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SETTEMBRE
2020
TRA ACROPOLI
E MURA CICLOPICHE
Anagni: siamo in Ciociaria,
ed è da questa città saturnia che è iniziata la
nostra esplorazione di un territorio laziale
davvero splendido - il cui nome deriva da ciocia,
calzatura rustica di antichissima origine -
tenendo come base Fiuggi (vedi Andar per terme).
Anagni evoca immediatamente un famoso schiaffo
di oltre 700 anni fa. Era infatti l'8 settembre
1303 quando il papa Bonifacio VIII - cui è
dedicata la fonte
principale di Fiuggi!- subì
qui un grave oltraggio, forse più morale che
realmente fisico, da Giacomo Colonna (detto
Sciarra, in volgare attaccabrighe) o, secondo
alcuni storici, da Guglielmo di Nogaret,
cancelliere del re di Francia Filippo IV di
Valois, detto il Bello. La storia si intreccia
con la leggenda: occorre comunque ricordare che
Bonifacio, della potente famiglia anagnese dei
Caetani, figura molto forte di papa-imperatore,
stava per promulgare un'ennesima bolla contro
Filippo, con la quale l'avrebbe scomunicato.
Chiesa e Stato si combattevano anche così, a
colpi di bolle e di schiaffi! Filippo, che
considerava suo diritto tassare e giudicare il
clero in Francia, aveva bruciato nel 1301 le
prime due bolle papali contro di lui e aveva
contraffatto la penultima, proibendo ai vescovi
francesi di partecipare al sinodo del 1302 a
Roma. Deciso a risolvere la questione una volta
per tutte, appoggiato dal Consiglio di Stato,
incaricò dunque il Consigliere per gli affari
religiosi Guglielmo di Nogaret di catturare
Bonifacio e di condurlo a Parigi perchè fosse
processato, con l'accusa pesantissima di essere
stato l'assassino del predecessore Celestino V,
nonché eretico, sodomita, simoniaco...Giunti ad
Anagni, il Nogaret e il Colonna arrestarono il
papa, forse dopo averlo colpito con un guanto di
ferro, e lo tennero prigioniero per tre giorni;
la città però si ribellò e riuscì a liberarlo.
Un mese dopo il settantasettenne Bonifacio,
afflitto da gotta e problemi renali, ma certo
anche provato dall'assalto, spirava a Roma. La
figura controversa di questo pontefice richiama
un periodo storico molto complesso che merita
senz'altro approfondimenti; e occorre citare
Dante, che nel XIX canto dell'Inferno prevede
l'arrivo di Bonifacio VIII (non ancora defunto,
il viaggio dantesco è collocato nel 1300! )
nella terza bolgia dell'ottavo cerchio, quella
dei simoniaci, ognuno a testa in giù dentro una
fossa, con i piedi bruciati dalle fiamme. "Se' tu già costì ritto,/se' tu già costì ritto,
Bonifazio?". Dante era un guelfo bianco;
essendoci forti contrasti a Firenze con i guelfi
neri, appoggiati dal papa, l'Alighieri, che
all'epoca ricopriva incarichi di governo, fu
inviato a Roma come ambasciatore nel 1302. Non
ottenne alcun accordo con Bonifacio, nonostante
una lunga anticamera; anzi, fu poi costretto
all'esilio perchè nel frattempo il nuovo podestà
di Firenze, Cantuccio Gabrielli, guelfo nero,
l'aveva condannato al rogo accusandolo di frode,
proventi illeciti, pederastia ... L'esilio fu
fecondo perchè la Divina Commedia fu scritta
proprio in quegli anni, ma Dante non riuscì più
a tornare a Firenze. La sua ostilità nei
confronti di Bonifacio VIII è dunque
giustificata! Tuttavia, nel XX canto del
Purgatorio (vv.85-93), Dante citerà lo schiaffo
di Anagni sotto forma di profezia post eventum,
condannando apertamente l'aggressione: Filippo
diventa il "novo Pilato sì crudele" che ha fatto
catturare il vicario di Cristo, in modo da "rinovellar
l'aceto e il fiele". La sede pontificia fu poi
trasferita ad Avignone, dal 1309 fino al 1377:
d'altronde, il papa Clemente V, eletto nel lungo
conclave del 1305, era, guarda caso, francese...
Il richiamo a queste vicende nasce visitando il
Palazzo di Bonifacio VIII, con la Sala delle
Oche e la bellissima Sala delle Scacchiere, dove
la
tradizione vuole che si consumasse
l'oltraggio. Una statua di Bonifacio campeggia
quasi trionfante, su una sorta di trono
sovrastato da un baldacchino di marmo, su un
lato dell'imponente cattedrale romanica di
S.Maria Annunziata,del XII secolo. Per visitare
la chiesa occorre acquistare il biglietto per il
Museo della Cattedrale (intero 9 euro). E si
inizia un itinerario artistico meraviglioso,
passando dalla Biblioteca - che conserva
incunaboli del XV secolo, risalenti agli albori
della tipografia - alle sagrestie con un tesoro
di preziosi oggetti sacri, alle tre navate dal
pavimento cosmatesco della cattedrale, per
giungere alla Cappella Caetani e all'Oratorio-
antico mitreo romano del I-II sec. d.C.-
dedicato a Thomas Becket, l'arcivescovo inglese
trucidato a Canterbury nel 1170 a causa di
dissidi con il re Enrico II, e fatto santo tre
anni dopo. Qui le pareti presentano splendide
pitture che rappresentano scene bibliche,
insieme alla vita e alla morte di Becket. Ma è
scendendo nella cripta di San Magno che si resta
davvero stupefatti: un ciclo di affreschi
perfettamente conservati, opere di maestri
anonimi vissuti tra il XII e il XIII secolo, che
porta chi osserva a entrare nella cosmologia
antica, nella filosofia di Platone e di
Aristotele, nell'Apocalisse, nei temi insomma
più profondi
toccati dalla cultura medioevale.
L'appellativo di "Cappella Sistina" del Medioevo
è pienamente meritato! Anagni occupa la parte
sommitale di una collina; a ridosso di questa,
lungo le circonvallazioni, si notano tratti di
cinta muraria, fortificazioni risalenti al
IV-III sec. a.C. che presentano veri propri
macigni di pietra calcarea. Furono gli
archeologi del '700 e dell''800 a soprannominare
queste mura "ciclopiche": e l'esempio più
impressionante si può osservare soprattutto ad
Alatri, anch'essa sopra
un colle a 500 m di
altezza. In questa città l'acropoli, del IV
sec.a.C, ha una grande cinta trapezoidale di
enormi blocchi poligonali incastrati a secco,
con due porte; un architrave monolitico, secondo
in Europa solo alla Porta dei Leoni di Micene,
sormonta la Porta di Civita o dell'Areopago,
superata la quale si salgono dodici gradini per
giungere nel vastissimo piazzale alberato da cui
si gode un magnifico panorama. Qui si trova la
concattedrale di San Paolo Apostolo, rifatta nel
XVIII sec., che conserva la reliquia medioevale
detta "Ostia incarnata", in un tabernacolo
dorato sorretto, in alto, da due mani di bronzo.
La vicenda coinvolge il papa Gregorio IX,
destinatario nel 1228 di una lettera del vescovo
di Alatri che lo informava di un "miracolo
eucaristico": un'ostia trattenuta in bocca, non
deglutita, e poi messa in un panno era diventata
un pezzo di carne sanguinolenta! Una "certa
giovane" aveva commesso il peccato su
sollecitazione di una "malefica donna", per poi
pentirsi visto quanto accaduto: forse voleva
preparare un filtro d'amore su ricetta di una
fattucchiera... Con una bolla (tanto per
cambiare) Gregorio gioisce per il miracolo e nel
contempo ordina punizioni per le due colpevoli:
non ci è dato sapere quali, ma dato il periodo
di caccia alle streghe, possiamo purtroppo
immaginare le sofferenze cui furono sottoposte.
Solo tre anni prima il Concilio Lateranense
aveva definito la dottrina della
Transustanziazione, quindi il dogma veniva così
rafforzato, anche se erano necessarie due povere
donne come vittime sacrificali. Lasciata
l'acropoli, eccoci davanti alla Chiesa di Santa
Maria Maggiore, romanico-gotica, con un
magnifico rosone. Tra Anagni e Alatri non
possono però mancare altre due visite importanti.
A Ferentino, antica città contesa da Ernici,
Volsci e Romani per la fertilità della sua terra
(da qui il nome), in cima a un colle che domina
la valle del Sacco, si sale una strada che porta
all'acropoli, passando davanti a un mercato
romano coperto, del I sec a.C., con cinque
botteghe ad arcate. Si raggiunge il bel Duomo
romanico (la concattedrale dei Santi Giovanni e
Paolo)con pavimento cosmatesco del XII sec.; dal
piazzale, una vista stupenda.Da vedere anche
l'abbazia di S.Maria Maggiore, una delle prime
in stile gotico-cistercense, di notevole
importanza; nei pressi, i resti del teatro
romano e la Porta Sanguinaria.La cinta delle
mura ciclopiche è ben conservata. Fumone
raggiunge quasi gli 800 m di altezza, in cima al
Monte omonimo, ed è un borgo medioevale
affascinante: deve il suo nome al fatto che da
qui - il panorama è vastissimo - partivano
segnali di fumo per avvisare i territori vicini
di eventuali invasioni normanne o saracene. Nel
castello di Fumone, nel 1295, fu imprigionato il
già nominato papa Celestino V, il predecessore
di Bonifacio VIII: aveva rinunciato al
pontificato (ma forse l'atto di rinuncia fu
stilato proprio dal cardinale Benedetto Caetani,
il futuro Bonifacio) e fu per questo
soprannominato "Il papa del Gran Rifiuto". Qui
morì l'anno dopo, forse fatto uccidere appunto
dal "papa dell'oltraggio di Anagni". Nel
castello vi è il Museo Celestino V, che conserva
molte reliquie del medesimo, tra cui un pezzo di
cuore e un dente, ma ci sono anche, giunti
ovviamente dalla Terra Santa, "un frammento
della croce", "resti di S.Pietro e S. Paolo",
etc etc. Purtroppo un'antenna della RAI alta 78
m, posta nel 1964 in cima al Monte Fumone, a
ridosso del centro storico, su terreno privato
di proprietà del Vaticano, deturpa sicuramente
il paesaggio. Sindaco e abitanti sperano in un
"Gran rifiuto" del traliccio, che impedisce a
questo borgo di essere dichiarato tra i più
belli d'Italia: ma a tutt'oggi, l'enorme e
fastidiosa antenna resta in un luogo che doveva
essere tutelato a ogni costo, e sarebbe quindi
un vero miracolo che di questa possa presto
restare solo il ricordo! Ritornando verso Fiuggi
abbiamo fatto una sosta sulle rive del Lago di
Canterno, di origine carsica: una riserva
naturale da preservare meglio, perchè ci ha dato
un'idea di trascuratezza e abbandono.
Un altro circuito sicuramente
suggestivo ha riguardato monasteri medioevali,
un tempo mete di pellegrinaggi importanti e
ricchi di storia. Siamo giunti al mattino a
Subiaco e, da qui, abbiamo preso la strada
alquanto tortuosa per il Sacro Speco, parcheggiando (con difficoltà) a qualche decina
di metri dall'ingresso. E' il bellissimo
Monastero di San Benedetto; il suo soprannome
prende origine dal fatto che al suo interno è
conservata la grotta (speco) dove Benedetto da
Norcia trascorse tre anni da eremita, all'inizio
del VI secolo, prima di diventare monaco. Il
Santuario, sorretto da nove arcate e
contrafforti, è incastonato nella roccia, su una
parete del Monte Taleo, e risale all'XI sec.
Domina la valle dell'Aniene, tra fitti boschi.
La visita, a gruppi, è guidata: si entra per una
piccola porta gotica in un corridoio con pitture
murali, si passa da una sala capitolare e si
giunge nella chiesa superiore, con cicli di
affreschi di scuola senese del XIII-XIV sec.,
dai colori ancora vivissimi, riguardanti la
Crocifissione di Cristo, storie della Passione,
la Resurrezione e la vita della Madonna; alcuni
episodi della vita di Benedetto ci informano del
fatto che era solito punire duramente, a
bastonate (!) i giovani che non si adattavano
alle rigide regole della vita monastica e che
magari venivano considerati "indemoniati". Fu
forse per questo suo comportamento non certo
amorevole che qualcuno tentò per ben due volte
di avvelenarlo, con una coppa di vino e con un
pezzo di pane! A causa delle restrizioni da
Covid la nostra visita purtroppo non ha potuto
interessare alcuni ambienti di dimensioni
ridotte: in uno di questi, una cappella, si
trova il più antico ritratto di san Francesco,
che era venuto al Sacro Speco tre anni prima
della sua morte. Si passa alla chiesa inferiore,
dove si può vedere l'anfratto roccioso venerato
dai pellegrini, ammirando nel contempo altri
straordinari affreschi, con Storie della vita di
S. Benedetto. Tra questi, uno lo raffigura
insieme al papa Innocenzo III, che nel 1202
concesse con una bolla privilegi speciali ai
monaci dello Speco. Scendendo la scala santa,
ecco il bellissimo affresco "L'eremita Macario
mostra a tre giovani le condizioni della morte".
Ritornati con l'auto verso valle, ci siamo
fermati al Monastero di Santa Scolastica,
l'unico, tra i dodici monasteri fondati da
S.Benedetto intorno a Subiaco, ad aver resistito
a terremoti e attacchi saraceni. Scolastica da
Norcia era la sorella gemella di Benedetto, e il
monastero le fu intitolato nel XIV sec.
Ristrutturato più volte, ha chiostri bellissimi:
uno rinascimentale (XVI sec.), un secondo gotico
(XIV sec.) e un terzo cosmatesco (XIII sec.),
purtroppo quest'ultimo non visitabile
attualmente. Qui, nel 1465, si inaugurò la prima
tipografia italiana, grazie a due chierici
tedeschi allievi di Gutenberg. Anche la vita di
Scolastica, che entrò in convento giovanissima e
fondò l'ordine delle suore benedettine, si
intreccia a numerose leggende, a storie di
miracoli e reliquie, e naturalmente, alle
vicende biografiche del fratello. Scendendo
ancora lungo la strada, nei pressi dei resti
archeologici (piuttosto trascurati) della "Villa
di Nerone", si può raggiungere un parcheggio a
pagamento che consente di iniziare un percorso a
piedi di circa mezz'ora, nel bosco e sulla riva
del torrente, molto piacevole.
L'ingresso è
attualmente contingentato, occorre mettersi in
coda perchè la meta è molto ambita, anche per
rinfrescarsi: si tratta del laghetto di
S.Benedetto, dalle acque trasparenti color
smeraldo, dove l'Aniene si getta con una bella
cascata. Siamo alla "porta d'ingresso" del Parco
Naturale dei Monti Simbruini, catena appenninica
al confine tra Lazio ed Abruzzo. Spostandosi poi
verso la Ciociaria orientale si incontra
un'altra abbazia importante, isolata, quella
gotico-cistercense di Casamari, il cui nome
significa "Casa di Mario": Caio (Gaio) Mario,
condottiero romano sette volte console e
avversario di Silla, nacque in questi luoghi (Cereatae)
nel 157 a.C, ed è ancora ricordato (la via Mària
è una strada importante della zona). Perfino il
nome Camargue sembra derivi da "Caii Mari Ager":
non dimentichiamo che Mario aveva conquistato la
Gallia transalpina. Fondata nel 1095, l'abbazia
passò nel 1151 dai benedettini ai cistercensi,
che la ricostruirono e la resero uno dei centri
monastici più importanti dell'epoca, fino alla
sua decadenza nel XVIII sec. Si visita il
chiostro (che presenta stupende colonnine dalle
forme inconsuete), da cui si accede alla bella
Sala Capitolare e poi alla chiesa, a tre navate,
gotica, con vetrate e rosoni in lastre di
alabastro, da cui penetra una meravigliosa luce
giallo-ocra, davvero suggestiva. A una decina di
km si raggiunge Véroli, in cima a un colle: ed
eccoci di nuovo davanti a resti di mura
ciclopiche e a un'acropoli con magnifico
panorama, nonchè a edifici e quartieri
medioevali ben conservati. Interessante la
chiesa di S.Maria di Sàlome, che conserva al suo
interno una "scala santa" di dodici gradini di
marmo, fatta costruire tra il 1715 e il 1740.
"Si sale in ginocchio" recita un biglietto.
Lasciando ai devoti la sofferenza correlata a
tale pratica di origine medioevale, associata
alle indulgenze, ci siamo spostati ad Arpino,
ultima città saturnia da noi
visitata, passando
da Isola del Liri, una cittadina molto graziosa,
nel cui centro storico si può ammirare lo
spettacolo di una cascata di 27 m. Il fiume Liri
si divide in due rami e fa qui un salto
imponente, la Cascata Grande, appunto, creando
uno scenario davvero unico, soggetto spesso
scelto dai pittori romantici europei. Arpino (il
cui nome forse deriva dal fatto che si estende
sui colli con una forma "ad arpa") è la "Città
di Cicerone": nel suo territorio infatti nacque,
nel 106 a.C., Marco Tullio Cicerone, non solo
politico, avvocato e pater patriae per aver
denunciato in senato la congiura di Catilina
contro la Repubblica, ma soprattutto scrittore
ed oratore - "principe dell'eloquenza" - tra i
più importanti di tutta l'età romana, modello,
per la sua prosa, della letteratura latina. Una
sua statua in bronzo (Ferruccio Vecchi, 1958)
campeggia nella bella piazza del Municipio,
davanti ai resti del lastricato del decumanus
maximus, e, poco distante, ecco la statua di
Caio Mario (1938). Una passeggiata a piedi porta
a un magnifico belvedere sulla valle del Liri,
mentre in auto si può percorrere una strada di
circa 3 km che sale ai 650 m dell'acropoli,
detta "Civitavecchia": e qui si possono ammirare
straordinarie mura ciclopiche dell'VIII-VI
sec.a.C .,nelle quali
si apre un arco a sesto
acuto (o meglio un arco a mensola) che evoca
paesaggi dell'antica Grecia, in particolare le
porte scee. Una torre medioevale, residuo di un
castello merlato, detta "Torre di Cicerone" si
erge solitaria nei pressi, su un pianoro erboso
da cui si gode una bel panorama. L'ultima meta
di enorme interesse che abbiamo raggiunto
partendo da Fiuggi, nel nostro tour ciociaro, è
stata Palestrina, l'antica Praeneste. E in
questo luogo ritroviamo tracce di Caio Mario,
perchè il figlio ventiseienne Gaio
Mario il
Giovane trovò qui la morte, forse per suicidio,
dopo la sconfitta contro Silla (82 a.C) nella
prima guerra civile romana. Silla fece poi
uccidere tutti gli abitanti maschi di Praeneste.
Ma troviamo anche le orme di Bonifacio VIII, che
nel 1299 fece radere al suolo Palestrina, città
dei principi Colonna, suoi acerrimi nemici; e si
comprende quindi anche il motivo per cui un
Colonna, il già citato Sciarra, fosse poi ad
Anagni: vendicava così la sua famiglia e la sua
città! In questa lunga storia di stragi e
distruzioni è comunque riuscito ad arrivare fino
a noi abbastanza integro, riscoperto con
importanti scavi archeologici, uno dei siti più
importanti dell'antichità: il Santuario della
Dea Fortuna Primigenia (II sec. a C.).
L'ingresso è dall'alto, davanti al Palazzo
Barberini-Colonna, la cui architettura è in
perfetta sintonia con l'emiciclo sottostante; si
può scendere e poi
risalire le scalinate, che
congiungono ben sei terrazze da cui ammirare il
magnifico panorama. E' il complesso più grande
del periodo romano tardo-repubblicano che sia
giunto a noi; ricorda costruzioni ellenistiche,
come il tempio di Atena Lindia a Rodi. Sorto su
un luogo di antichissimo culto, sulle pendici
del monte Ginestro, vi si venerava una dea che
era sia la figlia primogenita di Giove che sua
madre, quindi simbolo dualistico e archetipo
della fecondità e della nascita, associato alla
divinità egizia Iside; nel tempio inferiore un
oracolo importante, paragonabile a quello di
Delfi, forniva responsi ai devoti che lo
interpellavano, tramite il sorteggio di
tavolette di legno di quercia incise con una
lettera antica (sortes) da parte di un bambino
che
simboleggiava Iupiter Puer, invocato dalle
madri di Praeneste. Le sortes, che venivano poi
combinate in vario modo dai sacerdoti per dare
il responso, erano conservate in un'arca
costruita con il legno di un ulivo, albero sacro
del santuario, da cui sarebbe stillato miele
come segno prodigioso. Mura ciclopiche, colonne,
vasche, portici, nicchie, pozzi: tutto
testimonia una grandiosità solenne e incute un
senso di mistero. Del piccolo tempio circolare
in alto restano solo le fondazioni: la statua
della dea Fortuna, in bronzo dorato, era al suo
interno.
A noi è rimasta una grande testa in
marmo bianco rinvenuta durante gli scavi; e
immagini della dea Fortuna, con la cornucopia,
simbolo di abbondanza, sono piuttosto frequenti,
anche se di diverse epoche e luoghi. Cicerone
racconta le origini del culto prenestino nel De
divinatione (II, XLI, 85), associandole a sogni
di un certo Numerio Suffustio e criticando
fortemente, da intellettuale razionale qual era,
gli aspetti legati alla superstizione e alla
credulità del "popolino". Un'interessantissima
collezione di statue, terrecotte, corredi
funerari si può ammirare nel Museo Archeologico
Nazionale ospitato nel Palazzo Barberini-Colonna,
il cui biglietto d'ingresso comprende anche la
visita al Santuario. Il "pezzo forte" del museo
è un grande
mosaico del I sec.a.C, il "Mosaico
del Nilo", di autore sconosciuto, che
rappresenta un'inondazione del fiume ed è
considerato un capolavoro dell'arte musiva
ellenistica. Fu scoperto tra la fine del XVI
secolo e l'inizio del XVII sul pavimento della
cantina dell'allora Palazzo Vescovile, che altro
non era se non l'antica aula absidata del Foro
civile dell'antica Praeneste, dove si doveva
trovare una statua della dea Fortuna con in
grembo Giove e Giunone lattanti. Più volte
staccato e restaurato (vedere l'interessante
documentario "Restauro del mosaico del Nilo", di
Salvatore Aurigemma, 1954), viene interpretato
in modi differenti dai critici d'arte: per
alcuni è una sorta di carta geografica
dell'antico Egitto, per altri è una celebrazione
della sua conquista da parte di Ottaviano
Augusto, per altri ancora è un omaggio a Iside.
E questa lettura è più consona al luogo e alla
sua storia! La sala absidata del Foro è
visitabile: occorre arrivare in centro, nei
pressi del Duomo, e dalla piazza, in mezzo alla
quale si trova la statua del famoso compositore
e organista Pierluigi da Palestrina, che qui
nacque nel 1525, si varca un portone. Ci si
trova in ambienti immensi, con resti di statue e
colonne. Il custode, che molto gentilmente ci ha
consentito l'ingresso nonostante l'imminente
orario di chiusura, ci ha detto che tanto c'è
ancora da portare alla luce, scavando e sondando
il sottosuolo di Palestrina. E non si stenta a
crederlo. Il nostro Paese non è solo una
meraviglia da scoprire continuamente, è anche
uno scrigno di inestimabili tesori nascosti. E a
volte qualcosa emerge. Per fortuna.
Milano, settembre 2020 Anna
Busca
ANDAR PER
TERME
di Anna Busca
Al nostro itinerario della seconda metà di agosto
2020 abbiamo voluto dare un significato-simbolo
legato alla salute e al relax, optando per un
percorso nell'Italia centrale che avesse come
fil rouge località termali. Ma il nostro viaggio
in realtà non ha contemplato affatto
l'utilizzo
di terme o centri benessere: ci siamo
semplicemente goduti paesaggi meravigliosi,
luoghi ricchi di storia, capolavori artistici.
Un vero tuffo nella Bellezza del nostro Paese.
Il punto d'inizio è stato, ancora una volta,
Montecatini Terme: tre notti all'elegante Grand
Hotel Plaza & Locanda Maggiore di piazza del
Popolo, nel cuore della città - albergo storico
prediletto da Giuseppe Verdi che qui trascorse
molte estati, fino al 1900 - ci hanno consentito
di riposarci in una cornice stupenda, di
utilizzare la bella piscina del solarium e al
contempo di visitare le vicine Lucca e Pistoia,
già a noi note ma sempre piacevolissime da
riscoprire. Imperdibili le
passeggiate sulle
mura di Lucca - da cui scendere per entrare nel
bellissimo Duomo di San Martino, che conserva il
magnifico monumento funebre di Ilaria del
Carretto - e tra i vicoli e le piazze del centro
storico di Pistoia, dove non si può mancare il
Duomo dei Ss.Zeno e Jacopo, con il portale
centrale sormontato da maioliche e terrecotte
smaltate di Andrea della Robbia. Abbiamo anche
tentato di vedere, a Santomato, Villa Celle, che
possiede la collezione Gori, iniziata nel 1982 e
considerata una delle più preziose raccolte di
arte contemporanea "ambientale" in Europa. In un
parco all'inglese e nei terreni agricoli
circostanti, si trovano disseminate
installazioni e opere di noti artisti della Land
Art, fuse con il paesaggio stesso. Peccato che
la villa, privata, fosse chiusa! La visita è
solo su prenotazione (info@goricoll.it) e in
questo periodo è senz'altro più difficile
organizzarla... La tappa a Serravalle Pistoiese
invece, ci ha portato a scoprire un borgo
medioevale conteso nel XIII e XIV secolo tra
Lucca, Pistoia e Firenze, per la sua posizione
strategica. I resti di due fortezze testimoniano
il ruolo importante assunto da Serravalle; la
Rocca Nuova fu completata da Castruccio
Castracani, duca di Lucca, della famiglia
ghibellina bianca degli Antelminelli.
Esiliato a
Pisa nel 1300, visse a lungo in Inghilterra e in
Francia; ritornò nel 1314 come comandante delle
truppe ghibelline che sconfissero i guelfi di
Firenze nella battaglia di Montecatini del 29
agosto 1315. Tra battaglie vittoriose e azioni
di devastazione dei territori nemici (aveva
perfino progettato di deviare l'Arno per
allagare Firenze!), il condottiero Castruccio
condusse una "vita spericolata" alternando
acclamazioni, onori, scomuniche, condanne,
periodi di prigionia. Il suo motto era "Inexspugnabilis".
Fu un protozoo, il plasmodio della malaria, a
sconfiggerlo; una puntura di Anopheles nelle
campagne pistoiesi fu più letale di qualsiasi
arma! La visita alla Rocca, oltre a suscitare
curiosità e interesse per la sua storia, porta
anche alla salita in cima a una torre da cui si
può ammirare un bellissimo panorama. Prima di
raggiungere Chianciano, la seconda città termale
del nostro tour, ci siamo fermati una notte a
Prato (Hotel President, via A.Simintendi 20),
che deve il suo nome proprio ad una piana erbosa
situata tra la rocca e il mercato. L'imperatore
Federico II di Hohenstaufen fece qui erigere (a
partire dal 1240 circa) un castello a pianta
quadrata, che prese a modello le rocche
imperiali pugliesi.
E' il magnifico Castello
dell'Imperatore (si può entrare gratuitamente
nel cortile e salire a percorrere l'intero
camminamento sulle mura, con vista sulla città),
unico esempio di architettura sveva del
Nord-Centro Italia. La sera, illuminato da luci
colorate, risulta davvero suggestivo. Molto
interessante anche la cattedrale di S.Stefano,
che ha all'interno cappelle affrescate da
Filippo Lippi e Paolo Uccello; presenta una
bella facciata quattrocentesca in marmi bianchi
e verdi e un curioso pulpito esterno dal grande
baldacchino a ombrello, sulla destra, opera di
Michelozzo e Donatello nel decennio tra il 1428
e il 1438 (le formelle originali di Donatello
sono state però trasferite per precauzione al
museo del Duomo). Lo scopo di
tale costruzione è
legato a una reliquia, per la cui custodia era
già stata ideata alla fine del '300 una fastosa
cappella interna, affrescata da Agnolo Gaddi con
la Storia di Maria Vergine e della Cintola. Si
tratta appunto del cosiddetto "Sacro Cingolo":
una striscia lunga quasi 90 cm di lana caprina
color verde chiaro intessuta con fili d'oro,
conservata in una lunga teca di cristallo e
metalli preziosi, che viene mostrata su questo
pulpito dal vescovo ai fedeli, in giorni
particolari del calendario liturgico, come la
festa dell'Assunta del 15 agosto. E trovandoci
noi nella piazza semivuota proprio nel tardo
pomeriggio di Ferragosto, abbiamo potuto
assistere a questa cerimonia medioevale, con
tanto di trombettieri in costume blu e rosso,
ostensione solenne del cingolo (sul pulpito
c'era anche il sindaco di Prato), spargimento di
incenso... La leggenda vuole che fosse la
cintura della Madonna, da lei lasciata a san
Tommaso come prova della sua Assunzione e
successivamente passata di mano in mano, fino al
suo casuale ritrovamento a Gerusalemme da parte
di un mercante pratese, nel XII sec.
Costui la
donò al proposto della pieve di S.Stefano. E'
evidente che si tratti di uno dei tanti "falsi
medievali" (basti pensare al "prepuzio di
Cristo" o al "latte della Vergine", o alla
surreale doppia testa del Battista, di ragazzo e
di adulto) che all'epoca servivano come
strumenti di potere e diventavano simboli delle
città stesse, spesso associati a prodigi e
proprietà miracolose. Lo stesso Boccaccio
esprime in una novella del Decamerone (l'ultima
della sesta giornata) il suo pensiero irridente
sul proliferare delle false reliquie, spesso
spacciate come provenienti dalla Terra Santa,
raccontando la burla di cui è fatto oggetto il
personaggio di Frate Cipolla, che vuole
presentare ai fedeli creduloni una "piuma
dell'arcangelo Gabriele": in realtà, una penna
di uccello...Spostandoci nella vicina piazza del
Comune siamo poi entrati nel Museo civico di
Palazzo Pretorio: l'edificio è il risultato
dell'ampliamento di una costruzione romanica, in
mattoni, con una parte in stile gotico; e
materiali e stili diversi rendono riconoscibile
l'aggiunta ma al contempo si fondono molto bene.
La Galleria contiene splendide opere d'arte, in
particolare di artisti del Rinascimento quali
Luca Signorelli, Filippo Lippi, Donatello,
Andrea della Robbia. Di nuovo si incontra il
Sacro Cingolo, soggetto di una narrazione
pittorica risalente al 1337,
opera di Bernardo
Daddi; bellissima la sala delle sculture, con
capolavori del lituano Jacques Lipchitz, uno dei
maggiori esponenti della scultura cubista.
Abbiamo anche potuto visitare la mostra "Dopo
Caravaggio", prorogata fino al 6 gennaio 2021,
con magnifici dipinti di pittori della scuola
napoletana del '600, come il Battistello e
Jusepe de Ribera. Se si vuole poi dare
un'occhiata a un museo di arte contemporanea,
non si può certo mancare l'avveniristico Centro
Pecci, viale della Repubblica 277 ( www.centropecci.it),
aperto nel 1988 su progetto dell'architetto
razionalista Italo Gamberini (e ampliato
successivamente da Maurice Nio). Appare come una
sorta di isolata e gigantesca astronave dorata:
all'interno la superficie espositiva raggiunge i
3000 mq; si aggiungono un auditorium-cinema, una
biblioteca, un ristorante...La visita è davvero
di grande interesse per le mostre di alto
livello e per le collezioni esposte. Noi abbiamo
dedicato maggiore attenzione all' exhibition
"The Missing Planet" che ripercorre, tra
metafora e realtà, la storia della conquista
dello spazio da parte dell'URSS, insieme a
tessere di un mosaico complesso che comprende
film, testi, vicende umane e politiche del
Pianeta Rosso (e in questo caso non è Marte!).
Da Prato ci siamo dunque
spostati a Chianciano Terme (Park Hotel, via
Roncacci 30), seguendo una splendida strada tra
i colli toscani di San Gimignano, Siena,
Montalcino, che ha contemplato solo un paio di
tappe (potevano essere infinite, vista la
bellezza dei luoghi!!), ossia Poggibonsi, nel
Chianti, e Monteriggioni, affascinante borgo
fortificato del senese, citato da Dante nel XXXI
canto dell'Inferno - ..."su la cerchia tonda
Montereggion di torri si corona,..."-molto
frequentato dai turisti. Chianciano Terme ci ha
inaspettatamente deluso, soprattutto dal punto
di vista urbanistico. La città è distribuita a
forma di "S", lungo una sorta di costone su cui
si dipana una strada piuttosto lunga.
Innumerevoli alberghi si susseguono ai lati, e
molti di questi necessiterebbero di restauri;
parecchi sono chiusi (certamente il lockdown per
Covid ha avuto il suo peso) e alcuni addirittura
abbandonati al degrado, il che dà, in alcuni
punti, un'immagine di squallore che il luogo non
merita affatto, visto il bellissimo paesaggio
circostante e le sicure potenzialità turistiche.
Ad un'estremità si trova Chianciano Vecchia,
borgo medioevale che potrebbe essere
maggiormente valorizzato. All'estremità opposta
ecco le Piscine Termali Theia e le Terme
Sensoriali. I costi d'ingresso variano, così
come il tipo di utilizzo e i pacchetti offerti (da
35 a 45 euro i giornalieri). La grande Piazza
Italia funge da zona di ritrovo, soprattutto
serale. Un trenino su gomma, il "Chianciano
Express", percorre la strada su e giù, per i
bambini e per i visitatori che non si sentono di
camminare troppo: e in effetti spostarsi da una
parte all'altra a piedi risulta faticoso,
soprattutto in una calda giornata estiva. Il
verde non manca, e questo è certamente un pregio
di Chianciano. La posizione è senz'altro
strategica per visitare alcuni "tesori" della
provincia di Siena: e fermandoci tre notti siamo
riusciti a compiere brevi tour e visite che ci
hanno pienamente soddisfatto. Eravamo già stati
a Montepulciano e a Pienza, ma rivedere i loro
preziosi centri storici, veri e propri
capolavori di architettura rinascimentale (e
barocca) su un impianto squisitamente medioevale,
è stato comunque una riscoperta. Non potevamo
poi trascurare la collegiata romanica di San
Quirico d'Orcia e la magnifica abbazia
benedettina di S.Antimo, fondata forse da Carlo
Magno intorno all'800. Al suo interno,
dall'atmosfera suggestiva sia per la luce che
entra dalle finestre che per l'estrema
semplicità del luogo, si possono ammirare
straordinari capitelli, scolpiti dal maestro di
Cabestany. In Val d'Orcia una meta d'obbligo,
visto il filo conduttore del nostro viaggio, è
stata Bagno Vignoni. Già i
Romani conoscevano le
proprietà benefiche delle sue acque alcaline,
che provengono da oltre 1000 m di profondità e
scaturiscono alla temperatura di circa 52°C,
raccolte in una grande vasca termale di origine
cinquecentesca al centro del paese, dove però è
proibito immergersi. Per farlo gratuitamente
occorre recarsi al sottostante Parco dei Mulini:
le acque, allontanandosi dalle sorgenti, si
raffreddano, ma dovrebbero comunque dare
sollievo in caso di artrite e dolori muscolari.
Chi invece desidera comfort e può regalarsi
qualche lusso può alloggiare in un elegante
resort con centro benessere, piscine, palestre...Certo
in questo caso si è molto lontani dall'immagine
del pellegrino che, seguendo la via Francigena,
si fermava per rinfrancare corpo e spirito nelle
acque termali! L'ultima meta raggiunta da
Chianciano, in un quarto d'ora di automobile, è
stata Chiusi, città di antichissime origini, che
raggiunse il massimo splendore sotto gli
Etruschi (VII-V sec. a.C). Su una collina di
tufo della Valdichiana, al confine con l'Umbria
e in posizione strategica, Chiusi rimase una
città di notevole importanza fino al XVI secolo.
Nel bel centro storico abbiamo visitato,
associato all'interessante museo della
concattedrale di S.Secondiano, il cosiddetto "Labirinto
di Porsenna", così denominato perchè in una fase
iniziale degli scavi si riteneva che potesse
essere la tomba del leggendario lucumone etrusco
Lars Porsenna, che partecipò all'assedio di Roma
del 508-507 a.C. come sostenitore di Tarquinio
il Superbo. Fu Plinio il Vecchio che, citando
Terenzio Varrone, descrive nella sua Naturalis
Historia il sepolcro di Porsenna come un
gigantesco mausoleo scavato sotto la città di
Chiusi e protetto da un labirinto. Sarebbe stata
la scoperta archeologica del secolo! Anche
perchè la tradizione vuole che il corredo
funebre di Porsenna comprendesse un cocchio,
insieme a statue di cavalli, una chioccia e
cinquemila pulcini, tutto in oro massiccio... In
realtà si tratta più semplicemente di una serie
di cunicoli sotterranei, scavati
nell'arenaria,che appartenevano alla rete idrica
della città (progettata già in epoca etrusca),
collegati a pozzi e cisterne per la raccolta
d'acqua. Ci siamo poi recati al Museo Nazionale
Etrusco, museo archeologico fondato nel 1870, in
stile neoclassico, con la facciata che lo fa
assomigliare a un tempio. E lo è realmente: lo
si visita in silenzio, in uno stato di costante
ammirazione e stupore per i preziosissimi
reperti esposti. Dalle necropoli vicine sono
giunti corredi funerari, urne cinerarie,
maschere, statuine, vasi canopi, gioielli, cippi
con rilievi scolpiti e decorati. Una preziosa
testimonianza delle vette raggiunte dall'arte e
dalla cultura del popolo etrusco.
L'ultima tappa termale è stata Fiuggi, nel
Lazio, per noi piacevolissima sorpresa. In
provincia di Frosinone, a circa 600-700 m di
altezza sui rilievi dei Monti Ernici, la città
risulta suddivisa in una parte alta -
l'interessante centro storico - e una più bassa,
moderna e animata, distante dalla precedente.
Qui si trovano le terme e gli alberghi, spesso
edifici del primo Novecento ben conservati, come
il nostro Hotel Reale (via Prenestina 82)
circondati dal verde - molti platani, ma anche
castagni centenari!- e da vie con ristoranti e
negozi. Imperdibili gli squisiti amaretti della
storica Pasticceria Caponi (via Prenestina 16):
la bottega ha grande fascino, sembra di entrare
in una fiaba.
Davvero splendido il parco termale,
a pagamento (5-9 euro): è la "Fonte Bonifacio
VIII", citata anche da Michelangelo, dove si può
passeggiare tra una bellissima vegetazione e
sostare di quando in quando alle fontane per
bere l'ottima acqua, oligominerale fredda,
rinomata per la cura delle malattie renali (portarsi
un bicchiere!). Alla fine di una lunga discesa,
se si è entrati dall'ingresso "storico"del
periodo umbertino, in stile liberty, su piazza
Frascara (c'è anche un altro ingresso inferiore,
sulla strada), si raggiunge lo stabilimento per
la terapia idropinica, da cui si potrà poi
risalire all'ingresso con un comodo e veloce
tapis roulant. Ci si trova all'interno di un
grande
edificio di cemento con ampi spazi aperti,
protetti da un tetto molto esteso e costellati
di fontane: il grandioso progetto, realizzato
nel 1965, si deve all'architetto e critico
d'arte romano Luigi Moretti (1906-1973) che
lavorò per importanti edifici e piani regolatori
sia durante il fascismo che nel periodo
postbellico, ottenendo commesse e incarichi di
rilievo anche in Canada e Stati Uniti e vincendo
numerosi premi prestigiosi. Sue sono pure le
centinaia di sedie di metallo colorate
disseminate nel parco, dal design davvero
particolare.
L'immagine
di Moretti compare -un po' nascosta, a dire il
vero - in una sagoma di cartone in proporzioni
naturali all'esterno della cancellata; qua e là
sui marciapiedi si incontrano, per il
divertimento dei turisti che si fanno
fotografare insieme a loro, le sagome di Nino
Manfredi, Gina Lollobrigida, Marcello
Mastroianni, Vittorio De Sica, Sofia Loren,
Alberto Sordi. Il denominatore comune di questi
protagonisti del cinema italiano è certamente
Fiuggi, frequentata da tutti quanti; ma si
scopre anche che Nino Manfredi era nato a Castro
dei Volsci, la Lollo a Subiaco, Mastroianni a
Fontana Liri, De Sica a Sora... e Sofia Loren,
nata a Roma, interpretò nel 1960, diretta da De
Sica, il ruolo di Cesira ne "La ciociara". E'
proprio la Ciociaria, regione dai confini un po'
indefiniti, comprendente soprattutto la
provincia di Frosinone, il filo che li lega.
Fiuggi ne fa parte, insieme alle cinque
cosiddette "Città di Saturno", antichi centri la
cui fondazione è associata alla mitologia: il
dio Saturno, cacciato dall'Olimpo, si trasferì
qui, affascinato dalla bellezza del luogo. Il
nome delle città generalmente inizia con la
lettera "A": Anagni, Alatri, Arpino...mete di
straordinario interesse storico e
artistico,raggiungibili in poco tempo da Fiuggi.
E questa parte del nostro viaggio merita
senz'altro un articolo a sè: "Tra acropoli e
mura ciclopiche". Non in Grecia, ma nella nostra
italianissima terra ciociara.
10 settembre 2020, Anna Busca
AGOSTO 2020
E ORA, SCENDIAMO VERSO IL
MARE
di
Anna Busca
Abbiamo scelto l'ultima
settimana di luglio e la prima di agosto di
questa estate 2020 per tornare in Sardegna e
scoprire bellezze, monumenti e luoghi che ci
hanno nuovamente incantato. Con un traghetto
della Moby Lines siamo partiti da Piombino
intorno alle 15 per giungere ad Olbia verso le
20.30: biglietto AR con auto al seguito, per tre
adulti, al costo di poco più di 200 euro,
sfruttando le promozioni in offerta sul sito.
Viaggio perfetto, nonostante mascherine
obbligatorie e regole di distanziamento anti
Covid. Prima di partire occorreva compilare come
autocertificazione il modulo "Sardegna sicura" e
inviarlo online; la procedura era molto chiara e
non ci ha creato difficoltà. La vacanza è stata
itinerante, e siamo riusciti a compiere una
sorta di splendido "periplo sardo" ricco di
soddisfazioni. Abbiamo prenotato alberghi e b&b
sempre con Booking.com, senza problemi. Dopo un
pernottamento a Olbia (Your Bed & Breakfast, via
Padova 15) che avevamo già visitato nel viaggio
precedente, ci siamo diretti ad Alghero,
passando per Sassari. La statale 729, molto
scorrevole, attraversa un paesaggio interessante
e consente anche la visita a preziose chiese
romaniche,
quali Sant'Antioco di Bisarcio, la chiesa di
Santa Maria del Regno ad Ardara (edificata
all'inizio del XII secolo con blocchi di
trachite, roccia vulcanica scura che le dà un
aspetto davvero singolare) e SS. Trinità di
Saccargia, che apparteneva ad un'abbazia
camaldolese e sorge solitaria tra i campi. Ad
Ardara si può ammirare il retablo più grande
della Sardegna, un bellissimo polittico del 1515
di Giovanni Muru; e nella splendida chiesa di
Saccargia, in stile romanico pisano, con un
campanile alto 40 m, si resta stupefatti davanti
al magnifico ciclo di affreschi dell'abside
centrale, forse di un artista pisano della fine
del XII secolo. Ma anche Sassari merita
senz'altro una visita: noi ci siamo fermati per
il pranzo, riuscendo a dedicare un paio d'ore ad
una bella passeggiata nel centro storico. Molto
bello l'imponente Duomo, dalla facciata che ci
ha fatto ricordare le chiese di Salamanca, così
come la grande piazza d'Italia ci ha rammentato
una Plaza Mayor. Si respira proprio un'aria
spagnola, anche camminando tra vicoli e
scalinate. Torneremo nel prossimo viaggio per
visitare il Museo Sanna, che abbiamo trovato
purtroppo chiuso: possiede una ricca collezione
archeologica, una pinacoteca e una sezione
dedicata al folclore sardo.
Alghero
Il nostro soggiorno è stato
piacevolissimo: alloggiando vicino al centro (b&b
Khorakhanè, via Sassari 159) siamo riusciti a
cenare nei ristorantini all'aperto, a
passeggiare sui bastioni godendoci il tramonto,
ad ammirare torri e chiese - da non perdere il
complesso monumentale di San Francesco e la
cattedrale di Santa Maria - in un'atmosfera
davvero rilassante. E le spiagge facilmente
raggiungibili
ci hanno consentito nuotate in acque cristalline
e una vera immersione salutare nell'aria
profumata e pulita di questa costa. Siamo
arrivati in auto a Capo Caccia, tra panorami
suggestivi, senza però scendere i 600 gradini
per la Grotta di Nettuno, vista la coda di
visitatori e il caldo, che avrebbe reso troppo
faticosa la risalita. Bellissime la spiaggia di
Porto Ferro, quella di Maria Pia, di Mugoni,
delle Bombarde: la scelta è davvero molto ampia.
Una passeggiata nel verde può riguardare una
zona umida protetta, dove si trovano percorsi
guidati per il birdwatching: è la riserva del
Parco Regionale di Porto Conte, che si incontra
andando verso Capo Caccia; sulla stessa strada
si trova il bel complesso nuragico di Palmavera.
Abbiamo approfittato della nostra tappa ad
Alghero per recarci all'isola dell'Asinara,
Parco Nazionale dal 2002, preferendo partire con
un traghetto da Porto Torres (15 euro a persona
AR, un'ora e mezzo di navigazione, più la tassa
di sbarco di 2.50 euro) piuttosto che da
Stintino (20 euro + 2.50, per un tragitto molto
più breve!). L'arrivo da Porto Torres inoltre è
nel centro dell'isola, a Cala Reale, il che
consente visite ed escursioni più facili, mentre
da Stintino si arriva a Fornelli, sull'estremità
occidentale. Meglio
dunque
una visita autoorganizzata: molti operatori
turistici propongono pacchetti di una giornata,
in catamarano, ma hanno costi esorbitanti (almeno
80 euro a testa). Arrivati dunque a Cala Reale
verso le 13 con la motonave Sara D. della
Delcomar, partita alle 11.30, abbiamo preso un
pullmino (10 euro a testa AR) che ci ha portato
in pochi minuti a Cala D'Oliva. Da qui, un
meraviglioso sentiero a picco sul mare turchese
e smeraldo, in mezzo ai profumi della macchia
mediterranea, ci ha consentito di raggiungere
l'incantevole spiaggia di Punta Sabina. Nulla da
invidiare ai Caraibi! Un lungo bagno ristoratore,
in mezzo a saraghi e occhiate, circondati da uno
scenario naturale stupendo e dal silenzio rotto
solo dallo sciacquio delle onde, ci ha fatto
dimenticare che l'isola è stata nei secoli
teatro di sanguinose battaglie, per esempio tra
Aragonesi e Genovesi nel XV secolo, e di crudeli
scorrerie dei Mori, che portarono alla
costruzione delle numerose torri di avvistamento
sarde: all'Asinara ve ne sono tre ben conservate.
Fu anche terra di deportazione - dopo la guerra
di Abissinia del 1937 furono trasferiti qui
molti etiopi- e di prigionia. Negli anni '60 fu
istituito un carcere di massima sicurezza,
destinato soprattutto ad ospitare assassini
delle BR e dell'Anonima sequestri sarda, e
criminali mafiosi soggetti alla 41-bis; il
supercarcere, una sorta di Alcatraz italiana, fu
chiuso nel 1998. Il fatto che per più di un
secolo, dal 1885 al 1999, l'isola sia stata
interdetta al turismo ha permesso comunque una
straordinaria preservazione di fauna e flora.
Specie caratteristica è l'asinello bianco,
Equus
africanus asinus, albino (ma ne abbiamo visto
solo uno!). Sulla strada del ritorno ci siamo
fermati davanti a una casa, dipinta di rosso, a
Cala D' Oliva, su cui è affissa una lapide con
frasi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Qui i due coraggiosi magistrati, con le loro
famiglie, trascorsero il mese di agosto 1985,
durante la fase preliminare del maxiprocesso di
Palermo. Minacciati di morte da "Cosa nostra",
vi furono trasferiti in segreto, per concludere
in sicurezza la requisitoria che avrebbe poi
portato complessivamente i 460 imputati a 19
ergastoli e 2665 anni di reclusione.
Ripartiti alle 18 siamo
giunti a Porto Torres verso le 19.30, orario
comodissimo per tornare ad Alghero per la cena.
Inoltre, la mattina, poco prima di raggiungere
il porto d'imbarco eravamo riusciti a visitare
un capolavoro romanico, la basilica più grande
della Sardegna: quella di San Gavino, dal bel
portale laterale in stile catalano e
dall'immensa navata unica, molto suggestiva.
Da Alghero ad Oristano
Lasciata Alghero, ci siamo
diretti verso sud, lungo una splendida strada
panoramica che attraversa zone protette, dove si
trova l'unica colonia sarda di grifoni. A Bosa,
attraversata dal fiume Temo, con un
caratteristico borgo di graziose case colorate,
siamo saliti fino al Castello Malaspina, del XII
secolo,
da cui si gode un panorama incredibile. All'
interno delle sue mura si trova la piccola
chiesa di Nostra Signora de Sos Regnos Altos,
con un interessante ciclo di affreschi del XIV
secolo. A Cùglieri ci siamo fermati per la
Collegiata di Santa Maria della Neve, ampliata
nel XVII secolo e più volte restaurata: è in
alto, in una magnifica posizione per ammirare il
paesaggio circostante. Dopo un bel bagno nelle
acque limpidissime di S'Archittu, eccoci ad
Oristano, dove ci siamo fermati per due notti
(Mariano IV Palace Hotel, piazza Mariano 50). Il
centro della città sembra convergere su piazza
Roma, piuttosto animata, dove si erge l'alta
Torre di San Cristoforo o Porta Manna,
appartenente un tempo a una cinta fortificata
del XIII secolo. Negozi, caffè, ristoranti e
pizzerie si trovano soprattutto in via Mazzini,
via Garibaldi e via Tirso. Il Duomo e la chiesa
di San Francesco meritano una visita, ma
l'edificio religioso più interessante è la
romanica chiesa di Santa Giusta, a circa 3 km
sulla strada
per Cagliari. La statua di Eleonora
d'Arborea, nella piazza omonima, ricorda questa
giudicessa ed eroina del XIV-XV secolo, che
revisionò la Carta de Logu, la prima raccolta di
leggi per i Giudicati sardi, promulgata dal
padre Mariano IV. Da Oristano prendono il via
itinerari tra i più interessanti della Sardegna: imperdibile Tharros, fondata nell'VIII secolo
a.C. dai Fenici, trasformata dai Romani in una
città ricca di edifici pubblici, attraversata da
importanti strade lastricate in basalto,
modificata ancora in epoca paleocristiana e
infine abbandonata e ridotta a rovine. Si
percorrono i cardi e i decumani tra i resti di
questo sito archeologico, davanti al mare, con
la cinquecentesca Torre di San Giovanni sullo
sfondo, provando un senso di mistero e di legame
profondo con il passato. Nei pressi, una
costruzione isolata: è S.Giovanni in Sinis, del
V secolo, con la facciata in stile bizantino.
L'interno, semplice e spoglio, a tre navate, è
illuminato da bifore ed appare estremamente
suggestivo. A chiudere la visita, oltre
all'immancabile nuotata (le spiagge non mancano!
splendide Putzu Idu e Is Arutas ) è
consigliabile la visita al Museo Civico
Archeologico "Giovanni Marongiu" di Cabras:
piccolo ma ricco di collezioni preziose,
provenienti dagli scavi delle necropoli di
Tharros e da altri siti, come Cuccuru Is Arrius
e Sa Osa, e anche da una nave romana ("Relitto
di Mal di Ventre")affondata nel I sec. a. C. con
il suo carico di anfore, vasi e mille lingotti
di piombo che giungevano dalla Spagna. I pezzi "forti"
esposti sono i famosi "Giganti di Mont'e Prama",
statue maschili raffiguranti guerrieri,
pugilatori, arcieri, dalle notevoli proporzioni
e con particolari occhi a cerchi: furono
rinvenuti negli anni '70 in una necropoli
nuragica, al di sopra di tombe a pozzetto, e
sono tuttora oggetto di studi per comprenderne
appieno il loro significato.
Da Oristano a Iglesias
Il nostro tour è proseguito
ancora più a sud: meta Iglesias - nel cuore
della regione mineraria più importante della
Sardegna, l'Iglesiente, sede del cosiddetto "anello
metallifero" di rocce carbonatiche ricche di
piombo, argento e zinco - città il cui nome in
spagnolo significa "Chiese", evocatore del
dominio catalano-aragonese. Per raggiungerla
abbiamo seguito la statale 126 fino a Guspini,
per poi dirigerci verso le Dune di Piscinas.
Spiaggia incredibile, larghissima, chiusa da
dune ricoperte in parte da arbusti: sembra di
essere in Africa, o comunque in una regione
esotica. Il mare - è
necessario dirlo? - è
semplicemente meraviglioso. L'unica pecca è
stata la strada che abbiamo seguito: una specie
di lunga mulattiera di sabbia e sassi, che ci ha
costretto anche a superare due guadi un po'
pericolosi e ci ha fatto rimpiangere di avere
una Punto invece di una jeep... Passata poi
Fluminimaggiore, in un paesaggio montuoso
bellissimo, siamo arrivati alla Grotta di Su
Mannau. Avevamo prenotato telefonicamente la
visita ( www.sumannau.it,
tel.3475413624, biglietto a 10 euro) perchè
ovviamente ogni gruppo ha un numero massimo di
partecipanti e viene data la precedenza a chi
prenota. Una giovane e brava speleologa ci ha
guidati per circa un'ora lungo passerelle
metalliche sospese su grandi cavità ben
illuminate, ricchissime di concrezioni di
calcite e aragonite, con cristalli scintillanti,
tra laghetti e fiumi sotterranei, il Placido e
il Rapido. Resti archeologici, come piccole
lucerne votive, testimoniano l'antico utilizzo
della grotta come tempio ipogeo per il culto
dell'acqua, a partire dall'età nuragica. Una
visita stupenda, magica, da non perdere
assolutamente.
Vicino alla grotta, a pochi
minuti di auto, un'altra tappa irrinunciabile:
l'area archeologica di Antas. In mezzo a lecci e
querce da sughero centenarie si trova una
necropoli nuragica, accanto a un tempio punico
della fine del V sec. a. C. dedicato al dio
Babay (dio Padre, divinità delle acque) e a un
tempio romano del III sec.d.C per il culto del
Sardus Pater Babi, di cui restano le colonne del
pronao (ma questa costruzione sostituì quella
più antica del 38 a.C. voluta da Ottaviano
Augusto e andata in rovina). Il biglietto intero
costa 4 euro. Un sentiero di circa 7 km -segnato
come "Antica strada romana Antas-Su Mannau"- nel
bosco, collega il sito alla grotta e può essere
seguito per un trekking. I dintorni presentano
anche tracce di miniere ormai abbandonate ed
edifici con valore di archeologia industriale.
Iglesias ha un centro storico
affascinante, cinto parzialmente da mura e
raccolto intorno alla bella cattedrale di Santa
Chiara, del XIII secolo, su un'ampia piazza di
fronte al Municipio (qui si trova l'Ufficio del
turismo). Strettissime vie rendono davvero arduo
il transito automobilistico, limitato peraltro
ai residenti
o a chi possiede un pass temporaneo
in quanto ospite: il nostro b&b (L'Aquilino, via
Vescovo Rolfi 4), a lato della cattedrale, era
proprio nel cuore della città, posizione
eccellente per una visita. Ed eccoci davanti
alle chiese di San Domenico, della Purissima,
della Madonna delle Grazie, di San Francesco,
per citarne solo alcune; e poi in salita verso
il Castello di Salvaterra (bella vista
panoramica su Iglesias), e di nuovo alle mura
pisane di fronte alla Torre Guelfa. Il Museo
dell'Arte Mineraria e Mineralogico, non distante
dal centro storico, era chiuso. Da Iglesias ci
siamo spostati alla spiaggia di Masùa, a una
ventina di km, per poi recarci al vicinissimo
Porto Flavia. Davanti al faraglione detto "Pan
di Zucchero" si trova questa costruzione di
grande interesse, progettata dall'ingegnere
veneto Cesare Vecelli ("Flavia" era il nome di
sua figlia) negli anni '20 e inaugurata nel
1924. Restò attiva per circa 40 anni. Si tratta
di uno straordinario porto d'imbarco dei
minerali estratti dalle miniere, che qui
venivano trasportati e stoccati per essere poi
direttamente caricati sulle navi, ancorate
sotto. Il tutto richiedeva uno o due giorni al
massimo. Prima della realizzazione di
quest'opera il lavoro, estremamente faticoso e
pericoloso, durava almeno un mese, perchè i
materiali estratti dalle miniere dovevano essere
messi manualmente su piccole imbarcazioni a vela
che poi si dirigevano a Carloforte, sull'isola
di San Pietro, dove dovevano essere scaricati e
di nuovo caricati sulle navi da trasporto. La
visita guidata, emozionante, si svolge in un'ora
percorrendo la lunga galleria superiore, che
presenta ai lati profondi pozzi di stoccaggio,
per poi uscire su un terrazzino che consente di
ammirare il panorama della baia. Si viene dotati
di caschi di protezione e occorre un
abbigliamento adeguato (scarpe chiuse).
Biglietto intero a 10 euro ( www.visitiglesias.it).
Da Iglesias a Cagliari
Invece di seguire la strada
più veloce per arrivare al capoluogo dell'isola,
abbiamo optato per un itinerario che ci
consentisse di toccare luoghi d'interesse
storico e paesaggistico. Attraversando la zona
mineraria di Gonnesa ci siamo fermati a
Carbonia, fondata nel 1938, quando il fascismo,
negli anni dell'autarchia (imposta a seguito
delle sanzioni economiche della Società delle
Nazioni dopo
l'invasione dell'Etiopia del
1935-36), cercava di incentivare l'utilizzo
delle risorse del territorio: e la città fu
costruita per ospitare minatori, geologi e
ingegneri minerari che lavoravano nelle miniere
di carbone, in particolare in quella vicina di
Serbarìu (visitabile, associata al Museo del
Carbone), una delle più importanti del bacino
carbonifero del Sulcis. Il 18 dicembre 1938 lo
stesso Benito Mussolini tenne un discorso per
l'inaugurazione di Carbonia, parlando a una
folla di 35.000 persone da un balcone al primo
piano della Torre Littoria (tale balcone fu poi
eliminato durante la ristrutturazione),
nell'ampia piazza Roma. Trovarsi in questa
grande piazza dà la curiosa sensazione di essere
dentro un quadro di De Chirico, una vera "Piazza
d'Italia"! Vi si affacciano il Municipio, la
chiesa di San Ponziano, una sala polifunzionale,
una fontana con un anfiteatro vicino, e gli
edifici sono in perfetto stile del Ventennio. Da
Carbonia ci siamo diretti a Tratalìas, per
vedere un'altra chiesa romanica,
S. Maria, del
1213: abbiamo solo potuto ammirarne gli esterni
perchè era chiusa; e il paese è in realtà una
sorta di spettrale ghost-town perchè gli
abitanti si sono trasferiti altrove... La tappa
successiva è stata Sant'Antioco- l'antica Sulcis
romana- sull'isola omonima, collegata con un
ponte sulla statale 126. Attraversata la
cittadina, ci siamo spostati di una decina di km
sulla punta dell'isola, a Calasetta, paese
dall'atmosfera squisitamente mediterranea, con
basse case bianche che si stagliano contro il
cielo azzurro, interrotte dal colore viola o
porpora delle bougainville.Da qui si può
ammirare l'isola di San Pietro; una bella
spiaggia, per quanto ventosa, consente splendidi
bagni. Lasciata Sant'Antioco, ripromettendoci di
tornare per una vacanza più lunga, abbiamo
ripreso la strada per Cagliari passando per
Teulada, Domus de Maria, Pula (qui si trovano le
rovine di Nora), con numerosi scorci panoramici
davvero mozzafiato.
Cagliari
La città è chiamata la "Gerusalemme
della Sardegna" e solo dopo la seconda giornata
di visita abbiamo compreso meglio la definizione.
Al primo impatto infatti Cagliari ci era apparsa
un po'
"disordinata", una specie di strana
mescolanza di moderno e antico, spesso
fatiscente, senza una sua vera connotazione. Ma
ci eravamo sbagliati. Il centro storico è tutto
arroccato nella zona centrale: inizia dalla zona
di fronte al Porto passeggeri e culmina
nell'area intorno al Museo Archeologico (la cui
visita è assolutamente imperdibile). Come la
Città vecchia della capitale d'Israele, in
un'area ristretta raccoglie un vero tesoro
architettonico: torri trecentesche, mura
cinquecentesche, monumenti, chiese, resti romani.
Si percorre lentamente, usando scalinate e
vicoli; se si vuole evitare la salita a piedi da
piazza Costituzione al Bastione S. Remy, vasta
terrazza e straordinario punto panoramico, si
può usare un ascensore (un po' nascosto) nei
pressi di piazza San Giacomo. Splendido il
tramonto, da godere magari sorseggiando un
aperitivo in qualche locale di via S. Croce. Noi
abbiamo alloggiato a un centinaio di metri
dall'imponente Santuario di Bonaria, costruito
nel XVIII sec. sulla collina omonima, a lato
della chiesa del XIV sec., in posizione perfetta
(b&b Cerdena Rooms, via Milano 1/b) per
raggiungere a piedi il centro, passando davanti
all'antica Basilica di S. Saturnino e al
complesso di S.Lucifero. Pare che la capitale
argentina, Buenos Aires, derivi il suo nome
proprio dalla Madonna di Bonaria custodita nel
santuario: era un tempo oggetto di devozione in
quanto considerata protettrice dei marinai. In
pochi minuti di auto abbiamo raggiunto, per un
bagno in acque cristalline, la lunghissima
spiaggia del Poetto: si costeggiano anche le
saline, che ospitano una grande colonia di
fenicotteri rosa.
Da Cagliari ad Olbia
Abbiamo chiuso il nostro "periplo
sardo" risalendo verso Olbia lungo la statale
125; un viaggio di qualche ora che però ci ha
consentito alcune soste piacevoli, in
particolare nelle zone di Arbatax e di Budoni.
Il vento di scirocco però non ci ha consentito
di restare a lungo in spiaggia né di nuotare,
perchè le onde erano davvero alte, con una forte
risacca. Abbiamo pernottato nel bel centro di
Olbia (Amsicora 8, via Amsicora 8), per salire
poi sul traghetto delle 8.15 per Piombino. E
mentre la costa si allontanava, ritornavano alla
mente le parole di Elio Vittorini: "Infine,
scendiamo verso il mare. In Sardegna si sente
sempre, a cento e cento chilometri dalle coste,
che splende nell'aria da ogni lato. E' una vera
isola..." (da "Sardegna, come un'infanzia",
1932).
31 agosto 2020, Anna Busca
UNA SETTIMANA DI QUIETE
di Anna Busca
Desiderosi di una pausa di
relax per lasciarci alle spalle le fasi pesanti
della pandemia di Covid, abbiamo scelto, dopo
una lunga ricerca di possibili soluzioni che
conciliassero diverse esigenze di una famiglia
di quattro persone - genitori sessantenni e due
figli ventenni alle prese con esami universitari
online - la bella Montecatini Terme, a sole tre
ore di
autostrada da Milano. E mai scelta si è
rivelata più felice, complice anche un clima
ideale, con giornate sempre stupende, dal cielo
senza nubi. Grazie a Booking abbiamo trovato il
Grand Hotel Tamerici & Principe (viale IV
Novembre 2B, tel.0572 71041,
www.hoteltamerici.it, info@hoteltamerici.it
), in centro, con ottime recensioni e un
eccellente rapporto qualità/prezzo. Colazione
inclusa (ricca e varia), piscina in mezzo al
verde, elegante suite con camere comunicanti e
zona salotto, wi-fi senza problemi, pulizia
perfetta: tutto ha superato le nostre
aspettative. Grande tranquillità, direttamente
proporzionale agli spazi (enormi saloni arredati
con mobili antichi) e alla professionalità del
personale. Ci siamo trovati benissimo, e questo
ci ha consentito di organizzare al meglio, senza
nessuno stress, la nostra vacanza. Non abbiamo
utilizzato le Terme, da poco riaperte, né la Spa
dell'albergo, perchè le quotidiane nuotate in
piscina (con zona idromassaggio e cascata
tonificante) e il successivo riposo al sole
sulle sdraio ci hanno soddisfatto pienamente.
Abbiamo invece passeggiato nel magnifico Parco
Termale di Montecatini ,
ammirando altissimi
pini domestici, cedri, sequoie, palme, tra prati
curati e aiuole, e lungo la via dello shopping (corso
Roma, corso Matteotti) con numerosi negozi,
boutique di lusso, ristoranti e caffè. Certo la
crisi dovuta alla chiusura e alle restrizioni
antiCovid non ha consentito la riapertura di
diversi alberghi ed esercizi, ma si percepisce
comunque il grande coraggio di molti, unito alla
voglia di ricominciare con maggiore
determinazione e responsabilità. Si rispettano
certo i protocolli di sicurezza e al contempo si
respira un'atmosfera piacevole e distesa, in
sintonia con quell'ottimistico e confortante
"andrà tutto bene "
associato al simbolo
dell'arcobaleno... Montecatini, con le sue terme,
le colline, il mare a mezz'ora di autostrada, le
Alpi Apuane anch'esse vicine, circondata da
città d'arte come Pistoia, Lucca, Firenze, Pisa,
raggiungibili facilmente, tornerà senz'altro
presto ad essere una meta ambita e frequentata.
Utilizzando The Fork abbiamo
trovato numerose occasioni di pranzi e cene con
sconti interessanti, dove apprezzare la
gastronomia locale: la cucina toscana è
senz'altro tra le migliori in Italia, per sapori
e ingredienti. Qualche indirizzo validissimo,
che abbiamo sperimentato, come suggerimento:
Osteria del Grocco (via Pietro Grocco 49, tel.
3280882976); Ristorante La Mandragola (via
Gioberti 5, tel.057278820/3409220683,
www.ristorantelamandragola.it); A Montecatini Alto, Casa Gala (via
Talenti 2, 0572 766130); a Serravalle Pistoiese,
Il Ristorante (via Marlianese 55, tel.
3885858580); a Buggiano, Ristorante Sant'Elena
(via Gavine 29, tel.0572 30548) dal panorama
strepitoso sulla Valdinievole, brulicante di
luci e molto romantico la sera.
Ci siamo anche dedicati a
brevi gite d'interesse culturale. Da non mancare
Vinci, dove, nella vicina frazione di Anchiano,
abbiamo visitato la casa natale di Leonardo (prenotazione
tel.0571 933285, info@museoleonardiano.it). Qui
nacque il sommo genio del Rinascimento il 15
aprile 1452; la sua vita viene raccontata
da un
personaggio-ologramma a grandezza naturale,
proiettato in una stanza, e si può anche
ripercorrere la sua straordinaria produzione
artistica grazie a un dispositivo multimediale
interattivo che consente di scoprire i dettagli
dei capolavori ( il ritratto di Ginevra de'
Benci non avrà più segreti!).La casa di Leonardo
è stata meta di decine di migliaia di visitatori
lo scorso anno, ricorrendo il quinto centenario
della morte, avvenuta in Francia, ad Amboise, il
2 maggio 1519. Ci si sposta poi in una casa
colonica vicina, appartenente alla bella Villa
del Ferrale, dove, in una sala, si può ammirare
l'Ultima Cena, riproduzione digitale in scala
1:2, in alta definizione: in modalità gestuale
(o touch screen su un monitor) è possibile
ingrandire particolari ed analizzare l'opera,
anche dal punto di vista storico.
Una vera
meraviglia! anche per chi, come noi, ha già
potuto ammirare più volte la pittura murale
originale, nel refettorio del Cenacolo di Santa
Maria delle Grazie a Milano. Altrettanto
stupefacenti sono le riproduzioni esposte di
quadri di Leonardo, a grandezza naturale e in
alta risoluzione, nella mostra "Leonardo e la
pittura": la Vergine delle Rocce, la Dama con
l'ermellino, la Gioconda... sembra di essere
contemporaneamente al Museo del Louvre, agli
Uffizi, al Museo Nazionale di Cracovia! Un
volontario gentilissimo ed esperto, il signor
Bruno, ci ha illustrato con competenza le
tecniche di preparazione delle riproduzioni, e
anche la storia della villa. Abbiamo poi potuto
acquistare ottimo olio extravergine del frantoio
del Ferrale, citato in un documento trecentesco,
e anche una bottiglia di Chianti DOCG della
stessa tenuta (www.villadelferrale.it,
Frantoio tel.0571 56353/3346672055). I sapori e
i profumi di quest'angolo di Toscana ci
seguiranno anche a Milano... A Vinci la visita
dedicata a Leonardo può proseguire nel Museo
Leonardiano (controllare gli orari!
www.museoleonardiano.it ), dove sono esposti
modelli di opere d'ingegneria e disegni
anatomici, al Castello dei Conti Guidi. Davanti,
in prossimità delle mura, è stato collocato
l'Uomo di Vinci, scultura in legno lamellare e
sagomato di Mario Ceroli (1987), che interpreta
il famoso Uomo Vitruviano leonardesco. Piazza
dei Guidi è stata ridisegnata nel 2004 da Mimmo
Paladino, con geometrie simboliche dai riflessi
argentei e vitrei incise nella pietra serena.
Nelle vicinanze si può
raggiungere una meta di notevole interesse
storico-naturalistico: si tratta del Padule di
Fucecchio, una vastissima zona umida, di circa
1800 ettari, riserva naturale, caratterizzata da
un'elevata biodiversità. Attraversata dalla via
Francigena, conserva testimonianze di un passato
legato
al dominio dei Medici. Tra canneti e
piante palustri si possono osservare numerose
specie di uccelli (sono circa 200 quelle
presenti nel corso dell'anno, essendo il Padule
una tappa di rotte migratorie): nitticore,
garzette e aironi qui nidificano creando grandi
colonie, tra le più importanti in Italia. Ci
sono casotti-osservatori dove, dall'alto e con
un buon binocolo, ornitologi e semplici turisti
possono esercitarsi nel birdwatching. Più di
1000 specie di Coleotteri sono state
identificate dagli entomologi: anche la
microfauna è dunque ricchissima. Un suggerimento
prezioso: evitate di seguire i cartelli che
portano all'area La Monaca, perchè la strada (3
km) è sterrata e piena di buche, e soprattutto
l'ingresso non è accessibile. Un cancello
arrugginito si apre infatti su sterpaglie,
tronchi caduti, fitta vegetazione, dove è
impossibile proseguire. In più, una lavatrice
abbandonata testimonia la trascuratezza (imperdonabile)
in cui versa il luogo. Occorre invece entrare
dalla parte dell'area delle Morette. Dal sito
del Centro di Ricerca, Documentazione e
Promozione del Padule di Fucecchio (www.zoneumidetoscane.it
) si può scaricare il depliant della Riserva e
informarsi su visite guidate e itinerari.
A poca strada una tappa
sorprendente: a Ponte Buggianese, nella
Propositura
di San Michele Arcangelo, si può
ammirare un ciclo di affreschi che Pietro
Annigoni eseguì con i suoi allievi tra il 1967 e
il 1984, su incarico del parroco dell'epoca, don
Egisto Cortesi, per un compenso simbolico. La
"Deposizione e Resurrezione" è di grande potenza
evocativa, così come l' "Apocalisse" e la
bellissima "Ultima cena" nell'abside.
Passare per Altopascio -
borgo citato anche nel Decamerone del Boccaccio,
nella decima novella della sesta giornata - e
per Montecarlo, arroccato in splendida posizione,
consente di gustare piccoli e preziosi centri
storici di paesi collocati lungo la già citata
via Francigena (itinerario seguito fin dal
Medioevo dai pellegrini, che da Roma potevano,
attraversando poi la Francia, raggiungere
l'Inghilterra). Monumenti ed edifici
interessanti, chiese romaniche e fortezze si
possono incontrare un po' ovunque. Abbiamo
dedicato alcune ore alla bellissima San Miniato,
posta a metà strada tra Firenze e Pisa e quindi
a lungo contesa:
il nucleo storico si trova su
tre alture ed è ben preservato. Stupendo il
Seminario, eretto tra il XVII e il il XVIII
secolo, dalla facciata affrescata all'inizio del
Settecento dal pittore Francesco Chimenti, di
Fucecchio, con le Virtù, insieme a trenta motti
biblici e patristici in latino. Il Seminario
segue l'andamento delle mura e chiude la piazza
della Repubblica; essendo stato eretto su
fabbricati preesistenti, a piano terra sono
rimaste le tracce delle botteghe artigiane
trecentesche. Di fronte, il Palazzo Vescovile,
di origine medioevale e più volte soggetto a
rifacimenti, con doppio affaccio anche sul Duomo.
Questo è un edificio risalente al XII secolo,
dedicato a Santa Maria Assunta e a San Genesio.
La facciata in mattoni rossi presenta una
particolare decorazione, del 1250 circa, a
bacini ceramici di smalto bianco con disegni blu,
provenienti dalla Tunisia: gli originali (ne
sono rimasti 26) sono conservati nel Museo
diocesano (da visitare, espone anche un dipinto
del Tiepolo).
L'interno è neorinascimentale e
barocco,con affreschi ottocenteschi, ma il tutto
si fonde bene con l'arte romanica. Qui, il 22
luglio 1944, furono uccisi 55 sanminiatesi
dall'esplosione di una granata del 337°
battaglione di artiglieria dell'esercito
statunitense, che aveva come obiettivo, mancato,
le mitragliatrici dei tedeschi che avevano
occupato il paese, e che invece entrò nella
chiesa, dove era stata radunata molta gente,
attraverso un rosone della facciata. La
terribile strage fu imputata ai nazisti; solo
l'apertura del cosiddetto "armadio della
vergogna" nel 1994 e le successive indagini e
perizie consentirono di ricostruire la tragica
vicenda. Non tutti però si convinsero; nel 2015
il Comune deliberò
la rimozione di due lapidi in
contrasto tra loro (una, del 1954, ricordava la
strage come "eccidio perpetrato dai tedeschi";
l'altra, del 2008, affermava invece la "responsabilità
delle forze alleate" dimostrata dalla ricerca
storica), che suscitavano in città polemiche e
divisioni, e scelse di lasciare solo una lastra
commemorativa con i nomi delle vittime. Siamo
infine saliti in cima al campanile: vale
senz'altro la pena affrontare una faticosa
scalata - i gradini sono molto alti e alquanto
irregolari - per raggiungere il tetto di quella
che viene chiamata la "Torre di Matilde", per
una falsa leggenda legata a Matilde di Canossa.
Da lassù, dal tetto di quella che
originariamente era un sito di avvistamento
delle fortificazioni militari, poi incorporato
al Duomo, si gode una vista impagabile, in
particolare su un'altra torre poco lontana: è la
Rocca di Federico II, ricostruita nel 1958 dopo
la sua distruzione nella Seconda Guerra Mondiale,
ad opera dei tedeschi, il giorno seguente la
strage. E il soffermarsi sul vasto panorama
della piana dell'Arno, su un territorio così
ricco di storia, di arte, di vicende umane, fa
rammentare una frase di Leonardo, letta su un
cartello tra gli ulivi che circondano la sua
casa natale: "Come per tutti i viaggi, si può
imparare".
16 luglio 2020, Anna
Busca
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