi
tributati al termine. Prossime repliche per
l'11-14-17-24-28 aprile e per il 4 maggio. Da
non perdere!!
7 aprile 2018 Cesare Guzzardella
Gloria Campaner e Natan Sinigaglia per la
Società del Quartetto
Una serata inconsueta quella
organizzata dalla Società del Quartetto.
Inconsueta anche per il
luogo,
il
Piccolo
Teatro Studio "Melato", e soprattutto per la
presenza insieme alla nota pianista veneziana
Gloria Campaner. del visual artist Natan
Sinigaglia. Insieme hanno inventato uno
spettacolo visivo-musicale particolarmente
interessante denominato Musiké - Concerto per
pianoforte e realtime graphics system.
Questa rappresentazione univa un programma
pianistico classico ad immagini proiettate su un
grande schermo pilotate elettronicamente, con
l'ausilio di sensori sensibili al movimento del
corpo, dal bravissimo Sinigaglia. Le timbriche e
ogni dettaglio dinamico della coinvolgente
interpretazione pianistica della Campaner
hanno
trovato perfetta sintonia con le immagini
geometriche definite da linee, punti, aggregati
di forme,ecc., in un tutt'uno dinamico che
veniva contestualmente inventato - previo un
valido software- dal visual artist
seguendo in modo preciso l'andamento musicale.
Le sinergie dei due interpreti hanno portato
alla particolare resa artistica che anche dal
punto di vista musicale ha espresso un livello
interpretativo valido. La Campaner eseguendo
Bach, Pärt, Skrjabin e Prokof'ev con un grancoda
Fazioni adattato per l'occasione all'intervento
computerizzato, si è immersa in un mondo di
immagini grafiche che ha - in senso positivo -
condizionato la parte espressivo-musicale
donando alle timbriche uno spessore di
profondità estetica notevole: come se la resa
musicale fosse determinata dalla sinergia del
duo. Decisamente intensi alcuni momenti, anche
nelle immagini prodotte, come quelli legati al
brano Für Alina del compositore estone
Alvo Pärt o alla splendida Toccata Op.11
di S. Prokof'ev e particolarmente valido Bach
sia nella Suite Inglese n.3 che nelle
trascrizioni di Siloti e Kempff. La continuità
delle esecuzioni ha reso unitario un lavoro
d'immagini che al termine ha trovato
l'apprezzamento del numeroso pubblico
intervenuto. Da ricordare.
6 aprile 2018 Cesare
Guzzardella
MARZO 2018
Grande
successo per Mahler 10,
Petite Mort e
Boléro al Teatro
alla Scala
Uno spettacolo relativamente
breve ma intenso quello proposto al Teatro alla
Scala in questi giorni. Mahler 10, Petite
Mort
e
Boléro, balletti rispettivamente costruiti
sulle musiche di Mahler, Mozart e Ravel,
rivelano come la forza della migliore musica
possa essere potenziata e raccontata dalla danza
in un tutt'uno che a questi livelli determina
autentici capolavori. Mahler 10 (foto
Archivio Scala) della coreografa
canadese Aszure Barton, in prima assoluta alla
Scala, è un balletto costruito sull'Adagio
dalla
Sinfonia
n.10 mahleriana che prevede la presenza di
otto ballerini protagonisti insieme al Corpo di
Ballo scaligero. La realizzazione classica dello
splendido lavoro segue attentamente la geniale
partitura di Mahler restituendo anche i soli
orchestrali mediante interventi, in solitaria o
in coppia, degli eccellenti ballerini tra i
quali citiamo almeno Antonino
Sutera e Virginia Coppi.
Petite Mort del coreografo Jiří
Kiliàn è costruito sull' Adagio e l'
Andante rispettivamente dei concerti K
488 e K 467 d i
Mozart, due capolavori assoluti del musicista
salisburghese che hanno trovato la parte
solistica splendidamente interpretata dal
pianista Takahiro Yoshikawa. La bellissima
versione danzante di
Kiliàn , già proposto in
Scala in un Gala des Etoile nel dicembre
del 2004 con i strepitosi Greta Hodgkinson e
Roberto Bolle, passa da iniziali situazioni
moderne con un'introduzione quasi silenziosa ad
un classicismo modernizzato dai statuari dodici
protagonisti
tra
i quali citiamo, nell'ottava rappresentazione di
ieri, almeno Stefania Ballone e
Daniele Lucchetti. Con lo strepitoso
Boléro di Ravel nella celebre versione di
Maurice Béjart si è arrivati al traguardo della
bellissima serata. Ricordiamo la data del 10
gennaio 1961 che rappresenta la prima francese
di questo capolavoro coreografico che troverà
decine e decine di rappresentazioni nel mondo.
La suggestiva musica
in
crescendo di Ravel ha trovato risposte nel
crescente desiderio degli uomini che circondano
la protagonista assoluta del "cerchio rosso".
Ieri nel nome di una bravissima Martina
Arduino
e degli altri eccellenti ballerini, la
sensualità dal capolavoro di Béjart è stata pari
alla strepitosa orchestrazione che Ravel ha
donato in questo grande Boléro. Non
dimentichiamo l'eccellente direzione di David
Coleman alla testa dell'Orchestra del Teatro
alla Scala. Applausi interminabili. Prossime
repliche previste per il 29-30 marzo e 5-7
aprile. Assolutamente da non perdere!
28 marzo 2018 Cesare
Guzzardella
Elisso Virsaladze
è tornata
alle Serate Musicali
Un pubblico di appassionati,
purtroppo in una sala non al completo, ha
accolto ieri sera nel Conservatorio milanese la
pianista georgiana Elisso Virsaladze. La nota
interprete, come ricordato
in
altre recensioni, appartiene ad una delle scuole
pianistiche più importanti del secondo
Novecento. Erede della migliore scuola russa,
quella che annovera tra i grandi interpreti come
i pianisti Richter e Gilels o la cellista
Gutman, è stata anche allieva di Heinrich
Neuhaus. Le aspettative degli appassionati,
quando ci si trova di
fronte
ai grandi, sono sempre alte, e la Virsaladze
certamente non ha deluso il pubblico eseguendo
brani di Chopin, Mozart e Schumann ai suoi
massimi livelli. La sua sicurezza espositiva si
è riscontrata dalle prime note della
Polacca-Fantasia in La bem. Maggiore
Op.61
di
Chopin e ha trovato efficace resa espressiva
anche nella celebre Sonata n.3 in Si minore
Op.58 eseguita con sorprendente discorsività
e con caratteristiche improvvisatorie. Dopo un
classico Mozart, quello del Rondò in La
minore K 511, chiaro e luminoso, la pianista
di Tblisi ha ancora una volta mostrato il suo
splendido tocco virtuosistico nel Carnaval
Op.9 di Robert Schumann. Nel musicista di
Zwickau la Virsaladze è perfettamente a suo
agio, con un'impronta stilistica riconoscibile
nel suo alto livello interpretativo. Nitidi i
piani sonori e di profonda valenza espressiva la
componente melodica. Tre i bis concessi con un
chiarissimo Bach per violino Bwv 1005
nella trascrizione pianistica di Saint-Saens e
due brevi ed eleganti valzer di Chopin: l'Op.69
n.1 e l'Op. 64 n.1 "Minute" dal
sapore estemporaneo. Fragorosi gli applausi al
termine.
27 marzo 2018 Cesare
Guzzardella
Stefan Milenkovich
e Giuseppe Grazioli per il celebre concerto di
Čaikovskij
Ieri pomeriggio abbiamo
assistito alla replica conclusiva del concerto
dell'Orchestra Sinfonica Verdi diretta
per l'occasione da Giuseppe Grazioli. In
programma musiche di Čaikovskij e di Kalinnikov.
Il
Concerto in Re maggiore Op.35 del
primo compositore
russo- brano
tra i più eseguiti al mondo - ha trovato
come violino solista Stefan Milenkovich,
virtuoso particolarmente presente nelle sale da
concerto milanesi dove ha eseguito in questi
anni altri capisaldi del repertorio
violinistico. Virtuoso raffinato e
di
gran classe, ha sostenuto con determinazione il
noto lavoro in tre movimenti trovando in
Grazioli il direttore ideale per scelte
interpretative. Il timbro luminoso e marcato del
suo fraseggio ottenuto con una cavata composta e
perfetta, è risultato eccellente anche nei
passaggi più ardui. La bellissima cadenza al
termine dell'Allegro moderato iniziale è
stata eccellente. Di grande equilibrio anche il
finale Allegro vivacissimo con pizzicati
e sopracuti voluminosi, cosa che non è da tutti.
Bellissime le timbriche della
Sinfonica
Verdi in ogni sezione e validi gli equilibri
timbrici cercati da Grazioli. Ben tre i bis
concessi dal simpatico solista che trova sempre
un motivo per integrare con parole scherzose i
brani solistici scelti.
Prima Recitativo e scherzo di Fritz
Klaisler, poi l'Allemanda dalla
Partita n.2 di Bach per terminare il
Capriccio n.24 di Paganini, quello delle
variazioni eseguite con estrema facilità ed in
modo eccellente dal virtuoso serbo. Dopo
l'intervallo una rarità di Kalinnikov quale la
Sinfonia n.1 in Sol minore è stata
interpretata splendidamente da Grazioli e dalla
compagine orchestrale milanese. Ricordiamo che
il russo Vasily Kalinnikov è vissuto nella
seconda metà dell'800 e ha composto due valide
sinfonie oltre a liriche e musica cameristica.
L'ispirazione folcloristica
lo accosta allo stesso
Čaikovskij, ma
anche a musicisti vissuti nello stesso periodo
come A. Dvorak. Bravissimo Grazioli nella sua
continua
ricerca di lavori poco noti come l'ottima
sinfonia ascoltata con un primo movimento
ricco di liriche e orchestrazioni
eccellenti.
Un lavoro di
grande impatto emotivo. Il numeroso pubblico
intervenuto ha certamente saputo apprezzare la
bellissima esecuzione. Da ricordare.
26
marzo 2018 Cesare Guzzardella
Il ritorno di Radu Lupu in Conservatorio per
la Società del Quartetto
Sono passati alcuni anni da
quando il pianista rumeno Radu Lupu è salito sul
palcoscenico di Sala Verdi in Conservatorio e
anche ieri sera il "tutto esaurito" registrato
al botteghino testimonia
l'interesse
che
questo
grande interprete desta al pubblico di
appassionati di musica pianistica. Ricordiamo le
sue vittorie in tre importanti concorsi
internazionali: il Van Cliburn nel 1966,
l’Enescu International nel 1967 ed il Concorso
di Leeds nel 1969. Da allora la sua carriera
concertistica è stata memorabile e ogn i
concerto risulta atteso come importante evento
da non perdere. In Italia ricevette nel 1989 il
prestigioso premio “Abbiati”, assegnato
dall’Associazione dei Critici italiani. Ieri il
programma previsto è stato un "tutto Schubert",
il musicista che più di ogni altro ha formato la
personalità di Lupu rendendone storiche le sue
interpretazioni dal vivo e su disco.
L'impaginato prevedeva i Sei Momenti musicali
op.94 D 780, la Sonata in La minore
op.143 D784 e la Sonata in La maggiore
D959. Avendo ascoltato Lupu più volte ed
avendo ancora in mente lo straordinario concerto
del maggio
2012,
sempre in Sala Verdi, nel quale oltre all'amato
Schubert (Improvvisi Op.142, Sonata D 845)
,
eseguiva
un'inarrivabile César Franck con il Preludio,
Corale e fuga, devo esprimere una certa
riserva sul concerto ascoltato ieri. La sua
gestualità, nascosta in
parte dal suo aspetto, corpulento e statuario,
viene compromessa da visibili incertezze che
fanno pensare a frequenti vuoti di memoria.
L'altissima cifra interpretativa ancora ben
rilevata in molti frangenti, è stata in parte
quindi disturbata da errori tecnici un tempo
impensabili nei passaggi armonicamente più
complessi. Per un artista che, come rilevato nel
2012, ha "il raro dono di penetrare e
ricreare la musica concentrandosi solo
sull'interpretazione", certi cedimenti
"strutturali" non sono cosa da poco. Evidenziamo
comunque tra i momenti del migliore Lupu di ieri
sera almeno i Sei Momenti musicali D 780 specie
il Moderato iniziale e il seguente
Andantino eseguiti con profonda
partecipazione emotiva e i movimenti centrali
della Sonata D959, l'Andantino- di
scultorea profondità espressiva- e lo Scherzo.
Valido il bis concesso con -sempre di Schubert-
l'Impromtus n.2 in La bem. Maggiore D 935.
Fragorosi applausi al termine.
24 marzo 2018 Cesare
Guzzardella
Pedroni e Franzetti al Teatro
Faraggiana di Novara concludono il
Festival Cantelli
Piuttosto inusuale la formula
della serata con cui, ieri sera Venerdì 23
marzo, al Teatro Faraggiana, si è conclusa la
trentasettesima stagione di musica sinfonica e
concertistica del novarese Festival Cantelli: un
impaginato monograficamente schumanniano, che
dell’infelice Maestro di Zwickau proponeva il
Concerto per violoncello e orchestra in La
minore op.129 e il Concerto per pianoforte e
orchestra in La minore op.54. Solisti e , in
alternanza, direttori il violoncellista Luca
Franzetti e il pianista ( novarese di nascita e
residenza) Simone Pedroni: i due si sono
alternati sul podio quando l’altro era impegnato
nella sua parte di solista, guidando l’Orchestra
Filarmonica
Italiana,
compagine di tutto rispetto, di cui si sente
parlare poco, ma che vanta ormai trent’anni di
intensa attività, nel nostro Paese e in giro per
il mondo. Era la prima volta che sentivamo
Franzetti, ma subito, quando, dopo il breve
inciso introduttivo dei fiati, sono echeggiati
sul suo violoncello gli arpeggi del primo tema,
è apparsa chiara una delle caratteristiche più
pregevoli del suo stile esecutivo: una grande
cantabilità, piegata sino ad esiti di estrema
dolcezza, che ovviamente si esalta in una
composizione, come questo concerto di Schumann,
che punta a sfruttare al massimo tutto l’ambito
cantabile del violoncello. Una cavata di grande
delicatezza e morbidezza di tocco, che rende
meno spigoloso del solito persino il tema
marziale del movimento conclusivo. Una scelta
interpretativa dunque, quella di Franzetti, che
ha puntato sul registro del grande canto
romantico, lirico e delicato, quasi un grande
Lied, la cui avvolgente musicalità calda e
vellutata del violoncello, ha stemperato anche i
momenti di maggior energia dinamica e agogica,
sciogliendo persino le numerose doppie corde
della cadenza in tempo del Finale in un flusso
di struggente lirismo. In questa scelta
interpretativa Franzetti ha trovato un appoggio
ideale nella bacchetta di Pedroni, che ha già
alle spalle una significativa esperienza
direttoriale, inaugurata nel 2015: Pedroni ha
alleggerito il volume sonoro dell’orchestra,
piegandolo ad una sonorità molto delicata, con
una timbrica di una levità talora sorprendente,
che ha raggiunto il suo apice nel secondo tempo,
ove il pizzicato di violini e viole e il
controcanto dei violoncelli avevano qualcosa di
etereo, con un effetto magico di misterioso
“notturno” carico di suggestione. Se il Pedroni
versione direttore ha colpito per la delicatezza
imposta all’orchestra, il Pedroni versione
pianista ha invece virato su un suono carico di
energia e di intensità espressiva, subito, anche
in questo caso, annunciata , dalla energica
serie di accordi puntati che aprono il concerto.
Questa energia di suono, che sa peraltro
piegarsi ad un registro di morbida cantabilità
nella sezione centrale del secondo movimento, è
sempre sostenuta da una estrema chiarezza del
fraseggio, splendido nell’ampia cadenza
obbligata, densamente contrappuntistica, che
apre il finale del primo tempo: qui l’intreccio
polifonico “bachiano” delle linee melodiche, nel
tocco di gran classe di Pedroni, si sdipanava
con cristallina evidenza. Apprezzabile la
direzione di Franzetti (anche lui non alla sua
prima esperienza sul podio), che ha
sapientemente integrato l’orchestra con il
solista, facendo suonare con chiarezza quasi
cameristica i legni e gli ottoni, con stacco
esatto dei tempi e valida gestione di timbri e
dinamiche. Una bella serata di musica, coronata
degnamente da un bel bis, il terzo tempo Andante
della sonata per violoncello e pianoforte in Sol
minore op.19 di S. Rachmaninov, pezzo di baule
di Franzetti e Pedroni, che da anni hanno dato
vita ad un duo: ottima esecuzione, ancora una
volta nella linea di un romanticismo lirico
espressivo, spinto ai limiti ove il suono
diventa sogno. Grandi applausi finali, da parte
di un pubblico che ha quasi riempito platea,
palchi e galleria.
24 marzo 2018 Bruno
Busca
Francesca Dego ai
Pomeriggi Musicali del Dal
Verme
Il concerto ascoltato ieri
sera al Dal Verme ha visto il direttore armeno
Karen Durgaryan alla testa
dell'Orchestra
de I Pomeriggi Musicali per un programma
diversificato che prevedeva brevi introduttivi
di tre compositori armeni quali Ghazaros Saryan,
Ruben Altunyan e Padre Komitas. La liricità del
delicato lavoro iniziale, Garmi di
Saryan, è

seguita dai folcloristici movimenti di Altunyan
con Berd Dance e di Komitas con
Vagharshapati Par. Nella parte centrale
della serata è salita sul palcoscenico
l'affermata violinista lecchese Francesco Dego
per il celebre Concerto in Mi minore Op.64
di F. Mendelsshon. Di grande qualità la resa
complessiva del brano. La parte solistica ha
trovato incisività di tocco con ottimo vibrato e
perfetta intonazione.
Ottima la sinergia del tocco
sicuro e determinato della Dego con la direzione
di Durgaryan e valide le timbriche in
ogni
sezione orchestrale. Abbiamo notato un maggior
spessore interpretativo da parte di una
violinista ancora giovane ma certamente tra le
migliori sulla scena italiana. Due i bis
concessi con un virtuosistico e profondo brano
di Eugéne Ysaye, Obsession dalla Sonata n.2,
e uno classico di J.S.Bach con la
Sarabanda in Re minore. Nella seconda parte
della serata i nove brevi brani, alcuni di essi
splendidi, che compongono il raro Pelléas et
Mélisande Op.46 di Jean Sibelius, sono stati
ottimamente eseguiti dall'orchestra, brava in
ogni settore. Lunghi applausi al termine.
23 marzo 2018 Cesare
Guzzardella
Il pianista Alessandro Marino alla
Società dei Concerti
Il concerto di ieri sera ha
visto sul palco di Sala Verdi in Conservatorio
il pianista Alessandro Marino con un impaginato
variegato nei brani, ma unitario nella scelta.
La componente virtuosistica
dei
lavori era evidente e Marino ha rivelato di
possedere una tecnica di primo livello per
rendere al meglio ogni composizione. Quello che
si evidenzia nelle sue decise interpretazioni è
la brillantezza delle timbriche estrapolate da
una ritmica audace, a volte percussiva, nella
coerenza delle dinamiche. L'ordine dei brani,
scelti in modo ragionato, ha alternato
compositori poco noti del secondo Ottocento
come
Joseph Joachim Raff con due Morceaux de Salon
Op.81 - Sicilienne e Tarantelle
da i verdiani Vespri siciliani- e Alfred Jaëll
con Parafrasi dal Lohengrin e Tannhauser
Op.35, a compositori ingiustamente poco
eseguiti come Louis Moreau Gottschalk-
Tournament Galoppo e Grande tarantelle-
e Charles-Valentin Alkan con i primi due
movimenti
( 20 anni, 30 anni Quasi Faust) dalla Grande
Sonata in Re magg. Op.33 "Les Quatre
Ages". Tra questi autori spiccano due
celebrità quali Beethoven e la sua
"Variazioni Eroica" Op.35 e Liszt con le tre
Rapsodie ungheresi ( n.17, 18, 19)
eseguite in modo unitario. L'unità stilistica
interpretativa di Marino é tipica dei pianisti
personali che ricercano in loro stessi e nella
loro creatività motivi funzionali a novità
d'esecuzione. Col suo programma spettacolare,
incentrato in compositori anche virtuosi del
pianoforte, è stato convincente per chiarezza
espositiva ed esplicazione energetica. L'apice
del bellissimo concerto è stato raggiunto nei
due movimenti di Alkan, anticipati da una breve
ma coinvolgente spiegazione. Qui ha dominato la
tastiera. Due i bis concessi con un suo brano-
coinvolgenti variazioni di un noto tema filmico-
per terminare
in un bellissimo Rachmaninov con il Momento
musicale n.4. Da ricordare a lungo.
22 marzo 2018 Cesare
Guzzardella
Sergey
e Lusine Khachatryan per
Serate Musicali
Il concerto ascoltato ieri
sera in Sala Verdi per Serate Musicali
ha evidenziato le alte qualità del duo armeno
Khachatryan, quello formato da Sergei al violino
e dalla sorella Lusine al pianoforte. Il
 virtuoso
dell'archetto viene da importanti vittorie in
concorsi internaziona li
di primo livello quali il Jean Sibelius di
Helsinki e il Queen Elisabeth di Bruxelles. Il
ricco programma della serata prevedeva tre
importanti brani di Mozart, Prokof'ev e Franck.
La prima qualità riscontrata nella splendida
esecuzione della Sonata in Si bem. Magg.
K.454 mozartiana, è l'esemplare equilibrio
timbrico tra i due strumentisti perfettamente
calibrati nelle dinamiche del brano esposto. La
perfezione tecnica del violinista, attento
ad ogni dettaglio, stupisce unitamente
alla curiosa ma perfetta gestualità. L'intensa
partecipazione
emotiva in ogni volumetrica sonorità l'abbiamo
poi riscontrata nella bellissima Sonata in
Re magg. Op.94bis del musicista russo: un
capolavoro di equilibrio tra neoclassicismo e
cubismo che necessita di modalità raffinate
e
ricche di energia come quelle dimostrate anche
dalla splendida pianista Lusine , chiara e
determinata come il fratello. Dopo l'intervallo,
un'originale interpretazione del capolavoro di
César Franck quale la
Sonata in La maggiore ha
concluso il programma ufficiale. Anche in questo
caso l'equilibrio delle parti e il coinvolgente
ritorno del tema principale, elemento
caratterizzante la forma ciclica, hanno esaltato
le qualità di una coppia di artisti che meritava
una Sala Verdi al completo. Due i bis concessi
con Notturno dell'armeno Eduard
Baghdasaryan e la celebre Danza delle spade
di Khachaturian. Da ricordare a lungo.
Ricordiamo il concerto di lunedì 26 marzo con la
celebre pianista ucraina Elisso
Virsaladze. Da non perdere.
20 marzo 2018 Cesare Guzzardella
Federico Colli diretto da John Neschling
all'Auditorium
Per ragioni personali ho
potuto assistere solo alla prima parte del bel
concerto della Sinfonica Verdi
diretta
per l'occasione da John Neschling che prevedeva
uno tra i più noti concerti per pianoforte ed
orchestra di Mozart, quello N.24 in Do minore
K.491 e dopo l'intervallo una rarità di
Ottorino Respighi quale la Sinfonia
drammatica.
Solista
nel concerto il pianista bresciano Federico
Colli, virtuoso ascoltato più volte in concerti
solistici. Il brano mozartiano, tra i pochi in
tonalità minore, è tra i più profondi
del salisburghese e in uno stile evoluto e
proiettato nel futuro,
lontano dallo stile galante settecentesco.
L'ottima direzione di Neschling ha permesso un
taglio espressivo vigoroso e
determinato,
apparentemente in contrasto con il pianismo
accurato e sottile di Colli, pianismo spesso
giocato su equilibri dinamici non facilmente
rilevabili in contesti di grandi sonorità come
quelle imposte dal brano. In realtà Colli è
pianista che abbisogna di un ascolto attento per
cogliere ogni raffinatezza discorsiva ed anche
il taglio più deciso e sicuro come quello
rilevato nell'Allegretto finale,
movimento impregnato di mirabili variazioni
pianistiche. L'esecuzione di Colli, in crescendo
per qualità, è stata complessivamente mirabile e
ben in sinergia con i bravissimi orchestrali
della Sinfonica Verdi. Splendidi i bis concessi
da Colli con una sua trascrizione della celebre
Aria dal Rinaldo di
Haendel, Lascia ch'io pianga,
eseguita con profonda intensa espressività e
quindi la Sonata K1 in Do minore
di Scarlatti di grande impatto discorsivo e
virtuosistico. Un pianista creativo per
un'ottima direzione. Da ricordare
19 marzo 2018 Cesare Guzzardella
Marco Rizzi ai
Pomeriggi del Dal Verme
diretto da Giordano Bellincampi
Avevamo ascoltato due anni or
sono il violinista Marco Rizzi in un concerto
importante, -l'Op.77 di Brahms- accompagnato
dall'Orchestra "I Pomeriggi musicali".
Ieri, nella replica di sabato,
ancora
al Dal Verme con l'ottima orchestra, Rizzi ha
sostenuto un concerto altrettanto rilevante,
quello in Re Maggiore Op.61 di
L.v.Beethoven. Un classico in tre movimenti, con
due rilevanti cadenze, che mette in risalto le
qualità di ogni grande interprete come il
violinista milanese. L'incisività della sua
cavata e l'ottima sinergia con la direzione del
bravissimo Giordano Bellincampi hanno reso
qualitativamente di alto livello l'esecuzione.
Un'interpretazione che eccelle per corposità
espressiva, dove il solista con il
suo Guarneri del 1743 rivela un'eleganza
raffinata ed incisiva in ogni registro.
Splendide le cadenze del primo e terzo movimento
e corretti gli equilibri dinamici scelti, in
sinergia con l'Orchestra de I Pomeriggi,
compagine strumentale che ancora una volta
dimostra ottime qualità. Questo è dimostrato
anche dalla valida esecuzione della Sinfonia
n.3 in La Minore "Scozzese" di F.
Mendelssohn eseguita dopo il breve intervallo.
Splendido il bis solisto di Rizzi con una
Gavotta di J.S. Bach estremamente fluida e
luminosa. Da ricordare a lungo. Ricordiamo il
concerto di giovedì e sabato prossimi con la
violinista Francesca Dego diretta da Karen
Durgaryan per il celebre concerto di
Mendelssohn. Da non perdere!
18 marzo 2018 Cesare
Guzzardella
Pavel Berman e
i 24 Capricci di Paganini
a Vercelli
Confessiamo che la parola
“evento”, usata e abusata di questi tempi per
indicare qualsiasi manifestazione cosiddetta
“culturale”, anche la più banale, ci piace poco.
Ma riteniamo non si possa definire diversamente
la serata musicale di ieri, sabato 17 marzo, al
Teatro Civico di Vercelli .Il nono concerto
della stagione del ViottiFestival proponeva
l’esecuzione integrale dei 24 Capricci di N.
Paganini ad opera di uno dei migliori violinisti
oggi attivi, il russo Pavel Berman, degno erede
della grande scuola violinistica
russo-sovietica, come anche testimonia
simbolicamente il suo splendido strumento, lo
Stradivari 1702 “Conte De Fontana”, già
appartenuto ad uno dei massimi esponenti di
quella tradizione, David Oistrakh. La
presentazione del programma di sala parla, a
proposito dell’esecuzione integrale dei Capricci
in un solo concerto, di “impresa titanica”: va
però precisato che, mentre i Titani della
mitologia greca, nella loro sfida agli dei
dell’Olimpo, uscirono
disastrosamente
sconfitti, Berman dall’impresa di ieri è uscito
trionfatore, accompagnato da una interminabile
serie di chiamate di un numerosissimo pubblico,
che si spellava le mani in entusiastici
applausi. E’ sin troppo evidente che chi sente
(e vede) Berman suonare i Capricci di Paganini
non può che ammirarne in primo luogo il
sovrumano dominio tecnico dello strumento,
imposto dalle infinite e terribili difficoltà
esecutive, che quando questo monumento al
violino fu composto, lo fecero ritenere
ineseguibile da altri che non fosse l’autore
stesso. Ma Berman (e qui sta la sua vera
grandezza) non è venuto a Vercelli per mostrare
quanto sia bravo, è venuto a proporre
un’interpretazione di uno dei capolavori
musicali di tutti i tempi: mai, nelle arcate,
nei gesti di Berman un minimo cenno di
ostentazione, di compiacimento per il puro
dettaglio virtuosistico. La stessa cavata del
violinista russo evita il suono troppo
brillante, appare sommessa, ripiegata in un
intimismo che rende unico il “suo” Paganini: Lo
si notava già subito, col primo Capriccio, in Mi
maggiore: qui la continua serie di colpi d’arco
rimbalzanti era come trattenuta entro i limiti
di un suono leggero e per nulla spettacolare,
sicché gli arpeggi ne uscivano lievi e quasi
esili, forse sorprendenti per chi ha ascoltato
esecuzioni più “sonore” come quella di un
Accardo. Ma proprio questo suono non esibito,
leggermente velato, di un calore non
trascinante, ma come estratto dalle misteriose
profondità di un silenzio siderale, è per noi la
fonte prima del fascino comunicatoci da Berman.
Ecco i “suoi” Capricci: non acrobazia tecnica o
esercizio arduo di diteggiatura, ma mondo sonoro
che si accende improvviso e danza ai confini del
nulla, recando in sé l’impronta della sua
fragilità, che l’abbagliante virtuosismo tenta
di esorcizzare, ma, nell’ispirata esecuzione di
Berman, non annulla. Per questo il Capriccio per
noi in assoluto più bello ascoltato ieri sera,
come una rivelazione, è stato il n.6 in sol
minore. Le esecuzioni più correnti e scontate di
questo gioiello in genere puntano sull’”effetto
mandolino”, dando al tremolio incessante dei due
suoni alternati sulla stessa corda il medesimo
peso sonoro conferito ai suoni lunghi della
melodia principale: Berman ha fatto di questo
Capriccio una cosa nuova, mai prima udita,
almeno dallo scrivente, se non, forse, in una
lontana interpretazione di Isaac Stern: ha
suonato la melodia principale quasi in sordina,
con una dolcezza e una delicatezza di vibrato
che, per dirla con Dante, “significar per verba
non si poria” , e appena incrinando questo
etereo paradiso sonoro con un tremolio che non
aveva più nulla di “mandolinesco”, ma pareva
piuttosto un leggero, malinconico singhiozzo. Al
termine (purtroppo!) di questa magistrale
esecuzione, seguita in religioso silenzio, il
pubblico non ha potuto trattenere un applauso
commosso e travolgente: tutti, almeno per pochi
minuti, abbiamo ‘sentito’ l’arcano potere
fascinatorio della musica. Inutile entrare in
ulteriori dettagli e scontato definire
memorabile la serata di ieri, suggellata nel bis
da un ieratico Bach. Vorremmo concludere questo
articolo con un “fuori tema”: tra i tanti motivi
che ci spingono con piacere ai concerti della
Camerata Ducale e del Viottifestival è anche la
lettura del programma di sala, opera di quel
valente musicologo e storico della musica che è
Attilio Piovano: in tempi in cui la nostra
lingua è costante oggetto di vilipendio, leggere
la prosa precisa, elegante e raffinata del prof.
Piovano conforta la mente e il cuore: il
sintagma “ialina luminosità” (riferito al
capriccio n. 11) è gemma così preziosa da poter
essere incastonata in una pagina di D’Annunzio.
Grazie, prof. Piovano!
18 marzo 2018 Bruno Busca
Il
giovane violinista Daniel Lozakovich ed il
pianista Alexander Romanovsky
per la Società del Quartetto
Il concerto cameristico
ascoltato ieri sera in Sala Verdi per la
Società del Quartetto ha messo in
rilievo
evidenti qualità del diciassettenne violinista
svedese Daniel Lozakovich. Insieme all'affermato
pianista
ucraino Alexander Romanovsky, hanno impaginato
un programma classico che prevedeva Mozart con
la Sonata in Si bem. Magg. K.378,
Schubert con la Fantasia in Do Magg. D.934
e Beethoven con la celebre Sonata in La
Magg. Op. 47 "A Kreutzer" . Le interpretazioni,
tutte di ottimo livello, hanno rivelato ancora
una volta le eccellenti qualità di Romanovsky,
un pianista ricco di colori, attento ad ogni
dettaglio e particolarmente in evidenza nei
numerosi frangenti dei tre brani in cui le note
in bianco e nero hanno un ruolo centrale.
L'ottimo fraseggio del violinista ha mostrato un
interprete determinato
che
con maggiore esperienza potrà certamente
raggiungere livelli ancora più alti. Un rapporto
volumetrico differente tra i due strumenti ha
messo maggiormente in risalto la parte
pianistica nei primi due brani, mentre nella
Kreutzer
Lozakovich è apparso maggiormente grintoso ed
incisivo e l'equilibrio tra i due strumenti di
maggior resa. Splendidi i due bis concessi di
Elgar, prima con Salut d'amour e poi con
La capricciosa . Le finezze coloristiche
del giovanissimo accompagnate da pochi accordi
pianistici qui si sono rivelate di alto spessore
interpretativo. Un duo da riascoltare certamente
in una prossima occasione.
14 marzo 2018 Cesare
Guzzardella
Gidon Kremer e la Kremerata Baltica alle
Serate Musicali
Puntuale il ritorno in
Conservatorio del violinista lettone Gidon
Kremer con la sua Kremerata per Serate
Musicali. Ieri sera il concerto ha trovato
un raro compositore polacco, naturalizzato
russo,
quale
Mieczysla w
Weinberg. In programma i 24 Preludi per
violoncello solo nella trascrizione
violinistica di Kremer. Oltre cinquanta minuti
di violino che ci hanno rivelato le qualità di
questo grande artista che divenne amico di
Shostakovich nei primi anni '40 e del quale si
sente certamente l'influsso. Il linguaggio di
Weinberg è comunque personale e
dimostra
uno spessore estetico ricercato e di grande
qualità. Kremer attraverso un'esemplare
interpretazione ha definito le rilevanti
conoscenze musicali di Weinberg in questa
notevole
trascrizione
di brevi preludi che,
nella resa, nulla hanno
ad invidiare a quelli originali per violoncello.
Tutte le peculiarità dello strumento ad arco e
le rispettive timbriche che emergono dalle dita
di Kremer sono precise e ricche di colori e
alcuni brani sono autentici capolavori di
scrittura musicale. Il concerto è proseguito con
otto solisti della Kremerata Baltica che hanno
eseguito il brillante Ottetto per archi in mi
bem.magg. Op.20 di F. Mendelssohn. Quattro
movimenti splendidamente organizzati ed eseguiti
nello stile del precoce e creativo compositore
tedesco. Lo Scherzo.Allegro leggierissimo
e il Presto finale sono un autentico
godimento armonico ricco di virtuosismo per i
quattro archi raddoppiati dove tutti gli
interpreti hanno mostrato di possedere qualità
di prim'ordine. Un
concerto diverso dal consueto ma decisamente
interessante. Da ricordare
13 marzo 2018 Cesare
Guzzardella
Franz Welser-Möst e
la Filarmonica della Scala
Ieri sera la Filarmonica
della Scala diretta dall'austriaco Franz
Welser-Möst ha interpretato Beethoven e
R.Strauss. In programma la Sinfonia n.1 in Do
maggiore op.21 del grande tedesco di Bonn e
la Simphonia domestica Op.53 del secondo
tedesco, di Monaco. L'interessante
impaginato
ha messo in rilievo tutte le qualità della
splendida compagine orchestrale scaligera che
quando è in mano a direttori quali Welser-Möst (
nella foto di Brescia-Amisano , Archivio Scala),
alza notevolmente il livello interpretativo. Il
viennese, nato a Linz nel
1960, è attualmente ancora direttore della
Cleveland Orchestra, compagine che celebra
quest'anno i cent'anni di vita. Ha certamente
eccellenti qualità in tutto il repertorio
tedesco-austriaco, specie quello della prima
metà della '900. Dopo un'ottima esecuzione della
Prima Sinfonia di Beethoven, lavoro che risente
ancora l'influenza del classicismo di Haydn e di
Mozart ma che incontra già la forza propulsiva
del genio con due freschi e mirabili Scherzo
e Allegro con brio, Welser-Möst ha
proposto,in oltre quaranta minuti, la rara ma
esaustiva Simphonia domestica del grande
monacense.
I
cinque movimenti sono raccolti in un'unica
sequenza discorsiva che fa essere il lavoro come
un ampio poema sinfonico tipico
dello stile straussiano, poema che oltre
alle intenzioni narrative raccontate nelle
contrastanti sequenze musicali, esprime qualità
estetiche poetiche di alto valore. Il brano del
1903 è, come altri simili di Richard Strauss, un
esempio di virtuosismo orchestrale che nasce
dalla lunga esperienze direttiva di Strauss e
che per una resa efficace abbisogna di orchestre
e direttori di alto livello. Certamente è quello
che abbiamo trovato nello splendido concerto del
Teatro alla Scala. Fragorosi applausi al termine
sia al direttore, che alle sezioni orchestrali
ed ai singoli strumentisti, bravissimi nei
numerosi interventi solistici. Da ricordare a
lungo.
10 marzo 2018 Cesare
Guzzardella
Andris Poga e Davide
Cabassi con I Pomeriggi
musicali per R.Strauss e
Beethoven
L'Orchestra de I Pomeriggi
Musicali ieri sera è stata diretta da Andris
Poga per un programma differenziato che
prevedeva nella prima parte il brano per archi
Metamorphosen di Richard
Strauss
per poi passare a qualcosa di molto differente
con il Concerto n.3 in do minore per
pianoforte e orch. Op.37 di L.v. Beethoven.
Un contrasto eccessivo soprattutto in termine
d'impatto stilistico tra un mondo, quello
straussiano proveniente dal tardo romanticismo e
arrivato al modernismo decadente in pieno '900
-il brano è del 1945- e l '800 beethoveniano
proveniente dal '700 mozartiano. Ottima
l'interpretazione del poema del
monacense, giocata
sull'ampia articolazione delle sezioni degli
archi e sui continui scambi solistici dei bravi
orchestrali che con slancio espressivo hanno
portato a termine l'originale e forse unico, nel
genere, lavoro musicale.
Dopo
il breve intervallo è salito sul palcoscenico
del Dal Verme il noto pianista milanese Davide
Cabassi per l'interpretazione beethoveniana.
Cabassi viene da una recente ricerca nel
repertorio del musicista tedesco attraverso
l'esecuzione e la realizzazione discografica di
numerose sonate. L'interpretazione pianistica
con gli orchestrali de I Pomeriggi ha
trovato una ricerca timbrica robusta e netta
piuttosto che delicata e fluida. Ottima
l'interpretazione anche se si sono intraviste
incertezze non rilevanti nell'esplicazione
complessiva del lavoro. Insomma le ottime
intenzioni in beethoven- con ottima resa-
riscontrate nei precedenti concerti, sono emerse
parzialmente ieri sera anche se l'idea
interpretativa di Cabassi del suo Beethoven è
certamente valida. Inusuale il bis solistico
concesso con il secondo movimento della
Sonata Op.27 n.2 "Al chiaro di luna" , un
Allegretto che ha funzione transitoria nel
contesto della celebre sonata. Ripetuti applausi
al termine.
9 marzo 2018 Cesare
Guzzardella
Yuri
Bashmet e I Solisti
di Mosca alle
Serate Musicali
Ventisei anni or
sono il russo Yuri Bashmet, violista e
direttore d'orchestra, fondava una formazione
cameristica, I Solisti di Mosca, che
impegnava strumentisti di elevato rango
interpretativo. Da allora questa sorprendente
compagine di virtuosi ha tenuto migliaia di
concerti in tutto il mondo.
Attualmente
è una delle poche formazioni musicali che, con
risultati eccellenti, copre un repertorio che
spazia dalla musica antica a quella
contemporanea. Da alcuni anni la formazione
cameristica e il suo direttore/ violista vengono
a Serate Musicali. Nel bellissimo
concerto organizzato ieri sera abbiamo ascoltato
brani classici di Mozart, Bruch, Prokof'ev e
Čaikovskij. Sono
mancati i riferimenti moderni delle serate
passate, ma la qualità estetica della
nota formazione è rimasta pressoché invariata e
sempre di alto livello espressivo. Come già
detto in passato, stupisce la qualità
superlativa del gruppo d’archi per nitore
timbrico sia individuale che complessivo.
Bashmet con la sua dolce viola costruita dal
liutaio milanese Paolo Testore nel 1758, ha un
ruolo centrale nelle esecuzioni proposte ma
quello che rimane maggiormente impresso è
l’efficacia sonora di ogni dettaglio coloristico
d’insieme che fa sembrare l’orchestra d’archi un
unico strumento con timbriche diversificate
nelle precise dinamiche e con facile
individuazione dei differenti piani sonori. Tra
i brani eseguiti spicca certamente la
trascrizione per viola ed archi di Kol
Nidrei, Adagio su melodie ebraiche
Op.47, nella quale la dolcezza
dell'espressivo strumento è emersa
con
rilevante qualità. Questa ha seguito un altro
raro brano di Bruch quale la Romanza in Fa
maggiore per viola e orchestra. Ricordiamo
anche alcuni brevi brani tratti da Visions
fugitives op.22 di Sergej Prokof'ev nella
trascrizione di Rudolf Barshai. Interventi
raffinati delle sezioni degli archi hanno ben
reso la musicalità molto geometrica del primo
russo eseguito. Bellissima poi l'esecuzione
della celeberrima Serenata in do maggiore per
archi Op.48 di P.I
Čaikovskij.
È un capolavoro di lirica la Serenata, celebre
soprattutto per il Valzer
che è stato eseguito in modo eccellente.
Solo un breve bis concesso con il finale della
mozartiana Piccola serenata notturna in
perfetta sintonia con il godibile
Divertimento n.1 iniziale con il
suo fantastico Presto,sempre
del grande salisburghese. Da ricordare.
6 marzo 2018 Cesare Guzzardella
I pianeti di Gustav
Holst tra musica e astronomia allo
SpazioTeatro 89
Ottima è stata l'idea di Luca
Schieppati, pianista e organizzatore musicale,
di presentare un'interessante versione per due
pianoforti della celebre Suite Op.32 "The
planets" di Gustav
Holst
unitamente ad un illuminato intervento del
professor Giuseppe Gavazzi, docente di
Astrofisica all'Università Milano-Bicocca. La
versione pianistica dello stesso Holst data
1916, quando non era stato ancora scoperto il
più recente Plutone, pianetino da qualche anno
non più considerato tale, come ricordato dal
professore Gavazzi.
La
Suite in sette parti, partendo da Mars, the
Bringer of War, è stata eseguita ottimamente
dalla pianista giapponese Aki Kurida e da Luca
Schieppati, in alternanza con i validi
interventi di Gavazzi il quale ha evidenziato
l'importanza e la storia dei pianeti tanto cara
anche ad Holst, musicista
che
nutriva un particolare interesse per gli astri.
Il pomeriggio pluridisciplinare è piaciuto molto
al numeroso pubblico intervenuto e il successo
riportato è di auspicio per futuri incontri che
uniscono la musica ad altri ambiti. Per il 18
marzo, ancora allo SpazioTeatro 89 è già
previsto un incontro nel quale verrà proiettato
un raro ma sicuramente interessante film muto
sulla Comune di Parigi " Novyy Babylon"
accompagnato
dalle musiche di
Šostakovič interpretate
dal Soul Takers ensemble. Introduzione a
cura di Giorgio Uberti. Da non perdere.
5 marzo 2018
Cesare Guzzardella
Grande
successo per L'Orphée et
Euridice alla Scala
La versione francese della
più celebre opera di Christoph Willibald Gluck,
Orphée et Euridice, è approdata alla
Scala dopo i successi inglesi ottenuti nel 2015
al Covent Garden. Ieri, nella terza
rappresentazione scaligera, il teatro al
completo ha esternato un consenso pressoché
unanime a tutti i protagonisti della messinscena
con un tripudio di elogi e applausi per Juan
Diego Flórez, il
protagonista
assoluto dello spettacolo. Si, perché è
spettacolore la seconda versione dell'Orfeo su
libretto di Pierre-Louis Moline
tratto da quello di Ranieri de'
Calzabigi. È una versione più appariscente che
introduce una quantità forse eccessiva di
balletti, molti a conclusione del lavoro. Non
per niente uno dei due registi, Hofesh Shechter,
è anche il coreografo. L'altro ottimo regista è
John Fulljames. Precisiamo: la messinscena, pur
presentando un certo squilibrio, in termini
quantitativi, tra la rappresentazione danzante e
il resto, è senz'ombra di dubbio di grande
qualità e rimane per il momento tra le cose
migliori viste quest'anno alla Scala. Punto di
forza è la diversa e spettacolare distribuzione
scenica con l'ampia orchestra cameristica
localizzata nel centro della scena, con inusuali
e riusciti movimenti in verticale di tutti gli
orchestrali. I tre protagonisti vocali -
l'eccellente sotto ogni profilo Flòrez,
Orphée, e gli ottimi e più, Christiane Karg,
Euridice e Fatma Said, L'Amour - (
immagini di Brescia-Amisano, Archivio Scala) si
muovono davanti, all'interno e dietro
l'orchestra con disinvoltura in un complesso
di
cambi di posizione che riguarda anche il
perfetto Coro preparato da Bruno Casoni e i
moderni ballerini della compagnia di danza
Hofesh Shechter Company. Solo per la
dinamicità della messinscena - le scene e i
costumi sono di Conor Murphy e le luci di Lee
Curran ( riprese da A. Giretti)- l'opera è
motivo di grande interesse e deve essere
assolutamente vista. In perfetta sintonia con il
resto è l'ottima direzione di Michele Mariotti
che con la sua energica ma anche sottile
bacchetta privilegia un indirizzo musicale
proiettato maggiormente verso il moderno
piuttosto che l'antico. Unità stilistica
coerente con qualche movenza danzante eccessiva.
Da non perdere le prossime repliche previste per
il 6,11,14,17 marzo.
4 marzo 2018 Cesare
Guzzardella
Alla Scale il
balletto sulle Variazioni
Goldberg di Bach
Uno spettacolo di qualità
quello visto al Teatro alla Scala ieri sera. Le
celebri Goldberg Variationen di J.S.Bach
-32 brani di cui un Aria, 30 variazioni e la
ripresa dall'Aria - sono state coreografate
dallo svizzero Heinz Spoerli ed eseguite
splendidamente al pianoforte da Alexey Botvinov.
Il balletto, costruito sulle solide e
diversificate architetture musicali bachiane
(foto di
Brescia
- Amisano- Archivio Scala)
), ha trovato una rappresentazione
scenica in perfetta simbiosi con l'evento
sonoro. Spoerli è stato certamente bravo a
ideare questo progetto coreutico che non vuole
essere un complemento alla geniale musica del
Sommo Bach, ma un potenziamento, così ci è
apparso, della musica. La danza,
pluridisciplina
fatta
di
geometrie piane e tridimensionali che scorrono
nel tempo come la musica, trova in Bach il
compositore ideale, un genio assoluto che non
solo rappresenta suoni ma anche geometrie ed
architetture. Ogni brano, l'Aria e le celebri
Variazioni, ha trovato, singoli, coppie, gruppi
di ballerini in delicata e perfetta forma e
sintonia. I personaggi, nell'intenzione di
Spoerli, si cercano, s'incontrano, si lasciano
secondo situazioni di vita diverse ma sempre
reali. Momenti importanti delle vicende si
trovano nei più meditati movimenti musicali.
Attraverso le movenze dei protagonisti sono
emerse anche nuove
peculiarità
della musica del Sommo tedesco. Un'azione
creativa totale che grazie ai formidabili
ballerini del Corpo di ballo scaligero e grazie
all'eccellente pianista Botvinov, in perfetta
sincronia con i danzanti nella sua fluida e
chiarissima interpretazione, merita di rimanere
nella storia del balletto. Ricordiamo almeno i
principali ballerini che hanno dominato il
palcoscenico: Covello, Manni, Sutera, Agostini,
Albano, Podini, Toppi, Valerio, Andrijashenko,
Arduino, Del Freo, Lepera, Lunadei, Starace,
tutti bravissimi. Ottime le scene e i costumi di
Keso Dekker e le luci di Martin Gebhardt. Da non
perdere le repliche previste per il 21 e il 22
marzo
3 marzo 2018 Cesare Guzzardella
Il Quartetto
Borodin e Alexei Volodin per la
Società dei Concerti
Il concerto ascoltato ieri
sera in Sala Verdi per la Società dei
Concerti ha visto la partecipazione di
solisti russi per interpretare musicisti russi:
il Quartetto Borodin e Alexei Volodin
hanno infatti
interpretato
musiche di
Šostakovič e Prokof'ev. La tradizione
settantennale del Borodin, ora formato da Ruben
Aharonian e Sergei Lomovski ai violini, Igor
Naidin alla viola e Vladimir Balshin al
violoncello, ha evidenziato il primo Šostakovič
proposto con il Quartetto n.1 in Do maggiore
Op.49, breve composizione in quattro
movimenti che riassume in maniera completa il
particolare stile del compositore russo.
Il
perfetto equilibrio dei quattro archi ha
espresso una splendida
interpretazione.
Con un nuovo posizionamento del pianoforte
è entrato in scena Alexei Volodin per la
bellissima versione pianistica-Op.75 in
dieci brani- delle più celebri Suites
orchestrali di Romeo e Giulietta. Di
grande rilevanza l'interpretazione del pianista
russo che ha messo in risalto, con valenza
orchestrale,
ogni
dettaglio delle note tratte da celebre balletto.
La chiarezza espositiva delle melodie
evidenziate nei differenti piani sonori, ha
permesso un'esecuzione particolarmente riuscita.
Dopo il breve intervallo Volodin si è unito al
Quartetto per un'avvincente interpretazione del
Quintetto in Sol minore Op.57 di
Šostakovič, un
lavoro imponente in cinque parti ancora una
volta rilevante per la cifra esecutiva e per la
pregnante espressività che evidenzia ogni
particolarità del linguaggio del più giovane tra
i due grandi compositori russi. Grande successo
da parte del pubblico insolitamente non numeroso,
probabilmente per via del grande freddo di
questi giorni. Bellissimo il bis con la
ripetizione dello Scherzo del Quintetto.
Da ricordare a lungo
1 marzo 2018
Cesare Guzzardella
FEBBRAIO 2018
Il ritorno di
Joshua Bell in Conservatorio
Il violinista americano
Joshua Bell è tornato ad esibirsi, per la prima
volta per ĺa
Società dei
Quartetto
e dopo circa 35 anni di assenza in Sala
Verdi, accompagnato dal pianista Sam Haywood. In
programma la Sonata in Si bemolle maggiore
K.454 di W.A.Mozart, la Sonata in Mi
bemolle maggiore op. 18 di R. Strauss e la
Sonata n. 1 in La maggiore op. 13 di G.
Fauré. È certamente tra i migliori virtuosi
presenti sulla scena mondiale il cinquantenne
Bell.
Ha
introdotto la serata con un classicissimo Mozart
definito con perfetto
equilibrio formale ed eccellente espressività
coadiuvato anche dall'ottimo pianista. In netto
contrasto con la sonata mozartiana, è stata l'
Op.18 di Strauss,un lavoro tardo-romantico che
pur risentendo dell'influenza brahmsiana si
proietta nel futuro con frangenti più moderni e
più
vicini al '900. Ottima la resa espressiva nel
preciso ed intenso violino di Bell. Dopo il
breve intervallo la Sonata Op.13 del francese ha
trovato una resa ancora valida sia per
equilibrio tra i due strumenti che per
espressività. I brani "a sorpresa" previsti
fuori dal programma ufficiale hanno dato un
ulteriore slancio qualitativo essendo stati, dal
punto di vista della scioltezza discorsiva e
della resa artistica, i migliori del concerto:
la Danza ungherese n.1 di J. Brahms e la
Polonaise de concert no. 1 in D major, op. 4
di H. Weniawskij, entrambe eseguite con
impeto e sicurezza dai due strumentisti. Da
ricordare.
28 febbraio 2018 Cesare
Guzzardella
Giovanni
Sollima e I Solisti aquilani
per
Serate Musicali
Il concerto di ieri sera con
il violoncellista-compositore palermitano
Giovanni Sollima e I Solisti aquilani ha
messo in risalto, nell'interessante impaginato,
le capacità interpretative orientate alla
creatività di questo virtuoso. Sollima tende a
personalizzare ogni brano secondo un indirizzo
di
modernizzazione
dell'elemento sonoro facendo emergere contenuti
che rivalutano e attualizzano anche i brani di
più antica produzione. Questo è dovuto alla
formazione stessa del musicista che prima di
essere un eccellente virtuoso è soprattutto un
ottimo compositore. La sua formazione completa
prende in considerazione la produzione musicale
più lontana nel tempo, quella dei secoli più
vicini e la contemporaneità, rock e jazz
compresi. Il concerto, alla memoria del suo
maestro Antonio Janigro, prevedeva brani di
Vivaldi, Donizetti, Bach, Boccherini e Sollima
stesso. Dopo la splendida resa del Concerto
per violoncello, archi e
continuo RV420
del compositore veneziano, un ruolo rilevante è
stato quello di Daniele Orlando, violino di
spalla dell'ottima formazione cameristica. Il
raro Concerto per violino, violoncello e
archi di Donizetti, brano di intensa valenza
melodica, è stato reso molto bene nel concertato
dei due solisti. Il brano bachiano successivo,
il Concerto Brandeburghese n.3, ha messo
in risalto le qualità di tutti i componenti
dell'orchestra attraverso i numerosi interventi
solistici. Rilevante anche Boccherini con il
Concerto n.3 in Sol maggiore dove ancora una
volta Sollima ha evidenziato la sua cifra
stilistica molto italiana. Il programma
ufficiale è terminato con il brano
"L.B.
files" per violonceĺlo,
archi e sampler,
di Sollima stesso, lavoro strutturato nei
classici tre movimenti nel quale ruolo
importante
assume la caratter istica
gestualità
del cellista giocata
tra
movimenti in piedi sul palcoscenico e mimica,
soprattutto facciale. Musicalmente di valida
presa il brano, già
particolarmente diffuso e conosciuto, riassume
le caratteristiche peculiari del personale
linguaggio di Sollima orientate ai sapori del
settecento, con timbriche mediterranee molto
contrastate e momenti importanti di profonda
melodicità, come quella della deliziosa parte
centrale . Ottima l'esecuzione della formazione
d'archi diretta sempre dal maestro siciliano.
Decisamente interessanti i tre bis
concessi ad un pubblico numeroso ed entusiasta:
prima una celebre Aria dal rossiniano Guglielmo
Tell, in una trascrizione per cello ed archi,
quindi un capolavoro melodico in una
trascrizione dell'Hallelujah di Leonard
Cohen e al termine un
arrangiamento nello stile tipico di Sollima di
un noto brano rock. Da ricordare a lungo!
27 febbraio 2018 Cesare Guzzardella
La
Terza Sinfonia
di Mahler diretta da Riccardo Chailly
alla Scala
L'ascolto delle Sinfonie di
Gustav Mahler è quanto di più vario e complesso
ci possa
essere nel panorama della musica
sinfonica. La quantità di timbriche strumentali
, spesso anche vocali, che le grandi orchestre
mahleriane hanno, sono state riordinate spesso
con evidenti differenze dai più
prestigiosi
direttori d'orchestra. Quello italiano che in
passato ha esaltato maggiormente i capolavori di
Mahler è stato certamente Claudio Abbado,
direttore milanese di cui un altro milanese di
esattamente vent'anni più giovane, Riccardo
Chailly , ebbe la fortuna di esserne
l'assistente. Chailly ha ereditato da Abbado la
passione per la musica del celebre compositore
austriaco e nelle sue esecuzioni si nota la
medesima visione unitaria espressa con
altrettanto efficace resa stilistica. Ieri sera,
nella replica ascoltata dell'immensa Terza
Sinfonia abbiamo trovato particolarmente in
forma sia l'Orchestra della Scala che il Coro
femminile preparato da Bruno Casoni ed il Coro
di Voci bianche. La preponderanza della
componente strumentale risulta evidente ma le
parti vocali nel quarto e quinto tempo
completano e potenziano il celebre
lavoro.
La forza coloristica e la ricchezza di contrasti
del lunghissimo movimento iniziale, quasi
quaranta minuti introduttivi, ha segnato
profondamente la direzione di Chailly. Le
qualità timbriche di ogni sezione orchestrale
sono emerse in modo stravolgente e con
chiarissima resa in questo Sogno di un
mezzogiorno d'estate, movimento musicale che
alla sua conclusione pare già un lavoro
compiuto, tant'è che Mahler prevedeva una breve
pausa dai rimanenti cinque movimenti. Validi il
secondo e il terzo tempo. Il Canto della
mezzanotte, quarto tempo della sinfonia, ha
visto l'intervento della calda ed intensa voce
solista del contralto Gerhild Romberger. Poche
note chiare e determinanti sottolineate molto
bene dai colori orchestrali. Valido sotto ogni
profilo la parte corale del quinto tempo con
quei celebri Bimm-bamm delle voci bianche che
imitano le campane introduttive. L'intenso e
meditato Adagio del sesto tempo
ha portato a conclusione
un monumentale lavoro, tra quelli più completi
della produzione strumentale di sempre.
Ricordiamo l'ultima replica prevista per domani
27 febbraio. Da ricordare.
26 febbraio 2018 Cesare Guzzardella
"Le Violon Noir"
e la Camerata Ducale a Vercelli
Nel venticinquesimo
anniversario della nascita della Camerata Ducale
che si celebra quest’anno, non poteva mancare un
omaggio a quello splendido strumento musicale
che ne è in un certo senso il simbolo, quasi il
centro motore intorno al quale ruota gran parte
della vita dell’orchestra torinese, ma da
vent’anni in residence a Vercelli: parliamo
dello Stradivarius Leclair, così chiamato perché
appartenuto al grande violinista francese della
metà ’700, ma più noto come “ Le Violon Noir “,
perché reca ancora indelebili e sinistri sulla
cassa i segni scuri delle dita ormai in
decomposizione del povero Leclair, morto
assassinato a coltellate, non si seppe mai né da
chi né perché e il cui cadavere
fu
trovato circa due mesi dopo la morte, con il
violino stretto tra le mani, quasi a volersi
portare anche nell’aldilà lo strumento dell’arte
cui aveva consacrato la vita. Su questo “giallo”
della storia della musica e sul violino che ne
fu involontario protagonista è stato
recentemente pubblicato un libro, un romanzo,
appunto, giallo, di Gabriele Formenti “Il
violino noir” Bibliotheka edizioni, presentato
durante l’intervallo del concerto di ieri sera.
Da anni il Noir appartiene a Guido Rimonda,
fondatore e direttore musicale della Camerata
Ducale, che “Le Violon Noir” ha intitolato anche
una serie di cd incisi con la Decca, molto
graditi al pubblico dei musicofili. Appunto al
“noir” era dedicato il concerto di ieri sera,
sabato 24/02, al Teatro Civico di Vercelli, ove
è stato proposto al pubblico un programma
piuttosto ampio, che aveva come filo conduttore
il tema del ‘mistero nella musica’, ovvero una
scelta di composizioni in cui il suono, il
fraseggio, il ritmo evocano nell’ascoltatore
atmosfere arcane e inquietanti. E’ un programma
che la Ducale sta presentando in questo periodo
in giro per l’Italia e l’Europa e che si apre
con la versione per violino e orchestra della
“Danza degli spiriti beati dall’”Orphée et
Eurydice” di Gluck (l’originale è notoriamente
per flauto) e si chiude con il tema con
variazioni “Le streghe” op. 8 di N. Paganini.
Ogni brano è stato presentato brevemente da
Rimonda, con accattivante capacità affabulatoria
e precisione informativa. Il suono, davvero
meraviglioso, di calda luminosità e colore
chiaro e pastoso, vero capolavoro del grande
maestro liutaio di Cremona, echeggia subito
misterioso appena si fa buio in sala, avanzando
invisibile
“a passi tardi e lenti” dalle tenebre della
platea verso il palcoscenico, subito dopo
l’introduzione dell’orchestra alla Danza degli
spiriti beati: ma a fugare ogni traccia di
demoniaco arcano, il suono dolcissimo del noir
sembra davvero scendere dall’alto come “la voce
di un angelo”, secondo la definizione che ne
diede un grande contemporaneo di Leclair, il
violinista torinese G. B. Somis: Rimonda è poi
bravissimo a esprimere quell’aura di ombrosa
malinconia che avvolge la delicatissima
fioritura delle note, lontano presagio di certi
Notturni chopiniani. Una sapienza esecutiva,
quella di Rimonda, suggellata, se mai ce ne
fosse stato bisogno, dall’esecuzione finale
delle “Streghe” (in una versione con
accompagnamento orchestrale composto dallo
stesso Rimonda) dove il Maestro ha sfoggiato
tutta la sua perfetta padronanza tecnica dello
strumento, soprattutto nella seconda e nella
terza variazione, con i rapidi movimenti d’arco,
dai prodigiosi balzati, il pizzicato e gli
armonici artificiali, oltre a sovracuti
trascendentali, insomma tutte le risorse del
linguaggio dei suoni atte a dare un’impressione
di bizzarria e stravaganza con le quattro corde,
che solo un solista della qualità di Rimonda può
suonare con la calma con cui berrebbe una
tazzina di caffè.. Ovviamente di alto livello
anche l’esecuzione degli altri numeri impaginati
a programma: l’inevitabile “Trillo del diavolo”
di Tartini, nella bella e rara versione per
violino e orchestra di R. Zandonai, che farebbe
storcere il naso ai cultori delle esecuzioni
‘filologicamente informate’ di moda oggi, ma
indubbiamente suggestiva nell’insinuare un clima
di sottile e inquietante mistero, coll’impiego
del pianoforte, di timpani, dal suono ‘in
sordina’, del triangolo, a creare qualcosa di
simile a una bartokiana “musica della notte”
intorno ai passaggi virtuosistici del violino. A
seguire, la rara chicca della “Separation”
op.109 n.1 per violino solo dell’ottocentesco
belga Ch-A. de Beriot, di cui è apprezzabile
soprattutto l’iniziale Largo, una musica dal
suono spoglio e desolato, che suonata dal Noir
di Rimonda, sembrava provenire da qualche remota
regione di un inquietante ‘altrove’; il Tema con
variazioni in Do maggiore per violino e
orchestra di G. B. Viotti, che di misterioso e
demoniaco non ha proprio nulla, ma che, oltre a
essere un doveroso omaggio al compositore di cui
Rimonda è oggi il più autorevole studioso e
interprete, impegnato nella registrazione
dell’opera omnia per violino per la Decca,
presenta anche la curiosa particolarità di avere
come tema (la composizione è del 1781) quello
che nel 1792 Rouget de l’Isle sfruttò come tema
della Marsigliese, raccontando (il bugiardone!)
di averlo inventato lui per folgorante
ispirazione…Per il resto, non è certo uno dei
capolavori del grande violinista vercellese: le
variazioni sono piuttosto banali, al di là della
loro difficoltà tecnica, ancora legate all’idea
settecentesca della variazione come fioritura
decorativa del tema. Beethoven è ancora lontano
a distanze siderali. Bella musica, di squisita
impronta romantica è invece la celebre”
Leggenda” in sol minore op.17 per violino e
orchestra del polacco H. Wieniawsky, in forma
tripartita, di cui si apprezza soprattutto la
prima sezione, con un attacco dell’orchestra
affidato alla sordina dei corni e al pizzicato
degli archi, seguito da una melodia semplice del
violino, che va via via crescendo in ritmo e
complessità: il tutto, ancora una volta eseguito
con cura perfetta dei dettagli sia da parte del
solista, sia da parte della ‘sua’ Camerata. Tra
tante perle del passato, ne brillava infine una
di un contemporaneo, “Carini. Leggenda per
violino e orchestra” una composizione ispirata
alla fosca vicenda avvenuta nella Sicilia del
‘500, dell’assassinio, ad opera del padre, per
motivi d’onore, della giovane baronessa di
Carini. Il brano è opera del compositore Luciano
Maria Serra (1975) ed è dedicata a Guido
Rimonda. Di impianto sostanzialmente tonale, è
una musica che attira l’attenzione per certe
scelte timbriche e ritmico-dinamiche che in
effetti, come annota Attilio Piovano nel
programma di sala, possono evocare a tratti
atmosfere di inquietante espressionismo. Una
partitura decisamente interessante. Grandi
applausi da un teatro quasi al completo nella
platea per un’altra serata originale di musica
ben scelta e ben suonata da Guido Rimonda e
dalla Camerata Ducale.
25 febbraio 2018 Bruno Busca
Il Nabucco al
Teatro Coccia di Novara
Ieri sera, 23/02, di fronte
ad un pubblico strabocchevole quanto mai, a
Novara è andata in scena al Teatro Coccia la
prima dell’opera che conclude la stagione , il
verdiano Nabucco: la replica domani, domenica
alle h.16. Lo spettacolo è una produzione del
Coccia, con la collaborazione, limitata
all’allestimento scenico, della Rete lirica
delle Marche. Per qualità è stato senz’altro il
migliore spettacolo della stagione e uno dei
migliori in assoluto che ricordiamo di aver
visto negli ultimi anni a Novara. Questo Nabucco
presenta, tra l’altro, una novità a nostra
memoria senza precedenti: l’intero cast dei
cantanti, tranne una parte “di
fianco”
(il gran sacerdote di Belo), non è italiano:
anche questo un segno (brutto) dei tempi per la
cultura del nostro Paese? Ai posteri l’ardua
sentenza…La regia è affidata a un ‘grande
vecchio’ della regia d’opera in Italia, Pier
Luigi Pizzi, che, facendo piazza pulita di ogni
orientalismo d’accatto (salvo il trono su cui
Abigaille siede all’inizio del terzo atto),
colloca i cantanti in una spoglia scena fissa,
una sorta di scatola lievemente inclinata verso
il boccascena, illuminata da una luce un po’
livida, fredda, in cui gli uomini dell’esercito
assiro si muovono vestiti di nere tute in pelle.
Una scenografia ( tutte le foto dall'Archivio
Teatro Coccia) che simboleggia, ci pare, la
inesorabile necessità che guida gli eventi e
forse anche la fredda lotta per il potere
condotta da una spietata Abigaille, la schiava
che aspira al trono. Pizzi ha saputo trarre dai
cantanti il meglio delle capacità interpretative
di ciascuno; l’unico limite, che temiamo
insuperabile in un teatro dal palcoscenico di
ridotta superficie come il Coccia, i movimenti,
soprattutto quelli delle masse corali, ridotti
al minimo, con conseguente
staticità della scena. Il coro “Va’ pensiero”
cantato sul proscenio da coristi del S. Gregorio
Magno di Trecate immobile, con le parti
femminili vestite come suore (perché?), pareva
più un coro da chiesa che da teatro d’opera. Sul
podio, a dirigere una compagine formata da
maestri dell’Orchestra Coccia e del
Conservatorio di Novara, la giovane (e bella!)
Gianna Fratta, un nome che confessiamo a noi
ignoto sino a ieri, ma che vanta un curriculum
di tutto rispetto: formazione sotto la guida del
grande Ahronovitch, e già notevoli esperienze
direttoriali all’estero, tra cui addirittura i
Berliner. Ha diretto decisamente bene, con gesto
esatto nel dettare i tempi e le dinamiche, e
curando con precisione il raccordo tra la buca e
il palcoscenico, specie nelle parti più
complesse, come i concertati: impeccabile e
trascinante, ad esempio, il quintetto del finale
secondo “S’appressan gli istanti”, dove la
bacchetta della Fratta ha dato il meglio di sé
con gli attacchi in levare e il ritmo scattante
e nervoso, accompagnando alla perfezione le
entrate progressive delle cinque voci. Siamo di
fronte a una direttrice giovane, ma già matura,
di cui crediamo si tornerà a parlare.
Generalmente buono il livello dei cantanti, non
solo sotto il profilo squisitamente musicale, ma
anche
espressivo e interpretativo. Su tutti,
ovviamente spiccano i due protagonisti:
Abigaille e’ interpretata dalla slovena Rebeka
Lokar, apprezzato soprano di solida fama, già
ammirata Butterfly a Novara in una precedente
stagione Possiede una voce di ampia estensione
naturale, luminosa e morbida, capace di
svariare, anche con un’ ottima tecnica del
legato, da acuti intensi e sicuri ai registri
più gravi, di un bel brunito quasi
mezzosopranile. L’attendevamo con curiosità a
una delle prove più ardue del Nabucco: la grande
aria doppia a inizio del secondo atto “Anch’io
dischiuso un giorno”, di chiara influenza
belliniana, che la voce della Lokar ha reso
stupendamente con una musicalità molto
espressiva, dolcemente malinconica e una
coloratura limpida, con legati e portamenti
perfetti, davvero incantevole. Ma la grande
bravura ‘tecnica’ della cantante slovena emerge
anche nelle parti di maggior tensione vocale e
scenica, come negli isterici salti di dodicesima
(!) nel sestetto
“Tremin
gli insani” del finale primo. Pubblico in
delirio e tripudio per una voce che di rado si
ascolta a Novara. Ottimo anche il Nabucco del
baritono mongolo Amartuvshin Ekhbat: voce di
intenso volume, densa e calda di natura, ha un
bellissimo registro basso, cui scende con
disinvoltura, senza appoggi di petto. Forse, a
voler essere ipercritici, gli manca
quell’asprezza di colore che in alcune scene,
come il già menzionato finale primo, sarebbe
necessaria. Delinea comunque molto bene il
personaggio, toccando il suo momento più alto
nelll’aria di follia “Chi mi toglie il regio
scettro?”, in cui svaria con efficacia dal
sinistro primo tema delle visioni spettrali,
reso sul registro sentimentale del dolore
angosciato, alla Rigoletto, più che
sull’allucinazione alla Macbeth, al secondo tema
toccante e patetico dell’invocazione di aiuto
alla figlia. Anche per lui applausi a scena
aperta e richieste, eluse, di bis. Intorno ai
due protagonisti ruotavano gli altri interpreti:
un discreto Ismaele, il giapponese Tatsuya
Takahashi, tenore di valida proiezione vocale,
con un acuto compatto e sicuro e bei centri,
Fenena cantata .dalla georgiana Sofia Janelidze,
dalla linea di canto non sempre fermissima, e
Zaccaria, affidato al basso-baritono croato
Marko Mimica di cui abbiamo apprezzato una
vocalità di bel timbro e colore caldo, intonata
e piena nei gravi: convincente l’eloquenza con
cui canta il primo grande numero del Nabucco, la
preghiera “D’Egitto là sui lidi”. Dignitose,
senza brillare, le parti di fianco di Abdallo
(G. Cuckovski), Anna (Madina Karbeli, voce un
po’ troppo esile) e del Gran sacerdote di Belo
(Daniele Cusari). Il coro S. Gregorio Magno
conferma ad ogni esibizione un costante
progresso sia nella compattezza vocale, sia nel
coordinamento coi cantanti e con l’orchestra.
Alla fine, l’atteso trionfo per tutti, con gran
parte del pubblico levatosi in piedi per il
lungo applauso. Per gli standard del Coccia,
sicuramente una serata da ricordare.
24 febbraio 2018 Bruno Busca
András Schiff
per la Società del Quartetto
Dopo il concerto dello scorso
mese in Conservatorio, è tornato l'ungherese
András Schiff in Sala Verdi per concludere il
suo percorso intorno a Brahms. Il musicista
amburghese è stato infatti al centro di due
impaginati particolarmente ricercati che hanno
visto questa volta i Tre
Intermezzi
Op.117, i Sei Klavierstücke Op.118 e
i Quattro Klavierstücke Op.119
incastonati ed intervallati con Schumann e le
sue
Geistervariationen, con Mozart, Rondò in
la minore K.511, con Bach, Preludio e
fuga n.24 dal Clavicembalo ben temperato, e
con Beethoven e la sua Sonata Op.81 a "Les
Adieux". L 'esecuzione complessiva, come
fosse un'unica Suite - tranne il doveroso breve
intervallo
dopo
l'Op.118 vista la durata effettiva musicale di
circa due ore - ha evidenziato lo stile pacato e
riflessivo di Schiff con timbriche
particolarmente interiorizzate e molto
espressive. Abbiamo trovato il suo Brahms forse
un gradino superiore rispetto il resto. La
scorrevolezza delle tre ultime opere proposte e
la loro pregnanza estetica -come nel concerto
del 16 gennaio- pongono Schiff tra i migliori
interpreti del grande ungherese. Applausi
fragorosi al termine da un pubblico
particolarmente silenzioso ed attento e
naturalmente Bach nei tre bis concessi: il primo
da un' Invenzione a due voci, poi il
primo Preludio e fuga
dal Clavicembalo ben temperato e a conclusione
la classica Aria dalle Goldberg. Da
ricordare a lungo.
21 febbraio 2018 Cesare
Guzzardella
Louis Lortie per le
Serate Musicali
Il pianista canadese Louis
Lortie torna tutti gli anni in Conservatorio per
le Serate Musicali. Il concerto di ieri
sera in Sala Verdi era dedicato a due grandi
musicisti: Schubert con la Sonata D 894 e
Chopin con le Mazurche op.7 n.3 e
op.59 n.3 ,la Fantasia in fa minore op.49
e la
Polacca
in fa diesis min. op.44
. In Schubert Lortie ha rivelato sensibilità
notevole con raffinata restituzione musicale. La
coerenza formale del pianista ha trovato giusti
equilibri espressivi in tutti i quattro i
movimenti della celebre sonata. Come già
riferito in altri articoli, Chopin è forse il
musicista più eseguito dai dilettanti e dai
professionisti del pianoforte, e anche il più
difficile da interpretare in quanto facilmente
lo si banalizza rendendolo poco poetico.
Pochissimi sanno entrare nello spirito del
grande polacco con il giusto tocco,
l'equilibrato
e nitido fraseggio e il giusto rapporto tra i
contrastati piani sonori. Pochi sono stati i
grandissimi interpreti. Molti invece sono ottimi
interpreti ed alcuni di questi con momenti di
spessore artistico di alto livello. Tra questi
ultimi Lortie rappresenta l'esecutore che pur
non evidenziando una timbrica polacca, trova
momenti di raffinata poesia soprattutto quando
lo spartito segna maggiormente la linea melodica
e quando la sovrapposizione dei piani sonori è
delicata e non voluminosa. Modalità
interpretative importanti sono emerse nelle
Mazurche e nella nota Fantasia Op.49. Tre i bis
concessi e tra questi ancora Chopin con
due Studi. Lunghi applausi in una
Sala Verdi con non pochi posti liberi. Meritava
il pienone.
20 febbraio 2018 Cesare Guzzardella
Fabrizio
Meloni e Takairo Yoshikawa allo
SpazioTeatro89
milanese
Il variegato programma
pensato dal clarinettista Fabrizio Meloni e dal
pianista Takahiro Yoshikawa prevedeva brani di
Ferdinando Sebastiani, celebre clarinettista
vissuto nella prima
metà
dell' 800 e specializzato nelle trascrizioni di
arie liriche; di Carlo Maria von Weber noto
operista dei primi decenni dell' '800 e
appassionato del clarinetto per il quale ha
dedicato il Duo Concertante Op. 48. A
metà concerto il brano per solo pianoforte di
Liszt, Lyon, di incredibile valenza
virtuosistica, ha cambiato il clima musicale
prima orientato al mondo romantico.
Due
i lavori di pieno '900 eseguiti dopo Liszt con
brani di due musicisti appartenuti al noto
Gruppo dei sei, compositori prevalentemente
francesi che si opposero drasticamente alle
residue influenze romantiche di fine '800. Di
Arthur Honegger e di Darius Milhaud abbiamo
infatti ascoltato le loro Sonatina per
clarinetto e pianoforte. Fabrizio Meloni, da
parecchi anni prima parte della Filarmonica
della Scala, ha rivelato le sue eccellenti
qualità solistiche coadiuvato dall'altrettanto
capace Yoshikawa di cui abbiamo
compreso
ancor più le sue qualità nella precisa e nitida
esecuzione del complesso brano lizstiano.
L'intensa melodicità del clarinetto è emersa con
le Fantasie dalle Arie d'opera dalla
Norma ( Casta diva) di Bellini e da
Semiramide di Rossini, mentre i colori
romantici del Gran duo di Weber hanno
maggiormente evidenziato la sinergia tra i due
strumentisti. Valide le interpretazioni finali
con le Sonatine di Honegger e Milhaud che hanno
messo in rilievi un particolare periodo storico
in cui una certa freddezza sonora va inquadrata
in impalcature architettoniche-musicali solide
ed articolate. Bravissimi i due interpreti e un
bel bis con una semplice ed espressiva Ninna
Nanna di Emanuele Pedrani.
19 febbraio 2018 Cesare Guzzardella
Il
Trio Maisky e l'orchestra
de I Pomeriggi Musicali
diretti da George
Pehlivanian
Un valido Trio quello messo
in piedi dal celebre violoncellista Mischa
Maisky con i suoi figli Lily, pianista, e
Sascha, violinista. In programma con l'Orchestra
de I Pomeriggi Musicali
diretta
dall'armeno -americano d'adozione- George
Pehlivanian, il noto Triplo Concerto in Do
maggiore Op.56 di L.v.Beethoven e, a
seguire, ancora Beethoven con la celebre
Sinfonia Settima. Lodevole la direzione
musicale di Pehlivanian che prima nel Triplo e
poi nella "Settima" ha rivelato le sue rilevanti
doti direttoriali attraverso una lettura
sinergica
e attenta alle esigenze del Trio e
particolarmente grintosa nella Sinfonia Op.92
in La maggiore. Splendido il violoncello di
Maisky nel Triplo concerto in ottima sinergia
con il chiaro e dettagliato pianoforte della
trentunenne Lily e con il ventinovenne Sascha
molto determinato
con
l'archetto del suo violino. La Sinfonia n.7,
capolavoro d'invenzione ritmica e di
scultorea forza nello straordinario
Allegretto, ha trovato una direzione
tagliente ed efficace nell'andatura e nella
ritmica. L'Allegro con brio finale ha
raggiunto un livello di sintesi discorsiva
unico. Ottima complessivamente l'orchestra de "I
Pomeriggi musicali" ed eccellente la resa nei
due movimenti citati della Settima. Molto
espressivo il bis concesso dal Trio Maisky con
l'Adagio dal Trio in si bem. magg.
Op.11 di Beethoven. Un pubblico da tutto
esaurito al Dal Verme ha tributato ripetuti
e fragorosi applausi. Da ricordare a lungo.
18 febbraio 2018
Cesare Guzzardella
Prossimamente
Le Violin noir
al Teatro Civico di Vercelli
Sabato 24 febbraio 2018 alle
ore 21 presso il Teatro Civico di Vercelli
serata dal titolo "Le Violon noir" avrà come
protagonisti l'Orchestra Camerata Ducale e Guido
Rimonda al violino
solista e direttore. Un progetto, Le Violon
noir, conteso dai più importanti teatri e sedi
concertistiche italiane e estere che sabato 24
febbraio sbarca al Teatro Civico di Vercelli,
punta di diamante della edizione n° 20 del
Viotti Festival 2017/18. Da fine di gennaio 2018
a primavera inoltrata saranno oltre 20 gli
appuntamenti de Le Violon noir in Italia e
all’estero.
18 febbraio 2018 la redazione
Edoardo Zosi
diretto da Gabriel Feltz per la
Società dei Concerti
Il programma interamente
mozartiano diretto da Gabriel Feltz alla guida
della Dortmunder Philharmoniker ha
trovato come protagonista il trentenne
violinista Edoardo Zosi.
Il
Concerto
n.5 in la maggiore K.219, capolavoro della
letteratura violinistica, era incastonato tra
l'Ouverture da La Finta giardiniera e un
altro lavoro importante quale la Sinfonia
n.41 in do magg. K.551
"Jupiter". E' certamente un solista
prestigioso Edoardo Zosi. L'ha dimostrato molte
volte nei concerti per violino ed orchestra
eseguiti in questi anni.
In
quello mozartiano, probabilmente il più bello e
noto del genio salisburghese, Zosi ha trovato
una dimensione perfetta con il suo delicato
timbro ricco di melodicità italiana. La sua
cifra stilistica è dotata di uno splendido
vibrato. La morbidezza delle sue sonorità, ben
sottolineate dalla chiara direzione di Feltz e
dell'ottimo equilibrio di
ogni sezione orchestrale, sono risaltate in
tutti e tre i movimenti ed
anche
nelle rilevanti cadenze solistiche. Una
splendida interpretazione del concerto e un
ottimo bis concesso con una bellissima
Gavotta di Bach. Nella seconda parte della
serata ottima l'interpretazione della celebre
Sinfonia "Jupiter". Di alto livello il Molto
allegro finale che nella costruzione
contrappuntistica in stile bachiano e nelle
timbriche händeliane raggiunge un vertice
assoluto della produzione
di Mozart. Bravissimi Feltz e l'Orchestra nel
dosare le variegate dinamiche. Avvincente
l'orchestra nel fantastico bis offerto con il
Pizzicato Polka di J. Strauss giocato su un
volume complessivo contenuto tra dinamiche
raffinate, da quelle impercettibili a quelle di
maggior volumetria sonora. Serata da ricordare.
15 febbraio 2018 Cesare Guzzardella
Simon Boccanegra al Teatro alla Scala
Dopo il successo decretato
nel 2016 per la direzione del Maestro Myung-Whun
Chung, l'opera verdiana Simon Boccanegra per la
regia di Federico Tiezzi con scene di Pier Paolo
Bisleri
riprese da Lorenza Cantini e luci di Marco
Filibeck, è tornata al Teatro alla Scala. Il
primo allestimento analogo data 2010 per la
direzione di Daniel Barenboim. Come già detto,
il direttore coreano ha un'affermata esperienza
in questo lavoro avendolo diretto più volte e la
sua interpretazione ci è apparsa ancora di
eccellente qualità in tutte le componenti
musicali. Queste, unitamente alla complessa
vicenda richiedono una conoscenza approfondita
per una resa d'insieme di spessore. Ancora
una volta tutti i protagonisti, dalle voci
soliste, al coro preparato come sempre in modo
eccellente da Casoni, ci sono apparsi in
sinergia con la direzione musicale e con
l'ottima regia di Tiezzi. Il risultato finale lo
riteniamo probabilmente migliore degli anni
scorsi pur consapevoli che la tradizionale
messinscena nulla aggiunge di nuovo alle
modalità
di rappresentare Verdi. Tra i protagonisti
vocali di ieri sera, nella terza
rappresentazione, l'inossidabile Leo Nucci (foto
Archivio Scala di Brescia-Amisano), Simon
Boccanegra,
ha mostrato di meritare pienamente i
fragorosi applausi tributati al termine dal
numeroso pubblico intervenuto. Non dimentichiamo
gli altri ottimi interpreti: l' Amelia di
Krassimira Stoyanova brilla per qualità timbrica
e perfezione d'intonazione con ottime rese
coloristiche che evidenziano le peculiarità del
suo dolce e deciso personaggio. Di spessore
Dmitry Beloselskiy uno Jacopo Fiesco
timbricamente ricco di colori. Ottimi anche
Fabio Sartori in Gabriele Adorno e
Dalibor Jenis in Paolo Albiani.
Bravissimi i comprimari Ernesto Panariello,
Luigi Albani, Barbara Lavarin. Le prossime
repliche sono il 16-20-22 febbraio
e 1-4 marzo. Da non perdere.
14 febbraio 2018 Cesare Guzzardella
Ilya
Gringolts alle Serate
Musicali
Da alcuni anni il violinista
russo Ilya Gringolts sale sul palco di Sala
Verdi in Conservatorio. Ieri sera ha impaginato
un programma dedicato pravelentemente
a J.S.Bach e inframmezzando
nella Partita n.2 - quella della celebre
Ciaccona- i movimenti di un brano
composto
dal compositore francese Brice Pauset (1965).
Pauset, pianista, clavicembalista e violinista,
ha seguito corsi di composizione presso l'Ircam
di Parigi studiando con Grisey, Philippot e
Banquart. I quattro
movimenti della sua Kontropartita (
Corrente, Sarabanda, Giga e Ciaccona)
sono stati inseriti tra quelli
bachiani della Partita in re minore,
creando una lunga suite, corposa e ricca
di contrasti. In effetti la ricerca musicale di
Pauset sul violino trova aggancio sia nella
tradizione barocca che nelle più spinte
timbriche contemporanee, dove anche la
componente concreta del "rumore" ( raschiamenti
delle corde, effetti sulla
tavola,
ecc.) ha un ruolo importante. Gringolts ha
eseguito nella prima parte del concerto la
Sonata in sol minore BWV 1001 e quella in
la minore BWV 1003 del genio tedesco in modo
perfetto. In lui il superamento di ogni ostacolo
tecnico è al servizio di una ricerca timbrica
dal sapore antico, lontano, discreto, espresso
con timbriche dinamicamente ricche. La facilità
di memorizzazione strutturale è sempre al
servizio di un raffinato modo d'intendere la
musica barocca. La seconda parte del concerto,
interamente dedicata alla Partita n.2 e alla
Kontropartita di Pauset hanno rivelato la
passione e l'intelligenza di un virtuoso
proiettato musicalmente nel nostro secolo. Le
interessanti componenti del brano di Pauset, con
la sua splendida Ciaccona, hanno potenziato la
bellezza di Bach, giunta all'apice con l'altra
Ciaccona, la più nota della letteratura
violinistica mondiale. Successo di pubblico e
come unico bis, per rimanere in tema,
l'interessante Ciacconina di Heinz
Holliger(1939). Da ricordare.
13 febbraio 2018 Cesare
Guzzardella
Al Dal
Verme l'orchestra de I
Pomeriggi musicali diretta
da Carlo Boccadoro
Il compositore- direttore
Carlo Boccadoro ha diretto l'orchestra de I
Pomeriggi Musicali in un variegato concerto
che prevedeva musiche di Bach, Ferrero,
Boccadoro e Shostakovich. Il pacato brano dall'Offerta
Musicale di Bach , Ricercare a 6,
nella essenziale trascrizione di
Anton
Webern ha introdotto il concerto orientato
complessivamente al contemporaneo ed al moderno.
Paesaggi con figura, per piccola
orchestra di Lorenzo Ferrero (1951) era in
perfetto accostamento col brano bachiano per
introspettività e profonda raffigurazione
estetica. Questo lavoro, tonale e di immediato
ascolto, rimanda nei sofferti e discreti toni
cupi, ad un mondo d'immagini di suggestiva individuazione.
Bravo Ferrero in questa scrittura compositiva di
non difficile ascolto e di immediata
comprensione. Il brano successivo, dello
stesso
direttore Boccadoro (1963), consolidato
compositore italiano, ci ha portato in un mondo
musicale completamente differente. Il
Concerto per Clarinetto e Orchestra ha
trovato come solista l'eccellente Fabrizio
Meloni, tra i migliori clarinettisti italiani.
Le contrastate e marcate ritmiche introduttive,
armonizzate attraverso un linguaggio
essenzialmente tonale, hanno da subito mostrato
la cifra estetica del compositore orientata alla
libertà, all'estroversione ed alla luminosità
timbrica. Si evidenzia nelle ritmiche e nelle
armonizzazioni del compositore molti riferimenti
culturali legati al jazz europeo ed americano
post anni '60, alla musica statunitense di
questi ultimi decenni e a
certo
minimalismo. La varietà delle timbriche sono
state evidenziate sia dal sapore
"improvvisatorio" del bravissimo virtuoso
Meloni, che nelle altrettanto importanti
timbriche orchestrali ricche di espressività e
definite dalla riuscita e coerente varietà
intenzionale. Semplice e lineare il Lento
centrale in un concerto suddiviso nella classica
ripartizione di tre movimenti con un Presto
finale dalla curiosa denominazione Rondò dei
gatti
forse per quelle note ribattute iniziali che
ricordano certo Michael Nyman. Successo caloroso
di pubblico nell'avvincente recente lavoro di
Boccadoro. Finale di concerto con una
trascrizione per piccola orchestra di Rudolph
Barshai della Chamber Symphony Op.73a,
corposo brano di Shostakovich in cinque parti
nelle quali ruolo da protagonisti hanno anche il
violino, la viola, il violoncello, l'oboe e il
fagotto, primi solisti tutti bravissimi. Ottima
l'interpretazione di Boccadoro e de I Pomeriggi.
Da ricordare.
11 febbraio 2018
Cesare Guzzardella
Filippo Gamba al Viotti
Festival di Vercelli
Con gioia siamo tornati ieri
sera, sabato 10
febbraio, a varcare la
soglia del Teatro Civico di Vercelli, per il
primo appuntamento dell’anno con i Concerti da
camera proposti dalla XX Stagione del
ViottiFestival. La serata era la terza dedicata
all’integrale delle trentadue sonate per
pianoforte di L. v. Beethoven, affidata a
Filippo Gamba e impaginata su cinque
composizioni:
in ordine di esecuzione le Sonate op.26 in La
bem. maggiore, op.14 n.2 in Sol magg., op.31 n.1
in Sol magg e le due Sonate quasi una fantasia
op. 27, di cui la n. 2 in do diesis min., è
appena il caso di ricordarlo, è la sin troppo
celebre “Al chiaro di luna”. Come si vede, a
parte forse l’op.14, ancora un po’ acerba
nell’insieme e francamente debole nel tempo
centrale, si tratta di sonate magari non
notissime al c.d. ‘grande pubblico’ (con l’ovvia
eccezione della “Chiaro di luna”) ma da
annoverare tra le più belle e intriganti del
Grande di Bonn: Chopin, che di musica pianistica
un po’ s’intendeva, considerava l’op. 26 la più
bella sonata pianistica beethoveniana. Nel loro
insieme si tratta di composizioni che esigono
un’interpretazione di sottile raffinatezza, nel
tocco, nella scelta delle dinamiche, nell’uso
del pedale…. Abbiamo già illustrato le virtù di
Gamba come solista in un precedente articolo:
non vorremmo ripeterci. In questa occasione il
pianista veronese conferma di aver ormai
raggiunto una maturità espressiva che gli
permette di attingere livelli interpretativi di
grande intensità e qualità non solo tecnica, ma
anche nell’esplorazione e nello scavo del suono
. Il brano d’esordio è già subito un banco di
prova per il pianista: di quel meraviglioso
Andante con variazioni, che, sovvertendo ogni
schema allora tradizionale della sonata, apre
l’op.26 , Gamba evoca dalla tastiera un lirismo
tanto più profondo e struggente, quanto più si
mantiene asciutto ed essenziale, con un tocco
delicato fino all’evanescenza. In un pezzo come
questo si misura tutta l’intelligenza
interpretativa del pianista: nell’uso accorto
del ‘rubato’, appena percepibile, e del pedale,
anche questo molto parco, Gamba ha reso
superbamente quel “piano dolce” prescritto da
Beethoven: l’effetto, profondamente poetico, ha
incantato il pubblico: silenzio assoluto in
sala, non un colpo di tosse, non un fruscio
delle odiose cartine di caramelle, cellulari
spenti (anche quello del sindaco…). Ma Gamba è
pianista capace di svariare lungo tutto lo
spettro delle possibili sonorità della tastiera,
valorizzando le qualità timbriche della
partitura. Ancora nel’op.26, il Trio della
Marcia funebre ha evocato negli ascoltatori le
sonorità rullanti delle percussioni e quelle
metalliche e secche degli ottoni. Naturalmente
una buona interpretazione nasce anche dal
controllo delle dinamiche e dalla scelta dei
tempi, dalla sapiente distribuzione di istanti
di pause e silenzi. La Sonata op.27 n.1 ha uno
dei suoi momenti essenziali nel contrasto tra
l’etereo ‘piano’ conclusivo del primo tempo
Andante e l’esplosivo’ fortissimo’ dell’Allegro
seguente: qui il tocco di Gamba si trasforma e
assume una forza e un volume di suono da leone
della tastiera, sempre severamente controllati,
peraltro, da una precisione che tornisce il
fraseggio con trasparente chiarezza, con suoni
che sanno sgranarsi lucidi e morbidi come in un
jeu perlé nel rossiniano cantabile fiorito
dell’Adagio grazioso dell’’op.31. Nel brano più
celebre fra quelli proposti, il primo tempo,
Adagio sostenuto, dell’op.27 n.2, ci pare che
Gamba abbia sfruttato al meglio gli effetti di
risonanza delle corde libere, creando un suono
sfumato e indefinito, ma senza alcuna
concessione a sdilinquimenti romanticheggianti.
Richiamato più volte dagli applausi di un
pubblico stranamente meno numeroso del solito
(“effetto Sanremo”? Non osiamo neanche
pensarlo!!) Gamba ha concesso come bis un
Prelude di Debussy, Bruyéres, quinto del II
libro: perfetta l’esecuzione, che ha reso al
meglio quel valore timbrico degli accordi
caratteristico del compositore francese,
evitando sonorità ‘flou’, ma al contrario
incidendo i suoni con limpido cesello. Una
serata di musica davvero di alto livello, che
torna ancora una volta a merito della Camerata
ducale e del ViottiFestival.
11-02-2018
Bruno Busca
Jan Lisiecki per la
Società del Quartetto
È la terza volta che ascolto in un concerto
solistico il ventitreenne pianista canadese, di
origine polacca, Jan Lisiecki. Già nel maggio
2014, a diciannove anni erano emerse qualità di
rilievo. Fryderyk Chopin, il suo compositore
prediletto, è sempre stato in ogni impaginato.
Ieri sera, nella serata organizzata
dalla
Società del Quartetto, insieme a brani
del grande polacco, abbiamo trovato Schumann con
Nachtstücke op.23, Ravel con Gaspard
de la Nuit -uno dei brani più noti e
proiettati nel futuro del francese- e
Rachmaninov con i Morceaux de Fantaisie Op.3.
È molto migliorato Jan Lisiecki in questi anni
in termini di sicurezza espositiva e profondità
espressiva e attualmente si può considerare
raggiunto un livello interpretativo molto alto
distribuito in ogni autore. La sequenza dei
brani, con Chopin sia all'inizio che alla fine
del concerto, è stata studiata attentamente e
costruita con coerenza e senza squilibri in
termini estetico-musicali. In aggiunta ai
previsti Notturno op.55 n.2, Notturno
op.72 n.1 e Scherzo n.1 op.20, abbia
trovato come primo brano del polacco, il
Notturno in fa minore op.55 n.1 . Eccellenti
sia i Notturni che
lo
Scherzo. Specie nei primi due notturni le
dinamiche sottili e riconoscibili nei piccoli
cambiamenti volumetrici, hanno reso espressivi
ogni frangente musicale. Particolarmente
contrastato e originale il noto Scherzo in si
minore con momenti di altissimo virtuosismo:
la sintesi discorsiva rapida, incisiva ma
chiarissima nella sezione iniziale e finale del
brano in alternanza alla riflessiva esposizione
centrale, hanno prodotto una originale ed
efficace interpretazione. Valido anche il suo
Schumann e ancor più Gaspard de la Nuit
con un Le Gibet profondamente meditato e
Scarbo di rilevante sintesi
gestuale-discorsiva nella evidente perfezione
dei dettagli. Ottimo il suo Rachmaninov con
timbriche asciutte anche nei momenti più
estroversi. Grandissimo successo di pubblico e
luminoso il semplice ma impareggiabile bis con
il celebre
Träumerei dalle "Kinderszenen" di
Robert Schumann. Da ricordare a lungo.
7 febbraio 2018
Cesare Guzzardella
Libetta e due film per
Serate Musicali
Una serata inconsueta ma particolarmente
interessante quella di ieri sera in
Conservatorio. In programma due film muti,
datati intorno al 1916, completati
artisticamente al pianoforte da Francesco
Libetta. Il critico cinematografico
Paolo
Mereghetti ha presentato Cenere di Febo
Mari, con Eleonora Duse, mito teatrale nel suo
unico film - commovente vicenda tratta
dall'opera di Grazia Deledda, dove la Duse è la
madre dolorosa costretta dalla miseria ad
abbandonare il figlio- quindi Rapsodia
Satanica di Nino Oxilia con Lyda Borelli,
magnifica attrice perfettamente calata in
un'affascinante atmosfera faustiana. Notevole la
sequenza dei brani di fine Ottocento e di
compositori noti come Pizzetti, Tosti, Mascagni
e Debussy, e meno noti come Franchetti,
Scontrino e Gnecchi, raccolti in un'unica
Suite per rimarcare le drammatiche sequenze
di Cenere.
Particolarmente
interessante e di valore musicale la versione
pianistica di Rapsodia Satanica di Pietro
Mascagni, che per circa 45 minuti commenta le
bellissime immagini dell'omonimo filmato.
Libetta, interprete italiano certamente tra i
migliori, ha deliziato il numeroso pubblico
intervenuto anche con un intermezzo solo
pianistico- tra i due film - veramente
splendido: dopo un valido Chopin con la celebre
Polacca Op.53, tre chicche meravigliose
-come il pianista sa rendere- con Busoni (
Fantasia dalla Carmen) , Liszt/Wagner
(dal Tannahäuser) e Alkan ( da la Grande
Sonata op.33), per terminare con la celebre
e personale interpretazione della Sonata
beethoveniana "Al Chiaro di luna". Un
programma particolarmente lungo ma unico nel suo
genere. Anche un bis di Libetta con un suo
prezioso arrangiamento del brano La cura
di Franco Battiato. Grande successo. Da
ricordare.
6 febbraio 2018 Cesare Guzzardella
Uto Ughi e Bruno
Canino: un duo inossidabile alle
Serate Musicali
L'esperienza consolidata di due noti interpreti
quali il violinista Uto Ughi ed il pianista
Bruno Canino e la cifra qualitativa sono alla
base del loro successo. Ieri
sera,
in Sala Verdi, nel Conservatorio milanese, in
una giornata inconsueta e di recupero di un
concerto mancato, - sul volto di Ughi si
leggevano i postumi della costipazione- il duo
ha interpretato Mozart, Sonata K454,
Tartini, Sonata " Il trillo del diavolo",
Fauré, Sonata Op.13 e Saint-Saëns,
Introduzione e Rondò Capriccioso. Fuori dal
programma ufficiale abbiamo anche ascoltato una
novità e rarità esecutiva quale Quattro pezzi
romantici Op.75 di Dvořàk.
Sempre di grande rilevanza la parte pianistica
di Canino: chiaro, incisivo e attento alla
fondamentale parte violinistica.
Ughi,
partito un po' sottotono (non musicale) con
Mozart, è andato via via migliorando. È tipico
di questo eccellente interprete il rodaggio
all'inizio di ogni concerto. Le qualità
rilevanti sono emerse dopo Mozart con
un'esecuzione splendida dei Quattro brani,
lavori particolarmente significativi del
compositore ceco, legati alla tradizione
folcloristica del suo Paese e ricchi di
raffinato virtuosismo. Con Tartini e la
Sonata in Sol minore, Ughi ha rivelato
ancora una volta la sua valenza stilistica nel
repertorio italiano di cui è maestro. Bene Fauré
e molto bene un'altro classico della coppia come
l'Introduzione e Rondò Capriccioso del
secondo francese. Un bis concesso con un
Granados, Danza spagnola n.5, trascritta
dal virtuoso Fritz Kreisler. Grande successo di
pubblico.
5 febbraio 2018 Cesare Guzzardella
Alexey Nabiulin per
le Serate Musicali
Il pianista ascoltato ieri sera in Conservatorio
per Serate Musicali nella straripante
gestione musicale di Fazzari, in una serata
inconsueta -in genere è il
lunedì
quella preposta- ha purtroppo trovato un
pubblico ridotto di ascoltatori: 80 o forse 100
persone. Peccato perché il programma scelto
dall'ottimo pianista russo Alexey Nabiulin era
perfetto nell'impaginato con due lavori
"simmetrici" quali Le Stagioni Op.37 di
Čiaikovski e
il Primo libro dei Preludi di Debussy.
Soprattutto l'interesse per l'impaginato mi ha
spinto all'ascolto di questo valido quarantenne
pianista che pur non avendo vinto primi premi
nei massimi concorsi internazionali ( Chopin,
Busoni, Čaikovskij,
ecc.), vanta il primo posto al Casagrande di
Terni e a Dublino. Hanno certamente un certo
spessore le interpretazioni di Nabiulin. Molto
controllato
nell'esternazione,
ha un dominio "razionale" e di "costruzione" che
supera la libera esplicazione emotiva che è
tipica dei grandi interpreti. Decisamente bello
e colorato il suo timbro. Le sue interpretazioni
di chiara lettura, hanno come valore aggiunto la
sua coerente unità formale e come pecca un
eccessivo -a volte- uso del pedale di risonanza
e una certa omogeneità dei piani sonori. Alcuni
brani, sia nelle semplici e profonde note de "Le
Stagioni" che nei Préludes, ci sono
piaciuti parecchio. Un concerto che comunque
doveva avere molto pubblico; Nabiulin lo
meritava. Ma sappiamo che l'enorme offerta
musicale a Milano è forse eccessiva rispetto
alle poche migliaia di milanesi interessati alla
musica di grande valore. Vi prego, facciamo
qualcosa per l'educazione musicale in Italia. Da
ricordare.
2 febbraio 2018 Cesare Guzzardella
GENNAIO
2018
Al Museo del '900 musica di Dallapiccola
Il Divertimento Ensemble,
formazione orchestrale e cameristica fondata 40
anni fa da Sandro Gorli - compositore e
direttore d'orchestra- ha attivato quindici
anni
orsono la stagione musicale cameristica
denominata Rondò, che rappresenta un
momento importante per la diffusione della
musica moderna e contemporanea, dal Novecento ai
giorni nostri. I primi concerti di quest'anno
trovano ancora l'ottima cornice della Sala Arte
Povera del Museo del Novecento milanese e
presentano tre figure importanti della scuola
musicale italiana con i nomi di Maderna,
Dallapiccola e Scelsi. Questa mattina è stata la
volta di Luigi Dallapiccola (1904-1975) per
quattro brani purtroppo poco frequentati quali
Rencesvals (1946) per voce e
pianoforte,
Ciaccona, Intermezzo e Adagio (1945) per
violoncello, Quaderno musicale di Annalibera
(1952) per pianoforte e Quattro liriche
di
Antonio Machado (1948) per soprano e pianoforte.
Protagoniste della mattinata la pianista Maria
Grazia Bellocchio, la cellista Martina Rudic ed
il soprano Laura Catrani. Le esecuzioni, tutte e
quattro interessanti e profonde, hanno messo in
rilievo la cifra stilistica del compositore
Dallapiccola, forse il musicista più vicino alla
scuola dodecafonica. Bravissima, come sempre, la
Bellocchio nelle parta pianistica dei brani con
soprano e nella serie di 11 brevi brani che
compongono Annalibera. Di rilevanza la
non facile Ciaccona, intermezzo e adagio,
brano per violoncello di grande escursione
dinamica e melodica. Avvincente la voluminosa
voce del soprano Laura Catrani, interprete
riminese specializzata nel repertorio
novecentesco e contemporaneo che presenta
timbriche calde ed incisive decisamente
rilevanti nella splendida intonazione
espressiva. Ricordiamo nella stessa Sala Arte
Povera il concerto dedicato a Giacinto Scelsi
previsto per domenica 18 febbraio alle ore
11.00. Da non perdere.
28 gennaio 2018 Cesare Guzzardella
Fazil Say per la
Società dei Concerti
È tornato in Conservatorio per una
serata organizzata dalla Società dei Concerti
il pianista turco Fasil Say. L'impaginato
particolarmente vario ha accostato brani
classici a sue composizioni. Partendo da Chopin
con tre Notturni e Beethoven con la
Sonata n.31 op.110 -in sostituzione della
prevista "Appassionata"op.57-, Say ha poi
eseguito sei brani di Erik Satie della serie
Gnossienne per arrivare ad
una
sua composizione del 2014 denominata Gezi
Park 2 -Sonata Op.52. Come già espresso
più volte in passato, sono molto personali le
interpretazioni "classiche" di questo ottimo
pianista. La sua personalità creativa, essendo
lui compositore, spesso sovrasta le intenzioni
dei musicisti prescelti, con risultati a volte
di alta qualità espressiva, come quelli emersi
nei Notturni di Chopin o nei minimali lavori di
Satie, a volte incerti e disomogenei come nella
nota sonata beethoveniana. L'interiorizzazione
estrema dei Notturni, eseguiti con sonorità
nascoste e sottili ma dinamicamente contrastate,
ha prodotti un eccellente risultato. Certamente
Fazil
rivela
una presenza scenica che lo mostra in simbiosi
con il pianoforte: la gestualità -non gratuita-
esprime la sua profonda personalità di musicista
in cerca di una linea musicale autonoma. Non è
dotato di tecnica eccelsa, ma questo non
influisce più di tanto sulle sue scelte
esecutive che sono espresse con grande intensità
emotiva. Il discorso è diverso quando esegue le
sue interessanti composizioni,. Queste espresse
con un linguaggio originale, rivelano una
profonda cultura musicale: partendo dalle radici
folcloriche mediterranee della sua nazione, la
Turchia, attraversano l'Europa, toccano una
certa tradizione - a mio avviso anche francese,
e non dimenticano il jazz. Il brano proposto in
lungo unico movimento si esprime tra modalità
ritmico-percussive, con l'uso totale dello
strumento sia nelle corde interne che sulla
cassa di risonanza, sia con modalità melodiche.
Gli elementi ritmici vengono variati ed
alternati a brevi sequenze melodiche dal
carattere improvvisatorio. La varietà del
lavoro, costruito in ambito tonale ma ricco di
suggestive dissonanze, ha unità compositiva
molto caratterizzante del suo linguaggio
poetico. Due i bis proposti: prima il più
celebre Notturno dall'Op.9 di Chopin,
eseguito con una ottima personalizzazione, poi
ancora un suo brano, SES, melodico
e certamente piacevole. Successo di pubblico. Da
ricordare.
25 gennaio 2018 Cesare Guzzardella
Katia e Marielle Labèque per la
Società del Quartetto
in Conservatorio
È stato un piacere ritrovare le sorelle Labèque,
Katia e Marielle, in Conservatorio, dopo alcuni
anni dall'ultimo concerto in Sala Verdi.
Conosciamo l'intelligenza musicale delle due
pianiste, sempre orientate a scelte d'impaginato
originali e trasversali ai generi musicali: dal
classico al contemporaneo, dal rock al jazz.
Hanno entrambe una formazione classica
eccellente, ed attraverso una
tecnica
di primo livello si esprimono in ogni ambito con
risultati sorprendenti. Ieri, in rosso Katia e
in nero Marielle, hanno impaginato un programma
particolarmente interessante con un monumento
iniziale quale Le Sacre du printemps di
Igor Stravinskij nella versione in bianco e
nero, quella pianistica realizzata prima della
più celebre versione per grande orchestra. Siamo
nel 1911 e in quell'anno è apparso il brano
musicale forse più celebre della cosiddetta
musica moderna. Le sorelle Labèque hanno reso il
capolavoro stravinskiano in modo mirabile
ricostruendo dinamiche "orchestrali" con le due
ottime tastiere Steinway per un' interpretazione
precisa e raffinata. La percussività, nei
momenti più concitati del rito pagano, è
stata espressa con varianti dinamiche sottili e
sapientemente articolate.
Dopo
l'intervallo la profonda leggerezza dei Six
Épigraphes antiques di Claude Debussy,
eseguiti con meditata espressività, ha
anticipato una rarità di Philip Glass (1937):
Four Movements for Two Pianos. Il brano, nel
classico stile minimale del compositore
statunitense, ha
trovato
in Katia e Marielle due interpreti ideali per
comprensione d'intenti e per resa esecutiva.
Giocato su lenti e rapidi cambiamenti della
componente armonica e melodica ha situazioni
musicali di raffinata intelligenza compositiva
che si coglie maggiormente nelle esecuzioni
live. Le Labèque hanno restituito un lavoro
particolarmente piacevole, ricco di
micro-variazioni melodiche e dinamiche, per
nulla ripetitivo come ad un ascoltatore
inesperto potrebbe sembrare. Bravissime. Due i
bis concessi con uno splendido e ritmico omaggio
a Leonard Bernstein -100 anni dalla nascita- ed
un brano jazz da West side story e un
ottimo Ravel con Le jardin féerique .
Fragorosi gli applausi al termine.
24 gennaio 2018 Cesare Guzzardella
Kavakos-Pace: un duo di eccellente qualità alle
Serate Musicali
Quando l'equilibrio tra due
strumenti come il violino e il pianoforte
raggiunge vertici inarrivabili, probabilmente
stiamo ascoltando Leonidas Kavakos ed Enrico
Pace. Ieri sera in Sala Verdi - nel
Conservatorio milanese- abbiamo avuto il
piacere
di ascoltare il violinista greco ed il pianista
riminese. Da alcuni anni coppia strumentale di
successo, il duo ha trovato ancora una volta un
equilibrio timbrico di raro ascolto. La
discrezione strumentale dei protagonisti, priva
di ogni eccessiva sonorità e attenta all'insieme
discorsivo, ha visto in Kavakos una cifra
espressiva raffinata, giocata su timbriche tenui
ed altamente pregnanti e un Pace sapiente
dosatore di suoni essenziali, precisi, netti,
ottenuti con un corretto uso del pedale. Anche
nei momenti di corpose esternazioni dinamiche il
suo suono appariva preciso, asciutto, senza
risonanze inutili ed in perfetta simbiosi con le
accurate timbriche del violino. Splendido
l'impaginato con la neoclassica Suite
Italienne di Igor Stravinskij, seguita dalla
rara ma splendida Sonata n.1 in fa minore Op.
80
di
Prokof'ev, nella quale l'elemento
percussivo,
soprattutto dello strumento a tastiera, ha
trovato genuine modalità di realizzazione. Dopo
l'intervallo, un breve e delicato Distance de
fée di Toru Takemitsu, dal sapore alla
Messiaen, ha preceduto la celeberrima Sonata
in La maggiore di Cèsar Franck -uno dei
massimi capolavori della letteratura
violinistica di fine '800- eseguita con
analitica intensità espressiva. Un concerto da
ricordare a lungo terminato col delicato e
raffinato bis nel movimento centrale
Allegretto della Sonata n.1 Op.105 di
Schumann. Applausi di soddisfazione da parte del
numeroso pubblico intervenuto.
23 gennaio 2018 Cesare Guzzardella
Prossimamente la
Camerata Ducale e Guido Rimonda a Vercelli
Il 27 gennaio la Camerata
Ducale e Guido Rimonda, direttore e violinista,
terranno un concerto al Teatro Civico di
Vercelli. Il programma prevede brani celebri di
diversi autori. Da non perdere.
23 gennaio dalla redazione
Straordinaria
Beatrice Rana per la Società dei Concerti
È certamente un'eccellente pianista la
pugliese Beatrice Rana. L'abbiamo ascoltata più
volte in questi recenti anni e ieri sera davanti
al numeroso pubblico di Sala Verdi è apparsa
ancora più brava: sicura, decisa e personale. Ha
iniziato
con
Schumann nella prima parte con Blumenstück
op.19 seguito dai celebri Studi Sinfonici
Op.13 eseguiti senza soluzione di continuità
col brano introduttivo. I celebri Studi,
decisamente sinfonici nelle mani della Rana,
erano iniziati molto pacatamente, con il tema
introduttivo particolarmente meditato quasi a
presagire scelte future non eccessivamente
movimentate. Niente di tutto questo: le numerose
variazioni hanno poi trovato andature rapide,
voluminose, taglienti, ricche di suggestive
dinamiche che hanno rilevato una pianista
solida, ricercata e personale. Di spessore la
qualità complessiva. Dopo l'intervallo
Miroirs di Maurice Ravel ha rivelato una
Rana attenta ai dettagli coloristici
particolarmente
evidenziati:
bellissima Alborada del gracioso in
contrasto con il finale, La vallée des
cloches, eseguito con modalità profondamente
pacate a dimostrazione della varietà coloristica
dell'interprete. Grande ritmica nella bellissima
rielaborazione effettuata da Agosti del celebre
Uccello di Fuoco
stravinskiano. Qui la pianista ha evidenziato in
toto di essere musicalmente una forza della
natura esprimendo tagli scultorei intensi e
suggestivi in un contesto gestuale di apparente
discrezione: una gestualità ferma ma straripante
di colori. Splendidi i due bis concessi con un
intenso Chopin e la stratosferica Toccata
di Debussy. Da ricordare a lungo.
18 gennaio 2018 Cesare Guzzardella
András Schiff per la
Società del Quartetto
E da alcune stagioni musicali che il pianista
ungherese András Schiff ha abbandonato
l'esigenza di concerti monografici dedicati a
Bach, Schubert o Beethoven per serate più
variegate con più autori che partendo da un
musicista - l'anno scorso era Bartók ora Brahms-
ruotano intorno ad esso attraverso
esecuzioni
di altri compositori. Programmi diversificati
quindi, che fanno maggiormente piacere a tutti
gli estimatori di questo grande interprete. Ieri
sera nel bellissimo concerto organizzato dalla
storica Società del Quartetto, è iniziata
la serie di recital dell'eccellente
Schiff che oltre alle Otto Klavierstücke
op.76 e le Sette Fantasie op.116 di
J. Brahms, ha anticipato la serata con la rara
Fantasia op.28 di F. Mendelssohn e con la
Sonata n.24 op.78 di Beethoven denominata
anche Thérèse-Sonate, per terminare col glorioso
J.S.Bach della Suite inglese n.6 in re
minore. Un concerto quindi che non segue
rigorosamente un ordine cronologico di
esecuzione, ma un'impaginazione ideata dal
Maestro ungherese con scelte dettate dalla sua
sensibilità artistica e
da
una logica ben precisa che era incentrata
soprattutto sulla forma della "Fantasia".
Abbiamo trovato valido il suo Mendelssohn con la
Fantasia in fa diesis minore e, nella
stessa tonalità, la Sonata Op.78 del
genio di Bonn; molto interessante e profondo il
suo Brahms, specie nelle Sette Fantasie
op.116 eseguite con evidente profondità di
pensiero. Eccellente nella resa stilistica -come
sempre- il suo Bach conclusivo con la Suite
particolarmente interiorizzata ed interessante
l'accostamento alle tarde Fantasie di Brahms.
Ancora Bach nel bis concesso con il celebre
Concerto italiano eseguito in due momenti:
lunghi applausi dopo l'Allegro iniziale,
e completamento con gli altri due movimenti. Il
numeroso pubblico intervenuto ha festeggiato il
ritorno di Schiff tributandogli al termine
fragorosi applausi. Da ricordare a lungo.
Cesare Guzzardella 17 gennaio 2018
Roberto
Cappello alle Serate
Musicali del Conservatorio
milanese
È tornato in Conservatorio il
pianista Roberto Cappello per le Serate
Musicali. Dopo averlo ascoltato in questi
anni in tanto Gershwin, è stata una scelta nuova
e coraggiosa quello dell'eccellente pianista
pugliese nel proporre Schubert col ciclo
Schwanengesang
e Beethoven con la Sinfonia n.5
rivisitati dal grande virtuoso-compositore Franz
Liszt. Non avevo ancora ascoltato live il
celebre ciclo liederistico de Il canto del
cigno del grande compositore viennese nella
rivisitazione pianistica di Liszt e devo dire
che l'interpretazione
accurata di Cappello nel presentare i 14 lieder
organizzati in successione diversa rispetto la
versione originale per canto e pianoforte, mi è
piaciuta molto per la complessiva cifra
stilistica che fa emergere tra i momenti più
intimi
e poetici e quelli di più tragica estroversione
una incredibile varietà di contrasti. Il
pianista mette in rilievo mirabilmente il canto
schubertiano tradotto con le geniali armonie di
Liszt che fanno trasparire anche l'insuperabili
qualità virtuosistiche dell'ungherese. Dopo
l'intervallo la trascrizione pianistica
lisztiana della celebre Sinfonia n.5 in do
minore del genio tedesco ha elevato ad un
gradino ancora più alto il bellissimo concerto
serale. L'interpretazione decisa e scultorea di
Cappello ha messo in rilievo in toto il
carattere di Beethoven e l'abilità di Liszt nel
sottolineare ogni dettaglio del noto capolavoro,
questa volta interamente con caratteristiche
tutte del tedesco. Bravissimo Cappello in questa
restituzione musicale tra le migliori ascoltate
in questi anni. Splendido il delicato bis con
ancora Schubert-Liszt nella celebre Ave Maria.
Da ricordare.
9 gennaio 2018 Cesare Guzzardella |