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MAGGIO
2023
I Cine-concerto di
Rossella Spinosa al Lirico Giorgio Gaber
Da alcuni anni è tornata in
uso una forma di spettacolo nata ai tempi del
cinema muto, nei primi decenni del '900.La visione di un film con
accompagnamento musicale fatto dal vivo con
musicisti presenti in sala, ritrova
un'interessante modalità di spettacolo. I
cine-concerto legati ai
film muti del passato
avevano già allora bisogno almeno di un pianista
che accompagnasse le scene, potenziando, con
incisive melodie, l'espressività degli attori o
dei mimi presenti sullo schermo. Da molti anni
la pianista-compositrice Rossella Spinosa si
dedica a questo. Ha scritto oltre cento brani
pianistici e orchestrali per altrettanti film
d'epoca. Ieri, nel tardo pomeriggio per il
Festival Musical Square, ideato dal
violoncellista Giuliano De Angelis, al Teatro "Lirico
Giorgio Gaber" sono stati proiettatti due film
degli anni '10 con protagonista Charlie Chaplin,
uno dei quali The Vagabond (Il Vagabondo),
un
cortometraggio interpretato, diretto e
prodotto da Charlie Chaplin e proiettato per la
prima volta il 10 luglio 1916, è tra i più noti
e i più interessanti. Le musiche originali, sono
state sostituite da quelle della Spinosa. Lei al
pianoforte insieme ad una compagine strumentale
dell'Orchestra di Bellagio e del Lago di Como
diretta da Alessandro Calcagnile hanno creato la
"Chapliniana "
, spettacolo
che sta facendo il giro di molti teatri italiani.
Insieme a The Vagabond, anche un altro film
muto,
Caught in a Cabaret, interpretato dal
grande attore e regista inglese, ma scritto a
quattro mani con l'attrice e regista Mabel
Normand, era inserito nel programma.
Quest'ultimo sempre con musiche composte dalla
Spinosa ed eseguite in Prima esecuzione italiana.
Entrambi i lavori hanno trovato una valida resa
nei lavori della compositrice, che ha saputo
leggere con intelligenza i divertenti, ma anche
drammatici filmati di Chaplin. Ottima poi la
resa musicale di tutta la compagine strumentale
diretta nel tempo reale filmico e con
professionalità da Calcagnile. Applausi convinti
dal pubblico in un teatro che meritava di
essere al completo.
28 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
La Gustav Mahler
Jugendorchester diretta da Daniele Gatti
alla Scala
La Gustav Mahler
Jugendorchester è approdata al Teatro alla
Scala. L'orchestra giovanile internazionale
fondata da Abbado nel 1986-87 a Vienna, ha
trovato in questi anni i migliori direttori sul
podio e l'elenco delle bacchette che si sono
succedute nei trentacinque anni e più d'attività
sarebbe lunghissimo. La GMJO, una compagine
formata
dalle
migliori promesse strumentali, ieri sera in un
Teatro alla Scala stracolmo di appassionati, ha
dedicato l'intera serata a Gustav Mahler.
Daniele Gatti che dal 2024 dirigerà la
prestigiosa Sächsishe Staatskapelle di Dresda,
ha scelto due lavori del grande
direttore-compositore viennese: il raro
Adagio dall'incompiuta Sinfonia n.10
e la celebre, forse la più eseguita, Sinfonia
n.1 in re maggiore "Titan". Rilevanti
entrambe l'esecuzioni. L'immersione totale nel
mondo mahleriano da parte di Gatti, direttore
noto soprattutto per la cultura musicale del
centro-nord Europa, ha trovato una restituzione
coloristica di altissimo livello in entrambi i
lavori.
Le
sue avvincenti escursioni dinamiche, dal quasi
impercettibile pianissimo al forte più intenso,
erano sempre sostenute da una chiarezza di
dettaglio evidente. Gli andamenti più meditati
dell'Adagio e del "Titan" hanno avuto uno
svolgimento particolarmente riflessivo in
contrasto con quelli concitati giocati su
timbriche smaglianti e di una bellezza
travolgente. Eccellenti tutti i giovani
orchestrali e tra loro ancor più brillanti gli
ottoni. Una serata memorabile con un pubblico
che al termine ha tributato infiniti applausi a
tutti i protagonisti. Ricordiamo il prossimo
appuntamento scaligero con le "orchestre ospiti"
che avrà la Wiener Philharmoniker diretta da
Riccardo Chailly in un programma interamente
dedicato a Richard Strauss.
26 maggio 2025 Cesare Guzzardella
Alexander Malofeev
ai Pomeriggi
Musicali
L'ultimo concerto della 78° Stagione de I
Pomeriggi Musicali ci propone anche il
virtuosismo dell'affermato russo Alexander
Malofeev, ventunenne pianista, vincitore nel
2014 a solo tredici anni, del prestigioso
Concorso Internazionale
Čajkovskij
dedicato ai giovani musicisti. Nell'anteprima di
questa
mattina, il celebre Concerto n.1 per
pianoforte e orchestra op.23 di P.I.
Čaikovskij
è stato preceduto dal raro ed interessante
Variazioni per orchestra da camera di
Luciano Berio, brano del 1953 dove il Maestro di
Oneglia fa uso di un'ottima tecnica dodecafonica
per esprimere sensazioni efficaci ed espressive,
valorizzando anche gli strumenti solistici.
Ottima interpretazione per l'orchestra diretta
dettagliatamente da James Feddeck. Valido anche
il secondo lavoro con l'orchestra da camera meno
numerosa per le più note Danses concertantes
di Igor Stravinskij, brano in stile neoclassico
del 1942
ben
interpretato.
L'arrivo
sul palcoscenico del biondissimo Malofeev ha
portato ad una straordinaria interpretazione del
concerto
di
Čaikovskij. Il pianista, sorretto molto bene da
Feddeck e dagli orchestrali, ha rivelato
incisività,
delicatezza, visione precisa del brano nei suoi
tre movimenti. La perfetta interiorizzazione di
ogni dettaglio, reso con naturalezza dal
pianista, ha portato ad un successo
straordinario da parte del numeroso pubblico
presente al Teatro Dal Verme. Valido il delicato
bis concesso da Malofeev: di Scriabin il
Preludio n.1 op.9 per la sola mano sinistra.
Questa sera la prima ufficiale alle ore 20.00 e
sabato alle ore 17.00 la replica. Da non perdere!!
25 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
Il pianista-compositore
Fazil
Say per la Societá dei Concerti
Da molti anni ascoltiamo il
pianista-compositore turco Fazil Say in
Conservatorio e non solo. Certamente
di Sala
Verdi, per l'organizzazione della Società dei
Concerti, è un fedele frequentatore. La scelta
degli impaginati prevede sempre classici e sue
composizioni. Ieri il corposo brano introduttivo
con l'ultima sonata di Franz Schubert, la
Sonata in si bem.maggiore D 960, ci ha
rivelato
qualità interpretative di alto livello,
personali e rappresentative di un mondo
schubertiano particolarmente interiorizzato nel
quale, con gestualità evidente ma utile, Say
crea contrasti pronunciati nelle dinamiche
differenziate e graduali. Il peso del suono è
elemento importante nelle modalità esecutive del
cinquantadueenne pianista di Ankara. Di valore
la sua interpretazione. Con il Ravel di
Miroirs, il clima musicale completamente
differente ci ha portato ad altre sonorità,
molto affini anche al Say compositore. Il gesto
leggero nel produrre i cinque brani che
compongono Miroirs rivela la sensibilità del
pianista col mondo
dei colori, impressioni ben
delineate del francese, restituite dalla
sensibilità di un turco musicalmente legato alla
cultura europea più ampia. Splendido anche il
celebre Alborado de gracioso, eseguito
assai velocemente come prescritto dalla
partitura. Il Say "À la carte", come
segnato in programma, ci ha proposto la sua
celebre composizione Black Earth, brano
tra oriente e occidente resa con pregnante
espressività nel suo personalissimo stile,
quindi il suo amato jazz rappresentato da
arrangiamenti originali dei celebri
Summertime di Gershwin e della diffussissima
Alla turca di Mozart-Say, con quei ritmi
stile reg-time divenuti celebri. Pubblico
entusiasta in piedi ad applaudirlo.
25 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
Un grande Lucas
Debargue ai concerti
di Serate Musicali
Dal 2017 il pianista Lucas
Debargue è ospite di Serate Musicali. Nel
2015 otteneva un premio (quarto posto) al prestigioso Concorso Internazionale
Čaikovskij
di Mosca e da allora si
è
imposto come uno dei più raffinati pianisti
della sua generazione. La sua vena creativa -è
anche un ottimo jazzista- lo pongono tra gli
interpreti con riconoscibile personalità. Gli
impaginati diversificati di questi anni hanno
trovato anche nello splendido concerto di ieri
sera in Conservatorio una varietà nella scelta
dei
compositori.
Mozart, Chopin e Alkan i musicisti proposti che
hanno ancora una volta evidenziato le qualità di
questo importante interprete. La mozartiana
Sonata in la minore K.310 introduttiva era
dominata da un'equilibrata restituzione sin dal
deciso Allegro maestoso iniziale
contrastante con l' Andante cantabile
centrale, reso con riflessività e pacata
introspezione. Il noto Presto finale, ha
risolto con espressività la Sonata resa con
accurata precisione dei dettagli dal francese.
La parte centrale del concerto, tutta dedicata a
Fryderyk Chopin, ha visto un'ottima
personalizzazione in Dabergue. Prima la
Ballata n.2 op.38, poi il Preludio in do
diesis minore op.45 e a conclusione
un'eccellente Polacca-Fantasia in la
bem.maggiire op.61. Quest'ultima, tra le
Polacche chopiniane è invece una fantasia vera e
propria ricca di momenti differenziati resi con
ricchezza di contrasti dall'interprete. Il brano
conclusivo dell'impaginato, il bellissimo
Concerto per pianoforte solo op.39 n.8 di
Charles Valentin Alkan (1813-1888) , grande
pianista-compositore francese e contemporaneo di
Franz Liszt,
trova
una modalità di scrittura similare
virtuosticamente a quella dell'ungherese. La
ricchezza d'inventiva di Alkan, mediata da una
melodicità dai colori chopiniani e da un
virtuosismo trascendentale alla Liszt o alla
Busoni, ci fa inmergere in un mondo sonoro
affascinante. Debargue ha dato un'intensa prova
virtuosistico-espressiva nel restituire mirabilmente
ogni tensione melodica e armonica del difficile
"Concerto", un brano che con la tastiera esalta
sonorità orchestrali, pesate molto bene
dall'interprete. Il pubblico, purtroppo non
numeroso, ha compreso la raffinata portata
interpretativa del francese elargendo fragorosi
applausi al termine del programma ufficiale.
Dabergue, visibilmente soddisfatto ha concesso
due eccellenti bis ancora di Chopin: prima una
trasparente Barceuse op.57 e poi una
fantasiosa Ballata n.4 in fa minore op.52
restituita mirabilmente da un pianista che
merita sale da concerto straboccanti di pubblico.
Splendida serata.
23 maggio 2023 Cesare Guzzardella
Bruno Canino e Carlo
Guaitoli a Piano
City
Successo strepitoso
all'iniziativa che dal 19 e sino a questa sera
ha coinvolto e coinvolgerà il territorio
milanese. Anche ieri c'erano code di
appassionati per assistere alle decine di
concerti pianistici previsti nella fortunata
rassegna di Piano City. Ieri ho assistito
ai concerti di due affermati interpreti: Bruno
Canino in un programma classico,
con
brani di Bach, di Beethoven e di Brahms e Carlo
Guaitoli in un omaggio a Franco Battiato.
Entrambi i concerti erano alla Triennale: il
primo, al mattino, nel Salone d'onore; il
secondo nel pomeriggio in Teatro. Canino, classe
1935, è un istituzione del mondo pianistico
italiano. In
carriera
da oltre sessant'anni, ha scelto un impaginato
comprendente la Suite francese n.4 in mi
bemolle maggiore BWV 815 di J. S Bach
eseguita con mirabile chiarezza discorsiva , le
6 Bagatelle op. 126 di L.v.Beethoven di
ancor più resa espressiva e le Fantasie op.
116 di Brahms rese ottimamente, da un
pianista ancora pieno di smalto e
applauditissimo dal numerosissimo pubblico.
Carlo Guaitoli, ottimo pianista classico ma
anche musicista particolarmente noto per la
collaborazione col musicista-cantautore
siciliano, per quasi trent'anni ha collaborato
col Maestro nell'orchestrazione dei concerti e
dirigendo
al pianoforte i suoi celebri brani. L'ottima
riduzione pianistica di molti dei brani che
Battiato ha ideato e inciso in molti album sin
dai primi anni '70, ci ha permesso di ascoltare
un'ampia carellata di suoi importanti successi,
anticipata dalle parole dallo stesso Guaitoli
che ne ha ricordato l'originalità.
Ottime
tutte le interpretazione ed anche i due bis: il
brano forse più profondo e poetico, La cura,
e quello più popolare, Centro di gravità
permanente. Applausi fragorosi nel teatro
della Triennale stracolmo di appassionati del
grande Biattiato.
21 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
CON GIULIA RIMONDA ED
EMMANUEL TJEKNAVORIAN A VERCELLI SPLENDIDA
CONCLUSIONE DEL XXV VIOTTI FESTIVAL
Ieri sera,
sabato 20 maggio, il Teatro Civico di Vercelli
ha ospitato l’ultimo concerto della stagione
2022-23 del Viotti Festival, la n. XXV.
Protagonisti di questa particolare serata, la
ventenne violinista Giulia Rimonda, prima
violinista dell’orchestra Camerata Ducale e
ormai ben più che una promessa tra i violinisti
della sua generazione, ammirata in numerosi
recital con orchestre e formazioni cameristiche,
ed Emmanuel Tjeknavorian, il violinista
austriaco di origini armene, impostosi
all’attenzione internazionale dal 2015, col
premio per la migliore interpretazione al
Festival Sibelius, che ormai affianca
all’attività solistica quella, sempre più
frequente, di direttore d’orchestra, ruolo
ricoperto, alla guida della Camerata Ducale,
anche nella serata vercellese di ieri. Il
programma proponeva il Concerto per violino e
orchestra n.3 op.61 di Camille Saint-Saens
(1880) e la ‘Quinta ‘ di Beethoven. Il concerto
per violino n.3 di Saint Saens, uno dei più
belli del tardo ‘800, è un banco di prova per
qualsiasi violinista: basti considerare che fu
scritto
per
un ‘divo’ del violinismo dell’epoca, Pablo de
Sarasate, e consacrato in repertorio da un altro
grandissimo virtuoso dello strumento, Eugène
Ysaye. Si tratta di un concerto che alterna
momenti di acceso e talora persino frenetico
virtuosismo a momenti di serena e distesa
cantabilità, il tutto vagamente spruzzato di
quello spirito ‘spagnoleggiante’ che si stava
facendo strada nella cultura musicale dell’epoca,
a cominciare da quella francese (si pensi solo
alla Carmen di Bizet, di non molti anni
precedente questo concerto) e che spiega tra
l’altro la dedica al ‘Paganini spagnolo’ De
Sarasate. Dunque il solista è chiamato, oltre
che a dar prova di un elevato livello di
virtuosismo ( doppie corde, passaggi di
vorticosa rapidità, armonici artificiali
etc.etc.), anche, e soprattutto, a trovare la
giusta chiave espressiva per la varietà e
ricchezza che caratterizzano il materiale
musicale di questo concerto. La bravura
interpretativa di Giulia Rimonda fa mostra di sé
sin dall’aperura dell’ Allegro non troppo
iniziale, esponendo, col piglio e l’energia di
suono che le conosciamo, e che sono uno dei
tratti peculiari del suo stile, lo spigoloso
tema d’inizio, che s’incide sulla cupa atmosfera
evocata dall’orchestra. L’elaborazione del tema,
che comincia a chiamare perentoriamente in causa
un virtuosismo, che la giovane violinista
padroneggia con assoluta imperturbabilità, nei
suoi passaggi sempre più veloci e armonicamente
complessi, sfocia poi nel cantabile del secondo
tema, nella cui arcata melodica rifulgono tutta
la luminosa chiarezza e la calda dolcezza, che
sono un’altra caratteristica ormai saldamente
acquisita del suono che Giulia Rimonda ottiene
col suo Domenico Montagnana 1720.. Questo
succedersi di varie situazioni espressive è poi
reso con una fluidità e pulizia di fraseggio,
che sono del violinista ormai maturo, accurato
nel rilevare il dettaglio timbrico e soprattutto
il chiaroscuro che il variare delle dinamiche
avvolge intorno al fluire dei suoni. Se nella
chiusura dell’Allegro non troppo, il virtuosismo
della solista si fa ammirare nella vorticosa
sequenza di semicrome della coda, il successivo
Andantino quasi allegretto, con il suo tema
principale calmo e delicato e il suo secondo
tema, dinamicamente più intenso e quasi
cantilenante, porta in primo piano la ricchezza
espressivo-melodica della cavata di questa
violinista, varia nelle sfumature e coinvolgente,
suggellata dagli eterei arpeggi di armonici
nella chiusura del movimento: un Andantino
davvero suonato in tutta la sua bellezza, con
tratti di rarefatta soavità che lo rendono
indimenticabile. Il finale Molto moderato e
maestoso-Allegro non troppo presenta un po’ la
sintesi di tutte le caratteristiche
dell’affascinante stile esecutivo di Giulia
Rimonda, sicché non ci ripeteremo: vogliamo solo
qui ricordare quello che, a nostro personale
parere (delle nostre orecchie, del nostro
cervello e del nostro cuore) è il momento
interpretativo più alto del terzo tempo suonato
dalla violinista vercellese di adozione:
l’atmosfera sognante ed estatica, evocata
nell’esporre la sezione approssimativamente
centrale del movimento, quel meraviglioso
cantabile, introdotto dagli archi coi sordini e
il cui dolcissimo spetta poi al solista creare
sulle sue quattro corde, come Giulia Rimonda ha
fatto alla perfezione, col suo inconfondibile
suono. Un bellissimo concerto, che, diremmo,
consacra, se mai ce ne fosse bisogno, il pieno
sbocciare di un nuovo fiore nella serra dei
migliori violinisti italiani dell’ultima
generazione. Non possiamo però, naturalmente,
passare sotto silenzio l’ottima prestazione
della Camerata Ducale sotto la guida di
Tjeknavorian. Una direzione, la sua, che ha
accompagnato la solista con precisione nei tempi
e nella cura dei dettagli timbrici e dinamici,
che ottiene eccellenti risultati nel
raffinatissimo impasto timbrico di archi appena
mormoranti e di delicati incisi dei legni che
accompagna il violino nell’esposizione del tema
principale dell’Andantino, e nella ripresa,
verso il finale del terzo tempo, del cantabile,
in cui Tjeknavorian è riuscito nella non facile
impresa di dare piena voce alla singolarissima
tavolozza di ottoni in fortissimo da corale e di
tremolo di violini e viole composta da quel
degno erede di Berlioz che fu Saint Saens. I
travolgenti applausi della platea e dei palchi
ottenevano un bis, un pezzo bachiano suonato con
una cristallina pulizia di suono che non teme
confronti. Molto ben riuscita anche l’esecuzione
della Sinfonia n.5 in do minore op.67 di
Beethoven. L’interpretazione di Tjeknavorian
procede lungo due linee di ‘lettura’, che tiene
saldamente unite dall’inizio alla fine: la
prima, inevitabile, quanto scontata, improntata
all’ energia fremente, che percorre la partitura
dal motto di quattro note iniziale al trionfale
epilogo tra i festanti clangori degli ottoni che
chiudono questa monumento della musica, che
Tjeknavorian realizza anche con una scelta di
tempi veloci, particolarmente nell’Allegro
iniziale; la seconda, meno scontata, è una linea
che tende all’essenzialità della forma, resa
asciutta e poco propensa all’enfasi e a certa
retorica che contraddistingue anche illustri
interpretazioni della ‘Quinta’. I temi sono
esposti in modo netto, conciso, il rigore
strutturale della sinfonia guida il succedersi
dei violenti contrasti, dei vari passaggi
ritmici, del titanico antagonismo che muove il
mondo sonoro della sinfonia, in modo tale che
l’ascoltatore ne avverte ogni dettaglio come
parte di una catena sonora regolata da una
ferrea necessità, da una logica inesorabile e
imprescindibile. In questa chiave interpretativa
va inteso il momento contrappuntisticamente più
‘strutturato’ della ‘Quinta’, il fugato centrale
dell’Allegro (terzo tempo), che qualche studioso
tende a considerare (chissà perché?) come
espressione di una componente scherzosa ed
ironica di Beethoven, ma che a nostro modesto
avviso offre la ‘chiave di lettura’ della
sinfonia: la musica, in quanto costruzione di
mondi formali rigorosamente concepiti, e in
particolare del contrappunto, è il prodotto più
alto di quella Ragione destinata a trionfare
nella Storia: La Quinta non è il generico
trionfo dell’eroe contro le avversità del
destino, ma, appunto, della ragione umana sul
caos e l’irrazionalità della Storia. Se certe
soluzioni musicali di Beethoven faranno poi
scuola presso la generazione romantica, non
dimentichiamo che Beethoven è figlio
dell’Illuminismo e lettore attento di Kant,
detestato dai romantici. Tutto questo per dire
che l’interpretazione di Tjeknavorian centra, a
nostro parere il senso profondo di questa
sinfonia. Concludiamo questa riflessione
sull’interpretazione di Tjeknavorian
sottolineandone un altro tratto: l’eleganza del
suono, la raffinata delicatezza di certi momenti,
che si aprono nel flusso ribollente della
sinfonia. Pensiamo, su tutti, sempre nel terzo
tempo Allegro, alla finezza con cui la bacchetta
del Maestro austro-armeno ‘gioca’, è il caso di
dire, con i due elementi tematici della sezione
principale del movimento: il cupo arpeggio dei
bassi, poi addolcito dai violini e dai
clarinetti, e lo squillo dei corni, ennesima
variante del motto iniziale della sinfonia.
Questi elementi cominciano un fitto alternarsi,
passando da una zona all’altra dell’orchestra,
in cui Tjeknavorian, rivela tutta la sua bravura
nello stacco dei tempi, nella cura del dettaglio
timbrico, nell’eleganza del ritmo. E aggiungiamo,
a ulteriore merito di Tjeknavorian, che
raramente abbiamo sentito suonare così bene la
sezione dei fiati della Camerata Ducale. Una
bella esecuzione di uno dei capolavori della
cultura umana ( non della musica soltanto) che
chiude nel modo più degno, salutata da
torrenziali applausi, una splendida stagione
musicale della Camerata ducale.
21-05-23 Bruno Busca
Una giornata
di eccellente musica
al Teatro alla Scala
Ieri al Teatro alla Scala
abbiamo avuto un pomeriggio di musica con l'Ensemble
"Giorgio Bernasconi" diretta da Renato
Rivolta e una serata di straordinario successo
con la monumentale Sinfonia dei Mille di
Gustav Mahler diretta da Riccardo Chailly. Il
concerto pomeridiano, con i giovani orchestrali
dell'Accademia della Scala,
svoltosi
nel Ridotto dei palchi "Arturo Toscanini",
in una sala affollata, ha proposto tre brani per
"I Concerti dell'Accademia": di Alexander
Zemlinsky, di Giuseppe D'Amico e di Igor
Stravinskij. Il Kammerkonzert del
compositore austriaco, una trascrizione per
orchestra da camera di Richard Dunser del
Trio op.3, è un brano tonale particolarmente
valido, in tre movimenti, che risente anche
della musica di Richard Strauss e di Richard
Wagner e che rivela un compositore importante
che meriterebbe maggiori frequentazioni.
Ottima
la resa interpretativa dell'ensemble.
Novità del concerto pomeridiano è stato il brano
di Giuseppe D'Amico, compositore sardo, di
Sassari, con alle spalle una corposa produzione
pianistica, cameristica e sinfonica che andrebbe
certamente fatta conoscere. Il suo Concerto
da Camera n.4 "Fantasia" è stato esguito in
"Prima esecuzione assoluta" alla presenza del
compositore, e ha trovato un particolare
apprezzamento dal numeroso pubblico intervenuto.
È un lavoro tonale di ampio respiro e
dicisamente ascoltabile- cosa non scontata nella
musica contemporanea- che risente influssi della
migliore musica novecentesca, con riferimenti
anche alla musica antica e al folclore
mediterraneo. La felice scrittura, ricca di
modalità melodiche e timbriche e di cambiamenti
ritmici, con frangenti che ricodano il folclore
bartòkiano e anche certo Stravinskij, avvince
anche per il costante aumento di tensione
musicale, ricco di espressività. Ottima la
direzione di Rivolta e la resa del validi
orchestrali. Applausi calorosi al termine anche
al compositore visibilmente soddisfatto. Il
brano finale, certamente il più noto, era
Dumbarton Oaks concerto per orchestra da
camera, di Igor Stravinskij, reso con cura di
dettglio dai bravissimi giovani
dell'Accademia.
Applausi meritatissimi a tutti. Il concerto
serale, la prima replica, in un teatro
affollatissimo, ha visto l'Orchestra e il Coro
del Teatro alla Scala e il Coro del Teatro La
Fenice impegnati nella monumentale Sinfonia
n.8 in mi bem.maggiore " Sinfonia dei Mille"
di Gustav Mahler. L'eccellente direzione di
Riccardo Chailly, unitamente alla direzione
corale di Bruno Casoni, per il Coro di Voci
Bianche e di Alberto Malazzi per il Coro
scaligero -
col contributo di Alfonso Caiani per
la preparazione del Coro veneziano-, ha portato
ad una restituzione timbrica di altissimo
livello in tutte le sezioni orchestrali. Ottime
tutte le voci soliste intervenute nei nome di
Ricarda Merbeth, Polina Pastirchak, Regula
Mühlemann, Wiebke Lehmkuhl, Okka Von Der Damerau,
Klaus Florian Vogt, Michael Volle e Ain Ager.
Applausi fragorosi e prolungati con numerose
uscite di tutti i protagonisti. Questa sera alle
ore 20.00 seconda replica. Da non perdere!
20 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
L'Orchestra
Sinfonica di Milano
per il Festival Milano Musica interpreta
Maderna e Strauss
L'Orchestra Sinfonica di
Milano in collaborazione con Milano Musica,
per l'occasione diretta da Tito Ceccherini, ha
impaginato un programma dedicato a Bruno Maderna
e a Richard Strauss. Il concerto sinfonico
inserito nella programmazione del Festival
Milano Musica, ha trovato interpreti di
valore in Ausstrahlung, per voce femminile,
flauto
e oboe obbligati, nastro magnetico e grande
orchestra. È un lavoro del 1971 del grande
compositore veneziano (1920-1973), uno dei
massimi esponenti delle avanguardie musicali del
secondo Novecento. La nuova edizione della
partitura, in prima esecuzione, dopo molti anni
dalle rare interpretazioni, ha trovato la voce
sia recitante che da mezzosoprano di Monica
Bacelli, i flauti di Nicolò Manachino e gli oboi
di Luca Stocco. Il complesso lavoro ispirato
dalla complessa storia spirituale e letteraria
del mondo persiano, ebbe la
prima
esecuzione diretta dallo stesso Maderna a
Persepoli, nel 1971, con la voce di Cathy
Berberian. La sovrapposizioni di parti
registrate elettroniche con voci, la presenza di
una componente aleatoria e di altre con precisa
notazione scritta, danno al grandioso lavoro di
Maderna un senso di evidente libertà. Accurata
la direzione di Ceccherini, tra i massimi
esperti di musica del '900 e contemporanea. Dopo
l'intervallo il noto Also sprach Zarathustra
op.30 (1896) di Richard Strauss ha riempito
di scintillanti sonorità l'Auditorium milanese.
Valida l'interpretazione e fragorosi gli
applausi al termine della serata. Questa sera
alle ore 20.00 la replica.
19 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
Gianna Fratta dirige
Sergei Krilov ai
Pomeriggi del Dal Verme
La direttrice d'orchestra
Gianna Fratta era questa mattina di fronte a "I
Pomeriggi Musicali", per l'anteprima del corposo
concerto sinfonico che prevedeva musiche di
Rossini, Paganini, Melis e Mendelssohn.
Un'ottima introduzione, con la Sinfonia
dall'Italiana in Algeri di Gioachino
Rossini (1792-1868), anticipava l'ingresso in
palcoscenico del violinista Sergei Krilov,
solista nel raro Concerto per violino e
orchestra n.4 in Re minore di Niccoló
Paganini (1782-1840). La melodicità, tutta
italiana, di
questo
trascurato concerto ha trovato un virtuoso
celebre e di talento in Krilov, ben coadiuvato
dalla direzione della lombarda - di Erba- Fratta
e dalla resa dell'orchestra. Krilov eccelle in
ogni componente virtuosistica, con intonazioni
perfette anche nei più alti sopracuti.
Un'esecuzione di alto livello la sua, che
certamente troverà ancora grande successo nella
prima ufficiale di questa sera e nella replica
di sabato prossimo alle ore 17.00. Il brano
successivo era una prima esecuzione del
compositore cagliaritano Andrea Melis (1962).
Delle
sue
Metamorfosi concertanti in tre parti,
sono state eseguite "Lo Scrigno" e "...adsiduo
pulsu..". Un lavoro tonale ottimamente
scritto che soprattutto nel ben fatto e profondo
Scrigno, eseguito prima del ritmico,
pulsante e comunque valido ..adsiduo pulsu..,
merita un riascolto per apprezzarne ancor
più l'efficace scrittura ottimamente diretta
dall'ottima Fratta. A conclusione della
mattinata, di pregio l'interpretazione della
celebre Sinfonia italiana di F.
Mendelssohn ( 1809-47), brano dedicato
all'Italia per la scorrevolezza e la pregnanza
melodica tutta mediterranea. Applausi sostenuti
dal numerosissimo pubblico intervenuto. Alle ore
20.00, al Dal Verme, la Prima ufficiale. Da non
perdere!
18-05 23 Cesare Guzzardella
Grigory Sokolov
al Conservatorio
milanese per Purcell e Mozart
L'atteso ritorno del pianista
russo Grigory Sokolov nello splendido concerto
organizzato in Sala Verdi dalla "Società dei
Concerti" ci ha permesso l'ascolto di un
impaginato che prevedeva brani di Henry Purcell
(1659,1695) e di W.A. Mozart (1756-1791). Il
pianista di San Pietroburgo è un Maestro del
repertorio dai colori "antichi". Le sue
esecuzioni di Couperin, Rameau, Byrd, ecc., ai
quali si aggiunge
adesso
anche l'eccellente Purcell, ci rivelano una
passione privilegiata per il '600 e il '700. I
brani scelti del compositore inglese, eseguiti
come appartenessero ad un'unica ampia Suite-
ben nove lavori- hanno ancora una volta esaltato
le qualità dell'interprete giocate su una
chiarezza timbrica unica, rivelata da dinamiche
sapientemente dosate da una tecnica personale
perfetta. La Suite n.2 in sol minore, la
n.4 in la minore e la n.7 in re minore,
sono state precedute o intervallate da brani più
brevi come Ground i Gamut, A New Irish
Tune, A New Scotch Tune, Trumpet
Tune, Round O, per concludere con la
Chacone in sol minore. Tutti lavori di
raro ascolto, con un paio di eccezioni. Dopo
l'intervallo l'ottimo Mozart era quello della
Sonata n.13 in si bem. maggiore K.333 e
dell'Adagio in si minore K.540. Brani
arcinoti, eseguiti da ogni sorta di pianista,
che nelle mani di Sokolov hanno trovato la sua
eccellente personalizzazione. Note ben scandite,
registri
ben delineati e un'interessante rarefazione
degli andamenti più pacati, come l'Andante
cantabile della Sonata o l'Adagio
stesso- ma anche l'Allegretto grazioso
aveva andatura più riflessiva- all'interno di un
equilibrio formale delineato perfettamente,
hanno dato valore al "suo" Mozart. Applausi
fragorosi e, ancora una volta, "concerto nel
concerto" con i classici sei bis che da alcuni
anni concede. Prima il ritmico e nitido Rameau
di Les sauvages , poi Chopin con uno
scultoreo e levigato Preludio n.15 "La goccia",
quindi un deciso Preludio op.23 n.2 di
Rachmaninov, poi la Mazurca in fa minore
op.63 n.2 di Chopin, ancora un breve Rameau
e a conclusione un chiarissimo Preludio in si
minore di Bach-Siloti con la parte melodica
della mano sinistra rivelata magnificamente.
Pubblico entusiasta in piedi per i consueti
fragorosi e interminabili applausi.
18 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
L’OBOISTA NICOLA
PATRUSSI COI GIOVANI DELLA SUA MASTERCLASS E LA
PIANISTA LUDOVICA DE BERNARDO AL FESTIVAL FIATI
DI NOVARA
Questa sera, mercoledì 17
maggio, il nuovo appuntamento col novarese
Festival Fiati 2023, all’ Auditorium del
Conservatorio G. Cantelli, vedeva protagonista
l’oboe, affidato a Nicola Patrussi, che vanta
una significativa esperienza concertistica in
varie orchestre, da ultima l’Orchestra Nazionale
della Rai, di cui è attualmente primo oboe. Nel
suo recital era accompagnato al pianoforte dalla
giovane pianista napoletana Ludovica De
Bernardo, che alle spalle ha una già
significativa esperienza di concerti con
orchestra e formazioni da camera e una nutrita
serie di concorsi, coronata da più che
apprezzabili successi, nonché un’attività
didattica che attualmente la vede docente del
suo strumento al Cantelli.
Il programma della serata è stato piuttosto
bizzarro: infatti nessuno dei brani proposti è
stato scritto originariamente per oboe. La
serata è stata introdotta dalla trascrizione per
oboe della parte vocale di tre lieder, n.1 Gute
Nacht, il n.2 Die Wetterfahne (la banderuola),
il n.7 Auf der Flusse (Sulla riva del fiume) da
Winterreise di F. Schubert. Ovviamente,
trattandosi di lieder, l’oboe era accompagnato
dal pianoforte. Petrussi trasporta nell’oboe
tutto l’incanto melodico e la struggente
malinconia che caratterizza questo capolavoro
assoluto della musica romantica: la sua cura
squisita delle dinamiche e dei timbri, che
permette un suono morbido e avvolgente, dal
colore sempre vario e sapientemente
chiaroscurato, aderisce pienamente
all’ispirazione originaria dei pezzi, anche con
un tocco di virtuosismo, richiesto dal rapido
ritmo e dai vorticosi passaggi di note e cambi
di altezze di Die Wetterfahne, che imita i
movimenti di una banderuola battuta dal vento,
tragica allegoria della fuga del tempo e della
corsa verso il nulla. Dal canto suo, il
pianoforte della De Bernardo dialoga
sapientemente con l‘oboe, sostenendone le arcate
melodiche con una ricerca timbrico-espressiva
molto efficace, capace di svariare dal colore
grave di Gute Nacht alla dolce e luminosa
chiarezza di Auf der Flusse. Anche il pezzo
successivo era una trascrizione: l’Adagio e
Allegro op.70 per corno e pianoforte di R.
Schumann, con l’oboe al posto del corno ( ma
quest’opera di Schumann è frequentemente
eseguita anche per violino o per violoncello ).
L’oboe, colla sua ‘mezza tinta’ dall’indefinito
colore brunito, dà sicuramente una voce diversa
al brano, rispetto all’originale, quasi ‘brahmsiana’.
Dell’interpretazione di Patrussi e De Bernardo
colpisce in particolare l’Adagio introduttivo,
una lunga arcata melodica, simile a quella
dell’Adagio della Seconda sinfonia schumanniana,
in un clima musicale che lascia presentire
l’imminente Tristano. La morbida tessitura e
l’incantevole dolcezza di suono dell’oboe di
Patrussi, sostenuto dal quasi sussurrato
fraseggio del pianoforte, crea un mondo sonoro
di sereno incanto, cui subentra un Allegro che
l’oboe e il pianoforte, in un dialogo
armonicamente piuttosto denso, rendono in tutto
il suo carattere appassionato, per il quale,
tuttavia, il suono del corno sarebbe stato forse
più consono. La seconda parte del concerto vede
uscire di scena l’ottima De Bernardo e
subentrarle l’ensemble della masterclass tenuta
in questi giorni al Cantelli dal Maestro
Patrussi: i giovani oboisti Francesca Alleva,
Lorenzo Bobbio, Sara Codari, Giorgia Fumagalli,
Caterina Nonne cui si è aggiunto il docente di
oboe al Cantelli, nonché compositore, Andrea
Chenna. Al nutrito gruppo di oboisti
si
sono aggiunti il fagotto di Giuseppe Gregori e
il contrabbasso di Claudio
Mazzeo. La parte del programma riservata a
questo ensemble era una serie di celebri arie
mozartiane, nella trascrizione del Maestro
Chenna: ‘Mi tradì quell’alma ingrata’ ( dal Don
Giovanni)’, Non so più cosa son’ e ‘Voi che
sapete’ ( dalle Nozze di Figaro’) e Der
Vogelfanger biin ich ja e Der Holle Rache (la
celebre aria di Papageno la prima, la seconda,
altrettanto famosa aria della Regina della notte
la seconda, naturalmente entrambe dallo
Zauberflote). Senza scendere in particolari,
diremo che è stata una proposta musicale molto
piacevole, grazie all’ottima preparazione
dell’Ensemble, molto ben coordinato da Patrussi,
che dominava al centro del gruppo col suo oboe:
lo spettatore è stato letteralmente trascinato
in un flusso di musica, alla cui impagabile
grazia, interpretata con bravura dai musicisti,
non ci si poteva non abbandonare. Gli applausi
prolungati del pubblico hanno ottenuto in premio
un bis, un pezzo di Lully. Concerto singolare,
dunque, ma molto bel eseguito e appagante anche
per il più esigente degli ascoltatori.
18 maggio 2023 Bruno Busca
ll pianista Martín García
García alle Serate Musicali del Conservatorio
Il primo
concerto italiano del pianista spagnolo
ventisettenne Martín García García, di Gijon, è
avvenuto ieri sera in Conservatorio, organizzato
da Serate Musicali. Dopo aver vinto nel
2021 il primo premio al Concorso di Cleveland,
ha ottenuto un prestigioso terzo premio al
Concorso Chopin di Varsavia Le carte erano
quindi in
regola per aspettative d'importante
ascolto. L'impaginato, decisamente impegnativo,
prevedeva una prima parte dedicata a Liszt e una
seconda interamente schumanniana. Lo
Sposalizio da Années de Pélerinage
anticipava la celebre Sonata in si minore
dell'ungherese. L'impressione avuta, nella prima
parte della serata, era buona ma non
sbalorditiva. La sonata lisztiana, punto
d'arrivo di ogni virtuoso, ha trovato certamente
elementi d'interesse nel virtuosismo di Garcia
Garcia, ma l'unità d'equilibrio necessario per
ricreare quella sensualità, tipica di Liszt, che
attraverso il leitmotiv ritorna
continuamente nella coinvolgente sonata ci è
apparso non adeguato. Un netto cambio
d'impressione, in positivo, è stato l'approccio
del pianista con le armonie di Schumann. Nelle
3 Fantasiestücke op.111 e ancor più negli
Studi Sinfonici op 13, García García ha
rivelato un'originalità interpretativa di alto
livello, esaltando con incisività, espressione e
sintesi discorsiva le geniali armonie del
tedesco. La completa interiorizzazione di ogni
elemento costruttivo ha restituito un insieme di
parti con coerente resa musicale e un' energia
risolutiva profonda. L'ottima interpretazione
fornita, e l'evidente soddisfazione del pianista
e del pubblico presente in Sala Verdi, -purtroppo
non numeroso- , ha portato a tre bis: due ottimi
Chopin con la Polacca op.44 interpretata
con valida personalizzazione e ottima resa nelle
rispettive componenti e un'espressiva Mazurca
op.33 n.1 Di alto livello il bellissimo
Rachmaninov conclusivo da Etudes Tableaux Op.39, il n.5. Un pianista da seguire
con attenzione.
( Foto in alto di Alberto
Panzani Uff. Stampa Serate Musicali)
16 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
La Risonanza & Fabio Bonizzoni al Museo Nazionale della Scienza e
Tecnologia Leonardo da Vinci
Nella splendida cornice della
Sala del Cenacolo del Museo della Scienza
e Tecnologia Leonardo da Vinci la formazione
cameristica "La Risonanza" diretta da Fabio
Bonizzoni, anche al
clavicembalo, ha eseguito
domenica nel tardo pomeriggio, un programma
barocco con brani di Telemann, Sammartini,
Corelli e Geminiani. La compagine di strumenti
ad arco originali, tra le più rinomate
internazionalmente, ha elargito sonorità dai
colori antichi esaltati da una prassi esecutiva
che ha restituito limpidezza, equilibrio e
incisiva resa espressiva. Partendo dalla corposa
Suite "Les Nations" di Georges Philipp
Telemann (1681- 1767) e passando dal Concerto
grosso op.5 n.6 di
Giuseppe Sammartini
(1695-1750), La Risonanza ha concluso il tardo
pomeriggio con il Concerto Grosso op.6 n.12
di Arcangelo Corelli ( 1653-1713) prima e
poi con la celebre La Follia nella
versione orchestrata da Francesco Geminiani
(1687-1762 ), suo discepolo. Tra i validissimi
interpreti della compagine citiamo almeno il
primo violino Carlo Lazzaroni, solista di
pregnante espressività in molti brani. Applausi
sostenuti nella sala al completo.
15- 05- 2023 C.G.
Incontro con Michele
Gamba per una
lezione sulle Variazioni Diabelli di
Beethoven
Di
grande interesse la lezione musicale sostenuta
questa mattina dal pianista e direttore
d'orchestra Michele Gamba al Teatro Menotti di
Milano sulle celebri Variazioni Diabelli
di Ludwig van Beethoven. "Nel 1819 Anton
Diabelli, compositore ed
editore
musicale, scrive un valzer di poche battute che
invia a decine di compositori chiedendo a
ciascuno di scrivere alcune variazioni destinate
a confluire in un opera collettiva. Cinquantun
musicisti si presentano all'appello. Uno di loro,
Beethoven, ne realizza trentatrè. Verranno
pubblicate nel 1823 come op.120". Gamba, con
evidente competenza musicale è penetrato
all'interno del monumentale capolavoro
beethoveniano per evidenziarne le specificità
tecnico-costruttive. Partendo
dal
semplice Valzer introduttuvo di Diabelli
ed eseguento numerosi frammenti delle variazioni
in successione, ha ripercorso parte della storia
della musica da Bach a Wagner, da Brahms a
Schönberg, mettendo in risalto le intuizioni
geniali del grande genio tedesco, anticipatore
del romanticismo e della dodecafonia.
Soffermandosi su una quantità di aspetti
estetici, tecnico-costruttivi delle variazioni,
ha definito con chiarezza i momenti più
rilevanti del capolavoro. Un lezione apprezzata
dal numerosissimo pubblico intervenuto
nell'elegante Spazio Atelier del teatro.
14 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
AI CONCERTI DEL
SABATO DEL
CONSERVATORIO CANTELLI DI NOVARA LA CHITARRA DI
A. CIUSANI E IL TRIO LIU BALLARINI VEGGIOTTI
Oggi pomeriggio, sabato 13
maggio i Concerti del Sabato, cioè la stagione
concertistica del Conservatorio di Novara, hanno
proposto un programma piuttosto ricco,
nettamente diviso in due parti. Una prima parte,
riservata alla chitarra del ventenne chitarrista
milanese Alessandro Ciusani e una seconda parte
in cui protagonista è stato il Trio Liu
(pianoforte) Ballarini (violino) e Veggiotti
(violoncello), tre giovani talentuosi, formatisi
al Conservatorio Cantelli di Novara. Il
programma eseguito da Ciusani proponeva una
trascrizione per chitarra dalla suite bachiana
BWV 996 (Prelude et Presto, Allemande, Gigue),
gli Studi op.5 e op.6 di Hector Villa Lobos,
l’Introduzione e capriccio di Giulio Regondi,
sorta di Paganini della chitarra e enfant
prodige vissuto tra 1822 e 1872 e di Nuccio
D’Angelo, chitarrista e compositore
contemporaneo (1955), le Due canzoni lidie.
Ciusani possiede un tocco ad un tempo morbido ed
energico, che sa cavare dalle sei corde dello
strumento un suono limpido, con grande cura del
dettaglio timbrico. Il contrasto tra l’ostinato
ai bassi e gli incisi tematici esposti dai
cantini nello studio n.5
di
Villa Lobos è stato esemplare al riguardo. A
questa qualità Ciusani unisce una buona dose di
virtuosismo, che lo studio n.6 di Villa Lobos,
coi suoi rapidi passaggi di altezza e la densità
ritmica del pezzo, ha messo alla prova,
ampiamente superata. Il pezzo di Regondi ha
permesso a Ciusani di dare pieno sfogo ad
un’altra delle sue qualità interpretative, la
tensione espressiva che impronta l’Introduzione
dell’op.23, all’insegna del più puro
sentimentalismo romantico, seguita da un
Capriccio di chiara ispirazione paganiniana,
ricco di difficoltà e passaggi impervi e di
agogica ardua, che il giovane chitarrista
milanese ha superato con spavalda sicurezza e
controllo tecnico dello strumento.
Un’espressività, questa del suono di Ciusani,
che tocca il suo apice in quello che per noi è
stato il pezzo più interessante e affascinante
in assoluto di questa prima parte del concerto,
le Due canzoni lidie ( cioè in modo lidio, vale
a dire, nella musica moderna, con il quarto
grado della scala maggiore innalzato di un
semitono) di D’Angelo, del cui catalogo sono
anche, in assoluto, il pezzo più noto. ‘Magica’
l’atmosfera evocata da Ciusani col primo tema
della prima canzone, in cui la scrittura modale
e il ritmo lento e cullante, col contrasto
velato da una sorta di sordina tra cantini e
bassi, sprigionava un mondo sonoro rarefatto e
di calmo sprofondamento onirico, di rara
suggestione. Con la seconda parte del concerto
entra in scena il Trio dei tre giovani musicisti
formatisi a Novara che esordiscono con una
composizione di un Rachmaninov ancora
diciannovenne: mai pubblicata, venne riscoperta
nel 1947.Si tratta del Trio élegiaque n.1 in sol
minore, in un unico movimento Lento lugubre,
dall’impianto di una forma sonata. La
composizione vede il ruolo protagonistico del
pianoforte, con una parte di acceso virtuosismo,
che dà vita a un largo ventaglio di timbriche e
sonorità diverse: ottima l’interpretazione di
Jihua Liu, dalla tecnica raffinata e dal suono
duttile e sfumato, ma un vivo apprezzamento va
anche a Ballarini e Veggiotti, che hanno dato il
loro contributo decisivo all’ottima riuscita del
pezzo con la cura del dettaglio timbrico e delle
continue variazioni agogiche. Il secondo e
ultimo pezzo in programma era il Trio n.1 op.8
in do minore di D. Shostakovic, anch’esso in un
solo movimento, ma con sezioni agogiche
chiaramente alternate. Questo gioiello, forse
meno eseguito nelle sale da concerto di quanto
dovrebbe, ha permesso a tutti i tre membri del
trio di valorizzare le loro notevoli risorse
interpretative, emergendo dall’intreccio
dialogico tra gli strumenti, sempre condotto con
sicurezza e precisione nei tempi di entrata. Di
notevole intensità espressiva e buona qualità di
fraseggio il violoncello di Isabella Veggiotti ,
che compare subito in scena collo struggente
tema discendente che apre la composizione, apre
anche la terza sezione in Allegro con un nuovo
tema carico di pathos romantico e infine attinge
il cuore della composizione con un tema, esposto
con malinconica dolcezza, che evoca una ninna
nanna. Il violino di Cristina Ballarini assurge
al ruolo di assoluto protagonista in apertura
della sezione Più mosso, ove è chiamato ad un
arduo moto perpetuo, velocissimo, eseguito dalla
giovane violinista novarese con perfetto
controllo dello strumento e notevole agilità
nella diteggiatura. Il pianoforte di Jihua Liu
ha un ruolo decisivo nel continuo, fittissimo
dialogo con gli altri due strumenti, creando un
continuo e vario gioco di impasti timbrici, ma
ha anch’esso la sua parte di primo piano, quando
poco dopo il tema della ninna nanna è la mano
sinistra del pianista che espone un tema
tipicamente sciostakoviano, di disperato eroismo,
che tenta di innalzarsi sopra l’ostinato
affidato alla mano destra. Una interpretazione
di questo capolavoro del sommo compositore
russo-sovietico da giudicare decisamente più che
apprezzabile.. Un bel concerto dunque, questo
ascoltato al Conservatorio di Novara, il cui
successo è stato sottolineato dai lunghi
applausi del numeroso pubblico, con notevole
presenza dei giovani studenti del Conservatorio
e dei loro insegnanti.
13 Maggio 2023 Bruno Busca
AL COCCIA DI NOVARA UN
BARBIERE…DI QUALITA’
Dalla passata
stagione il Teatro Coccia di Novara ,
nell’ambito del progetto DNA Italia, porta sulla
scena ogni anno un’opera di Rossini. L’anno
scorso si è cominciato con la Cenerentola, ieri
sera, venerdì 12 maggio, il nuovo appuntamento
rossiniano per la stagione lirica 2023 proponeva
una delle opere intramontabili del Pesarese, “Il
barbiere di Siviglia”, a distanza, se la memoria
non ci tradisce, di più di sette anni, dalla sua
ultima apparizione sul palcoscenico del teatro
novarese. Un ritorno accolto da una grande
attesa del pubblico della città piemontese, che
ha fatto registrare il sold out per tutte e tre
le repliche in programma, la prima di ieri sera
e quelle previste per questa sera, sabato 13 e
per la pomeridiana di domani, domenica 14.
Questo Barbiere è una nuova produzione del
Teatro Coccia, affidata alla regia di Alberto
Jona. Una regia che definiremmo ‘storicizzante’;
nelle note di regia Jona propone di leggere il
Barbiere di Siviglia come un’opera che registra
e riflette la crisi dell’Ancien Régime,
rappresentato dall’ottuso e un po’ patetico
conservatorismo di don Bartolo, che invano tenta
di resistere all’ascesa della nuova classe
borghese, che ha ovviamente il suo personaggio
emblematico in Figaro, con il suo intraprendente
e deciso spirito d’iniziativa. Questo scontro ‘sociale’,
si sdoppia in quello tra giovani e vecchi, che
dal punto di vista strettamente narrativo è in
effetti al centro del libretto ( e qui però i
conti non tornano del tutto perché il Conte di
Almaviva è tutto meno che un borghese…).Ben
s’intenda: non si tratta certo di una
interpretazione nuova e originale, perché, più o
meno identica, la si può leggere nelle
considerazioni che poco meno di un secolo fa
scriveva sul
Barbiere
lo scrittore e fine critico musicale Riccardo
Bacchelli. Però il merito di Jona è di trarne
una regia diretta con sapienza e finezza,
coerente, chiara nei significati e ben aderente
alla musica e al libretto. Jona concepisce uno
spazio scenico, realizzato dal sempre eccellente
scenografo Matteo Capobianco, nettamente
distinto tra un ‘fuori, uno spazio urbano con in
primo piano l’esterno della casa di Don Bartolo
e un ‘dentro, l’interno di quella stessa casa.
E’ questo uno spazio instabile, con la casa di
don Bartolo che a un certo punto ‘si muove’,
(grazie a un meccanismo ‘motorizzato’), gira su
se stessa, si apre, si richiude, mentre sullo
sfondo, in una serie di controscena, appena
distinguibili nella penombra, si muovono
presenze misteriose, che trasportano oggetti
ingombranti dalla e verso la casa. Un ruolo di
potente suggestione esercitano i bellissimi
giochi d’ombra realizzati da Controluce Teatro
d’Ombre, ad avvolgere questo spazio esterno in
un’atmosfera inquietamente fantasmatica.
Splendida la scena dell’atto primo in cui la
casa di don Bartolo comincia a girare, mentre
tutto attorno vorticano ombre spettrali. Siamo
insomma in uno spazio in cui le apparentemente
solide mura degli edifici mostrano tutta la loro
instabilità e inconsistenza, allegoria, molto
ben rappresentata, di quella crisi storica che
sta per travolgere il mondo di don Bartolo. C’è
poi, si diceva, lo spazio interno della casa di
don Bartolo. E’ questo uno spazio stipato
all’inverosimile di oggetti, di cose spesso
indecifrabili, soffocante e pletorico: è come un
‘magazzino’ in cui Don Bartolo ha voluto
bloccare il tempo, sottrarre ad esso il suo
mondo, coi suoi oggetti, alla fuga verso la fine
ormai inesorabile, un mondo in cui l’immobilità
si vanifica di fronte all’incalzare della Storia,
emblematicamente rappresentato dalla splendida
scena del temporale nel secondo atto, in cui la
casa di don Bartolo, questo opprimente e
ridicolo simbolo di un Ancien Régime al tramonto,
sembra sul punto di dissolversi nei giochi
d’ombra che la investono con violenza.
Una
messa in scena davvero suggestiva e ben
realizzata, diciamolo pure: bella! Interessante
è anche il modo in cui Jona fa muovere i
cantanti-attori in questo spazio scenico:
talvolta questo o quel personaggio o tutti
insieme cominciano a muoversi in modo meccanico,
come tante marionette. Questa ‘burattinizzazione’
dei personaggi tocca il suo apice, e la sua
efficacia, coinvolgendo tutti i cantanti-attori
in scena, nel finale del primo atto,
accompagnando con bellissimo effetto il ‘concertato
di stupore’, che chiude l’atto ,con le
‘marionette, che in fila indiana lasciano la
casa ritmando meccanicamente la stretta ‘Mi par
d’esser con la testa’. Per Jona questa riduzione
dei personaggi ai loro gesti meccanici è
traduzione allegorica della crisi, ma a nostro
avviso potrebbe benissimo valere anche come
traduzione scenica di quel ‘perfetto meccanismo
ad orologeria’ ( per citare sempre Jona) che
sono spesso le opere buffe di Rossini, in
particolare il Barbiere. Se a tutto questo
aggiungiamo gli splendidi costumi di scena,
raffinatissima opera di Silvia Lumes, abbiamo il
quadro di una delle più suggestive regie che si
siano viste negli ultimi tempi al Coccia, una
regia che sa conciliare perfettamente tradizione
e originalità. Sul podio della buca il maestro
americano ( ma da anni residente in Italia)
Christopher Franklin, alla guida di una solida e
ben rodata compagine orchestrale, l’Orchestra
Filarmonica Italiana, ormai di casa al Coccia, e
accompagnata dal coro As. Li. Co. diretto da
Massimo Fiocchi Malaspina. Al suo primo Barbiere,
Franklin ha proposto una direzione accurata,
attenta ai dettagli timbrici e dinamici,
ottenendo dall’orchestra un suono pulito e
trasparente, con corretta scelta dei tempi, in
particolare nei concertati, soprattutto il
finale primo, e mostrando una valida intesa con
gli interpreti sul palcoscenico, accompagnati
con efficacia. La compagnia di canto si è
mostrata nel complesso qualitativamente
all’altezza. Su tutti spiccano il giovane
mezzosoprano giapponese Aya Wakizono, eccellente
Rosina, uno dei suoi ruoli attualmente preferiti,
e il messicano Emmanuel Franco, bariono nel
ruolo di Figaro. La Wakizono, di valida presenza
scenica, ha fatto sfoggio di ottime risorse
vocali: una notevole estensione della voce,
limpida nelle zone acute, di tessitura quasi
sopranile, cui sale con fluida morbidezza,
spavalda nelle agilità, ha fiati lunghi che le
consentono un fraseggio sempre chiaro e sciolto:
bella, decisamente, la cavatina famosa ‘Una voce
poco fa’. Davvero un’ottima interprete
rossiniana (ma magari anche mozartiana).
Di ottimo livello anche la prestazione del
messicano Emmanuel Franco, nel ruolo di Figaro.
Già noto al pubblico novarese come Dandini nella
Cenerentola dello scorso anno, è come la
Wakizono, ottimo interprete rossiniano. Dotato
di native qualità di attore, che lo rendono
l’autentico protagonista dello spettacolo, ha
una voce baritonale ben timbrata e ben estesa,
di bel volume, ed efficace nelle agilità e nel
fraseggio, come già subito dimostra con la
celeberrima cavatina ‘Largo al factotum’,
confermando le sue pregevoli risorse vocali in
tutto il corso dell’opera. Non possiamo invece
tacere le nostre perplessità sul tenore cinese
Chuan Wang, il Conte d’Almaviva in questa
produzione. Poiché è stata la prima volta che lo
abbiamo sentito cantare, possiamo concedere che
si sia trattato di una ‘serata no’, ma quello
che abbiamo sentito ieri sera era un cantante di
piuttosto modesta vocalità: timbro alquanto
opaco, fraseggio poco espressivo, soprattutto
una tessitura fragile, che gli rende difficile
salire ai registri acuti, che gli riescono poco
limpidi e deboli. Scadente la sua cavatina ‘Ecco
ridente in cielo’, si perde nei numeri d’assieme
Un buon don Bartolo, invece, quello del Baritono
Michele Govi,, dalla vocalità sicura e robusta,
che domina con sicurezza soprattutto nei
recitativi ma si fa applaudire anche nell’aria
del I atto sc.11 ‘A un dottor della mia sorte’.
Buona prova di basso ha dato di sé Abramo
Rosalen (altro cantante già noto agli habitués
del Coccia, lo ricordiamo come Mustafà in Un’
Italiana in Algeri di un po’ di anni fa) nei
panni di Don Basilio, con ottima tenuta di voce
e collaudata capacità di tenere il palcoscenico.
Matteo Mollica è stato un valido Fiorello,
dotato di duttile strumento vocale, di bel
colore, con un fraseggio fluido e preciso, ben
sillabato. In questa edizione del Barbiere gli
tocca anche sdoppiarsi nel ruolo dell’ufficiale
della ‘Forza’ (la polizia, insomma). Niente male
la Berta del soprano Giovanna Donadini, di buone
capacità attoriali e vocali, queste ultime
espresse nell’unica aria a lei riservata, nel II
atto, ‘ Il vecchiotto cerca moglie’. Puntuale e
ben calibrato nei suoi interventi il coro. Con
questo ‘Barbiere’ si conferma la tendenza del
Coccia ad attestarsi su una linea di crescente
qualità delle produzioni del teatro musicale,
offrendo al suo affezionato fedele e numeroso
pubblico spettacoli di buon livello, ben curati
e con una scelta valida dei cantanti, della
direzione orchestrale e della regia. Il
prolungato e scrosciante applauso del pubblico
alla fine dello spettacolo ha confermato il suo
pieno e meritato successo. ( Foto Uffficio
Stampa Novara)
13 maggio 2023 Bruno Busca
Concerto di
Gala per la
"Società dei Concerti" e presentazione della
Stagione Concertistica 2023-24
Il Concerto di Gala degli
Artisti in residenza della "Fondazione La
Società dei Concerti" è stato anche
l'occasione per la presentazione della prossima
Stagione Concertistica 2023-24. Si preannunciano,
come anticipato dalla Presidente della Società
Enrica Ciccarelli Mormone, ancora interpreti di
alta qualità quali Sokolov, Volodos, Say, Lewis,
Auerbach, Kern, Wunder, Lim, solo per citarne
alcuni, e
un concerto straordinario fuori
abbonamento con Evgeny Kissin per il prossimo 20
gennaio. La splendida serata ha trovato
l'esecuzione di brani con giovani interpreti "scoperti"
dalla storica società concertistica. Tutti
bravissimi, alle prese con brani noti e meno
noti, a cominciare da un interessantissimo e
poco conosciuto Michele Mascitti (1664-1760),
compositore-violinista italiano, vissuto nelle
maggiori città europee, del quale abbiamo
ascoltato la Sonata in re minore op.2 n.2
per violino e violoncello. Grande espressività
per la violinista Sofia Manvati e la
violoncellista Lara
Biancalana. La successiva
Toccata in re minore K 141 di Domenico
Scarlatti (1685-1767) -celebre bis della
Argerich-, ci ha permesso di conoscere la cifra
stilistica della giovanissima Monica Zhang, dal
virtuosismo non disgiunto da evidente
espressività. Il Quartetto Goldberg, - nei nomi
di JinZhi Zhang e Giacomo Lucato ai violini,
Matilde Simionato alla viola e Martino
Simionato al violoncello- ha proposto il
Quartetto in do minore n.12 D703 di Franz
Schubert (1797-1828). Una esecuzione rilevatrice
di una eccellente intesa tra i quattro
bravissimi
strumentisti. Dopo l'efficcace "a
solo" violinistico di Sofia Manvati nel
virtuosistico E. Isaye (1858-1931) con la
superlativa Sonata in re minore op.27 n.3
eseguita con assoluta padronanza
tecnico-espressiva, un lavoro del noto
violoncellista-compositore Giovanni Sollima
(1962) ci ha permesso l'ascolto di Tema lll dal
Bell'Antonio pe r cello e pianoforte.
Bravissime sia la Zhang che la Biancalana.
L'ultimo brano del programma ufficiale ha
ritrovato la pianista Monica Zhang per una
rarità di Ferruccio Busoni (1866-1924) con la
sua Sonatina super Carmen, un'originale
Fantasia sulla celebre opera di Bizet resa con
evidente disinvoltura. Non sono mancati i bis,
tutti validi: Lo Studio n.1 op.10 di
Chopin, lo Scherzo di Mendelssohn per
trio con pianoforte e la Passacaglia di
Boccherini per quintetto d'archi. Applausi
fragorosi a tutti i protagonisti saliti
soddisfatti sul palcoscenico di Sala Verdi in
Conservatorio. Splendida serata!
13 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
Alessandro Bonato
dirige I Pomeriggi Musicali al Dal Verme
Nell'anticipo del mattino del concerto
dell'Orchestra I Pomeriggi Musicali abbiamo
trovato alla direzione il ventottenne Alessandro
Bonato per due importanti lavori quali la
Sinfonia da camera op.110a di Dmitri
Šostakovič e il Concerto n.1 per pianoforte e
orchestra in Do maggiore op 15 di
L.v.Beethoven.
L'op.110a
è una splendida
trascrizione da Rudolf Barshai del
Quartetto
n.8 del russo, realizzato nel 1960 ma ricco
di reminescenze di altri lavori del compositore.
Un clima sofferto, cupo e severo permea i cinque
movimenti riassunti in un ampio unico brano per
archi diretto da Bonato con gestualità misurata
ma molto sicura, per una restituzione
orchestrale intensamente espressiva. Un clima
completamente diverso per il giovanile concerto
beethoveniano che ha trovato solista al
pianoforte Leonora Armellini,
protagonista
all'ultimo concorso Chopin, con mertivole ottimo
piazzamento. Pianista chopiniana, ha saputo
anche in Beethoven dare sfoggio di mirabili
qualità. L'ottima interpretazione complessiva
con la guida sicura di Bonato, ha visto
l'Amellini muoversi con formidabile sicurezza
per una restituzione precisa ed elegante del
concerto. Valida la lunga cadenza dell'Allegro
con brio iniziale ed espressivo il pacato e
profondo Largo centrale. Discorsivo nella
precisione il Rondò conclusivo. Applausi
fragorosi dal
numerosissimo pubblico intervenuto al mattino.
Questa sera la prima ufficiale alle ore 20.00 e
sabato alle 17.00 la replica. Da non perdere.
11 maggio
2023 Cesare Guzzardella
"Variazioni per un
debutto" con il
violoncello di Ettore Pagano per la "Società
dei Concerti"
L'Orchestra di Padova e del
Veneto, diretta da Marco Angius, direttore
specializzato nel repertorio novecentesco e
contemporaneo, ha presentato un impaginato
interessante insieme ad Ettore Pagano,
ventitreenne violoncellista pluripremiato in
importanti concorsi internazionali come il
prestigioso primo premio al "Khachaturian"
di
Yerevan,
ottenuto nel giugno 2022. "Variazioni per un
debutto", questo il titolo pensato per la serata
organizzata dalla "Società dei Concerti"
milanese, era un impaginato con brani della
prima metà del '900 e di fine '800. Partendo con
Ottorino Respighi ed il suo Adagio con
variazioni per violoncello e orchestra P 133,
siamo poi passati alle celebri Variazioni su
tema rococò op.33 per violoncello e orchestra
di P.I. Ciajkovskij. In entrambi i lavori
l'ottima direzione di Angius e la valida
restituzione timbrica degli orchestrali, hanno
sostenuto il luminoso timbro
del violoncello di Pagano. La melodicità
presente sia nel romantico Adagio con Variazioni,
lavoro di Respighi del 1921, che nelle
virtuosistiche Variazioni di
Čajkovskij, composte nel 1877, ha rivelato
l'espressività
coloristica ben
dettagliata e precisa delle timbriche di Pagano.
Applausi sostenuti dal pubblico presente in Sala
Verdi e due bis solistici concessi dal virtuoso:
prima un brano folclorico e ricco d'inventiva,
di Giovanni Sollima e poi un classico J.S. Bach.
Dopo il breve intervallo rilevante
l'interpretazione fornita dall'Orchestra di
Padova e del Veneto, nella
sicura
e precisa direzione di Angius, del noto
Concerto per Orchestra di Bela Bartók, un
brano i cinque parti del 1943 che fa emergere le
sezioni orchestrali in modo concertante, in un
dialogo ricco di pregnante espressività. Molto
precise ed appariscenti le eccellenti sezioni
dei fiati, con gli ottoni che primeggiano.
L'ottima trascrizione ascoltata, in prima
esecuzione italiana, era quella di Roland
Freisitzer, del 2018 e fedele all'originale.
Applausi calorosi dal pubblico intervenuto in
Conservatorio.
11 maggio
2023 Cesare Guzzardella
Yevgeny Sudbin per
le Serate Musicali
in Conservatorio
Il pianista russo
quarantatreenne , di San Pietroburgo, Yevgeny
Sudbin è un assiduo frequentatore di Serate
Musicali. In Conservatorio, dal 2001,
impagina programmi vari che rendono un'idea
precisa dei sui vasti interessi musicali. Ieri
sera il programma prevedeva brani di Haydn,
Liszt, Debussy, Scarlatti, Chopin e Scriabin. Un
impaginato dove i cambiamenti stilistici
repentini tra musicisti così differenti, con
salti storici di oltre cento anni lascierebbero
perplessi molti ascoltatori, ma che in realtà
con una
qualità interpretativa di alto livello
come quella del russo, accontenta ogni
appassionato della migliore musica classica. La
Sonata in si bemolle minore Hob. XVI n. 32
di Franz Joseph Haydn (1732-1809) ha
introdotto il concerto attraverso un
interpretazione di grande equilibrio formale e
chiara esposizione coloristica. Grande impatto
estetico con il sucessivo Studio
trascendentale n.11 in re bem. maggiore "Armonie
della sera" di Franz Liszt (1811 –1886).
Il virtuosismo lisztiano, sensuale e denso di
sviluppi armonici, ha trovato un'ottima resa in
Sudbin che poi ha fornito un'altra valida
interpretazione con Claude Debussy (1862–1918)
e la celebre L’isle
joyeuse L.109. Dopo il
breve intervallo il salto indietro nel tempo con
Domenico Scarlatti ( 1685- 1757) ha portato
all'esecuzione di ben sei Sonate secondo
questo ordine: K197 in si minore, K9 in re
minore, in sol minore, K455 in sol maggiore,
K466 in fa minore e K27 in si minore. Sudbin
è un rinomato interprete di Scarlatti,
autore
che non manca mai nei sui concerti, e qui ancora
una volta ha rivelato un eccellente equilibrio
espositivo alternando sonate dall'andamento più
riflessivo ad altre più virtuosistiche. Il salto
qualitativo complessivo riscontrato
nel corso
del concerto vedeva poi un ottimo Fryderyk
Chopin (1810–1849)
con la Ballata n.3 in la bemolle maggiore
op.47, un Allegretto reso con intensa
espressività nella lineare discorsività. La "visionaria"
Sonata n.5 in fa diesis maggiore op.53 di
Alexander Scriabin (1872–1915)
concludeva il programma ufficiale con
un'interpretazione eccellente, resa con facile
esternazione pur nel difficile virtuosismo che
la sonata impone. Applausi meritatissimi e
ottimo il bis concesso con il celebre Studio
in do #minore op.2 n.1 ancora di Scriabin.
( Foto in alto di Alberto Panzani-Serate
Musicali)
9 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
Il Festival Milano Musica
alla
Scala per Zimmermann, Poppe e Xenakis
Per il 32° Festival Milano
Musica il primo concerto sostenuto al Teatro
alla Scala, dopo l'inaugurazione del 5 maggio
alla Pirelli Hangarbicocca, ha visto l'Orchestra
Sinfonica Nazionale della Rai diretta da Michele
Gamba impegnata in quattro brani di
Zimmermann,
Poppe e Xenakis. I due brani di Bernd Alois
Zimmermann (1918-1970) erano Photoptosis -preludio
per grande orchestra del 1968 e Stille
und Umkehr -Sketches orchestrali, ultimo suo
lavoro orchestrale del 1970. Due brani diversi
nelle timbriche: il primo di ampia coralità
strumentale e suggestiva estroversione temporale,
nello stile tipico del compositore tedesco; il
secondo particolarmente introverso che rivela il
periodo critico di vita dell'autore. Il
suggestivo Photoptosis è giocato su un
ampio spettro di sonorità che si dipanano nel
corso del lavoro formando elementi densi di
contrasti circolari che tornano sempre più
marcati nelle volumetrie rese più intense dalle
lunghe note dei fiati. Un momento di serenità
rivela citazioni dalla Nona di Beetovenn, dallo
Schiaccianoci di
Čajkovskij,
da Scriabin e da Bach per arrivare ad una
sensazione
più
materica e concreta quasi liberatoria con
improvvisa interruzione. Stille und Umkehr
è giocato su pochi strumenti e su una nota
lunga polarizzante ripetuta quasi ossessivamente
da più strumenti. Le varianti che ruotano
attorno a questa nota, con impiego di molte
tenui percussioni e di altri fiati portano alla
conclusione dell'originale lavoro.
L'interessante Schnur, per violino e
orchestra (2019) di Enno Poppe (1969) ha
trovato al violino solista Francesco D'Orazio.
Il solista introduce il lavoro con una
suggestiva melodia, non lineare ma continamente
modificata dall'uso della microtonalità, una
sorta di continui "glissando" dal sapore
orientale. Questa melodicità e circondata dagli
interventi delle sezioni orchestrali che in modo
discreto, sfumato e armonizzante danno
plasticità all'intenso brano, un unico movimento
eseguito magnificamente da D'Orazio e dagli
orchestrali. Rarissimi momenti di
soli
orchestrali interrompono il melodiare del
violino che ritorna poi in un ulteriore sviluppo
in forma dialogante con l'orchestra, sino alla
conclusione, eseguendo "gemiti" in sopracuto
quasi impercettibili. Il brano conclusivo,
Jonchaies- per 109 musicisti (1977) di
Iannis Xenakis (1922-2001) si è rivelato di
grande impatto sonoro sin dallo stridore
iniziale dei 70 archi impiegati. Una coralità
estrema di timbri acuti che lentamente trovano
un cambiamento arrivando ad una
materializzazione in territorio "concreto". La
sapiente orchestrazione di Xenakis ci porta in
una sorte di musica futurista o musica della
macchina, nella quale la componente ritmica, con
elementi sincroni e asincroni ci porta
lentamente in un vortice materico d'incredibile
fascino musicale. Un lavoro di grande resa
emotiva che è stato molto apprezzato dagli
appassionati presenti in sala. Eccellente la
direzione di Michele Gamba in tutti i lavori e
la resa timbrica dettagliata dell'Orchestra
Sinfonica Nazionale della Rai. Applausi
meritatissimi!
8 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
Maria Gabriella Mariani alla
rassegna milanese Lieti calici
Un altro simpatico e riuscito
incontro musicale e... anche di ottimo aperitivo..,
quello tenuto questa mattina agli Amici del
Loggione della Scala, nella milanese via
Silvio Pellico. Mario Marcarini, organizzatore,
discografico e musicologo, ha riportato davanti
al
pianoforte la pianista e compositrice
napoletana Maria Gabriella Mariani. L'artista da
alcuni anni vive a Campobasso ed è anche autrice
di validi romanzi. Perfezionatasi con il grande
Aldo Ciccolini, ha avuto modo di conosciore
anche Vincenzo Vitale, grande didatta della
scuola napoletana. Valente interprete dei
classici, Schumann e Debussy in primo luogo, ha
iniziato ad appassionarsi alla composizione nel
2008, per motivi accasionali, e da allora
l'inserimento di suoi lavori nei concerti, come
nei recenti dischi, è avvenuto puntualmente.
Nel
valido concerto introdotto dal Presidente degli
Amici del Loggione Gino Vezzini e da Marcarini,
la Mariani ha spiegato le sue composizioni e le
ha eseguite alternandole ad ottime
interpretazioni delle tre Estampes di
Claude Debussy. Come già riferito in passato, la
sua interessante ed immediata cifra stilistica,
in ambito tonale, trova riferimenti nel mondo da
lei più amato, quello francese di fine ottocento
e dei primi decenni del '900 (Debussy, Ravel e
Poulenc), ma anche nel repertorio italiano,
soprattutto dell'Italia centrale e del sud.
Infatti Il suo accentuato "lirismo" è una
caratteristica privilegiata, che nasce dalla sua
ricca esperianza in ambito interpretativo
concertistico. Dalla sua copiosa produzione di
brani pianistici, la Mariani ha voluto eseguire
due
lavori tratti dalla raccolta "Mediterranea.
Prima La Canzone di Pulcinella e dopo il
Debussy, Chef Tango. Lavori arditi e
virtuosistici, dal carattere narrativo, eseguiti
con passione, interiorizzazione e ricchezza di
particolari che guardano al passato europeo, a
quello napoletano, proiettandosi però nel futuro.
Ottimo il brindisi, con eccellenti vini e con la
Mariani che al termine provava gli splendidi
Studi Sinfonici di Schumann per un prossimo
concerto. Ottima mattina musicale e non solo..
7 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
IL PIANISTA ALEXANDER
ROMANOVSKY AL VIOTTIFESTIVAL DI VERCELLI
Il pianista Alexander
Romanovsky, ucraino di origini, ma ormai a tutti
gli effetti cittadino italiano, 'lanciato’ nel
firmamento internazionale degli interpreti
contemporanei dal primo premio Busoni nel 2001,
a soli diciassette anni (!) è approdato per la
prima volta al Teatro Civico di Vercelli ieri
sera, sabato 6 maggio, nel ruolo di solista, con
un recital impaginato su una delle cattedrali
sonore più splendide di tutta la letteratura
pianistica, la Sonata n.21 in Do maggiore op.53
Waldstein “Aurora” di Beethoven e su
un’antologia di pezzi di S.V. Rachmaninov, di
cui Romanovsky è oggi considerato uno dei più
autorevoli interpreti: nell’ordine, le
Variazioni su un tema di Corelli op.42, tre dei
Moments Musicaux op.16 (n.1,n.3, n.4), e sei dei
nove Etude-Tableaux op. 39, i primi 5 e il n.9.
La Waldstein di Beethoven è uno di quei pezzi
straordinari, in cui un virtuosismo altissimo si
fonde in un unico meraviglioso blocco con una
profonda tensione espressiva, sfidando
l’interprete a un’impresa esecutiva tra le più
ardue. Dopo le primissime battute dell’Allegro
con brio, il virtuosismo trascendentale di
questo ultratalentuoso pianista investe
l’ascoltatore con un vero e proprio torrente di
suoni, la cui densità ritmica è rafforzata da
una scelta metronomica che ci è sembrata
leggermente più veloce rispetto alla prassi
interpretativa di questa sonata. C’è da restare
a bocca aperta di fronte all’olimpica
spavalderia con cui Romanovsky affronta i
passaggi più impervi, le difficoltà tecniche più
ardue di questa partitura, le scale rapidissime,
gli arpeggi, i trilli e quant’altri ornamenti
danno a questo capolavoro un esplosivo carattere
concertante, più che di tradizionale sonata da
salotto.
E questo virtuosismo stratosferico è
però sempre accompagnato dal miracolo di un
suono che si sgrana con una chiarezza e una
pulizia, che poi voglion dire assoluta
precisione, sicché non una sola nota, non un
solo accordo appaiono men che nitidi. Energia
pura del suono e poliedrico dettaglio tematico :
questa la Waldstein di Romanovsky, fin dal suo
primo tempo. Questa chiarezza del suono, frutto
di un eccezionale lavoro sui polsi, su cui
Romanovsky scarica tutta la pressione delle
braccia, e di un uso sapientissimo del pedale,
consente poi una ricerca accurata del dettaglio
timbrico, che, anche in questo caso, fa mostra
di sé già nell’esposizione dell’Allegro iniziale,
con l’apparire del secondo tema, suonato come
meglio non si potrebbe in tutto il suo
trattenuto calore e nella sua espressività. La
cesellata chiarezza del suono di cui si è
parlato, non ha però in Romanovsky nulla di ‘’freddo’.
A chi ascolti con attenzione, il fraseggio di
questo grande pianista, anche nelle parti
agogicamente più dense, appare venato da una
sottile e vaga inquietudine, che
nell’esposizione valorizza al meglio il
contrasto tra tonica e mediante, mentre nello
sviluppo è la presenza abnorme di tonalità in
bemolle a offrire a Romanovsky il materiale
ideale per esprimere questa componente del suo
stile, forse, almeno per noi, la più suggestiva.
Nell’Adagio molto le capacità espressive di
Romanovsky si manifestano in tutta la loro
capacità di aderire all’ispirazione profonda del
brano con un suono che a tratti si fa rarefatto,
specie nelle zone più acute, e di cui il tocco
delicato e raffinatissimo del pianista scava
sfumature inedite, fatte di chiaroscurali
contrasti dinamici, di una timbrica cangiante e
soffusa. Romanovsky non è pianista incline al
patetico, lo si vede bene nella sezione centrale
di questo breve Adagio, dove il pathos è
trattenuto rigorosamente entro i limiti di un
appena accennato trasalimento dell’anima, nella
linea di quell’inquietudine, che abbiamo
individuato come cifra stilistica di fondo di
questo interprete. Il pirotecnico Rondò
conclusivo, con la varietà dei suoi colori, le
zone d’ombra che lo caratterizzano, l’alto tasso
di virtuosismo richiesto all’interprete è
eseguito, va da sé, come meglio non si potrebbe
da Romanovsky: un’interpretazione, questa della
Waldstein offerta ieri a Vercelli dal Maestro
ucraino-italiano, che non esitiamo a considerare
‘di riferimento’ Non è forse un caso che
Romanovsky introduca la parte del concerto
dedicata a Rachmaninov con una composizione
piuttosto atipica nel catalogo del celebre
musicista russo e che infatti fu tra le
pochissime che non ottenne,
appena eseguita
(1931), un successo immediato del pubblico: le
venti Variazioni op.42, traggono spunto da un
tema già impostosi all’attenzione dei
compositori europei fin dai primi del XVI secolo,
noto come la ‘Folia’, parola portoghese che
significa ‘idea fissa’ e utilizzato anche da
Corelli, nel tempo finale dell’ultima delle
sonate per violino e continuo op.5. Come detto,
si tratta di un’opera piuttosto particolare nel
catalogo di Rachmaninov, in cui le forme del
grande pianismo romantico-decadente, cui il
compositore russo rimase incrollabilmente fedele,
cedono ad una inedita essenzialità di
costruzione, già annunciata dalla austera e
semplicissima linea accordale del tema, con un
impegno formale più severo del consueto, inteso
a più sottili elaborazioni armoniche, talvolta
vicine ad un audace allargamento dell’area
tonale, cosa più unica che rara nella musica di
Rachmaninov. Questo stile severo e raffinato,
che può richiamare alla lontana lo stile di
Reger, trova in Romanovsky un interprete
efficacissimo e rigoroso, nella cura meticolosa
del dettaglio elaborativo, nella limpidezza
delle linee costruttive, ma anche nella ricerca
dei colori e degli effetti originali della
strumentazione, che in Rachmaninov non vengono
mai meno, e che hanno il loro momento più alto
nelle Variazioni terza (Menuetto), ottava
(Adagio), e nella cadenza-intermezzo tra la
tredicesima e la quattordicesima, ove il vario
gioco armonico è valorizzato superbamente da
Romanovsky nella sua cangiante valenza timbrica.
I successivi tre Moments Musicaux eseguiti, dopo
l’intervallo, appartengono ancora alla fase
giovanile di un Rachmaninov poco più che
ventenne, ancora alla ricerca di se stesso: il
pezzo più interessante dal punto di vista
interpretativo è il n.3, un Andante cantabile
nella cupa tonalità di si minore, in cui
l’interpretazione di Romanovsky lavora benissimo
la melodia affidata alla mano destra, un breve
inciso, franto da frequenti pause di silenzio,
in cui l’inquieta sensibilità di Romanovsky
trova una pagina particolarmente consona, mentre
il rintocco degli accordi della mano sinistra
nelle zone gravi della tastiera, che potrebbero
avere un che di funebre, vengono, in questa
interpretazione, piuttosto sfumati e tenuti
sullo sfondo. Ancora una volta, Romanovsky dà
l’impressione di tenersi a distanza da scelte
interpretative romantiche, per preferire le zone
più sfumate, più umbratili dell’espressione
musicale. Alla maturità ormai piena di
Rachmaninov appartengono invece le Etudes
Tableaux op. 39, uno dei ‘manifesti’ di quello
stile del Maestro russo, fatto di estroso e
funambolico virtuosismo e di effuso melodismo,
che tanto attirò e continua ad attirare il
grande pubblico. Crediamo di avere già chiarito
il nostro giudizio su Romanovsky e i motivi del
nostro apprezzamento. Per questo non entreremo
qui in analisi particolari: ancora una volta,
Romanovsky suona questi ardui Studi facendo
sfoggio del suo acrobatico virtuosismo e
mettendo in potente rilievo la ricchezza di
tensioni e di ombre proprie della costruzione
armonica del Rachmaninov maturo. Di particolare
interesse è l’Etude n.2, perché qui, invece,
Rachmaninov innova profondamente proprio sul
piano armonico, con un’organizzazione lineare
del discorso, fatto di frammenti ripetuti in ‘ostinato’.
Qui, ancora una volta, trionfa quel magnifico
tocco di Romanovsky, la sua ‘sensibilità’, come
qualcuno l’ha chiamata, la cui sotterranea e
talora nervosa inquietudine si ritrova a
meraviglia in brani come questo. Questo
magnifico concerto ha riscosso l’entusiasmo del
pubblico che ha tributato a Romanovsky qualcosa
di simile a una prolungata ovazione, che ha
avuto come premio non sappiamo esattamente
quanti bis (quando siamo usciti, convinti che il
concerto avesse avuto termine, i bis concessi
erano quattro,, ma attraversando il foyer
abbiamo udito ancora le note lontane del
pianoforte per un quinto fuori programma…). I
quattro bis da noi ascoltati erano due da
Rachmaninov e due Studi di Chopin. Ovviamente,
eccellente l’esecuzione. Un altro concerto
memorabile, di questa memorabile stagione n.25
del ViottiFestival. ( Foto dall'ufficio Stampa
di Vercelli).
7 maggio 2023 Bruno Busca
Le musiche di
Emanuele Casale all'Auditorium Lattuada
Per i concerti che la Scuola
Civica di Musica Claudio Abbado organizza
all'Auditorium Lattuada a Milano, nel pomeriggio
di ieri abbiamo ascoltato una rassegna di brani
monografici di Emanuele Casale, compositore
catanese e docente di Conservatorio a Palermo.
Interpreti dei brani erano esponenti dell'Ensemble
Icarus vs Muzak,
nei
nomi di Diego Petrella, pianoforte, Luca
Colardo, violoncello e Benedetta Polimeni,
flauto. I brani, tutti per strumento
solo, sono stati presentati dallo stesso Casale,
compositore che definisce la sua musica più
recente "post-classica", quasi ad
evidenziare un rapporto marcato con il
repertorio classico dal quale trova spesso
relazioni, pur essendo il suo linguaggio
legato ad una personale ricerca, ben delineata
nelle coloristiche espresse con dovizia di
dettaglio. I brani per pianoforte quali Piano
Music n.2, n.6, n.7 e n.1, in ordine di
esecuzione, e denominati rispettivamente
Le
cose nascono piano, Ritratto di pioggia,
80' s e Studio sulle rondini giganti,
hanno trovato l'eccellente interpretazione di
Diegi Petrella che ha messo in rilievo le
caratteristiche della musica pianistica del
compositore, giocata sia su ricerche di
timbriche accurate
che su un
virtuosismo
strumentale al
servizio di idee precise, anche
se riferimenti a certe sonorità alla Ligeti,
alla Glass o a Scarlatti risultano evidenti
all'ascolto. Un clima musicale diverso e molto
personale, con influssi mediterranei o
mediorientali sono apparsi nella riuscita
Suite per violoncello "Preghiere sui fiori",
cinque momenti musicali messi in risalto con l'
eccellente rilievo coloristico di
Luca Colardo. Il nitore delle accurate e
diversificate sequenze sonore rivelano una
significativa pregnanza espressiva nelle note di
Casale. Anche nei Canti perduti di Sicilia
per flauto, brani eseguiti con chiara
espressività dall'ottima Benedetta Polimeni,
abbiamo riscontrato una felice ed armoniosa
scrittura. Ottima musica contemporanea!...e non
è scontato. Applausi meritatissimi a tutti i
protagonisti.
7 maggio 2023 Cesare Guzzardella
Grande musica per
la Lucia di Lammermoor
alla Scala
Ancora
applausi calorosi per l'ottava e ultima
rappresentazione della Lucia di Lammermoor
di Gaetano Donizetti al Teatro alla Scala.
Il teatro, stracolmo di pubblico, ha apprezzato
moltissimo la riuscita direzione di Riccardo
Chailly, una concertazione che oltre ad essere
rispettosa dell'importante componente corale
preparata
e diretta con maestria da Alberto Malazzi e
dell'ottimo cast vocale, ha sottolineato con
energia frangenti "sinfonici" che mettono in
risalto la varietà musicale dell'opera
donizettiana. Una voce di eccellenza e assoluta
protagonista, Lisette Oropesa ha entusiasmato
meritatamente il pubblico con applausi ripetuti
nei momenti topici dell'opera. Di ottima qualità
la scena della pazzia - abbiamo ascoltato
finalmente i colori della glassarmonica- nella
quale il soprano oltre alla straordinaria
bravura nel sostenere la sua duttile e
timbricamente ricca emissione vocale, ha
dimostrato qualità attoriali di alto livello
rimanendo nella parte anche durante i
minuti
di applausi a lei rivolti. Sia dal punto di
vista registico che scenico, questo è il momento
migliore di Yannis Kokkos artefice della regia,
delle scene e dei costumi, aiutato dalla
drammaturga Anna Blancard, con valide luci di
Vinicio Cheli. Ottimi i co-protagonisti nelle
voci di Juan Diego Flórez, Sir Edgardo,
Boris Pinkhasovich, Lord Enrico,
Leonardo Cortellazzi, Lord Arturo,
Michele Pertusi, Raimondo, Valentina
Pluzhnikova, Alisa e Giorgio Missere,
Normanno. È in corso Andrea Chénier di
Giordano con repliche per il 6-11-16-24-27
maggio. (Foto di Brescia e Amisano -
Archivio Scala)
6 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
IL FAGOTTO DI CARLO COLOMBO
PROTAGONISTA AL FESTIVAL FIATI DI NOVARA
A maggio entra nel vivo
l’attività concertistica che accompagna il fitto
programma di masterclass sui più vari strumenti
a fiato che nel Conservatorio G. Cantelli di
Novara da anni suole concludere i corsi annuali
delle classi di questi strumenti: all’Auditorium
Olivieri, la sala concerti del Cantelli, sono
previsti sei concerti nel corso del mese .Il
Festival Fiati, con questi concerti, dà
l’opportunità di conoscere sia strumentisti in
genere poco noti a un pubblico di non
specialisti, ma di alta professionalià e di
buone qualità interpretative, sia autori, spesso
completamente, o quasi, assenti dalle sale da
concerto, magari dopo aver conosciuto una certa
popolarità ai loro tempi. Insomma si tratta di
concerti che attirano la curiosità di chi ami,
della musica c.d. classica anche esperienze
diciamo ‘secondarie’, ma che hanno pur sempre
contribuito alla storia della civiltà musicale.
Ieri sera, 5 maggio, era il turno del fagottista
Carlo Colombo, che affianca ad una intensa
attività orchestrale di primo fagotto, con
l’esordio nei prestigiosi Solisti Veneti e
l’approdo all’Orchestra dell’Opera Nazionale di
Lione, con esperienze in alcune delle più
importanti
orchestre europee, tra cui la
Filarmonica della Scala, un’attività didattica
al Conservatorio di Lione e all’Alta scuola di
Musica di Losanna. Colombo era accompagnato dal
pianista Giuseppe Miseferi (che vanta una buona
attività concertistica, e numerosi premi in
concorsi pianistici nazionali e internazionali
ed attualmente è docente al conservatorio di
Novara) e dal secondo fagottista, Davide
Fumagalli, suo allievo nella masterclass di
quest’anno. Il programma presentato ieri sera
proponeva autori otto-novecenteschi che
riteniamo sconosciuti alla grande maggioranza di
chi frequenta le sale da concerto: piuttosto
stranamente, l’impaginato era aperto da un pezzo
di Jules Demerssemant (1833-1866), che non fu
fagottista, ma, ai suoi tempi, celebre virtuoso
francese del flauto, per il quale lasciò
numerose composizioni, oggi sprofondate
nell’oblio. A titolo di mera curiosità diremo
che Demersseman, stroncato dalla tisi in giovane
età, fece in tempo a intuire l’importanza del
sassofono, di recente invenzione, tanto da
comporre una Fantasia per sassofono e
pianoforte, fra le prime, se non la prima,
composizione per questo strumento nella storia
della musica’colta’. Dunque di Demersseman
veniva proposta l’Introduction et Polonaise
op.30 per fagotto e pianoforte. Il più che
scarno programma di sala non precisava se si
tratta di composizione originale o di una
trascrizione da un originale per flauto. Dopo
l’introduzione in stile di toccata, la polonaise
si presentava come un pezzo di gradevole
cantabilità, con momenti di malinconico lirismo,
sottolineato dai passaggi al modo minore.
Colombo ha suonato con un suono morbido e dolce,
esprimendo tutta la cantabilità che anche un
fagotto sa offrire, con un’attenzione
particolare alle dinamiche e ai chiaroscuri del
suono; in questo è stato adeguatamente
accompagnato dal pianoforte di Miseferi, dal
tocco duttile e aderente ai diversi registri
della tessitura del fagotto. A seguire Tre
vocalizzi per fagotto di Marco Bordogni
(1789-1856), che fu uno dei massimi tenori
rossiniani e come Rossini si trasferì e morì a
Parigi. Il suo esordio sul palcoscenico avvenne
proprio a Novara nel 1808. Sospettiamo che anche
questi tre vocalizzi per fagotto di Bordogni
siano in realtà la trascrizione di originali per
trombone, essendo il tenore autore di “Studi
melodici per trombone” e non risultando sue
opere per fagotto. Ma, ripetiamo, il programma
di sala è totalmente insufficiente nelle
informazioni sui singoli pezzi dell’impaginato.
Anche questo pezzo vede il fagotto accompagnato
dal pianoforte, con funzione di puro appoggio
armonico allo strumento a fiato. I tre pezzi si
caratterizzano per un graduale intensificarsi
della densità ritmica dell’agogica, con un
crescendo dal tenero cantabile del primo ‘Vocalizzo’
ai rapidi passaggi e salti d’intervallo del
terzo. Una sorta di crescendo rossiniano per
fagotto, insomma, suonato con impeccabile
precisione e virtuosismo ammirevole dal Maestro
Colombo. Il terzo brano, il Souvenir de L’Italie.
Fantasie sur de motif de Donizetti op.30 è
invece opera di uno dei protagonisti della
storia del fagotto, un altro francese, Eugène
Jancourt (1815-1901): protagonista non solo per
il gran numero di pezzi (cameristici) composti
per il fagotto e per aver portato il virtuosismo
per questo strumento a livelli mai prima
raggiunti, ma soprattutto, forse, perché grazie
a lui e alle innovazioni da lui apportate alla
struttura dello strumento e in particolare al
sistema delle chiavi, nasce il fagotto moderno,
con quella varietà di registri timbrici e in
particolare un affinamento e un addolcimento
della tessitura più alta, che lo distinguono
nettamente dal più monocorde e aspro fagotto
barocco. Il pezzo di Jancourt, per fagotto e
pianoforte è un’infilzata un po’ banale e
scontata di arie celebri da opere varie di
Donizetti, tipica opera salottiera ottocentesca,
in cui il ‘nuovo’ fagotto è chiamato a far
mostra delle sue inedite capacità di canto,
gareggiando col belcantismo italiano . Brano
sicuramente di ascolto gradevole,
impeccabilmente eseguito da Colombo e Miseferi,
ma francamente piuttosto insignificante. Il
quarto, e più interessante degli autori in
programma era Francisco Paulo Mignone
(1897-1986) brasiliano, ma di origine italiana
(e anzi in Italia trascorse un periodo non breve
della sua vita, diplomandosi in composizione al
Conservatorio di Milano). Non fu fagottista, ma
eccellente pianista, direttore d’orchestra e
compositore; pressoché ignoto da noi, è
considerato uno dei più importanti compositori
brasiliani del ‘900, dopo H.Villa-Lobos. La
musica di Mignone è decisamente ispirata alla
musica popolare brasiliana, ma questa forte
impronta nazionalistica non le impedisce di
risentire anche di influenze italiane, in
particolare dalla lirica. Legato al sistema
tonale, non disdegnò tuttavia, soprattutto dopo
gli anni ’60, di misurarsi con il linguaggio
musicale delle moderne avanguardie, come
l’atonalismo e la serialità. Il programma della
serata proponeva di Mignone .una Modinha, dal
titolo Sonatas para dos Fagottes. La Modinha è
uno dei generi musicali popolari più antichi del
Brasile, risalendo al ‘600. Priva di una precisa
struttura formale, si caratterizza per una
melodicità fluida e tranquilla, velata della
tipica saudade brasiliana, la ‘malinconia’ delle
popolazioni afroamericane di quello sterminato e
affascinante Paese. La caratteristica che più
colpisce è l’oscillazione degli accenti dei
tempi forti: La Modinha di Mignone vede i due
fagotti intrecciarsi creando un suono molto
vario e sfaccettato, in cui non manca qualche
momento politonale. Un brano decisamente
suggestivo, anche per il vario gioco dei colori
dei due strumenti, molto efficacemente
realizzato dai due strumentisti. La serata
chiudeva con un fagottista americano
contemporaneo, Michael Campbell, di cui veniva
proposto Variation “Silver Threads Among the
Gold” (Fili d’argento nell’oro),per due fagotti
e pianoforte. Silver Threads è un tradizionale
song americano, creato intorno al 1870. Le
variazioni di Campbell sono del tutto scontate e
prevedibili, rigorosamente tonali e, ancora una
volta, sollecitano dal fagotto soprattutto la
capacità di canto, di sereno abbandono melodico.
Siamo al limite della c.d. musica leggera.
Inutile ripetere, ma ripetiamo volentieri, che
Colombo, Fumagalli e Miseferi hanno eseguito al
meglio questo pezzo, ma francamente si trattava
di un pezzo privo di qualunque spessore e motivo
d’interesse. Al termine del concerto non c’è
stato bis. Si è trattato, spiace dirlo, di un
concerto in cui l’indubbia preparazione degli
interpreti non ha potuto riscattare il livello,
generalmente assai modesto, del programma. Il
gran numero di poltrone vuote accentuava lo
stato d’animo di delusione di chi scrive. Una
serata non certo di quelle indimenticabili.
06-05-2023 Bruno Busca
Il pianista Louis
Lortie ai Pomeriggi
Musicali del Dal Verme
Grande successo al Dal Verme
per Louis Lortie, il pianista canadese che ieri
sera ha interpretato Mozart e Beethoven in veste
anche di direttore dell'Orchestra I Pomeriggi
Musicali. L'impaginato
prevedeva
il Concerto per pianoforte e orchestra n.12 K
414 e il n.15 K449 del salisburghese
e dopo l'intervallo, il Concerto n.4 op.58
del genio di Bonn. Un Mozart particolarmente
elegante quello di Lortie, ricco di colori caldi
e ottimamente integrato con le timbriche
orchestrali mediate dalla sua stessa direzione.
Il concerto in La maggiore, ancora più
perfetto nella sua linearità, ha trovato in
contrasto quello in Mi bem.maggiore,
forse meno eseguito ma con un Allegro non
troppo finale particolarmente ricco di
creativà. La splendida e "poetica"
interpretazione di Mozart, evidenziata ancor più
nei movimenti centrali - un Andante e un
Andantino dei rispettivi concerti- ha
avuto un netto cambio di registro nel celebre
Concerto
in Sol maggiore di Beethoven, un lavoro
caratterizzante la genialità del tedesco. Lortie,
ancora sostenuto molto bene da I Pomeriggi,
ha trovato il giusto dosaggio timbrico nelle
giuste dinamiche, e anche qui, nell'Andante
con moto centrale, ha restituito una
penetrazione espressiva di altissimo livello.
Esecuzioni complessive di alta qualità per un
artista che oltre ai favoriti compositori
francesi come Ravel o Debussy e i romantici,
Chopin prima di tutti, ha rivelato eccellenza
anche nei maggiori classici. Applausi sostenuti
dal numeroso pubblico intervenuto e come bis
solistico un ottimo celebre Adagio cantabile
dalla Sonata "Patetica" beethoveniana.
Sabato alle ore 17.00 la replica. Da non perdere!
5 maggio 2023 Cesare
Guzzardella
Il Duo di
Emanuele
Rigamonti e Valentina Gabrieli al Museo del
Novecento
L'interessante concerto
ascoltato nel tardo pomeriggio
di ieri nella
panoramicissima Sala Fontana del Museo del
Novecento, organizzato dalla Società del
Quartetto in collaborazione con NoMus
e denominato " '900 italiano tra tradizione e
modernità", ha visto la
presenza
del duo cameristico formato da Emanuele
Rigamonti al violoncello e da Valentina Gabrieli
al pianoforte. La formazione, nata nel 2021, ha
impaginato un programma con pagine di Giancarlo
Facchinetti (1936-2017) con “Andante"(1965)
e “Pucciniana" (2013); di Rossano Pinelli,
con “Camminando" del 2022, in prima
esecuzione assoluta e dedicato al Duo
Gabrieli-Rigamonti; di Camillo Togni (1922-1993)
con la Sonatina op. 23 (1944); di
Giacinto Scelsi (1905-1988) con “Dialogo"
(1932); di Franco Margola (1908-1992) con
Sonata Breve in do (1951) e, a conclusione,
di Bruno Bettinelli (1913-2004) la Sonata
composta nel 1951. Il giovane duo
strumentale
ha dimostrato un'ottima intesa nel definire
composizioni differenti, brani introdotti da
Silvia Bianchera Bettinelli, moglie del noto
compositore e didatta milanese Bruno Bettinelli.
I brani più "tradizionali" del programma
ufficiale, Andante e Pucciniana di
Facchinetti, una sorta, quest'ultimo,
d'assemblaggio delle più note arie dalle opere
di Puccini, hanno trovato una resa melodica
intensa nelle mani di Rigamonti e nella precisa
armonizzazione della Gabrieli. Il brano
successivo, Camminando, dedicato al duo e
presentato dal compositore stesso, il bresciano
Rossano Pinelli, era particolarmente valido
nella riuscita costruzione armonico-melodica
giocata su
sensibili timbriche di raffinata
espressività che vogliono esprimere delicati
cambiamenti in una sorte di piacevole
passeggiata musicale. La successiva, più corposa,
Sonata op.23 del compositore bresciano
Camillo Togni, pur avendo una complessa
costruzione dodecafonica, ha anche una valida
resa melodica, defina bene dal violoncello nella
complessa armonizzazione pianistica, risolta con
efficacia dalla Gabrieli. Legato alla tradizione
vicina a Debussy o a Messiaen, l'intenso brano
Dialogo di Giacinto Celsi ed efficace il
più tradizionale e brevissimo, nel suo ottimo
sviluppo, Sonata Breve in do di Franco
Margola. L'ultimo brano in programma, la
Sonata di Bettinelli (1913-2004), presentata
sia dalla moglie Silvia che dal cellista, ha
rivelato le eccellenti qualità del compositore
che partendo da autori come Stravinskij o
Hindemith, ma anche dalla scuola dodecafonica,
ha trovato un linguaggio personale e incisivo di
eccellente resa costruttiva e timbrica nei tre
movimenti che compongono un lavoro che
meriterebbe più frequenti esecuzioni. Bravissimo
il giovane duo cameristico. Applausi
meritatissimi dal numeroso pubblico intervenuto
in Sala Fontana e ottimo il bis di Ildebrando
Pizzetti con il Canto n.3
03-05-23 Cesare Guzzardella
APRILE 2023
A VERCELLI TORNA PER IL
VIOTTIFESTIVAL LUIGI PIOVANO CON I GIOVANI
TALENTI DELLA CAMERATA
DUCALE JR.
Ieri sera, sabato 29 aprile,
il ViottiFestival di Vercelli si è trasferito
dall’abituale palcoscenico del Teatro Civico al
suggestivo Salone Dugentesco, riservato
d’abitudine alle serate della Camerata Ducale
junior, formata da giovani under 25 tra i
migliori sfornati dai Conservatori italiani,
selezionati dalla Camerata Ducale, e fatti
suonare in formazioni cameristiche, sotto la
guida di un affermato Maestro, che assolve la
funzione di preparatore e suona con i giovani
affidati al suo breve, ma preziosissimo
‘Master’. In questa veste di ‘Maestro
concertatore’, ieri sera si è rivisto e
riascoltato, con sommo diletto, quel Luigi
Piovano, il cui violoncello ci aveva emozionato
al Civico sabato scorso. Con lui, i giovani
Giulia Rimonda al violino (ricordiamo che Giulia
è ormai stabilmente spalla della Camerata Ducale),
Lorenzo Lombardo alla viola (che con il giovane
e ottimo Quartetto novarese Daidalos ha già alle
spalle una nutrita esperienza di concerti ed è
ormai stabilmente prima viola nella Camerata
Ducale)
e
il pianista Davide Ranaldi, ‘prodotto’ del
Conservatorio di Milano e con percorso formativo
con Romanovsky, anche lui non certo alla prima
comparsa in una sala da concerto. Il programma
proposto da Piovano e dalla Camerata Ducale
junior era impaginato monograficamente su due
celebri pezzi di J. Brahms: la Sonata per
violoncello e pianoforte n.1 in mi minore op. 38
e il Quartetto per pianoforte e archi n.2 in La
maggiore op.26. Entrambe opere giovanili di
Brahms, scritte quando l’autore aveva pochi anni
più di quelli che hanno attualmente questi suoi
giovani interpreti, e dunque particolarmente ‘in
tema’ con la serata. La Sonata op.38 n. 1
presenta una struttura piuttosto singolare, con
i primi due movimenti di carattere marcatamente
melodico-lirico e un terzo tempo finale
densamente contrappuntistico, con un ampio
fugato che si apre addirittura con un soggetto
che è una quasi-citazione dall’Arte della Fuga
di Bach. E’ una composizione, per intenderci,
che esalta e sfida le due grandi qualità che
Piovano ha dimostrato di possedere in abbondanza
nel concerto della scorsa settimana, una
straordinaria espressività e un altrettanto
straordinaria limpidezza e misura di suono e
fraseggio. Ne è uscito, grazie anche,
naturalmente, all’ottimo D. Ranaldi, che ha
dimostrato di aver fatto tesoro degli
insegnamenti di tanto Maestro, un’esecuzione
davvero eccellente di questo gioiello brahmsiano.
L’ascoltatore è già subito ‘rapito, dalle note
del primo dei tre temi principali dell’Allegro
non troppo iniziale, dalla tensione espressiva,
diremmo spirituale, del violoncello, nel suo
ascendere con un lirismo di straordinaria
intensità e gravità, dai registri gravi alle
zone più acute della tessitura, che in Piovano
hanno sempre una vibrazione e un colore tutti
particolari, quasi un palpito etereo. Ad un
livello di pari intensità espressiva il
pianoforte di Ranaldi, realizzata,
nell’esposizione del terzo tema del movimento,
con accordi di dolce limpidezza, che raggiungono
lo zenit del loro incanto nel soave dissolversi
della chiusa. Rigore nitido della forma, in un
tessuto contrappuntistico articolato e compatto
e vibrazione appassionata dell’espressione si
sono perfettamente conciliati
nell’interpretazione che Piovano e Ranaldi hanno
fornito dell’arduo Allegro finale della Sonata:
I due interpreti hanno conferito un rilievo
particolare al vigoroso contrasto tra i due
strumenti, da cui, appunto, scaturisce la
particolare ispirazione appassionata
dell’insieme. Un’interpretazione, pertanto,
capace di mantenere con coerenza l’unità
dell’intero pezzo intorno ad una linea di
marcata espressività, nelle sue varie sfumature,
dal lirico all’appassionato. Tutta la Sonata, e
in particolare questo tempo finale, sono stati
eseguiti con una precisione del dettaglio,
armonico e timbrico e con una accuratezza delle
dinamiche, che hanno permesso lungo tutto il
percorso esecutivo, un fraseggio inciso con
luminosa chiarezza e ricchezza di sfaccettature
nel colore e nell’armonia. I frutti più
significativi e suggestivi della preparazione
condotta da Piovano si sono naturalmente visti
nel brano più ampio (per numero di esecutori, ma
anche per vastità di concezione musicale) e
complesso della serata, il Quartetto per
pianoforte e archi in La maggiore. La lettura
complessiva che la Camerata Ducale Junior e il
suo mentore Piovano hanno dato di questa ‘opera
meravigliosa,
com’ebbe a definirla Clara Schumann, ha saputo
pienamente portarne alla luce la particolare ‘poesia’.
Una poesia che i giovani interpreti e il loro
Maestro hanno espresso realizzando con la
massima efficacia le due linee di forza di
questa partitura: la finezza con cui l’intreccio
delle quattro voci strumentali apre il ventaglio
delle più varie e delicate soluzioni timbriche,
e i contrasti accentuati sia sul piano agogico,
sia su quello dinamico; basti pensare alla
contrapposizione tra parti di impetuoso vigore
(come gran parte dello sviluppo dell’Allegro non
troppo iniziale) o di trascinante ritmicità (
come il tema principale, all’ungherese, del
finale Rondò) e la rarefatta atmosfera di
sognante lirismo che impregna il Poco adagio in
seconda posizione. Ma il contrasto, in un Brahms
ancora fortemente impregnato di romanticismo
schumanniano, è, si può dire, quasi presente
nelle più intime fibre di questo splendido fiore
musicale, dove i momenti di più abbandonata
serenità improvvisamente generano, dal loro
stesso svolgimento, le più inquietanti ombre di
una cupa e inesplicabile angoscia, un
affacciarsi sull’abisso del nulla: su tutti, il
Poco Adagio, dove l’incanto del dolce lirismo
dell’inizio lascia il posto a un fluire di note
affidato al pianoforte, in un Si minore che
qualcuno ha definito un “grido lacerante”.
Ancora una volta, cura meticolosa del dettaglio
timbrico, armonico, dinamico, scelta perfetta
dei tempi, costante scavo espressivo nella
partitura, limpidezza e chiarezza di suono e di
fraseggio, sono le qualità dell’interpretazione
di Piovano, e dei tre giovani che ieri hanno
avuto il privilegio di suonare con lui, che
hanno permesso agli ascoltatori di vivere
l’emozione di questo mondo musicale così
complesso e profondo, nella continua dialettica
delle sue luci e delle sue ombre, della festa
della vita e del mistero che la minaccia. Ma era
pure emozionante, per chi era presente a questo
magnifico concerto, osservare questi tre giovani,
riuniti intorno al loro Maestro, da lui guidati,
dare vita ad una vera e propria piccola comunità
musicale, unita nell’entusiasmo di dare voce
alla bellezza. Il violino di Giulia Rimonda,
superbo nella sua eleganza e purezza di suono e
capace di svariare con eguale limpidezza dalle
parti agogicamente più intense a quelle di più
profonda e delicata connotazione espressiva; la
viola di Lorenzo Lombardo, che nei variegati
impasti timbrici degli archi ha cavato al meglio
il timbro che Brahms chiedeva a strumenti come
la viola o il clarinetto, quella ‘tinta media,
fatta di un brunito sfumato e indefinito,
dolcemente malinconico, che è il ‘colore’ della
musica di Brahms; il pianoforte di Ranaldi, che
eccelle nell’affrontare le più varie soluzioni
espressive che la partitura propone alla
tastiera, ma si supera nell’interpretazione del
cupo e denso secondo tema dell’Adagio, cui
accennavamo dianzi.. Tre giovanissimi che non
solo suonano, ma esplorano ed esprimono quel che
di indicibile vibra in ogni suono della musica,
interpretato con sensibilità, intelligenza,
cultura. A loro va il nostro apprezzamento più
vivo e la certezza che il futuro riserverà loro
successo e tante soddisfazioni. Al loro Maestro
concertatore, L. Piovano, i complimenti e la
gratitudine per avere preparato i tre ragazzi a
lui affidati ad un livello così alto di qualità
interpretative. Gli scroscianti applausi del
gran pubblico presente nel Salone hanno ottenuto
come bis una parte dell’Andante (ci sembra), del
terzo quartetto per pianoforte e archi, l’Op.60
in do minore: Altra splendida interpretazione,
di un dolcissimo, ma mai rugiadoso, lirismo,
dedicata da Piovano “a coloro che amano”:
l’op.60 fu un regalo di Johannes a Clara
Schumann. Parecchi minuti sono durati gli
applausi di un pubblico visibilmente emozionato
dal concerto. Noi abbiamo lasciato ieri sera
Vercelli con una certezza ed una speranza: la
certezza che questa serata rimarrà tra i nostri
ricordi e la speranza di poter riascoltare il
magico violoncello di Luigi Piovano.
30 aprile 2023 Bruno Busca
Timur
Zangiev con la
Filarmonica della Scala per
Čaikovskij e Šostakovič
Ancora un meritato successo
alla Scala per Timur Zangiev, il direttore russo
ventinovenne salito alla ribalta lo scorso anno
sostituendo Valer y
Gergiev, del quale era assistente, alla guida
dell'Orchestra scaligera per la Dama di Picche,
opera dove ottenne un
personale meritato
successo, facendoci dimenticare, per alcune
serate, il suo Maestro. Ieri sera, alla seconda
replica, in un teatro colmo di pubblico abbiamo
ascoltato Zangiev e scoperto un eccellente
direttore sinfonico. È
stato alla guida della Filarmonica della Scala
per due Sinfonie n.5: quella in mi
minore op.64 di
Čajkovskij
e quella in re minore op.47 di
Šostakovič. Due lavori orchestrali distanti tra
loro quasi cinquan'anni, essendo stato il primo
composto nel 1888 e il seconda nel 1937. Sono
sinfonie che hanno in comune un'vidente
drammaticità anche se
espressa con modalità differenti. Entrambe molto
eseguite, hanno trovato col direttore russo una
restituzione cupa, intensamente ricca di
elementi drammatici, espressi con colori
avvolgenti nelle dinamiche molto articolate. La
Filarmonica della Scala è riuscita, sotto la
direzione di Zangiev, ad
esprimere il mondo musicale di provenienza del
giovane talentuoso direttore. Nella Sinfonia di
Čaikovskij l'ottima ampia sezione degli archi ha
trovato contrasto con le volumetriche
percussioni. Maggiore l'equilibrio complessivo
nella Sinfonia di Šostakovič, con rese di ottima
qualità in ogni sezione
orchestrale e con importanti interventi
solistici, come ad esempio l'intenso violino di
Laura Marzadori. Applausi meritatissimi
sostenuti e ripetuti a Zangiev
e alla Filarmonica. Ricordiamo il prossimo
importante concerto sinfonico previsto per il
18-19 e 20 maggio con Riccardo Chailly che
dirige la monumentale Sinfonia dei mille
di Gustav Mahler. (Foto di Brescia e
Amisano dall'Archivio della Scala)
29 aprile 2023 Cesare
Guzzardella
Nicolas
Giacomelli per "il
Pianoforte in Ateneo" dell'Università Cattolica
"Il Pianoforte in Ateneo", la
manifestazione musicale dedicata al pianoforte è
tornata all'Università Cattolica del Sacro Cuore
con il secondo appuntamento che ha visto sulla
tastiera del prestigioso Shigeru Kawai le mani
di Nicolas Giacomelli. La Kawai Italia e
l'Università Cattolica e i promotori della
rassegna, il Maestro Davide
Cabassi
e il Prof. Enrico Reggiani, direttore dello
Studium Musicale di Ateneo, sono ancora riusciti
a portare al successo i concerti individuando
talenti importanti, alcuni già affermati, altri,
cone Giacomelli, che stanno entrando nel giro
concertisto importante. Il venticinquenne
pianista bolognese ha recentemente vinto il
Concorso Shigeru Kawai nell'edizione
italo-spagnola e parteciperà prossimamente a
quello internazionale giapponese. Ieri sera, di
fronte a un nemerosissimo pubblico, ha
presentato due lavori simili nell'organizzazione
dei brani: la celebre Kreisleriana op.16
di Robert Schumann (1810-1856), nella sua
scansione in otto parti e il raro Forgotten
Melodies op.38 di Nikolaj Medtner
(1880-1951), otto brani autonomi nel soggetto
principale ma con il tema iniziale del primo
brano- quello più celebre-, la Sonata
Reminiscenza, riconoscibile in alcune brani
e ripreso nell'ultimo, Alla reminiscenza.
Giacomelli ha rivelato qualità interpretative di
alto livello in entrambi i lavori. Oltre alla
totale padronanza tecnica
delle
situazioni spesso molto virtuosistiche, anche
nell'espressività ha saputo rendere al meglio
ogni frangente con escursioni dinamiche
accentuate e momenti di profonda riflessività,
specie in Schumann. L'eccellente pianoforte,
purtroppo nelle timbriche non assistito
pienamente dai volumi riverberanti della
bellissima Aula Magna, ha comunque messo in luce
le qualità eccellenti di Giacomelli, interprete
che ha trovato un pubblico entusiasta al termine
di ogni esecuzione. I brani sono stati
anticipati da interventi di presentazione del
pianista da parte di Cabassi e da valide analisi
musicologiche del Prof. Reggiani. Giovedì, 11
maggio, è la volta di Andrea Lucchesini con la
Fantasia op.17 di Schumann. Da non perdere.
28 aprile 2023 Cesare
Guzzardella
"Milano è memoria"
in Conservatorio con i giovanissimi Silvia
Borghese e Sebastiano Benzing
Il 25 aprile Sala Verdi in
Conservatorio, per la seconda edizione di "Milano
è memoria", ha trovato come protagonisti due
giovani
interpreti:
la violinista Silvia Borghese e il pianista
Sebastiano Benzing, quest'ultimo vincitore nel
2022 del Premio del Conservatorio per la
sezione musica da camera. Il concerto oltre a
celebrare l'annivarsario della liberazione dal
nazi-fascismo era anche in memoria di Marco
Budano, giovane studente di violoncello
scomparso prematuramente. La mattinata prevedeva
brani di Brahms e di Bartók. Il celebre
Scherzo dalla Sonata F.A.E. e la
Sonata n.3 in re minore per violino e pianoforte
op.108 del musicista amburghese hanno
preceduto la Rapsodia n.1 per violino e
pianoforte Sz86 dell'ungherese Béla Bartók. Le
interpretazioni ascoltate hanno messo in risalto
le qualità di entrambi gli interpreti:
l'approccio
pianistico
sicuro e preciso di Benzing nel sottolineare le
armonie brahmsiane e l'ottima scansione ritmica
elargita nella Rapsodia bartòkiana ha trovato
poi anche l'intensa melodicità violinistica di
Silvia Borghese, strumentista dalla perfetta
intonazione che abbisogna solo di consolidare
maggiormente le volumetrie del suo strumento, ma
che produce un'evidente bellezza coloristica. Un
duo di ottima qualità complessiva quindi, che va
seguito nella naturale crescità musicale.
Applausi sostenuti dal numeroso pubblico
intervenuto in Sala Verdi e come bis la
ripetizione del bellissimo Presto agitato
della sonata brahmsiana. Bravissimi.
26 aprile 2023 Cesare
Guzzardella
Il Rach
Festival è
arrivato al concerto conclusivo di
Romanovsky e Flor
Si è concluso ieri pomeriggio
in Auditorium il Festival dedicato a Rachmaninov
per i 150 anni dalla nascita, che ha visto
l'esecuzione dei quattro concerti per pianoforte
e orchestra e altre importanti
composizioni
del musicista russo. Il conclusico Concerto
n.4 per pianoforte e orchestra in Sol minore
op.40 è stato seguito poi dalle Danza
Sinfoniche op.45. Al pianoforte Alexander
Romanovsky e alla direzione dell'Orchestra
Sinfonica di Milano, Claus Peter Flor, impegnati
in questo e in tutti i concerti dei giorni
scorsi. L'Op.40, composta nel 1926 e
rivista nel 1941, è la meno esguita tra i
concerti pianistici di Rachmaninov ma certamente
il lavoro meno romantico e con caratteristiche
più vicine ai nuovi mutamenti musicali del
periodo. Il notevole virtuosismo, soprattutto
nell'Allegro vivace, terzo e ultimo
movimenti del concerto, ha trovato sicura
risoluzione nelle mani di Romanovsky che,
ottimamente diretto da Flor, ha ancora
interpretato con alta qualità il difficile
lavoro. L'Auditorium, colmo di pubblico,
ha
tributato al termine fragorosi applausi agli
interpreti e Romanovsky ha concesso due bis:
prima Elegie op.3 n.1 sempre di
Rachmaninov e poi lo Studio n.12 Op.25 di
Chopin, entrambi eseguiti con sicurezza ed
efficace espressività. Dopo l'intervallo le più
celebri Danze sinfoniche composte nel
1940, brano conosciuto anche nella versione per
due pianoforti, ha trovato un'ottima esecuzione
orchestrale diretta con maestria e dovizia di
dettaglio da Flor. Ancora fragorosi gli applausi.
Un Festival particolarmente riuscito e con
grande affluenza di appassionati.
24 aprile 2023 Cesare
Guzzardella
IL
VIOLONCELLO DI LUIGI PIOVANO AL VIOTTIFESTIVAL
DI VERCELLI
Il nuovo appuntamento, al
Teatro Civico di Vercelli, con il Viottifestival,
ieri sera 22 aprile, vedeva protagonista Luigi
Piovano, nel duplice ruolo che questo celebre
violoncellista è ormai venuto assumendo negli
ultimi anni sulla scena della musica ‘classica’
italiana (e non solo): solista e direttore. Al
suo violoncello e alla sua direzione
dell’orchestra Camerata Ducale era infatti
affidata l’esecuzione del primo dei due brani
dell’impaginato, il Concerto per violoncello
n.1 in mi bemolle maggiore op.107 di D.
Schostakovic; Piovano, deposto l’arco, restava
poi sul podio per dirigere il secondo pezzo del
programma, la Suite da concerto dalla
musica per balletto Pulcinella, di I.
Stravinsky. Rileviamo il fatto che, tra i
numerosi solisti che si dedicano anche alla
direzione orchestrale, un violoncellista è
figura piuttosto rara, a sottolineare la
particolarità della figura di Piovano, che oltre
a essere da circa trent’anni una delle colonne
dell’Orchestra Filarmonica di S. Cecilia nella
parte di primo violoncello, ha svolto una vasta
e prestigiosa carriera di solista cui da alcuni
anni, appunto, affianca anche la direzione
orchestrale. Il concerto di Schostakovic ieri
sera in programma, divenuto ultimamente uno dei
pezzi preferiti di Piovano, composto nel 1959, è
senz’altro uno dei vertici della produzione del
grande compositore russo-sovietico e, più in
generale, della musica per violoncello. E’ una
composizione di notevole complessità di registri
espressivi, con passaggi di notevole difficoltà
per l’interprete. Come in una sinfonia di
Mahler, autore che costituì un riferimento
costante per il miglior Schostakovic, questo
concerto è un mondo in cui coesistono i più
disparati e contraddittori aspetti: dal più
struggente ripiegamento
lirico
e soggettivo, al brivido di un’ angoscia che
affiora e serpeggia quando meno te l’aspetti, al
grottesco, fatto di un umorismo acre e
sarcastico che trova alcuni dei suoi momenti
culminanti, nei ritmi bandistici su cui talora
marcia la sua musica, fin dal primo tema
dell’Allegretto iniziale: un ritmo bandistico in
cui, come scriveva Adorno di Mahler, “senti
marciare i morti, che ti osservano col loro
ghigno beffardo”. Il violoncello di Piovano, un
Francesco Ruggeri del 1692, offre splendidamente
il suo suono a tutta la contrastante varietà di
questo coro dissonante e contraddittorio,
interloquendo con rara efficacia con gli altri
strumenti dell’orchestra, in particolare, col
corno di Natalino Ricciardo, che talvolta assume
il ruolo di vera e propria ‘seconda voce’
accanto a quella solistica, con uno splendido
suono, che trascorre dalla limpida chiarezza dei
momenti ‘bandistici, a un colore più livido e
cupo. Toccante l’intensità della melodia del
tema principale del secondo movimento, resa al
meglio l’inquietudine del finale Rondò sonata,
cui Piovano, con l’acido timbro del suo Ruggeri,
conferisce un tono allucinato e straniante. Il
momento culminante del Concerto per il solista è
però il terzo movimento, un’ampia cadenza, in
cui il violoncello, nella sua solitudine, si
misura con le più ardue difficoltà tecniche, da
passaggi per ampi intervalli sulle doppie corde,
a momenti addirittura polifonici, a lunghe
sequenze e scale di brevi note (semicrome e
biscrome) trascinate da un’agogica incalzante,
il tutto affrontato con una disinvoltura che non
può non suscitare ammirazione. In generale
l’interpretazione che Piovano ha dato di questo
capolavoro ha puntato su un’espressività marcata,
conservando allo stesso tempo una tersa pulizia
nel suono del violoncello e nelle linee
strumentali dell’insieme orchestrale, con un
fraseggio che si mantiene sempre limpido anche
nei passaggi più densi, dai quali spicca la cura
rigorosa del dettaglio timbrico, del disegno
tematico, del vario gioco delle voci strumentali:
su tutti, citiamo ad esempio la splendida
conclusione del Moderato (II tempo), con
quell’atmosfera di rarefazione incantata, di
timbri purissimi, in cui l’ascoltatore, cullato
dal calmo ondeggiare dei violini in sordina e
dalla soavità trascendentale della celesta, è
accompagnato in un sogno, turbato dal remoto, ma
inesorabile rullo dei timpani Equilibrio
perfettamente realizzato, dunque, tra esecuzione
‘tecnica’ e interpretazione, il cui merito
spetta naturalmente anche alla Camerata Ducale
che ha fatto sfoggio di un’ottima intesa col
solista, adattando il suo caratteristico suono ‘cameristico’
e sempre controllato, alle esigenze espressive
della composizione e dello stile interpretativo
di Piovano, sia nella sezione degli archi, dal
profilo incisivo e di netto disegno, in cui i
primi violini sono guidati da
quell’impareggiabile spalla che è ormai Giulia
Rimonda, a quella dei fiati, dai legni al corno,
impegnati in un dialogo serrato col solista.
Qualche tempo fa leggemmo in una recensione di
questo concerto eseguito a Milano da Piovano che
si tratta di un’interpretazione “di riferimento”:
condividiamo e sottoscriviamo. Agli applausi
torrenziali di un pubblico giustamente
entusiasta, Piovano e l’orchestra hanno concesso
un solo bis, brevissimo: il famosissimo “Volo
del calabrone” dall’opera “Lo zar Saltan” di
Rimskij Korsakov, dove, ovviamente, ha brillato
il virtuosismo del solista e dell’orchestra. La
Suite per orchestra “Pulcinella”, ha portato gli
ascoltatori in un mondo musicale totalmente
diverso da quello del concerto di Schostakovic.
Com’è noto, la Suite Pulcinella, composta agli
inizi degli anni ’20 del ‘900, segna la nascita
di un movimento musicale di reazione alle
innovazioni dell’avanguardia viennese, col suo
atonalismo radicale e la sua dodecafonia, in
nome di un recupero della tradizione, noto come
Neoclassicismo, che influenzò numerosi
compositori tra gli anni ’20 e ’30 del secolo
scorso, assumendo aspetti diversi. In Stravinsky
il Neoclassicismo assume perlopiù un aspetto ‘ludico’,
cioè diventa piacere di giocare con la musica
altrui. Il Pulcinella si ‘rifà’ alla musica di
Pergolesi (benchè molti dei pezzi che Stravinsky
credeva di Pergolesi, in realtà siano opera di
altri compositori), in generale al ‘700 della
grazia, della galanteria, della raffinata
eleganza rococò, riprendendone lo spirito,
naturalmente calato in un linguaggio musicale
novecentesco, con le sue irregolarità armoniche,
le sue melodie talvolta rese un po’ ‘sbilenche’
da qualche ornamento moderno etc. Su tutto, il
sorriso ironico di chi sa di stare giocando con
un delizioso anacronismo. L’interpretazione
fornita dalla Camerata ducale guidata da Luigi
Piovano è perfettamente adeguata: ‘leggiadro’ è
il primo aggettivo che ci viene in mente per
definire il tono generale di questa
interpretazione. Gli otto movimenti in cui è
suddivisa questa Suite, nel dialogo incessante
tra il concertino e il ‘ripieno’ dell’orchestra,
secondo lo schema del Concerto grosso barocco,
fluiscono con una leggerezza e limpidezza senza
pari, illuminate dalla vena di ironia sottile e
malinconica a un tempo, che serpeggia per tutta
la composizione. Quella nettezza di fraseggio,
quella cura del dettaglio timbrico, quel rigore
nel rilievo conferito alle singole linee
strumentali, che già sottolineammo a proposito
del Concerto di Schostakovic, qui si fanno pura
eleganza e raffinatissima trasparenza
dell’espressione musicale. Ancora una volta un
esempio, tra i tanti che si potrebbero citare:
il secondo movimento, la Serenata (larghetto),
suonata con una misura, una delicatezza negli
impasti timbrici, un’aerea finezza di fraseggio,
un suggestivo chiaroscuro delle dinamiche, quali
raramente abbiamo ascoltato. E’ ‘un’interpretazione,
questa di Piovano e della Camerata Ducale, che
ci pare colga bene l’aspetto più affascinante
del Pulcinella: la sensazione che il mondo
musicale che lo ispira, non venga tradito e
alterato, ma rivissuto con la tenerezza e la
lieve malinconia, con cui si rivive
un’esperienza per sempre chiusa, ma che contiene
il segreto e misterioso potere di avvincerci
ancora. Lunghi applausi hanno accolto questo
concerto, tributati da un pubblico, come sempre
accorso numeroso, non solo da Vercelli e
dintorni. Una serata da ricordare.
( Foto dall'Ufficio Stampa di Vercelli)
23-04-2023 Bruno Busca
I Concerti
dell'Accademia
diretti da Marco Angius nel Ridotto
"A.Toscanini" del Teatro alla Scala
Per I Concerti
dell'Accademia, ieri ,
nel Ridotto dei Palchi
"A Toscanini",
l'Ensemble "Giorgio Bernasconi"
dell'Accademia del Teatro alla Scala,
diretta da Marco Angius, con la presenza di
alcune
voci dell'Accademia di perfezionamento
per cantanti lirici, hanno tenuto un concerto
con brani di Hosokawa, Berio, Purcell-Berio e
Monteverdi-Berio. Il direttore Angius da molti
anni è specializzato nel repertorio novecentesco
e contemporaneo e anche ieri ha scelto un
impaginato importante che prevedeva come brano
introduttivo un lavoro di Toshio Hosokawa, Im
Frühlingsgarten per 9 strumenti. Hosokawa,
compositore giapponese nato ad Hiroshima nel
1955, è autore fecondo di musica strumentale e
lirica che unisce gli stilemi orientali con
quelli occidentali. Anche in Im
Frühlingsgarten, le chiare sonorità espresse
dai nove
giovani e bravissimi strumentisti hanno
messo in rilievo il legame tra le due antiche
culture. L'introduzione del lavoro, col flauto
ricco di glissando di Maria Carla Zelocchi,
sostenuti dagli altri strumenti in una meditata
tensione coloristica hanno portato ad una valida
interpretazione mediata ottimamente da Angius.
Il secondo lavoro era Concertino per
clarinetto, violino, arpa, celeste ed archi,
lavoro di Luciano Berio del 1950, quando il
compositore ligure era ancora studente nel
Conservatorio di Milano nella classe di
Giorgio
Federico Ghedini. Un brano giovanile di Berio
particolarmente riuscito, dove emergono gli
strumenti solisti, specie l'ottimo limpido
clarinetto solista di Greta Ferrario.
L'esecuzione finale, la più estesa, ha unito il
breve Hornpipe di Henry Purcell, nella
rivisitazione per arpa, flauto, clarinetto,
percussione clavicembalo, viola e violoncello di
Berio, a Il Combattimento di Tancredi e
Clorinda di Claudio Monteverdi-L.Berio. Qui
le voci dei bravissimi studenti della Scuola di
perfezionamento scaligera con Greta Doveri
in
Clorinda, Sung-Hwan Damien Park in
Tancredi e Paolo Antonio Nevi, voce
recitante, sono emerse nell'ottima
interpretazione strumentale di Berio curata con
ricchezza di dettagli da Marco Angius e
dall'ottima regia per l'azione scenica di
Clorinda e Tancredi. Applausi sostenuti
meritatissimi dal numerosissimo pubblico
intervenuto alla Scala. Splendida iniziativa.
22 aprile 2023 Cesare
Guzzardella
Benjamin Bayl
dirige l'Orchestra "I
Pomeriggi Musicali" in Schubert, Méhul e Mozart
Un programma classico tutto
sinfonico quello ascoltato all'anteprima del
mattino al Dal Verme. Schubert, Méhul e Mozart,
per tre brani del
classicismo
di fine '700 o di primissimo '800. L'Ouverture
in Sol minore D 668 di Schubert ( 1797-1828)
originariamente per pianoforte a 4 mani,
composta nel 1819, l'abbiamo ascoltata
nell'orchestrazione di Giulio Castronovo, in
prima esecuzione assoluta, e ci ha portato nel
tipico linguaggio del compositore viennese
ritrovato, nelle timbriche, dall'ottima
trascrizione orchestrale risultata
particolarmente equilibrata nelle dolci sonorità.
L'ottima e rara Sinfonia n.1 in Sol minore
del francese Étienne Nicolas Méhul
(1763-1817) è del 1808 e risente nella
costruzione degli insegnamenti di Mozart e di
Beethoven. Un lavoro in quattro movimenti con un
delizioso
Scherzo in pizzicato ed un finale in
Allegro agitato, pulsante e costruito
sapientemente da un compositore molto apprezzato
da Mendelsshon e da Schumann. La Sinfonia
n.41 in do maggiore Jupiter K 551 di Mozart
(1756-1791) è tanto celebre quanto
rappresentativa del compositore di Salisburgo
con il Molto allegro finale che svetta
per sapienza polifonica. Ottime le
interpretazioni del direttore
olandese-australiano Bayl che ha ben delineato,
con chiarezza espressiva, i tre lavori ben
eseguiti dai bravissime de I Pomeriggi.
Incisività e resa più appariscente nei due
movimenti finali delle rispettive sinfonie.
Questa sera, alle ore 20.00 la prima ufficiale e
sabato, alle 17.00, la replica. Da non perdere.
20-04 23 Cesare Guzzardella
ll Quartetto Adorno
e Alessandro Carbonare per la Società dei
Concerti
Il classico e splendido
impaginato proposto ieri sera in Conservatorio
per il concerto cameristico organizzato dalla
Società dei Concerti prevedeva due noti
brani quali il Quartetto per archi "La Morte
e la
fanciulla"
D810 di Franz Schubert e il Quintetto in
si minore per clarinetto ed archi op.115 di
Johannes Brahms. A sostenere i lavori il
Quartetto Adorno con il clarinettista Alessandro
Carbonare in Brahms. Il melodicissimo quartetto
di Schubert (1797-1828) è stato scritto nel 1826
e pubblicato postumo. L'ottima resa
interpretativa del Quartetto Adorno, è stata
giocata su un'intesa perfetta dei protagonisti,
per un'interpretazione sostenuta negli andamenti,
precisa e dettagliata e con colori morbidi
ricchi di vibrato soprattutto nell'eccellente
primo violino. Ricordiamo la nota formazione
cameristica, affermata internazionalmente, con
Edoardo Zosi, violino, Liù Pelliciari,
violino, Benedetta Bucci, viola e
Stefano Cerrato, violoncello. Dopo il
breve intervallo, l'aggiunta del brillante
clarinettista
Alessandro
Carbonare -da vent'anni primo clarinetto
dell'Orchestra dell'Accademia Santa Cecilia- ha
permesso ancora un'interpretazione di altà
qualità per il Quintetto brahmsiano. È un brano
appartenente all'ultimo periodo creativo del
compositore amburghese (1833-1897), datato 1892.
Interpretazione particolarmente equilibrata
quella ascoltata, con eccellenze nel bellissimo
Adagio dove il clarinetto ha un ruolo
importante e nel sostenuto Finale. Eccellente
l'integrazione delle precise ed espressive
sonorità di Carbonare con i quattro
archi. Applausi calorosi al termine e un
brevissimo bis con un frammento mozartiano.
20 aprile 2023 Cesare
Guzzardella
Presentata la Seconda
edizione del "Premio Internazionale
Antonio Mormone" dedicato al violino
È stato
presentato questa mattina in Sala Alessi, al
Piermarini, la seconda edizione del "Premio
Internazionale Antonio Mormone" questa volta
dedicato al violino, alla presenza del Sindaco
di Milano Giuseppe Sala, del Presidente della
Regione Lombardia Attilio Fontana,
dell'Assessore alla Cultura di Milano
Tommaso
Sacchi, del Direttore artistico Edoardo Zosi,
del Presidente della Società dei Concerti Enrica
Ciccarelli, del direttore del Conservatorio
Massimiliano Baggio e del Sovraintendente del
Teatro alla Scala Dominique Meyer.
Riconoscere il musicista veramente "artista" non
quello più "atletico". Queste le finalità
del Concorso violinistico espresse con chiarezza
dal direttore artistico Edoardo Zosi, noto
violinista internazionale, nell'attribuire il
prestigioso "Premio Mormone" giunto alla seconda
edizione, dopo quello avente come protagonista
il pianoforte, vinto da Ying Li nel 2022. Il 15
aprile 2025 saranno resi noti i nomi dei tre
finalisti che il 19 giugno si esebiranno con il
violino Carlo Ferdinando Landolfi del 1757,
facente parte della collezione di violini
antichi del Conservatorio G. Verdi di Milano. La
proclamazione del vincitore avverrà il 22 giugno
2025 al Teatro alla Scala con la partecipazione
dell'Orchestra dell'Accademia del Teatro alla
Scala. Un premio molto importante quindi, alla
memoria di un grande scopritore di talenti,
amante della musica e organizzatore musicale
quale Antonio Mormone.
19 aprile 2023 C.G
Ancora meritato
successo
alla
Scala per Li zite 'ngalera di Leonardo
Vinci
Successo meritatissimo alla
quarta e penultima rappresentazione della
commedia in tre atti Li zite 'ngalera di
Leonardo Vinci su libretto di Bernardo
Suddumene. Il testo, in napoletano antico,
recitato e cantato dall'ottimo cast vocale ha
trovato l'ottima regia di Leo Muscato,
mentre la
musica composta nel 1722 del calabrese Vinci -
massimo interprete insieme a Leonardo Leo della
scuola napoletana - eseguita su strumenti
originali, ha visto l'eccellente concertazione
di Andrea Marcon, specialista del repertorio
barocco e non solo. L'ottima resa orchestrale,
con alcuni bravissimi strumentisti
dell'Orchestra del Teatro alla Scala uniti ad
altri de La Cetra Barockorchester, ha
sottolineato con efficacia le chiare voci dei
protagonisti in una commedia divertente dove la
componente di recitazione risulta essere spesso
maggioritaria nell'evidenziare il clima ricco di
ironia tipico della migliore napoletanità. Come
sempre accade per le messinscene migliori - e la
tradizionale Li zite 'ngalera
(i
fidanzati in galera) è certamente una di queste-
la sinergia tra tutte le componenti di qualità
determina i migliori risultati. Tutti bravi i
protagonisti - molti en travesti - che
citiamo: la desiderata Francesca Pia Vitale in
Ciomma Palummo, il divertente Raffaele
Pe, Ciccariello, Francesca Aspromonte,
Carlo Celmino, Chiara Amarù, Belluccia
Mariano, Filippo Morace, Federico Mariano,
Alberto Allegrezza, Meneca Vernillo,
Filippo Mineccia, Titta Castagna, Marco
Filippo Romano, Rapisto, Antonino
Siracusa, Col'Agnolo, Matias Moncada,
Assan e Fan Zhou, na schiavotella.
Validi l'ambientazione incorniciata di Federica
Parolini ben illuminata da Alessandro Verazzi e
i costumi di Silvia Aymonino. Ultima replica per
il 21 aprile. Assolutamente da non perdere!( Foto di Brescia-Amisano dall'archivio del
Teatro alla Scala)
19 aprile 2023 Cesare
Guzzardella
Presentato alla Scala la 32°
edizione del Festival Milano Musica
È stato presentato nel
Ridotto del Teatro alla Scala il 32°
"Festival Milano Musica" , manifestazione di
musica contemporanea che quest'anno ha come
denominazione "Azioni fuggitive" e che si
svolgerà dal 5 maggio al 10 giugno in moltissimi
ambienti centrali e periferici della città di
Milano. Sono oltre 20 gli appuntamenti con
concerti sinfonici, cameristici, di musica
elettronica e video, tra cui 12 prime esecuzioni
assolute e 16 in prima italiana. I luoghi
preposti, oltre il Teatro alla Scala, saranno il
Conservatorio di Milano, la Fabbrica del Vapore,
Palazzo Reale, Pirelli Hangar Bicocca, il MEET
Digital Culture Cente e il Teatro Elfo-Puccini.
Grandi compositori del passato tra cui Ligeti,
Maderna, Xenakis, Zimmermmann, Tekemitsu ecc.,
saranno esegiiti insieme a compositori di oggi
quali Battistelli, Benjamin, Cacciatore, Poppe,
Sciarrino, Illés, Smolka, Kourldianski. Molti
concerti saranno trasmessi in diretta o in
registrata da Rai Radio3. Alla presentazione di
ieri in tarda mattinata sono intervenuti il
Sovrintendente del Teatro alla Scala
Dominique Meyer che ha introdotto l'incontro,
il Presidente di Milano Musica Rosellina
Archinto, la Direttrice di Milano Musica
Cecilia Balestra, la Direttrice del settore
spettacolo del Comune di Milano Isabella
Menichini, il Consulente artistico di Milano
Musica (2014 -2023) Marco Mazzolini e il
violinista Francesco D'Orazio. In sala
anche Paolo Petazzi, prossimo consulente
artistico di Milano Musica (2024-2026).
Quest'anno è attesa una programmazione
particolarmente interessante per qualità e
diversificazione dei contenuti musicali. Ottime
opportunità con gli abbonamenti all'intera
manifestazione.
19 -04 -2023 Cesare
Guzzardella
A NOVARA IL GIOVANE TRIO
GOLDBERG IN CONCERTO
Ieri sera 18 aprile, presso
l’Auditorium Dedalo a Novara, si è tenuto un
concerto di musica da camera che ha visto
protagonista il giovane Trio Goldberg, giovane
sia perché costituitosi appena due anni fa, sia
per l’età dei suoi membri, giovani che hanno
appena varcato la soglia dei vent’anni: tutti
formatisi nel Conservatorio della città, il
Cantelli, ciascuno di loro ha già partecipato
con lusinghieri risultati a qualche concorso
nazionale e ha già esperienza di concerti,
soprattutto in formazioni cameristiche: si
tratta di Anna Molinari al violino, di Lucia
Molinari al violoncello e di Riccardo Bisatti,
pianista, ma con aspirazioni alla direzione
orchestrale, attività in cui ha già dato qualche
prova di sé degna di nota. A questi tre nomi va
accostato quello di Lara Albesano, aggiuntasi
come violista ai tre strumentisti del Goldberg
per l’esecuzione dell’ultimo pezzo in programma,
il
Quartetto op. 25 n.1 in sol minore di J.
Brahms: diplomata in viola e violino al
Conservatorio di Torino, con perfezionamento in
viola presso la prestigiosa Scuola Superiore
Reina Sofia di Madrid, è di qualche anno più
anziana dei membri del Goldberg e vanta una già
significativa attività concertistica. Il
programma della serata proponeva, prima del già
menzionato Quartetto brahmsiano, il Trio di F.
J. Haydn per pianoforte ed archi n.39 in Sol
maggiore “All’Ungherese” e il trio per
pianoforte e archi n.4 op. 90 “Dumky” in mi
minore di A. Dvorak. L’evidente filo conduttore
del concerto, come dichiarato nella
presentazione, è quello delle “contaminazioni
popolari, in particolare tzigane, all’interno
della tradizione classica”. I tre ‘ragazzi del
Goldberg’ si sono fatti subito apprezzare col
trio di Haydn: ottima la calibratura
dell’ensemble nell’impeccabile dialogo tra gli
strumenti, in cui risulta un po’ sacrificato
dalla partitura il pianoforte, qui relegato a un
mero ruolo di accompagnamento, buona la scelta
dei tempi, adeguata ad un’agogica da ‘pezzo da
salotto’ ancora improntato a galanteria
settecentesca nei primi due tempi, di più
robusta vivacità nel Rondò tzigano che chiude il
brano; valida, infine, la cura del dettaglio
timbrico, la cui responsabilità era affidata in
particolare ai due archi: il violino di Anna
Molinari, dal suono di notevole espressività,
che sa passare dall’intimo lirismo del’Poco
Adagio centrale, con l’effuso patetismo delle
sezioni in minore all’energia della vorticosa
danza tzigana del Presto finale, e il suono
morbido e caldo del violoncello di Lucia
Molinari, sapientemente intrecciato colla linea
principale del violino. Un livello di impegno
esecutivo decisamente più alto richiede la
composizione successiva, il notissimo Trio ‘Dumky’
di Dvorak, scritto quasi esattamente un secolo
dopo il Trio all’Ungherese di Haydn. Il titolo
rimanda ad una danza slava, più precisamente
ucraina, di ispirazione malinconica e meditativa:
i sei pezzi di cui è composto il Trio sono
altrettante Dumky
– al
plurale - , Si tratta, come dicevamo, di un
brano molto complesso per varie ragioni: la
ricchezza inesauribile di temi e motivi, con
incessanti cambiamenti nell’agogica, un
alternarsi continuo di modi maggiore e minore,
la compresenza
costante di introspezione
malinconica e di travolgente abbandono ai ritmi
più vorticosi, spesso
tratti da altre danze. Soprattutto, rispetto al
Trio di Haydn, i tre strumenti acquistano una
decisa indipendenza e il pianoforte si prende la
sua parte, uscendo decisamente dal ruolo di
semplice accompagnamento e talora assumendo, con
il bel tocco e il suono duttile e ricco di
sfumature di Bisatti, un ruolo di protagonista.
Ebbene, il Trio Goldberg ha dato prova della
propria maturità, offrendo un’ esecuzione
assolutamente valida, da parte di tutti gli
strumenti, del difficile pezzo. Non possiamo
entrare naturalmente nei dettagli di un brano
così ampio e complesso, ma in generale
l’intensità espressiva raggiunta dall’ensemble e
dai singoli strumentisti è stata davvero alta,
con punte di eccellenza in alcuni passaggi. Ci
limiteremo qui a ricordare la delicatezza con
cui è esposto il meraviglioso tema principale
del secondo movimento, con un gioco sulle
dinamiche, da parte degli archi e del
pianoforte, di notevole efficacia; e il clima di
limpida serenità del La maggiore del terzo
tempo, o infine le pagine più intrise di
umbratile malinconia, rese con raffinatezza di
registri timbrici, fin dall’attacco del primo
tempo. Da far tremare le vene e i polsi, a
interpreti poco più che ventenni, il capolavoro
di Brahms che concludeva la serata. Composizione
di respiro ‘sinfonico’, non tanto per la
notevole durata, quanto per la ricchezza e
varietà di temi e idee secondarie, per la
densità della trama contrappuntistica, per il
fitto e complesso dialogo delle linee
strumentali; non ultima, la difficoltà di
esprimere la tipica atmosfera, musicale e
spirituale, la Stimmung, per dirla con una
parola cara ai tedeschi, che avvolge la musica
brahmsiana: quel sottile e indefinito, eppur
struggente, sentimento di stanchezza interiore,
di crepuscolare finire delle cose, con tutte le
sfumature che questa condizione spirituale
conferisce alla timbrica dei suoi capolavori, in
particolare quelli cameristici, come questo
meraviglioso Quartetto op. 25. Bene: i quattro
giovani ascoltati ieri sera all’Auditorium
Dedalo di Novara hanno superato a pieni voti la
prova: il dialogo tra i quattro strumenti,
impeccabile nelle entrate e nei tempi,
l’attenzione sempre accurata per il dettaglio
timbrico, la gestione adeguata delle dinamiche (bellissimi
i chiaroscuri brumosi della parte iniziale del
secondo tempo, proprio ‘brahmsiani’),
l’espressività intensa dei temi più
indimenticabili di quest’opera, su tutti, per
noi, il terzo couplet del celeberrimo Rondò alla
zingarese che chiude questo monumento musicale.
Sono, queste, le qualità che ci hanno
maggiormente impressionato nell’interpretazione
del Trio Goldberg con l’apporto della viola di
Lara Albesano, dal bellissimo suono brunito.
Soprattutto ha colpito la grande energia di
suono, dal volume davvero ‘sinfonico’, che il
quartetto ha sprigionato, accelerando anche, in
alcuni casi, sul metronomo. Il pubblico, stipato
nella piccola platea del Dedalo, ha espresso il
suo apprezzamento con grandi applausi,
strameritati, chiedendo anche un bis, non
concesso: Lucia Molinari, a nome dei colleghi,
ha dichiarato che, pur avendo preparato un ‘fuori
programma’, non si sentivano di eseguirlo,
perché il concerto aveva esaurito tutte le loro
energie. Li comprendiamo e li giustifichiamo
appieno. Siamo convinti che per i bravissimi
giovani del Trio Goldberg si stia aprendo un
futuro che riserverà loro molte soddisfazioni.
19 marzo 2023 Bruno Busca
Gidon Kremer in
Trio per le
Serate Musicali del Conservatorio
Un Trio di eccellente qualità
quello formato da Gidon Kremer al violino, Giedr ė
Dirvanauskaitė al violoncello e Georgijs Osokins
al pianoforte.
L'impaginato ascoltato ieri sera, ai concerti
organizzati da Serate Musicali, risponde
all'intelligenza del grande violinista lettone
che trova sempre attenzione all'inserimento di
brani del Novecento o
contemporanei,
come quelli ascoltati nella prima parte della
splendida serata. Il
brano introduttivo era infatti del polacco
Mieczyslaw Weinberg (1919-1996) con la sua
Sonata n.4 per violino e pianoforte op.39,
lavoro composto a Mosca nel 1947. La Sonata
risente molto delle modalità
compositive di
Šostakovič,
compositore che influenzò
notevolmente il più giovane Weinberg, venuto a
vivere negli ultimi decenni della sua vità nella
ex Unione Sovietica. Ottima l'interpretazione
fornita da Kremer ed Osokins nel lavoro in tre
parti caratterizzate da
andamenti pacati di grande rilevanza espressiva.
Nel secondo brano, con il gruppo cameristico al
completo, è stato eseguito il Trio con
pianoforte "Middleheim" di Giya Kancheli
(1935-2019). Il brano del compositore vissuto in
Georgia, a Tblisi, è particolarmente ispirato.
Un'atmosfera notturna giocata su semplici
elementi melodico-armonici ricchi però di
suggestiva espressività,
resa
con grande pregnanza estetica dal trio. Dopo il
breve intervallo, il monumentale Trio con
pianoforte in la minore op.50 di
Čajkovskij,
dedicato dal grande compositore russo al
pianista e didatta
Nikolaj
Rubinstein - fratello del più
noto compositore Anton Rubinstein- ha coperto la
seconda parte della serata. È un brano
particolarmente eseguito che rivela lo stile
tipico e le personali qualitè del grande
compositore. Le splendide dodici variazioni sul
Tema che completano il corposo lavoro, hanno ben
evidenziato le alte qualità espressive del trio,
con il violino di Kremer e il violoncello della
lituana Dirvanausskaitė
paritetici in qualità
nello scambiarsi le espressive parti melodiche e
l'ottimo pianoforte del giovane lettone Osokins
nel completare armonicamente lo straordinario
lavoro che il grande compositore scrisse tra il
1881 e il 1882. Eccellente l'interpretazione.
Applausi calorisissimi al termine e di grande
intensità emotiva il profondo lied di Schubert,
Du bist die Ruh- Tu sei la pace -
nell'ottima trascrizione proposta come bis. Una
serata di grande valore musicale.
18 aprile 2023 Cesare
Guzzardella
A Musica Maestri!
i
pianoforti di Davide Cabassi e di Andrea Carcano
La
rassegna del Conservatorio milanese denominata "Musica
Maestri", organizzata per evidenziare le qualità
dei migliori studenti del Conservatorio e anche
dei docenti interni
all'importante
istituzione mesicale, ha trovato ieri, nel tardo
pomeriggio, due pianisti e docenti di pianoforte
quali Davide Cabassi e Andrea Carcano in un
programma interamente brahmsiano. Le
Variazioni su tema di Haydn per due pianoforti
op. 56b, versione meno frequentata di quella
per orchestra ma altrettanto valida e la
Sonata in fa minore per due pianoforti op. 34
bis, trascrizione della più eseguita
versione per Quintetto con pianoforte, hanno
visto impegnati i due validi interpreti.
Interessanti le due esecuzioni e di qualità la
resa espressiva sia di Cabassi
che
di Carcano in perfetta sinergia. Il
numerosissimo pubblico presente in Sala Puccini,
ha tributato fragorosi applausi. Valido il bis
concesso a quattro mani con ancora Brahms e un
sua celebre Danza ungherese. Domenica 23 aprile
alle ore 18.00 ancora Musica Maestri! con il
Trio Braga-Ronchini-Redaelli per Schumann op.56
e op.80!
17 aprile 2023 Cesare Guzzardella
Seconda giornata
del RACH
FESTIVAL con il Concerto n.2 op.18
Ieri pomeriggio un Auditorium
al completo ha accolto il pianista Alexander
Romanovsky e il direttore d'orchestra Claus
Peter Flor con l'Orchestra Sinfonica di Milano
per il secondo appuntamento del Rach Festival
ed il celebre Concerto n.2 in do minore
op.18 di
Sergej
Rachmaninov, il brano più eseguito del grande
pianista e compositore russo. Il lavoro composto
da Rachmaninov nel 1900-01 fu il primo ad
ottenere un meritato successo per l'immediatezza
delle melodie presenti nei tre movimenti e
questo servì al compositore per iniziare a
superare una crisi che lo aveva portato ad una
profonda depressione in età giovanile. Il
Concerto è stato preceduto da un'ottima
interpretazione di lavori più maturi del
compositore
quali
l'Études-Tableaux, brani composti per
pianoforte tra il 1911 e il 1917 e cinque di
questi, trascritti per orchestra nel 1931 da
Ottorino Respighi. La resa orchestrale di sicura
qualità, ha trovato una rigorosa e chiara
definizione dai bravissimi orchestrali della
Sinfonica milanese diretti con sicurezza e in
modo dettagliato da Flor. Dopo il breve
intervallo la salita in palcoscenico di
Romanovsky e la splendida interpretazione del
concerto ha portato ad un successo meritatissimo.
Come già nella ottima recente esecuzione del
Concerto n.1 Op.1, Ramanovsky ha rivelato
un'attitudine di rara qualità alla musica di
Rachmaninov, con una capacità
d'interiorizzazione e di restituzione delle
timbriche del russo di grande livello sia per la
precisione dei dettagli che in termini
d'espressività. Pubblico entusiasta al termine e
due i bis solistici concessi dal pianista
visibilmente soddisfatto: prima il celebre
Preludio op.23 n.5 e poi dagli Etudes
Tableaux op.39, il n.9. Ancora
applausi calorosissimi. Giovedì alle 20.30 terzo
appuntamento con il Concerto n.3 anticipato
dalle Enigma Variations op.36 di Edward Elgar.
Da non perdere!
17 aprile 2023 Cesare
Guzzardella
Il RACH FESTIVAL in
Auditorium con Claus Peter Flor e Alexander
Romanovsky
È iniziato in Auditorium il
Festival dedicato a Sergej Rachmaninov, per i
150 anni dalla nascita. In quattro date vengono
eseguiti i quattro concerti per pianoforte e
orchestra e, a completamento di alcune serate,
brani di Debussy, Ravel ed Elgar. L'Orchestra
Sinfonica di Milano diretta da Claus Peter
Flor ha come pianista solista Alexander
Romanovsky.
Ieri sera il Concerto n.1 in fa diesis minore
op.1 è stato preceduto da Petit Suite
(1888-89) di Claude Debussy e da Ma mère
l'oye. Cinq pièces enfantines (1908)
di Maurice Ravel. Flor ha dato ad entrambi i
lavori un'interprerazione delicata e raffinata,
elargendo timbriche sottili nei volumi ma di
grande equilibrio complessivo, ottenendo quindi
una resa espressiva dalla Sinfonica milanese di
sicuro pregio. L'atteso Concerto n.1 del
compositore russo è arrivato dopo il breve
intervallo. L'Op.1 di Rachmaninov ebbe
una gestazione molto travagliata che portò anche
ad una crisi psicologica del compositore per la
difficile
affermazione
di un lavoro che subì nel tempo numerosi
cambiamenti. Pur essendo stato composto nel
1890-91, solo nel 1899 il concerto ebbe a Londra
una prima esecuzione completa, ma altri
cambiamenti portarono alla stesura definitiva
sino all'anno 1919, quando finalmente il
complesso e particolarmente virtuosistico lavoro
trovò un meritato interesse. L'interpretazione
ascoltata da Romanovsky, ancora una
volta
ci ha rivelato la congenialità del pianista con
la musica del grande russo. Il concerto, trova
ancora rare esecuzioni, rispetto ai diffusissimi
concerti N.2 e N.3, pur avendo una valenza
qualitativa particolarmente evoluta e riuscita.
Il virtuosismo di Romanovsky è dotato di qualità
tali da rendere semplici anche i più difficili
intrecci armonico-melodici. Claus Peter Flor ha
trovato il giusto dosaggio timbrico per far
emergere la fondamentale componente solistica ed
il risultato esecutivo complessivo ha raggiunto
livelli molto alti. Applausi fragorosi dal
numeroso pubblico pesente in Auditorium ed
eccellenti i due bis solistici concessi dal
pianista: prima il celebre Preludio n.2 op.3
di Rachmaninov e poi l'altrettanto noto
Studio n.12 op.8 di Scriabin. Applausi
ancora sostenuti all'eccellente pianista.
Domenica 16 aprile, alle ore 16.00, secondo
appuntamento del Festival con il celebre
Concerto n.2. Da non perdere!
14 aprile 2023
Cesare Guzzardella
L'ottimo violinista
Andrea Obiso nel
Concerto in re minore Op.47 di Sibelius al
Dal Verme
L'ottimo impaginato ascoltato
oggi all'anteprima matutina dell'Orchestra "I
Pomeriggi Musicali" diretta da George
Pehlivanian prevedeva due celebri lavori con il
Concerto per violino e orchestra
in
Re minore Op.47 di Jean Sibelius e la
Sinfonia n.5 on Do minore Op. 67 di L v.
Beethoven. Il primo lavoro del grande musicista
finlandese (1865-1957), composto tra il 1903 e
il 1905 è tra i più belli del genere e punto
d'arrivo dei migliori virtuosi del violino.
L'intreccio tra le penetranti melodie solistiche
e la raffinata e suggestiva orchestrazione
rendono i tre movimenti del concerto tra le
massime produzioni solistiche e sinfoniche
realizzate nel tardo-romanticismo musicale.
Violino solista nell'ottima interpretazione
ascoltata, il ventinovenne palermitano Andrea
Obiso, virtuoso attivo anche come spalla
dell'Orchestra dell'Accademia Santa Cecilia. La
sicurezza espressiva di Obiso, specie negli
attacchi dei movimenti laterali e
l'ottima
direzione di Pehlivanian hanno portato ad una
valida interpretazione del concerto solistico.
Dopo il breve intervallo, di qualità la nota
Quinta Sinfonia del compositore tedesco,
eseguita energicamente da I Pomeriggi,
per una direzione ben calibrata e incisiva dei
quattro movimenti. Applausi sostenuti nella
grande sala del Teatro dal Verme gremita di
pubblico, con centinaia di giovanissimi studenti
pervenuti da molte scuole milanesi. Ottimo il
concerto e splendida l'iniziativa rivolta anche
ai giovanissimi. Questa sera la prima ufficiale
del concerto alle ore 20.00 e sabato, alle
17.00, la replica. Da non perdere!
13-04-23 Cesare Guzzardella
Il pianista spagnolo
Javier Perianes per
la Società dei Concerti
Il pianista spagnolo Javier
Perianes ha tenuto un concerto ieri sera per la
"Fondazione La Società dei Concerti" in
Conservatorio, presentando un impaginato che ha
avuto come fonte d"ispirazione Robert Schumann e
Francisco Goya. Nella prima parte della serata
brani di Clara Wieck Schumann, con le
Variazioni su un tema di R. Schumann op.20,
di R.Schumann con Quasi variazione su un tema
di Clara dalla Sonata op.14, ed
infine di Johannes Brahms con le
Sedici
variazioni su un tema di Schumann op.9,
hanno trovato al centro d'attenzione il grande
musicista tedesco di Zwickau. La seconda parte
del concerto era interamente dedicata a Goyescas
op.11 di Enrique Granados, lavoro in sette
parti che ha trovato come fonte d'ispirazione
per il compositore spagnolo il celebre pittore,
suo connazionale, Francisco Goya. L'ottimo
virtuoso spagnolo ha sostenuto con grande
interiorizzazione e misurata esternazione tutti
i brani presentati, rivelando modalità
interpretative coerenti e personali improntate
ad un lirismo ben controllato nelle dinamiche ma
di perfetto equilibrio complessivo. È un
pianismo raffinato quello di Perianes, che ha
bisogno di un ascolto attento per
essere
compreso nella sua profondità di pensiero.
L'ottima resa dei primi lavori romantici hanno
trovato poi contrasto nel mondo musicale assai
diverso in Granados, con la sua ricca Goyescas,
lavoro del 1911 dove le influenze di Chopin e
Liszt sono mediati dai caldi colori tipici della
Spagna, in un linguaggio ricco di ornamentazioni
barocchegianti. Di pregio la restituzione di
Perianes, un interprete particolarmente
sensibile alle timbriche più a lui vicine.
Applausi meritatissimi e ottima resa per il bis
concesso al termine del programna ufficiale con
un pregnante Intermezzo op.118 n.2 in la
maggiore di Johannes Brahms.
13 aprile 2023 Cesare
Guzzardella
INTERAMENTE DEDICATA ALLA
MUSICA DA CAMERA DI G.B. VIOTTI LA VIGILIA DI
PASQUA DEL VIOTTIFESTIVAL DI VERCELLI
L’opera del violinista e
compositore Giambattista Viotti, uno dei più
grandi musicisti italiani tra ‘700 e ‘800,
idolatrato a suo tempo dal pubblico parigino e
londinese, ammirato da Mozart, Paganini,
Beethoven, Brahms, in questi anni è stata
sottratta al semioblio in cui cadde abbastanza
inspiegabilmente dopo la sua morte (Parigi,
1824), dall’attività approfondita e quasi devota
di riscoperta e di studio del Maestro Guido
Rimonda, affermato violinista e direttore
dell’Orchestra Camerata Ducale, con sede a
Vercelli, considerata la ‘città di Viotti’,
perché il musicista nacque in una borgata vicina,
Fontanetto Po (1755). Possiamo considerare Guido
Rimonda, oggi, uno dei più autorevoli
conoscitori ed interpreti al mondo della musica
di Viotti e questo era uno dei motivi che
rendeva imperdibile l’appuntamento con il
concerto del ViottiFestival di ieri sera, sabato
8 aprile, al Teatro Civico di
Vercelli.
Il programma della serata, infatti, era
interamente dedicato a Viotti e per di più a un
settore della produzione musicale del grande
vercellese su cui la coltre d’oblio di cui si
parlava si è stesa, se possibile, ancora più
fitta e impenetrabile di quella che ha avvolto i
suoi concerti per violino: la musica da camera,
che annovera un catalogo significativo, tra cui
spiccano i Duetti per due violini e i Quartetti
per archi e per altri strumenti ed archi. E
appunto sui tre generi dominanti della
produzione cameristica di Viotti era impaginato
il programma del concerto, che proponeva il
Duetto in Do maggiore W IVa4, il Quartetto per
archi in sol minore W IIa1, il Quartetto per
flauto e archi in do minore W II:17. Tra i due
quartetti, due ‘pezzi di baule di Rimonda, cioè
la splendida Meditazione in preghiera,
presentata in forma di quartetto d’archi, e,
sempre in forma di quartetto d’archi il Tema e
variazioni in Do maggiore, del 1781, il cui tema
sarebbe poi divenuto una decina di anni dopo
quello della “Marsigliese” dei rivoluzionari
francesi. A eseguire queste composizioni erano
chiamati il noto flautista Massimo Mercelli ( il
cui nome è legato a quello di numerosi
compositori contemporanei, ma in particolare a
Philip Glass, di cui ha eseguito l’integrale
dell’opera per flauto e che gli ha dedicato
alcuni suoi pezzi), i violinisti Guido Rimonda e
Francesca Ripoldi (giovane e talentuoso virgulto
della Camerata Ducale), la violista Maria
Ronchini, docente dello strumento al
Conservatorio di Milano e la violoncellista
Silvia Chiesa, così celebre, da non aver bisogno
di presentazioni. La musica di Viotti appare, al
di la’ della gradevolezza di tante sue pagine,
come una musica complessa da interpretare,
perché caratterizzata dalla stratificazione di
diverse esperienze musicali: in più che sommaria
sintesi, Viotti compì il prodigio di traghettare
la musica per violino dagli ultimi bagliori
della grande scuola corelliana, con cui entrò in
contatto nella sua fase di apprendistato
giovanile con Pugnani, attraverso le limpide
misure del classicismo settecentesco, per
approdare agli albori della civiltà romantica. I
vari apporti che confluiscono nel suo stile, non
restano però una sommatoria disorganica e
incoerente: al contrario, il genio di Viotti
consistè nell’elaborare una sintesi originale
delle diverse esperienze musicali con cui si
confrontò, dando vita ad uno stile molto
personale e originale, che a sua volta ebbe a
influenzare la civiltà musicale del suo tempo,
in primis la scuola violinistica francese di
Kreutzer e compagni, che a Viotti deve (quasi)
tutto. Uno stile, quello di Viotti, che ricerca
costantemente, al di là del virtuosismo, una
espressività, tutta particolare, fatta di un
fraseggiare ricco di contrasti, di una speciale
cantabilità e di un’energia, sempre peraltro
controllata da un saldo equilibrio formale.
Nella realizzazione di questo stile viottiano,
molto contarono le innovazioni che Viotti
apportò allo strumento, in particolare all’arco:
l’arco attualmente in uso fu inventato dal
Maestro di Fontanetto Po, che ( come ben
spiegato dal Maestro Rimonda) passando dal
antico arco barocco, di forma leggermente
convessa a quello moderno leggermente concavo,
consentì inediti colpi d’arco, un suono più
potente e rese possibile allungare la frase
sulle corde del violino, consentendo, ad esempio,
quel gioiello musicale che sono le “Meditazioni
in preghiera”,
pezzo
di incantevole e triste lirismo, tutto giocato,
appunto, sul succedersi di ‘onde’ musicali come
sospese in un tempo che sembra tendere
all’infinito. I Quartetti di Viotti, pur
conferendo al primo violino un ruolo di assoluto
rilievo, rompono col modello francese del
Quatuor Brilliant ( cioè in sostanza un concerto
per violino e tre archi), mantenendo una
relazione dialogica fra gli strumenti. Questa
caratteristica stilistica dei quartetti
viottiani è stata perfettamente realizzata dagli
interpreti, che, con una cavata sempre intensa
e, ad un tempo, di raffinata eleganza, hanno
saputo valorizzare al meglio le linee
strumentali loro affidate, con un controllo
accurato del dettaglio timbrico e delle
variazioni dinamiche. I vari pezzi sono stati
suonati meravigliosamente bene, in un concerto
che ci ha rapito dall’inizio alla fine. Partendo
proprio dalla fine, cioè da quella splendida
composizione che è il Quartetto per flauto e
archi, indimenticabile è il primo tempo,
Moderato ed Espressivo, esemplare dello stile di
Viotti: ad un primo tema di luminosa e suadente
dolcezza, priva di qualsiasi ‘galanteria, segue
un secondo tema che rompe l’incanto di tale
soave serenità, per introdurre un inciso
tematico venato di una malinconia che va ormai
già oltre la sénsiblerie settecentesca, per
proiettarsi verso sottili inquietudini
romantiche. Mentre il secondo tempo, un Minuetto,
che, come segnalato dal Maestro Rimonda, sembra
anticipare nel tema il secondo tempo (Un bal)
della Symphonie Phantastique di Berlioz, ha però
una gioioso slancio di danza un po’ rustica, che
a noi ha ricordato certe atmosfere haydniane, il
terzo e conclusivo movimento , un Allegro
agitato e con Fuoco, ci mostra il Viotti dalla
cavata energica e fiorita, soprattutto per il
primo violino di Rimonda, di ardui virtuosismi.
Su tutto regna però sovrana un’eleganza, una
nobiltà di canto che tutti e quattro gli
interpreti hanno il sommo merito di aver
espresso con squisita raffinatezza. Naturalmente
gli stessi tratti stilistici
affiorano
nel quartetto per archi, con una sfumatura di
più imponente maestosità e di pathos nei due
primi tempi, cui si contrappone il gioioso
abbandono ad un festevole ritmo di danza, che
ancora una volta suggella la speciale
espressività del grande compositore vercellese
all’insegna del contrasto. Per concludere…dall’inizio,
il Duetto, originariamente concepito per due
violini, è stato presentato nella versione per
flauto e violino. Ha perfettamente ragione,
naturalmente, il Maestro Mercelli nel sostenere
che questa era pratica abituale
nel’700-primo’800, dunque ‘filologicamente’ del
tutto legittima anche oggi. E’ però anche vero,
come ammesso dallo steso Mercelli, che questo
comporta qualche adattamento della scrittura del
pezzo, in quanto il fiato che suona il flauto
non è fisicamente in grado di seguire la mani
che suonano il violino nelle parti agogicamente
più veloci. Quindi, in un certo senso, il
violino deve rallentare un po’. In effetti in
questa versione per flauto e violino questo
duetto , almeno nel primo tempo, perde un poco
di quell’incalzante ritmo di vago sapore
beethoveniano del primo tema del primo tempo (è
solo una coincidenza il fatto che i Duetti siano
stati composti tra 1798 e 1801 in Germania, a
Schonfeld, dove non poteva non giungere dalla
non lontana Vienna l’eco della nuova musica del
Maestro di Bonn?). Tuttavia ne esce un pezzo in
cui i colori del flauto e del violino si
intrecciano in una linea melodica di suadente
lirismo e di raffinatezza squisita. La bellezza
della musica di Viotti, unita alla bravura di
tutti gli interpreti, ha strappato al pubblico
un lunghissimo applauso, ottenendo come bis la
ripetizione del Minuetto ‘berloziano’ del
Quartetto per flauto e archi. Se la musica per
magia si potesse trasformare in una stella, da
ieri sera nella volta celeste risplenderebbe un
astro in più.
(Foto di I.Buat e D.Cerati Uff. Stampa Vercelli)
10 aprile 2023
Bruno Busca
L' Alessandro Carbonare
Clarinet Trio alle Serate Musicali
del Conservatorio
Un concerto inconsueto ma
interessante e anche divertente quello
organizzato da Serate Musicali e
ascoltato nel Conservatorio milanese. I tre
clarinetti del "A.
Carbonare Clarinet Trio" hanno
impaginato un programma variegato e spesso
folcloristico che ha riempito di timbriche
eleganti e penetranti l'ampio spazio di Sala
Verdi. Il clarinetto di Alessandro Carbonare, il
corno di bassetto di
Giuseppe
Muscogiuri e il clarinetto basso di Luca
Cipriano - quest'ultimo anche eccellente
arrangiatore di molti dei lavori
in programma- hanno interpretato brani di
Mozart, Tallini, Corea, Gershwin, De Filippo e
melodie Klezmer. Nel brano iniziale, il
Divertimento C439 b n.1 di Mozart, tutti e
tre gli strumentisti hanno suonato il Corno di
bassetto, uno strumento con gamma timbrica
intermedia tra il clarinetto e il clarinetto
basso, ma con analoga espressività di colore. La
resa sincrona degli interventi dei protagonisti
ha permesso un'ottima interpretazione mozartiana,
per un lavoro tipicamente settecentesco. Con un
salto nel tempo di oltre due secoli, la
compositrice Stefania Tallini (1966) ha
realizzato poi il secondo lavoro in programma
denominato C19 - Covid 2019- un brano
ottimamente scritto e ben interpretato dal trio
con i tre diversi strumenti, dove è presente un
carattere jazzistico con alcuni frangenti di
ottima improvvisazione. Un richiamo al jazz
anche nel terzo brano d'impaginato del grande
Chick Corea, pianista e compositore scomparso da
poco. Nella Suite "Corea jazz",
ottimamente
trascritta da Cipriano, Armando's
Rhumba, Song for Sally e Spain themes,
sono legati tra loro per una resa decisamente
ispirata e virtuosistica dei tre clarinettisti.
Un ritorno al classico, dal sapore jazzistico,
il brano successivo di George Gershwin, con il
celebre "Tre preludi" , dall'originale
per pianoforte, trascritti benissimo da Cipriano.
Un'interpretazione di qualità con la gamma
timbrica completa dei tre strumenti che hanno
messo in risalto i tre brevi
preludi, tra i brani
più conosciuti di quelli in programna.
Con Pizzica e Taslim di Vincenzo de
Filippo, siamo tornati ancora al presente. Un
lavoro dove la presenza folcloristica ricca di
accenti legati alla tradizionale della Pizzica
del sud-Italia, e sostenuta anche dal tamburello
battente di Muscogiuri, ha maggiormente
divertito il pubblico presente in sala. Chiusura
"alla grande" con il folclore ritmicamente
accentuato della musica klezmer. La Klezmer
Suite ha permesso ottimi variazioni e
improvvisazioni su
Russian Melody e Odessa Bulgarish.
Una suite coinvolgente come solo la musica
klezmer può esprimere. Bravissimi gli
strumentisti. Ottimo il bis concesso con un
brano brasiliano arrangiato molto bene da
Cipriano. Applausi meritatissim i
da un pubblico purtroppo non numeroso.( Foto in alto di Alberto Panzani-Ufficio stampa Serate Musicali)
4 aprile 2023 Cesare
Guzzardella
Rudolf Buchbinder
e i suoi classici
in recital al Teatro alla Scala
Ieri sera il Teatro alla
Scala era colmo di appassionati per ascoltare il
pianista Rudolf Buchbinder in un impaginato
classico tipico del grande interprete austriaco.
Da moltissimi anni Buchbinder, pianista di fama
mondiale, frequenta le sale da concerto milanesi,
prediligendo la Sala Verdi del Conservatorio e
il Teatro alla Scala. Le sue scelte di
repertorio difficilmente escono dalla prima
Scuola
viennese,
con una scelta di brani quasi sempre intorno
agli amati Mozart, Beethoven e Schubert. Anche
ieri, i suoi autori prediletti hanno composto
l'impaginato nel seguente ordine: prima Mozart
con le Dodici variazioni in do maggiore su
"Ah, vous dirai-je Maman, quindi Beethoven
con la Sonata n.23 in fa min. op.57 "Appassionata"
e, dopo l'intervallo, di Schubert la
Sonata in si bem. maggiore D 960, ultima del
viennese. La classe di Buchbinder nell'affermare
la sua cifra stilistica non si discute. Quello
che in alcuni momenti si nota è la fluidità a
volte eccessiva nell'interpretare musicisti e
rispettivi brani eseguiti decine di volte. Molto
bene il brano introduttivo mozartiano con quelle
splendide variazioni perfettamente
interiorizzate sulla nota canzonetta francese.
La sintesi discorsività un po' frettolosa, si è
notata in alcuni movimenti degli altri lavori,
in alternanza a frangenti di
profonda
riflessione e notevole espressività. Il
complesso dell'interpretazione rimane comunque
in tutti e tre i capolavori di ottima qualità,
con punte d'eccellenza soprattutto nel corposo e
raffinato Schubert finale. Ottimi i due bis
concessi, tipici di Buchbinder, prima con ancora
Schubert e il suo Impromptu op.90 n.4,
quindi il virtuosistico e luminoso Johann
Strauss nella rivisitazione del pianista e
virtuoso Alfred Grünfeld da Soirée de Vienne,
il Valzer op.56. Applausi calorosissimi
dal pubblico entusiasta.
3 aprile 2023
Cesare Guzzardella
Eliana Grasso
diretta da Stefano
Ligoratti al MaMu per il Concerto n.2 di
Rachmaninov
Una serata molto piacevole
quella organizzata al MaMu di via Soave 3
a Milano. Per celebrare i 150 anni dalla nascita
di Rachmaninov la pianista piemontese Eliana
Grasso, accompagnata dall'Orchestra cameristica
MaMu Ensemble, diretta da Stefano
Ligoratti, ha interpretato il celebre
Concerto n.2 in do minore per pianoforte e
orchestra
del grande compositore russo nella
trascrizione per orchestra d'archi di Geremy
Liu. È un concerto, come spiegato ad
introduzione della serata da Ligoratti, -direttore
noto soprattutto come interprete pianistico-
composto da Rachmaninov tra il 1900 e il 1901.
In questi anni il grande musicista stava
attraversando un momento di particolare crisi,
che proprio grazie a questo lavoro tardo
romantico, ricco di toccanti melodie da subito
entrate nella memoria collettiva, riportò il
compositore ad un ottimismo utile per i
successivi lavori. La buona resa orchestrale ha
trovato una sinergia particolare nell'ottima
interpretazione della Grasso, una pianista molto
preparata e particolarmente sicura
nell'esprimere sia i momenti più melodici del
lavoro, come quello più celebre del
secondo
movimento, che quelli di grande virtuosismo
presenti soprattutto nei movimenti laterali. Il
numerosissimo pubblico intervenuto nell'ampio
spazio del MaMu, luogo musicale sempre
più conosciuto non solo per la presenza di
strumenti musicali, libri e dischi, ma anche per
queste eccellenti iniziative di ascolto, ha
tributato applausi sostenuti all'ottima pianista,
al bravissimo direttore e all'orchestra d'archi.
Eliana Grasso ha poi concesso un toccante bis
solistico con il celebre Notturno postumo in
do diesis minore di F. Chopin, eseguito con
intensa espressività. Bravissimi!
2 aprile 2023 Cesare
Guzzardella
La Sinfonia Turangalîla
di Olivier
Messiaen diretta da Maxime Pascal
Il brano più ampio ,
che ne riassume tutta la
poetica, di Olivier
Messiaen, Turangalîla, Sinfonia per
pianoforte, onde martenot e grande orchestra,
è stato eseguito ieri sera dall'Orchestra
Sinfonica di Milano diretta per l'occasione dal
francese Maxime Pascal, specialista di musica
del Novecento e contemporanea. Protagonisti del
corposo lavoro, composto
dal musicista d'Avignone tra il 1946 e il 1948,
anche
Cécile
Lartigau alle onde Martenot e Luca Buratto al
pianoforte. La Turangalîla-Symphonie è
uno dei grandi capolavori del '900, è in dieci
parti per una durata che può superare gli
ottanta minuti e trovò la prima direzione a
Boston, nel 1949 , con Leonard Bernstein sul
podio. La vastissima orchestra utilizzata,
alterna momenti di voluminose esternazioni, che
possono incontrare sonorità caotiche, ad altri
di profonda meditazione. In quest'alternanza di
situazioni, a volte roboanti, a volte riflessive,
espresse anche con sovrapposizione di numerosi
piani sonori, spesso apparentemente discordanti,
si realizza la filosofia profondamente religiosa
di Messiaen, compositore, organista e
naturalista ornitologo. La complessità di questo
luminoso e contrastato lavoro ha trovato
l'ottima direzione di Pascal e l'eccellente
restituzione degli orchestrali,
oltre
ovviamente alle precise esternazioni dei solisti,
con i luminosi effetti di Cécile Lortigau e la
perfezione tecnica, ricca di espressione, di
Luca Buratto. La poliritmia del lavoro, l'uso
costante delle percussioni e le timbriche
profonde degli ottoni, unitamente agli altri
interventi strumentali, hanno messo in rilievo
le qualità di tutte le sezioni orchestrali, con
strumentisti capaci di interagire con ottima
sincronia. Fragorosi gli applausi al termine di
questa serata. Ricordiamo che nell'atrio
dell'Auditorium, in occasione del concerto di
ieri e fino al 23 aprile, vengono esposte opere
della pittrice Manuela Bertoli che in onore di
Messiaen, ha realizzato, con colori vivaci, una
serie di dipinti rappresentanti uccelli e anche
un bel olio su tela denominato La Forêt de
Messiaen. Domani alle ore 16.00 la replica
del concerto. Da non perdere.
1 aprile 2023 Cesare
Guzzardella
MARZO 2023
DA CARL PH.E.
BACH A BERIO AL FESTIVAL FIATI DI NOVARA
Il nuovo concerto, proposto
dal Festival fiati, ieri sera 30/03
all’Auditorium del Conservatorio G. Cantelli di
Novara, vedeva protagonista il trombettista
Gabriele Cassone in duo col pianista Giuliano
Cucco. Cassone è uno dei più validi solisti di
tromba attualmente in Italia: dal 1976, ancora
giovanissimo (a soli 17 anni!),era già prima
tromba dell’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di
Milano, inizio di una lunga carriera che lo
avrebbe portato a far parte delle più
prestigiose orchestre italiane ed europee. La
sua formazione musicale comprende anche la
tromba barocca, tanto da essere chiamato dal
grande Ton Koopman come solista della sua
celebre Amsterdam Baroque Orchestra. A questa
intensa attività musicale, il Maestro Cassone
affianca un altrettanto ampia attività didattica,
che fino a pochi anni fa lo ha visto anche
docente presso il Conservatorio Cantelli di
Novara. Quanto al Maestro Giuliano Cucco, vanta
anch’egli un’attività concertistica di livello
internazionale, come solista o in formazioni da
camera, che gli ha permesso di approdare a
prestigiose
sale da concerto europee, tra le quali basterà
citare la Salle Cortot a Parigi. Anche Cucco
affianca all’attività concertistica
l’insegnamento, attualmente al Cantelli di
Novara. Il recital del duo Cassone-Cucco
presentava un programma impaginato su brani
generalmente di raro o rarissimo ascolto, che
svariava dal ‘700 di Carl Philip Emmanuel Bach e
di Mozart al tardo ‘900 di Berio. Il primo brano,
a mo’ di introduzione alla serata, era appunto
la “March for the Ark” di C. Ph. E. Bach, per
trombe barocche (cioè ‘naturali’, senza
meccanismi). Il breve pezzo è stato presentato
dal Maestro Cassone con i suoi allievi della
masterclass attualmente in corso al Cantelli. Il
brano è un pezzo tripartito secondo lo schema
ABA, dominato, come indica il titolo, da uno
squillante ritmo di marcia, di spumeggiante
brillantezza handeliana, resa con vigore e
precisione dalla tromba di Cassone, con qualche
nota un po’ sporca da parte di qualche allievo;
bisogna però essere indulgenti: la tromba
barocca è tremendamente difficile da suonare,
perché le modulazioni di tonalità e i cromatismi
possono essere ottenuti solo col movimento delle
labbra nel bocchino e quindi la probabilità che
qualche nota esca imprecisa è molto alta. Ben
più interessante della Marcia di C. Ph. E. Bach
è stato il secondo pezzo in programma, una
Romanza per tromba a cilindri e pianoforte,
trascrizione del 1829 del compositore/arrangiatore
Joseph Kail del secondo movimento (Rondò) del
Concerto per corno e orchestra Kv495 di Mozart.
La tromba a cilindri, diretta antesignana della
moderna tromba a pistoni, consente una varietà
di modulazioni e cromatismi, nonché un
estensione di suono, incomparabile rispetto alla
tromba naturale barocca. Ha anche un timbro
caldo e morbido, particolarmente adatto a dare
voce alla grazia e all’eleganza tipicamente
mozartiane, che, pur nella trascrizione, il
pezzo conserva e che Cassone e Cucco hanno reso
al meglio nella loro interpretazione. Pensiamo
che la sala concerti del Conservatorio di Novara
sia una delle pochissime in cui siano echeggiate
le note del terzo brano proposto ieri sera:
l’Adagio per tromba a chiavi e pianoforte di… G.
Verdi. Si tratta, come ha spiegato il Maestro
Cassone nell’opportuna presentazione al pubblico,
di una composizione giovanile del grande
bussetano, databile tra il 1836 e il 1839,
recentemente riscoperta. Anche la tromba a
chiavi è uno strumento un po’ particolare: è in
sostanza una tromba naturale, ma con l’aggiunta
di chiavi, che ‘aprono’ il tubo dello strumento,
permettendo una più agevole realizzazione di
cambi di tonalità e dei cromatismi.
Ma
l’aspetto più particolare della tromba a chiavi
è il particolare colore del suo suono: un colore
‘soffice’, lontano dal brillante squillo della
tromba moderna, quasi sommesso. Tra l’altro,
mentre venne abbandonata nel resto d’Europa con
l’avvento della tromba a cilindri e poi a
pistoni, in Italia la tromba a chiavi ebbe una
lunga fortuna, durata sino alla seconda metà
dell’800. Questa tromba, come sempre
accompagnata con efficacia ritmica e timbrica
dal pianoforte, era chiamata a suonare una
tipica aria verdiana, di cantabilità piena e
vigorosa: l’abilità di Cassone nello sfruttare
le proprietà timbriche di questo strumento ha
saputo unire queste due componenti, il lirismo e
l’energia, in un fraseggio di grande efficacia e
dolcezza, che ha trasformato la sua tromba ’a
chiavi’, in qualcosa di più che uno strumento
degli ottoni: il timbro metallico lasciava il
posto all’eco lontana di un canto umano. Neppure
la bravura di Cassone e di Cucco ha potuto
riscattare dalla più bolsa mediocrità il
deludente quarto pezzo dell’impaginato, il
Concerto op. 123 di Ponchielli (1866),
ovviamente nella trascrizione per tromba (moderna,
a pistoni) e pianoforte: brano di sapore
prettamente bandistico (Ponchielli ha composto
molto per banda) in quattro tempi, in cui il
meno banale è il terzo, un Tema con variazioni,
che ha dato la possibilità all’ottimo Cassone di
sfoderare alcuni numeri del suo repertorio
virtuosistico. Questa composizione si
caratterizza anche per l’ampia presenza del
pianoforte, tanto che talora parrebbe piuttosto
un concerto per pianoforte e tromba, e non
viceversa: un pianoforte il cui compito è quello
di sostenere, con linee melodiche fortemente
puntate e scandite, il rimo bandistico
dell’insieme. Un recital di Cassone non poteva
non concludersi con una composizione di Luciano
Berio. I due furono legati da stretta amicizia e
Berio aveva in Cassone uno dei suoi trombettisti
preferiti, tanto da affidargli numerose prime di
sue composizioni per tromba, tra cui basterà
citare Kol-Od, che Cassone eseguì col mitico
Ensemble Intercontemporain diretto da P. Boulez.
Il pezzo di Berio era una delle 14 sequenze
composte per vari strumenti, la Sequenza X per
tromba e pianoforte (1984). La composizione è
propriamente “per tromba e risonanze di
pianoforte”: il pianista appoggia appena le dita
sulla tastiera, traendone un suono ai limiti
dell’inudibile, fantasmatico, necessariamente
amplificato da un microfono di tipo dinamico,
quasi un misterioso alone che avvolge lo
squillante suono della tromba e che vibra in
modo particolare quando la tromba suona con la
campana rivolta alle corde della tastiera. Come
per tutte le altre ‘Sequenze’, lo scopo primario
che Berio si proponeva era quello di
sperimentare tutte le possibilità timbriche
dello strumento E’ un pezzo che impegna tutte le
capacità tecniche di un trombettista: dal
flutter tonguing (il c.d. frullato), ai tremoli,
alle note pedali, cioè le note dell’estremo
registro basso degli ottoni, che consentono
inusuali effetti armonici. Da notare il ricorso
frequente ad una tecnica tipica del Jazz ( ma
già nota ai trombettisti barocchi) il ‘doodle
tonguing ( che però nel Jazz è applicata di
preferenza al trombone), cioè un legato molto
rapido. Dalla combinazione o dalla successione
incessante di queste tecniche nasce una varietà
straordinaria di colori del suono, che Cassone
domina con una bravura davvero degna del più
alto encomio. Nel complesso un concerto
interessante, molto ben eseguito dai due Maestri
Cassone e Cucco, che ha avuto il merito, tra
l’altro, al di là della qualità estetica dei
singoli brani, di uscire dai cliché triti e
ritriti delle nostre sale da concerto, per far
ascoltare pezzi rarissimi e del tutto
dimenticati, salvo Berio, s’intende. Il numeroso
pubblico presente ha applaudito con entusiasmo
la performance di Cassone e di Cucco, ottenendo
un ‘fuori programma, la ripetizione del
bell’Adagio verdiano. Prossimo appuntamento,
imperdibile, col Festival Fiati il 14 aprile,
con l’ottimo cornista Jonathan Lipton, primo
corno della London Symphony.
31 marzo 2023 Bruno Busca
La tromba di
Markus Stockhausen al Museo del Novecento
Un tardo pomeriggio di musica
contemporanea al Museo del Novecento,
organizzato da NoMus e dalla Società
del Quartetto, ci ha permesso di ascoltare
due brani di piacevole comprensione . Il
primo,
in ordine di esecuzione , era di Karlheinz
Stockhausen, con il suo Tierkreis, in una
versione per pianoforte, flauto, due clarinetti
e fagotto. Il secondo, di Damiano Santini, era
Zodiaco, 12 brani in quattro parti,
Fuoco, Acqua,Terra e Aria, per tromba e
pianoforte, con la straordinaria
partecipazione di Marcus Stockhausen alle trombe.
In Tierkreis (Zodiaco, 1974) la presenza
come interpreti di studenti del Conservatorio
"Giuseppe Nicolini" di Piacenza ci ha rivelato
le ottime qualità dei protagonisti nel definire
l'ottimo lavoro del grande musicista ed
innovatore tedesco, legato alla città di Colonia
e scomparso nel 2007. Tierkreis, musica
originariamente per carillons, utilizzata anche
in un'azione teatrale, ebbe in seguito
trascrizioni per diverse realizzazioni e
strumentazioni. Quella ascoltata ieri era di
ottima fattura ed ha messo in relazione i cinque
strumentisti nel
definire
armoniose e semplici sonorità con un linguaggio
di facile comprensione nella sua estrema e
piacevolissima originalità. Alcuni dei
bravissimi strumentisti - nei nomi di Gabriele
La Venia, ottavino e flauto, Alessandra
Tamborlani e Sara Manzoni, clarinetti, Enrico
Bertoli, fagotto e Ginevra Paniati, pianoforte-
hanno anche mimato le situazioni musicali con
una incisiva e piacevole gestualità. Ottima
l'interpretazione fornita, ed evidente
l'apprezzamento del numerosissimo pubblico
intervenuto nella luminosa e panoramicissima
Sala Fontana. Le trombe di Markus Stokhausen ed
il pianoforte di Alessandra Garosi hanno poi
definito in modo mirabile l'originale lavoro di
Damiano Santini che viene espletato secondo un
procedimento dove anche gli interpreti hanno
voce in capitolo nella creativa costruzione del
brano. Mentre la parte pianistica è
fondamentalmente scritta in partitura, quella
della tromba è stata completamente improvvisata
dal grande trombettista. Le ottime sinergie dei
due interpreti hanno portato ad una splendida
resa coloristica di Zodiaco,
un
brano d' immediata comprensione grazie anche ai
colori profondi e voluminosi delle tre trombe
utilizzate da Stockhausen. In una sequenza, il
figlio del celebre compositore, girava per la
sala dando spazialità alla musica con il
profondo timbro dello strumento. L'ottima musica
si sviluppava in un linguaggio tonale suggestivo
e di evidente riflessiva meditazione. Di ottima
qualità anche la componente pianistica e
virtuosistica di Alessandra
Garosi , interprete
sicura e attenta agli interventi del
trombettista. Il pubblico ha decisamente
apprezzato l'ottimo lavoro, elargendo al termine
fragorosi applausi . Il duo ha concesso un bis
con ancora una sequenza improvvisata ispirata al
brano di Santini. Bravissimi.
29 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
A
NOVARA IL FESTIVAL CANTELLI CONCLUDE LA SUA
42ESIMA STAGIONE CON IL “PICCOLO SPAZZACAMINO”
DI B. BRITTEN
Già
progettato dall’Associazione Amici della Musica
di Novara fin dal 2020, “Il piccolo spazzacamino”
(“The little sweep” il titolo originale inglese)
di Britten, dopo un lungo rinvio dovuto alla
pandemia, è stato finalmente rappresentato ieri
sera, martedì 28 marzo, sul palcoscenico del
Teatro Faraggiana, come spettacolo conclusivo
della 42esima stagione del Festival Cantelli..
Perché “Il piccolo spazzacamino”? La risposta la
dà il Maestro Ettore Borri, Presidente
dell’Associazione Amici della musica:
quest’opera di Britten, composta nel 1949, è
oggi più che mai attuale con la sua denuncia del
tragico fenomeno dello sfruttamento minorile,
dolorosamente diffuso in Italia e nel mondo.
Un’opera dunque, di alto impegno civile,
nonostante sia definita nel catalogo delle opere
del compositore inglese “Opera per bambini”, la
cui tematica la rende di drammatica attualità.
In effetti, l’immagine del bambino, simbolo di
indifesa innocenza e di libertà schiacciata da
un mondo adulto violento e brutale, ricorre
abbastanza spesso nell’opera musicale di
Britten: basti
pensare
soltanto a quell’inquietante capolavoro del
teatro musicale che è il “Peter Grimes”, di
pochi anni precedente “Il piccolo spazzacamino”.
Britten e il suo collaboratore Eric Crozier
scrissero il libretto ispirandosi a due celebri
poesie del grande poeta romantico inglese
William Blake, entrambe intitolate “The chimney
sweeper” (1789 e 1794) appunto “Lo spazzacamino”,
non senza ovvie influenze dei romanzi
dickensiani alla “Oliver Twist”. Strutturalmente,
si tratta di un’opera in un atto, diviso in tre
scene, in cui le parti cantate da solisti si
alternano a parti corali, a sezioni declamate e
a dialoghi recitati. Un po’ alla lontana (manca
l’elemento della danza), l’autore sembra rifarsi
al modello della ‘Masque’, la prima forma
assunta dal melodramma su suolo inglese. La
vicenda, che si immagina svolgersi nel 1810, è
quella del piccolo Sem (Sam nell’originale)
venduto dal padre, caduto in miseria per un
infortunio sul lavoro, al brutale spazzacamino
Nerone (Black Bob) e al suo assistente
Clementino (Clem), che sfruttano crudelmente il
fanciullo, costringendolo a salire negli stretti
camini per pulirli. Il piccolo, terrorizzato dai
bui e stretti cunicoli in cui si sente soffocare,
è salvato dai bimbi che abitano una casa di cui
deve pulire il camino, Iken Hall, i tre fratelli
Brook e i loro tre cugini Croome, che con
l’aiuto della bambinaia Rosa (Rowen, l’unico
personaggio positivo del mondo adulto), riescono
astutamente a nasconderlo e a sottrarlo alla
ricerca di Nerone e della signorina Bracco, la
malvagia governante (Miss Baggott), regalandogli
la libertà e la felicità. L’organico orchestrale
chiamato a sostenere la parte vocale nelle
sezioni cantate e in generale ad accompagnare lo
svolgersi della vicenda, l’Ensemble”Amici musica
Cocito”, diretto dal Maestro Sergio Castroreale,
è costituito da un pianoforte suonato a quattro
mani (Anna Doria e Silvia Giliberto), da un
quartetto d’archi ( Rebecca Bove e Ilaria Salsa
violini, Silvia Rossi viola, Isabella Maria
Veggiotti violoncello, quattro giovani formatisi
al Conservatorio Cantelli di Novara) e
percussioni, affidate a Matteo Savio,
neodiplomato al Conservatorio G. Verdi di
Milano. Ma il carattere che più distingue “Il
piccolo spazzacamino” nella lunga e vasta storia
del teatro musicale è che si tratta di un’opera
per bambini, nel senso che ad essa i bambini
partecipano, cantando, come voci bianche soliste
e in coro, parlando, recitando, accanto agli
adulti, cantanti di professione. Con questa
particolarità Britten ha voluto avvicinare i
bambini al mondo del teatro musicale, che pare
cosi distante dagli interessi e dai gusti
dell’infanzia. Ma forse il genio di Britten ha
intuito che non
si
tratta di una distanza così incolmabile: in una
sua recente pubblicazione Alberto Mattioli
sostiene acutamente che alcuni aspetti
dell’opera per musica ( dall’assoluta mancanza
di realismo e di verosimiglianza così frequenti
in tanti episodi, alla tipologia di molti
personaggi) avvicinano il teatro musicale
proprio al genere, tipicamente infantile, della
fiaba. Non solo, ma ne “Il piccolo spazzacamino”
ha un suo ruolo anche il pubblico in sala,
chiamato, per così dire, a ‘entrare’ nello
spettacolo, cantando quattro canzoni e
partecipando così anch’esso a quel viaggio verso
la libertà e la felicità di cui è protagonista
il piccolo Sem. Le quattro canzoni in questione
sono state saggiamente affidate in questa
occasione a un coro di allievi del Liceo
musicale-coreutico F. Casorati di Novara, che
hanno preso posto in platea, come ‘rappresentanti’
del pubblico. L’allestimento dell’operina’, (poco
meno di un’ora di durata) per cause di forza
maggiore, ha costretto la regia di Paolo
Bignamini e la direzione artistica di Ettore
Borri a scelte indubbiamente necessarie, ma che
hanno alterato profondamente la natura dello
spettacolo. Non essendo il Faraggiana dotato di
buca per l’orchestra, si è dovuto fare di
necessità virtù e collocare tutti quanti,
cantanti, coro di voci bianche, ensemble
strumentale, nell’unico spazio del palcoscenico.
Rendendo questo affollamento impensabile
qualsiasi significativo movimento sul
palcoscenico e quindi qualsiasi recitazione, la
parte dialogata del libretto è stata trasformata
in un testo letto da una voce narrante (Mario
Cei) collocata in un palco, mentre i cantanti,
professionisti e voci bianche, seduti sul
palcoscenico, si alzavano e nel proscenio
cantavano la loro parte. Si è perso così,
purtroppo quel movimento continuo,
quell’intreccio di voci che vede protagonisti i
bambini e che costituisce uno degli aspetti più
coinvolgenti del “Piccolo spazzacamino”. La
parte musicale di questo allestimento è stata
comunque apprezzabile: i cantanti, a cominciare
dalle voci bianche, dell’Accademia Langhi e dei
Pueri Cantores dell’Istituto Immacolata di
Novara, hanno interpretato correttamente e con
partecipazione il loro ruolo. L’elenco sarebbe
molto lungo, ci limitiamo al nome di Sofia
Capozza, un Sem en travesti, che ha dato al suo
canto la giusta nota di dolore e paura. Più che
dignitose le prestazioni dei cantanti
professionisti: il basso Oliviero Pari e il
tenore Damiano Colombo, nei ruoli
rispettivamente di Nerone e di Clementino,
entrambi dotati di una linea vocale pulita e ben
timbrata nella tessitura propria a ciascuno dei
due; il mezzosoprano Elena Caccamo, un’ottima
signorina Bracco, sia sul piano musicale, con un
fraseggio abile nel salire dai registri più
bassi a quelli acuti, sia su quello attoriale,
recitando bene la parte della sgradevole e
ottusa ‘nemica’ dei bambini; il soprano Barbara
Massaro, una Rosa efficace nella vocalità virata
sul patetico e agile negli acuti, e il soprano
Maria Grazia Aschei, una Giulietta dotata di
voce limpida e di buon volume, considerata anche
la giovane età. Validi i cori, sia quello delle
voci bianche, in palcoscenico, diretto dal
Maestro Alberto Veggiotti sia quello del ‘pubblico’
in platea, cui perdoneremo volentieri qualche
sbavatura con l’ensemble orchestrale nella
‘Canzone del bagno di Sem’, ampiamente
compensata da una brillante esecuzione del
successivo ‘Canto Notturno’. Ci è piaciuto
l’Ensemble strumentale, diretto con leggerezza e
cura del dettaglio timbrico dal Maestro
Castroreale, che ha valorizzato quella vena di
musicalità indefinibile, fatta a un tempo di
malinconia e di sottile ironia, che è propria di
molto Britten e in particolare del “Piccolo
spazzacamino”. Un plauso particolare al primo
violino di Rebecca Bove, per l’intensità
espressiva di certi suoi interventi e alle
percussioni di Matteo Savio, suonate con
delicatezza e raffinatezza. Lo spettacolo ha
avuto successo, testimoniato sia dal folto
pubblico, che riempiva la platea, sia dagli
applausi prolungati e convinti tributati alla
conclusione. E’ stata giustamente premiata la
fatica di chi, nonostante i limiti imposti dalla
struttura del teatro e dalle risorse disponibili,
ha saputo confezionare uno spettacolo
intelligente e capace di avvicinare i giovani e
giovanissimi alla musica. Proprio come voleva
Britten. (Foto dall'ufficio stampa di Novara)
29 marzo 2023 Bruno Busca
Mao Fujita, un pianista
autenticamente mozartiano alle Serate
Musicali
Il ventiquattrenne pianista
giapponese Mao Fujita era già venuto a Milano lo
scorso anno per un concerto tenuto insieme alla
Filarmonica della Scala. Giovanissimo, a soli 17
anni, vinse l'importante Concorso
Internazionale Clara Haskil in Svizzera e
due
anni dopo in Russia ottenne il secondo
premio al Concorso
Čajkovskij. Ieri sera in Sala Verdi, ai
concerti organizzati da Serate Musicali,
l'abbiamo ascoltato in un
recital pianistico per
un impaginato dedicato interamente a Wolfgang
Amadeus Mozart. Quattro Sonate che il poco più
che ventenne genio salisburghese compose tra il
1777 e il 1778, durante i suoi viaggi europei.
Sono state eseguite in questo ordine la
Sonata n.7 in do maggiore K 309, la
Sonata n.8 in la minore K310, la Sonata
n.13 in si bem.maggiore K 333 e la Sonata
n.9 in re maggiore K311. Interpretazioni di
alto livello quelle di Fujita, che certamente in
Mozart trova un'affinita musicale sorprendente
per perfezione tecnica,
ricchezza di colori e di
contrasti dinamici, mediati da una gestualità
naturale consapevole di quello che produce. La
personalizzazione delle Sonate, con frangenti in
molti movimenti di eccellenza, ha trovato anche
spontanei abbellimenti particolarmente centrati
che hanno reso ancor più varia l'esecuzione.
Pubblico entusiasta e ottimo il bis concesso, l'Allegro
della Sonata n.16 K545 , quella in
apparenza più facile, ma che, come accade nella
musica tecnicamente più semplice, quella che deve
essere maggiormente interpretata con
espressività, cosa non difficile per un pianista
autenticamente mozartiano come Fujita.( Foto in alto di Alberto Panzani-Ufficio stampa Serate Musicali)
28 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
Antonio Alessandri
e le
Variazioni Goldberg di Bach per Musica
Maestri in Conservatorio
Per Musica Maestri!, la
rassegna organizzata nella Sala Puccini del
Conservatorio milanese, abbiamo ascoltato il
vincitore del Premio del Conservatorio 2022
per la categoria Giovani talenti , il
pianista Antonio Alessandri. A diciassette anni
appena compiuti, il giovanissimo interprete ha
voluto portare un brano fondamentale
della
letteratura barocca -prima clavicembalistica,
poi pianistica - di J.S.Bach. Le Variazioni
Goldberg BWV 988, rese celebri da Glenn
Gould dalle sue due storiche incisioni
discografiche, sono oggi un punto d'arrivo di
moltissimi pianisti affermati. Per Alessandri,
certamente prodigioso nel la sua attuale
progressione interpretativa, le Goldberg
vorrebbero essere un punto di partenza, cosa
probabilmente eccessiva per via della giovane
età dell'interprete. In realtà, se dimentichiamo
le interpretazioni entrate nella storia di
questo capolavoro arhitettonico-musicale,
dobbiamo ammettere di aver trovato la
restituzione di Alessandri complessivamente di
ottima fattura, con frangenti di elevata qualità.
Eseguita tutta a memoria, per una scelta
esecutiva piuttosto dilatata in alcuni tempi -ottanta
minuti la durata complessiva- l'esecuzione del
giovanissimo pianista ha trovato solo pochi
attimi di lievi incertezze, ma la fluidità
discorsiva, specie nelle variazioni più
virtuosistiche, è stata all'altezza della
situazione. Una scelta coraggiosa quella del giovane pianista milanese, che ha dato i suoi frutti. Gli
applausi sostenuti dal numeroso pubblico
intervenuto ne sono la dimostrazione tangibile.
Bravissimo!
26 marzo 2023 Cesare Guzzardella
AL VIOTTIFESTIVAL DI VERCELLI
IL VIOLINISTA MARC BOUCHKOV
A un mese esatto dal recital
di Kerson Leong, il Teatro Civico di Vercelli ha
visto protagonista del concerto del Viotti
Festival di ieri sera, sabato 25/03, un altro
giovane talento del violino, il belga, ma di
chiare origini russo-ucraine, Marc Bouchkov. C’è
da sospettare che abbia ragione l’autore della
presentazione del programma, quando scrive che
stiamo vivendo una ‘età dell’oro dei solisti’:
limitando tale affermazione ai violinisti,
quanto abbiamo ascoltato negli ultimi tempi a
Vercelli parrebbe confermarla pienamente. Il
programma della serata ha visto Bouchkov nella
duplice veste di solista e di direttore
d’orchestra della Camerata Ducale, come
Konzertmeister; dunque, niente podio e niente
bacchetta: il suo posto, nei brani sinfonici,
era quello del primo violino. La disposizione
degli orchestrali, solo archi per tutte e tre le
composizioni in programma, piuttosto singolare,
vedeva in piedi i violinisti e i violisti (oltre,
ovviamente, ai contrabbassisti, dietro i
violoncelli): dal posto di platea da noi
occupato veniva dal palcoscenico la strana
impressione ottica di un confuso assembramento
di violini e viole, separati dai violoncelli
compostamente seduti. Non sapremmo dire se si
tratti di
una
del tutto errata sensazione del nostro udito o
di una effettiva realtà acustica, ma ci è parso
che, questa disposizione degli archi producesse
un volume sonoro più massiccio del solito, da
orchestra sinfonica, più che cameristica. Il
programma della serata si apriva con la Sinfonia
per archi n.2 in Re maggiore MWV N2 di
Mendelssohn, una delle dodici sinfonie, quasi
tutte, salvo eccezioni, per soli archi, e quasi
tutte in tre tempi, che un Mendelssohn ancor
fanciullo venne componendo tra il 1821 e il
1823. La n.2 presenta il carattere che è comune
alle altre undici sinfonie, e, più in generale,
a tutta la musica di Mendelssohn: una limpidezza
ed eleganza assolute, cui aderisce perfettamente
l’esecuzione della Camerata Ducale, con la
scelta dei tempi, la cura dei dettagli e la
gestione delle dinamiche, particolarmente
efficaci in momenti come il breve sviluppo
dell’Allegro iniziale, dall’andamento nervoso,
fatto di brevi incisi motivici spezzati o come
l’ispirazione meditativa dell’Andante centrale.
Lo stile interpretativo che Guido Rimonda ha
plasmato negli anni con la “sua” orchestra,
fatto di lucida eleganza e squisita finezza di
sapore cameristico, trova in brani come questo
il suo terreno d’elezione e Bouchkov non ha
fatto che assecondarlo, affidandosi ad una
compagine che ormai certe partiture potrebbe
anche suonarle senza direttore. In generale
l’interpretazione di questo gioiellino giovanile
di Mendelssohn si è caratterizzata per la
leggerezza aerea delle linee contrappuntistiche,
soprattutto nell’Allegro finale, ove essa fa da
sfondo al ritmo incalzante che percorre tutto il
movimento. A seguire, una composizione
appartenente allo stesso periodo fanciullesco
dell’opera di Mendelssohn, il Concerto per
violino e archi in re minore MWV O3, scritto nel
1822. Si tratta di un concerto caduto per lungo
tempo nel quasi completo oblio, da cui lo trasse
solo alla metà del secolo scorso il grande
violinista Yehudi Menuhin, che lo inserì
stabilmente nel proprio repertorio. Non si può
dire oggi, tuttavia, che si tratti di un
concerto di frequente esecuzione,
inevitabilmente sovrastato da quel capolavoro
assoluto che è il concerto in Mi minore.
Tuttavia si tratta pur sempre di un’opera che,
al di là delle riconoscibili influenze di
modelli cui non poteva non guardare un enfant
prodige del tempo, da Viotti a R. Kreutzer, è
già piena manifestazione del talento di
Mendelssohn. Bene ha fatto dunque Bouchkov a
proporre questo pezzo, che tra l’altro presenta
il pregio di non caratterizzarsi per un
eccessivo virtuosismo, mantenendo i passaggi di
agilità in perfetto equilibrio con le esigenze
espressive, quasi a voler (apprezzabilmente, da
parte nostra) evitare il ‘concerto-spettacolo’
per una prova più orientata sui valori
interpretativi dell’esecuzione. Fin dall’Allegro
d’apertura emergono alcune delle qualità più
spiccate dello stile di Bouchkov: anzitutto il
giovane solista belga sa far ‘cantare’ come
pochi le quattro corde: il suo è un canto di
purezza cristallina e di leggerezza incantevole,
perfettamente adeguata a dare voce a quella
insopprimibile componente ‘mozartiana’ che è di
tutta l’arte di Mendelssohn, e in questa opera
persino troppo evidente nella coda
dell’esposizione. Un canto, quello del violino
di Bouchkov, che sa farsi dolce e struggente, di
una intensità quasi avvolgente, come nelle
battute conclusive del movimento e nel mutevole
trascolorare dei temi dell’Andante centrale. Ma
questa cristallina purezza e morbidezza di suono
è poi accompagnata da una vigorosa energia, che
spicca in particolare nell’Allegro finale, dai
ritmi incalzanti e funambolici. Il tutto, quasi
inutile precisarlo, sostenuto da una tecnica
solidissima, che emerge in particolare nei
momenti virtuosistici del brano, soprattutto in
alcuni episodi del primo tempo, con le loro
cascate spumeggianti di arpeggi, brevi scale
ascendenti e discendenti etc. etc.. Ma quello
che l’ascoltatore ricorderà di Bouchkov, almeno
per quel che riguarda questo concerto, non è il
virtuoso, ma il grande solista, capace di donare
ad un pezzo forse troppo misconosciuto,
un’espressività coinvolgente sino all’emozione.
L’ottima intesa tra il solista/direttore e la
Camerata ducale ha permesso quella cura precisa
del dettaglio timbrico e delle dinamiche, che è
stato un altro merito di questa bellissima
esecuzione del concerto giovanile di
Mendelssohn.. Quel virtuosismo limitato nel
pezzo in programma, si è preso poi la sua
rivincita nel bis concesso da Bouchkov, una
composizione di Ysaye, ci è sembrato di capire,
ma potremmo aver inteso male, la Danse rustique
( che sarebbe poi un tempo della Sonata n.5 in
Sol maggiore): un continuo sciorinare delle più
ardue figurazioni violinistiche: l’ascoltatore
ne resta ammirato, ma francamente non è una
musica che ci scalda il cuore…A chiudere la
serata la Serenata per archi in Mi maggiore
op.22 di Dvorak.. La Serenata in cinque
movimenti di Dvorak, ove il termine ‘Serenata’
va inteso nel significato già
settecentesco-mozartiano di ‘composizione
orchestrale libera, meno vincolata agli schemi
della sinfonia’, unisce armoniosa eleganza della
scrittura, ispirata a momenti di abbandonato
lirismo, e una più robusta vena melodica
ispirata al folklore boemo. Un brano che impone
all’orchestra e a chi la dirige una attenzione
particolare ai dettagli timbrici delle diverse
sezioni degli archi, nonché ai giochi
chiaroscurali delle dinamiche; aspetti entrambi
curati con eccellenti risultati dalla Camerata
ducale, specialmente in quelli che, almeno a
nostro avviso, sono i due tempi più belli della
Serenata: l’iniziale Moderato, di cui
l’interpretazione ascoltata ieri sera aderisce
con precisione di colori e di tempi
all’andamento musicale, impostato su un
intreccio a imitazioni, nel vario gioco
espressivo, tra primi e secondi violini e
violoncelli, che sostiene la mirabile idea
lirica della prima sezione; e l’affascinante
quarto movimento, un Larghetto, in cui tutte le
linee degli archi vengono chiamate a cantare con
una sensibilità poetica di trascinante
suggestione. Neppure lo sfortunato incidente di
uno strombazzante falso allarme antincendio,
messosi a suonare all’improvviso per qualche
minuto, ha interrotto l’incanto di questa musica.
Un’ altra serata di ottima musica, donata al
pubblico, come sempre accorso numeroso, dalla
Camerata Ducale e dal suo ormai irrinunciabile
ViottiFestival.
26 marzo 2023 Bruno Busca
Le nuove "Prove
aperte della
Filarmonica" al Teatro alla Scala
È iniziata al Teatro alla
Scala la dodicesima edizione della rassegna "Prove
aperte della Filarmonica", una serie di
concerti sinfonici che precedono il concerto
della Stagione ufficiale. Il concerto di ieri
mattina ha visto come protagonista la pianista
portoghese Maria Jõsao Pires e il direttore
milanese Gianfranco Noseda per brani di Mozart,
Rachmaninov e Stravinskij. Ricordiamo che gli
sponsor di
quest'anno
oltre che lo stesso Teatro alla Scala e il
Comune di Milano, sono anche Unicredit ed
Esselunga . Anche i prezzi calmierati dei
biglietti permetteranno di finanziare il
progetto “La Scuola della Seconda Opportunità
- Sicomoro I CARE”, un percorso scolastico
rivolto a ragazzi e ragazze tra i 14 e i 16 anni
iscritti alle scuole secondarie di primo grado e
non frequentanti o a rischio di abbandono. Ieri
abbiamo assistito prima al celebre Concerto
per pianoforte n. 9 in mi bemolle maggiore "Jeunehomme"
K 271 di Mozart, quindi a L’oiseau de feu
(suite dal balletto op. 20, 1942) di
Stravinskij e a conclusione alla Fantasia per
orchestra op. 7 " La Roccia" di Rachmaninov.
Sono tutti lavori giovanili di compositori
prodigiosi che sono stati proposti interamente
dalla Filarmonica di fronte ad un pubblico che
riempiva il Teatro. Il brano d'inizio mozartiano,
"Jeunehomme" ha visto la pianista Maria Jõsao
Pires, una delle massime interpreti del
prodigioso
musicista salisburghese, coadivata dalla precisa
direzione di Noseda. Nel successivo lavoro
stravinskijano, Noseda ha rivelato ancora una
voltà le sue eccellenti qualità direttoriali nei
repertori più vicini ai nostri giorni e la
restituzione, pur in prova generale, è stata
pressochè perfetta. Il brano che in programma
era centrale, è stato invece eseguito al termina
della mattinata e ci ha permesso di conoscere le
qualità di un Rachmaninov
ventenne,
già con doti d'orchestrazione di splendida
fattura. Ancora ottima la resa espressiva nei
gesti essenziali e precisi di Noseda e nella
restituzione dei bravissimi Filarmonici. Un
successo evidente, per un'iniziativa culturale
meritevole, che ha portato anche molti giovani
per la prima volta alla Scala. Chi volesse
sostenere l'Associazione Sicomoro è pregato di
entrare nel link:
https://www.fondazionesicomoro.it/come-sostenerci.html.
Si ricorda che il
concerto ufficiale sarà domani, lunedì 27 marzo.
Da non perdere.
26 marzo 2023
Cesare Guzzardella
Giuseppe Grazioli
dirige la
Sinfonica di Milano nella "Vienna
Sinfonica"
Particolare il concerto
ascoltato ieri sera in Auditorium con
l'Orchestra Sinfonica di Milano diretta da
Giuseppe Grazioli. Quattro compositori in
programma quali Korngold, Suppé, Lehár e
J.Strauss hanno permesso una netta suddivisione
di emozioni tra la prima e la
seconda
parte della serata. La corposa Sinfonia in fa
diesis maggiore op.40 (1949-1952) di Erich
Wolgang Korngold è un'assoluta rarità esecutiva.
Il precoce compositore, nato in Moravia, vissuto
a Vienna e naturalizzato negli Stati Uniti,
conquistò una significativa notorietà
internazionale grazie alle numerose colonne
sonore che gli permisero importanti premi e ad
alcuni lavori sinfonici come il delizioso
Concerto per violino. Alcune opere vengono
spesso eseguite, altre, come questa sinfonia,
anche per la sua poca immediatezza, non trovano
grande interesse nelle sale da concerto. In
realtà l'interessante lavoro è di ottima fattura
e meriterebbe
maggiore
diffusione. L'Op.40 ha un linguaggio
decisamente personale, definito da una splendida
orchestrazione, elogiata in passato anche da
Gustav Mahler. Grazioli ne ha elargita un'
ottima interpretazione, minuziosa e attenta ai
dettagli, e la restituzione orchestrale ha
trovato la giusta sintesi discorsiva
nell'impegnativo lavoro -suggestivo e ricco di
tensioni emotive- che si sviluppa nei classici
quattro movimenti. Il clima musicale ha visto un
deciso cambiamento dopo l'intervallo, con lo
spirito più leggero legato al mondo dei valzer
viennesi.
La
Straussiana (1953) di Korngolg trova un
deciso riferimento con il mondo dei tre
quarti , così come l'Ouverture da Il
poeta e il contadino (1846) di Franz von
Suppé, l'Ouverture da La Vedova allegra
(1905) di Franz Lehár e l'Ouverture da Il
Pipistrello (1874) di Johann Strauss. Sono
tutti lavori che legano tra di loro arie spesso
celebri in una sintesi musicale che è piaciuta
molto ai presenti in sala. Un mondo musicale di
grande leggerezza ma anche di raffinate sonorità,
ben colte e restituite con passione da Giuseppe
Grazioli. Applausi dal numeroso pubblico
presente in Auditorium. Domenica, alle ore
16.00, si replica. Da non perdere.
25 marzo 2023 Cesare Guzzardella
Julian Rachlin violinista
e direttore per I Pomeriggi Musicali
Da alcuni anni il violinista
lituano Julian Rachlin è alla ribalta
internazionale per le sue qualità d'interprete.
Negli ultimi anni si è anche affermato come
direttore d'orchestra. L'impaginato scelto per
l'Orchestra
de I Pomeriggi Musicali prevedeva due
lavori celebri quali il Concerto per violino
e orchestra n.2 in mi minore op.64 di
Mendelssohn e la Sinfonia n.7 in la maggiore
op.92 di Beethoven. Il ruolo di violinista e
direttore nel primo brano ha rivelato
soprattutto le qualità solistiche del virtuoso,
che ricordiamo si è formato a Vienna, città dove
vive da molti anni. La melodicità del concerto,
nei classici tre movimenti legati tra loro senza
soluzione di continuità, ha nel violino il polo
dominante d'attenzione, pur essendo il concerto
- composto da Mendelssohn nel 1844- dotato di
un'orchestrazione particolarmente pregnante con
valenza certamente sinfonica. L'ottima
interpretazione
ascoltata
ha evidenziato un solista raffinato ed elegante,
non voluminoso, ma con coerenti modi di
controllare il timbro ricco dello strumento, con
dinamiche varie e precise in ogni dettaglio.
Ottima l'integrazione con tutte le sezioni
orchestrali per una miscelazione timbrica di
eccellente resa. Applausi fragorosi dal pubblico
presente al Dal Verme e un ottimo bis -malgrado
l'improvvisa disturbante forte tosse di una
spettatrice- con la nota Sarabanda dalla
Partita n.2 in re minore di Bach eseguita
in modo interiorizzato e luminoso.
Dopo
il breve intervallo, Rachlin si è dimostrato un
ottimo direttore d'orchestra nell'estroversa
Settima Sinfonia beethoveniana, composizione
che ebbe la prima esecuzione nel dicembre 1813.
Il clima musicale, completamente in contrasto
con la raffinata leggerezza del concerto
mendelssohniano, ha mostrato una direzione
intensamente partecipe, dove Rachlin, con
gestualità risoluta, ha messo in risalto le
timbriche anche fragorose dei movimenti più
estroversi. Pregnante di espressività il geniale
celebre Allegretto, movimento di una
bellezza scultorea ben calibrata da Rachlin per
l'ottima restituzione dell'Orchestra de I
Pomeriggi. Calorosi applausi dal pubblico
con ripetute uscite del violinista-direttore in
palcoscenico. Sabato alle ore 17.00 la replica.
Da non perdere!
24-03-23 Cesare Guzzardella
Mariangela Vacatello
e il
Quartetto Prometeo per la "Società dei
Concerti"
Il programma previsto per il
concerto di ieri sera, per l'organizzazione
della Società dei Concerti, ha dovuto
subire un improvviso cambiamento per
l'indisposizione del secondo violino del
Quartetto Prometeo, il violinista Aldo
Campagnari, sostituito con poco
preavviso
da Daniele Orlando. È rimasto nell'impaginato il
Quintetto in la maggiore op.81 di Dvo řák,
mentre come primo lavoro il più celebre
Quintetto in mi bem. maggiore op.44 di
Schumann ha sostituito il meno eseguito
Quartetto in re minore di Wolf. Un programma
certamente interessantissimo, con due lavori
importanti che hanno trovato al pianoforte la
nota pianista campana Mariangela Vacatello. É
ovvio citare anche gli altri tre membri del
Prometeo: il violinista Giulio Rovighi, la
violista Danusha Easkiewicz e il violoncellista
Francesco Dillon i quali hanno trovato in
Daniele Orlando un violinista di ottima resa
interpretativa
e
perfettamente inserito. Il Quartetto Prometeo,
noto anche nel repertorio contemporaneo di cui
sono assidui frequentatori, ha trovato una
splendida sinergia con Mariangela Vacatello per
due interpretazioni di eccellente qualità
complessiva. La fluida discorsività, rilevata in
entrambi i lavori, era intrisa di una leggerezza
d'insieme evidente, pur nell'evidenzazione dei
sottoli contrasti dinamici. Gli andamenti,
spesso rapidi, hanno trovato una chiarezza
espressiva di alto livello. I due capolavori
cameristici sono stati riletti da una modernità
interpretativa che li rende nuovi nella loro
bellezza. Applausi fragorosi dal pubblico
presente nella Sala Verdi del Conservatorio
milanese e come bis è stato riproposto lo
splendido Scherzo-Furiant Molto Vivace
del Quintetto di Dvořák.
Splendida serata.
23-03-23 Cesare Guzzardella
Il Festival 5 Giornate
al Museo del
Novecento
Il valido concerto
organizzato ieri pomeriggio al Museo del
Novecento era inserito nel contesto del
"Festival 5 giornate" che si sta svolgendo
in questi giorni a Milano. Concerti, incontri e
dibattiti
dedicati
alla musica nuova avvengono in varie parti della
città. Nella Sala Fontana del Museo di Piazza
Duomo, la pianista e compositrice Rossella
Spinosa e il soprano Ilaria Torciani, esponenti
del New Made Ensemble, hanno eseguito due
brani: il primo era un omaggio ad Azio Corghi,
musicista recentemente scomparso, con Le
Viòire per soprano e pianoforte, quindi di
Sylvano Bussotti il duo ha proposto Un poema
del Tasso. Entrambe ottime le
interpretazioni, con una valida resa coloristica
della voce femminile in entrambi i lavori.
Quindi è stata la volta del pluri-sassofonista
Mario Marzi in un programma nel quale ha
rivelato ancora una volta le sue notevoli
qualità virtuosistiche alternando i sassofoni
soprano, tenore e baritono. Partendo da Luis de
Pablo-Bach con Solo kunste fugue , si è
passati all'interessante Piangere la pietra
costruito sulla lettura di un testo di
Edoardo Sanguineti (lettura registrata con voce
del poeta) "Laborintus n.14" e musica per
sax baritono di Fernando Mencherini. Una
progressione ritmica di note varie e pregnanti
ha sottolineato l'originale ermetico testo. A
seguire abbiamo ascoltato un lavoro per
sassofono soprano composto da Rossella Spinosa e
dedicato a Mario Marzi, in Prima esecuzione
assoluta, denominato Novità. È un brano
di ampio respiro con cambiamenti melodici e
ritmici eseguiti in modo scorrevole ed
espressivo. Il successivo cupo, melodioso,
pregnante, Notturno è una composizione
giovanile del noto compositore Luca Francesconi
di ottima qualità. Quindi l'interessantissimo
brano di Marzi-Notaro, Fratelli d'Italia,
costruito sull'Inno di Mameli, ci ha rivelato i
potenziali espressivi e tecnici del sassofono
tenore mediati da un virtuosismo superlativo
dell'interprete. Un brano che vuole essere una
denuncia alle incoerenze esistenti nel nostro
Paese rese benissimo dalle sonorità, anche
stridenti, del voluminoso strumento. A
conclusione un'ottima profusione ritmica ricca
di accenti con Maceo di Ned Rothenberg,
ha concluso l'ottimo pomeriggio. Applausi
sostenuti nella Sala al completo.
22 marzo 2023 Cesare Guzzardella
Piotr Anderszewski
alle Serate
Musicali
Torna tutti gli anni il
pianista polacco Piotr Anderszewski ai concerti
organizzati da Serate Musicali. La scelta
dell'impaginato è sempre diversificata con
autori che vanno dal barocco al '900 storico.
Anche ieri sera, in Sala Verdi nel Conservatorio
milanese, Piotr
Anderszewski
ha voluto inquadrare il programma in un periodo
compreso tra il '700 e il 1950. Iniziando con la
Partita n.6 in mi minore BVW 830 (1730)
di J.S.Bach (1685-1750) interpretata con
equilibrio e coerenza con uno stile personale
ben interiorizzato, è passato poi al suo
connazionale Karol Szymanowski (1882-1937)
interpretando cinque Mazurche (n.ri
3-7-8-5-4) dall'Op.50. Sono brani tonali
particolarmente profondi concepiti alla fine
degli anni '20 che partendo dal folclore polacco,
vicino a quello ceco e ungherese, ritrovano un
linguaggio personale definito da toni poetici
cupi che l'interprete ha ben rimarcato nella
valida restituzione. Il brano più recente, del
1936-37, le Variazioni op.27 di Anton
Webern(1883-1945) usano una seria dodecafonica
che stravolge completamente il linguaggio tonale
e pone l'attenzione su altri parametri.
Anderszewski ha interpretato in modo eccellente
le
Tre
variazioniche formano l' Op.27, utilizzando una
gamma infinita di colori, con sostenuti sottili
cambiamenti dinamici e mettendo in evidenza
anche le note più isolate. Senza soluzione di
continuità ha poi legato l'Op.27 all'ultimo
brano in programma, la Sonata n.31 in la
bem.maggiore op.110 (1821-22) di L.v.
Beethoven (1770-1827). L'ottima interpretazione
complessiva della celebre sonata, nel personale
corretto equilibrio, ha trovato la miglior resa
nella parte più bachiana del lavoro la
Fuga.Allegro, ma non troppo conclusivo, nel
quale è emersa un'energia espressiva
particolarmente intensa. Applausi sostenuti dai
presenti e tre bis concessi: un efficace Bartòk
con il Folk Song Ungherese n.3, il
Preludio BWV 881 dal primo libro del
Clavicembalo ben temperato di Bach e la
Bagatella n.1 op.126 di Beethoven. Applausi
fragorosi dal pubblico presente in Sala Verdi.
21 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
Anna Netrebko
e Elena Bashkirova al
Teatro alla Scala per Rimskij-Korsakov,
Rachmaninov e
Čajkovskij
Il ritorno di Anna Netrebko
al Teatro alla Scala è
stato accolto con entusiasmo da una sala al
completo. Ad armonizzare le splendide melodie
dell'impaginato scelto - tutto russo-
l'eccellente pianista moscovita Elena Bashkirova
ha sottolineato mirabilmente il canto del
celebre
soprano lirico, per un' integrazione musicale di
rara bellezza e raffinatezza. Il programma,
molto corposo, prevedeva brani di Rimskij-Korsakov,
Rachmaninov e
Čajkovskij.
Del primo russo sono state selezionate dodici
liriche indicative della musica di Rimskij, tra
cui Chi nel silenzio della notte, brano
introduttivo, l'Inno al sole dal Gallo
d'oro e, a conclusione, Sogno di una
notte d'estate. La Netrebko oltre che ad
interpretare con timbrica ricca di colori le
melodie del primo russo, molte di esse di raro
ascolto, ha voluto esternarle con gestualità
attoriale particolarmente marcata, muovendosi
per il palco in ogni sua parte e dimostrando una
padronanza e sicurezza espressiva
che
ha pochi uguali. Anche le pagine dedicate a
Rachmaninov con sette brani, tra cui la nota
Oh non piangere, Paolo mio e le numerose
romanze da camera di
Čajkovskij,
ben otto, con la conclusiva Den’ li tsarit -Che
sia di giorno - hanno messo in rilievo le
integre qualità vocali
della cinquantaduenne cantante. Il suo personale
modo interpretativo, con i suoi evidenti modi
teatrali, sostenuti dalla sua trentennale
esperienza nei maggiori teatri del mondi, ha
conquistato il pubblico scaligero che con
immenso entusiasmo ha elargito applausi
interminabili. La Netrebko e l'eccellente
Bashkirova visibilmente soddisfatte, hanno
concesso due ottimi bis: il primo di Sergej
Rachmaninov da Francesca da Rimini e
quindi di Franz Lehár "Mein Lippen" da
Giuditta. Memorabile.
20 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
Lucas & Arthur
Jussen al Teatro Gerolamo
Oggi, prima della replica del
concerto in Auditorium , i fratelli Jussen hanno
intrattenuto il pubblico del Teatro Gerolamo per
una mattinata musicale di eccellente qualità.
Insieme a loro anche alcuni
strumentisti
della Sinfonica di Milano quali Luca Santaniello
al violino e Giovanni Marziliano al violoncelli,
insieme a Sandro Ceccarelli al corno e al serbo
Nemanja Stankovi ć
al violoncello, sono intervenuti in alcuni brani.
Lucas & Arthur Jussen hanno ancora una volta
rivelato le loro formidabili qualità
pianistiche nella Sonata per due pianoforti
in Re maggiore K448 di W. A. Mozart e nell'
Andante e Allegro brillante per pianoforte a
quattro mani op.92 di Felix Mendelssohn.
Esecuzioni di estrema sintesi e precisione
formale definite da una espressività
di
primo livello con una sincronia d'intervento
formidabile. Di ottima qualità anche il
Notturno dal Trio per pianoforte D897
di Franz Schubert eseguito con Lucas Jussen al
pianoforte, Luca Santaniello al violino e
Nemanja Stanković
al violoncello e anche l'Andante e variazioni
e op.46 di Robert Schumann con la originale
e particolare formazione che vedeva i fratelli
Jussen ai pianoforti, i violoncelli di Stanković
e di Marziliano e il corno di Stefano Ceccarelli.
Una rarità esecutiva
quella di Schumann che ha la parte pianistica
dei Jussen sempre in primo piano nell'alternanza
delle
rispettive
variazioni con il sostegno dei violoncelli e del
sonoro corno nel rinforzo melodico in alcune di
esse. Applausi sostenuti al termine del
programma ufficiale e uno straordinario bis per
due pianoforti con un pot-pourri di
Strauss-Roma di brani novecenteschi. Pubblico
entusiasta.
19 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
Alfonso Alberti e
Dado Moroni in
confronto all'Atelier
Musicale all'Auditorio
G.Di Vittorio della Camera
del Lavoro
Si è conclusa la XXVIII°
Stagione di "Atelier Musicale" con un concerto
particolarmente riuscito tenuto all'Auditorium
"G. Di Vittorio", in Porta Vittoria, denominato
"IL Pianoforte tra il Novecento europeo e il
Jazz americano" . Due specialisti dei
rispettivi
settori quali Alfonso Alberti e Dado Moroni si
sono alternati nell'intenso programma proposto,
mostrando ai numerosissimi intervenuti due
diverse angolazioni musicali
dell'interpretazione pianistica del Novecento.
Come sottolineato da Maurizio Franco, che ha
introdotto il concerto, la musica colta
contemporanea ha come elementi imprescindibili -
quasi sempre- le partiture e l'aderenza al testo
scritto, mentre nel jazz la parte più
preponderante è l'elemento improvvisatorio che
di volta in volta cambia e modifica il brano. I
compositori scelti dai due ottimi interpreti
sono stati Debussy, Stravinskij, Schönberg,
Stockhausen,
Ligeti,
Sugiyama per Alfonsi Alberti e Waller,
Ellington, Strayhorn, Monk, Powell, Evans e
McCoy Tyner per Dado Moroni. Alberti, dopo il
brano introduttivo ricco d'atmosfera con La
cathedrale engloutie di Debussy, ha scelto
brani spesso vicini alle ritmiche e alle
percussive sonorità del jazz come Cirkus
Polka di Stravinskij o Allegro Barbaro
di Bartók, arrivando poi ai nuovi linguaggi
di Schönberg con l'Op.19, di Stokhausen
con il Klavierstüke VIII, a Ligetì con
L'escalier du diable o il Canone. Al
termine del suo percorso ha interpretato
l'interessante e recente brano di Y. Sugiyama,
presente in sala, con il suo Intermezzo VI.
Un lavoro quest'ultimo particolarmente valido.
Dado
Moroni nella sua carellata di compositori Jazz,
tutti anche importanti storici pianisti, ha
proposto alcuni brani nel quale la componente
improvvisatoria ha rimarcato il suo raffinato
stile interpretativo, noto internazionalmente,
ricco di creatività. Tutti validi i brani
eseguiti da Moroni, estrapolando nei brani
finale temi ben personalizzati da Monk, Bil
Evans e il conclusivo McCoy Tyner. Un tardo
pomeriggio molto interessante per il raffronto
tra modi interpretativi diversi ma di ottima
qualità. Applausi calorosi in una sala al
completo e come bis breve improvvisazione a
quattro mani dei due pianisti.
Cesare Guzzardella
19 marzo 2023
Lucas & Arthur Jussen
in un brano di Fazil
Say in Auditorium
Sono tornati in Auditorium i
fratelli olandesi Lucas & Arthur Jussen per
eseguire un recente brano dal musicista e
pianista turco Fazil Say. Say, nato ad Ankara
nel 1970, è un compositore e interprete assai
noto che da anni viene a Milano per interpretare
brani classici e i suoi
lavori.
Nel 2020 ha scritto Anka Ku şu
(la Fenice)
per pianoforte a quattro mani e orchestra.
È dedicato ai fratelli
Jussen, pianisti di talento sia nelle esecuzioni
classiche che in brani contemporanei, spesso
scritti appositamente per loro. L'Orchestra
Sinfonica di Milano era diretta dall'italiano
Vincenzo Milletarì, impegnato successivamente
nella celebre Sinfonia n.9 in mi minore op.95
"Dal nuovo mondo" di Antonin Dvorak. Il
brano introduttivo di Say, dalla durata di
sedici minuti, è nel tipico linguaggio del
compositore. È una scrittura che unisce gli
stilemi culturali occidentali a quelli orientali,
in una sintesi discorsiva originale e personale.
Anka Kuşu
op.97
è un lavoro di grande
effetto, anche per l'impatto volumetrico
espresso sia dal pianoforte a quattro mani che
dalla sostenuta
componente
orchestrale. I due giovani interpreti hanno
restituito con viscerale energia un lavoro
giocato su una ritmica irregolare e su una
percussività che utilizza il pianoforte in modo
completo. Entrambi i pianisti spesso pizzicano o
percuotono le corde nella
cassa armonica, secondo una procedura tipica di
molti brani di Say. Alcuni elementi melodici,
dal timbro orientale, specie nelle battute
intoduttive, si alternano ad operazioni
percussive, anche operate dagli archi oltre che
dalle percussioni, in un brano che in alcuni
frangenti può ricordare il Sacre
stravinskijano. L'originalità della composizione,
ricca di tensione, ha trovato un'eccellente
restituzione da parte dai solisti e degli
orchestrali ottimamente diretti da Milletarì e
il numeroso pubblico presente alla replica di
ieri sera ha appludito con convinzione gli
interpreti.
I
due fratelli hanno poi concesso due eccellenti
bis: prima lo straordinario brano della
compositrice polacca Hanna Kulenty (1961)
denominato VAN, e poi Le Jardin
féerique da Ma mère l'oye di Maurice
Ravel nella sua splendida trascrizione a quattro
mani. Dopo il breve intervallo siamo passati da
ponte Oriente-Occidente di Say a quello
dell'Occidente europeo con gli Stati Uniti della
celebre Nona Sinfonia "Dal nuovo mondo"
(1893) di Dvorak. Milletarì ha proposto
un'interpretazione ricca di energia, di grande
effetto soprattutto nei movimenti laterali,
Allegro e Allegro con fuoco. Applausi
fragorosi dal pubblico. Domani, alle ore 16.00,
l'ultima replica. Da non perdere.
18 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
Una rassegna
di successo: "Il
Pianoforte in Ateneo" dell'Università Cattolica
inizia con la pianista Leonora Armellini
Grande successo
all'inaugurazione della rassegna musicale "Il
Pianoforte in Ateneo". Nella prestigiosa
Aula Magna dell'Università Cattolica di Milano
anche quest'anno è iniziata la serie d'incontri
pianistici organizzati da Davide Cabassi,
concertista e docente di
pianoforte
al Conservatorio milanese e dal prof. Enrico
Reggiani, Ordinario alla Cattolica, con la
collaborazione di Kawai Italia, la nota
casa produttrice di pianoforti che ha messo a
disposizione per le occasioni un eccellente
Shigeru Kawai. Sei i concerti in programma,
tutti preceduti da una serie d'incontri a cura
dello Studium Musicale d'Ateneo dell'università,
tenuti dallo stesso Reggiani. Ospite della prima
serata la bravissima Leonora Armellini, nel 2021
premiata al prestigioso "Concorso Internazionale
Chopin di Varsavia" con una meritata quinta
posizione. L'impaginato scelto
prevedeva musiche
di Bach, di Prokof'ev e di Chopin. I brani,
nell'inconsueto ma corretto ordine scelto dalla
pianista, sono stati preceduti da un intervento
di Cabassi e di Reggiani e quindi da un'ottima
introduzione all'ascolto da parte dello stesso
Reggiani che ha messo in rilievo efficacemente
alcune peculiarità dei brani in programna: la
Fantasia cromatica e Fuga di J.S.Bach, la
Sonata n.2 op.14 di S. Prokof'ev e la
Sonata n.3 op.58 di F.Chopin. La Armellini
ha quindi eseguito con incredibile disinvoltura
i tre virtuosistici lavori dimostrando qualità
di primo livello in tutte le differenti
interpretazioni. Partendo dalla creativa e
improvvisatoria Fantasia cromatica (1720)
bachiana, con il suo architettonico sviluppo
nella relativa Fuga, l'interprete è
passata alle geometrie della neoclassica,
cubista e moderna Sonata del grande russo. È un
lavoro del 1912 che ha un legame stretto con le
architetture musicali del genio tedesco, per
quel evidente senso costruttivo che unisce i
quattro movimenti rendendo la Sonata unitaria.
La Armellini, con
grinta ed energica gestualità,
ha eseguito e superato con facilità ogni
situazione virtuosustica, dimostrando
un'eccellente attitudine alla musica di
Prokof'ev. La nota Sonata n.3 in si minore
(1844) di Chopin, ultima del genere, ci ha
portato in un clima musicale caro alla trentenne
pianista padovana. L'affinità dell'Armellini con
la musica del genio polacco è assai nota.
L'ottima interpretazione del corposo lavoro ha
avuto poi un seguito con due bis ancora di
Chopin: prima lo Studio n.1 op.25 e poi
probabilmente il più celebre valzer del grande
compositore e pianista: il Grande Valzer
brillante in Re bem.maggiore elargito con
una discorsività e una leggerezza al top.
Applausi fragorosi dal pubblico entusiasta in
un'aula al completo. Il prossimo appuntamento
sarà il 27 aprile, alle ore 20.45, con il
pianista Nicolas Giacomelli, vincitore del
Concorso Shigeru Kawai. Musiche di Schumann e di
Medtner. Da non perdere!
17 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
Un nuovo brano di Filippo
Del
Corno e la Sinfonia "Pastorale" di Beethoven ai
Pomeriggi Musicali
L'anteprima ascoltata in
mattinata al Dal Verme, cui farà seguito il
concerto di questa sera e la replica di sabato
pomeriggio, vedeva il direttore James Feddeck
alla guida dell'Orchestra "I Pomeriggi
Musicali" per una Prima esecuzione assoluta
di un nuovo lavoro orchestrale di Filippo Del
Corno. Dopo l'esperienza impegnativa di
Assessore
alla cultura di
Milano degli scorsi anni, il musicista milanese
è tornato alla sua professione originaria di
compositore producendo un interessante brano
titolato A coda di rondine, una nuova
commissione de I Pomeriggi Musicali. Il brano ha
anticipato la celebre Sinfonia n.6 "Pastorale"
di L.v. Beethoven, un accostamento lecito, viste
le caratteristiche del brano di Del Corno.
Quindici minuti di musica che ha notevoli
riferimenti con lo spazio, gli ambienti aperti
in un dialogo continuo tra le diverse sezioni
orchestrali e i singoli strumenti che
alternativamente entrano in gioco.
L'inizio
del brano, piuttosto cupo, con gli ottoni cui si
oppongono le timbriche più gravi degli archi,
fanno entrare poi in gioco tutta l'orchestra per
un introduzione movimentata, piuttosto fragorosa
e priva di baricentro, pur nel contesto tonale.
L' arrivo di un tema di sole due note ripetute
molte volte ci porta in un sorte di ambiente
timbrico minimale ma ben costruito e di maggiore
distensione. La sovrapposizione di più linee
melodiche dei successivi legni rendono ancora
l'ascolto di piacevole comprensione. Non mancano
poi momenti più concitati nei quali le sezioni
orchestrali
creano
situazioni anche visive dal carattere piuttosto
cinematografico, con tensioni emotive spiccate.
Un brano ricco di idee, dai colori nordici, che
andrebbe chiaramente riascoltato per una
maggiore interiorizzazione , ma che anche dal
primo ascolto offre piacevoli sensazioni.
Applausi ai protagonisti e anche al compositore
salito in palcoscenico. La successiva
Sinfonia "Pastorale" beethoveniana non ha
certo bisogno di presentazioni. Feddeck e gli
orchestrali hanno proposto una valida esecuzione
dei quattro straordinari movimenti che
compongono il celebre lavoro. Ottime tutte le
sezioni dell'orchestra e bravi i solisti nei
celebri riconoscibili interventi. Ancora
applausi convinti dal numeroso pubblico
intervenuto.
16 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
Paul Lewis in
Conservatorio per la
Società dei Concerti
Da anni il pianista
inglese Paul Lewis si dedica ai classici, con
una prevalente attenzione per le composizioni di
Beethoven e Schubert. Ieri sera, nella valida
serata organizzata dalla
Società dei Concerti
milanese, ha proposto tre
sonate del viennese
Franz
Schubert (1797-1828) e precisamente, in ordine
d'esecuzione, la
Sonata n.15 D840,
la Sonata n.13 D664
e la
Sonata n.16 D845.
Mentre la n.15 in
do maggiore rimase
incompiuta, con solo i primi due ampi movimenti
completati, la n.16
in la minore,
composta nello stesso anno 1825, è di ampie
dimensioni e trovò il giusto completamento.
Lewis, classe 1972 di Liverpool, ebbe tra
i
suoi insegnanti anche il grande Alfred Brendel,
dal quale ha ereditato alcune modalità
interpretative oltre che a certa gestualità. Il
suo è certamente uno Schubert di spessore. Tra
le tre sonate eseguite, ci è sembrata di più
pregnante qualità e formalmente perfetta quella
eseguita dopo il breve intervallo, la
D845.
Qui Lewis ha rivelato la migliore concentrazione
per definire al meglio ed in modo eccellente i
quattro movimenti tra cui, a completamento della
grande sonata, il
Rondò.Allegro vivace
espresso in modo mirabile
per discorsività, leggerezza ed equilibrio delle
parti. Applausi fragorosi dal pubblico presente,
purtroppo non numerosissimo, e molto bello il
bis concesso, il
Momento musicale n.6 "Allegretto" D780
donatoci con evidente
meditata espressività.
16 marzo 2023
Cesare Guzzardella
Ancora successo
alla Scala per Bohème
Dal 1963 c'è al Teatro alla
Scala la Bohème per la regia di Zeffirelli e dal
2000 quella con i costumi di Piero Tosi. Nel
centenario dalla nascita di Franco Zeffirelli la
Scala ha voluto tornare sull'opera pucciniana
riproponendo una messinscena celebre, che nella
sua forma tradizionale continua a riempire i
teatri di tutto il mondo. Il
pienone
era annunciato anche alla quarta
rappresentazione vista ieri sera, sempre con
grande interesse. Il successo meritato di queste
rappresentazioni ha visto oltre alla collaudita
regia - ripresa da Marco Gandini- e scenografia
di Zeffirelli, i costumi di Tosi ripresi da Anna
Biagiotti, con luci di Marco Filibeck, un ottimo
cast vocale che ha visto Marina Rebeka in
Mimì. Il soprano si è imposto con un timbro
elegante nella semplicità del personaggio,
ottimo in ogni registro; disinvolto ed efficace
Freddie De Tommaso in Rodolfo, con voce
chiara ed intensamente espressiva. Luca
Micheletti, annunciato con problemi di salute e
di voce , ha comunque assolto bene il ruolo di
Marcello e di valore anche il baritono
Alessio Arduini in Schaunard e il basso
Jongming Park in Colline. Decisamente
all'altezza del ruolo Irina Lungu, una
Musetta brillante e timbricamente incisiva.
La
Lungu dalla prossima recita prenderà il ruolo di
Mimì. Ottimi le altre voci e sempre di grande
rilievo il coro preparato da Alberto Malazzi. Si
rimane perplessi dalla concertazione della
direttrice Eun Sun Kim che ha espresso
volumetrie incisive ma poco calibrate nei
differenti momenti che l'opera impone riducendo
al minimo i lievi e i diversificati contrasti
dinamici. Poco pucciniana la sua resa
complessiva. Nel complesso una serata riuscita
che è stata molto applaudita dal teatro completo.
Le prossime recite sono previste per il 16, 19,
22 e 26 marzo. Questa sera invece la prima delle
sei rappresentazioni d Les Contes D'Hoffmann di
Jacques Offenbach. Da non perdere!
(Foto di Brescia e Amisano dall'Archivio
della Scala)
15 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
ll duo Hakhnazaryan-Tchaidze
alle Serate Musicali del Conservatorio
È un duo di notevoli qualità
quello formato dal violoncellista armeno Narek
Hakhnazaryan e dal pianista russo Georgy
Tchaidze. Erano già venuti ospiti di Serate
Musicali negli anni scorsi. Ieri sera hanno
impaginato un programma importante che prevedeva
l'Adagio e
Allegro
in la bem.maggiore op.70 di Robert Schumann
- nella versione con violoncello- la Sonata
n.1 in mi minore per violoncello e pianoforte
op.38 di Johanbes Brahms e la Sonata in
sol minore op.19 di Sergej Rachmaninov.
Certamente è una coppia affiatata e in piena
sinergia musicale. Le complesse armonizzazioni
dei tre lavori hanno trovato la voce dolce,
pacata ed espressiva dell'ottimo violoncello di
Narek. Nell'op.70 di Schumann,
l'eccellente equilibrio del duo ha trovato il
corretto dosaggio coloristico per
un'interpretazione trasparente e di pacata
espressività. La celebre sonata di Brahms ha
visto il tempo un po' dilatato dell'Allegro
non troppo eseguito in modo chiaro,
formalmente ineccepibile, ma mancante di quella
componente estemporanea che spesso si ritrova in
Brahms. Di eccellente qualità la Sonata op.19
di Rachmaninov. Un lavoro di ampio respiro
composto nel 1901
dopo il celebre Rack 2, da un compositore
che aveva trovato un grande successo sia come
interprete pianista che come creatore di note,
dopo il primo periodo incerto d'attività. Il
carattere concertante, dominato dalle
armonizzazioni del pianoforte, ha trovato nella
coppia d'interpreti un resa chiara, precisa con
situazioni di grande esternazione espressiva.
Applausi calorosi ed ottimi i bis concessi:
prima con la Romanza di A. Scriabin e poi
con un'eccellente brano armeno di grande impatto
folcloristico: l'Impromptu del
compositore Alexander Arutiunian. Ancora
applausi intensi.
14 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
L'Orchestra Sinfonica
del
Conservatorio di Milano diretta da Vitaly
Alekseenk interpreta Damiani, Rachmaninov e
Čajkovskij
Un valido impaginato
è stato ottimamente sostenuto
dalla Sinfonica del Conservatorio milanese. La
prima esecuzione assoluta di un brano di
Leonardo Damiani (1991), compositore vincitore
nel 2022 del Primo premio di Composizione al
Conservatorio milanese, ha
introdotto
la serata. Il suo Del saper stare nell'attesa
per pianoforte e orchestra ci è apparso di
ottima fattura. La sua composizione ha trovato
come protagonista il pianoforte. La componente
orchestrale ha ben sottolineato gli interventi
virtuosistici sostenuti con grinta ed efficacia
da Simone Zorini, studente del Conservatorio
milanese. Zorini, pianista estroso, si è trovato
particolarmente a suo agio in questo lavoro non
facile, ricco di contrasti, nel quale lunghe
note si
oppongono a repentine successioni di scale rese
con energico nitore dal pianista. Simone ha poi
concesso un applaudito bis con lo Studio da
concerto n.1 op.40 del russo Nicolai
Kapustin. Dopo il brano introduttivo l'atteso
Concerto per pianoforte e orchestra n.2 in do
minore di Sergej Rachmanoniv ha trovato
un'ottima esecuzione nella direzione di
Alekseenok e dal protagonista al pianoforte..
Diego Petrella ha interpretato con eccellente
sintesi discorsiva il celebre Rack 2, concerto
tra i più eseguiti al mondo per la quantità di
melodie romantiche presenti nei tre movimenti e
per l'organizzazione virtuosistica
melodico-armonica del grande musicista russo.
L'interiorizzazione
completa di ogni dettaglio ha permesso una
restituzione di qualità da parte del giovane
pianista, vincitore in passato del premio del
Conservatorio milanese. Eccellente il bis
concesso da Petrella con il semplice e geniale
Mignon dall'Album della gioventù op.68
di Robert Schumann. Applausi fragorosi. Dopo
l'intervallo ottima la resa orchestrale della
Suite da Lo Schiaccianoci di
Čajkovskij.
Ricordiamo che il concerta era a sostegno del
progetto di AVSI -HELP SIRIA, per immediati
aiuti umanitari alle popolazioni che hanno
subito il terremoto in Siria e in Turchia. Chi
volesse fare una donazione può
entrare in rete:
https://www.avsi.org/cosa-puoi-fare-tu/dona-ora?amount=25&donation_type=one-off
13 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
Maria Perrotta
allo Spazio Teatro 89
In via Fratelli Zoia 89, nel
grazioso ed elegante Spazio Teatro 89, la
pianista Maria Perrotta, affermata interprete
internazionale, ha eseguito il suo J.S. Bach con
la monumentale Arte della Fuga BWV 1080.
È un lavoro conclusivo del Sommo compositore
tedesco che
riassume
il suo mondo architettonico-musicale. Ripensata
nel 1749 da una precedente elaborazione, L'Arte
della fuga rimase incompleta, pur nella sua
lunga parte conclusa, ed è stata concepita come
composizione astratta, pensata per qualsiasi
organico strumentale. La splendida resa
pianistica, che ha oramai numerosi eccellenti
interpreti di riferimento, ha trovato anche
nella pianista cosentina che vive a Parigi, un
sicuro riferimento interpretativo. La Perrotta,
premiata in importanti concorsi internazionali
come il prestigioso "Rina Sala Gallo", aveva già
avuto grandi soddisfazioni con le bachiane
Variazioni Goldberg, variazioni premiate
anche in un' eccellente incisione discografica.
Ieri, nel tardo pomeriggio, con
uno
splendido pianoforte Shigeru Kawai, ha
fornito un'esecuzione di primo livello
alternando i venti numeri che compongono il
capolavoro bachiano con tocco leggero, meditato
ed intenso. Contrappunti, Canoni e una Fuga a 3
soggetti finale, sono stati elargiti con
eccellente equilibrio formale, caricati da
scorrevole espressività, mediata da uno studio
approfondito e completo. L'intreccio delle parti,
nell'apparente facile resa, è in realtà una
complessa costruzione di trasformazione tematica
dovuta all'immensa creatività del genio di
Eisenach. Grande successo per la toccante
interpretazione, esternato con lunghi applausi
nel teatro affollato da un pubblico molto
attento e competente.
13 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
Il pianista Antonio
Alessandri ai Pomeriggi Musicali per Mendelssohn
Avevo ascoltato esattamente
nel marzo del 2022 l'allora
sedicenne Antonio
Alessandri al Dal Verme nel Concerto K415
di Mozart rimanendo sorpreso per la grande
musicalità del giovane interprete. Ieri, nella
replica del sabato del Dal Verme, sempre con la
valida Orchestra de I Pomeriggi Musicali,
questa volta diretta da George
Pehlivanian,
il diciasettenne Alessandri ,
da poco compiuti,i ha rivelato una maggiore
maturità interpretativa in un concerto
pianistico più virtuosistico quale il n.1 in
Dol minore op.25 di Felix Mendelssohn. La
brevità del lavoro, meno di venti minuti la
durata, non esclude la notevole ricchezza d'idee
del musicista amburghese per un brano, nei
classici tre movimenti, brillanti e di grande
impatto sonoro. Il giovane Antonio ci ha stupito
per la sua capacità di penetrazione del non
facile materiale musicale, espresso con grinta e
rapidità
nei
movimenti laterali: Molto allegro con fuoco
e Presto. Allegro vivace. Profondo e
riflessivo l'Andante centrale, che
dimostra un deciso progresso nelle qualità
espressive del pianista. Sorprendenti poi i due
bis concessi con un efficace Studio di
Chopin, il n.5 Op10 e l'Allegro da
Petruska di Igor Stravinskij, entrambi di
eccelso virtuosismo reso con facilità discorsiva
e pregnanza espressiva dal giovanissimo prodigio.
Applausi calorosi dal numerosissimo
pubblico
intervenuto. Il pomeriggio musicale prevedeva
anche un'introduzione con la Sinfonia dal
Barbiere di Siviglia di Rossini, resa
molto bene dell'orchestra nella valida direzione
di Pehlivanian. Dopo l'intervallo, valida la
resa complessiva della Serenata in re
maggiore Haffner k.250, otto movimenti
eseguiti con tutti i ritornelli per un lavoro in
stile galante di raffinato intrattenimento. Nel
secondo, terzo e quarto movimento, l' Andante,
il Minuetto e il Rondò, abbiamo
apprezzato il fine intervento solistico del
primo violino de I Pomeriggi: Alessandro Braga.
Applausi sostenuti dal pubblico a tutti i
protagonisti.
12 marzo 2023
Cesare Guzzardella
Il War Requiem di
Britten diretto da
Vasily Petrenko in Auditorium
Una grande scenografia
formata dall'Orchestra Sinfonica di Milano, dal
Coro Sinfonico e dal Coro di voci bianche di
Milano ha dato spessore ad una delle opere più
grandiose di Benjamin Britten. Il War Requiem
Op.66 venne composto dal compositore inglese
nel 1961 e diretto da Britten stesso per la
prima volta nel maggio del '62.
L'organico
prevede la presenza anche di tre voci soliste di
soprano, tenore e baritono. Ieri sera la
raffinata direzione del russo Vasily Petrenko è
stata completata dalla direzione del Coro di
voci bianche di Maria Teresa Tramontin -Coro
localizzato nella parte bassa della galleria- a
da quella del Coro sinfonico con Massimo Fiocchi
Malaspina. L'eccellenti voci soliste ascoltate
erano quelle del soprano Heather Engebretson,
del tenore Gwilym Bowen e del baritono-basso
Robert Bork. L'eccellente resa complessiva ha
trovato la precisa e dettagliata direzione di
Petrenko che ha esaltato le ottime qualità degli
orchestrali e in generale di tutte le voci. Il
monumentale lavoro di Britten, nato per
commemorare la ricostruzione
della
cattedrale di Coventry in Inghilterra, distrutta
dai bombardamenti tedeschi nel 1940, intreccia
caratteri non solo religiosi ma anche
profondamente laici mettendo in risalto i valori
universali dell'uomo. L'Op.66 riassume tutto il
linguaggio tipico di Britten, con quelle
sonorità personalissime e quella bellezza
coloristica che ritroviamo anche nelle sue opere
liriche e nella sua musica sinfonica e
cameristica. I momenti di grande coralità si
alternano a quelli sia intimi che estroversi
delle voci soliste,spesso sottolineate dagli
interventi solistici dei singoli o di piccoli
gruppi di strumenti. L'interpretazione di alto
livello della Sinfonica di Milano, dei Cori e
delle voci soliste hanno lasciato un segno agli
spettatori intervenuti in Auditorium che hanno
tributato al termine lunghi e fragorosi applausi.
Domani, domenica alle ore 16.00, la replica. Da
non perdere!
11 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
Musiche di Gustav Mahler
e di Carlo Galante dirette da Dario Garegnani in
Conservatorio per Serate Musicali
Una serata di particolare
interesse quella organizzata da Serate
Musicali in Sala Puccini, nel Conservatorio
milanese. "Il lied della vita celeste"-
Concerto per la pace, prevedeva l'esecuzione
della Sinfonia n.4 in sol maggiore di
Gustav Mahler nella versione per orchestra da
camera e voce di Erwin Stein (1885-1958). Una
trascrizione fedele all'originale che venne
eseguita negli anni '20 in
casa
di Arnold Schönberg, maestro di Stein, il quale
propose all'allievo la versione da camera della
celebre sinfonia. L'opera di Mahler è stata
preceduta da un brano del compositore milanese
Carlo Galante (1959) denominato Delirius
Charter, due canzoni e un intermezzo per
soprano e orchestra da camera su testi di Emily
Dickinson. Entrambi i lavori hanno trovato
l'interpretazione della Società Filarmonica
Raudense "Giulio Rusconi" diretta da Dario
Garegnani, con l'apporto solistico del soprano
Beatrice Binda. La valida interpretazione della
Quarta di Mahler ci ha rivelato le
interessanti timbriche emerse nella versione da
camera.
Una
Quarta ancor più popolare, edulcorata da
una certa raffinatezza orchestrale, e immersa in
un contesto quasi "da strada" o da piccolo
ambiente, che fa emergere contrasti più netti
mediante i dodici strumenti che eseguono il
lavoro. Rimane indubbiamente la fedeltà alla
partitura originale con cambiamenti volumetrici
e dei colori. L'ottima direzione di Garegnani,
interprete specializzato nella musica
contemporanea, ha sottoliniato l'avvincente voce
del soprano Beatrice Binda, presente nel quarto
e ultimo movimento, La vita celeste, il
momento complessivamente più fedele
timbricamente all'originale orchestrale.
La
stessa formazione e la pregnante voce della
Binda sono stati partecipi del valido lavoro di
Carlo Galante. Delirius Charter si
sviluppa su due testi della poetessa
statunitense Emily Dickinson (1830-1886): Fra
le mie dita tenevo un gioiello e
Delirante atto ( Delirius Charter),
collegati da un breve Intermezzo
strumentale. La musica di Galante, tra la "sospensione
onirica e l'entusiasmo delirante" si specchia
con i testi della Dickinson e si rivela ricca di
espressività. La componente strumentale, nelle
timbriche dal taglio espressionista, ben
sottilinea la decisa, chiara e incisiva voce di
Beatrice Binda. Applausi a tutti i protagonisti
in entrambi i lavori dal numeroso pubblico
intervenuto in Sala Puccini. Ottima serata.
10 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
Lorenzo Viotti dirige
la Filarmonica della
Scala in Haydn, Korngold e R.Strauss
Abbiamo più volte visto
Lorenzo Viotti alla direzione della Filarmonica
della Scala. Ieri, nella prima replica,
l'ascolto di un programma sinfonico
diversificato e di efficace impatto sonoro
prevedeva, come brano introduttivo ,
il classicismo di Joseph Haydn con la sua
Sinfonia n.104 "London" in Re maggiore, una
alle sue 12 Sinfonie londinesi. L'energica e,
nello stesso tempo, elegante direzione di Viotti
ha fatto emergere lo spessore coloristico degli scaligeri
per un'esecuzione di rilievo
che ha esaltato il
carattere brillante del lavoro composto da Haydn
nel 1795. L'allargamento della compagine
orchestrale, dopo il breve intervallo, per due
lavori più virtuosistici quali il Concerto
per violino e orchestra in Re maggiore op.35
di Erich Korngold e il poema sinfonico Tod
und Verklärung op. 24 d Richard Strauss, ci
ha permesso di ascoltare un'orchestra più
completa e allargata, certamente di ottima
qualità. Il violinista Marc Bouchkov, belga di
origini russo-ucraine, ha rivelato le sue ottime
qualità virtuosistiche ed espressive ben
sottolineate dalla direzione di Viotti. L'Op.35
del compositore nato in Moravia e
naturalizzato statunitense e affermato nel mondo
delle colonne sonore, è un brano del 1945 molto
eseguito dai virtuosi di violino, un brano che
ha una componente orchestrale importante per uno
stile complessivo tardo romantico, con
riconoscibili momenti folcloristici, tipici
americani, presenti nel movimento finale
Allegro assai vivace. La scorrevolezza della
parte solistica di Bouchkov e la sua incisività
nell'esporre le pregnanti melodie, hanno
mostrato un interprete di primo livello.
Eccellente anche il bis solistico concesso da
Bouchkov con un brano di Ernst, The last rose
of summer. L'ultimo brano in programma, il
poema per grande orchestra Morte e
trasfigurazione di Richard Strauss è del
1888-89, ed è stato eseguito ottimamente da ogni
sezione orchestrale, per un complessivo timbrico
di evidente qualità. Applausi meritatissimi a
tutti i protagonisti. Sabato, 10 marzo, l'ultima
replica. Da non perdere.
9 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
Il Quartetto David Oistrakh
e Elisso
Virsaladze alle Serate Musicali
Lo straordinario concerto di
ieri sera in Conservatorio, organizzato da
Serate Musicali, ha visto una formazione
cameristica di primo livello affrontare due
pagine importanti quali - in ordine di
esecuzione- il Quintetto in sol minore per
pianoforte ed archi op.57 di Dmitri
Šostakovič
e il Quintetto in mi bem. maggiore per
pianoforte ed archi op.44 di Robert
Schumann. Il Quartetto David Oistrakh, formato
da quattro solisti russi nei nomi di Andrey
Baranov, violino, Rodion Petrov,
secondo violino, Fedor Belugin, viola
e Alexej Zhilin, violoncello, ha avuto
l'approvazione del grande virtuoso russo
Oistrakh
per dare il proprio nome all'eccellente
Quartetto d'archi. Ai quattro archisti si
è aggiunta una pianista
fuoriclasse quale la georgiana Elisso Virsaladze,
da decenni presente ai concerti di Serate
Musicali. Il primo brano, l'op.57 del grande
musicista russo è del 1940 e rappresenta un
ritorno di
Šostakovič
alla chiarezza della forma di stampo neoclassico,
ma in uno stile inconfondibile tipico del grande
sinfonista e camerista. L'interpretazione
esemplare fornita dai cinque strumentisti
è di quelle memorabili per
discorsività, trasparenza timbrica ed equilibrio
delle parti. Raramente si ascolta una cifra
interpretativa di pari livello. Dopo il breve
intervallo è stato eseguito il Quintetto op.44
di Schumann, opera dedicata alla moglie Clara.
Composto nel 1841, appartiene ad un periodo
felice e ricco di lavori del musicista tedesco.
La vivacità del quintetto e il riferimento
continuo a melodie folcloristiche dal carattere
brillante ed estroverso, come nello Scherzo.
Molto vivace o nell'Allegro ma no troppo
finale, si ritrova prima nella fondamentale
parte pianistica, resa con chiara espressività
dalla Virsaladze, sostenuta poi dagli archi in
modo da creare un concertato in cui si alternano,
con grande ricchezza di idee, le parti musicali.
Un' interpretazione rapida, energica e
ritmicamente ricca, ha ancora esaltato le
qualità della sorprendente formazione. Applausi
fragorosi dal pubblico entusiata. Da ricordare a
lungo.
7 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
Al Teatro
Dal Verme meritato
successo per Il Telefono e La Medium
di Gian Carlo Menotti
Una valida iniziativa quella
di portare in scena due lavori un po'
dimenticati di Gian Carlo Menotti: Il
Telefono & La Medium. In tre date distinte,
al Teatro Nuovo di Varese, al Teatro Dal Verme
di Milano e,il 9 marzo, al Teatro Politeama di
Pavia, sono state e verranno (a Pavia)
interpretati i lavori che il grande compositore
italiano,
autore anche del libretto, ideò rispettivamente
nel 1947 e nel 1946. Noi le abbiamo viste ed
ascoltate ieri pomeriggio a Milano. Musicalmente
hanno caratteristiche comuni, con una maggiore
leggerezza e brillantezza nel breve "Il telefono"
e con più impegno nel più corposo "La Medium",
due atti ,quest'ultimo, da circa trenta minuti
ciascuno. Le grandi qualità del compositore di
Cadegliano (Varese) le conosciamo. Menotti
(1911- 2007), fondatore nel 1958 del celebre
Festival dei Due Mondi di Spoleto e poi della
versione statunitense del medesimo Festival, è
notevole nella musica lirica. Anche in queste
due opere, dai contenuti attualissimi, si coglie
l'unità stilistica perfetta tra testo, canto e
musica orchestrale, musica espressa in modalità
prevalentemente cameristiche ma di grande
impatto melodico e ritmico. Menotti prese il
meglio dal neoclassicismo stravinskjano, ma
anche da certa atonalità dei viennesi, trovando
poi una sintesi personale nella quale la
melodicità, molto italiana, trova largo spazio.
La valente Orchestra Canova diretta con
precisione ed energia da Enrico Saverio Pagano,
ha in modo eccellente proposto le musiche delle
due piece teatrali, eseguite senza
soluzione di continuità, coadiuvati da un cast
vocale di ottima qualità nel quale certamente
spiccava la voce del mezzo-soprano Manuela
Custer, accellente anche attorialmente nel ruolo
di Madame Flora, la Medium. Ma
bisogna segnalare le
ottime
voci degli altri protagonisti, emerse anche
grazie alla valida regia teatrale di Serena
Nardi, che è riuscita nel medesimo ristretto
spazio a proporre due ottime messinscene, la
prima particolarmente colorata, con il rosso
dominante. La precisa e corposa voce da soprano
di Sabrina Cortese è risultata chiarissima ne Il
telefono, nel ruolo di Lucy/ Mrs.Gobineu;
altrettanto di valore la voce del baritono
Giacomo Nanni in Ben/Gobineau. Ne La
Medium segnaliamo l'ottima voce del soprano
Maria Eleonora Caminada in Monica,
pregnante anche nel celebre Valzer di Monica;
di ottima qualità, anche attorialmente, il
mezzo-soprano Ilaria Molinari, una perfetta
Mrs. Nolan e bravissimo l'attore-mimo
Samuele Satta in Toby. Bravi anche tutti
gli altri presenti in scena. Un successo
meritatissimo per tutti i protagonisti,
subissati, al termine, dai fragorosi applausi
del numeroso pubblico pervenuto in teatro. Due
lavori che per l'ottima qualità proposta
meriterebbero ulteriori date. (Foto
Alberto Panzani)
6 marzo 2023 Cesare Guzzardella
Alondra de la Parra
e Felix Klieser per
la Sinfonica di Milano
Due valide ragioni per
assistere ancora al concerto proposto
dall'Orchestra Sinfonica di Milano ieri sera, e
in replica domenica alle ore 16.00: la presenza
della direttrice messicana Alondra de la
Parra
e quella dello straordinario cornista Felix
Klieser, dedicatario del primo brano in
programma di Rolf Martinsson. Il compositore
svedese Martinsson, classe 1956, è in Italia
pressochè sconusciuto, ma è autore di
un'invidiabile quantità di ottimi brani,
soprattutto orchestrali, tra cui il Concerto
per Corno e Orchestra Soundscape- A Walk in
Colours (2022), recentissima composizione,
ieri in Prima Esecuzione Italiana. Il
dedicatario Klieser, è un virtuoso musicista
tedesco di 32 anni che suona il corno francese
aiutandosi con i piedi, perché nato senza
braccia, ed è riconosciuto come uno tra i
maggiori interpreti di corno francese.
Il
Concerto Soundscape di Martinsson è
caratterizzato da una rilevante orchestrazione,
voluminosa e tagliente nelle
timbriche,interrotta da numerosi interventi del
corno attraverso una scansione di note chiare e
luminose, rese splendidamente da Klieser. È
proprio in questo contrasto tra la volumetrica
coralità orchestrale, ottimamente diretta da
Alondra de la Parra, e i colori intensi delle
note del corno messe in risalto con sorprendente
chiarezza espressiva da Klieser, che il
concerto, scritto molto bene dallo svedese,
risulta avvincente. Applausi meritatissimi e un
ottimo bis solistico per Klieser con un brano da
Caccia di Rossini. Dopo il breve
intervallo
i fragori del Sacre du printemps di Igor
Stravinskij hanno esaltato le qualità della
Sinfonica di Milano, diretta in modo energico e
tagliente dalla bravissima direttrice messicana.
Un'interpretazione, la sua, che ha messo in
risalto i contrasti ritmici e timbrici del
capolovoro del grande russo. Al termine applausi
fragorosi dal pubblico presente in Auditorium e
numerose uscite in palcoscenico della direttrice
d'orchestra. Replica domenicale da non perdere!
4 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
Ai Pomeriggi Musicali
Alessandro
Cadario con la pianista Viviana Lasaracina
Un impaginato diversificato
con brani di Gabriel Fauré (1845-1924), di César
Franck ( 1822-1899) e di Felix Mendelsshon
(1809-1847) è quello in programma ed ascoltato
ieri sera al Dal Verme, al concerto diretto da
Alessandro Cadario con l'orchestra de I
Pomeriggi Musicali. Il clima melanconico dei
primi due lavori, la
celebre
Pavane op.50 di Fauré e le rare
Variazioni sinfoniche per pianoforte e orchestra
di Franck, unitamente al primo movimento
della celebre Sinfonia n.3 "Scozzese" di
Mendelsson, si è interrotto con l'arrivo
dell'estroverso Vivace non troppo del
medesimo brano sinfonico. L'ottima direzione di
Cadario in tutti i brani, espressa con gesto
elegante ed indicazioni discrete e precise hanno
portato a valide interpretazioni e tonica resa
in ogni sezione dell'orchestra. I tenui e spesso
cupi colori della Pavana in fa diesis minore,
un Andante molto moderato, hanno trovato
poi un clima simile nelle successive
Variazioni Sinfoniche, brano che ha avuto
come protagonista la pianista pugliese Viviana
Lasaracina. Allieva di quella scuola pianistica
del sud italia che sta dando molti frutti in
termini interpretativi, la pianista di Monopoli
ha trovato un ottimo dosaggio coloristico
definito da una tecnica precisa e composta. In
valida sinergia con l'orchestra ha espresso in
modo nitido ed efficace le non facili
Variazioni
Sinfoniche del musicista belga, vissuto però
quasi sempre in Francia. Di ottima resa il bis
solistico concesso con un brano di Rachmaninov,
il n.2 dei
Moments musicaux op.16, ricco di una energia
virtuosistica che hanno rivelato ancor più le
eccellenti doti dell'interprete. Dopo
l'intervallo, ottima la resa interpretativa
della Scozzese mendelssohniana, tra le sinfonie
più eseguite ultimamente a Milano. Applausi
particolarmente vivaci e ripetuti dal pubblico
presente al Teatro Dal Verme. Sabato, alle ore
17.00, la replica. Da non perdere.
3 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
INAUGURATO A NOVARA IL
FESTIVAL FIATI 2023
Oggi, 2 marzo, nella sala
concerti Olivieri del Conservatorio G. Cantelli
di Novara, si è inaugurata l’annuale stagione
del Festival Fiati, una delle più significative
iniziative della vita musicale della città
piemontese. Istituito e organizzato dal locale
Conservatorio (di cui ricorrono i 40 anni dalla
fondazione), giunto ormai alla sua XX stagione,
il Festival Fiati novarese per circa due mesi
chiama a raccolta Maestri italiani ed
internazionali di alto livello per un fiorire di
masterclass per i vari strumenti a fiato, aperti
anche a studenti o neodiplomati di tutta Italia,
non solo del Conservatorio novarese. Questa
intensa attività didattica è accompagnata da una
nutrita serie di concerti serali, naturalmente
aperti al pubblico, solistici o cameristici, che
vedono protagonisti i Maestri impegnati
nell’attività didattica. Il concerto inaugurale
di questa sera vedeva protagonista il
clarinettista Calogero Palermo: primo clarinetto
presso
una delle più prestigiose orchestre europee, la
Royal Concertgebouw di Amsterdam, il Maestro
Palermo vanta una brillante serie di
riconoscimenti in vari concorsi internazionali,
nonché un’intensa attività concertistica di
livello internazionale in formazioni da camera e
come solista, accompagnata da un altrettanto
intensa attività didattica. Nel concerto di ieri
sera il Maestro Palermo era accompagnato dal
quartetto d’archi Eos, costituito nel 2016 da
neodiplomati del Conservatorio romano di S.
Cecilia: Elia Chiesa e Giacomo Del Papa violini,
Alessandro Acqui viola, Silvia Ancarani
violoncello. Anche questa formazione giovanile
ha alle spalle una ricca attività concertistica
in Italia e in Europa, accompagnata da
importanti riconoscimenti in numerosi concorsi,
su tutti il premio Farulli 2018. Il programma
presentava due capolavori assoluti e assai
celebri fra i quintetti per clarinetto e archi:
il Quintetto in LA Magg. KV581 di W.A. Mozart e
il Quintetto in Si min. op.115 di J. Brahms. E’
stato un concerto di ottimo livello, in cui
Palermo ha interpretato al meglio il ruolo che
entrambi i compositori attribuiscono al
clarinetto, sia pur con le ovvie differenze di
stile: valorizzando al massimo il timbro sfumato
e morbido dello strumento, realizzare una
tessitura espressiva di introspettiva
delicatezza. Ma queste due gemme della musica di
tutti i tempi non vivono del solo suono del
clarinetto: sia Mozart, sia Brahms concedono
notevole indipendenza agli archi, in un dialogo
alla pari con lo strumento a fiato, creando
impasti timbrici sempre vari e mutevoli. Dunque
un elogio, per la buona riuscita del concerto,
va tributato anche ai giovani quartettisti
dell’Eos, sempre puntuali e rigorosi nelle
entrate e nel rispetto dei tempi e delle
dinamiche, e, soprattutto, molto bravi nel
creare
quella tessitura timbrica particolare che
interagisce mirabilmente col clarinetto. I
momenti più alti del concerto sono stati a
nostro avviso i primi due movimenti del
Quintetto di Mozart e, ancora, i primi due
movimenti di quello di Brahms. L’Allegro
iniziale del KV 581 è stato eseguito con
incantevole grazia e dolcezza e morbidezza di
respiro, le qualità più caratteristiche del
clarinetto nell’impiego che ne fa Mozart: in
particolare, nell’esposizione del secondo tema,
dopo l’introduzione del primo violino, il suono
del clarinetto del Maestro Palermo, in tonalità
minore, si fa stupendamente chiaroscurato,
creando, sopra il tappeto armonico-timbrico
degli archi, un’‘atmosfera’ quasi incantata.
L’intensa cantabilità dell’Andante diventa,
nell’esecuzione di Palermo e degli archi
dell’Eos, lirismo purissimo e profondo,
soprattutto nelle due sezioni esterne del
movimento, ove domina il clarinetto, suonato dal
Maestro Palermo con trasognata dolcezza,
sostenuto dal delicatissimo fraseggio degli
archi in sordina. Per quanto riguarda Brahms, a
quanto si è detto a proposito delle peculiarità
timbriche del clarinetto ‘mozartiano’, va
aggiunta quella nota che è invece tipicamente
brahmsiana, quella vena di tenera e sfumata
malinconia, che nel quintetto per clarinetto ed
archi tocca il suo apice appunto nei due primi
movimenti. Bravissimo Palermo nello sfruttare le
potenzialità dello strumento, per creare questo
mondo sonoro tipicamente brahmsiano, prima
incidendo con raffinata delicatezza il motivo
della breve introduzione, che poi diventa il
motivo conduttore dell’Allegro iniziale, poi
esponendo con timbrica densa e coinvolgente
espressività il secondo tema. Le qualità del
Maestro Palermo e degli archi dell’Eos, in
particolare il primo violino di Andrea Chiesa e
il violoncello di Silvia Ancorani, si mostrano
nella loro pienezza nell’Adagio seguente, in
cui, nella prima sezione, è ancora il clarinetto,
ma in un dialogo delicatissimo col primo violino,
a realizzare un clima di abbandono sereno ad un
non so che di dolcemente malinconico, che
avvolge i momenti più alti di questo monumento
musicale. Abbiamo indicato pochi esempi a nostro
parere particolarmente indicativi di un modo di
suonare che ci è piaciuto molto e che non ha mai
conosciuto incertezze o sbavature, ma si è
sempre mantenuto ad un ottimo livello esecutivo,
diremmo perfetto nella cura del dettaglio
timbrico e nel controllo dei vari e sempre
cangianti registri dinamici di entrambe le
partiture. Al termine del concerto, gli applausi
scroscianti e prolungati del folto pubblico
presente, formato prevalentemente da studenti e
docenti del Conservatorio, ha sottolineato il
pieno successo della serata e ha ottenuto un bis:
una breve composizione di Fauré per clarinetto e
archi, che un commosso Maestro Palermo ha voluto
dedicare al collega Sandro Tognatti,
apprezzatissimo docente di clarinetto al
Cantelli, prematuramente scomparso nel 2021,
vittima di una reazione mortale al vaccino
anticovid Astra Zeneca (allora ne parlarono i
giornali di tutt’Italia). Un bellissimo pezzo,
sfumato dai cromatismi e intriso di malinconia.
Un’ottima serata inaugurale, che conferma una
volta di più la validità e l’importanza di una
manifestazione come il Festival Fiati in una
città, come Novara, in cui la vita musicale “pubblica”,
quella dei concerti, langue un po’ troppo…
2 marzo 2023 Bruno Busca
La SWD Philharmonie
al Conservatorio
milanese
Il variegato concerto
proposto dalla Fondazione La Società dei
Concerti in Conservatorio ha visto la
partecipazione della Südwestdeutsche
Philharmonie Kostanz diretta da Gabriel
Venzago per un impaginato diversificato che
prevedeva ad introduzione un brano di Matteo de
Soldà commissionato dalla Società concertistica
milanese costruito su musiche di Ennio
Morricone.
La Suite "Omaggio a
Ennio Morricone" è un' ottima orchestrazione
dei più celebri brani del grande Maestro romano
organizzata in uno stile concertante utilizzando
tre strumenti solisti quali il violino, il
flauto e il pianoforte. I celebri temi, eseguiti
senza soluzione di continuità per oltre dieci
minuti, sono stai interpretati molto bene dalla
compagine orchestrale e dai tre solisti: il
primo violino e il primo flauto dell'orchestra
ed il pianista cinese Antonio Chen Guang. Il
brano successivo di Joseph Haydn era la nota
Sinfonia n.102 in si bem.maggiore
appartenente alla serie delle "12 Sinfonie
londinesi". È nel tipico stile classico del
musicista e trova nell'ultimo movimento,
Finale.Presto, il momento più alto e di
grande impatto timbrico. Ottima l'esecuzione
ascoltata. Dopo il breve intervallo il brano più
atteso dal mumeroso pubblico presente in Sala
Verdi era certamente il Concerto n.5 in mi
bem. maggiore op.73 "Imperatore" di L.v.
Beethoven, avente come solista al pianoforte
ancora Antonio Chen Guang. L'ottima direzione di
Gabriel Venzago e la valida resa della SWD
Philharmonie ha trovato il preparatissimo Chen
Guang- classe 1994- in grande forma
per
un'interpretazione tecnicamente ineccepibile,
giocata su una sicurezza d'esternazione di alto
livello, ricca di tensioni discorsive efficaci,
dove l'elargizione musicale trovava eccellenti
contrasti dinamici certamente d'intensa
espressività. I momenti più concitati dell'Allegro
iniziale e del Rondò finale hanno visto
una raffinata melodicità nello splendido
Adagio un poco mosso centrale. Le poche
note, centellinate benissimo dal bravissimo
interprete in questo Adagio, hanno sottolineato
la genialità di Beethoven, capace di creare
il sublime anche con pochi mezzi. Di valore
l'interpretazione complessiva. Due i bis
solistici concessi dal pianista: un'efficace e
dettagliata Corrente bachiana dalla
Partita n.6 in Mi minore BWV 830 resa con
sottile raffinatezza timbrica e il celebre
Gretchen am Spinnrade di Schubert-Liszt ben
interiorizzato dall'ottimo interprete e
restituita con valida resa interpretativa.
Applausi fragorosi a tutti i protagonisti.
2 marzo 2023 Cesare
Guzzardella
FEBBRAIO 2023
Diego Petrella
interpreta La Monte Young al Museo del
Novecento
Tra i molteplici concerti
organizzati nella Sala Fontana del Museo del
Novecento milanese in collaborazione con
NoMus e la Società
del
Quartetto, oggi abbiamo assistito ad una
vera e propria performance, soprattutto
visiva oltre che musicale. Il pomeriggio
denomito Fluxus e legato alla relativa
mostra d'arte contemporanea "Fluxus arte per
tutti" presente al museo e organizzata dalla
Fondazione Bonotto, ha avuto come protagonista
il pianista Diego Petrella, interprete già
affermato per le sue qualità performative nei
repertori classici e contemporanei. Pietrella ha
proposto un lavoro del musicista statunitense La
Monte Young datato 1960 e legato alle esperienze
di quel periodo storico che trova in John Cage e
nella scuola
di
Darmstadt i riferimenti più significativi.
Composition 1960 è un lavoro concettuale
dove la parte visiva, l'azione dell'interprete,
la recitazione e una certa scenografia hanno
preponderanza sull'elemento sonoro, inteso come
suono o rumore. All'interno del brano, che
secondo le indicazioni del compositore-regista,
deve durare esattamente 45 minuti, avvengono
situazioni sonore e gestuali in cui è invatato a
partecipare anche il pubblico. Negli spazi
luminosissimi di Sala Fontana, con la splendida
vista del Duomo e della piazza, il numerosissimo
pubblico
intervenuto ha preferito assistere alla
perfomance, anche se qualche fotografo o
pochi spettatori hanno intralciato, come
comunque previsto, gli spazi di movimento del
giovane interprete, per l'accasione anche
lettore-attore e mimo. All'interno del brano
erano inserite brevi sequenze di brani di Cage e
di Bussotty e Pietrella ha inserito anche due
minuti di uno splendido Schumann. Applausi
sostenuti dal numeroso pubblico presente per un
lavoro figlio di un periodo storico che ci
sembra molto lontano nel tempo. Bravissimo
Petrella!
28 febbraio 2023 Cesare Guzzardella
Kolja Blacher e
amici per Chausson e
Brahms ai concerti di "Serate Musicali"
Avevo visto Kolja Blacher a
metà gennaio dirigere la Sinfonica di Milano
in un bellissimo concerto dove venivano eseguiti
una Serenata di Leonard Bernstein e la
Sinfonia Scozzese di
Mendelssohn. Ieri sera
invece, in qualità di violinista, lo abbiamo
ritrovato accanto a cinque colleghi nel raro
Concerto in re maggiore per violino, pianoforte
e quartetto d'archi di Ernest Chausson
(1855-1899). Il brano del compositore francese è
del 1889-91 e risente molto del tardo
romanticismo francese e tedesco con spunti che
ricordano musicisti come Franck, Brahms ma anche
Wagner. Un lavoro particolarmente riuscito in
tutti i quattro movimenti che lo compongono,
interpretato con impeto ed espressività dai sei
strumentisti, con Blacher nel ruolo di violino
solista. Di rara raffinatezza il secondo
movimento: Sicilienne. Pas Vite. Il
concerto organizzato da Serate Musicali
prevedeva nella seconda parte della serata uno
tra i Quintetti più celebri
e frequentati quale
il Quintetto in fa minore op.34 di
Johannes Brahms. Nella formazione era presente
ancora Kolja Blacher al primo violino,
quindi Christph Von Der Nahmer, secondo
violino, Kyoungmin Park, viola,
Claudio Bohórquez, violoncello e Suwook
Kim al panoforte. Interpretazione di
ottima resa in un equilibrio delle parti di alto
livello. Nel primo brano era anche presente
l'ottimo violinista Christoph Streuli. Un
concerto che per qualità interpretativa meritava
una Sala Verdi al completo, ma...le cose belle
spesso sono una prerogativa di pochi. Splendida
serata. Ricordiamo il concerto del prossimo
lunedì 6 marzo, con il Quartetto David Oistrakh
e la straordinaria pianista georgiana Elisso
Virsaladze nei quintetti di
Šostakovič
e di Schumann. Da non perdere!
( Foto di Alberto Panzani- Ufficio stampa Serate
Musicali)
28 febbraio 2023 Cesare
Guzzardella
Grande successo al recital
di Vittorio Grigolo
alla Scala
Un recital tutto
romantico per il tenore Vittorio Grigolo quello
di ieri sera al Teatro alla Scala. Nella prima
parte della serata solo compositori italiani con
introduzioni ed arie d'opera di Donizetti e
Verdi, nella seconda i francesi con Gounod,
Massenet e Bizet. L'aretino quarantacinquenne
Grigolo, accanto ad una valida pianista quale la
geogiana Mzia Bachtouridze, ha entusiasmato il
pubblico scaligero controllando la voce ma anche
il palcoscenico.
È
un uomo di spettacolo il tenore toscano: gli
piace muoversi sul palcoscenico da una parte
all'altra per incontrare maggiormente gli occhi
del pubblico di platea e guadagnarsi i meritati
applausi. Mia Bachtouridze, oltre ad
accompagnare il celebre cantante, ha avuto
intimi momenti solistici eseguendo Puccini con
un Foglio d'album e poi l'Intermezzo
dalla Manon Lescaut, quindi la celebre
Meditation da Thais di
Massenet e l'Entr'acte da Carmen.
Ottima la resa espressiva della solista che ha
trovato insieme al tenore un'esemplare sinergia.
Grigolo ci ha donato il suo consolidato ed
apprezzato stile vocale in arie celebri non
facili, tra le quali citiamo
Spirito
gentil. ne' sogni miei da la Favorita
di Donizetti, Quando le sere al placido,
da Luisa Miller, Ma se m'è forza
perderti da Ballo in Maschera, Amor
sublime amor...Ah sì, ben mio da Trovatore,
tutte verdiane; quindi Salut, demeure chaste
er pure dal Faust di Gounod, En
fermant les yeux e Je suis seul!...da
Manon di Massenet, Le fleur que tu
m'avais jetée da Carmen di Bizet e a
conclusione Tuote mon âme est lá..pourquoi me
réveiller da Werther di Massenet.
Applausi ripetuti da un pubblico entusiasta e
come bis un classico di Ernesto De Curtis sul
testo di Domenico Furnò , Non ti scordar di
me (1935) cantato, nella parte centrale,
insieme ai numerosi spettatori intervenuti.
Serata di successo.
27 febbraio 2023
Cesare Guzzardella
Yulia Berinskaya e
Alessandra Ammara alla
rassegna "Lieti Calici"
Si rivela sempre più un
grande successo la rassegna musicale organizzata
da Mario Marcarini agli Amici del Loggione di
via Silvio Pellico 6. L'affollamento di pubblico
della tarda mattinata di oggi sono la riprova
della validità di questi incontri che oltre a
farci
ascoltare ottima musica permettono un eccellente
aperitivo finale di saluto. Due valide
interpreti quali la violinista Yulia Berinskaja
e la pianista Alessandra Ammara cia hanno datto
l'assaggio di un prossimo loro Cd in uscita,
interpretando due note Sonate per violino e
pianoforte di Johannes Brahms,
rispettivamente la n.2 in la maggiore op.100
e la n.3 in re minore op.108. Due
esecuzioni di qualità eseguite con grinta dal
voluminoso violino della Berinskaya e con timbro
sicuro, asciutto e ben delineato dalla Ammara.
Eccellente l'intesa tra le due protagoniste.
Applausi fragorosi e ben due ottimi bis con due
tra la più celebri Danze ungheresi del
genio amburghese, rispettivamente la n.2
e la n.5. Consigliamo vivamente
l'iscrizione agli Amici del Loggione del Teatro
alla Scala. Prossimamente importanti novità di
calendario.
26-02-23 Cesare Guzzardella
A
VERCELLI IL VIOLINO STELLARE DI KERSON LEONG
Ieri sera, 25 febbraio, nuovo
appuntamento al Teatro Civico di Vercelli col
XXV Viotti Festival: un appuntamento d’obbligo,
per ascoltare dal vivo un violinista che ha
ormai acquistato vasta risonanza internazionale,
anche se, stranamente, sinora è stato poco
presente nelle sale da concerto italiane:
parliamo del venticinquenne canadese Kerson
Leong, il cui concerto vercellese di ieri sera è
l’unico recital previsto per quest’anno nel
nostro Paese, il che spiega, tra l’altro,
l’affluenza di numerosi ascoltatori da fuori
Vercelli. Il programma della serata era
impaginato in modo piuttosto singolare, in
quanto diviso in due parti nettamente distinte:
la prima di esse era costituita da due sinfonie,
la celeberrima Sinfonia n.40 in sol min. KV 550
di Mozart e la meno celebre, eppur bellissima,
Sinfonia in Re minore op.12 n.4 G506 (1771) di
L. Boccherini. Protagonista di questa prima
parte del concerto è ovviamente l’orchestra
Camerata Ducale guidata da Guido Rimonda. La
seconda parte della serata è stata dominata dal
Guarneri del Gesù di Kerson Leong, chiamato a
mostrare cosa sa fare il suo violino con tre
pezzi tra i più impegnativi mai scritti per
questo strumento: Zigeunerweisen (Zingaresca)
op.20 di P. de Sarasate, l’Invierno Porteño, uno
dei neotanghi più celebri di
Astor
Piazzolla, nell’arrangiamento per violino e
orchestra, e infine i“ Palpiti” in LA magg.
op.13 di Paganini, variazioni sul tema della
cabaletta “Di tanti palpiti” del Tancredi di
Rossini. Più che apprezzabile l’esecuzione della
sinfonia mozartiana ascoltata ieri. La direzione
di Rimonda si è distinta anzitutto per l’
energia incisiva del suono, che ha disegnato con
nettezza e vigore la plasticità dei temi che
caratterizza questo mirabile capolavoro, in
particolare l’inconfondibile primo tema
dell’Allegro iniziale e quello dell’Allegro
assai finale, e più in generale per l’efficace
adesione alla tensione drammatica che percorre
tutta la sinfonia. In secondo luogo per lo
stacco dei tempi, che non solo disegna
nettamente l’architettura contrappuntistica e la
densità armonica che impronta la partitura di
questa sinfonia mozartiana, soprattutto nelle
sezioni di sviluppo dei tre movimenti in
forma-sonata (cioè tutti, salvo il Minuetto).
Infine, da sottolineare la cura raffinata dei
dettagli timbrici e dinamici, per cui basterà
qui citare il delizioso dialogo proposta/risposta,
tra archi, clarinetti e fagotti del secondo tema
dell’Allegro molto iniziale e in generale, il
vario gioco della linea dei fiati
–
di particolare rilievo in questa partitura-
diretto con sicurezza dalla bacchetta di Rimonda.
Nel complesso una sinfonia 40, questa propostaci
da Rimonda, che stempera l’ispirazione
‘tragica’
con quella raffinata eleganza cameristica, che è
la cifra ormai consolidata dello stile esecutivo
della Camerata Ducale. Molto interessante e
intelligente la scelta di accostare questo
monumento del sinfonismo mozartiano ad un
gioiello del sinfonismo italiano del ‘700, la
Sinfonia , di Boccherini nota come “La casa del
diavolo”, dal tema contenuto nell’ultimo dei tre
tempi in cui la sinfonia è suddivisa, che
Boccherini riprende dall’ultimo numero della
musica per il balletto “Don Giovanni” di Gluck (
e Gluck stesso sfruttò anche per la “Danza delle
Furie” nell’Orfeo). E’ questa, una splendida
sinfonia, che non sfigura nel paragone con il
capolavoro di Mozart e suscita qualche rimpianto
nell’ascoltatore all’idea di cosa avrebbe potuto
creare il nostro Boccherini, se avesse coltivato
più a fondo le sue indubitabili qualità di
sinfonista. .Non esitiamo a definire splendida
l’esecuzione della Camerata Ducale, capace di
interpretare al meglio l’altissima tensione
drammatica che ispira questa composizione,
soprattutto nei due tempi estremi. Rimonda si
attiene coerentemente a questa linea
interpretativa, con l’incisività e il vigore con
i quali fa disegnare all’orchestra il vibrante
primo tema e lo sviluppo dell’ Allegro,
densamente elaborato in un fitto dialogo tra le
linee strumentali, che la limpidezza di suono
dell’orchestra vercellese restituisce in modo
perfetto soprattutto negli archi, tra i quali in
questa partitura hanno un ruolo di primo piano i
violoncelli, subito in scena col tema
dell’Andante sostenuto introduttivo, esposto in
piano dai violoncelli divisi, un piano, che
sotto la bacchetta di Rimonda, diviene un mesto
sussurro carico di suggestione.. Dopo un
Andantino con moto in cui si esaltano le qualità
interpretative della Camerata Ducale nel
delicato, raffinatissimo gioco del ritmo puntato
dei soli archi, di pretta natura cameristica, è
nel Finale Allegro assai che Rimonda e la sua
orchestra toccano l’acme della loro esecuzione:
lo stacco impetuoso ed energico dei tempi,
l’incisività dei continui contrasti agogici e
dinamici, hanno dato a questa pagina un pathos
drammatico ineguagliabile, facendone un
capolavoro: gli applausi sfrenati e prolungati
del pubblico hanno sottolineato l’emozione e il
coinvolgimento con cui questa “Casa del diavolo”
è stata ascoltata. Con la seconda parte del
concerto, come detto, tutto cambia: dal
sinfonismo del ‘700, veniamo sbalzati
bruscamente all’8-900 violinistico dei grandi
virtuosi e al centro dell’orchestra e del
palcoscenico è Kerson Leong, che nel continente
americano, secondo quanto si apprende dal
programma di sala, è considerato “uno dei più
grandi violinisti del nostro tempo”, come lo
definisce la stampa di laggiù; figura
carismatica, grazie non solo alle sue prodigiose
abilità virtuosistiche, ma anche ad una marcata
presenza sui vari ‘social’, che lo avvicina
anche ad un pubblico giovanile, tra il quale
conta numerosi fans, evidentemente anche da noi,
se in una sala da concerto come quella del
Civico, che pure può contare su una
significativa e costante presenza di giovani,
tanti giovani come ieri sera non li avevamo
ancora visti. Detto questo, come è apparso a noi
Kerson Leong? Intanto, non ci troviamo affatto
di fronte ad un mero ‘prodotto mediatico’ ad un
solista da concerto-spettacolo: il
venticinquenne canadese è davvero un grandissimo
violinista, che non comunica solo abilità nella
tecnica del suo strumento, ma ha un suo
inconfondibile suono, il che significa che non
si limita a eseguire, ma interpreta. Il suono
particolare di Kerson Leong è anzitutto un suono
di meravigliosa fluidità, anche nei colpi d’arco
‘di rimbalzo’ in primo luogo i vari tipi di ‘spiccato’,
compreso quello assai arduo detto ‘volante’ o il
ribattuto in ricochet, di cui è doviziosa di
esempi la Zingaresca di Sarasate. Questa
fluidità è poi naturalmente il risultato di una
fluidità del polso e delle dita nella gestione
di arco e strumento che ha davvero del
portentoso. Un’altra qualità del suono di Leong
è il colore: il Guarneri del Gesù, si sa, è un
violino che offre di suo un suono denso e
piuttosto scuro, potente. Ebbene, la scelta da
parte di Leong di suonare un Guarneri del Gesù è
già un’indicazione, potremmo dire, di scelta di
un suono: il violinista canadese sfrutta al
massimo delle possibilità le caratteristiche del
‘suo’ strumento: dunque il suono di Kerson Leong
è un magnifico suono brunito, che permette tra
l’altro forti contrasti timbrici nel passaggio
dalle zone più scure a quelle più acute delle
quattro corde, un suono di energia vigorosa e
potente, d’intensa proiezione, ma che Leong sa,
al caso, ammorbidire con delicatezza,
raggiungendo esiti di un melodismo intenso e
coinvolgente, di struggente malinconia, come
nella terza sezione ‘Un poco più lento’ della
Zigeunerweisen, dove la sordina rende ancora più
suggestivo il mondo sonoro creato da Kerson
Leong. Insomma, un suono di forte carica
espressiva. Ed ecco allora che un pezzo, pur
ricco di parti di vertiginoso virtuosismo, come
Invierno porteño, interpretato dal violinista
canadese, si incide nella nostra memoria per la
struggente nostalgia che avvolge le sezioni
agogicamente più lente, tanto più suggestive
quanto più si contrappongono alle sezioni più
rapinosamente ‘danzanti’ di questo neotango di
Piazzolla. Anche “I palpiti” di Paganini, se
certo sono un brano di cui la più acrobatica
fioritura virtuosistica è la ragion d’essere, è
però anche vero che l’ascoltatore appena attento
non si sarà lasciato sfuggire le raffinatezze
timbriche che Kerson Leong ha saputo cavare dal
suo Guarneri del Gesù nella Variazione seconda.
Tre pezzi, quelli che il programma del recital
affidava al giovane violinista venuto dal
Canada, eseguiti splendidamente, sempre
accompagnato esemplarmente dalla Camerata Ducale.
Applaudito dal pubblico stipato in platea e nei
palchi con un livello di applausi degno di una
rockstar, Leong ha concesso ben cinque bis.
Dello spagnolo Francisco Tàrrega (1852-1909) “Recuerdos
de l’Alhambra”, due composizioni di Ysaye (autore
‘di baule’ per Leong, che lo ha anche inciso),
un Andante di Bach e un ultimo brano di cui ci
(ma non solo a noi) è sfuggito il nome
dell’autore. Dire che sono state tutte
esecuzioni bellissime sarebbe dire un’ovvietà:
quella che ci ha colpito di più è la prima, una
sorta di ‘motus perpetuus’, una melodia
indefinita e suonata in spiccato, dal ritmo
lento, da cui si sprigionava un’espressività
enigmatica, vagamente ipnotica, come l’abbandono
a un ricordo o a un sogno (talvolta sono la
stessa cosa), remoto e indicibile con altro
mezzo che non sia la musica, specie se suonata
da solisti come Kerson Leong.
(Foto dall'Uff.Stampa di Vercelli)
26-02-23 Bruno Busca
Un nuovo lavoro
di Silvia Colasanti,
tra i brani di Strauss e Prokof'ev diretti da
Jaume Santonja
Un impaginato importante
quello di ieri sera ascoltato in Auditorium, che
ha visto alla guida dell'Orchestra Sinfonica di
Milano il "Direttore Principale Ospite" Jaume
Santonja. Sta percorrendo una veloce strada il
direttore spagnolo, alla guida in questi anni di
molte orchestre della sua terra e di molte altre
e uropee.
La vastità del suo repertorio lo ha portato ieri
a dirigere due noti lavori di Richard Strauss e
di Sergej Prokof'ev, lasciando in una posizione
centrale il nuovo lavoro della compositrice
romana Silvia Colasanti. Time's Criel Hand,
tre sonetti in musica per controtenore e
orchestra è una
commissione della Sinfonica milanese
interpretato ieri in
Prima esecuzione assoluta. La Colasanti è tra le
più affermate ed eseguite compositrici italiane
e nel lavoro presentato, ispirato e costruito su
tre sonetti di W. Shakespeare, ha utilizzato una
voce da controtenore per delineare una pregnante
musicalità melodica in un tessuto orchestrale
ardito, ma di non difficile comprensione. La
limpida voce del controtenore Alex Potter ha con
efficacia cantato i testi del grande poeta
inglese, rivelando una timbrica chiara e ricca
di sfumature, mentre l'eccellente orchestrazione,
definita benissimo da Santonja e dagli
orchestrali, ha ben sottolineato le inflessioni
vocali e il testo in inglese del poeta. Di
grande espressività emotiva, nell'ampia
componente tonale di una ricca partitura, il
brano della
Colasanti,
che al termine dei diciotto minuti di musica ha
avuto un deciso apprezzamento dal numeroso
pubblico presente in Auditorium. Al termine
della bella e raffinata esecuzione, fragorosi
gli applausi anche alla compositrice, salita sul
palcoscenico. Temi legati a Shakespeare erano
presenti anche nel primo lavoro ascoltato di
Richard Strauss, con il suo Macbeth op.23
e nell'ultimo di Sergej Prokof'ev con la celebre
Suite dal Romeo e Giulietta. Ottime le
interpretazioni, con un fragore di sonorità
della corposa orchestra nel noto poema
sinfonico straussiano e con le trasparenze
neoclassiche, delicate o voluminose, nello
splendido Romeo e Giulietta del
compositore russo. Di ottima qualità la
direzione e la resa musicale dell'Orchestra
Sinfonica di Milano. Domenica, alle ore 16.00 si
replica. Assolutamente da non perdere.
25 febbraio 2023 Cesare
Guzzardella
Musica
di Beethoven, di Schönberg e
di Sonia Bo per
I Pomeriggi Musicali
Un programma coraggioso
quello offerto ieri sera al Dal Verme dall'Orchestra
"I Pomeriggi Musicali". Un brano
contemporaneo e uno del Novecento storico hanno
avuto come momento centrale il noto Concerto
n.3 in Do minore op.37 di L. v. Beethoven.
La direzione dell'orchestra era affidata a Marco
Angius, direttore specializzato nella musica del
Novecento e Contemporanea. Il
primo
interessante brano eseguito, della compositrice
Sonia Bo - docente del Conservatorio milanese ed
ex direttrice di quella importante Istituzione-
ha introdotto la serata. La prima esecuzione
assoluta di Variazioni di Luce, lavoro
commissionatole da I Pomeriggi Musicali, ha
rivelato le qualità estetiche della Bo. È una
composizione dalla durata di una decina di
minuti a tinte scure, spesso illuminate dal
riconoscibile noto tema iniziale mozartiano
tratto dalla celebre Sinfonia n. 40.
Questo "oggetto musicale" improvvisamente viene
introdotto all'interno di una situazione ricca
di contrasti, tornando in modo variato e
parcellizzato come luce di riferimento.
Un lavoro di ottima fattura, orchestrato molto
bene dalla Bo, che ricorda certe scelte fatte in
passato da Luciano Berio. Applausi calorosi dal
numeroso pubblico presente in sala anche alla
compositrice salita sul palcoscenico. Il celebre
Concerto n.3 di Beethoven ha visto come
solista al pianoforte il sud-coreano Joe Hong
Park, un interprete importante, vincitore nel
2021 dell'ultimo prestigioso Concorso
Internazionale "Ferruccio Busoni". L'ottima
interpretazione ha
trovato
un solista decisamente orientato al molto
classico, che ha definito ogni situazione del
celebre concerto, elargendo sicurezza e, a
bisogno, anche raffinata leggerezza discorsiva.
Rilevante la lunga Cadenza pianistica
dell' Allegro con brio iniziale. Valide
le sinergie con l'orchestra e la precisa
direzione di Angius. Di ottima resa il bis
pianistico concesso da Park con il celebre
Preludio in si minore di Bach-Siloti. Dopo
il breve intervallo intensa e significativa la
resa della Kammersymphonie n.2 op.18 di
Arnold Schönberg, brano importante in due
movimenti, Adagio e Con fuoco, che
iniziato dal compositore austriaco nel 1906
nella sua innovativa costruzione architettonica
tra passato e moderno, segna le novità di
scrittura musicale del primo Novecento, anche se
il lavoro venne ripreso e completato solo nel
'39 da Fritz Stiedry, eseguendolo negli Stati
Uniti l'anno successivo.
Esemplare la direzione di Angius e la resa
complessiva degli ottimi "I Pomeriggi Musicali"
che hanno anche messo in rilievo validi
interventi solistici previsti in partitura.
Sabato, alle ore 17.00, la replica del concerto.
Da non perdere.
24 febbraio 2023 Cesare
Guzzardella
A VERCELLI AL
VIOTTI CLUB ALL’ORA DEL
TE’ RECITAL DI GIULIA VENTURA
Tra le sempre più numerose e
interessanti attività organizzate a Vercelli
dalla Camerata Ducale, dall’agosto dello scorso
anno è compreso anche il Viotti Tea. Di che si
tratta? Lasciamo la parola alla brochure del
programma della stagione della stessa Camerata
Ducale: “Al Viotti club la tradizionale ora del
tè diventa l’ora della musica: una volta alla
settimana, di solito al Giovedì pomeriggio, la
sala ospita un concerto che vede protagonisti
giovani solisti di grande talento.”: quello di
oggi era il concerto n.78. Un’altra di quelle
intelligenti e generose iniziative con cui la
Camerata Ducale, con una passione che non teme
confronti in Italia, si sforza di promuovere
l’attività e la carriera dei giovani musicisti
di valore, in questo Paese troppo spesso
abbandonati a se stessi. Per lo più si tratta di
diplomandi o diplomati del Conservatorio G.
Verdi di Torino, ma ospite del Viotti Club,
all’ora del tè di oggi pomeriggio, 23 febbraio,
era la pianista novarese Giulia Ventura, che ha
compiuto i suoi studi presso il Conservatorio G.
Cantelli di Novara, dove ha avuto, tra i suoi
Maestri L. Schieppati e M.
Coppola.
Tra Piemonte e Lombardia, Giulia Ventura, grazie
ad un già nutrito carnet di concerti, solistici
e con orchestra, in questi ultimissimi anni sta
cominciando a ‘farsi un nome’ , a creare intorno
a sé un certo interesse. Nel recital di oggi, la
giovane pianista presentava un programma che
comprendeva la Sonata in Mi bem. maggiore op.31
n.3, nota come “La caccia”, di L. van Beethoven,
tre composizioni di F. Liszt (uno degli autori
più presenti nel repertorio attuale di Ventura e
che lei ha confessato essere al momento il suo
preferito, in una conversazione con gli
spettatori successiva al concerto), vale a dire
la “Vallée d’Obermann” dagli Années de
Pèlerinage, vol.1, e due Rapsodie Ungheresi, la
n. 5 in mi minore e la n.6 in Re bem. maggiore,
per concludere con Feux d’artifice, ultimo brano
del secondo libro dei Préludes di C.Debussy.
Come si vede a colpo d’occhio, soprattutto per
gli ultimi quattro pezzi, un programma di
intenso impegno tecnico-esecutivo, che richiede
al solista notevoli capacità virtuosistiche.
Diciamolo subito: Giulia Ventura ha confermato
appieno le doti di brillante virtuosa che da lei
si aspettavano gli ascoltatori , per la sua fama
e per i pezzi in programma, ma questa sua
abilità non si esaurisce nella pura esibizione
esteriore fine a se stessa, ma sa dare voce a
più profonde intenzioni espressive. Il tocco
della pianista novarese aderisce alle sfumature
timbriche e alla varietà dei registri dinamici
della partitura con sensibilità di interprete,
intesa a penetrare il mondo sonoro evocato dalla
tastiera. Al netto di qualche episodica e lieve
imprecisione, le sue esecuzioni sono state
valide e convincenti. La fresca vitalità e il
ritmo gioioso che pulsano quasi incessanti
attraverso tutta la sonata beethoveniana op 31
n.3, insolitamente priva di un tempo lento,
trovano adeguata espressione
nell’interpretazione della Ventura, che
giustamente, peraltro, accentua il lirismo cui è
improntato il Minuetto, quasi come momentanea
pausa di respiro, prima di riprendere quella
sorta di corsa senza fine che culmina nel
‘Presto con fuoco’ finale, la parte tecnicamente
più impegnativa di tutto il pezzo, suonata
dall’interprete con vigorosa energia, cavando
dal mezzacoda un volume di suono quasi
orchestrale, come vuole il pianismo del
Beethoven del c.d. ‘secondo stile’. Brava è la
pianista novarese a condurre l’ascoltatore in
quella sorta di romanticissimo ‘viaggio
dell’anima’, di Wanderung di un’interiorità
anelante all’infinito, che è la Vallèe
d’Obermann lisztiana: come in tutta la musica di
Liszt, qui, al posto dell’elaborazione tematica,
centrale in Beethoven, subentra un diverso
principio costruttivo del mondo musicale, quello
della metamorfosi timbrica e coloristica di un
tema-base, in questo caso il sobrio e delicato
tema affidato nell’incipit alla mano sinistra.
Giulia Ventura è brava a esplorare tutta la
varietà di colori, di chiaroscuri, di ritmi e
dinamiche di cui questa mirabile partitura fa
sfoggio, con le sue libere avventure tonali e
armoniche, senza mai cadere, anche nelle sezioni
agogicamente più mosse del lungo pezzo, nella
pura ostentazione di bravura. La Rapsodia n. 5
di Liszt, è un po’ un’eccezione tra i diciannove
pezzi della raccolta, perché sviluppa solo la
sezione lenta (lassan) della Csarda, la danza
ungherese che fornisce lo schema base di queste
composizioni. Giulia Ventura la suona con un
tocco che ammorbidisce un poco la scura
tessitura timbrica che domina il pezzo, quasi a
volerne attenuare il senso di desolazione da cui
è ispirata questa vera e propria marcia funebre.
Se nella Rapsodia n.6 di Liszt la Ventura
sfoggia al meglio le sue doti di agilità e
virtuosismo, è a nostro avviso nei debussyani
Feux d’artifice che la pianista novarese
fornisce una delle sue migliori interpretazioni
nel concerto odierno. E’, questo, un Debussy,
che porta a conclusione la sua ricerca musicale,
che fin dall’inizio, estremizzando le
suggestioni lisztiane, fa del timbro l’esclusivo
principio costruttivo del discorso musicale: ma
qui non è più il Debussy delle vaporose volute
sonore, dei delicati arabeschi, è un Debussy di
cui l’interpretazione della Ventura mette
giustamente in risalto la forza, la tensione con
cui i timbri sono quasi strappati agli
ottantotto tasti del pianoforte, ricorrendo a
ogni virtuosismo, che mette a dura prova
l’agilità della diteggiatura e in generale le
capacità tecniche dell’interprete. Una prova che
la Ventura supera alla grande, confermandosi
pianista di ottimo livello. L’apprezzamento del
pubblico convenuto nel delizioso ‘salotto’ del
Club Viotti, espresso da un lungo applauso, ha
ottenuto un bis; come ci ha informato la stessa
Giulia dopo la conclusione del concerto, si è
trattato di un pezzo di alquanto rara esecuzione:
una delle c.d. “Opere postume” di R. Schumann,
cioè uno dei cinque pezzi originariamente
composti per gli Studi sinfonici op.13, poi
scartati e lasciati nel cassetto, per essere
pubblicati, appunto postumi, molti anni dopo, da
Brahms. Un’esecuzione decisamente bella,
pienamente aderente al mutevole fluire, ricco di
sfumature, del suono di un pezzo, che, sotto il
profilo formale, è una variazione su un tema. Un
bel pomeriggio di musica, meritevole di essere
ricordato.
(Foto dall'Uff.Stampa di Vercelli).
24 febbraio 2023 Bruno Busca
Un memorabile Arcadi
Volodos in
Conservatorio per la "Società dei Concerti"
Un programma di straordinario
interesse e di non facile ascolto quello di ieri
sera in Conservatorio a Milano per la Società
dei Concerti. Il cinquantenne Arcadi Volodos,
da alcuni anni ospite
dell'importante
organizzazione concertistica, ha voluto
accostare nell'impaginato due importanti
compositori: il poco eseguito barcellonese
Federico Mompou (1893-1987) e il più noto
moscovita Aleksandr Skrjabin (1872-1915). I
numerosi brani eseguiti di Mompou e di Skrjabin
hanno in comune molti aspetti musicali legati ai
colori e alla ricerca di timbriche nuove, nella
più semplice ma efficace declinazione dello
spagnolo e nella più complessa e virtuosistica
modalità di scrittura del russo. La prima parte
del concerto prevedeva tutto Mompou con le
Scènes d'enfants e una selezione da
Música callada, eseguiti senza interruzione.
Rispettivamente cinque e dodici brani, spesso
brevi o ridotti all'osso, che rivelano
l'originalità
e la genialità dell'autore mediata da
un'interpretazione di altissimo livello dove
Volodos ha colto con un'intimità sbalorditiva la
poetica del compositore. Le straordinarie
qualità del celebre pianista russo sono ancor
più emerse nei tredici brani di Skrjabin
eseguiti senza interruzione: da quelli di minore
durata quali lo Studio n.2 op.8 e lo
Studio n.11 op.8, ad una serie di
cinque Preludi
dalle op. 11-16-22-37, ai Poème
n.1-2-3. Passando per la visionaria Danse
n.2 "Flamme Sombres" Op.73, si è arrivati
poi
ai lavori più corposi ed
impegnativi: la difficilissima Sonata n.10
op.70 e l'altrettanto virtuosistica Vers
la flamme op.72. Le capacità di restituzione
di Volodos in Skrjabin trovano pochi rivali per
qualità timbrica, unità costruttiva e valenza
virtuosistica ed espressiva. La sconvolgente
Sonata n.10, giocata su una serie di trilli
ripetuti all'infinito, all'interno di un mondo
di timbriche visionarie e suggestive, ha trovato
nel pianista un interprete ideale, capace di
penetrare in modo viscerale le intenzioni del
grande musicista russo,
impressionante
anticipatore di tutta la musica del Novecento.
Quattro i brevi ed intensi bis concessi. In
ordine d'esecuzione: di
Skrjabin la Mazurka op.25 n.3, di Mompou
Secreto, la n.8 delle
Impresiones Intima;
di Rachmaninov, Oriental Sketch e
ancora di Skrjabin il Preludio op.2 n.3.
Interpretazioni mirabili. Pubblico in Sala Verdi
entusiasta con Volodos visibilmente soddisfatto!
Serata memorabile!
23-02-2023 Cesare Guzzardella
Successo
all'ultima replica de
I Vespri Siciliani
Grande successo di pubblico,
con lunghi e fragorosi applausi al termine
dell'ultima replica de I Vespri Siciliani
alla Scala. Le parziali critiche negative lette
su alcuni giornali dopo la prima
rappresentazione sono
oramai
andate nel dimenticatoio e il meritato
entusiasmo verificato ieri sera nel teatro al
completo trovano una decisa approvazione. I
Vespri Siciliani, musicati da Verdi su
libretto di Eugène Scribe e Charles Duveyrier,
mancavano alla Scala dal 1989-90 e dopo oltre
trent'anni questa nuova produzione ha trovato
una resa complessiva valida a partire dalla
ottima concertazione di Fabio Luisi e
dall'importante ed eccellente componente corale
preparata da Alberto Malazzi. Un'attenzione ai
dettagli, una chiarezza timbrica e un rispetto
delle voci che segnano l'alto livello
interpretativo.
La regia, le scene e i costumi di Hugo de Ana
hanno mostrato una certa debolezza in alcuni
frangenti, non nei momenti di grande coralità,
ma in quelli nei quali pochi protagonisti si
muovevano in scena. Se la regia ci è apparsa
debole, la scenografia anche
nell'attualizzazione e nei suoi toni grigi è
comunque apprezzabile. Bene le luci di Vinicio
Cheli e la coreografia di Leda Lojodice. Il cast
vocale dell'ultima recita ha subito all'ultimo
momento alcuni cambiamenti con Angela Meide,
indisposta, sostituita da Marina Rebeka e Piero
Pretti, indisposto, sistituito da Matteo Lippi.
Ottima la resa complessiva dei cantanti: la
Duchessa Elena della Rebeka ha assolto
pienamente al suo ruolo con frangenti di
eccellente espressività, anche se in alcuni
momenti la mancanza di volumetrie hanno impedito
un'ancor più alta resa.
L'Arrigo
di Matteo Lippi si è dimostrato una rivelazione
per qualità e bellezza timbrica, molto chiara in
tutti i registri anche se non di grande
volumetria. Ottimi il Guido di Monforte
di Roman Burdenko e il Giovanni da Procida
Simon Lim, entrambi di chiara e potente
espressivitá. Bravi tutti gli altri. Ricordiamo
la prossima opera, La Bohème, in scena dal 4 al
26 marzo con ben otto recite complessive e un
cast vocale importante. Da non perdere!
(Foto in alto di Brescia e Amisano dall'Archivio
del Teatro alla Scala)
22 febbraio 2023 Cesare
Guzzardella
Giovanni Sollima e
Mario Brunello
ai concerti di Serate Musicali
Una serata speciale quella
ascoltata ieri sera in Conservatorio ai concerti
organizzati da Serate Musicali. Due noti
violoncellisti quali il siciliano Giovanni
Sollima e il veneto Mario Brunello hanno
costruito un impaginato
a
loro misura, con particolari trascrizioni di
brani di Verdi, Stravinskij, Bertali, Bach, ai
quali si aggiunge un lavoro di Sollima stesso,
noto anche come compositore, e un'altro dei
Queen, celebre gruppo di rock melodico della
metà degli anni '70. Il concerto è inizialmente
stato presentato in modo scherzoso dai due
protagonisti che hanno raccontato il programma e
hanno messo in risalto i numeroso strumenti
presenti sul palcoscenico tra cui due strumenti,
un violino e un violoncello costruito nel
laboratorio di liuteria e falegnameria del
carcere di Opera, realizzati dai detenuti
utilizzando il legno dei barconi dei migranti
arrivati a Lampedusa. La serata iniziava con
un'anticipazione musicale usando proprio il
recente violoncello da poco costruito, ricco di
colori, per un brano improvvisato molto
mediterraneo e dal sapore orientale. In questa
riuscita originalissima operazione musicale un
ruolo importante
è
stato dato dall'uso del violoncello piccolo, a
volte suonato con il "fratello maggiore" , a
volte in coppia con un altro medesimo.
L'introduzione verdiana prevedeva alcuni brani
del sommo operista di Roncole di Busseto
trascritti per i due strumenti ad arco da
Antonio Melchiori: dalla Traviata una
sorta di suite con prima il celebre Preludio
poi “Dell’invito trascorsa è già l’ora…”
quindi “Libiamo ne’ lieti calici”. La
splendida voce dei due strumenti ha ben
delineato la musicalità verdiana restituendo un
valida resa timbrica. Il brano successivo di
Igor Stravinskij, con la neoclassica Suite
Italienne in sei parti, in una trascrizione
dei grandi virtuosi Grigory Piatigorsky e Jascha
Heifet z,
qui eseguita con il violoncello piccolo al posto
del violino, ha ancora mostrato l'eccellenza dei
due interpreti. Due Ciaccone hanno
continuato la serata, prima quella rara di
Antonio Bertali (1605
–
1669), musicista italiano seicentesco e poi la
celeberrima Ciaccona in re minore dalla
Partita n.2 per violino solo di I.S. Bach.
Entrambe erano trascritte per due violoncelli
piccoli. La prima ha rivelato le incredibili
capacità virtuosistiche dei protagonisti che con
un flusso di continue variazioni su un tema,
hanno dato vita ad un brano folclorico ricco di
creatività.
Nella
nota Ciaccona di Bach -per la trascrizipne di
Victor Derevianko del 1937- sono stati
restituiti molto bene i timbri delle originali
armonie con una corretta divisione delle parti
tra i due cellisti. Raro anche il brano
successivo di Giovan Battista Costanzi ( (1704
–
1778), la sua Sonata in fa maggiore "Ad uso
corni da caccia" trascritta per due
violoncelli da Sollima e con un finale
arrangiato e modificato dal compositore nel suo
tipico stile melodico. Di valore il brano
piuttosto recente composto da Giovanni Sollima,
The Hunting Sonata per due violoncelli,
dai colori tipici del cellista, con inflessioni
mediterranee ed estetiche medio orientali.
Eseguito con un violoncello di cartone da
Sollima e dall' altro colorato, ha trovato una
situazione improvvisatoria di valido gusto
estetico e di notevole espressività. Conclusione
eccellente con una ottima interpretazione del
celebre brano dei Queen, Bohemian Rhapsody,
nel quale ancora una volta sono emerse le
straordinarie qualità dei due cellisti. Applausi
fragorosi ripetuti, in una Sala Verdi con
numerosissimo pubblico e , cosa rara, con molti
giovani. (foto di Alberto Panzani
dall'uff.Stampa Serate Musicali)
21 febbraio 2023 Cesare
Guzzardella
Carlo Boccadoro
direttore e
compositore per l'Orchestra de "I Pomeriggi
Musicali"
Carlo Boccadoro, compositore,
direttore d'orchestra, pianista e organizzatore
musicale, ha diretto l'Orchestra "I pomeriggi
Musicali" al Dal Verme, proponendo due brani
classici di Mozart e di Prokofiev e
due composizioni
contemporanee di Michael Nyman (1944) e dello
stesso Boccadoro (1963). Una scelta intelligente
quella del musicista marchigiano,
che
oltre a privilegiare repertori di più immediata
fruizione, cerca di proporre stili musicali dei
nostri tempi che portino l'ascoltatore
all'abitudine di nuove sonorità. Le qualità
direttoriali di Boccadoro sono apparse evidenti
nella Sinfonia n.31 in re maggiore K.297 "Parigi"
e nel bellissimo brano neoclassico di Sergej
Prokofiev, con la Sinfonia n.1 in re maggiore
op.25 "Classica". In entrambi i brani
l'esternazione timbrica, ricca di positività, ha
trovato un'energica ed estroversa
interpretazione del direttore, per una
restituzione efficace, ricca di luminosità da
parte dei bravissimi orchestrali. Di particolare
rilievo i due lavori contemporanei centrali. Il
primo di Nyman, Strong on Oaks, Strong on the
Causes of Oaks, è un lavoro del 1997
eseguito per la prima volta in Italia. Il
compositore inglese, che ha trovato fama grazie
alle sue colonne sonore, specie nei film di
Peter Greenaway, è da anni uno dei più
importanti compositori
europei
provenienti da quel genere musicale denominato
Minimalismo, che ha trovato poi un linguaggio
molto personale di non difficile presa emotiva
per via delle timbriche chiare, decise e ricche
di accenti che trovano anche riferimenti al
mondo dei compositori inglesi del passato e del
Novecento ( Britten, Williams ecc). Il brano, in
cinque brevi parti, ha visto una chiarissima
interpretazione da parte di Boccadoro, che ha
evidenziato la poliritmia di sequenze sonore
ricche di contrasti tra le sezioni orchestrali e
con riferimenti ad elementi folclorici, specie
scozzesi. Un lavoro estroverso e anche festoso.
La composizione di Carlo Boccadoro, in prima
escuzione assoluta per la commissione de "I
Pomeriggi Musicali", era in netto contrasto -
come spiegato dal direttore stesso- con il resto
del programma. Afternoon Variations è
definito da un'atmosfera complessiva cupa di
poche note, che coinvolge i colori orchestrali,
un passaggio d'interessanti "variazioni
timbriche" che ben delineano la scelta
compositiva, molto raffinata, del musicista e
che trovano, a mio avviso, riferimenti con le
timbriche di un Charles Ives e di certo
Stravinskij. Un brano efficace che meriterebbe
di essere presto riproposto. Grande successo di
pubblico alla replica ascoltata ieri pomeriggo,
con al termine il direttore visibilmente
soddisfatto.
19 febbraio 2023 Cesare
Guzzardella
SERATA SCHUBERTIANA A
VERCELLI CON LA CAMERATA DUCALE JUNIOR
Ieri sera, sabato 18 febbraio,
il suggestivo Salone Dugentesco di Vercelli ha
ospitato un recital di quattro giovani musicisti
dell’orchestra Camerata Ducale Junior (CDJ), una
formazione di archi, nata nel 2017 come futura
erede dell’attuale Camerata Ducale e costituita
da strumentisti di età non superiore ai
venticinque anni, selezionati tra gli allievi
più talentuosi dei vari Conservatori italiani o,
se già diplomati, impegnati in percorsi di
studio con prestigiosi Maestri in Italia e
all’estero. Il concerto di ieri sera rientra
nell’ambito di una vera e propria stagione della
Camerata Ducale Junior, che da sei anni
accompagna quella della ‘sorella maggiore’ e
vede alternarsi sul palcoscenico i vari giovani
e giovanissimi musicisti in concerti di musica
da camera. In questa attività i giovani della
CDJ sono affidati, per la preparazione dei
concerti, a Maestri famosi, di grande esperienza,
che poi partecipano al concerto stesso, insieme
coi loro allievi. Così, ieri sera, due ‘fanciulle
in fiore’, Giulia Rimonda (primo violino) e
Alice Tomada (secondo violino) e due virgulti
della ‘meglio gioventù’ musicale italiana,
Lorenzo Lombardo (viola) ed Ettore Pagano
(violoncello), sotto la vigile guida del loro
Maestro-preparatore, il violoncellista Giovanni
Gnocchi (solidissima carriera internazionale,
con tanto di premi in vari concorsi alle spalle,
e attuale titolare di una classe di violoncello
al Mozarteum di Salisburgo) hanno eseguito uno
dei capolavori assoluti della musica cameristica,
il Quintetto per archi in Do maggiore op.163 D.
956 di Franz Schubert. Era questo l’unico pezzo
in programma: a parte la sua ampiezza (quasi
un’ora di durata), la sua prodigiosa bellezza è
tale, da rendere consigliabili, quasi necessari,
un’esecuzione e un ascolto consacrati
esclusivamente ad esso. Una chiave
interpretativa per chi esegua questo monumento
della musica è proprio la formazione del
Quintetto, prescelta da Schubert, piuttosto
inconsueta nel terzo decennio dell’800, quando
esso venne composto. Allora nel Quintetto per
archi si era affermato l’ensemble impiegato da
Mozart qualche decennio prima per i suoi sei
quintetti per
archi, vale a dire due violini,
due viole e un violoncello, sostituendo la
formazione della trentina di Quintetti per archi
di Boccherini che, nella maggior parte dei casi,
prevedeva invece una sola viola e raddoppiava i
violoncelli, esattamente la formazione prescelta
da Schubert. Perché questa scelta di Schubert?
Appare chiaro che, raddoppiando i violoncelli,
Schubert cerca un tono più caldo, una tessitura
d’insieme più morbida e più variegata
timbricamente, adatta ad un’opera di carattere
profondamente lirico e intimistico come questa e
contemporaneamente, aumentando il volume sonoro
degli archi gravi, offre la possibilità di
drammatizzare i momenti di contrasto, di
conflitto tra il registro dei violini e quello,
appunto dei violoncelli, tra i momenti di più
dolce distensione lirica e quelli di più intensa
inquietudine. Il taglio interpretativo prescelto
dal quintetto CDJ e dal suo impareggiabile
mentore G. Gnocchi è ispirato precisamente dalla
volontà di portare in primo piano le linee di
tensione e contrasto che corrono, come faglie
sismiche sempre pronte ad affiorare, anche nei
momenti più calmi e contemplativi, della
partitura e conferendo ai momenti più mossi
un’energia dinamico-agogica, che, se magari
sacrifica qualcosa della vellutata morbidezza
dei violoncelli, guadagna in forza drammatica e
in pathos. Grazie anche ad una perfetta intesa
tra i cinque componenti dell’ensemble e ad una
cura meticolosa dei dettagli timbrici e dinamici,
frutto di uno strenuo lavoro di preparazione
durato poco meno di una settimana (secondo
quanto dichiarato dallo stesso Gnocchi in un
breve, quanto lucido e illuminante discorso di
presentazione del concerto), ne è scaturita
un’interpretazione di altissimo livello, che ,
tenuto conto anche della giovanissima età (la
media è di ventun anni!) di quattro dei cinque
strumentisti, ha dello stupefacente. Fin da
subito le intenzioni interpretative sono
chiarite all’ascoltatore dall’esposizione del
primo gruppo tematico dell’Allegro ma non troppo,
ove, dopo una decina di battute di calma serena,
irrompe, sostenuta da un cambiamento timbrico
nel segno di un suono costruito su un registro
assai cupo e lacerante, una serie di tre,
quattro battute, che dissolvono l’elisio
incantesimo dell’esordio, sorta di ‘irruzione’
mahleriana ante litteram. Bravissimi i cinque
nel valorizzare in tutte le sue sfumature la
palette timbrica in cui si ripresenta più volte
il magico secondo tema, e in cui il dialogo/conflitto
tra il primo violoncello di Gnocchi e il primo
violino di Giulia Rimonda ha momenti di rara
intensità emotiva. Ma è nello sviluppo di questo
primo tempo, che la scelta interpretativa di
Gnocchi e del suo gruppo di prodigiosi giovani
dispiega tutte le sue potenzialità, eseguendo
con un’intensità ‘beethoveniana’ una sezione
ricca di contrasti, singhiozzante di sincopi sul
ritmo dominante di una marcetta un po’
enigmatica, su cui si era chiusa l’esposizione.
Nel meraviglioso secondo movimento (Adagio),
rispetto alla sognante staticità della prima
sezione, nell’esecuzione ascoltata ieri, la
sezione centrale sembra letteralmente esplodere
in un dinamismo sovreccitato, sostenuto da tutto
il peso di una timbrica del primo violoncello
esaltata in ciò che ha di più cupo, coinvolgendo
anche il tremito ostinato del secondo
violoncello, e da un colore dei violini e della
viola che, abbandonando ogni morbidezza, si fa
stridente e quasi ‘metallico’. In perfetta
coerenza con questa linea interpretativa si pone
anche il sorprendente Presto, in cui il tema
della ‘caccia’, lungi dall’essere presentato,
come suole, come momento di abbandono a un
gioioso vitalismo, in una sorta di inebriante
slancio panico con la natura, grazie ad una
timbrica virata su registri piuttosto aspri e a
un gioco efficacissimo dei chiaroscuri dinamici,
si carica di una tensione vagamente
allucinatoria, assumendo talora le cadenze di
una danza quasi demoniaca, rendendo inquietante
quella che in altre interpretazioni appare come
una pagina di ‘assoluta innocenza’. Infine,
persino il Rondò-sonata dell’Allegretto finale,
specie nella sezione dello sviluppo,
nell’esecuzione del quintetto CDJ, perde ogni
residuo di cordiale gioiosità, che è proprio, in
genere del tempo in rondò, per venarsi di
fratture, contrasti, tensioni, che non sembrano
acquietarsi neppure nelle battute finali,
avvolte da una tinta scura, presaga di
inquietanti misteri. Insomma, uno Schubert,
questo propostoci ieri sera dal Quintetto CDJ,
che più che il magico Schubert di una wanderung
romantica sognante e dolcemente malinconica,
appare sospeso tra echi beethoveniani e future
atmosfere mahleriane (e che il debito di Mahler
con Schubert sia cospicuo è dato ormai assodato
dalla musicologia contemporanea). Un concerto di
grandissimo valore, cui ciascuno dei cinque
protagonisti ha recato il suo contributo di
eccellenza. Il lunghissimo applauso del pubblico,
in formato sold out, ha attestato il pieno
successo della serata, e ha ottenuto un bis, la
prima sezione del Presto. Una serata da
ricordare! ( foto in alto (Giovanni Gnocchi)
photo © Cristian Chiodelli dall'Uff.Stampa)
19-02-23 Bruno Busca
Andrey Boreyko
dirige
l'Orchestra Sinfonica di Milano nella "
Leningrado" di
Šostakovič
L'Orchestra Sinfonica di
Milano ha interpretato in questi anni decine di
volte numerose Sinfonie di Šostakovič avendo
come guida ottimi direttori
d'orchestra. Nella
celebre Sinfonia n.7 in do maggiore op.60
"Leningrado" - ascoltata nella prima
replica- ieri sera è stata
la volta di Andrey Boreyko. Russo, con primi
studi di canto a San Pietroburgo, Boreyko ha
interessi poliedrici e nella musica ha trovato
passioni che spaziano dalla musica antica, al
rock progressivo, al mondo classico e
contemporaneo. Il lavoro scelto con la
monumentale Sinfonia Leningrado, composta da
Dmirtri
Šostakovič
nel 1941-42, dedicata alla resistenza
all'assedio nazista, è
certamente di grande impatto
volumetrico, con
momenti di tregua anche
poetici dalle timbriche
anche cameristiche. L'interpretazione ascoltata
ha ancora una volta messo in rilievo le
eccellenti qualità della compagine orchestrale
in ogni sezione strumentale e anche nei numerosi
interventi solistici. Boreyko ha diretto con
precisa gestualità gli orchestrali, entrando con
intensa identificazione nel mondo musicale del
grande russo e trovando una restituzione dai
sinfonici milanesi convincente sotto ogni
profilo, probabilmente dovuta anche
all'esperienza maturata in questi anni dagli
strumentisti in relazione a quel mondo timbrico
russo. Un'esecuzione di alta qualità quindi,
molto apprezzata dal numeroso pubblico
dell'Auditorium. Domenica 19 febbraio, alle ore
16.00, l'ultima replica. Da non perdere.
18 febbraio 2023 Cesare
Guzzardella
Il ritorno di
Daniel Barenboim
alla Scala per le tre ultime sinfonie di Mozart
Un sorprendente successo per
Daniel Barenboim al Teatro alla Scala, ritornato
dopo un lungo periodo di convalescenza, avendo
avuto seri motivi di salute. Il celebre
direttore è arrivato inaspettatamente in
sostituzione
di Daniel Harding indisposto. L'impaginato
invariato, prevedeva le ultime tre Sinfonie di
W. A. Mozart, lavori composti dal salisburghese
nel 1788, nell'arco di circa due mesi. La
Sinfonia n.39 K 543 in mi bem. maggiore, la
più celebre N.40 in sol minore K 550, per
via del Molto allegro iniziale e forse la
più importante N.41 K 551 in do maggiore
"Jupiter", con quel travolgente Finale.
Molto allegro, ci hanno rivelato la
riflessiva, analitica ed equilibrata
interpretazione del direttore argentino.
Barenboim, beniamino del pubblico milanese
essendo stato alla guida dell'Orchestra della
Scala per numerosissimi anni,
è stato accolto
con fragorosi applausi ed ha concluso il
concerto con un lunghissimo tripudio di applausi,
con il pubblico in piedi, mostrando tutta la sua
emozione. L'efficace resa espressiva dei tre
lavori, legati da un equilibrio costruttivo
molto simile, ha visto il direttore
interpretarli con gesti misurati, ma di massimo
controllo delle timbriche e delle dinamiche.
Sonorità ben articolate e pesate nei rispettivi
piani sonori, sempre limpidi nei colori e negli
impasti dei diversi timbri delle sezioni
orchestrali. Una certa dilatazione dei movimenti,
elargiti con grande coerenza d'intenzione, ha
dato un carattere riflessivo segnato da colori
bruni. La forza espressiva della Sinfonia
"Jupiter" con quel finale da carattere
conclusivo, ha portato ad un successo memorabile
che rimarrà nella memoria del Teatro alla Scala.
L'ultima replica è prevista per sabato 18
febbraio, alle ore 20.00 . Da non perdere.
( Foto Amisano- Brescia - Archivio Scala)
17 febbraio 2023 Cesare Guzzardella
Seong-Jin Cho
per la Società dei Concerti in
Conservatorio
È la terza volta che torna in
Sala Verdi, nel Conservatorio milanese, il
pianista sud-coreano Seong-Jin Cho, questa volta,
come la prima, in un concerto organizzato dalla
Fondazione La Società dei Concerti. Anche
ieri sera un nutrito gruppo di appassionati
sud-coreani (o altri orientali) è venuto ad
ascoltore il proprio begnamino, celebrità nella
loro nazione, ma
anche
molto affermato internazionalmente dopo la
vittoria nel 2015 del prestigioso Concorso
Internazionale Chopin di Varsavia. Delle sue
ottime qualità interpretative avevamo già
scritto gli anni scorsi (2017-2019) e dopo
l'ascolto di ieri sera possiamo affermare che i
miglioramenti qualitativi di questo ventottenne
pianista lo pongono tra i massimi interpreti
della sua generazione e non solo. Il programma,
interessantissimo e variegato, era incentrato
soprattutto sul genere delle Variazioni e
prevedeva lavori di Händel, Gubaidulina, Brahms
e Schumann. Iniziando con la rara Suite n.5
in mi maggiore di G.F Händel (1685-1759),
Seong-Jin Cho ha da subito espresso la sua alta
cifra interpretativa con un'esecuzione
raffinatissima, dalle timbriche
clavicembalistiche, culminate nell'ultimo
movimento Aria con variazioni "The harmonious
blacksmith" rese con una maestria esemplare
nel variare l' Aria con ardita, luminosa e
scorrevole maestria. Il contrastante brano di
Sofia Gubajdulina (1931), compositrice vivente
russa, con la Ciaccona per pianoforte
(1962) ha rivelato le sbalorditive qualità del
pianista nel repertorio contemporaneo.
Un'esecuzione di alto livello per un brano
virtuosistico di rara potenza espressiva, ricco
di contrasti resi con chiarezza nelle timbriche
con elegante gestualità. Il brano successivo,
che concludeva la prima parte della lunga serata,
era di Johannes Brahms con le arcinote
Variazioni e fuga in si bem.magg. op.24 su un
tema di Händel. Sono 25 variazioni più la
Fuga conclusiva di una breve aria settecentesca
del compositore inglese.
Un'esecuzione
mirabile quella del sud-coreano, giocata su
contrasti dinamici di chiarissima resa timbrica,
perfetta scansione ritmica ed efficace modo di
melodiare nei differenti piani sonori. La
seconda parte della serata si apriva con una
selezione dai Klavierstücke op.76 (
n.1-2-4-5), ancora di Brahms, cui si
aggiungevano ,
senza soluzione di continuità,
i celebri Studi Sinfonici op.13 di Robert
Schumann. Validi i quattro brani dell'amburghese,
tre Capricci e un Intermezzo di pregnante
armonizzazione. Ancor più interessante gli
straordinari Studi Sinfonici schumanniani:
un Tema, Andante iniziale cui fanno
seguito 12 Variazioni (Studi) resi con qualità
crescente dalle perfette mani di Seong-Jin Cho,
con alcuni numeri di profonda riflessione in un'
esecuzione complessivamente meditata e ricca di
colori resi con sicura esternazione. Applausi
calorosissimi al termine del programma ufficiale
e splendido il delicato bis di Händel
nell'arrangiamento di W. Kempff nella sublime
aria del Minuetto in sol minore. Grande
interprete.
16 febbraio 2023 Cesare
Guzzardella
Sergey e Luisine
Khachatryan alle
Serate Musicali
Da alcuni anni il violinista
armeno Sergey Khachatryan è ospite del
Conservatorio milanese, spesso insieme alla
sorella pianista Luisine. Ieri sera ai concerti
organizzati da Serate Musicali la scelta
di un impaginato diversificato ha messo in
risalto le qualità di entrambi gli interpreti.
In programma musiche di Bach, Schubert, Debussy
e Respighi. Il brano per
solo
violino iniziale ha fatto subito emergere le
splendide qualità di Sergey Khachatryan, un
solista che giovanissimo, nel 2000, vinse il
prestigioso Primo Premio al "Concorso
Internazionale Jean Sibelius" di Helsinki.
La celebre Ciaccona di J.S. Bach, dalla
Partita n.2 in re minore (1717), ha
infatti introdotto la serata. Il virtuoso ha
interpretato il corposo lavoro non solo con
perfetto equilibrio formale, ma soprattutto con
energica espressività, giocando sulle dinamiche
e l'agogica nelle sue perfette intonazioni.
Esecuzione esemplare la sua, che ha favorito un
netto contrasto con il secondo brano in
programma, la Sonata n.4 in la maggiore per
violino e pianoforte D.574 composta da F.
Schubert esattamente cent'anni dopo il brano di
Bach, nel 1817. Un lavoro dal carattere
d'intrattenimento interpretato dal duo in
perfetto equilibrio strumentale. Altri cento
anni separano questo lavoro dai due successivi,
eseguiti dopo il breve intervallo. Prima la
Sonata n.3 in sol minore L148 di Claude
Debussy e poi la Sonata in si minore P.110
di Ottorino Respighi,
entrambe
del 1917. La sonata di Debussy, largamente
eseguita nelle sale da concerto, è un lavoro
maturo del compositore, particolarmente evoluto
rispetto ai modi compositivi tipici del grande
francese. Ottima la restituzione del duo
con una rilevante componente pianistica eseguita benissimo dal
pianoforte. Le ottime qualità della pianista
sono emerse anche nel brano finale di Respighi,
un lavoro di rarissima esecuzione che esce dallo
stile più noto del compositore italiano e che
ci porta in un'articolazione armonico-timbrica
di straordinario interesse e di grande
virtuosismo, mediante uno stile evoluto legato
al mondo compositivo franco-tedesco. L'eccellente
interpretazione resa da Sergey e Luisine
Khachatryan, con una parte difficile pianistica
espressa con precisione e apparente facilità da
Luisine, e una raffinata restituzione di Sergey,
ha rivelato ancora le alte qualità dei due
interpreti. Applausi calorosi dal pubblico
presente in Sala Verd i
e ottimo il bis con un
brano di Gabriel Fauré, il celebre Après un
Rêve.
14 febbraio 2023 Cesare
Guzzardella
Alberto Malazzi al pianoforte
per la rassegna "Lieti Calici"
Doveva concludersi oggi la
prima parte della Stagione di Lieti Calici,
ma probabilmente ci sara una coda a fine
febbraio con un altro evento musicale. Oggi
nella capiente sala degli Amici del Loggione
del Teatro alla Scala di via Silvio Pellico
6, un programma quasi improvvisato da Alberto
Malazzi, illustre direttore del Coro del Teatro
alla Scala, e per l'occasione pianista, ha
sostituito quello con il soprano Margherita
Tomasi, indisposta. Malazzi non potendo
accompagnare la cantante - anche compagna nella
vita- ha trovato modo di esprimersi molto bene
con brani classici incentrati in Schubert,
Schumann e Chopin, ma con agganci al mondo
dell'opera di Bellini e, nel bis, di Mascagni,
ottenendo un meritatissimo consenso dal pubblico
presente.
Partendo da un Improvviso di Schubert,
il n.2 op.142, attraversando Schumann con
i deliziosi brevi brani quali Mignon
op.68.n.35 dall' Album della giovent ù
e
Träumerei dalle Kinderszenen op.15, è
approdato ad uno Chopin di splendida fattura
iniziando con un'assoluta rarità: una variazione
da un tema di Marcia dai Puritani di
Bellini resa quasi da sembrare un Notturno. Il
brano commissionato da Liszt, era stato scritto
da Chopin per commemorare Bellini a un anno
dalla sua dipartita. Splendida l'interpretazione
di Malazzi. Gli altri brani chopiniani, tutti
celebri, hanno esaltato il mondo melodico del
polacco. In ordine sono stati eseguite due
Mazurche, l'op.67 n.2 e l'op 67
n.4, il Preludio n.15 "la Goccia", il
Valzer in la minore op.postuma, il
Notturno n.2 in mi bem.maggiore. Valido il
bis con il celebre Intermezzo dalla
Cavalleria Rusticana di Mascagni. Applausi
calorosi e brindisi con eccellenti vini e
prodotti di ottima qualità.(foto di Alberto Panzani)
12 febbraio 2023 Cesare
Guzzardella
GIULIA RIMONDA E LORENZO
NGUYEN AL VIOTTIFESTIVAL DI VERCELLI
Ieri sera, 11 febbraio, al
Teatro Civico di Vercelli il ViottiFestival ha
visto protagonisti due giovani interpreti ( poco
più di quarant’anni in due) ormai ben più che ‘promesse’,
ma entrambi affermatisi nelle sale da concerto
italiane, in questi ultimi anni, fra i più
validi esponenti della loro generazione,
riscuotendo consensi unanimi del pubblico e
della critica in numerosi recital solistici,
cameristici o con orchestra. Parliamo della
violinista Giulia Rimonda, figlia d’arte-cioè
del celebre violinista e direttore
dell’Orchestra Camerata Ducale, Guido Rimonda e
della pianista Cristina Canziani-e del pianista
Lorenzo Nguyen, ieri sera in duo per eseguire un
programma impaginato su quattro tra le perle più
preziose per questa formazione strumentale: i
Quattro pezzi romantici op. 75 di A. Dvorak, la
Sonata n.2 in La maggiore op.100 di J. Brahms,
la Sonata in do minore op. 45 di E. Grieg, per
concludere con il Ravel della famosa Tzigane. Un
programma, dunque, che dopo avere attraversato
il melodismo tardo-romantico ottocentesco nelle
sue più suggestive sfumature, esplode alla fine
nella scoppiettante girandola di una travolgente
musicalità, tipica di un certo gusto
primonovecentesco.
Alla fine del suo splendido
recital, Giulia Rimonda si è dichiarata ‘emozionata’,
per avere suonato in un teatro che, non molti
anni fa, la vedeva ancora bambina accompagnare i
genitori. Ma ‘emozionato’ era anche il pubblico,
come sempre assai numeroso e, per l’occasione,
con una ancor più marcata presenza di giovani e
giovanissimi: il Maestro Accardo ha definito ‘emozionante’
il suono che Giulia Rimonda sa cavare, con la
sua tecnica strepitosa e la sua sensibilità,
dalle quattro corde del suo strumento. Che cosa
rende ‘emozionante, un concerto di Giulia
Rimonda? Ovviamente, il suo stile interpretativo,
che è già così maturo, da far talvolta dubitare
l’ascoltatore che quella ragazza che sta
suonando abbia solo vent’anni. Quando si parla
di emozioni e di esecuzioni musicali emozionanti,
è poi difficile, spesso, analizzare da un punto
di vista puramente ’tecnico’ il modo in cui chi
suona produce tale emozione, perché questa ha
sempre qualcosa di segreto, di non completamente
accessibile all’analisi razionale. Possiamo solo
dire ciò che a noi ha procurato momenti di forte
intensità emotiva. Il suono che Giulia Rimonda
sa cavare dalle quattro corde del suo violino è
un suono che, ad un timbro caldo e avvolgente,
sa unire una delicatezza senza pari, unita ad un
trattamento dell’agogica e della dinamica di
rara sapienza: sa sfruttare al meglio le pause,
probabilmente anche allungandole leggermente,
rispetto alle più tradizionali esecuzioni,
ottenendone un effetto di trepida sospensione,
come di un’attesa o di un’eco misteriosa di un
mondo sonoro che si dilegua, come accade in
particolare (ma non solo in questo pezzo) nella
sonata di Grieg, in cui il secondo movimento, un
Allegretto espressivo, già di per sé intriso di
lirismo, librandosi dal violino di Giulia
Rimonda, si fa pagina di toccante poesia.
Inoltre, la capacità di valorizzare al meglio i
registri dinamici dona al suono di questa ‘emozionante’
violinista una capacità di produrre un fraseggio
ombreggiato di un chiaroscuro tutto particolare,
specialmente adatto allo scavo interiore del
suono: un esempio potrebbe esserne proprio il
pezzo iniziale del concerto, l’Allegro moderato
dei Quattro pezzi romantici di Dvorak, una
melodia delicatissima affidata al violino, che
la Rimonda eseguiva sfuggendo alle insidie del ’rugiadoso,’
che spesso si nascondono in questi incantevoli
esempi di ‘canto romantico’, ma avvolgendo lo
sviluppo melodico di un velo di nostalgia, e
conferendo al pezzo una dimensione introspettiva
sottile, quanto affascinante. Infine, per quello
che le nostre orecchie hanno percepito e la
nostra memoria conserva come un ricordo prezioso,
c’è, nell’arte di Giulia Rimonda, un suono che
sa stagliarsi con una nitida purezza, donando ad
ogni nota un ‘alone armonico’ cristallino, che
la fa vibrare non solo nelle orecchie, ma anche
nell’animo di chi l’ascolta. Questo avviene
persino quando le sue dita danzano sulla quarta
corda, come nel cupo inciso ritmico con cui si
apre la sonata di Grieg, che in alcune
esecuzioni, anche di solisti di chiara fama da
noi ascoltate prima di questo recital vercellese,
suonano come un poco annebbiate e confuse.
Questo ritratto di Giulia Rimonda non sarebbe
completo se non ne citassimo l’aspetto, a questo
punto, forse più scontato: l’agilità ed energia
stupefacenti con cui sa superare le difficoltà
più ardue di un pezzo. In questo caso, il banco
di prova nel programma della serata è stato
naturalmente l’ultimo pezzo, la Tzigane di
Ravel, in particolare la stretta finale, vero e
proprio show pièce di tutte le più audaci sfide
che un violinista è chiamato ad affrontare, dai
pizzicati ai trilli, ai mordenti ai glissando… e
che le dita di Giulia Rimonda hanno superato con
olimpica disinvoltura e sfoderando un’energia
quasi aggressiva Sarebbe somma ingiustizia non
elogiare Lorenzo Nguyen, il cui contributo
all’alta qualità di questo concerto è stato
tutt’altro che secondario. I brani scelti per il
programma del recital e in particolare le due
grandi sonate di Brahms e di Grieg, concedono
infatti al pianoforte un notevole margine di
autonomia, spesso addirittura un ruolo di
protagonista: non a caso, come giustamente si
sottolinea nel programma di sala, il titolo
originario della sonata n.2 di Brahms era,
inusualmente, Sonata per pianoforte e violino.
Nguyen sfoggia un suono sempre preciso, di
grande duttilità: dal sommesso fruscio della
mano destra con cui crea un sapiente sfondo
sonoro per la melodia del violino nel primo
Pezzo romantico di Dvorak, alla limpidezza
incantevole del secondo tema , introdotto
proprio dal pianoforte nell’Allegro amabile
della sonata di Brahms, all’ampio assolo con
cui, nell’Allegretto espressivo della sonata di
Grieg, prepara, con un suono di delicato lirismo,
l’ingresso del violino, per concludere con la
brillante cadenza arpeggiata e armonicamente
assai mobile, con cui il pianoforte, nella
Tzigane di Ravel, dà il via alle evoluzioni
virtuosistiche del violino, con un suono molto
particolare, che cercava di riprodurre quello,
un po’ metallico, di un tipico strumento della
musica tzigana, il cymbalon. Anche Lorenzo
Nguyen, insomma, è un musicista già maturo,
completo , in pieno possesso di una tecnica
sopraffina e di una capacità interpretativa ed
espressiva di notevole spessore. Tutto il
programma proponeva pezzi di alto interesse e di
grande bellezza, ma il vertice era rappresentato
dalla sonata n.2 di Brahms, una prova di grande
impegno interpretativo per qualsiasi duo violino-pianoforte.
L’esecuzione di Giulia Rimonda e Nguyen si
distingue per la cura e la finezza dei dettagli
timbrici e dinamici, che dà il meglio di sé nei
due movimenti estremi: l’Allegro amabile
iniziale evoca un mondo sonoro illuminato,
dall’inizio alla fine dalla limpidezza di un La
maggiore, che si risolve in un flusso di melodie
suonate con leggerezza e soave eleganza da
entrambi gli interpreti. L’Allegretto grazioso
finale, nell’interpretazione di G. Rimonda e L.
Nguyen, esalta le tinte morbide e piuttosto
brunite, specie al violino, che sono
l’inimitabile cifra dello stile brahmsiano.
Splendido concerto, che ha entusiasmato il
pubblico, cui sono stati offerti due bis: un
pezzo di Brahms ( non abbiamo inteso bene quale,
ma azzardiamo lo Scherzo per la F.A.E. sonata) e
di nuovo il primo Pezzo romantico di Dvorak.
Riteniamo doveroso segnalare che per i primi
cinque minuti circa, il concerto si è svolto con
tutte le luci spente, comprese quelle del
palcoscenico, come testimonianza di
partecipazione all’imminente Giornata degli
ipovedenti: un’altra manifestazione della grande
sensibilità umana e sociale di un gruppo, la
Camerata Ducale, che sa aprirsi, con grande
sensibilità, ai problemi e ai drammi del mondo e
della comunità di cui è parte.
( foto Ivano Buat-
Ufficio Stampa Vercelli)
12 febbraio 2023 Bruno Busca
Alessio Bidoli e Bruno
Canino alla
Società del Giardino
Un "Omaggio a Nathan
Milstein" di ottima qualità, quello ascoltato
nell'elegante cornice del Salone d'oro
della Società del Giardino per l'organizzazione
di Serate Musicali. Il trentaseienne
violinista milanese Alessio Bidoli e il noto
pianista napoletano Bruno Canino, hanno rivelato
una splendida intesa in un programma di brani
classici e celebri, eseguiti in
ordine
cronologico di composizione. Da Giuseppe Tartini
(1692-1770) con la nota Sonata per violino e
basso continuo in sol minore "Il trillo del
diavolo" nella trascrizione di Fritz
Kreisler, all'ancor più celebre Sonata n.9 in
la maggiore op.47 " Kreutzer" di Ludwig v.
Beethoven (1770-1827). Dopo il breve intervallo,
prima la Sonata n.2 in la maggiore op.100
di Johannes Brahms ( 1833-1897) e, a conclusione
, la virtuosistica Tzigane, Rapsodia da
concerto di Maurice Ravel (1875-1937). I
brani di Tartini e di Ravel, prettamente
violinistici, hanno esaltato le qualità
virtuosistiche di Alessio
Bidoli, un solista dotato di perfetta
intonazione, con timbriche energiche, sicure e
gamma di colori adeguati. Soprattutto in questi
due brani, dove la componente virtuosistica
risulta dominante, abbiamo rilevato un
eccellente approccio con lo strumento ad arco
giocato su una perfezione tecnica con ottimo
vibrato nella evidente espressività complessiva.
Le
qualità pianistiche ben note di Bruno Canino, si
sono ancor più rivelate nella splendida
Sonata Kreutzer, probabilmente la più
celebre tra le dieci sonate dedicate dal genio
di Bonn a questa formazione cameristica.
Segnaliamo il primo movimento, Adagio
sostenuto.Presto, eseguito in perfetta
sincronia ed equilibrio formale dal duo, con una
sintesi discorsiva dal carattere improvvisatorio
di eccellente restituzione sonora che ha
pienamente meritato gli applausi anticipati dal
numerosissimo pubblico intervenuto.Valida anche
la Sonata op.100, seconda delle tre del
compositore amburghese. Ancora ricca di
estemporaneità il bis concesso con la nota
Ridda dei folletti di Antonio Bazzini
eseguita con rapida e suggestiva esternazione.
Ricordiama che il duo Bidoli-Canino ha
all'attivo numerose recenti incisioni
discografiche che meritano un attento ascolto.
10 febbraio 2023 Cesare
Guzzardella
Davide Alogna
ed Enrico Pace alle Serate Musicali del
Conservatorio
Un'impaginato particolarmente
valido quello predispisto dal violinista
palermitano Davide Alogna e dal pianista
riminese Enrico Pace. Alogna da alcuni anni è
alla ricerca di rarità compositive di autori
italiani come Margola, Fano, Wolf-Ferrari,
Castelnuovo Tedesco, Pizzetti, ecc., che
inserisce
in concerti cameristici insieme a brani celebri
di repertorio. Ieri sera, nel concerto di Sala
Verdi organizzato da Serate Musicali, la
serata è stata introdotta da un lavoro di Franco
Margola ( 1908-1992) , musicista bresciano - di
Orzinuovi- autore di una copiosa produzione
musicale che andrebbe riconsiderata. La sua
Sonata n.1 per violino e pianoforte del
1931, è in prima esecuzione a Milano, ha tre
movimenti - Sostenuto/ andante, Lento
e Vivace- , e un eccellente
equilibrio formale che riprende lo stile,
soprattutto francese, di fine Ottocento tradotto
in un clima neoclassico. Ottima la resa
interpretativa del duo Alogna-Pace, giocata su
un'intesa perfetta nella distribuzione delle
parti e nella resa timbrica sicura e dettagliata.
I tre deliziosi brevi brani successivi,
Pagine d'album n.2, del padovano Guido
Alberto Fano (1875-1961) sono stati interpretati
ancora con perfetta sincronia e corretto
equilibrio dinamico. Le rilevanti qualità
interpretative del duo sono emerse poi
nei brani successivi di Schumann e Franck. Prima
la nota Sonata in la minore op.105 del
tedesco e poi, dopo l'intervallo, la
straordinaria Sonata in la maggiore di
Cesar Franck, preceduta dal suo Andantino
quietoso op.6,
hanno
rivelato le alte qualità espressive sia di
Alogna che di Pace, pianista quest'ultimo tra i
più prestigiosi internazionalmente, ascoltato
molte volte in Conservatorio con il celebre
violinista greco Leonidas Kavakos. La minuziosa
esternazione melodico-armonica di Pace, rivelata
in ogni dettaglio con precisione ed espressività,
ha trovato l'inserimento delle intense linee
melodiche del bravissimo violinista, dotatato di
perfetta intonazione e luminosa timbrica dai
colori mediterranei. Applausi calorosi dal
pubblico intervenuto in Conservatorio e molto
bello il bis concesso con il raro Franck di
Mélacolie, un brano dolcissimo ricco
d'espressività. Bravissimi!
7 febbraio 2023 Cesare
Guzzardella
RIPRENDE A NOVARA LA STAGIONE
DEL FESTIVAL CANTELLI
Dopo una pausa di circa un
mese e mezzo, è ripresa oggi, 5 febbraio, a
Novara la quarantaduesima stagione del
Festival Cantelli, promosso
dall’Associazione Amici della musica Vittorio
Cocito, con un recital del ventenne pianista
Paolo Ehrenheim all’auditorium Olivieri, la sala
concerti del Conservatorio cittadino. Allievo
del Maestro Luca Schieppati presso il
Conservatorio di Milano, Ehrenheim, nonostante
la giovane età, ha già collezionato una lunga
serie di affermazioni in numerosi concorsi
nazionali e internazionali, tra i quali è
d’obbligo segnalare il primo premio assoluto
all’edizione 2021 del Premio Internazionale
Martucci, concorso pianistico indetto
annualmente, dal 2015, a Novara,
dall’Associazione Amici della Musica. Nel
concerto di ieri sera Ehrenheim presentava
cinque composizioni, che abbracciavano tre
secoli di storia della musica, dal ‘700 di J.S.
Bach ad oggi. L’impaginato proponeva dunque una
trascrizione per pianoforte solo del Concerto
BWV 974 di Bach ( a sua volta trascrizione per
clavicembalo del Concerto per oboe e archi di
Alessandro Marcello), la Fantasia quasi sonata
Après une lecture du Dante, dagli Annees de
pelerinage di Liszt, Finlandia, Poema sinfonico
per pianoforte solo di J.
Sibelius
( anche in questo caso una trascrizione, dello
stesso Sibelius, della celebre opera omonima da
lui composta in una versione originaria per
orchestra) le Blanca variations di Th. Adès
(2016), per concludere con lo Shostakovic del
Preludio e Fuga op.87 n. 24. Si tratta, come si
vede, di composizioni che, nella maggior parte
dei casi, presentano un livello notevolmente
alto di difficoltà esecutiva. Va detto anche che
proprio con due dei brani in programma, la
Fantasia quasi sonata di Liszt e il Preludio e
Fuga n.24 di Shostakovic, Ehrenheim si era
aggiudicato due anni fa il Premio Martucci.
Questa ampia carrellata di opere musicali così
stilisticamente diverse, presuppone in primo
luogo un interprete assai duttile, dotato di una
non comune capacità di adattarsi a stili e
linguaggi musicali lontani tra loro. A tale
categoria di interpreti appartiene decisamente
Ehrenheim il cui talento si esprime in una già
superba padronanza tecnica della tastiera, unita
ad un tocco che gli consente di fraseggiare il
delicato contrappunto bachiano del Concerto BWV
974 con un suono limpido ed elegantemente
tornito, avvolto da una dolce vena di malinconia,
mai enfatizzata, nel sin troppo famoso Adagio,
sfruttato dal cinema come colonna sonora a
cominciare dal film “Anonimo veneziano”, che lo
rese noto al cosiddetto ‘grande pubblico’. Ma è
un tocco capace anche di un vigore e di
un’energia trascinante che permettono al giovane
pianista di dare un’ottima esecuzione dell’arduo
“Après une lecture du Dante”, facendo risuonare
con potenza persino inquietante, con una
percussività metallica che ne accentuava la
tragica cupezza, l’ossessivo motivo accordale in
tritoni discendenti che domina la prima parte
del pezzo, per poi stemperarsi, nella rarefatta
e opalescente dolcezza, sublimata in un
incantevole registro acuto, nella sezione ‘paradisiaca’,
dove decisiva è la sensibilità dell’esecutore
per la sottile variazione delle dinamiche, di
cui il suono s’illumina, liberandosi dalle
brumose caligini infernali della prima sezione
tematica. Convincente davvero, questa
interpretazione dell’opera lisztiana, fornita da
Ehrenheim, in cui le parti più virtuosistiche
non apparivano fini a se stesse, ma parte
integrante di un disegno interpretativo che il
pianista riusciva a comunicare al pubblico.
Mentre l’esecuzione di Finlandia di Sibelius non
va oltre un impeccabile rigore accademico (sia
chiaro: è un complimento; per chi scrive
l’aggettivo “accademico” non ha affatto
significato negativo, tutt’altro!), Ehrenheim ci
è piaciuto moltissimo nelle due composizioni
conclusive., L’interpretazione del Preludio e
Fuga n.24 in re minore (la stessa tonalità del
brano iniziale: una coincidenza?) si è avvalsa
di una tessitura sonora di estrema raffinatezza,
in particolare nel Preludio, in cui il suono,
come avvolto da una sottile aura di mistero,
grazie a un portentoso controllo dell’agogica,
si è librato lentamente in una progressiva
tensione, intorno a un disegno motivico intriso
di delicata tenerezza, nel quale l’interprete,
in una breve presentazione al pubblico ha
identificato la rivolta dell’individuo nei
confronti del brutale collettivismo burocratico
del regime sovietico. Ammirevole la disinvoltura
con la quale Ehrenheim ha dominato i più
complessi passaggi della fuga a quattro voci,
conservando sempre quel suono evocativo ed
emotivamente coinvolgente del Preludio. Quanto
alle Blanca Variations di Adès, il cui titolo
gioca sul doppio senso di “blanca”, che allude
al tema della canzone latinoamericana “Lavaba la
blanca nina”, quanto al nome della pianista
Blanca Delgado, si tratta di una composizione
che si caratterizza per estrema varietà di
soluzioni ritmiche, agogiche e dinamiche, che
trasformano il tema, talora rendendolo
irriconoscibile, in vortici, che spesso prendono
vita sulla tastiera, di scale e trilli, non
allontanandosi troppo dalla tonalismo, com’è
nell’abituale stile compositivo di Adès. Anche
in questo caso l’esecuzione di Ehrenheim ha
espresso, una volta di più, la sua eccellente
varietà di tocco e capacità di adesione piena al
mondo sonoro del brano, offrendo al pubblico un
pezzo di raffinata sapienza architettonica nello
sviluppo delle variazioni. Sollecitato dagli
scroscianti applausi del pubblico, il giovane
pianista ha concesso come bis una Sonata di
Scarlatti, eseguita con delicata dolcezza
timbrica. Un’altra bella serata di musica,
questa offerta oggi dagli Amici della musica,
che ha anche il merito di far conoscere un
giovane , cui non è difficile profetizzare un
brillante futuro. (Foto Borri - Novara)
6 febbraio 2023 Bruno Busca
Ludovico Troncanetti
al Teatro Gerolamo
per Anton Rubinštejn
Un impaginato particolarmente
interessante quello del pianista Ludovico
Troncanetti nel concerto di tarda mattinata
ascoltato al Teatro Gerolamo.
L'interprete
senese ha eseguto brani di Franz Liszt
(1811-1886) , Camille Sain-Seans ( 1835-1921) e
Anton Rubinštejn (1829-1894), mettendo in
risalto sia gli elementi melodici che quelli
virtuosistici delle rispettive composizioni,
alcune pi ù note come
Les adieux - dal Romeo e Giulietta di
Gounod- del grande virtuoso ungherese, o come
Souvenir d'Italie op.80 del compositore
francese, e un brano, quale la Sonata n.4 in
la minore op.100, autentica rarità mai
eseguita a Milano, del grande virtuoso e
compositore russo. Un lavoro quest'ultimo che
per dimensione ha occupato la parte maggiore
della mattinata musicale denominata "Omaggio
a Rubinštejn"
. Troncanetti ha dimostrato di avere tutti i
requisiti per una solida e valida restituzione
musicale in lavori di non facile esecuzione per
le impervie difficoltà
tecniche che i brani impongono. L'ottima
capacità di passare dai volumi sobri e
riflessivi presenti in tutti i lavori, alle
sonorità più voluminose, specie nel brano del
russo, con numerose progressioni dinamiche e
chiarezze di dettaglio, lo rendono un valente
interprete. Particolarmente interessante e ben
restituita la Sonata n.4 di Rubinštejn,
musicista molto dimenticato in Italia, pur
avendo una copiosa produzione sia cameristica
che sinfonica. Ottimo l'equilibrio tra i
movimenti più intimi e
delicati e quelli più estroversi e voluminosi.
Valido il bis con l'Andante dalla
Sonata n.1 ancora di Anton Rubinštejn
6 febbraio 2023
Cesare
Guzzardella
Oleg Caetani e
l'Orchestra Sinfonica
di Milano per Chopin e Liszt
Da molti anni ascoltiamo Oleg
Caetani dirigere l'Orchestra Sinfonica milanese
e ammiriamo le sue note qualità direttoriali che
hanno esaltato soprattutto e non solo i
musicisti russi,
Šostakovič
prima di tutti. Ieri sera
l'impaginato prevedeva
due compositori molto vicini nel tempo ma con
brani definiti da catatteristiche differenti.
Fryderyk
Chopin
(1810-1849) con il suo Concerto per
pianoforte e orchestra n.1 in mi minore op.11,
uno dei più eseguiti al
mondo, e Franz Liszt (1811- 1886) con la sua
Dante Sinfonia S.109, lavoro di raro ascolto
ispirato naturalmente dalla Divina Commedia. Nel
celebre concerto del polacco un giovane solista
e promessa del concertismo internazionale quale
il trevigiano Elia Cecino ha avuto ruolo di
protagonista al pianoforte. Cecino, vincitore di
importanti concorsi internazionali e di un
Premio Venezia riservato ai migliori
studenti di Conservatorio, ha rivelato qualità
certe nell'esprimere l'importante parte
solistica di un concerto dove lo strumento a
tastiera ha ruolo prioritario. Coadiuvato molto
bene dall'orchestra e dalla direzione di Caetani,
il ventunenne ha rivelato scorrevolezza,
sicurezza e un tocco delicato ma intensamente
espressivo nei tre movimenti del concerto. Un
suono vellutato e dolce è emerso nel
Larghetto centrale e una naturale
risoluzione di ogni difficoltà virtuosistica è
stata rilevata nei momenti più impervi del
concerto come nel pregnante Rondò.Vivace
finale. Una complessiva ottima interpretazione.
Tre i bis solistici concessi con due note
Mazurche di Chopin quali l'Op.24.n.4
e l'Op.24 n.2 interpretate con sentimento,
inframezzate da un delizioso Preludio e Fuga
di Dmitri
Šostakovič,
il N.21 in Si bem.maggiore,eseguito
con grinta, in modo energico ed espressivo. Dopo
l'intervallo la Dante-Sinfonia di Liszt,
brano per Orchestra e Coro femminile e di Voci
bianche, ha rivelato ancora una volta le qualità
del direttore. La Sinfonia in tre parti,
Inferno, Purgatorio e Magnificat,
ha caratteristiche virtuosistiche tipiche
lisztiane con frangenti concitati soprattutto
nella prima parte ed altri di soave resa
espressiva, mediata anche dalla sensibile
esternazione corale. Un plauso oltre al
Direttore Caetani anche al Maestro del Coro di
voci bianche Maria Teresa Tramontin e
naturalmente ai bravissimi orchestrali. Applausi
fragorosi al termine.
4 febbraio 2023 Cesare
Guzzardella
Davide Cabassi alla
Società dei concerti
per Schumann, Musorgskij, Adés e Taccani
È tornato il pianista
milanese Davide Cabassi alle serate organizzate
dalla Società dei Concerti per un
recital ben impaginato che prevedeva oltre a
due corpose composizioni di Schumann e
Musorgskij, rispettivamente Kreisleriana
op.16 e Quadri di un'esposizione,
anche due brevi brani di musicisti contemporanei
inseriti come "introduzione" ai celebri lavori
del tedesco e del russo. Erano Berceuse
dall' opera lirica "The exterminating angel"
del londinese Tomas Adés (1971) e Klare
Lebende Steine del milanese Giorgio Colombo
Taccani (1961). Il primo, di Adés ad
introduzione
di Schumann, ci è apparso di notevole scrittura.
Una sorta di iniziale ninna nanna che
trova poi
momenti più concitati nel
linguaggio personale del compositore inglese
ispirato da molti musicisti, con evidenti
riferimenti ai colori di Debussy nella parte
iniziale. Cabassi ha ben colto la leggerezza
iniziale del lavoro, elargendo espressività ed
esternando bene le timbriche più cupe della
parte centrale e gli intensi e pregnati accordi
finali. Anche il brano di Colombo Taccani,
introduttivo ai Quadri, ha trovato un'ottima
interiorizzazione da parte del pianista.
Klare Lebende Steine è un breve ed intenso
brano di poche note, ben armonizzate con effetti
di riverbero suggestivo ed andamento meditato
che trova nella bellezza tonda delle timbriche
la sua valenza estetica. Ottima la riflessiva
restituzione di Cabassi. La celebre Kreisleriana
op.16, un brano in otto parti
spesso
in contrasto tra loro ma ben inseriti nel
complessivo della composizione, ha trovato una
valida restituzione nel pianismo dell'interprete.
Cabassi ha colto in toto la coerenza del brano
con una linea esecutiva ricca di contrasti ben
plasmati nei distinti piani sonori dai quali
emergevano sovente sottili preziosità. Alcuni
frangenti di eccellente resa, hanno trovato
altri, specie nel finale, con una sintesi
discorsiva a volte affrettata e non sempre
chiara nei dettagli. Di valore comunque la resa
complessiva. L'interpretazione dei celebri
Quadri di un'esposizione ci è sembrata in ottima
sintonia con le caratteristiche del corposo
brano. Un pianismo quello del milanese, che sa
essere all'occorrenza pregnante nelle grandi
volumetrie ma anche sottile nei momenti più
interiori. Ottima la restituzione complessiva
dei Quadri e meritatissimi i fragorosi applausi
al termine del programma ufficiale. Due i bis
concessi. Prima una rarità di Emanuele Delucchi,
pianista e compositore, quale Lullaby for
Chiara, brano particolarmente riuscito,
ricco di elaborazioni sulle poche note del tema
iniziale. Poi di Schumann, dal Carnaval op.9,
i brevi e deliziosi Chiarina e Chopin.
Ottime le restituzioni.
2 febbraio 2023 Cesare
Guzzardella
Il Duo Alterno
al Museo del Novecento
Il Museo del Novecento nella
scenografica Sala Fontana ha ospitato, in
collaborazione con NoMus e la Società
del Quartetto, un interessante spettacolo
musicale denominato “Lachrimae”. Un
concerto del Duo Alterno, coppia di noti
musicisti formata dal soprano Tiziana
Scandaletti e dal pianista Riccardo Piacentini.
Il duo è considerato un importante riferimento
nel repertorio vocale-pianistico del Novecento e
soprattutto contemporaneo. La voce recitante di
Guido Barbieri, in alternanza ai brani musicali,
ha sostenuto una valida parte di lettura di
alcuni testi poetici e anche un suo pregnante
testo denominato Sei metri quadrati: un
racconto sconvolgente sulla sofferenza di vita
di un detenuto di Guantanamo. L'impaginato,
differenziato ma unitario nello stile estroso e
personale dei
protagonisti,
prevedeva come introduzione un significativo
lavoro di Sylvano Bussotti del 1978,
Lachrimae, eseguito in questi decenni in più
versioni cameristiche. È un lavoro nato come
balletto rivisitato dal Duo Alterno per voce ,
pianoforte, recitazione e movenze coreografiche,
in una versione autorizzata dall’Autore con
frammenti in lingua francese antica, inglese,
tedesca e italiana. Quasi un quadro teatrale,
oltre che musicale, anche ben recitato e
ottimamente cantato dal soprano, con interventi
attoriali anche del bravissimo pianista. Il
brano sucessivo della compositrice Elisabetta
Capurso…veniva il vento d’estate… (2005)
per pianoforte sulla cordiera e sulla tastiera
ci ha portato in un frangente solo pianistico,
con un lavoro non facile, ricco di timbriche
irregolari lontane dalla scrittura tonale, con
salti di altezze sapientemente espresse da
Piacentini. Dopo l'ottima lettura di tre testi
di Giuseppe Rosato da parte di Barbieri
denominati "E dapò?”, tre commiati in
dialetto abruzzese, il duo ha interpretato
con disinvoltura la musica omonimo di Paolo
Rosato su questi testi, per un brano del 2020.
Interessante il brano successivo composto da
Piacentini per pianoforte e voci registrate e
denominato Jazz motetus X (Como un caballito
de mar) del 2019. Un lavoro su un verso di
Federico Garcia Lorca, ricco e diversificato,
dove le timbriche pianistiche e la voce di
Piacentini si intersecano con gli effetti sonori
preregistrati in un tutto musicale energico. La
lettura del toccante testo di Barbieri Sei
metri quadrati ha introdotto l'omonimo brano
per voce e pianoforte di Luigi Esposito, scritto
nel 2010 e dedicato al Duo Alterno.
Un'interpretazione che ha voluto ancor più
potenziare la devastante narrazione sulla
prigionia del campo americano di Guantànamo
sull'isola di Cuba. Applausi fragorosi nella
Sala Fontana stracolma, con molti spettatori in
piedi. Ottimo il bis di Astor Piazzolla reso con
passione dall'ottimo Duo.
1 febbraio 2023
Cesare Guzzardella
GENNAIO 2023
Il pianista Lukas
Geniušas
per le Serate Musicali
È tornato in Sala Verdi per
le Serate Musicali del Conservatorio il
pianista russo-lituano -nato a Mosca- Lukas
Geniu šas,
per un concerto di particolare interesse che
prevedeva musiche di Schubert e di Rachmaninov.
Già nel 2013 e nel 2017,
in questa sala, il virtuoso trentaduenne aveva
rivelato un alto livello interpretativo, giocato
su un approccio pianistico personale e ricco di
creatività. Nel concerto di ieri sera, Geniušas
ha
rinnovato
le qualità d'allora
attraverso interpretazioni rilevanti. I
Quattro Improvvisi D.899 (1827) di Schubert
eseguiti nella prima parte della serata, seguiti
poi dal Minuetto in do diesis minore D 600,
sempre del viennese, hanno trovato
un'esternazione lontana dalle interpretazioni
entrate nella storia e mediate da un bisogno di
personalizzazione, a mio avviso, a volte
riuscito, altre volte meno. Mentre l'Improvviso
n.1 in do minore iniziale risultava un po'
frammentario e poco interiorizzato, il n.2 in
mi bem.maggiore e soprattutto
il n.4 in la bem.maggiore rivelavano
una personale compattezza e un' ottima
definizione. Valido il n.3 in sol bem .maggiore.
Ottimo il Minuetto, brano di rara
esecuzione . La seconda parte della serata ha
decisamente segnato una svolta al concerto con
un meritevole e particolare Rachmaninov nella
Sonata n.1 in re minore op.38. Geniušas
è
riuscito
ad eseguire in prima esecuzione la
versione originale (1906-1907) dalla prima
stesura della sonata, avendo recentemente
ritrovato il manoscritto in una biblioteca di
Mosca. Una Sonata particolarmente corposa, con
momenti di grande virtuosismo, che il pianista
ha affrontato in modo mirabile, elargendo una
complessiva esternazione di altissimo livello,
che dimostra un'affinità evidente con il grande
compositore russo. Il pubblico presente in sala
ha assai apprezzato questo lavoro elargendo
ripetuti e fragorosi applausi. Eccellenti i bis:
prima lo Studio n.11 op.10 di Chopin
elargito mirabilmente, con perfetto equilibrio
formale e precisa ed intensa espressione
nell'ottima personalizzazione; quindi uno degli
ultimi tra i 24 Preludi del compositore
ucraino Leonid Desyatnikov (1955), autore
particolarmente gradito all'eccellente pianista.
Un brano ricco di ritmica percussiva, dal sapore
bartokiano, con anche riferimenti al folclore
ucraino. Ancora applausi convinti.
31 gennaio 2023 Cesare Guzzardella
Musica Maestri!
in Conservatorio con
Chiara e Valentina Kaufman
La rassegna musicale legata
al Conservatorio milanese denominata Musica
Maestri!, prevedeva oggi in Sala Puccini,
nel tardo pomeriggio, un
concerto
di grande interesse con la vincitrice del
concorso del Conservatorio "G.Verdi" per la
Categoria c, quella degli strumenti
ad arco e a
corda. La giovane violoncellista Chiara Kaufman,
classe 2004, è risultata meritatamente la
vincitrice. Accompagnata da Valentina Kaufman,
sorella pianista, Chiara ha rivelato le sue
qualità interpretative in un impaginato che
prevedeva mesiche di Beethoven con 7
Variazioniin mi bem. maggiore sul tema
mozartiano Bei Männen,
welche
Liebe fùhlen, quindi di Schumann con la
Phantasiestücke op.73 e a conclusione di
Prokofiev con la corposa Sonata in do magg.
op.119. Di qualitè le interpretazioni
ascoltate grazie al tocco incisivo, preciso e
coinvolgente della cellista, in piena sinergia
con l'avvincente componente pianistica, resa con
classicità, perfezione tecnica e coinvolgimento
interiore da Valentina. Applausi fragorosi dal
numerosissimo pubblico intervenuto e ottimo il
bis concesso con il Largo dalla Sonata per violoncello e pianoforte op.65 di
Chopin. Bravissime!
29 gennaio 2023 Cesare
Guzzardella
Valeriy Sokolov e Stanislav
Kochanovsky con la Filarmonica Toscanini
per l'Unione
Camere Minorili
Di ottima qualità il concerto
promosso dalla Fondazione Arturo Toscanini e
dall'Unione Camere Minorili, associazione
rappresentativa degli avvocati minorili italiani,
svoltosi ieri pomeriggio in Conservatorio. La
neonata collaborazione tra la Filarmonica
Toscanini e l'UNCM ha l'intento di promuovere
attraverso la musica un'azione formativa per i
giovani, che possa coniugare culture diverse,
inserendo "Pillole di legalità" in spettacoli
musicali
destinati soprattutto ad adolescenti ed
educatori. La Filarmonica Toscanini, diretta dal
russo- di San Pietroburgo- Stanislav Kochanovsky,
ha presentato un programma importante, con il
Concerto in re maggiore per violino e orchestra
op.35 di
Čaikovskij
e le Danze Sinfoniche op.45 di
Rachmaninov. I due noti lavori sinfonici sono
stati preceduti da un breve ma interessante
brano che vedeva la partecipazione del rapper El
Simba e della cantante Joseena, in un lavoro
dello stesso rapper dal titolo "Una speranza,
mille sentimenti". L'arrangiamento di Andrea
Coruzzi per voci, violino e percussioni, ha
visto impegnati due musicisti della Filarmonica,
ossia il primo violino Mihaela Costea e il
timpanista
Francesco
Migliarini. L'ottima esecuzione del brano ha
evidenziato le doti delle due voci e le qualità
della violinista, che con una felice scrittura
ha delineato in modo classico e preciso un
lavoro
particolare, dove anche la componente
improvvisatoria ha un ruolo importante. Un'
ottima iniziativa trasversale di "ibridazione"
musicale, in linea con gli scopi della
partnership sopra descritta, che andrebbe
ripetuta spesso. Di seguito, il celebre Concerto
Op.35 del primo grande russo ha trovato come
solista Valeriy Sokolov, violinista di fama
internazionale che ha ottimamente interpretato
il concerto mediante timbriche morbide e
all'occorrenza decise e ben delineate. Di
eccellente qualità il movimento centrale, un
Andante particolarmente interiorizzato da
Sokolov. Ottima la sinergia con il direttore
Kochanovsky, dotato di gesto elegante e
producente, e molto valida la restituzione
orchestrale. Dopo il breve intervallo, le
corpose ed energiche Danze Sinfoniche op.45 del
secondo compositore russo hanno rivelato ancor
più le qualità degli orchestrali e il segno
preciso della direzione di Kochanovsky per un'
interpretazione di eccellente livello espressivo.
Ottimo il bis concesso al termine, con il noto
Vocalise ancora di Rachmaninov. Applausi
fragorosi dal numeroso pubblico intervenuto.
29 gennaio 2023 Cesare
Guzzardella
MAURIZIO BAGLINI E LA
CAMERATA DUCALE A VERCELLI PER IL VIOTTIFESTIVAL
Il programma del concerto
proposto dal ViottiFestival ieri sera, sabato 28
gennaio, al Teatro Civico di Vercelli, era
impaginato sulla Sinfonia per archi n.10 in si
minore di F. Mendelssohn-Bartholdy, sul concerto
per pianoforte in La maggiore n.12 K 414 di
Mozart, sull’Elegia in memoria di Ivan V.
Samarin per orchestra d’archi in Sol maggiore di
P.I. Ciajkovskij, per entrare infine con
fragorosi squilli di tromba nel ‘900 con il
concerto per pianoforte, tromba e orchestra
d’archi in do minore n.1 op.35 di D.
Schostakovic. Un programma meravigliosamente ‘provocatorio’,
che potremmo definire ispirato dalla volontà di
produrre un ‘effetto-choc’: dopo le dolci,
limpide melodie di Mendelssohn, Mozart e
Ciajkovskij, ecco esplodere la meravigliosa,
sgangherata, sguaiata sonorità del concerto di
Schostakovic: dalla più pura tradizione
classico-romantica l’ascoltatore è
improvvisamente trascinato nel mondo dello
sperimentalismo musicale del
pieno
‘900, nella sua versione ironico- burlesca. Il
tutto affidato alla sapiente bacchetta del
violinista e direttore Guido Rimonda e alla sua
Camerata Ducale, sempre più ringiovanita (segno
indubbio di vitalità e di una ‘politica’
intelligente di apertura ai giovani, preparati e
pieni di entusiasmo) mentre, per i due concerti,
alla tastiera il pubblico vercellese ha avuto il
piacere di ascoltare una sua vecchia conoscenza,
uno dei migliori pianisti italiani d’oggi,
Maurizio Baglini. La Sinfonia in si minore n.10,
con cui ha avuto inizio la serata, è una delle
dodici sinfonie per archi, scritte da un
Mendelssohn adolescente e che l’autore stesso,
considerandole puro esercizio di apprendistato,
non ritenne neanche degne di un numero d’opus.
Si tratta invece di opere che gli storici della
musica e i direttori d’orchestra in tempi
recenti hanno rivalutato, giustamente,
riconoscendo nella maggior parte di esse una
consapevolezza compositiva ed espressiva già
mature, nonostante la giovanissima età
dell’autore. In un unico movimento (a differenza
delle altre), un Allegro di sonata, preceduto da
un breve Adagio con funzione puramente
introduttiva - alla maniera di Haydn-
nell’interpretazione di Rimonda, come di
consueto molto curata e precisa nei rapporti
sonori e nei piani dinamici, la sinfonia
mendelssohniana ha espresso al meglio la sua
caratteristica essenziale: quella luminosa
chiarezza melodica e quella serenità spirituale
che traspaiono sia dal tono più meditativo e
cantabile dell’Adagio, sia dallo spigliato
profilo ritmico e dal brillante ‘finale’
dell’Allegro. Un’ottima esecuzione, che
giustifica appieno, se mai ce ne fosse bisogno,
il recupero di questo esordio fanciullesco del
grande compositore amburghese; aggiungiamo che
si tratta di un’opera particolarmente adatta al
particolare ‘suono’ che con gli anni e il
succedersi delle generazioni la Camerata Ducale
ha maturato, un suono trasparente ed elegante,
raffinatamente cameristico, e sottilmente
espressivo, che le permette di raggiungere
l’eccellenza in composizioni come questa, in cui
classicismo e romanticismo si fondono in una
ideale simbiosi. Decisamente valida anche
l’interpretazione dell’Elegia di Ciajkovskij,
uno dei gioielli del suo catalogo, che forse non
riceve nelle sale da concerto italiane tutta
l’attenzione che merita. Guidata da Rimonda,
la
Camerata Ducale ha realizzato un registro
espressivo di incantevole morbidezza, reso
elegante da una netta pulizia di suono, dovuta
anche ai frequenti raddoppi d’ottava in
partitura .Un merito di questa interpretazione
ci è parsa l’intensa carica espressiva nella
gestione dell’agogica e delle dinamiche, nel
passare dalla misteriosa nostalgia
dell’indimenticabile tema “interrogativo” che
ritorna ossessivamente nel breve brano, al tono
inquieto, fitto di sincopi, della sezione
centrale, non facile per i frequenti passaggi in
imitazione tra le varie sezioni degli archi. Il
tutto suonato in una dimensione di intimo
raccoglimento, resa possibile dalla dimensione
cameristica dell’ orchestra torinese-vercellese,
che aggiungeva una nota di più segreta dolcezza
alla partitura. Questa bellissima serata
musicale ha toccato il suo culmine con i due
concerti pianistici che hanno visto protagonista
Maurizio Baglini. Il Maestro pisano era chiamato
a confrontarsi con due’ mondi sonori’ che più
distanti di così sarebbe difficile immaginare:
la fluidità melodica di ispirazione galante,
alla Johann Christian Bach, del concerto K 414
di Mozart e quell’ incredibile pastiche
musicale, da Beethoven alla musica da music hall
e da circo che è invece il concerto n.1 di
Schostakovic. Per affrontare credibilmente, su
un piano non meramente esecutivo, ma anche
interpretativo ed espressivo due partiture così
diverse ci vuole un pianista che alla perfetta
padronanza ‘tecnica’ della tastiera sappia
accompagnare le qualità di un vero interprete,
capace di ‘vedere’ al di là del suono prodotto,
il mondo che esso evoca. Un pianista di questa
pasta è senz’altro Baglini. La scrittura
pianistica del K414 mozartiano non pone ardue
difficoltà esecutive e non richiede certo tour
de force virtuosistici, però impone un
particolare lavoro espressivo sul suono, che
Baglini ha realizzato alla perfezione, col suo
Fazioli gran coda. E’, quello che Baglini ha
creato per questo concerto, un suono di
purissima freschezza, accompagnata da un gioco
di timbri e di melodie di rara raffinatezza, una
sorta di variegata e sfumata iride sonora che
avvolge l’intera composizione. L’ascoltatore ne
è colpito già dall’Allegro iniziale, dalla
levità e delicatezza con cui è fraseggiato il
primo tema e in generale dalla limpida fluidità,
dal sereno abbandono al gioco vario delle
divagazioni e degli incisi melodici che
accompagnano tutto il primo tempo, in cui la
ricchezza dei piani dinamici, esaltata dal tocco
del pianista, crea suggestive ombreggiature.
Questa qualità del suono di Baglini, che si
avvale anche di un uso preciso dei pedali, si
conferma naturalmente anche nei due successivi
movimenti, toccando il suo apice nello sviluppo
dell’Andante, ove, grazie anche all’interazione
con l’orchestra, lo svolgimento melodico è
avvolto in un succedersi di chiaroscuri di rara
suggestività. Par quasi da non credere che
questo pianista sia lo stesso capace di dare
voce al complesso mondo sonoro del concerto di
Schostakovic, in cui il dominante tono clownesco
improntato a un’ironia sarcastica quanto amara,
non esclude momenti di abbandono lirico, venato
da un’indefinita ombra di malinconia. Baglini
riesce a bilanciare con sapiente equilibrio
queste due componenti, anche grazie ad un
dialogo perfetto con la tromba, affidata alla
giovane quanto brava Serena Basandella, che
interagisce col pianoforte nei momenti-chiave
del concerto. Dunque Baglini dà vita ad un suono
percussivo, martellato con potente vigore e ad
un fraseggio sostenuto da una linea ritmica di
violenza quasi allucinata, nel primo tempo e
nell’Allegro con brio finale, ove il suono, in
prevalenza tenuto sui registri acuti, e con
accordi massicci, acquista un ulteriore accento
di vitalità chiassosa e farsesca. Di contro, di
forte suggestione è l’esecuzione delle parti
pianistiche del Lento, con il suo inimitabile
ritmo di valzer triste in apertura, che si fa
vero e proprio graffio sull’anima
dell’ascoltatore, quando Baglini, nel finale del
movimento sale a registri più acuti, creando
un’atmosfera sonora così penetrante da rendersi
indimenticabile. Nel presentare questo
capolavoro al pubblico, Baglini ne indicava una
delle possibili chiavi di lettura, soprattutto
per il quarto tempo, nella parodia delle musiche
che, al pianoforte, accompagnavano il cinema
muto e che lo stesso Schostakovic compose, per
vivere, in discreta quantità: è possibile, ma
quando sentiamo il suono della tromba in sordina
nella terza sezione del Lento (bravissima in
questo passaggio la Basandella) nella nostra
mente l’idea di un Divertissement cede
bruscamente il posto a quella di una
carnevalesca e perciò ancora più orribile
Apocalisse: non dimentichiamo che questo
concerto è del 1933, l’anno dell’ascesa al
potere di Hitler e dei primi episodi del terrore
staliniano, che sfiorò in almeno un paio di
occasioni lo stesso Schostakovic. Due splendide
esecuzioni, cui naturalmente la Camerata Ducale
non ha mancato di dare il suo contributo,
dialogando con grande efficacia con il solista,
con sicuro stacco dei tempi ed entrate degli
strumenti sempre regolate con precisione dalla
bacchetta di Rimonda, che realizza al meglio il
tono clownesco dominante in gran parte della
partitura di Schostakovic. Travolgente il
successo della serata, e in particolare del
concerto di Schostakovic, presso il pubblico che
stipava la platea del Civico: le ovazioni hanno
strappato due bis, entrambi dal Concerto per
pianoforte e tromba: il finale e tutto il primo
tempo. Un concerto, quello di ieri, che
annoveriamo tra i più belli tra gli ormai
numerosi ascoltati qui a Vercelli. ( Foto
dall'Ufficio Stampa di Vercelli)
29-01 2023 Bruno Busca
Applausi fragorosi
alla Scala per la
Salome di R.Strauss-Michieletto
Ancora un meritato successo
alla quinta e penultima rappresentazione di
Salome al Teatro alla Scala. L'atto unico
che Richard Strauss compose nei primissimi anni
del Novecento è ispirato dal celebre
poema di Oscar Wilde nella
riduzione letteraria di Hedwig Lachmann. La
riuscita sintesi artistica ha trovato la valida
regia di Damiano Michieletto nel contesto delle
geometriche e prospettiche scene di Paolo Fantin,
ben illuminate da
Alessandro
Carletti. L'importanza dell'elemento scenico
nell'inquadrare i protagonisti, sottolineandone
le qualità attoriali oltre che a quelle vocali,
risulta essenziale in questo adattamento già
introdotto alla Scala nel febbraio del 2021 per
una diffusione solo in streaming. Con qualche
variante, adesso Salome ha accolto un pubblico
numerosissimo in tutte le rappresentazioni. Ieri
sera alla direzione dell'Orchestra del Teatro
alla Scala c'era Michael Güttler ( in alternanza
con Axel Kober), il quale ha sostenuto con
efficace resa la non facile partitura. Una
musica quella del compositore tedesco terminata
nel 1905, che deve seguire costantemente i ritmi
serrati, ricchi di contrasti, che il rapido
dialogo dei protagonisti impone.
Protagonista principale del corposo lavoro è
stato il soprano lituano Vida Miknevičiutè,
una Salome di eccellente livello che si
disvela sia per voce che attorialmente in un
ruolo complesso di amore e odio per il profeta
Jochanaan. La non facile lettura, in chiave
psicoanalitica operata da Michieletto, ha
trovato complessivamente una solida resa
drammaturgica grazie alla valida incisività di
tutti i protagonisti. Dopo la già citata Micnevičiutè,
segnaliamo almeno le ottime prestazioni sia
vocali che attoriali del tenore Wolfgang
Ablinger-Sperrhacke, in Herodes e del
mezzo-soprano Linda Watson in Herodias.
Validi anche il corposo baritono Michael Volle
nel profeta Jochanaan e l'incisiva vove
tenorile di Sebastian Kohlhepp in Narraboth.
Bravi tutti gli altri. Adeguati nel contesto
scenografico i costumi di Carla Teti e la
coreografia di Thomas Wilhelm ripresa da Erika
Rombaldoni. Pubblico entusiasta al termine con
applausi a tutti i protagonisti, fragorosi per
la principale protagonista. L'ultima replica è
il 31 gennaio. Da non perdere. ( foto di
Brescia ed Amisano dall'Archivio della Scala)
28 gennaio 2023 Cesare Guzzardella
Successo strepitoso per
Renée Fleming e
Evgeny Kissin al Teatro alla Scala
Un recital
particolarmente interessante nell'impaginato e
memorabile nella riuscita, quello ascoltato ieri
sera al Teatro alla Scala dove il celebre
soprano statunitense Renée Fleming ha trovato al
pianoforte il grande pianista russo Evgeny
Kissin che naturalmente oltre ad avere il ruolo,
non certo secondario, di sostenere la voce in
lieder di Schubert, Liszt, Rachmaninov e Duparc,
ha avuto importanti momenti d'interventi
solistici,
interpretando
alcuni brani dell'ungherese e del russo. Una
sorta quindi di doppio recital con la
parte più preponderante dedicata ai colori
intensi ed espressivi della Fleming. Il
riflessivo e pregnante pianismo di Kissin è
l'evidente dimostrazione che, specie in
compositori come quelli sopracitati, non esiste
un ruolo secondario del pianoforte ma le
composizioni per canto e pianoforte, quando
definite da una componente armonica fondamentale,
soprattutto in Liszt e Rachmaninov - ma anche in
Schubert- hanno un insieme unitario tra i due
elementi timbrici. I quattro lieder di Schubert
che hanno introdotto l' impaginato, studiato
alla perfezione dagli interpreti in modo da non
creare contrasti inadeguati, hanno rivelato le
ottime timbriche della Fleming, voce
intonatissima, mai forzata, e ricca di tenue
sfumature coloristiche. Abbiamo ascoltato del
compositore viennese prima Suleika 1 poi
Die Vögel, Lied de Mignon ed
infine Rastlose Liebe, apprezzando
l'interpretazione. Il Liszt successivo ha
impegnato nei primi due lavori solo il pianista
con Sposalizio da Année de pèlerinage
- Italie, in un'esecuzione interiorizzata,
scavata, riflessiva e ricca di espressività
nelle note centellinate, quindi il più
estroverso, scorrevole e delizioso Valse n.1
dai Quatre Valses oubliées. È
ritornata poi la Fleming, accompagnata dal
pianista in palcoscenico, per tre rare ma
efficaci romanze di Liszt che tradotte nella
nostra lingua titolano: Al colmo della gioia
e del dolore, Su tutte le vette è pace
e Nel Reno, nel bel fiume. Intesa
ottima tra i due interpreti in questi brani di
raro ascolto, con sonorità virtuosistiche al
pianoforte tipiche del musicista ungherese e una
voce ben delineata che rivela le ancora integre
doti della cantante
americana
nel mettere in rilievo le capacità compositive
del genio ungherese, in un settore musicale meno
conosciuto. Dopo il breve intervallo, è stato il
turno di Rachmaninov prima vocale, poi per solo
pianoforte. Due canti, Siren' (Lillà) e
Son (Il sonno), quindi il solo pianoforte
con il meditato Mélodie e la
spagnoleggiante Sérénade, entrambi dai
Morceaux de fantasie op.3. Fragorosi
applausi e ancora quattro brani: due di Liszt
con il breve Se c'è un grazioso praticello
e il corposo e splendido Oh! Quando dormo;
quindi due canti di rara esecuzione del parigino
Henri Duparc, Extase e Le manoir de
Rosemonde, che hanno concluso il programma
ufficiale. Questi ultimi due lavori, di
rarissimo ascolto, erano molto in sintonia con i
precedenti e ancora interpretati con evidente
espressività. Applausi lunghi e calorosi al
termine del programma ufficiale in un teatro al
completo e ben tre i bis concessi : prima una
meditata e luminosa Ave Maria di
Schubert, poi ancora un lied di Rachmaninov e, a
conclusione, di Richard Strauss un'intensissima
Morgen. Pubblico in delirio, in piedi, e
numerose uscite dei due grandi protagonisti
visibilmente soddisfatti.
27 gennaio 2023 Cesare
Guzzardella
Un omaggio al cinema
di Guido Rimonda e la
Camerata Ducale
L'omaggio alla musica per il
cinema dell'ottima serata ascoltata ieri sera in
Conservatorio per la Società dei Concerti
e denominata "SMILE: uno Stradivari al
Cinema", vedeva il violino di Guido Rimonda
acompagnato
dalla
sua Camerata Ducale. Una miscellanea di brani,
quasi tutti notissimi, che ci hanno portato al
mondo delle immagini, pur essendo alcuni di
questi temi di una bellezza autonoma
indiscutibile. Stiamo parlando del tema da
Schinder's list di John Williams, del tema
dal Postino di Luis Bacalov, del Tema
di Deborah da C'era una volta in America
di Ennio Morricone e ancora di Morricone il
Tema d'amore da Nuovo cinema paradiso,
solo per citare quelli che tutti conoscono. Ma
ben quindici erano i brani in programma con
anche il celebre Adagio di Albinoni
utilizzato nel film Il processo o il
brano She
cantato
da Charles Aznavour nel film Notting Hill.
La mirabile interpretazione di Rimonda, nel
felice contesto dell'ottima Orchestra d'Archi,
ha nobilitato musiche che trovano nella valore
melodico, romanticamente espresso, la ragione
del successo di un concerto che non può non
piacere. Il timbro elegante e profondo dello
Stradivari utilizzato dal solista-direttore è
apparso di evidente bellezza. Applausi fragorosi
dal pubblico presente in Sala Verdi e un fuori
programma con un bis di Giovanni Battista Viotti,
il musicista al quale Rimonda deve moltissimo
nella sua brillante carriera violinistica e
direttoriale. Di Viotti è stata eseguita una
delicata e profonda Meditazione in preghiera
(1793). Splendida!
26 gennaio 2023 Cesare
Guzzardella
Il giovane direttore
Peltokoski
per Poulenc e
Čajkovskij
Il ventiduenne direttore
d'orchestra finlandese Tarmo Peltokoski in
questi giorni è stato alla
guida dell'Orchestra Sinfonica di Milano in un
programma particolare che prevedeva il
Concert champêtre per clavicembalo e orchestra
del parigino Francis Poulenc (1899-1963),
seguito della più celebre Sinfonia n.6 in si
minore op.74 "Patetica" del russo P.I.
Čajkovskij. Due lavori con caratteristiche
differenti, il primo del 1927-28 a metà
strada nella vita del francese, il secondo
terminato nel 1893, anno della morte del grande
musicista russo.Un contrasto netto tra il
neoclassicismo ricco di creatività di Poulenc e
il romanticismo di
Čajkovskij
che con questo lavoro e il profondo ed ispirato
Adagio lamentoso conclusivo termina la
sua
cospicua
produzione musicale. L'interessante, piacevole e
ricco di varietà timbriche,
concerto campestre di Poulenc, fa parte
di quel genere molto personale che ha dato
notorietà al compositore francese, unitamente
agli altri concerti come quello per pianoforte o
quello, più celebre, per due pianoforti ed
orchestra.
Protagonista
della replica domenicale- ascoltata ieri
pomeriggio- era il clavicembalista francese Jean
Rondeau. Il cembalista ha sostenuto con
sicurezza e disinvoltura la parte solistica,
parte ben inserita nel contesto orchestrale che
trova anche numerosi momenti solistici.
L'importante componente dell'orchestra, ricca di
timbriche contrastanti, è stata ben delineata
dall'ottimo direttore Peltokoski, a suo agio nei
repentini cambiamenti ritmici e dinamici che
l'originalissimo lavoro impone. Applausi
calorosi ai protagonisti. Espressivo
il
breve ma intenso bis clavicembalistico bachiano
concesso da Rondeau. L'impegnativa e corposa
Sinfonia "Patetica", eseguita dopo il breve
intervallo, ha trovato un direttore adeguato per
il lavoro di grande impegno del celebre
compositore russo. L'ottima interpretazione
complessiva ha avuto i frangenti migliori
nell'estroverso Allegro molto vivace e
nelle interiori sonorità dell' Adagio
lamentoso.Andante, finale che trova, con le
ultimissime lunghe note, quel momento di
silenzio sconvolgente. Pur con la sua giovane
età, Peltokoski ha dimostrato di possedere
potenziali molto alti per una futura importante
carriera musicale. Applausi calorosi dal
numeroso pubblico intervenuto in Auditorium
nella seconda e ultima replica.
23 gennaio 2023 Cesare
Guzzardella
AL COCCIA DI NOVARA LA
STAGIONE LIRICA ESORDISCE COL TROVATORE
A inaugurare la stagione
lirica novarese 2023 torna al Teatro Coccia dopo
più di diciassette anni uno dei capolavori più
popolari di Verdi: il Trovatore. Risale infatti
al 2005 l’ultima rappresentazione di quest’opera
a Novara: mentre non si contano i Rigoletti e Le
Traviate andate in scena al Coccia in questi
diciassette anni, di Leonora e Manrico, di
Azucena e del Conte di Luna si erano perse,
piuttosto inspiegabilmente, le tracce. Siamo
grati di cuore all’attuale direzione del Coccia,
affidata alla brava Corinne Baroni, per averci
regalato la possibilità di ascoltare a Novara
questo gioiello del catalogo verdiano e, in
generale, del teatro musicale italiano. Quella
di ieri sera è stata una sorta di nuova
inaugurazione del più importante teatro della
città, dopo tre anni di pandemia e il pubblico
degli appassionati dell’opera, molto numeroso a
Novara, anche tra i giovani, ha
risposto
come meglio non si poteva: con uno straripante
tutto esaurito, annunciato con comprensibile
soddisfazione dalla stessa Baroni nel breve
discorso di saluto al pubblico prima dello
spettacolo. Il Trovatore andato in scena ieri
sera, venerdì 20 gennaio (repliche, con cast
leggermente modificati oggi sabato 21 alle h.
20,30 e domani, domenica 22 alle h. 16) è una
nuova coproduzione del Teatro Coccia, secondo il
libretto di sala con i Teatri di Lubecca, di
Kiel, col Regio di Parma, col Comunale di Modena
e con la Fondazione dei Teatri di Reggio Emilia:
articoli di giornale che presentavano nei giorni
scorsi lo spettacolo riferivano teatri
completamente diversi: circostanza un po’ strana,
ma noi ci atteniamo alle informazioni ‘ufficiali’.
La regia dello spettacolo porta la firma di Deda
Cristina Colonna, firma di prestigio nel
melodramma barocco e nell’opera contemporanea,
ma qui al suo ‘primo Verdi’. Per l’occasione
propone una scena ‘essenziale’ (per usare le sue
stesse parole), in cui non si dà una netta
separazione tra interno ed esterno, ma la
dimensione spaziale è come allusa, evocata da
un’atmosfera notturna, molto suggestiva, che,
grazie alle luci soffuse e quasi evanescenti del
light designer (oggi si dice così) Fabrizio
Gobbi, avvolge quanto avviene sul palcoscenico
in un’atmosfera impalpabile e sottilmente
inquietante, gravida “delle superstizioni, dei
desideri di vendetta tramandati da generazioni,
da sentimenti d’amore non controllati” (sempre
per citare le parole di Deda C. Colonna). La
scena deve appena alludere all’epoca storica in
cui il libretto di Cammarano e, prima ancora, il
dramma dello spagnolo Garcìa Gutierrez che ne è
la fonte, collocano la cupa vicenda, cioè il
Quattrocento, ovviamente in Spagna: ecco quindi
elementi architettonici appena abbozzati, quasi
astratti che evocano un palazzo quattrocentesco:
colonne, una scalinata, accanto a cui compare,
all’inizio del secondo atto un grosso tronco
d’albero, che, adagiato sul palcoscenico,
completamente secco e col suo colore bianchiccio,
sembra evocare un grande osso, possibile simbolo
di quella morte che, in questo fosco dramma,
aleggia sulla vicenda dall’inizio alla fine. Il
tutto creazione dello scenografo Domenico
Franchi,
cui si devono anche i costumi, che
giocano in particolare su due colori
dall’evidente significato simbolico: il blu per
il Conte di Luna (la notte della vendetta e
della morte inflitta), e il rosso per gli
zingari e in particolare per Azucena (il sangue
delle vittime, dei perseguitati). Questa
rarefazione estrema, ai limiti dell’astrazione,
della regia e della scenografia coglie uno degli
aspetti essenziali del Trovatore, il suo essere
un’opera in cui l’azione è ridotta a pochi
eventi, mentre prevale la dimensione del ricordo,
che allontana il presente nella notte interiore
di una atroce violenza patita, di una lunga
catena di odi. Più che di “ultima notte del
Medio Evo”, come dice la regista, preferiremmo
parlare di una ‘notte dell’anima’, quella che
stende il suo velo sul Trovatore. E avvolta
dall’oscurità è la stessa relazione tra i
personaggi di Manrico e del Conte di Luna, che
ignorano di essere fratelli e l’identità stessa
di Manrico, che ignora la propria origine. Buona
la direzione dell’Orchestra Filarmonica Italiana,
da parte del Maestro Antonello Allemandi, con
una lunga carriera di direttore d’opera di tutto
rispetto, anche a livello internazionale: ben
curato l’equilibrio tra orchestra, solisti e,
ove presente, coro, il Coro As.Li.Co. ben
diretto dal Maestro Massimo Fiocchi Malaspina
(molto bello il Miserere del quarto atto) e
valida la gestione delle dinamiche e della
timbrica orchestrale nel dare risalto ai momenti
lirico-sentimentali o a quelli più visceralmente
emotivi dell’opera. Con un adeguato e sapiente
stacco dei tempi, Allemandi è stato un costante
riferimento per i cantanti, non solo nelle arie,
ma anche nelle scene d’insieme. Veniamo ai
cantanti. Il personaggio di Manrico ha trovato
nel tenore uruguaiano-americano Gaston Rivero un
interprete che ne ha fatto prevalere nettamente
il carattere eroico su quello sentimentale:
esemplare a tal riguardo la bella aria del
finale del terzo atto “Ah sì ben mio” dove il
ritmo perentorio del tema conclusivo in maggiore,
colla sua ispirazione eroica, prevale nettamente,
nell’interpretazione di Rivero, sul malinconico
tono di romanza della prima parte, in minore,
per poi esplodere nell’ardore guerriero della
celeberrima cabaletta “ Di quella
pira…col
vostro sangue la spegnerò…” Voce di buon timbro,
sia nei centri, sia nell’acuto, scolpisce un
efficace fraseggio, con ottima gestione del
fiato, il che lo aiuta anche nella resa ‘attoriale’
del personaggio e gli consente di essere
protagonista in quelle parti d’assieme che ne
vedono la presenza.. Nel ruolo del Conte di Luna
il giovane baritono cubano Jorge Nelson Martinez
Gonzalez, fresco di studi all’Accademia di
perfezionamento della Scala, ha dato buona prova
di sé, per il bel timbro, una valida estensione
vocale, con solidi centri e un buon acuto e una
scioltezza di fraseggio già matura. Meno
convincente la sua interpretazione scenica:
troppo spesso è sembrato ‘frenato’ e poco
disinvolto nei movimenti e in generale il suo
Conte di Luna ci è parso piuttosto scialbo
nell’espressione dell’aspetto essenziale del
personaggio, la sua sete di vendetta cieca e
spietata, che ne fa uno dei ‘cattivi’ più feroci
del teatro verdiano. L’unica italiana fra i
quattro ruoli principali, il giovane soprano
Sara Cortolezzis, vincitrice lo scorso anno a
Busseto dell’importante Concorso Internazionale
Voci Verdiane, proprio con la celeberrima aria
del Trovatore “”Siam giunti…d’amor sull’ali
rosee”, merita un voto sufficiente, ma nel
complesso non ci ha entusiasmato. La sua
tessitura vocale presenta un più che discreto
acuto, morbido e dolce, mai forzato, ma registri
medio bassi piuttosto fragili, che nel primo
atto, forse anche perché condizionata
dall’emozione, le impediscono di cantare
adeguatamente l’aria “Tacea la notte placida”,
una delle perle del Trovatore, e la stessa
euforica cabaletta successiva, tutta trilli e
saltelli, le riesce piuttosto insipida. Nel
terzetto che chiude l’atto la sua voce si perde
quasi completamente nel concertato. Dobbiamo
però dire che, dopo questo inizio deludente, la
Cortolezzis viene gradualmente migliorando sia
sul piano vocale, sia per presenza scenica, sino
a dare una interpretazione convincente nel
quarto atto, che la vede protagonista, fin da
subito con l’aria “Siam giunti…”, il cui
cantabile è eseguito con suggestiva dolcezza e
delicato fraseggio, ma anche le ampie campate
melodiche di “Mira, di acerbe lacrime’ sono ben
interpretate e danno voce adeguata al tono
implorante che le ispira. La Cortolezzis
conclude degnamente la sua prova nel terzetto
finale, che la vede spegnersi sotto l’effetto
del veleno, con un canto di misurato, ma
toccante pathos. In generale, nonostante il
premio al concorso bussetano, ci pare che la
Cortolezzis, come soprano lirico verdiano debba
ancora maturare un po’, irrobustendo la
tessitura vocale, per ora alquanto leggera. Il
mezzosoprano romeno Carmen Topciu, ieri sera nel
ruolo di Azucena, è un volto famigliare agli
amanti novaresi dell’opera: al Coccia aveva già
cantato la parte di Isabella ne “L’Italiana in
Algeri” una decina di anni fa. Rispetto a quella
prova l’abbiamo trovata decisamente migliorata
rispetto a quello che allora ci parve il suo
limite, gli acuti, troppo forzati. La Topciu
ascoltata ieri ha invece dato prova di un buon
dominio complessivo della tessitura vocale,
unendo a ottimi centri e bassi, acuti raggiunti
senza sforzo, e in generale un’emissione potente
e intensa, sorretta da un bel timbro brunito e
accompagnata da una valida postura scenica,
nella quale sui tratti più ‘allucinati’ e
stravolti del personaggio, prevalgono quelli
sofferenti di madre colpita da atroce sventura e
desiderosa di affetto filiale. Lo si vede bene
nell’aria “Stride la vampa”, ove la Topciu
riduce la convulsione e il ritmo saettante della
linea melodica, per portare in primo piano
l’angosciosa ossessione di quella nota, un Si
minore, che esprime in canto lo strazio che ne
lacera l’anima senza tregua. Bellissima, nella
sua mestizia, la successiva aria narrativa “Condotta
ell’era in ceppi”. In generale, la Azucena della
Topciu è stata, come doveva essere, la
protagonista, intorno a cui è ruotata la vicenda
complessiva del fosco dramma verdiano. Il
bilancio della sua performance è dunque
decisamente positivo. Generalmente adeguate le ‘parti
di fianco’ Deyan Vatchkov (Ferrando),un valido
basso, efficace nel racconto degli antefatti che
apre l’opera, il tenore Francesco Marsiglia
(Ruiz),il soprano Yo Otahara (Ines). Un buon
inizio stagione, questo Trovatore, per il Teatro
Coccia, molto applaudito dal pubblico e che
segna
–
incrociamo le dita- il ritorno alla normalità
dopo il periodo da incubo della pandemia.(
Foto dall'Ufficio Stampa di Novara)
21 gennaio 2023 Bruno Busca
CHOPIN E SKRJABIN ALLO SPECCHIO AL
VIOTTIFESTIVAL DI VERCELLI
Dopo la pausa natalizia, il
vercellese Viottifestival apre il nuovo anno
della sua XXV stagione con il recital del
trentenne pianista pescarese Leonardo
Pierdomenico, segnalatosi in numerosi concorsi
nazionali ed internazionali di prestigio, tra
cui il Van Cliburn del 2017, ove ottenne uno dei
premi in palio, il R. E. Buck Award. Ieri sera,
sabato 14 gennaio, sul palcoscenico del Teatro
Civico, Pierdomenico presentava un programma
intelligentemente studiato e di notevole
spessore ‘musicologico’, incentrato sulle due
figure di Chopin e di Skrjabin, ovvero su due
momenti-chiave
nella
storia della musica, non solo pianistica,
dell’8-‘900. L’impaginato era impostato secondo
il criterio di un rigoroso confronto tra i due
compositori, giustificato dall’evidente
influenza che il modello del grande polacco ebbe
sulla formazione del linguaggio musicale di
Skrjabin, che peraltro intraprese ad un certo
punto un percorso tutto suo, riplasmando in modo
profondamente originale le conquiste del
pianismo chopiniano e aprendosi, con soluzioni
armoniche atonali e la dissoluzione delle forme
tradizionali, a un mondo musicale ormai
partecipe del ‘900. Questo ‘specchio’(secondo
l’azzeccato titolo del programma di sala) tra
Chopin e Skrjabin è ottenuto con l’alternarsi di
opere dei due autori appartenenti al medesimo
genere musicale: Mazurke, le due op.40 di
Skrjabin e le tre op.50 di Chopin, Valzer, l’op.
38 di Skrjabin e il Grande Valzer op. 43 di
Chopin, Improvvisi, col n.1 di Chopin e l’op.14
n.1 del compositore russo, Sonate, la n.5 in fa
diesis minore op.53 di Skrjabin e la chopiniana
n.3 in si min. op.58, a chiudere il concerto
Nell’affrontare questo impegnativo programma,
Pierdomenico si rivela pianista di notevoli
qualità: al completo dominio tecnico della
tastiera, che gli permette di superare con
disinvoltura le più impervie difficoltà nella
diteggiatura, proprie sia di Chopin, sia, e
soprattutto, di Skrjabin (le cui leggendarie ‘piccole
mani’ gli imposero soluzioni di diteggiatura che
sfiorano l’acrobazia) si aggiungono già mature
capacità interpretative ed espressive. In
generale il pianista abruzzese vanta un ottimo
legato, che gli consente un fraseggio fluido e
avvolgente, anche nelle sezioni agogicamente più
travolgenti, accompagnato dalla dote di
conferire alla frase, all’esposizione di motivi
e temi, quel giusto ‘respiro’ che asseconda le
varie e cangianti sfumature della melodia,
sostenuta anche da un sapiente uso dei pedali.
Queste qualità emergono in particolare
nell’interpretazione delle composizioni di
Chopin, in particolare nei frequenti passaggi di
fitta ornamentazione, ove Pierdomenico,
sfruttando al meglio la veloce e incessante
ripetizione di una figura ritmico-melodica, crea
un continuum sonoro di coinvolgente intensità
espressiva, aliena da ogni esibizione di banale
virtuosismo, come nel Grande Valzer op.42. Il
tocco del giovane pianista pescarese si
caratterizza per luminosità e precisione,
trasparente pulizia, capace di plasmare con
nettezza ogni singola nota, anche nei passaggi
più rapidi, e con perfetto equilibrio sonoro
delle due mani, il che consente all’ascoltatore
una limpida percezione anche dei sostegni
armonici delle parti melodiche della partitura:
anche dai palchi era ben udibile la
particolarità del Valzer op.38 di Skrjabin, in
cui la mano sinistra non segue il ritmo tipico
della danza, ma realizza la misura dei tre
quarti con serie di quartine o quintine.
Soprattutto, il suono di Pierdomenico ha una
particolare duttilità dinamica, che conferisce
al fraseggio un continuo gioco chiaroscurale,
che ne potenzia l’intensità espressiva. Per
questo motivo il brano che più ci è piaciuto del
recital di Pierdomenico è la Sonata op.5 in Fa
diesis min. op.53 di Skrjabin: opera capitale
nel catalogo del grande musicista russo, punto
di svolta della sua concezione della musica, in
cui allo sfaldamento del tonalismo tradizionale
s’accompagna la dissoluzione degli schemi cari
alla forma-sonata ottocentesca. In un unico
movimento, che riprende formalmente il primo
tempo di sonata, per trasformarlo profondamente
(tanto che riesce davvero difficile al primo
ascolto distinguerne le diverse partizioni), la
sonata n.5 di Skrjabin per ‘contenuto’ musicale
si caratterizza per l’alternarsi, presente fin
dall’Introduzione di momenti di impetuosa
esaltazione e momenti in cui il suono, ridotto
quasi alla sordina, si rarefà, in un clima di
estatica sospensione (‘Languido’, è indicato
nella partitura), creando un insieme musicale
imprevedibile, affascinante nella rottura di
ogni legame di logica razionale tra i diversi
frammenti in cui è spezzato. Pierdomenico è
bravissimo a sottolineare espressivamente la
suggestione di questo capolavoro, dando
l’impressione, nei momenti più estatici, quasi
di sfiorare più le corde che i tasti del
pianoforte, per poi subito dopo rituffarsi nel
magma convulso dell’Imperioso o del Tumultuoso
esaltato. Un’esecuzione, questa di Pierdomenico,
che colloca la sua quinta sonata di Skrjabin,
tra le migliori da noi ascoltate negli ultimi
anni, pianisti russi compresi ( si dice che solo
i russi sappiano suonare Skrjabin come si deve…).
Se qualcosa quest’ ottimo pianista deve ancora
affinare è forse quella sfumatura di delicata e
perlacea dolcezza necessaria ad uno chopiniano
completo: quello che sarebbe dovuto essere uno
dei momenti ‘clou’ della serata, la lunga elegia
della sezione centrale del Largo della Sonata
n.3, uno squarcio di luminosa e inafferrabile,
eterea dolcezza che ha pochi eguali nella storia
della musica, nell’esecuzione di Pierdomenico
non ci ha comunicato quell’emozione che altri
interpreti ci hanno dato. Non ci soffermiamo
naturalmente su altri singoli brani in programma,
in cui il pianista pescarese ha messo in mostra
il meglio delle sue risorse tecniche ed
interpretative. Applauditissimo dal pubblico,
che riempiva la platea del Civico, Pierdomenico
ha concesso due bis: il primo, ci pare, da
Skrjabin, il secondo il celebre Studio op. 25
n.1 di Chopin, eseguito alla perfezione nella
sua travolgente melodia figurata. L’anno 2023
per la Camerata ducale e il ViottiFestival, si
apre dunque sotto i migliori auspici, e con
l’augurio di riascoltare prossimamente il bravo
Pierdomenico. (Foto Ufficio stampa Vercelli)
15 gennaio 2023 Bruno Busca
Kolja Blacher e Javier
Comesaña per Bernstein e Mendelssohn
all'Auditorium
L'interessante impaginato
sinfonico ascoltato ieri sera in Auditorium
dall'Orchestra Sinfonica di Milano prevedeva due
brani importanti: il primo di Leonard Bernstein
con la Serenata per violino solista, archi e
percussioni, lavoro del 1954 ispirato dal
Simposio di Platone e, dopo l'intervallo, di
Felix Mendelssohn la nota Sinfonia n.3 in la
minore op.56
"La Scozzese". Il primo lavoro
è stato preceduto da un'incisiva lettura di
estratti del Simposio operata da Massimiliano
Finazzer Flory. Ricordiamo che proprio il grande
direttore e compositore americano, nel
realizzare la Serenata, aveva stabilito una
sorta di programma legato all'opera del grande
filosofo, suddividendo il lavoro in cinque parti,
in relazione al dialogo degli intellettuali,
poeti e filosofi, citati nel Simposio: Fedro,
Pausania, Aristofane, Erissimaco, Agatone,
Socrate e Alcibiade. La direzione dell'orchestra
milanese era affidata a Kolja Blacher, mentre la
Serenata trovava nel ruolo di protagonista il
giovane violinista spagnolo Javier Comesaña, un
solista emergente nel panorama internazionale,
vincitore del Concorso Internazionale
J.Heifetz di Vilnius e dei quello dedicato a
J.Joachim.
Un brano particolarmente
coinvolgente quello di Bernstein, restituito con
profonda espressività dall'orchestra e dalle
eccellenti sonorità del violino di Comesaña. La
sua cavata morbida e all'occorrenza incisiva, ha
esternato sonorità perfettamente adeguate al
complesso lavoro che rivelano un Bernstein con
il suo tipico linguaggio diversificato, che sa
essere solenne, ritmico e spesso estroverso.
Ottima l'interpretazione complessiva. Bravissimo
Comesaña nel bis solistico concesso con l'Andante
dolce dalla Sonata per violino solo
di S.Prokofiev eseguito con intensa espressività.
La Sinfonia n.3 op. 53 "Scozzese" del musicista
tedesco ha quindi rivelato ancor più le qualità
direttoriali di Blacher, interprete noto anche
come violinista. La valida interpretazione della
Sinfonica era esplicitata da un corretto
dosaggio timbrico nei quattro movimenti che
formano il celebre lavoro composto da
Mendelsshon nel 1842. Precisa e dettagliata la
direzione di Blacher. Applausi fragorosi al
termine dei brani eseguiti. Domenica 15 gennaio
alle ore 16.00 si replica. Da non perdere.
14 gennaio Cesare Guzzardella
La musica barocca
di Vivaldi
e di Bach per l'ensemble Concerto De' Cavalieri
diretto da Marcello Di Lisa
Una serata all'insegna della
musica barocca, quella organizzata dalla
Società dei Concerti in Conservatorio, con
una compagine cameristica di primo
livello
quale "Concerto de' Cavalieri". Un
ensemble fondato e diretto da Marcello Di
Lisa, specializzato in musica antica. Ieri sera
il programma di Sala Verdi prevedeva musiche di
Antonio Vivaldi e di J.S. Bach. Aseguiti in
alternanza, abbiamo ascoltato tre concerti del
veneziano ( op.3 n.9- op.3 n.5 e RV
739) e tre Brandeburghesi del grande tedesco
( n.5, n.3 e n.4). La resa
strumentale di questa eccellente orchestra
d'archi, con clavicembalo e in alcuni brani uno
o più flauti, è stata caratterizzata da
timbriche dal sapore antico, delineate in modo
fluido e virtuosistico sia nei fondamentali
interventi solistici che nell'insieme
strumentale. Il virtuosismo strumentale,
tipico
della musica di primo Settecento, sia vivaldiano
che bachiano, ha trovato gli ottimi interventi
del violino solista nelle mani di Federico
Guglielmo, del bravissimo flautista Tommaso
Rossi e dell'efficace cembalista Salvatore
Carchiolo, tastierista con importante intervento
solistico nel Concerto Brandeburghese n.5 in
re maggiore. Guglielmo era presente come
solista nella maggior parte dei brani e la sue
splendida resa espressiva si è rivelata
disinvolta,
sicura
e con caratteristiche "improvvisatorie" tipiche
del migliore barocco. Nel brano finale, il
Concerto Brandeburghese n.4 in sol maggiore,
oltre al violino solista di Guglielmo e il
flauto di Tommaso Rossi di eccellente resa, era
presente un secondo flauto con la bravissima
Rebeca Ferri, violoncellista negli altri brani.
Successo meritatissimo per tutti i protagonisti
ad iniziare da Marcello Di Lisa e fragorosi
applausi. Come bis ripetizione di un movimento
vivaldiano. Splendida serata.
12 gennaio 2023 Cesare
Guzzardella
Marco Albonetti
e l'Orchestra
Filarmonica Italiana alle Serate Musicali
di Sala Verdi
"Around Astor" è il
titolo pensato dal sassofonista romagnolo, di
Faenza, Marco Albonetti per il concerto di ieri
sera alle Serate Musicali del
Conservatorio milanese. È un omaggio al grande
compositore e virtuoso di bandoneón Astor
Piazzola, nel trentennale della sua scomparsa.
Un impaginato che prevedeva anche brani di altri
autori, vicini a quel mondo musicale legato ai
ritmi del tango argentino. Cinque brani di
Piazzolla (1921-1992) si sono alternati ad altri
di Carlos Gardel (1890-1935), Nadia Boulanger
(1887-1979), Pablo Ziegler (1944) e Richard
Galliano (1950), per una serie di
arrangiamenti-adattamenti dello stesso Albonetti
che nei
profondi
timbri dei sassofoni soprano, contralto e
baritono, hanno trovato ottime trascrizioni per
l'Orchestra Filarmonica Italiana, una
compagine di strumenti ad arco con l'aggiunta di
un pianoforte. Il risultato complessivo, molto
apprezzato dal numeroso pubblico presente in
Sala Verdi, è stato certamente valido, con
sinceri applausi al termine, pienamente meritati,
dovuti ai colori precisi e profondi delle
timbriche espresse dall'ottimo sassofonista e
anche ai calibrati, precisi e tenui colori della
valida compagine strumentale. Alcuni brani
celebri di Piazzolla, come Oblivion, reso
con eccellente espressività dal sax soprano di
Albonetti e anticipato da una breve introduzione/improvvisazione
del sassofonista o Otoño Porteño,
intensamente espressivo, e anche Fuga y
Misterio che trova riferimento al fugato
bachiano, hanno trovato alternanza con altri
meno celebri come Triunfal o Años de
soledad, un brano,
quest'ultimo,
che nel lontano 1974 venne interpreto da
Piazzolla insieme al grande
sassofonista-baritono Gerry Mulligan. Mentre gli
altri lavori, ad iniziare da una sorta
d'improvvisazione introduttiva dal brano
Volver del noto cantante franco-argentino
Carlos Gardel o dal melodico, quasi una
preghiera, Lux Aeterna, della celebre
didatta compositrice francese Nadia Boulanger,
non erano certo molto conosciuti. Interessanti i
due brani di Ziegler -collaboratore e pianista
di Piazzolla - prima con RojoTango e poi
con il profondo e armonicamente più complesso
Milongueta. A conclusione due classici brani
del grande fisarmonicista francese Richard
Galliano, un compositore molto legato a
Piazzolla, prima con La Valse a Margaux,
eseguita molto bene dalla sola Orchestra d'archi
- per problemi inaspettati al sax di Albonetti-
e poi il Tango pour Claude, nella
trascrizione per sax soprano e orchestra, questa
volta con il sassofono risistemato, ma a detta
di Albonetti, solo parzialmente funzionante. Una
serata diversa dal consueto, presentata in modo
divertente dallo stesso Albonetti, e certamente
di ottima qualità, con un bis nella ripetizione
di Años de soledad.
10 gennaio 2023 Cesare
Guzzardella
Markus Werba
e Michele Gamba per
Winterreise di Franz Schubert
Meritato successo al Teatro
alla Scala per il baritono austriaco Markus
Werba che insieme al pianista e direttore
d'orchestra milanese Michele Gamba hanno affrontato
il più grande capolavoro vocale di Franz
Schubert, il ciclo di 24 lieder per voce e
pianoforte, Winterreise D911- Viaggio
d''nverno,
su liriche di Wilhelm Müller, terminato
nell'ottobre del 1827. Il viaggio iniziato con
il celebre lied Gute Nacht- Buona notte,
e concluso con Der Leiermann,
L'uomo dell'organetto, segna l'ultima tappa
completa , probabilmente la più importante,
insieme a Die Schöne Müllerin - ciclo di
qualche anno prima- del grande compositore
viennese, anche se l'anno successivo al Viaggio
d'inverno, Schubert concludeva un ciclo più
breve in quattordici canti, con testi di più
autori, Schwanengesang, Il canto del
cigno. Il lied conclusivo di Winterreise, Der
Leiermann, che abbisogna
al termine di una lunga pausa di silenzio,
purtroppo ieri sera interrotta dai precoci
applausi del pubblico, segna un momento di
riflessione importante nella produzione vocale e
strumentale di Schubert. Sono poche e
fondamentali note del pianoforte che si pongono
in relazione con la calda voce del baritono, che
esprime parole che fanno riflettere
sul valore e sull'utilità della vita umana. Il
celebre baritono, ottimanente inquadrato
armonicamente dalla note di Gamba, pianista
molto rispettoso della vocalità, ha intonato con
calore ed espressività tutti i ventiquattro
canti, rivelando una timbrica chiara e ricca di
colori. Il pubblico, al termine, ha mostrato
entusiasmo per la splendida serata canora e i
protagonisti sono usciti soddisfatti più volte
in palcoscenico senza però concedere bis,
ma probabilmente, dopo quel conclusivo Der Leiermann,
non era proprio necessario.
(foto di Brescia e Amisano dall'Archivio della
Scala)
9 gennaio 2023 Cesare Guzzardella
Ancora successo per
Lo Schiaccianoci
di Rudolf Nureyev al Teatro alla Scala
Sono riprese le repliche de
“Lo Schiaccianoci” al Teatro alla Scala.
Siamo giunti alla nona rappresentazione del
celebre balletto che Rudolf Nureyev portò per la
prima volta nella sala del Piermarini nel 1968 e
che da allora è tornato per decine di repliche
sino al 2006. Ieri sera, ancora in un teatro al
completo,
nel ruolo del signor Drosselmeyer/il Principe,
c'era l'eccellente Jacopo Tissi, prestigioso
primo ballerino del Teatro Bol' śoj,
attualmente Artista Ospite del Teatro alla Scala.
Nel ruolo di Clara, la splendida Martina
Arduino ha ancora una volta rivelato una
leggerezza ed un'eleganza di primissimo livello.
I due principali protagonisti hanno quindi
espresso eccelse qualità
in questa favola fantastica, ricca di simbologia,
nel quale risulta evidente il riferimento
psicoanalitico legato alla visione onirica di
Clara. La regia e la coreografia di Nureyev,
ottimamente ripresa da Aleth Francillon e da
Manuel Legris, sono oramai da considerarsi
espressioni classiche entrate nella storia del
balletto, unitamente alle incantevoli musiche di
Pëtr Il’ič
Čajkovskij, per l'occasione dirette con garbo e
precisione da Valery Ovstyanikov. Di rilevanza,
oltre ai due protagonisti, ricordiamo Gabriele
Corrado , il dottore Stahlbaum, Francesca
Podoni, la signora Stahlbaum, Rinaldo
Venuti, Fritz, Alessandra Vassallo,
Luisa,
Serena Sarnataro, la Nonna,
Massimo Dalla Mora, il
Nonno,
Alessandro Paoloni, lo Schiaccianoci e
Gioacchino Starace, il Re Topo.
Eccellente tutto il Corpo di ballo del Teatro
alla Scale e bravissimo il Coro di voci bianche
preparato da Marco De Gaspari, tutti inseriti
magistralmente nelle scene di Nicholas
Georgiadis, autore anche dei costumi. Rilevanti
le luci di Andrea Giretti. Prossime repliche
previste per questa sera, poi per il 7 e l'11
gennaio. Da non perdere.
(foto di Brescia-Amisamo- Archivio della Scala)
5 gennaio 2023 Cesare
Guzzardella
Eccellente Thomas Guggeis per
la Nona Sinfonia di Beethoven
Solo all' ultimo momento sono
fortunatamente riuscito ad assistere oggi in
Auditorium, all'ultima replica pomeridiana della
Sinfonia n.9 in Re minore per soli, coro e
orchestra op.125 di L. v. Beethoven. Il
capolavoro era diretto dal ventinovenne tedesco
Thomas Guggeis, una giovane bacchetta insignita
a soli venticinque anni del ruolo di
Staatskapellmeister alla Staatskapelle di
Berlino e già assistente di Daniel Barenboim.
L'Orchestra Sinfonica di Milano, con il suo Coro
Sinfonico preparato da Massimo Fiocchi Malaspina
e quattro eccellenti solisti quali Heather
Engebretson,
soprano, Lucia Cirillo,
mezzosoprano, Moritz Kallenberg, tenore,
e Christian Senn, baritono, hanno
espresso un'interpretazione di alta qualità, ben
proporzionata alla splendida visione
scenografica complessiva dove emergevano i
pregnanti ed eleganti vestiti rossi delle
bravissime orchestrali. Una direzione, quella di
Guggeis, giocata su una mirabile sintesi
discorsiva, con tempi piuttosto rapidi-
l'esecuzione è durata 62 minuti- , ricchi di
energia, definiti da un perfetto equilibrio
delle parti. Il momento clou, quello
tanto atteso del gran finale, con l'Inno alla
gioia nell'ultimo movimento, quando il Coro
si alza in piedi e iniziano gli interventi dei
quattri solisti, ha ancor più impreziosito
l'interpretazione di un capolavoro che per
tradizione rappresenta la fine di ogni anno
musicale dell'Orchestra Sinfonica di Milano ( ex
LaVerdi). Un successo strepitoso meritatissimo
quello ottenuto il primo giorno dell'Anno 2023
nella sala al completo, con applausi
calorosissimi ed interminabili a tutti i
protagonisti, visibilmente soddisfatti.
Splendido inizio d'anno, con il genio di
Beethoven e gli eccellenti protagonisti
interpreti.
1 gennaio 2023 Cesare
Guzzardella
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