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FEBBRAIO 2019
Le Nozze
di Figaro al Coccia di Novara
Il Teatro Coccia di Novara,
nel pieno di una crisi senza precedenti, tra
problemi finanziari e beghe insolubili in seno
al C.d A., che lo stanno portando verso un
commissariamento richiesto dal sindaco, risponde
a questa tempestosa situazione confermando di
disporre ancora di tutte le risorse per
programmare una stagione operistica di più che
dignitoso livello. E risponde con un
allestimento delle mozartiane Nozze di Figaro,
coprodotto della Fondazione Teatro Coccia e
della Fondazione Ravenna Festival, e la
partecipazione del Festival dei due mondi di
Spoleto. Abbiamo
assistito
alla ‘prima’ andata in scena ieri sera, venerdì
15 febbraio, cui seguirà una seconda
rappresentazione, domani, domenica 17 alle h.16.
La regia di queste Nozze era quella di Giorgio
Ferrara, ripresa per l’occasione da Patrizia
Frini. Si tratta di una regia che aderisce senza
strane invenzioni al testo e alla musica di
questo capolavoro, suggerendone
un’interpretazione sospesa fra teatralità e
sogno, ben realizzata dalla scenografia di Dante
Ferretti e Francesca Lo Schiavo: il
palcoscenico, dietro il sipario ‘vero’ esibiva
un vistoso e sontuoso sipario ‘finto’ a
sottolineare che quello cui gli
spettatori/ascoltatori stavano assistendo era
recita, teatro, rappresentazione di uno
spettacolo che è anche sogno, forse il sogno più
bello che l’uomo posa concepire, fatto di luci,
ombre, passioni destino, il tutto detto in
musica. Questo carattere onirico affiorava dalla
scenografia: elegante e sobria a un tempo ,che
riproduceva, nei primi tre atti, interni
settecenteschi come avvolti in un’aura di sogno,
rafforzata nel quarto atto, un ‘notturno’ in cui
i personaggi si muovevano come avvolti da
un’atmosfera magica e fantastica: insomma
l’arte, come la vita che vuole portare sulla
scena, è sogno. A eseguire la musica di queste
Nozze era chiamata la migliore orchestra
giovanile italiana del momento, la Cherubini di
Ravenna, mentre sul podio saliva, per la prima
volta a Novara, la giovane direttrice tedesca di
nascita Erina Yashima, ancora poco nota in
Italia, ma con una carriera in fulgida ascesa
nel suo Paese natale. Ha diretto bene, guidando
con sapienza i cantanti e ricavando
dall’orchestra un suono ‘leggero’, limpido, con
grande attenzione ai registri timbrici e alle
dinamiche, staccando tempi spesso abbastanza
lenti, traducendo bene in musica quel clima di
sospensione sognante che avvolgeva queste Nozze.
Il cast dei cantanti è stato in generale
all’altezza di uno spettacolo di buon livello.
Simone Del Savio, il giovane baritono interprete
del ruolo di Figaro, dispone di buona vocalità,
capace di ricordare Nucci, nell’intensità e
tornitura del fraseggio. Brillante nell’area
medio-bassa, sostiene bene messe di voce e fiati
lunghi anche nelle zone acute. Può (e deve)
migliorare il cantabile delle arie, che non
spiccano per intensità ‘lirica’.
Applauditissimo
dal pubblico da tutto esaurito di ieri sera, il
soprano milanese Lucrezia Drei, un’eccellente
Susanna. Già ascoltata recentemente a Novara, è
un ottimo soprano lirico-leggero di agilità, di
eccellenti colorature, davvero pregevoli nel
vibrato, con un bel fraseggio limpido e
battagliero che la fa emergere piacevolmente nei
numeri d’insieme. A queste virtù musicali, la
Drei aggiunge capacità attoriali non comuni, di
gaia e trascinante spavalderia, che te la rende
simpatica dal suo primo apparire sulla scena, di
cui è stata la vera instancabile animatrice.
Buone capacità attoriali ha esibito anche il
giovane baritono Vittorio Prato,un Almaviva dal
timbro chiaro e con un’emissione di voce di
buona proiezione e sempre ben controllata, resa
fluida dai limitati appoggi di petto, il che gli
consente un fraseggio sempre ben tornito ed
efficace. Non si può dire che bene anche di
Francesca Sassu, perfettamente a suo agio nel
ruolo della Contessa, soprano di ottima
vocalità, eccellente dizione, ricca nei timbri e
di rara sicurezza nei begli acuti, emessi con
una tecnica del filato sempre controllatissima :
il suo “ Porgi amor” è stato tra i migliori da
noi ascoltati di recente. Meno riuscita la
prestazione di Aurora Faggioli, un Cherubino con
qualche difficoltà di troppo nelle agilità e
talora stridulo negli acuti, dando l’impressione
di essere un mezzosoprano poco adatto alla
grazia della musica mozartiana. Valide, in
generale, le numerose parti di fianco, dalla
Marcellina di Isabel De Paoli, mezzosoprano
tecnicamente sicuro e di vocalità fresca e
limpida, al Bartolo di Ion Stancu, al Basilio Di
Jorge J. Morata, al Don Curzio di Riccardo
Benlodi, per finire con la Barbarina di Leonora
Tess, già buona Frasquita nella Carmen della
passata stagione del Coccia, dalla voce
sopranile bella squillante e di forte
proiezione. In generale, dunque, appaganti le
Nozze “celebrate” ieri sera al Coccia, un
auspicio per una rapida ed intelligente
soluzione dei problemi che affliggono questo
teatro, che merita di continuare a vivere e a
dare alla vita musicale piemontese, e non solo,
il suo apprezzabile contributo.
16 febbraio 2016 Bruno Busca
Aleksandar Madzar per la Società dei
Concerti
Il pianista serbo Aleksandar
Madzar viene da molti
anni in Conservatorio. Mi viene subito in mente
un eccellente " tutto Bach" di oltre due
ore ascoltato qualche anno fa nel quale Madzar
rivelava tutta
la
sua classicità espressiva.
Ora
con Mozart, Chopin e Ravel ha mostrato un'altra
angolazione del suo modo d'intendere la musica.
Quello che risalta immediatamente all'ascolto è
la chiarezza timbrica evidenziata in ogni
compositore eseguito. Il Mozart che ha
introdotto il concerto con l'Adagio in si
minore k.540, ci è apparso particolarmente
meditato e riflessivo e dilatato nella
ripetizione del tema, giocato su modalità
interpretative probabilmente lontane dal periodo
storico di riferimento ma comunque interessanti.
Siamo quindi arrivati
all'esecuzione
delle celebri Quattro Ballate di Chopin.
Come detto in passato, Madzar in Chopin mette in
rilievo una personale modalità interpretativa
giocata sulla bellezza del timbro calibrato e
preciso atto a sottolineare l'aspetto analitico,
elegante e raffinato della musica del polacco,
certamente differente dalle interpretazioni
entrate nella storia dove caratteristiche di
maggior sintesi discorsiva spesso sono elemento
essenziale. La seconda parte del concerto ci è
piaciuta maggiormente. Ravel con le deliziose
Miroirs e poi con La Valse, è stato
perfetto sotto ogni profilo. L'estremo
equilibrio dinamico di Madzar e i bellissimi
colori esternati hanno elevato questi
impareggiabili brani ad un livello decisamente
alto. L'equilibrio delle parti ha avuto un ruolo
determinante nella straordinaria resa
interpretativa. Lunghi applausi e stupendo il
bis concesso con una formidabile trascrizione di
Mikail Pletnev dell'Andante maestoso
dallo Schiaccianoci di
Čaikovskij
interpretato mirabilmente.
Fragorosi applausi al pianista apparso molto
soddisfatto.
Da
ricordare
14 febbraio 2019
Cesare
Guzzardella
Il duo Kavakos-Pace per la Società del
Quartetto
Da alcuni anni il violinista
greco Leonidas Kavakos ed il pianista riminese
Enrico Pace formano un duo di affermato
successo. Ieri sera in Conservarorio, un
impaginato particolarmente interessante ha
messo
insieme un brano celebre come la Sonata n.3
in Re minore op.108 di J. Brahms ad altri
tre di raro ascolto come la Petite suite n.1
e n.2 del greco Nikos Skalkottas (1904-1949)
e la Sonata n.3 in la minore op.25 del
rumeno George Enescu (1881-1955). Tutti lavori
legati ad
elementi
folcloristici di evidente influenza stilistica.
Dei due interpreti abbiamo sempre apprezzato
l'esemplare equilibrio di coppia nel gestire
questo genere cameristico. Ieri, ancora di più,
il preciso tocco del celebre violinista, mai
esagerato nei volumi sonori sempre tenuti sotto
controllo in un medio livello di forza, era
perfettamente in sintonia con lo stile composto,
chiaro e dettagliato di Pace, interprete
altrettanto
vario nelle dinamiche. I brani scelti, sia
Brahms che soprattutto quelli meno conosciuti,
erano perfetti per evidenziare l'equilibrio di
due strumenti utilizzati con pari importanza.
Non avevamo certo un violino accompagnato, ma un
apporto equilibrato con differenti timbriche in
un tutt'uno musicale. La celebre ultima sonata
brahmsiana ci è apparsa perfetta nei dettagli e
nell' equilibrio dei quattro movimenti che la
compone. Anche il celebre Presto agitato
finale molto dettagliato ed espressivo. Le due
Petite suite del greco Skalkottas - nato
a Calcide nell'isola di Eubea- ,eseguite in
ordine inverso, sono in realt à
brevi avvincenti Sonate che con modalità atonali
e dodecafoniche riflettono l'influenza del
principale suo maestro di composizione: Arnold
Schönberg. Traspare nell'equilibrio delle parti
una perfezione
formale
raffinata ed espressivamente di alto valore.
Certamente l'influenza della Seconda Scuola di
Vienna è mediata da elementi folclorici di
luoghi mediterranei e questi rendono più
immediata la comprensione dei due capolavori.
Splendido l'ultimo brano del programma
ufficiale: un brano di Enescu, compositore,
virtuoso di violino ma anche del pianoforte
trattato qui con raffinata maestria. La sonata è
costruita con momenti timbrici, discreti e
nascosti, di memorabile rilievo espressivo. I
due splendidi virtuosi hanno raggiunto in questa
esecuzione un alto traguardo interpretativo
ed il pubblico, con molti giovani in sala, ha
risposto tributando al termine interminabili
applausi. Due i bis concessi: prima, rimanendo
in tema, un bellissimo Bartok dalla Rapsodia
n.1 e poi - fuori dal contesto ma splendido-
un grande Beethoven con l'Adagio molto
espressivo dalla Sonata n.5 op.24.
Splendido concerto! Da ricordare a lungo.
13 febbraio 2019 Cesare
Guzzardella
Roman Lopatynskyi allo
Spazio Teatro 89
Lo Spazio Teatro 89 è luogo
di conoscenza di nuovi validi interpreti. Ieri
abbiamo avuto l'occasione di ascoltare il
pianista ucraino Roman Lopatynskyi, classe 1993,
con alle spalle la vittoria di numerosi concorsi
internazionali, un ottimo piazzamento al celebre
Concorso F. Busoni
nel 2015 (Terzo classificato) e il recente Primo
premio al Concorso Internazionale Luciano Luciani di
Cosenza. Ha veramente impressionato
la tecnica completa espressa nell'interessante
impaginato proposto nel tardo pomeriggio di ieri
in un programma denominato Da Weimar a
Parigi, via Mosca e San Pietroburgo. Brani
della prima metà del Novecento con Stravinskij e
i celebri Tre Movimenti da Petruska
(1912), Prokof'ev con i cinque brani di
Sarcasmi op.17 (1912-1914), Paul Hindemith
con la rara Suite 1922 (1922) e la poco
nota ma importante compositrice sovietica
Galina
Ustvolskaya (1919-2006) e la sua Sonata n.2
(1949). Questo rilevante arco temporale è
stato anche inquadrato storicamente nel prezioso
intervento del sociologo-storico Giorgio Uberti
che in due brevi ma intensi momenti ha stimolato
il pubblico presente nel piccolo ed elegante
auditorium di via F.lli Zoia 89 con un escursus
storico-geografico di avvincente interesse.
Lopatynskyi ha mostrato una straordinaria
penetrazione musicale nel bellissimo e purtroppo
quasi mai eseguito Hindemith proposto come primo
brano. Le articolate dinamiche del complesso
ritmico
della Suite 1922, in pratica una
sonata in cinque parti, sono emerse in modo
preciso ed estremamente chiaro dalle mani sicure
del giovane pianista. Anche nel lavoro
successivo, Sarcasmi di Prokof'ev il
clima particolarmente dinamico ed irrequieto
ha trovato un ottimo interprete che ha scavato
con intensa espressività il grande russo. La
sintonia con quel circoscritto periodo musicale
è continuato con la lettura
della Sonata della Ustvolskaya, compositrice allieva di
Šostakovic
e degna erede di simili cifre compositive. Con
un salto indietro nel tempo,
il
1912 e con un grande e vario Stravinskij tra
neoclassicismo e nuovo secolo,
Lopatynskyi ha concluso degnamente il programma
ufficiale nella sua precisa sintesi discorsiva
degli infiniti momenti della suite. Dopo intensi
applausi del pubblico, purtroppo non numeroso ma
entusiasta, un brano distensivo come il noto
Preludio in Si
minore di Bach-Siloti ha concluso l'eccellente
tardo pomeriggio musicale. Da ricordare a lungo.
1 1 febbraio
2019
Cesare
Guzzardella
Guido e Giulia Rimonda in concerto a
Vercelli
Un vecchio adagio sostiene
che “il genio salta una generazione”: da padri
“grandi” nascono “piccoli” figli. Per fortuna
anche questa regola ammette le sue eccezioni e
una di queste è la famiglia Rimonda: Giulia, la
figlia di Guido, eccellente violinista nonché
fondatore e direttore dell’Orchestra Camerata
Ducale e della pianista e straordinaria
animatrice dell’Orchestra medesima Cristina
Canziani, a soli sedici anni non è più
solo‘figlia d’arte’, ma è artista del violino e
un’ artista che, se manterrà le promesse,
diverrà una delle migliori violiniste italiane
della sua generazione. Con un curriculum
di
studi di prim’ordine (è allieva di suo padre e
di Pavel Berman), Giulia Rimonda è stata
l’ammirata protagonista, ieri sera, 9/02, al
Teatro Civico di Vercelli, della terza serata
della stagione della Camerata Ducale: non è
stato certo questo il suo primo recital (ha
cominciato a suonare in pubblico a cinque
anni!), ma quello di ieri sera, e per la
difficoltà del pezzo eseguito e per
l’”ufficialità” della serata, ha segnato una
sorta di consacrazione definitiva di fronte al
grande pubblico. Il programma affidava a Giulia
Rimonda uno dei più celebri concerti per violino
e orchestra della storia della musica: quello di
Ciajkovskij. Celeberrimo, ma anche irto di
difficoltà tecniche, per la presenza di numerosi
passaggi di alto e temibile virtuosismo, che,
com’è noto, lo fecero giudicare ‘ineseguibile’ a
più di in solista dell’epoca. Il fatto che una
sedicenne decida di affrontare il pubblico con
un’opera simile è già prova di una virtù
indispensabile per la carriera che Giulia
Rimonda sta intraprendendo: il coraggio. Il
titolo della serata, ispirato a quello di uno
dei capolavori della narrativa russa, era “Padre
e figlia”: il padre-maestro sul podio, la figlia
nel ruolo di solista e si comincia subito
benissimo, coi tempi e le dinamiche giuste:
delicato e molto espressivo l’attacco
orchestrale, fremente il crescendo e infine
s’impone il violino. Fin da queste prime note si
riconoscono le qualità della giovanissima
interprete, che non si limita a eseguire la
partitura, ma cerca una ‘voce’, un ‘suono’
personale, che emerge chiaro all’apparire del
primo tema: un fraseggio incisivo, tornito con
una cavata non esteriormente brillante, ma
robusta e limpidamente disegnata, e al tempo
stesso, come del resto vuole la migliore
tradizione interpretativa, unita, in queste
prime battute, a un che di riservato e quasi
timoroso di dispiegarsi nel pieno canto
trionfale del Re maggiore. Già da un esordio
simile comprendiamo di trovarci di fronte a una
violinista che sa il fatto suo. Senza scendere
in una minuziosa analisi dei dettagli diremo di
altre due qualità dello stile interpretativo di
Giulia Rimonda che ci hanno sorpreso per la loro
precoce maturità in un’adolescente. Anzitutto la
sapiente gestione delle dinamiche,
particolarmente importante in un’opera come il
concerto per violino di Ciajkovskij, che è tutto
un saliscendi di fortissimi e di brusche
smorzature virate sul piano e il pianissimo, con
effetti chiaroscurali di potente suggestione:
banco di prova ne è soprattutto la sezione di
sviluppo del primo tempo, dove il Verné 1983
della Rimonda ha disegnato
in
modo diremmo perfetto quelle sottili trame di
luce e di ombra che ne sono il motivo
essenziale. La seconda osservazione riguarda il
possesso, anche in questo caso davvero
sorprendente, di una già notevole intensità
espressiva: ascoltando il canto dolente del
violino, che si leva al suo ingresso nella
Canzonetta centrale, si stentava a credere che a
eseguirlo fosse una giovane allieva di
conservatorio, per quella venatura di pathos
sottilmente malinconico che l’archetto
dell’interprete riusciva ad infondervi con
delicata sensibilità. Insomma,
un’interpretazione più che convincente e degna
di sincera ammirazione, sorretta da un possesso
già completo della tecnica violinistica, che ha
consentito a Giulia di superare le più impervie
pagine della partitura, con una disinvoltura che
traspariva dalla serenità concentrata e
imperturbabile del suo volto angelico; doppie
corde, armonici, colpi d’arco martellati e
picchettati in ritmi travolgenti, strappate
violente e rapinosi salti d’ottava, nulla
turbava la giovanissima interprete. Impeccabile
l’accompagnamento orchestrale con perfetti
sincronismi tra strumento solista e le varie
sezioni dell’orchestra (ove però ci è parso
talora un po’ debole il flauto). Alla fine del
concerto, uno tsunami di applausi del gran
pubblico presente in sala ha tributato il giusto
omaggio a Giulia Rimonda, che ha risposto con un
bis, la Sarabanda dalla Partita n. 2 per violino
solo di J. S. Bach. In vera serata di grazia, la
Camerata Ducale ha eseguito nella seconda parte
del concerto, un'altra composizione di
Ciajkovskij, La Suite dello Schiaccianoci: Si è
trattato di una bellissima esecuzione, guidata
da Rimonda (Guido) con leggerezza e grazia
mozartiane, capaci di ricreare quell’atmosfera
incantevole di favola che è la cifra della
meravigliosa musica per balletto del sommo
compositore russo. Raramente abbiamo ascoltato
numeri come la Danse de la Fée Dragée o la Danse
Arabe, suonate con così dolce leggerezza e lo
stesso fin troppo celebre Valzer dei fiori è
risuonato come trasfigurato da un’aerea levità,
in cui l’aspetto puramente “ballabile” che
rischia di renderlo volgarotto se prende il
sopravvento, si dissolveva nei lievi arabeschi
disegnati da una timbrica stupenda, con tutta la
sezione fiati in gran spolvero. I due bis
concessi dall’orchestra, il Pas de deux, sempre
dallo Schiaccianoci e la ripetizione del
Trepak-danza russa hanno coronato degnamente una
serata di musica destinata ad abitare a lungo la
casa dei nostri ricordi.
10 febbraio 2019 Bruno Busca
Il nuovo Concerto per
violino di Fabio Vacchi in Auditorium con
Nordio e Boccadoro
Il concerto ascoltato ieri
sera in Auditorium prevedeva oltre a due noti
lavori di Mendelssohn quali l'Ouverture
da Le Ebridi Op.26 e la Sinfonia n.3
Op.56 "Scozzese", il recente Concerto per
violino
del
compositore bolognese Fabio Vacchi. Il brano, da
alcuni mesi revisionato e ribattezzato col
titolo Natura naturans, era in prima
esecuzione italiana ma già eseguito
negli
ultimi mesi del 2018 a Budapest ed a New York.
Tre classici tempi hanno definito un lavoro dove
la componente solistica, sostenuta in modo
esemplare da Domenico Nordio, era
particolarmente presente e molto pregnante nel
marcato segno musicale. Il riferimento al
Concerto per violino di Berg, segnalato dallo
stesso Vacchi nelle note di sala, risulta
evidente in tutta l'atmosfera tardo-romantica ed
espressionista di cui il complesso brano è
impregnato. A mio avviso l'ottimo concerto di
Vacchi trasuda di un linguaggio personale che
riflette tutta l'evoluzione del genere
concertistico del secolo scorso, con una
componente
melodica ampliamente rimarcata ed evidenziata
dalle scultoree note di Nordio e dalle armonie
perfettamente sincronizzate degli ottimi
orchestrali della Sinfonica Verdi. Ottima la
direzione di Carlo Boccadoro che ha trovato pane
per i suoi denti nel contrastato brano dove la
componente più intensamente melodica dell'
Allegro moderato iniziale e soprattutto
dell' Andantino centrale, ha nel
terzo
ed ultimo movimento, Presto brillante,
motivi di contrasto ritmico e dinamico. Il
virtuosismo iniziale, sia orchestrale che
solistico, nella perfetta integrazione delle
componenti musicali, ha avuto timbriche chiare
ed espressive nel voluminoso violino di Nordio.
Nelle note finali il ritorno all'origine, con
una dilatazione musicale di maggior respiro
melodico, ha portato il lavoro in linea con le
prime battute. I riferimenti a certa musica
americana, con ritmiche particolarmente
coinvolgenti, sono risultati evidenti nel
movimento finale, in contrapposizione al mondo
più europeo- soprattutto germanico- dei primi
due. Grande successo al termine della riuscita
interpretazione con Fabio Vacchi e tutti i
protagonisti saliti più volte sul palcoscenico
dell'Auditorium. Domenica alle ore 16.00 si
replica. Da non perdere!
9 febbraio 2019 Cesare
Guzzardella
Prossimo appuntamento a
Vercelli
A Vercelli prossimamente il
secondo appuntamento della rassegna GREEN TIES
2019 avrà luogo domenica 10 febbraio 2019 alle
ore 11 presso la Sala Parlamentino, Palazzo
dell'Ovest Sesia a Vercelli. Cristian Lombardi
al flauto e Claudio Longobardi alla chitarra. In
programma musiche di Carulli, Piazzolla ecc.
8 febbraio 2019 dalla
redazione
Marianne Crebassa e Fazil Say
alla Scala
Dopo aver ascoltato il
pianista turco Fazil Say in Conservatorio
qualche sera prima, l'averlo potuto riascoltare
presso il Teatro alla Scala nel doppio ruolo di
accompagnatore del mezzosoprano Marianne
Crebassa e in brani solistici suoi e di autori
francesi ha reso ancor più importante la
conoscenza di questo compositore-interprete.
Domenica scorsa, (scusate il ritardo ma
l'influenza mi ha schiantato a letto) un
programma soprattutto francese ha unito le
ottime timbriche della
celebre
cantante di Montpellier alla sensibilità del
pianista che ha interpretato anche due suoi
lavori, il primo, in solitaria, la Sonata per
pianoforte op.52 denominata Gezi Park 2,
e il secondo con la rilevante e sostenuta voce
di Marienne, Gezi Park 3. Nella prima
parte della serata le Trois Mélodies di
Claude Debussy avevano introdotto il recital
mettendo in luce l'ottima timbrica della
Crebassa in sinergia con il pianismo di Say
molto adeguato al mondo francese di fine
Ottocento e di primo Novecento come già
recentemente detto. Bene la scelta di alternare
brani vocali con brani solo pianistici e valido
lo stacco col morbido e profondo Erik Satie del
quale Say ha eseguito le celebri Trois
Gnossiennes per poi incontrare sempre
autonomamente ancora Debussy con due Preludi
dal primo libro. Il rientro in scena della
Crebassa ci portava sul versante di Ravel con la
versione per voce e pianoforte di Shéhérezade
e di Vocalise-étude. Esecuzioni di
pregnante rilievo espressivo. Ancora vocali i
brani che si sono susseguiti prima con Fauré tra
cui Cygne sur l'eau e poi con il più raro
Henri
Duparc. La Sonata di Say, tre parti senza
interruzioni, ci ha mostrato ancora una volta
l'originale ed eclettico linguaggio di Say, che
come detto recentemente, accosta momenti di
melodicità tutti europei ad altri di intensa e
spesso tagliente espressività utilizzando la
tastiera in modo molto completo con effetti
amplificanti che rimandano a timbriche dai
sapori orchestrali. C'è una visione più ampia
nella musica di Say che spesso esce dalla sola
dimensione pianistica. Più intimo e decisamente
più "orientale" il suo brano Gezi Park 3
eseguito in modo deciso ed espressivo dalla
Crebassa. Questo lavoro uscendo dalle modalità
più gentili tipiche francesi ha trovato nella
strada mediterranea una ragione di rilevante
espressività estetica. Bravissimi i due e
fragorosi applausi con un bis di splendida
classicità: dalle Nozze di Figaro di
Mozart un sublime Voi che sapete. Da
ricordare!
2 febbraio 2019 Cesare
Guzzardella
Prossimamente
Padre e figlia
al Teatro Civico di Vercelli
Sabato
9 febbraio 2019 alle ore 21 presso il Teatro
Civico di Vercelli ci sarà il concerto
denominato PADRE E FIGLIA. Protagonisti:
Giulia Rimonda, violino solista, l'Orchestra
Camerata Ducale e il direttore Guido Rimonda. In
programma di Pëtr Il’i č
Čajkovskij Concerto per violino e orchestra op.
35 e Suite dallo Schiaccianoci op. 71a
2 febbraio 2019 dalla
redazione
GENNAIO 2019
Al Teatro Coccia di
Novara l' Orchestra del Conservatorio Cantelli
Ieri sera 30/01, sul
palcoscenico del Teatro Coccia di Novara, si
sono esibiti in concerto gli allievi del locale
Conservatorio, intitolato a uno dei più grandi
direttori d’orchestra italiani del ‘900, il
novarese Guido Cantelli, prematuramente
scomparso in un incidente aereo nell’ormai
lontano 1956. I giovani concertisti erano
guidati, di fronte al pubblico delle grandi
occasioni, dal loro docente preparatore, il
direttore orchestrale Nicola Paszkowski, che ha
proposto un programma impaginato su composizioni
di piacevole ascolto, ma tutt’altro che banali:
l’Ouverture del mozartiano Idomeneo re di Creta,
KV 366, il Concerto per violoncello e orchestra
in Do maggiore n.1 Hob VIIb:1 di F. J. Haydn, Le
creature di Prometeo op.43 di Beethoven e a
chiudere trionfalmente uno dei più celebri poemi
sinfonici lisztiani, Les Préludes. Graditissima
“ospite” la ventenne violoncellista romana Erica
Piccotti, solista nel concerto
haydniano.
Prima di commentare la serata, ci si consenta un
plauso sincero al Cantelli e ai suoi dirigenti e
docenti, per la lodevole iniziativa di educare i
loro giovani allievi, fin dagli studi di
Conservatorio, alla musica d’insieme, in
particolare a quella orchestrale, consentendo
loro un’esperienza di fondamentale importanza
per la loro formazione professionale e dunque
per il loro futuro. Dal concerto di ieri sera
siamo usciti con due convinzioni. La prima è che
questi giovani allievi del Cantelli sono ben
preparati, sia sotto il profilo della tecnica
individuale nel singolo specifico strumento, sia
nell’affiatamento in una formazione orchestrale.
Partita un po’ in sordina, con un Idomeneo dal
suono piuttosto piatto, cui sfuggivano le
complesse sfumature e la densità costruttiva di
questa non semplice partitura, sospesa sin
dall’inizio fra trionfale fanfara in Re maggiore
e dolente profilo motivico gravitante sul Sol
minore, la giovane orchestra, trascinata dalla
bravissima Piccotti, si è ripresa nel concerto
di Haydn, in cui i giovani del Cantelli hanno
dato ottima prova di sé: in particolare i i
fiati nel primo movimento, capaci di quelle
sfumature espressive che la partitura richiede e
gli archi nel terzo tempo, ove soprattutto i
primi violini hanno sfoggiato suono brillante e
ottime dinamiche, nel ritmo travolgente della
scrittura. I giovani maestri, sotto l’attenta
guida di un Paszkowsky dal gesto autorevole e
preciso nello stacco dei tempi e molto attento
all’evidenza timbrica dei piani sonori, hanno
dato il meglio anche nella composizione
beethoveniana e nel poema lisztiano,
efficacemente interpretato sia nelle sezioni più
solenni, sia in quelle di più disteso lirismo.
Qui si sono ben destreggiati gli ottoni, in
particolare i corni, dal bel suono romantico,
evocativo di misteriose, remote lontananze.
Certo, si tratta pur sempre di studenti, che
debbono ancora maturare pienamente sul piano
tecnico e interpretativo: qualche entrata non
sempre puntuale, un suono non sempre pulito
(specie tra gli ottoni gravi) si sono sentiti,
ma nel complesso i giovani del Cantelli hanno
offerto al pubblico una prova che definire
dignitosa è forse troppo poco. La seconda
convinzione, che è per noi anche una bella
scoperta, è che Erica Piccotti è già più di una
semplice promessa. Sotto le sue dita, le quattro
corde del violoncello Francesco Ruggeri 1692
hanno fornito un’eccellente interpretazione del
gioiello di Haydn: In possesso di una tecnica
già agguerrita, con cui domina disinvoltamente
passaggi difficili, come nei rapidissimi
spiccati del finale o nei vari salti di ottava,
brusche variazioni dinamiche e agogiche
disseminate nella partitura, la Piccotti si
distingue per un suono morbido e caldo, capace
di un intenso e coinvolgente lirismo nello
stupendo adagio centrale. Veramente brava, anche
nel bis: un pezzo molto bello per violoncello
solo del grande violoncellista e compositore
spagnolo del ‘900 Gaspar Cassadò. Dopo il bis
richiesto con insistenza da un pubblico
tripudiante (il finale de Les Préludes), la
giovane orchestra del Cantelli si è congedata,
con un arrivederci alla prossima esibizione il
20 maggio prossimo.
31 gennaio 2019 Bruno Busca
Lutto per la Società
del Quartetto
La
storica Società del Quartetto di Milano è in
lutto. L’avvocato Antonio Magnocavallo si è
spento Sabato 26 gennaio 2019, dopo una lunga
malattia combattuta con coraggio e tenacia.
Avrebbe compiuto 82 anni l’11 aprile. Presidente
della Società del Quartetto di Milano dal 2006,
nei decenni precedenti ne aveva retto le sorti
come vice presidente esecutivo. Ne era Socio fin
dall’infanzia. Aveva fatto parte del Consiglio
direttivo del Quartetto a partire dagli anni
Ottanta, significativi per la trasformazione del
Quartetto: Magnocavallo( foto di Vico Chamal) si
era battuto con tenacia e generosità per
riconquistare l’apertura della Società al
pubblico, non più ai soli Associati, in
continuità con i suoi originari scopi statutari
della fondazione nel 1864. “Il Quartetto” amava
sostenere “è un privilegio per tutti!” E’ del
2003 la fusione dei Concerti del Quartetto con
la Società del Quartetto che da allora è aperta
alla città. Il progetto di Antonio Magnocavallo
si era attuato.
26 gennaio 2019 dalla
redazione
Winterreise
coreografato da Angelin Preljocaj alla Scala
È stata un'eccellente idea
quella di Angelin Preljocaj di mettere in scena
i lieder di Franz Schubert della celebre
raccolta Winterreise in questa nuova
produzione scaligera. Il "doppio spettacolo"',
quello donato dal
basso-baritono Thomas Tatzl e
del pianista James Vaughan e quello del Corpo di
ballo del Teatro alla Scala, ha rivelato un
valore aggiunto dall'unione musicale con le
movenze intimiste e discrete create ad hoc dal
coreografo francese. L'atmosfera cupa, non
appariscente e con colori uniformi molto vicini
alla visione schubertiana dei 24 lieder ha
rivelato l'aspetto più nascosto e sofferente
della vita. Non per nulla l'ultimo canto del
ciclo, Der Leiermann - L'uomo
dell'organetto- con il lento schierarsi di tutti
i bravissimi 12 ballerini ( prime due foto di Brescia-Amisano-Archivio Scala), riassume in
modo
perfetto il clima di profonda autenticità, con
tutti i dubbi e le domande senza risposta che
questo viaggio d'inverno vuole
evidenziare. Valida l' idea di fare entrare in
scena l'eccellente Thomas
Tatzl passando per il palcoscenico con il primo
celebre canto Gute Nacht sino a
raggiungere la sua postazione laterale e di
farlo tornare nel centro del palcoscenico
insieme ai danzatori a circa metà ciclo per poi
riprendere la sua posizione fissa. Quest'idea di
unione tra due forme d'arte, il canto e la danza
ha centrato l'obiettivo con uno spettacolo
raffinato che ha però bisogno di un pubblico,
come quello che ha assistito ieri sera in Scala,
disposto ad intraprendere un percorso
introspettivo. Un lavoro di straordinaria
autenticità quello di Preljocaj, nato
dall'ascolto delle impareggiabili note di
Schubert e dai mirabili testi di Wilhelm Müller.
Un plauso a tutti i ballerini: Albano, Vassallo,
Ballone, Di Clemente, Fiandra, Lunardi,
Montefiore, Agostino, Fagetti, Gavazzi, Messina,
Lepera, Risso. Assolutamente da vedere.
26 gennaio 2019 Cesare
Guzzardella
Monica Bacelli e il
Trio Metamorfosi prossimamente a Vercelli
Lunedì
28 gennaio 2019 alle ore 21 presso il TEATRO
CIVICO di Vercelli si terrà un concerto
protagonisti il Trio Metamorphosi e il
mezzosoprano Monica Bacelli. Verranno eseguiti
brani di Haydn e di Beethoven-
dalla redazione 25 gennaio
2019
Fazil Say per la
Società dei Concerti
E' da molti anni che il
pianista turco Fazil Say torna a Milano in
Conservatorio impaginando programmi variegati
nei quali la sua musica occupa uno spazio
preponderante. Say, anche compositore di
successo, è molto apprezzato nel suo paese
d'origine per le sue sonorità al confine
tra
oriente ed occidente. Ieri, tra Debussy e
Beethoven ha inserito nell'impaginato due suoi
lavori, uno di questi, Black Earth, è
oramai diventato un classico anche nelle sue
serate in Sala Verdi. Ha fatto bene Fazil ha
introdurre il concerto con sei Preludi di
Claude Debussy, musicista a lui congeniale per
sensibilità e per caratteristiche timbriche.
L'esecuzione dei Preludi è stata di
grande rilievo musicale. Say mostra di
riflettere su quello che sta eseguendo e questo
si riscontra anche osservando la sua gestualità
particolarmente accentuata, significativa e mai
gratuita. Le timbriche ottenute, da quelle più
delicate, molto presenti nel compositore
francese, a quelle più incisive, sono rilevate
da un sapiente uso delle pause spesso
evidenziate dal suo gesto a conclusione delle
frasi. Dopo i Preludi, tutti eccellenti nei
rapporti
dinamici,
l'inizio del suo primo brano ,Yürüen Kösk,
ha portato i numerosi ascoltatori di Sala Verdi
in un'atmosfera sonora simile, almeno nella
parte iniziale del brano. Il recente lavoro di
Fazil è un unico movimento articolato in più
sequenze contrastanti. Dalle situazioni più
melodiche ricche di riferimenti alla cultura
classica occidentale di primo Novecento - tutti
i francesi e anche gli chansonier- alla
tradizione folcloristica dei Bartòk o a certo
jazz per il ritmo e gli accenti che ad un certo
punto risultano contrastare le linee musicali
più intime. Ottimo lavoro! Il breve ma
significativo Black Earth lo conosciamo
bene, e sottolineamo
l'intelligente uso delle note più gravi con
effetto percussivo ottenuto toccando la tavola
armonica per un
risultato
timbrico complessivo di grande suggestione che
sottolinea la bella linea melodica
caratterizzante l'originale lavoro. Dopo
l'intervallo, Say ha affrontato con grande
personalizzazione una delle
pagine
più "evolute" di L.v.Beethoven, l'Op.106.
La Sonata in Si bem. Maggiore ha una
serie innumerevole d'interpretazioni entrate nella
storia e naturalmente nell'ascoltare la versione
del pianista quarantottenne di Ankara non
dobbiamo fare confronti impossibili, ma vedere
la sua visione di Beethoven mediata dalla sua
sensibilità di compositore. Quello che mi è
maggiormente piaciuto nella sua originale
reinvenzione è la coerenza legata al suo modo
d'intendere la musica, un divenire sonoro
trasformabile che è tipico dei
pianisti-compositori, quelli più creativi e meno
legati alla storia interpretativa. Due i bis
concessi: un eccellente Chopin con il celebre
Notturno in Do# minore postumo, splendido
anche perch é differente dal
consueto, ed il finale Rondò.Allegro
della Sonata Patetica di Beethoven eseguito con
energia e passione tutta "alla Say". Grande
musicalità per un grande artista!
24 gennaio 2019 Cesare
Guzzardella
Le percussioni di Simone Rubino per la
Società del Quartetto
Un concerto inconsueto ma
molto interessate quello di ieri sera in
Conservatorio organizzato dalla Società del
Quartetto. Sul palcoscenico di Sala Verdi il
percussionista torinese Simone Rubino ha
riempito il grande auditorio con ritmi frenetici
ma anche con soffici armonie da quattro diverse
postazioni
di strumenti a
percussione:
rullante, set percussivi, vibrafono, marimba e
un po' di elettronica si sono alternati per
l'esecuzione di brani di sei diversi compositori
tra i quali spiccano i più conosciuti Astor
Piazzolla con i celebri Libertango, Oblivion
e Verano Porteno eseguiti in lodevoli
trascrizioni per marimba, e il greco-francese
Iannis Xenakis, celebre compositore di musica
elettronica e concreta della seconda metà del
'900, con esperienze rilevanti nel mondo ritmico
percussivo. Suo il brano Rebond B per set
di percussioni magistralmente percosse dal
giovane interprete. Del
compositore
torinese Roberto Bocca, abbiamo ascoltato due
ottimi brani: Esegesi per vibrafono, sei
minuti col quale si avvicina al mondo del jazz,
genere che spesso utilizza il vibrafono sia per
i potenziali melodici che per quelli ritmici.
Rubino ne
ha
esaltato ogni potenzialità dinamica e ritmica.
Nel secondo brano Sintesi per percussioni
ed elettronica, il virtuosismo percussivo ha
alternato il vibrafono e la marimba in un lavoro
che ricorda certe sperimentazioni
del rock progressivo anni '70 alla Mike Oldfield.
Il concerto era iniziato con un brano
particolarmente ridondante ed efficace del
giapponese Maki Ishii con Thirteen drums
per set percussivo e nel corso del concerto due
interessanti lavori per solo rullante, il primo
di Alexej Gerassimez, Asventuras, e di
Wolfgang Reifeneder, Cross Over, hanno
esaltato le qualità percussive di questo
splendido percussionista che ha meritato al
termine tutti i fragorosi applausi ottenuti da
parte di un pubblico non numerosissimo ma
certamente intenditore. Particolarmente efficace
il bis gestuale concesso
nell'ambiente oscurato dove il corpo fermo di
Rubino e le sue mani muovevano lentamente e
velocemente una bacchetta colorata, rossa fluorescente
con movimenti sincroni alla musica concreta
preregistrata nobilitata da voci particolarmente
suggestive. Eccellente questa perfomance
che ha unito in modo intelligente il gesto con
il suono-rumore. Applausi sentiti e uscite
ripetute di Rubino con volto particolarmente
soddisfatto.
23 gennaio 2019 Cesare
Guzzardella
Chailly e la
Sesta
Sinfonia di Mahler alla
Scala
L'ultima replica scaligera
della Sesta Sinfonia di Gustav Mahler
ascoltata ieri sera ha avuto ancora
un
meritato successo di pubblico. La Filarmonica
della Scala e il suo direttore stabile Riccardo
Chailly hanno trovato il giusto equilibrio
espressivo in un lavoro, quello del compositore
boemo-austriaco, che fortunatamente abbonda
ancora di grandi direzioni ed esecuzioni in
tutto il mondo. La durata dell'interpretazione ,
88 minuti con le brevi pause - circa trenta
secondi tra i quattro movimenti - è nella media
delle durate più lunghe di questa monumentale
Sinfonia in la minore, composta per un
organico molto ampio, tipico delle grandi
orchestrazioni di fine Ottocento e primo
Novecento. Ci è piaciuto molto il taglio
interpretativo del direttore milanese, specie
nel celebre Allegro moderato finale ricco
di contrasti e
con
momenti qualitativi stravolgenti. Le sezioni
orchestrali - splendida quella delle percussioni
in generale- hanno trovato una valida intesa
anche se le timbriche emerse a volte un po'
secche- ma questo dipende anche dal palcoscenico
forse relativamente stretto per l'ampia
compagine orchestrale- hanno isolato
parzialmente i colori orchestrali delle sezioni
meno voluminose (archi) con contrasti non sempre
eccellenti. Qualche spigolatura del timbro -
primo corno- si è notata. Certamente di valore
l'interpretazione complessiva. Ricordiamo i
prossimi concerti di questa serie sinfonica con
una Nona di Bruckner prevista per il 13-14 e 17
febbraio per la direzione
di Dohnányi e una Quinta di Mahler per il 28
febbraio e 1-2 marzo sempre col Maestro Chailly.
Da ricordare.
20 gennaio
2019 Cesare Guzzardella
A Vercelli entra nel
vivo il 21° Viotti Festival
Dopo i sapidi aperitivi
prenatalizi, ieri sera, sabato 19/01,
nell’abituale sede del Teatro Civico ha avuto
ufficialmente inizio a Vercelli la stagione 2019
del Viotti Festival. E migliore inizio non
poteva esserci: a celebrare l’evento, dinanzi ad
un Civico vicino al tutto esaurito, quella vera
festa della Musica (sì: di quella con la
maiuscola!) che sono le composizioni di J. S.
Bach, a cominciare dai concerti, sintesi suprema
di geometrica razionalità e squisito gioco di
timbri, ritmi, linee melodiche:
un
mondo di ideale perfezione, calato nello stampo
storico del concerto grosso barocco.
Monograficamente bachiano, dunque, l’esordio del
Festival vercellese, impaginato su tre perle dei
quasi innumerevoli concerti di J. S. Bach: il
BWV 1044 in la minore per flauto, violino,
clavicembalo, archi e basso continuo, il BWV
1056 in fa minore per clavicembalo, archi e
basso continuo e infine quel capolavoro
originalissimo che è il quinto Concerto
Brandeburghese, il BWV 1050 in Re maggiore per
flauto, violino, clavicembalo, archi e basso
continuo. A eseguire il programma gli archi
della Camerata Ducale e tre solisti di grande
qualità e solida fama: Guido Rimonda al violino,
Massimo Mercelli al flauto e quel simpatico
hobbit della tastiera che è Ramin Bahrami al
pianoforte, in sostituzione del clavicembalo,
secondo una prassi ormai generalmente ammessa
(con qualche residuale resistenza). La
trasparenza del suono, la leggerezza dello stile
galante del miglior tardo-barocco, il fraseggio
nitido e al tempo stesso come sospinto da una
energia propulsiva incessante, l’eleganza
affettuosa del dialogo tra ripieno e concertino
e
dei solisti fra loro; queste le qualità del
mondo musicale evocato ieri sera a Vercelli, cui
sia gli archi della Ducale (sempre di ottimo
livello nel suono e nel fraseggio, nonostante i
frequenti cambiamenti nell’organico orchestrale:
ad ogni serata si vedono volti nuovi, in genere
giovani), sia i tre solisti hanno dato il loro
contributo: Rimonda con una cavata aggraziata e
dal fraseggio sempre perfettamente tornito e
limpido anche nei legati , Mercelli con il
timbro cristallino del suo flauto, che spruzzava
d’argento il fluido scorrere delle note, Bahrami
con un’infaticabile presenza dovuta al doppio
ruolo del clavicembalo/pianoforte nel BWV 1044 e
nel BWV 1050: basso continuo, ma anche un
rilievo strumentale inedito per i tempi, che ha
il suo culmine nella straordinaria, lunga
cadenza del primo tempo del BWV 1050. A questo
punto, qualche osservazione sullo stile
esecutivo di Bahrami s’impone: com’è noto il
Bach del maestro italo-iraniano ha molti devoti
cultori ( ed erano presenti in gran numero anche
ieri sera) e molti aspri detrattori. A noi di
Bahrami piace la cantabilità, il suono caldo e
leggero, tuttavia siamo disposti ad ammettere
che non tutto e sempre “funzioni” nelle
interpretazioni di Bahrami: la cadenza del BWV
1050 ascoltata ieri non ci ha convinti troppo:
il ritmo incalzante, unito ad un uso talora
eccessivo del pedale, ha creato un flusso
omogeneo e quasi indistinto, al limite della
confusione. Così, almeno, a noi è parso.
Comunque il pubblico è andato in visibilio,
ottenendo due bis: in ordine, il secondo e il
terzo tempo del BWV 1050. In generale un’altra
di una serie ormai lunga di bellissime serate di
musica che la Camerata Ducale ha donato al suo
numeroso e affezionato pubblico.
20 gennaio 2019 Bruno Busca
Prossimamente
all'Auditorium Fratelli Olivieri di Novara
Fulvio Luciani e Massimiliano Motterle
Domenica 27 gennaio 2019 alle
ore 17 all'Auditorium Fratelli Olivieri un
Concerto insolitamente di domenica per la
Giornata della Memoria per la stagione dei
Concerti del Cantelli 2018/2019. Decimo concerto
con l’esule Castelnuovo-Tedesco con
protagonisti: Fulvio Luciani, violino e
Massimiliano Motterle, pianoforte. Musiche di
Castelnuovo-Tedesco (incluse rielaborazioni da
Brahms e Chopin).
dalla redazione 20 gennaio
2019
Uto Ughi e I Filarmonici di Roma alle
Serate Musicali
Da anni lontani il violinista
bustocco Uto Ughi viene in Sala Verdi.
Ieri sera, accompagnato da I Filarmonici di
Roma ha impaginato un programma vario ma
tipico del suo più frequentato repertorio.
L'introduzione solo
orchestrale de I
Filarmonici, con Antiche Arie e Danze,
terza suite di Ottorino Respighi ha evidenziato
tutte le splendide q ualità coloristiche di
questa formazione cameristica, qualità che sono
tipiche del modo più italiano d'espressione. Respighi, maestro d'orchestrazione, ha concepito
i movimenti di questa Suite per un
ritorno alla tradizione antica della musica, con
sequenze melodiche mirabili per nitore
espressivo. Col Concerto per violino e
orchestra BWV 1041 in la min. di J.S.Bach è
entrato in scena Ughi per un'esecuzione valida
in cui la perfetta integrazione del violino con
gli archi ha migliorato l'esecuzione. Con
Gaetano Pugnani e il suo celebre Preludio e
Allegro nella trascrizione di Fritz Kreisler
il violinista ha giocato una delle sue carte
vincenti. Il noto brano di Pugnani, musicista vissuto
per tutta la seconda parte del '700, è altamente
melodico ed acquista in bellezza in questa
versione con orchestra d'archi. La seconda parte
del concerto, in crescendo qualitativamente, ha
visto inizialmente una rarità esecutiva come il
Concerto per violino e archi in re minore
di Mendelssohn. Il brano, in tre movimenti, è
nettamente meno eseguito dalla celebre
Op.64
ma certamente interessante e con momenti
topici come il delizioso Allegro finale
eseguito benissimo. Con
Pablo De Sarasate il
Maestro Ughi è tornato alla classica riduzione
strumentale dalla Carmen di Bizet. De
Sarasate con questa formidabile trascrizione
delle celebri arie d'opera ha esaltato le
qualità dello strumento ad arco e Ughi ha
sapientemente sottolineato
con speciale virtuosismo i dettagli del brano.
Il suo suono, altamente espressivo, ha trovato
momenti
di lievi carenze d'intonazione che non
hanno comunque disturbato la sua classe
interpretativa resa tale dalla consolidata
esperienza in questo repertorio. Classe
riconfermata nei numerosi bis da lui
concessi dopo i fragorosi applausi tributati
alla fine del programma ufficiale. Prima uno
splendido Astor Piazzolla con il meraviglioso
Oblivion, quindi la classica e da lui
stra-eseguita Ridda dei folletti di
Bazzini ed infine, a luci completamente accese,
la melodica e profonda Humoresque di
Antonìn Dvoràk.
Grande successo con fragorosi e
meritati
applausi
e poi l'attesa
nel foyer per gli autografi sui Cd. Da
ricordare.
18 gennaio 2019
Cesare
Guzzardella
La musica russa di Olga Kern
per la Società dei Concerti
Da molti anni la pianista
russa, naturalizzata americana, Olga Kern è
ospite della Società dei Concerti ed è
come sempre attesa dal numeroso pubblico di
abbonati e non. Ieri sera un programma
interamente russo incentrato su Rachmaninov,
ma
con
altri musicisti di contorno quali
Čaikovskij,
Skrjabin, e nel fuori programma,
Liadov,
Mussorgsky, Prokof'ev, Balakirev, Rimsky-Korsakov,
ecc.,
ha messo in risalto il repertorio più
riuscito di questa bravissima e bella pianista.
La Kern cura molto sia l'estetica del linguaggio
musicale, ricco di virtuosismi sottolineati da
una solida e collaudata esperienza -specie nei
russi-, sia la sua estetica a dimostrazione
della quale il cambio dell'abito tra la prima e
la seconda parte del concerto è diventata cosa
attesa e gradita da tutti i fedeli ascoltatori.
Abiti sgargianti ma raffinati e splendidamente
indossati da un fisico alto e snello. Il primo,
color panna con inserti floreali neri a
contrasto, e il secondo: un bel rosso vermiglio
che ben si addice alla sua carnagione chiara. I
colori
dei suoi abiti sono anche i colori della
sua musica: timbri forti, a volte viscerali, che
trasudano di intensità espressiva non
disdegnando momenti di pacato lirismo e di
grazia. Ieri nel vario programma dominato da Rachmaninov ma seguito da una decina di brani di
altri russi,
tra programma
e bis, la bionda interprete
ha rivelato ancora una volta il suo pianismo
completamente interiorizzato, dalle
caratteristiche in apparenza improvvisatorie ma
legate in modo preciso alla notazione musicale.
La Kern è una pianista tout-court: vuole
divertirsi suonando e sente come il pubblico la
segue quando restituisce in modo intelligente e
funzionale la sua formidabile tecnica espressa
dalle sue forti e composte mani. Tra i numerosi
brani eseguiti segnaliamo certamente la
Sonata n.2 op.36 di Rachmaninov di intensa
espressività, i celebri Preludi Op.32 n. 5
e12 di estrema delicatezza, il Preludio
Op.23.n.5 cavallo di battaglia di grandi
pianisti ed eseguito con efficace grinta dalla
Kern, validi Cajkovskij con
Méditation op.72 n.5 e
gli Studi di Scriabin con l'Op.42 n.4 e 5; di grande impatto
sonoro Islamey, Fantasia orientale di
Balakirev. Notevoli i quattro bis concessi con
il delicato e incantevole Music Box op.32
di Anatoly Liadov, il galoppante Gopak di
Mussorgsky-Rachmaninov, il
celeberrimo e rapidissimo Volo del calabrone
di Rimsky-Korsakov e lo Studio n.4 di
Prokofiev. Un concertone da ricordare.
17 gennaio 2019 Cesare
Guzzardella
L'Ottavo Concerto per
la Stagione dei Concerti del Cantelli a Novara
Sabato 19 gennaio 2019 alle
ore 17 presso l' Auditorium Fratelli Olivieri
per la stagione dei Concerti del Cantelli
2018/2019 si terrà l'Ottavo concerto con
Preziosismi cameristici e l’amalgama delle
percussioni. I protagonisti sono Benedetta
Ballardini, flauto, Sonia Candellone, pianoforte
e violoncello, Davide Broggini e Stefano
Ricchiuti, percussioni, Tiziana Ravetti, soprano
e Gigliola Granziera, pianoforte. Musiche di
Casella, Debussy, Dutilleux, Friedman, Samuels,
Knipple, Weill, Poulenc, Bernstein
17 gennaio dalla redazione.
Un quartetto musicale
inconsueto ed eccellente
Un programma diversificato e
valido quello offerto ieri sera in Conservatorio
da Alexander Lonquich et family. Sottotitolato "Convivium",
l'impaginato prevedeva brani di sei compositori
differenti, con un occhio di riguardo per il
'900 e una particolare
attenzione
per Igor Stravinskij di
cui abbiamo ascoltato, in posizione centrale nel
programma e con eccellente interpretazione, la
celebre Sagra della primavera nella
versione per pianoforte a quattro mani con,
oltre Lonquich, Cristina Barbuti. Il noto brano,
con la pianista nella parte sinistra/bassa della
tastira, era stato preceduto da una rarità
sempre del grande russo quale i Tre pezzi per
Quartetto d'archi nella versione anche
questa a quattro mani e ben eseguita dalla
coppia -anche nella vita- di pianisti. Altri due
strumenti erano in gioco nel concerto
organizzato da Serate Musicali: il flauto
di Irena Kavcic e il clarinetto di Tommaso
Lonquich. Due i lavori proposti di Claude
Debussy per clarinetto: il primo, Petite
Pièce per clarinetto, ha introdotto la
serata, quindi la
Prima
Rapsodia per clarinetto e pianoforte, con
padre e figlio in perfetta sintonia, ha concluso
le esecuzioni del celebre francese. Tommaso ha
da subito espresso ottime qualità musicali con
un dosaggio dinamico efficace e con colori
timbrici delicati ed espressivi. Il flauto è
entrato in gioco grazie a Camille Saint-Saëns e
alla sua Tarantella op.6, brano dal
sapore molto rossiniano, eseguito benissimo non
solo dalla flautista ma anche dai due Lonquich.
Irene Kavcic si è rilevata un'ottima interprete
pure nei lavori di André Jolivet
con
la Sonatina per flauto e clarinetto,
brano di mirabile virtuosismo, con Frank Martin
e la sua Ballade per flauto e pianoforte
e, a conclusione del programma ufficiale, con
una rarità contemporanea di certo Guillaume
Connesson (1970). Techno-Parade per flauto,
clarinetto e pianoforte è un brano
spettacolare nella diversificazione ritmica per
poche note espressive e accentate in ogni
combinazione, sottolineate splendidamente dal
flauto, dal clarinetto e dal pianoforte di
Lonquich padre. Grande regalo finale dei quattro
interpreti con un bis: una rilevante
trascrizione per piano a quattro mani, flauto e
clarinetto del noto Prelude a l'apres midì
d'un faune di Debussy. Bellissimo. Da
ricordare a lungo!
15 gennaio 2019 Cesare
Guzzardella
Un
violino e un pianoforte per una musica che
sconfina
Transiti - Musica che
sconfina, è il titolo scelto per il
pomeriggio musicale domenicale dello Spazio
Teatro89. L'accogliente auditorium
di via Fratelli Zoia 89 ha ospitato ieri il
duo formato dalla giovanissima violinista
Francesca Bonaita e dal pianista Andrea
Rebaudengo. Il programma,
interessante e diversificato, è stato pensato
dai due interpreti e da Luca Schieppati
-organizzatore della fortunata rassegna
pomeridiana - per essere trasversale ai generi
musicali, almeno in quei frangenti dove si
riconoscono elementi che hanno caratterizzato la
musica popolare del mondo zigano, del blues
americano
e della musica rock. L'esecuzione di due brani
di Maurice Ravel quali la Sonata per violino
e pianoforte, dove il secondo movimento e
titolato Blues e di Tzigane,
celebre brano "zigano" del compositore francese,
ci ricorda i primi due riferimenti, mentre per
il rock, nella fattispecie del celebre gruppo
dei Led Zeppelin e del loro brano Immigrant
Song, il riferimento è stato dato da una
nuova composizione di Giorgio Colombo Taccani,
commissionata per l'occasione da Schieppati per
la nuova stagione di concerti e titolato From
the land of the ice and snow. Dopo un breve
e non evidente riferimento alle celebri grida di
Robert Plant, il brano del compositire milanese
ha espresso un percorso ben diverso dal mondo
rock. A conclusione, di Sergej Prokof'ev sono
stati eseguiti Cinque melodie Op.35 bis e
la Sonata n.2 Op.94 bis. Ma veniamo ai
protagonisti: la milanese Francesca Bonaita,
classe
1997, ha rivelato splendide qualità musicali
attraverso una lettura intensa ed espressiva di
tutti e tre i lavori proposti. L'impaginato,
teoricamente di grande difficoltà
tecnico-espressiva, si è rivelato non solo alla
sua portata, ma ha trovato un'interprete precisa
nel tocco, perfetta nell'intonazione con timbro
scavato e netto, ed articolata e strutturata
nell' organizzazione complessiva delle parti.
Coadiuvata dal bravissimo Rebaudengo,
pianista di robusta e precisa espressività,
Francesca ha risposto al voluminoso pianoforte
con altrettanta voluminosità timbrica, per un
equilibrio corretto e vario nelle dinamiche e
con ottima successione delle scansioni melodico-
armoniche. Pregnante di
espressività
soprattutto nel Blues e in Tzigane di Ravel ed
ancora di altrettanto valore nella celebre
Sonata n.2 di Prokof'ev. Il brano del
compositore milanese Giorgio Colombo Taccani è
una sorta di dialogo tra il violino ed il
pianoforte nel quale la breve componente
tematica melodica del violino, sostenuta
ottimamente dalla Bonaita, si ripete più volte
nel corso dei circa sei minuti del lavoro. Brevi
pause mettono in risalto maggiormente
l'intervento solistico sostenuto con sicurezza e
compattezza dal valido pianoforte di Rebaudendo.
Un lavoro che rimanda, a mio avviso a certe
modalità espressioniste alla Berg, con una forte
incidenza espressiva personale del mondo
compositivo di Giorgio Colombo Taccani. Applausi
fragorosi al termine del concerto ai
protagonisti e applausi anche al compositore
salito sul palcoscenico. Da ricordare.
14 gennaio 2019 Cesare
Guzzardella
Alexandre Tharaud e la Sinfonica Verdi in Haydn,
Mozart e Schmidt
Non avevo ancora ascoltato
live il pianista francese Alexandre Tharaud
e devo dire che insieme all'Orchestra Sinfonica
di Milano diretta da Claus Peter Flor, in un
programma che prevedeva i celebri Concerti
n.11 di Haydn e il K.467 di Mozart,
mi è piaciuto assai. Tharaud è un pianista molto
conosciuto - spesso in Tv- ed apprezzato in
Francia,
soprattutto per le sue interpretazioni di
Couperin, Rameau, Scarlatti, Bach e dei francesi
Satie e Ravel. Ieri sera in un Auditorium con
moltissimo pubblico - ma ci attendiamo il
pienone per la replica di domenica - ha mostrato
sensibilità e raffinatezza nei classicissimi
Haydn e Mozart, mettendo in risalto ogni
frangente delle due partiture. Il suo tocco
deciso, asciutto e dinamicamente vario, con una
mano destra sempre in risalto nel definire la
linea melodica presente, ha evidenziato
in modo magistrale il Poco adagio di
Haydn e il celeberrimo Andante di Mozart
nei movimenti centrali ed il noto Rondò
all'ungherese che conclude il Concerto
n.11 in re maggiore del maestro di Rohrau e
l'altrettanto Allegro vivace assai del
Concerto n.21 in do
maggiore del genio di Salisburgo. Insomma
un'interpretazione scavata, ricercata, ricca di
accenti che ha avuto come corona un meraviglioso
bis solistico: la nota
Sonata K
141 scarlattiana eseguita con
maestria e con sintesi discorsiva estrema.
Tharaud stesso mi ha rivelato durante
l'intervallo che Scarlatti è un necessario
coronamento a Mozart. Applausi interminabili al
grande interprete coadiuvato dall'eccellente
direzione di Flor. Nella seconda parte della
splendida serata, tutta orchestrale, abbiamo
ascoltato una rarità del poco eseguito
compositore austriaco - nativo però di
Bratislava- Franz Schmidt (1874-1939). Vissuto a
cavallo
di due secoli, Schmidt fu allievo di Anton
Bruckner. La personale Sinfonia n.4 in do
maggiore, composta nel 1933, riassume le sue
indubbie qualità compositive che stilisticamente
rappresentano una mediazione tra tardo
romanticismo particolarmente cromatico alla Berg
e neo-classicismo. Il lavoro in quattro
movimenti senza soluzione di continuità ha
momenti d'importante lirismo a cominciare dalla
tromba solista iniziale e terminale, sino al
bellissimo solismo del violoncello e del
violino. Ottima l'interpretazione di Claus Peter
Flor che ha esaltato i dettagliati colori della
bravissima Orchestra Sinfonica Verdi. Da
ricordare. Replica, da non perdere, domenica
alle ore 16.00.
12 gennaio 2019 Cesare Guzzardella
Succede anche al
Conservatorio...
...che
si rompa una corda di violoncello mentre si sta
suonando un brano di Shostakovich.
E' capitato l'11 dicembre 2017 nella sala Verdi
del Conservatorio milanese. La scena è stata
ripresa e messa su youtube e sta diventando
virale anche grazie alla segnalazione di un noto
giornale di musica classica britannico, The
Strad. Steven Isserlis (Londra, 1958),
infatti, proviene proprio da quelle parti, e ha
commentato divertito su Twitter "non sapevo
di essere filmato e faccio fatica a ricordare
l'episodio. La corda G tende a rompersi sempre
quando si suona Shostakovich."
https://youtu.be/VyGlkLVHYeo
5 gennaio 2019 Alberto
Guzzardella
Ancora meritato successo per
l'Attila del nuovo anno al Teatro alla Scala
Col nuovo anno al Teatro alla
Scala ultime repliche dell' Attila verdiano.
Anche ieri sera l'ottima direzione di Riccardo
Chailly, la riuscita messinscena per la regia di
Davide Livermore, le scene curate da "Giò Forma"
con le luci
di Antonio Castro, i
video D-Wok e i
costumi di Gianluca Falaschi, hanno entusiasmato
il pubblico presente in un teatro al completo;
pubblico che al termine della rappresentazione,
per circa dieci minuti ha tributato
ripetuti e
fragorosi applausi a tutti i protagonisti,
compreso naturalmente il Maestro Bruno Casoni e
il suo splendido coro. Un successo quindi
eccellente per la prima opera in cartellone
nella Stagione 2018-19, dovuto soprattutto ad
uno straordinario lavoro di gruppo e alle ottime
voci soliste a cominciare da quella di Ildar
Abdrazakov, Attila re degli Unni . Di
questi era stato
annunciato, prima dell'inizio,
una forte costipazione con raffreddore che a
nostro avviso non ha influito sulla sua
straordinaria resa vocale. Ricordiamo
naturalmente ( prime due foto di Brescia-Amisano-Archivio Scala) anche Saioa
Hernández, Odabella, George Petean,
Ezio, Fabio Sartori, Foresto,
Francesco Pittari, Uldino e Gianluca
Buratto, Leone, tutti bravi. Simpatici i corali
Auguri tributati al pubblico dal Maestro Chailly
e dai solisti. Un inizio d'anno ottimo che
speriamo sia di buon auspicio per il prosieguo.
Ultime repliche previste per il 5 e l'8 gennaio.
Da non perdere. Buon Anno a tutti i lettori!
3 gennaio 2018 Cesare
Guzzardella
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