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DICEMBRE 2017
Juana Zayas alle
Serate Musicali
Puntuale ai concerti di Serate
Musicali, la pianista cubana Juana Zayas è
tornata in Sala Verdi proponendo lunedì 18 un
repertorio classico, al quale siamo
abituati
ma che continuiamo ad apprezzare per la qualità
della restituzione. Bach, Beethoven, Brahms,
Schumann, Debussy e J. Strauss -rivisitato da
Schulz-Evler- hanno occupato il programma
ufficiale in esecuzioni molto studiate, dallo
spessore altamente classico, giocate sulla bella
sonorità e nei perfetti equilibri dinamici. Ha
suonato benissimo la Zayas e ci
è
piaciuta di più nella Sonata Op.3 n.2 di
Beethoven, nell'Arabesque n.1 di Debussy
e nella virtuosistica e geniale Arabesque su
"Il bel Danubio Blu "di Schulz-Evler che
rivisita in modo efficace e iperbolico i famosi
valzer di J.Strauss In questo lavoro la Zayas ha
mostrato come un'eccellente pianista possa
ridurre al semplice elementi armonici complessi
che richiedono studi accurati e minuziosi.
Lunghi applausi e tre bis chopiniani tra cui lo
Studio n.12 Op.10 eseguito
splendidamente. Da ricordare.
20 dicembre 2017 Cesare
Guzzardella
Un
concerto in memoria di Antonio Mormone,
fondatore e presidente della Società dei
Concerti
L'importante concerto annunciato da
tempo e denominato "Concerto per Antonio"
per ricordare il fondatore e presidente
della Società dei Concerti Antonio
Mormone si è svolto ieri sera in Sala Verdi, nel
Conservatorio milanese,
alla
presenza di un foltissimo pubblico. La storica
Orchestra d'archi de "I Solisti Veneti"
fondata e diretta dal 1959 dal Maestro Claudio
Scimone aveva avuto in passato e per molti anni
come presidente lo stesso Mormone, come
ricordato nel libretto di sala da Enrica
Ciccarelli Mormone, da molti anni direttore
artistico della società concertistica. Nel
palcoscenico di Sala Verdi sono saliti numerosi
solisti quali i violinisti Salvatore Accardo,
Laura Gorna, Anna Tifu, Edoardo Zosi ed il
clarinettista Lorenzo Guzzoni, per un impaginato
con brani noti prevalentemente del Settecento di
Corelli, Bach, Tartini e Vivaldi e meno noti di
Grieg
con l'Elegia per Archi e di Rossini con
le Variazioni per clarinetto e archi dal
Mosè in Egitto e la Donna del Lago. Dopo
l'apertura orchestrale e il Concerto in sol
minore di Arcangelo Corelli, i giovani ed
eccellenti violinisti Anna Tifu ed Edoardo Zosi
hanno duettato nel celebre Concerto in re
minore di Bach per un'esecuzione e ccellente,
ricca di espressività. Il Concerto in sol
maggiore di Tartini ha visto invece solista
Salvatore Accardo per un'interpretazione
delicata e ricca di sentimento. Dopo
l'intervallo
la
breve Elegia op.34 di E.Grieg ha
anticipato le rare e splendide variazioni
rossiniane interpretate da un clarinettista
d'eccezione quale Lorenzo Guazzoni, virtuoso
dello strumento e salutato al termine dal
pubblico con fragorosi applausi. Lo splendido
brano conclusivo vivaldiano, il Concerto in
si minore per quattro violini e violoncello e
archi, ha visto sul palco tutti i quattro
virtuosi del violino, Accardo, Gorna, Tifu e
Zosi e anche il violoncellista Giuseppe Barutti
per un' interpretazione equilibrata nelle parti
e ancora intensamente espressiva. Applausi
fragorosi e omaggi floreali al termine di una
serata che verrà ricordata da tutti e ancor più
da chi ha conosciuto l'animo gentile di Antonio.
18 dicembre 2017
Cesare Guzzardella
All'Auditorium
Olivieri di Novara i pianisti Magagni-Cattarossi
La stagione musicale del
Conservatorio G. Cantelli di Novara, da poco
iniziata, ha proposto oggi pomeriggio, 16
dicembre, nello storico Auditorium Olivieri, un
concerto di notevole interesse per il programma
presentato: tutto all’insegna del ‘900, e
incentrato su un abbinamento strumentale che nel
secolo scorso ha avuto notevole fortuna: due
pianoforti, magari con l’aggiunta delle
percussioni. L’impaginato prevedeva di
Sciostakovic il Concertino in La minore op.94,
di J. Francaix le Huit Dances exotiques
(entrambi i pezzi per due pianoforti) e di B.
Bartok la davvero splendida Sonata per due
pianoforti e percussioni. Alle tastiere Alberto
Magagni (primo pianoforte) e Monica Cattarossi
(è la partner
musicale
di Dindo, qui è stata il secondo pianoforte), ai
timpani Matteo Moretti e alle percussioni e
xilofono Gianluca Centola. Bravissimi Cattarossi
e Magagni a rendere l’alternarsi di ironia e
angoscia tipici del miglior Sciostakovic, con
una individuazione efficace delle dinamiche e
uno stacco puntuale dei tempi, nel succedersi di
sezioni lente e di ritmi martellanti e
incalzanti. Il suono metallico, ma non privo di
venature di soffusa dolcezza nei momenti più
intimi, specie nella parte riservata a
Cattarossi, ha reso al meglio il disegno della
composizione del grande russo. Opera minore
dell’ampio catalogo di J. Francaix, le Huit
Dances ne hanno comunque testimoniato
l’ispirazione che ha costantemente guidato la
sua opera: formatosi nella temperie della scuola
dei sei, amico di Poulenc, Francaix è musicista
di un neoclassicismo ironico, che, quasi in
anticipo sul postmodernismo, si avvale dei
contributi delle più diverse correnti musicali,
in particolare il jazz e il rock’n roll, che non
a caso è il titolo dell’ultima delle otto danze.
La vena esotica del titolo affiora soprattutto
dalle sambe e dalla merengue, anch’esse però
come attratte dal vortice di un ritmo
“motoristico”, meccanico, che può ricordare il
primo Honegger, ma illuminato da un sorriso
ironico, reso anche in questo caso al meglio dai
due pianoforti. Il pezzo forte del concerto è
stato comunque il gioiello di Bartok. Davvero
apprezzabile l’interpretazione dei quattro
strumentisti, abilissimi nel rendere
l’incontenibile motore ritmico e la travolgente
percussività dei tempi veloci, ma ancora più
efficaci nell’interpretare il cuore magico della
composizione, il terzo tempo, Lento ma non
troppo, vero esempio di quella che M. Mila ha
suggestivamente definito la “musica della notte”
di Bartok, un mondo musicale sospeso in
un’atmosfera di allucinata attesa, come
sovrastato da una minaccia indefinibile, qui
creata musicalmente da una melodia lunga
affidata ai pianoforti, sovrapposta alla
sequenza delle percussioni , e che, passando
attraverso ottave e delicate quintine, esplode
poi in sinistri clusters, per estinguersi
magicamente su accordi sussurrati dallo xilofono
e dal secondo pianoforte. Il tutto, suonato alla
perfezione, ha concluso
nel modo
più affascinante questo bel pomeriggio di musica
a Novara.
16 dicembre 2017 Bruno Busca
Il
Don Giovanni al
"Coccia" di Novara
In cartellone ieri sera,
venerdì 15 dicembre, per la stagione lirica del
Teatro Coccia di Novara, la ‘prima’ del Don
Giovanni di Mozart, con replica domani, domenica
17 (stesso cast). Si tratta di una impegnativa
coproduzione, che, inquadrata nel Progetto
artistico Festival di Spoleto, ha visto
coinvolti la Fondazione Teatro Coccia, il
Ravenna Festival, il Festival di Spoleto e lo
spagnolo Cartagena Festival. La regia è stata
affidata a un nome noto dei
palcoscenici,
Giorgio Ferrara, che si è avvalso per la parte
drammaturgica del poliedrico scrittore e
drammaturgo francese René de Ceccatty.
L’orchestra, come ormai da alcune stagioni
diretta da M. Beltrami, direttore musicale del
Coccia, è la giovanile L. Cherubini, creatura
che, amorevolmente curata da Muti, offre ormai
standard esecutivi di apprezzabile qualità
professionale. Il coro, anch’esso ormai di casa
al Coccia è il S. Gregorio Magno, di cui va
detto che, sotto la bacchetta di Beltrami, sta
crescendo, specie nella sezione femminile. Com’è
stato, dunque, questo Don Giovanni
novarese-ravennate-spoletino etc? La proposta
registica è chiaramente enunciata
nell’introduzione al libretto: secondo Ferrara e
de Ceccatty la definizione di “dramma giocoso”,
che compare ufficialmente sotto il titolo del
capolavoro mozartiano, non va presa sul serio,
anzi: il Don Giovanni, veniamo a sapere, è
niente di meno che” una grande Messa da Requiem,
un dialogo tra un ateo e la morte” (citiamo
testualmente). Le scene comiche tra Masetto e
Zerlina? La presenza di un buffo comico tra i
più celebri della storia della musica come
Leporello? Irrilevanti, poco più che equivoci
disseminati dall’autore nel libretto
per
depistare l’ingenuo ascoltatore/spettatore,
facendogli credere di trovarsi di fronte a una
commedia, mentre in realtà gli si propone una
sulfurea e tenebrosa tragedia. Insomma la
complessa e affascinante ambiguità di un’ opera
tra le più inquietanti della storia, sospesa tra
vitalismo sfrenato e morte, come suo limite
invalicabile, viene drasticamente semplificata a
vantaggio di uno solo dei suoi elementi ( e
allora, davvero, non si capisce che ci stia a
fare, appunto. un Leporello…). Dunque, tutta la
drammaturgia e la scenografia, curata
quest’ultima da Dante Ferretti e Francesca Lo
Schiavo, convergono univocamente verso una
simbologia di morte, con un finale, diciamo, già
scritto fin dall’inizio: la vicenda è ambientata
in una “cripta-cimitero”, di cui in realtà nel
primo atto non ci sono molte tracce (lo spazio
sembra piuttosto quello di un sontuoso palazzo
d’epoca, con alti colonnati), mentre è evidente
nel secondo atto, con tavoli che sono in realtà
sepolcri, un salotto che è in realtà un
cimitero, ceri, tenebre, l’immancabile figura
della morte incappucciata di nero con tanto di
falce, che accompagna come un’ombra il
protagonista etc. etc. Ma c’è di più: l’intera
vicenda è immaginata come una visione, un sogno
fatto dal filosofo S. Kierkegaard, che come si
sa, dedica al capolavoro mozartiano un
fondamentale capitolo del suo saggio Aut Aut. Ed
ecco un’altra trovata della regia: prima
dell’apertura del sipario, durante l’esecuzione
dell’Ouverture e negli intervalli, sul proscenio
cammina lentamente su e giù un signore avvolto
in lugubri abiti neri (evidentemente:
Kierkegaard) davanti a un sipario su cui sono
proiettate citazioni dall’Aut Aut. E qui,
francamente, rasentiamo il ridicolo…Poiché la
rappresentazione deve avere l’aspetto di una
“danza macabra” (citazione) tutti i personaggi
“devono sempre essere in scena, come
spettatori-testimoni di questa disperata
vitalità” (altra citazione), sicché Ferrara e de
Ceccatty si semplificano drasticamente uno dei
compiti primari della regia, quello di ‘gestire’
il movimento e l’avvicendamento dei personaggi,
salvo la ‘sorpresa finale’ dei cantanti che
eseguono il concertato conclusivo tra il
pubblico Tralasciando altre ‘innovazioni’ dal
significato poco chiaro (perché, ad es. Don
Giovanni uccide il Commendatore con la pistola
invece che con la spada, come da libretto e da
sempre sui palcoscenici?), il problema vero è
che una simile impostazione
registico-drammaturgica entra fatalmente in
conflitto con la musica, specie quando questa è
diretta da un Beltrami, amante dei tempi rapidi,
più coerenti con un dramma giocoso, che con una
messa da requiem. La parte musicale, pur
affidata a un cast di livello complessivamente
apprezzabile, ha un po’ risentito di questa
impostazione registica, in particolare il don
Giovanni del basso/baritono Dimitris Tiliakos:
non dotato da madre natura di un gran timbro, un
po’ troppo secco, ha tuttavia una buona tecnica
e soprattutto una bella forza espressiva, che
però la regia ha in parte spento, impedendogli
di calarsi pienamente nella parte di un don
Giovanni brutale e fascinosamente seduttorio,
nella quale sembra abbia dato recentemente il
meglio di sé sotto la direzione di Currentzis.
Dei ruoli maschili il migliore è stato senza
dubbio il Leporello di Andrea Concetti,
ampiamente collaudato nella parte: voce non
potente, ma morbida, ha un ottimo fraseggio,
anche se il suo “Madamina…” è risultato un po’
fiacco (ma per colpa sua o della regia?). Da
risentire il tenore americano Brian M. Moore,
che nella parte di Don Ottavio è risultato
alquanto scialbo, sia sotto l’aspetto vocale,
sia sotto quello interpretativo, ma è ben
possibile che così lo abbia voluto il regista.
Vocalmente adeguato il Commendatore di Cristian
Saitta, mentre il Masetto del giovane Cristian
Giulianini ha messo in evidenza una tessitura
trasparente, di un bel colore scuro nei centri,
ma talvolta faticosa nell’emissione. Quanto alle
parti femminili, Lucia Cesaroni, specializzata
in ruoli mozartiani, è stata una apprezzabile
donna Anna, con buona tessitura vocale, omogenea
dai centri agli acuti e ben calata nel ruolo,
mentre Francesca Sassu ha una bella voce
brillante, ma poco adatta al ruolo di soprano
drammatico di donna Elvira. Valida la Zerlina di
Arianna Vendittelli, dal suono pulito, con buona
tecnica negli appoggi. Beltrami ha diretto bene
nel complesso, accompagnando con efficacia il
fraseggio dei cantanti. Non ci è piaciuta troppo
l’Ouverture, in alcune battute troppo
precipitosa, sì da far perdere alcuni dettagli
timbrici e dinamici. Belli i costumi curati da
Maurizio Galante e ispirati ai quadri del
pittore inglese del’700 Th. Gainsborough, ed
efficaci le luci di Fiammetta Baldiserri.
Applausi travolgenti e lunghissimi alla fine per
tutti dal gran pubblico presente, vicino al
tutto esaurito.
16 dicembre 2017 Bruno Busca
Ancora un meritato
successo per l'Andrea
Chénier scaligero
Ieri sera ancora meritato il successo alla terza
rappresentazione di Andrea Chénier al Teatro
alla Scala. La coppia Chailly-Martone ha
centrato il bersaglio attraverso
un'orchestrazione di rilievo per il primo e una
messinscena all'insegna della tradizione ma ben
fatta per il secondo. È da parecchi giorni che
si parla
della
buona riuscita di quest'opera che mancava dal
teatro milanese da trentadue anni e che
probabilmente non ha mai trovato i favori del
grande pubblico italiano. Con la prima del 7
dicembre le cose sono forse cambiate grazie
oltre ai già citati due artisti, anche
all'ottimo cast vocale impiegato, sie per i tre
protagonisti principali - la coppia-sul palco e
nella
vita Netrebko-/Eyvazov, Maddalena e
Chénier, e Luca Salsi, Gerard- che
anche per tutti i comprimari. (Tutte le foto di
Brescia-Almisano -Archivio Scala) Le ottime
scenografie di Margherita Palli e i costumi di
Ursula Patzak, messe in risalto dalle luci di
... hanno naturalmente fatto la loro parte per
rendere comprensiva una vicenda in quattro
quadri ben scritta da Luigi Illica, il famoso
librettista pucciniano ben prestato ad Umberto
Giordano. Osservando dall'alto del palco la
sicura, energica e spedita direzione di Riccardo
Chailly, ci siamo accorti del ruolo centrale
della musica di Umberto Giordano. In questo
lavoro, l'opera più conosciuta ed eseguita del
compositore foggiano, si intreccia la tradizione
verista
di
Mascagni e Puccini alle sofisticate arcate
sinfoniche wagneriane. Queste danno un maggior
impulso alla vicenda conferendo maggior ritmo e
aumentando i contrasti tipici del grande periodo
rivoluzionario francese. L'intreccio
musica-vocalità è nell'Andrea Chénier elemento
fondamentale e l'orchestrazione del Maestro
milanese è riuscita a ben
amalgamare
le parti vocali con le ampie e stuggenti
sonorità degli orchestrali scaligeri tra i quali
evidenziamo alcune importanti parti solistiche.
Tra le voci-tutte valide- non ancora citate
ricordiamo almeno Carlo Bosi, l'Incredibile,
Annalisa Stroppa, la mulatta Bersi,
Mariana Pentcheva, la Contessa di Coigny,
Judit Kutasi, Madelon, Gabriele Sagona,
Roucher, ecc. Un plauso all'ottimo Corpo
di ballo scaligero per i riusciti interventi
preparati da Daniela Schiavone e naturalmente al
Coro preparato da Bruno Casoni. Prossime
repliche per il 16-19 e 22 dicembre e 2 -5
gennaio. Da non perdere.
14 dicembre 2017 Cesare Guzzardella
A Novara un concerto con musiche
russe e spagnole
Russia e Spagna unite nel
magico mondo della musica: questa la sintesi del
ricco programma proposto a Novara ieri sera,
13/12, al Teatro Faraggiana dal Festival
Cantelli, giunto al suo ultimo appuntamento del
2017. L’ampio impaginato proponeva, sotto la
direzione di Volodymyr Sheiko, alla guida
dell’Orchestra Sinfonica della Radio Ucraina di
Kiev, di N. Rimskij Korsakov il Capriccio
spagnolo op.34, di P. De Sarasate la Zingaresca
per violino e orchestra op.20 e la Fantasia
Carmen per violino e orchestra op.25, di E.
Granados Tres Danzas Espanolas e infine di M.
Glinka le meno note Ouverures spagnole n.2 e n.1
(questa la successione nel programma) per
orchestra. Si tratta, come subito il lettore
comprende, di una musica il cui fascino sta
tutto nei colori, nella timbrica, nel gioco
variopinto della strumentazione. Dunque un
genere di serata musicale il cui successo
dipende dalla bravura di orchestra e direttore
nel valorizzare al massimo il dettaglio
timbrico, la sfumatura del suono, l’armonia, non
tanto sul piano strutturale, quanto su quello
propriamente sensuale, “fisico” del suono.
Ebbene, questo è esattamente ciò che è avvenuto
ieri sera: Sheiko e la sua orchestra (ne è
infatti il direttore principale e artistico)
hanno esibito, fin dal Capriccio di Rimskij
Korsakov, un suono estremamente brillante, quasi
smaltato, su cui si stagliavano di volta in
volta le brevi cadenze virtuosistiche dei vari
strumenti, occasione per i singoli orchestrali
di esaltare la propria tecnica sicura, di puro
conio della gloriosa scuola russa: splendido,
nel pezzo di Rimskij Korsakov, il quarto tempo,
una “zingaresca” in cui agli archi è
richiesta
l’imitazione della chitarra, come del resto
avviene nella Ouverture n. 1 di Glinka, una
suggestiva e trascinante Jota aragonese, dalle
più sorprendenti combinazioni strumentali. In
questo incantesimo di suoni si è poi inserito il
grande ‘mago’ della serata il giovane violinista
serbo Stefan Milenkovich, il solista delle due
composizioni di De Sarasate. Cavata brillante ed
intensamente espressiva, intonazione sicura,
dominio delle più ardue tecniche delle quattro
corde, capacità di far cantare lo strumento come
pochi: queste le doti del solista serbo. Se il
paragone non pare azzardato, abbiamo sentito
nell’esecuzione di Milenkovich echi del suono di
Oistrakh e del virtuosismo rapinoso di Hajfetz.
Splendida, per tensione espressiva tesa sino al
sospiro, la terza parte della Zingaresca (“Un
poco più lento”), dove l’archetto del giovane
serbo staccava con un velo di soave malinconia
la figura ritmica del tema. Bellissimi anche i
due bis concessi da Milenkovich, l’Allemanda
dalla partita n. 2 per violino di J. S. Bach
(quella conclusa dalla celeberrima ciaccona) e
il meno noto Recitativo e Scherzo op.6 di
Kreisler. Non vogliamo dimenticare però una
delle composizioni che personalmente ci ha
affascinato di più, le Tre danze spagnole di
Granados, bellissime nella loro sottile vena di
tristezza, come certi versi di Machado,
interpretate al meglio da Sheiko , direttore dal
gesto misurato ed esatto nei tempi e nelle
dinamiche. Grandi applausi da parte di un
pubblico discretamente numeroso con un bis
orchestrale fragoroso e trascinante, dal sapore
di festa natalizia, che confessiamo di non aver
riconosciuto. Bella serata e arrivederci a
marzo, per la ripresa della stagione del
Festival Cantelli.
14 dicembre Bruno Busca
Steven Isserlis per
Serate Musicali
Il violoncellista inglese Steven Isserlis torna
puntualmente alle Serate Musicali di
Fazzari. Come lo scorso anno, ieri sera era
accompagnato dall'ottima pianista canadese
Connie Shih, accolti in Sala Verdi da un
pubblico non numeroso ma particolarmente attento
ed interessato al programma proposto.
L'impaginato,
come sempre particolarmente
diversificato, prevedeva musiche di Chopin nella
prima parte e di Prokof'ev, Mustonen e
Šostakovič
dopo il breve intervallo. È certamente un
eccellente violoncellista Isserlis. Ha eseguito
molto bene i due rari lavori di Chopin: l'Introduzione
e Polacca brillante Op.3 e la Sonata in
sol minore Op.65 interpretati
con con grande fluidità a dimostrazione della
completa interiorizzazione di ogni elemento
melodico-timbrico.
Coadiuvato benissimo dalla Shih, che ha avuto un ruolo determinante nella
giovanile Polacca Brillante, Isserlis ha
riempito di espressività melodica lo splendido
Largo della rara sonata. Molto
interessante il virtuosistico lavoro del
pianista-compositore Olli Mustonen con
Chanson Russe et Danse Orientale eseguito
con determinazione e con carattere
improvvisatorio dalla coppia di strumentisti.
Anche la Ballata in do minore op.15 del
russo Prokof'ev ha trovato un'ottima
restituzione. L'ultimo lavoro in programma , la
Sonata in re minore op.40 di
Šostakovič,
ha visto una brusca interruzione per
l'improvvisa rottura di una corda del cello,
quindi la riproposta completa del lavoro
caratterizzato da momenti di illuminato lirismo,
tipico dell'autore, inframmezzato
da accentuazioni ritmiche ben definite dallo
splendido duo strumentale. Fragorosi gli
applausi al termine e un bis con una splendida
trascrizione da un Canto polacco di Chopin. Da
ricordare.
12 dicembre 2017 Cesare Guzzardella
Monica Bacelli e il
Trio Metamorphosi per Milano
Classica alla Palazzina
Liberty
Il concerto mattutino
ascoltato ieri mattina alla Palazzina Liberty di
Milano e organizzato da Milano Classica,
si è rivelato ottimo sia per la qualità
interpretativa, sia per la scelta
dell'impaginato. L'occasione era data dalla
presentazione
del nuovo Cd Decca del Trio Metamorphosi
-Scotland-
registrato insieme al bravissimo mezzosoprano
Monica Bacelli, interprete prestigiosa che non
ha bisogno di presentazioni essendo affermata
internazionalmente nella lirica operistica e
cameristica. I protagonisti musicisti del Cd,
F.J. Haydn e L.v. Beethoven sono stati accostati
in modo intelligente in quanto autori di lieder
che recuperando il patrimonio popolare scozzese
e attraverso le loro immense qualità,
restituiscono brani di altissimo valore
espressivo. Non per nulla Haydn, come ben
raccontato nel corso della mattina dal pianista
Angelo Pepicelli, ha composto circa 400 lieder
ispirati dalla terra scozzese, brani che a loro
volta hanno ispirato il genio di Bonn.
Ricordiamo anche gli altri due bravissimi
strumentisti :
Mauro Loguercio al violino e Francesco
Pepicelli
al violoncello. Il trio ha
anticipato
l'ingresso della Bacelli con due brani, il primo
tratto dal Trio in Mi maggiore composto
da Haydn di ritorno dal suo secondo viaggio
scozzese e il secondo di Beethoven, le deliziose
Dieci variazioni dal Lied "Ich bin der
Schneider Kakadu". Dall'ascolto dei due
brani è subito emersa l'ottima qualità esecutiva
del Trio Metamorphosi, qualità definita da
eccellente equilibrio delle parti, sicurezza di
tocco e restituzione espressiva dei colori.
L'unione con l'eccellente voce di Monica Bacelli
non poteva essere di meglio. Nella seconda parte
del concerto entrava in sala la solista
e
il trio in kilt scozzese rendendo
particolarmente divertente e scenografico il
prosieguo musicale.
Quattro lider di Haydn e cinque di Beethoven
hanno alternato brevi momenti di divertimento
musicale ad altri di maggiore impegno vocale. I
toni caldi e profondi della Bacelli-
e non dimentichiamo la sua spesso divertente e
divertita gestualità- ha trovato nei tre
strumentisti l'accompagnamento ideale.
Grandissimo successo al termine e ancora un
divertente bis con un drink-lied
conclusivo. Da ricordare a lungo.
11 dicembre 2017
Cesare Guzzardella
Le Variazioni Goldberg
per Angela Hewitt in
Conservatorio
Angela Hewitt è tornata in Sala Verdi per un
concerto organizzato dalla Società del
Quartetto. La pianista canadese è divenuta
nota al grande pubblico a metà
degli
anni '80 dopo un'importante vittoria ottenuta ad
un concorso pianistico (1985) tenuto a Toronto e
dedicato a Bach, e grazie anche all'uscita - per
una prestigiosa casa discografica- di uno
splendido cd dedicato al grande musicista
tedesco, Un brano in programma: le celebri
Variazioni Goldberg di J.S.Bach. Le Goldberg
sono tra i lavori più eseguiti di Bach,
da quando a metà anni '50 Glenn Gould, anche lui
canadese come la Hewitt, le interpretò in una
celebre incisione. La Hewitt è nota per le sue
qualità bachiane anche se da parecchi anni si
occupa di altri classici di fine '700 e '800. Il
sold out di martedì sera in Conservatorio
testimonia la popolarità acquisita da questa
interprete che difficilmente esce dal repertorio
classico. Le rilevanti qualità
interpretative
sono da ricercarsi oltre che alla consolidata
esperienza
maturata
negli anni, anche nella perfezione formale e
nella bellezza del timbro. Avendo ascoltato in
questi anni la pianista numerose volte,
soprattutto in Bach, sono andato al concerto
parzialmente prevenuto credendo di ascoltare
un'interprete certamente di valore ma
conservatrice e forse non troppo "creativa".
Devo ricredermi: le meravigliose variazioni di
Bach a partire dalla semplice melodia iniziale
ripetuta al termine, hanno trovato un'interprete
pienamente identificata nel ruol o
che è riuscita ad esprimere un alto valore
estetico. L'esecuzione è risultata elegante e
coloristicamente molto bella con dinamiche ben
equilibrate per tutti i circa settanta minuti di
musica. Particolarmente attento il pubblico: non
un colpo di tosse, fortunatamente non uno
squillo di cellulare, applausi interminabili e
al termine la protagonista visibilmente
soddisfatta...e certamente
tutti noi. Da ricordare.
7 dicembre 2017 Cesare Guzzardella
Prossimamente il Concerto di Natale a
Vercelli
Giovedì 14 dicembre alle ore
11 presso la Casa Circondariale di Vercelli si
terrà il concerto di Natale. protagonisti l'
Orchestra Camerata Ducale ed il direttore
violinista Guido Rimonda. Da non perdere
7 dicembre la redazione
Il trio
Gluzman-Moser-Sudbin alle
Serate Musicali
Avevamo recentemente
ascoltato il pianista Yevgeny Sudbin in un
concerto solistico di ottima qualità. Abbiamo
ritrovato Sudbin ieri sera in una splendida
formazione
cameristica insieme al violinista Vadim Gluzman
e al violoncellista Johannes Moser per i
concerti di Serate Musicali. il
programma, stilisticamente unitario, prevedeva
brani di Schubert, Babajanian e
Čaikovskij.
Il Notturno in mi bem. Magg. D.897 ha
introdotto il concerto evidenziando subito la
cifra stilistica di questa formazione giocata su
un ottimo equilibrio esecutivo dove tutti i tre
componenti hanno dato prova di elevata qualità
espressiva. Il compositore armeno Arno
Babajanian (1921-1983) è assolutamente
sconosciuto in Italia pur essendo musicista di
grande spessore che si esprime con metodiche
derivate dal tardo-romanticismo dell'ultimo
Brahms, dal neoclassicismo di Prokof'ev e dal
folclore bartòkiano. Il Trio in fa diesis
minore ( 1952) eseguito in modo eccellente ,
è una rivelazione sia nell'equilibrio formale
che nei contenuti, certamente non innovativi ma
di qualità estetica. Eccellente l'Allegro
vivace finale, movimento particolarmente
interessante nella ritmica. Dopo l'intervallo il
noto Trio in la minore op.50 di
Čaikovskij
ha concluso il programma ufficiale confermando
le alte qualità di questa compagine cameristica.
Ottimo il bis concesso
con un Tango di Alfred Schnittke. Da
ricordare.
5 dicembre 2017 Cesare Guzzardella
Una
giovane violinista per i
Pomeriggi Musicali diretti
da Capuano
La violinista cinese Jingzhi
Zhang a soli sedici anni si è esibita giovedì -
in replica ieri pomeriggio - al Dal Verme con
l'orchestra de I Pomeriggi Musicali
diretta da Gianluca Capuano. A otto anni Jingzhi
aveva vinto in Cina numerosi concorsi .
Ha
studiato anche a Milano e dal 2014 si è
perfezionata in Svizzera con il grande solista
dell'archetto Pavel Berman. Il concerto
ascoltato in replica sabato pomeriggio, tra i
brani orchestrali proposti, prevedeva anche due
melodici lavori per violino e orchestra di L.v.
Beethoven quali la Romanza n.1 Op.40 e la
Romanza n.2 Op.50, quest'ultima
particolarmente nota ed eseguita. Stupisce la
musicalità della giovane solista espletata da
splendido vibrato, timbriche delicate,
perfettamente intonate e adeguate ai bellissimi
colori del violino utilizzato. Coadiuvata
dall'ottima
direzone di Capuano, la Zhang ha rivelato di
possedere risorse per diventare un' eccellente
solista, risorse già rivelate in modo
consistente nello splendido fraseggio del
celebre Adagio cantabile dell'Op.50.
Eccellente il bis solistico concesso con un
movimento da Bach di grande impatto
virtuosistico restituito con grande sicurezza
tecnica e notevole espressività. Luminosa la
direzione di Gianluca Capuano- noto anche come
valido organista- che ha proposto anche due
Ouverture di Rossini da Otello e
Cenerentola e la nota Sinfonia n.101 in
re maggiore "La pendola" di Franz Joseph
Haydn. Di rilievo la resa orchestrale. Fragorosi
applausi dal numero pubblico intervenuto. Da
ricordare.
3 dicembre 2017 Cesare
Guzzardella
NOVEMBRE 2017
Leif Ove Andsnes in
Conservatorio per la Società
del Quartetto
A quarantasette anni, il pianista norvegese Leif
Ove Andsnes, per il quarto anno ( 1999- 2008-
2010-2017) è ospite della Società del
Quartetto e ieri sera in Sala Verdi con un
programma particolarmente variegato definito da
alcuni brani
di
Sibelius, di Widmann, di Schubert, di Beethoven
e di Chopin ci ha rivelato ancora una volta la
sua accurata, equilibrata ed espressiva
restituzione musicale. Il programma "classico",
ha visto nell'interessante lavoro di Jörd
Widmann, Idyll und Abgrund, Sechs
Schubert Reminiszenzen (2009), una pausa
contemporanea, anche se il riferimento al
classicismo del viennese era molto evidente e le
trovate musicali del giovane compositore tedesco
-classe 1973- interessanti. Le affinità musicali
con la musica nordica del norvegese Andsnes sono
emerse con i brevi ed efficaci cinque brani del
finlandese Jean Sibelius,
musicista
legato al nostro eccellente pianista anche da
ragioni geografiche. Non per nulla il secondo
bis concesso al termine del concerto, era
un'esecuzione mirabile ancora di un brano di
Sibelius, l'Improvviso Op.5 n.5 ,
probabilmente il brano esecutivamente più bello
della serata. La splendida perfezione formale-
tecnica del pianista l'abbiamo ritrovata nei
noti Tre Klavierstücke D 946 di Schubert
eseguiti con discreta espressività. Maggiormente
incisiva la celebre Sonata in re minore op.31
n.2 "La tempesta" con un Rondò.
Allegretto finale di grande fluidità e di
strabiliante bellezza coloristica. Bene Chopin
con il Notturno in si maggiore Op.62 n.1
e la Ballata n.4 in fa min. Op.52 al
quale si aggiunge il primo bis con la celebre
Ballata n.1 eseguita in modo perfetto da un
non polacco. Fragorosi gli applausi al termine.
29 novembre 2017 Cesare Guzzardella
Enrico Pompili e Alessandro Deljavan alle
Serate Musicali
Il concerto di ieri sera in
Sala Verdi per Serate Musicali prevedeva
brani interpretati da due pianisti italiani
piuttosto noti quali Enrico Pompili e Alessandro
Deljavan. Due impaginati differenti. Per Pompili
una scelta personalizzata di compositori come
Schubert, Castiglioni, Johann Strauss, Debussy e
Ravel; per
Deljavan
un solo compositore, Frédéric Chopin con i
celebri 12 Studi Op.25. Il pianista
bolzanese spesso organizza recital con rarità
interpretative come alcune di quelle ascoltate:
l'Allegro moderato, frammento da lui
completato dalla Sonata D 571, incompiuta
di Schubert o il raro Castiglioni di In
principio era danza. I brani - tra i quali
Soirée de Vienne n.7 sempre di
Schubert
nella rivisitazione lisztiana, Du und Du
di Strauss rivisitato da Dohnányi, Le plus
que lente di Debuss y
e a conclusione À la maniére de Borodine
e La Valse di Ravel- , sono stati ben
assemblati in un tutt'uno discorsivo dominato da
una certa caratteristica di leggerezza musicale
ma anche di gran valore tecnico-virtuosistivo -
come nella nota La Valse. Ottima
l'interpretazione di Pompili e coraggiosa e
azzeccata la scelta operata. Cambio di registro
nella seconda parte del concerto con uno Chopin
eccellente donato dal pianista italo-persiano
Deljavan. Le difficoltà degli Studi chopiniani
sono note a tutti i pianisti che studiano questi
capolavori - Op.10 e Op.25- per il loro
programma di studio pianistico. Sono brani di
grande difficoltà tecnica ma l'abilità
dell'interprete è quella di valorizzarli perchè
diventino quei capolavori di estetica
musicale
che in realtà sono, specie nell'esecuzione
completa di una serie, nel nostro caso l'Op.25.
Il bravissimo Deljavan è riuscito mirabilmente a
fornirci un'
interpretazione di altissima qualità estetica. I
12 brevi ed intensi capolavori erano legati tra
loro
in un unicum discorsivo perfettamente
equilibrato. I colori splendidi,
ottenuti con un dosaggio dei piani sonori
corretti e una tecnica manuale essenziale,
atta a non ottenere eccessi volumetrici. La
gestualità consona di Deljavan , funzionale
all'autentica espressività, insieme alle altre
motivazioni fanno di questa interpretazione un
punto di riferimento importante per un pianista
che merita certamente ancor più prestigio di
quello che ha già, considerando il panorama
pianistico mondiale. Splendido anche lo
Studio Op.10 n.12 concesso come bis. Validi
i bis eseguiti dai due pianisti saliti ancora
sul palcoscenico per uno Schubert a quattro mani
(Danza militare) e un breve novecento russo a
quattro mani. Da ricordare a lungo.
28 novembre 2017 Cesare Guzzardella
Il Festival Cantelli
al Teatro Faraggiana di Novara
Il Festival Cantelli di
Novara, ieri sera 25 novembre al suo secondo
appuntamento stagionale al Teatro Faraggiana, ha
offerto agli appassionati la preziosa occasione
di fare la conoscenza di un’ottima formazione
orchestrale da camera europea, la svizzera
Camerata Bern, che, nata cinquantacinque anni
fa, vanta la singolare prerogativa di esibirsi
senza direttore sul podio. Il suo repertorio è
assai ampio, svariando dal barocco al ‘900, ma
l’impaginato
proposto
ieri sera al pubblico novarese era strettamente
confinato entro i limiti cronologici del secondo
‘700: Boccherini, con la Sinfonia n.14 in La
magg. op.21/6 G. 498, F. J. Haydn con il
Concerto per violoncello in Re magg. Hob:VIIb:2,
Mozart col Divertimento per due corni e
orchestra KV 334. Come si nota, un programma
pensato con intelligenza storico-musicale, che
permette all’ascoltatore di confrontare diversi
generi e linguaggi musicali, che convissero in
un giro d’anni relativamente breve: un modello
di sinfonismo, quello boccheriniano, alternativo
a quello che si andava affermando in area
austro-tedesca per poi imporsi trionfalmente in
tutta Europa, il concerto per strumento solista
nella concezione di Haydn e infine quella forma
‘libera’, leggera, più legata
all’intrattenimento salottiero, che è il
Divertimento, nella particolare elaborazione
propostane da Mozart. La Camerata Bern ha
sfoggiato un suono di qualità eccellente, sotto
tutti gli aspetti: perfetta intesa delle linee
strumentali, esatto smalto dei timbri,
morbidezza e intensità negli archi, dalla cavata
sapiente nella resa dei chiaroscuri dinamici. Ne
scaturisce una capacità di tornire fraseggi
cesellati come veri gioielli sonori, in cui non
una sola nota va perduta e l’ascoltatore è come
ammaliato dalla limpida fluidità dell’insieme.
Un altro merito spetta alla Bern: la duttilità
interpretativa con cui sa dare voce alle diverse
personalità musicali: il melodismo rococò e
divagante e il libero gioco dei colori
orchestrali di Boccherini, l’energia vitale di
Haydn, la grazia trascendentale, screziata dalle
ombre sottili di malinconiche modulazioni al
modo minore, in Mozart; tutta questa varietà di
mondi sonori era evocata con una cura estrema
del dettaglio, dalle brevi figure ritmiche
dell’Allegro assai iniziale della sinfonia di
Boccherini, ai passaggi contrappuntistici
finemente tessuti nel conclusivo Rondò del
Divertimento mozartiano. Ma la serata vedeva
anche la presenza di un solista, il giovane
violoncellista tedesco Julian Steckel, cui era
affidata la parte solistica del concerto di
Haydn. Steckel è violoncellista dal suono
raffinato ed elegante, dotato di un’arcata
capace di evocare dalle corde un fraseggio
sciolto e trasparente anche nelle zone più
impervie della partitura dai sopracuti della
cadenza del primo tempo ai frequenti spiccati,
che il giovane maestro sa eseguire con rara
perfezione nella resa precisa della nota. Ma è
in generale il colore, caldo e morbido, con cui
Steckel ha suonato Haydn che ci è piaciuto
molto, specie ove questo colore si ombreggiava
di un pathos già di vago sapore romantico, come
nel grande “solo” dell’Adagio. Un
violoncellista, questo Steckel, che ci
piacerebbe ascoltare più di frequente:
dall’accurato programma di sala sembra di capire
che le sue tournée italiane non siano molto
frequenti. Ottimamente eseguito anche il bis,
una Sarabanda da Bach, suonata su un registro
sommesso, ai confini del silenzio, quasi come di
fronte alle porte di un tempio misterioso…Una
bella serata di eccellente musica, applaudita
lungamente dal pubblico, purtroppo non numeroso
come l’occasione avrebbe meritato.
26-11-2017 Bruno Busca
Christoph Eschenbach e Tzimon Barto alla Scala
con la Filarmonica
Il concerto ascoltato in
replica ieri sera al Teatro alla Scala ha visto
due personalità di spicco quali il direttore
tedesco Christoph Eschenbach ed il
pianista
statunitense Tzimon Barto per un impaginato
molto interessante e proiettato verso colori
americani. La rara Ouverture di Antonin Dvořàk
Karneval Op. 92 ha introdotto la serata,
seguito dal Concerto in fa di George
Gershwin, forse la più impegnativa composizione
sinfonica del grande statunitense. Al termine
l'aggancio con la nazione d'oltre oceano era
data dalla celebre Sinfonia dal Nuovo mondo
Op.95, lavoro di Dvořàk
scritto nel periodo americano del musicista. Il
successo ottenuto per le ottime interpretazioni
della Filarmonica della Scala, sempre
all'altezza della situazione, è senz'altro
merito anche delle grandi capacità direttoriali
di Eschenbach, professionista eclettico, con
repertori che vanno dal classico al
contemporaneo, noto anche come valente pianista.
Di alto valore energetico l'Ouverture
introduttiva con una miscela di timbriche ben
impastate e ricche di significati. Il noto
concerto di Gershwin , lavoro in tre movimenti
particolarmente evoluti dal punto di vista
compositivo, ha trovato in
Barto
un interprete riflessivo che nei momenti
solistici ha dato il meglio, attraverso suoni
calibrati, pesati e con dinamiche variegate ma
soprattutto discrete ed interiori, rivelando
l'anima più classica del grande musicista
americano. Alcuni incisi solistici hanno
rivelato una personalità di spicco, come
dimostrato anche dal bis concesso dal pianista
con il celebre Notturno postumo di Federic
Chopin, eseguito con andamento pacato e molto
interiorizzato. Ricordiamo anche l'importante
parte solistica della tromba, nell'Andante
con moto centrale, col bravissimo scaligero
Francesco Tamiati. Dopo il breve intervallo la
nota sinfonia del musicista ceco ha ritrovato
ancora una volta le alte qualità del direttore
sostenute dai bravissimi orchestrali , bravi in
tutti i settori. Grande successo di pubblico.
24 novembre 2017
Cesare Guzzardella
Roberto Prosseda per i concerti cameristici del
M.A.C.
Roberto Prosseda ha tenuto un
concerto al M.A.C. di Milano per i
concerti cameristici organizzati da LaVerdi,
interamente dedicato a Mozart. Ha
interpretato
quattro Sonate: le K.283, K.330, K.331 e
K.457. Presentando il programma, Il
pianista ha sottolineato la scelta effettuata di
suonare un pianoforte accordato secondo il
sistema Vallotti, accordatura usata anche nelle
sue recenti incisioni discografiche dedicate a
Mozart sullo stesso pianoforte Fazioli che
abbiamo ascoltato lunedì sera. La caratteristica
"non equabile" di questa accordatura era quella
utilizzata ai tempi di Mozart e Prosseda ha
preferito un'esecuzione sulle modalità di allora
perchè giustamente ritenute maggiormente
efficaci. Decisamente valide le esecuzioni
ascoltate che rivelano una personalità
accentuata da una ricerca - quella che il
pianista sta effettuando da molti anni su
diversi compositori- intelligente ed
approfondita. Dalla maggior leggerezza della
Sonata in sol magg. K 283 eseguita
all'inizio, alla Sonata in La magg. K 331
soprattutto
nota
per l'Alla turca, arrivando alla
corposa e profonda tonalità in Do minore
della K.457, Prosseda ha rivelato ancora
una volta ottime qualità interpretative
rivelando timbriche asciutte, precise,
espressive e ricche di contrasti che hanno
esaltato in toto il genio del grande musicista
salisburghese. Splendida la Fantasia in re
minore eseguita come bis e magiche le
semplici e poche note dell'Adagio per
Glass Harmonica adattato benissimo alle
sonorità del pianoforte. Da ricordare a lungo.
22 novembre 2017 Cesare
Guzzardella
I
Mdi ensemble
per Milano Musica al Gerolamo
La formazione cameristica
Mdi ensemble è tra quelle più note e capaci
nel repertorio contemporaneo. Ieri per il
Festival Milano Musica nella splendida cornice
del Teatro Gerolamo, hanno eseguito brani di
Sciarrino, cui la rassegna è dedicata, di
Lachenmann e di Pesson. Precisamente TemA
per flauto, voce e
violoncello
e Quartetto d’Archi I di Helmut
Lachenmann, affiancati a Centauro marino
e Omaggio a Burri di Salvatore Sciarrino
e a Cassation di Gérard Pesson . I lavori
hanno in comune l'uso ampio degli strumenti
musicali, sia archi che fiati, utilizzati in
modo da ottenere effetti sonori diversificati
con strofinamenti sulla scatola armonica, sul
manico, insuflazioni particolari dei fiati, ecc.
Citiamo almeno tre validi lavori quali TemA
brano del 1968 di Lachenmann nel quale la
ricerca vocale della voce- quella ottima del
soprano Angèle Chemin-
risulta in dialettica con il flauto
e
il violoncello in un tutt'uno timbrico in ottima
fusione complessiva. La componente gestuale e
visiva risulta essere determinante per la
comprensione del lavoro. In Cassation,
brano del 2003 di Pesson, la gestualità, le
pause, e l'uso inconsueto degli strumenti
generano una sequenza musicale ancora più
sottile e nascosta dove la ritmicità del
suono-pausa-gesto è evidente.
Particolarmente interessante infine il brano di
Sciarrino, Centauro marino (1984) sia per
l'impasto sonoro di tutti gli strumenti che per
la rilevante parte pianistica del bravissimo
solista particolarmente evidente e sapientemente
coinvolto nel lavoro. Ricordiamo che i Mdi
ensemble hanno realizzato nel 2015 il
documentario See the sound. Viaggio nel
suono di Lachenmann, realizzato per l’80°
compleanno del compositore, in collaborazione
anche con Milano Musica.
21 novembre 2017 Cesare Guzzardella
Stefan
Milenkovich con l'orchestra
I Virtuosi italiani
al Dal Verme
Il violinista serbo Stefan
Milenkovich, l'enfant prodige che alla fine
degli anni '80 si era esibito in una serie di
importanti concerti in Italia, è tornato per la
terza volta in meno di due anni a Milano per
eseguire al Teatro dal Verme il più
conosciuto
dei concerti per violino e orchestra di Niccolò
Paganini, il N.2 in si
min. Op.7 " La Campanella" . In precedenza
aveva eseguito i noti concerti solistici di
Mendelssohn e di Brahms. La celebre melodia,
ascoltata in replica nel tardo pomeriggio di
domenica, conosciuta anche per la strepitosa
versione pianistica fatta da Franz Liszt, è
maggiormente rilevante se inserita nel contesto
di tutto il concerto con i primi due movimenti
meno conosciuti, L' Allegro maestoso
iniziale e l'Adagio centrale entrambi di
grande valore estetico. Con il movimento
conclusivo, il Rondò " La Campanella" ,
le qualità virtuosistiche del solista
raggiungono
vertici
estremi e dobbiamo dire che Milenkovich
è riuscito ad ottenere una perfezione formale di
altissima qualità non disgiunta da
un'espressività pregnante e raffinata.
Coadiuvato dall'orchestra I Virtuosi
italiani, di grande levatura musicale e
dalle timbriche pienamente italiane, Milenkovich
ha rivelato ancora di essere tra i migliori
violinisti della sua generazione anche con i due
bis concessi, prima Fritz Kreisler e poi Bach
dalla Partita n.2. Non dimentichiamo la
Sonata n.3 per archi di Rossini eseguita
come brano introduttivo e la Serenata per
archi di Dvorak eseguita nella seconda parte
del concerto. I due lavori hanno fatto emergere
le eccellenti qualità dell'orchestra capeggiata
dall'ottimo direttore e primo violino Alberto
Martini. Anche le timbriche delicate e di
largo respiro di questi due lavori hanno reso
questo concerto di grande qualità. Da ricordare
18 febbraio 2017 Cesare Guzzardella
Ti
vedo, ti sento, mi perdo:
Salvatore Sciarrino alla Scala
La nuova opera in due atti di
Salvatore Sciarrino Ti vedo, ti sento, mi
perdo, è in scena in questi giorni al Teatro
alla Scala. Presenta un' unica scena varia e
dinamicamente ricca su tre piani di svolgimento,
in un'ambientazione minimale riferita a Palazzo
Colonna a Roma. Lateralmente, sul palcoscenico e
in palchi
laterali, vengono sistemati gruppi di
strumentisti - alcuni archi a sinistra e pochi
fiati a destra- che hanno un ruolo
d'accompagnamento, di sostegno o di rinforzo
timbrico alle voci sia nei momenti di canto che
in quelli di declamazione. La giusta intonazione
vocale e la fonetica giocano un ruolo essenziale
nel complesso lavoro di Sciarrino e i
protagonisti, tutti all'altezza, narrano le
vicende dissolute ed infine tragiche in modo
particolarmente creativo ed espressivo di
Alessandro Stradella. Valida è la regia di
Jürgen Flimm che ha splendidamente inserito i
personaggi nell'ottima scenografia di George
Tsypin (foto Archivio Scala), attraverso i costumi d'epoca di Ursula
Kudrna, la coreografia di Tiziana Colombo e le
luci di Olaf Freese. Il giovane direttore
francese Maxime Pascal è riuscito ad
aggregare le timbriche molto cameristiche
dell'ottima Orchestra del Teatro alla Scala con
la complessa parte vocale in un linguaggio che
ha nei riferimenti alla musica antica
del '500 o
'600- Stradella in primis- e nella ricerca
vocale, motivazioni per un'importante
realizzazione. L'interessante distribuzione
spaziale delle parti musicali-sceniche prevedono
oltre l'orchestra in buca anche dislocazioni
strumentali di archi, fiati, arpa e pianoforte
fuori scena. L'impasto sonoro complessivo di
tutte le componenti è stato con maestria
realizzato dal direttore.
Ricordiamo le
intonatissime declamazioni di Charles Workman,
il Musico e di Otto Katzameier, il
Letterato, la straordinaria voce di Laura
Aikin, la Cantatrice, i bravissimi Sonia
Grané, Pasquozza, Lena Haselmann,
Chiappina, Thomas Lichtenecker, Solfetto,
Christian Oldenburg, Finocchio, Emanuele
Cordaro, Minchiello, Ramiro Maturana, il
Giovane Cantore e tutti i bravissimi
coristi. L'opera in scena al Teatro alla Scala
s'inserisce nel contesto musicale che il
Festival di musica Contemporanea Milano Musica
ha dedicato quest'anno al musicista palermitano,
autore vivente tra i più eseguiti al mondo. Le
prossime repliche scaligere sono previste per il
21-24 e 26 novembre. Da non perdere.
19 novembre 2017 Cesare Guzzardella
La stagione 2017/18 del
Viotti Festival
La stagione 2017/18,
iniziatasi ieri sera, sabato 18/11, è
doppiamente speciale per la Camerata Ducale,
compagine orchestrale da anni protagonista
assoluta della vita musicale del Piemonte
orientale: ricorre infatti il doppio
anniversario del 25° della fondazione,
originariamente pensata collo scopo di eseguire
l’opera omnia per violino di G. B. Viotti, e il
20° della nascita del Viotti Festival, con sede
presso il Teatro Civico di Vercelli, una
stagione concertistica dedicata prevalentemente
alla musica orchestrale e cameristica del
‘7-‘800, che ha appunto come orchestra stabile
la Camerata. Lo ricordavano prima del concerto,
con un po’ di emozione, i due fondatori
dell’orchestra, compagni nel lavoro e nella
vita, il direttore e violinista Guido Rimonda e
Cristina Canziani, pianista nonché impagabile
direttore artistico della Camerata Ducale. E
decisamente degna di inaugurare un anno così
simbolicamente importante è stata la serata di
ieri, con un impaginato che ricordava le
“Accademie musicali” di settecentesca memoria:
interamente dedicato ad Haydn, il programma
proponeva, come ‘aperitivo’ l’ Ouverture da
L’anima del filosofo (ovvero Orfeo ed Euridice)
Hob. XXVIII: 13 e a seguire tre concerti, il n.
4 per violino e orchestra Hob VII : 13, il n.1
in do maggiore per violoncello e orchestra Hob
VIIb:1 e infine il celebre concerto per
pianoforte (ma originariamente per clavicembalo
o fortepiano) in Re maggiore Hob XVIII: 11. A
eseguire le parti solistiche dei tre concerti
erano
chiamati
rispettivamente Guido Rimonda (nella doppia
veste di direttore e solista al violino), Silvia
Chiesa al violoncello e Maurizio Baglini al
pianoforte. Cantabilità italiana e capacità di
esplorare anche le zone più umbratili e meno
scontate delle partiture: queste le virtù che da
sempre vanta la Camerata sotto la bacchetta di
Rimonda e pienamente confermate dal concerto di
ieri sera, che ha offerto ancora una volta al
pubblico, affezionato e in costante crescita,
esecuzioni di prim’ordine. Bellissima la
limpidezza di suono con cui Rimonda ha reso la
non facile partitura del concerto per violino,
con un fraseggio perfettamente calibrato su
profili ritmici sottilmente cangianti, con
progressioni serrate, specie nel primo tempo, e
con quelle bellissime arcate “alla corda” e quei
balzati e spiccati sempre precisi (s.t. nel
finale) che ogni volta ammiriamo in Rimonda e
che lo rendono un degno erede della miglior
tradizione viottiana. Molto intensa sul piano
espressivo, pur senza nulla concedere a eccessi
‘preromantici’, è stata l’interpretazione di
Silvia Chiesa, soprattutto, com’è ovvio, nel
memorabile Adagio centrale del concerto
haydniano, dove il violoncello è chiamato a
esprimere tutte le sue potenzialità di canto. Il
suono della Chiesa è sempre controllato da una
superba tecnica esecutiva, che le consente di
impennarsi senza sforzo agli straordinari acuti
della partitura, ma che sa abbandonarsi anche a
quegli straordinari momenti che potremmo
definire estatici, che questo gioiello haydniano
propone all’ascolto: una solista completa, in
cui tecnica e scavo emozionale della partitura
si fondono e si sostengono reciprocamente. Degna
conclusione della serata il concerto per
pianoforte in re maggiore, per il quale il
sempre ineccepibile Baglini ha scelto un tocco
leggero, scintillante, sfumato spesso d’ironia,
che, come ha giustamente rilevato il prof.
Piovano nella sua bella introduzione al
concerto, è una componente ineliminabile di
tanta musica del maestro di Rohrau.
Aggiungeremmo che l’interpretazione di Baglini
ha dato risalto efficace ad un altro elemento
del mondo musicale di Haydn: la cantabilità
operistica all’italiana, evidente nel Poco
Adagio centrale, affascinante nella esecuzione
del pianista pisano. Musicalmente interessante
il pezzo introduttivo, un’Ouverture bipartita,
con due mondi musicali del tutto diversi: una
solenne introduzione in stile francese, e un
allegro di sonata di respiro sinfonico, a
ricordarci la varietà di apporti della cultura
musicale di Haydn. Niente bis, ma, fra
torrenziali applausi, un simpatico Happy
Birthday, strameritato, suonato in onore di
un’orchestra che occupa ormai un posto
significativo nel variegato panorama delle
orchestre italiane.
19 novembre 2017 Bruno Busca
IL DUO
RIMONDA-BIANCHI INAUGURA
LA STAGIONE CAMERISTICA DEL 20° VIOTTI FESTIVAL
Sabato 25 novembre 2017 al Teatro Civico di
Vercelli alle ore 21.00 Guido Rimonda, al
violino e Massimo Giuseppe Bianchi, pianoforte
terranno un Concerto col seguente programma:
Giovan Battista Viotti- Sonata per violino e
basso n. 5 in sol maggiore W5: 11 (G: 39);
Wolfgang Amadeus Mozart Sonata in sol
maggiore K 379 (K6 373a) ;Antonín
Dvořák
Quattro pezzi romantici op. 75 ;
Edvard Grieg Sonata n. 3 in do minore op. 45
Info:www.viottifestival.it
Associazione Camerata Ducale 011 75.57.91 .
Violino e pianoforte: binomio classico, quasi la
quintessenza della musica da camera, non così
esoterico e per specialisti come il quartetto,
un binomio che annovera capolavori eccelsi dal
tardo barocco ai giorni nostri. Dove c’è spazio
per pagine intimistiche e brani brillanti, per
il virtuosismo connaturato al violino stesso, ma
anche per una pressoché totale simbiosi con
l’onnipresente pianoforte.
Un programma davvero ricco - quello della
seconda serata in abbonamento per la stagione
del Viotti Festival.
dalla redazione
19-11-20171
Un ricordo per Vico
Chamla, fotografo dei musicisti, in
Conservatorio
Sarebbe piaciuta la serata organizzata ieri sera
in Conservatorio a Vico Chamla, il valente
fotografo, appassionato di musica e amico di
molti musicisti. In molti
 anni
ha ritratto con splendide immagini fotografiche
decine e decine di strumentisti
. Lavorava soprattutto a Milano, nelle
sale da concerto, con Sala Verdi quale ambiente
privilegiato. La serata in Sala Puccini, ben
organizzata e presentata
da Oreste Bossini, ha visto la partecipazione di
alcuni musicisti quali Fabio Bonizzoni, Caterina
Dell'Agnello, Giovanni Scaglione, Tatiana
Larionova, Davide Cabassi e
 del
poeta Sandro Boccardi. Non dimentichiamo i
bravissimi giovani interpreti del Laboratorio
Orchestra d'Archi del Conservatorio di
Milano che hanno introdotto il concerto con due
brani di Antonio Vivaldi. I brani ottimamente
eseguiti di Couperin, Vivaldi, Bach, -la
splendida Suite n.2- hanno trovato
conclusione con la rara ed efficace raccolta di
brevi valzer di W.Rihm da Mehrere kurze
Walzer ottimamente eseguiti al pianoforte
dalla coppia, musicale e nella vita,
Larionova-Cabassi. Una serata che rimarrà nel
ricordo di tutti quelli che hanno conosciuto
l'anima gentile di Vico Chamla.
  
17 novembre
2017 C esare
Guzzardella
Una coppia
cameristica di generosa qualità: Gennaro
Cardaropoli e Alberto Ferro
Sono giovani il violinista salernitano Gennaro
Cardaropoli e il pianista siciliano -di Gela-
Alberto Ferro, insieme non arrivano a quaran t'anni
d'età, come precisato dal direttore artistico
Enrica Ciccarelli alla presentazione della
splendida serata musicale di ieri sera. Formano
una coppia musicale di alta qualità: lo abbiamo
riscontrato
nel concerto tenuto in Sala Verdi a Milano per
la Società dei Concerti. L'impaginato
prevedeva, nella prima parte, la celeberrima
Sonata Op.47 "Kreutzer" di L.v.Beethoven,
seguita poi da un brano solistico di Niccolò
Paganini "Nel cor più non mi sento" dalla
Molinara di Paisiello e ancora la nota Suite
Italienne di Igor Stravinskij e
L'introduzione e Allegro capriccioso di
Camille Saint-Saëns. La prima cosa che stupisce
dei due strumentisti è la splendida inte sa
nelle timbriche, ben calibrate, asciutte ed
essenziali per entrambi. La parte pianistica,
fondamentale nella Sonata in la maggiore
di Beethoven - probabilmente la più celebre per
duo- ha un momento di particolare evidenza
solistica nell'Andante con variazioni,
parte sostenuta ottimamente dal pianista gelese.
Il violino di Cardaropoli si esprime con
sicurezza, calibrata espressività e grande
melodicità, tutta mediterranea, in ogni
frangente, sempre
coadiuvato
da un pianoforte pulito e attento ad ogni
dettaglio. Splendido anche il Finale.Presto
della Kreutzer. Lo spessore virtuosistico
del giovane violinista è risaltato nelle note
variazioni paganiniane, interpretate con
magistrale facilità esecutiva malgrado la
presenza di difficoltà tecniche rilevanti.
Ottimo anche il neoclassicismo stravinskiano,
espresso dai due strumentisti ancora con garbato
e raffinato equilibrio coloristico. Di spessore,
ancora una volta la parte solistica nel più
romantico brano del musicista francese
Saint-Saëns. L' Allegro capriccioso ha
strappato al termine fragorosi applausi. Due i
bis concessi con Conte Passionné di
Vecsey e Salut d'amour di Elgar, entrambi
eccellenti. Un concerto da ricordare per due
interpreti che speriamo ardentemente di
riascoltare presto insieme.
16 novembre 2017 Cesare Guzzardella
Il pianista
polacco Krupiñski in Auditorium
Il concerto straordinario tenuto in Auditorium
ieri sera, organizzato anche dal
Consolato
milanese della Repubblica di Polonia, ha visto
sul palcoscenico di L.go Mahler un giovane
pianista polacco, di Varsavia: Lukasz
Krupiñski. Il 25 enne ha vinto numerosi
concorsi internazionali ed era tra i venti
selezionati al prestigioso "Concorso
Internazionale Chopin" del 2015 ottenendo in
buon piazzamento. Ieri il programma ascoltato
prevedeva musiche di Chopin anticipate
da
Mozart con la nota Sonata in la min. K 310
e con Ravel e i suoi Valses nobles et
sentimentales. Chiara e luminosa
l'interpretazione mozartiana e avvincenti i
brevi valzer di Ravel riuniti in modo unitario
dal musicista francese nella relativa breve
suite. Probabilmente il lavoro che ci è piaciuto
maggiormente. Di Chopin Krupiñski ha ben
eseguito la Barcarola op.60, lo Studio
op.25 n.8 e la Polonaise op.61. Molto
bene i due valzer dall'Op.18,
l'ultimo come bis. Un pianista da riascoltare.
Successo di pubblico.
13 novembre 2017 C.G.
Giuseppe Andaloro e la Sinfonica Verdi
in Auditorium
L'Orchestra Sinfonica di Milano "G.Verdi",
diretta per l'occasione da Elio Boncompagni, ha
tenuto un concerto dall'impaginato classico
eseguendo musiche di Beethoven e Brahms. La rara
Die Weihe des Hauses Op-124 -La
consacrazione della casa- del genio tedesco ha
introdotto il concerto seguito dal
noto
Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 in
Do maggiore op. 15. Solista al pianoforte il
siciliano Giuseppe Andaloro, interprete
affermato internazionalmente da quando si
aggiudicò il primo premio al prestigioso
Concorso Internazionale Ferruccio Busoni di
Bolzano. Andaloro è noto al pubblico milanese
per i concerti solistici o cameristici -spesso
in coppia con il conterraneo
violoncellista-compositore Giovanni Sollima- nei
quali impagina programmi variegati che vanno
dalla musica antica al repertorio contemporaneo.
La classicità del concerto beethoveniano,
ottimamente interpretato da Andaloro in
splendida sinergia con La Verdi, ci ha
rivelato un aspetto del
pianista differente dal suo stile eclettico più
frequentato con molto '900 e che non esclude
anche l'amore per il jazz - nota la sua passione
per il russo Kapustin- , e per le rielaborazioni
in chiave pianistica di brani pop. Nel noto
Concerto beethoveniano Andaloro
ha
mostrato alta sensibilità ed equilibrio tipici
del pianista pienamente classico. Tutti validi i
movimenti, con punti di forza nel movimento
centrale e soprattutto nell'Allegro finale. La
varietà dinamica ha trovato momenti d'intensa
espressività nell'Allegro con brio
iniziale e di genuina morbidezza nel Largo
centrale. Di eccellente fattura i due bis
solistici concessi con la Melodie
dall'Orfeo ed Euridice di Gluck nella celebre
trascrizione di Sgambati eseguita con
straordinaria espressività , e una Sonata di
Domenico Scarlatti, altrettanto valida per
scorrevolezza e varietà dinamica. Fragorosi gli
applausi al termine. Di qualità
l'interpretazione della Verdi e del direttore
Boncompagni della nota Sinfonia n.2 di J.
Brahms eseguita dopo il breve intervallo.
Replica del concerto per domenica 12 alle ore
16.00. Da non perdere.
11 novembre 2017 Cesare
Guzzardella
Giuseppe Albanese per
la Società dei Concerti
Per la prima volta ospite della Società dei
Concerti, il pianista calabrese Giuseppe
Albanese ha tenuto un recital all'insegna
del virtuosismo impaginando un "tutto Liszt"
di grande impatto musicale. Gli otto brani
dell"ungherese ascoltati, alcuni molto noti
quali Au bord d'une source, Les jeux
d'eaux à la Villa d'Este e Après une
lecture de Dante dai diversi cicli di "Années
de
Pèlerinage",
o le altrettanto note Rhapsodie espagnole
e Isoldens Liebestod, sono la summa del
potenziale massimo virtuosistico della musica
per pianoforte. Albanese ha mostrato di avere
tutti i requisiti necessari per raggiungere
risultati interpretativi spesso sorprendenti. La
completa interiorizzazione strutturale dei
difficili lavori, sia armonicamente che
melodicamente, ha permesso
un'ottima
restituzione complessiva. Il concerto, in
crescendo dal punto di vista qualitativo, ha
trovato momenti magici nei rari ma più pacati
timbri del registro alto, con sonorità tonde e
delicate. Non è certo facile trovare un
equilibrio dinamico esaustivo in toto in brani
dov e
l'accavallarsi di armonie voluminose, spesso
fragorose, determinano
equilibri
spesso instabili, ma Albanese -pianista italiano
certamente dotato e di qualità superiore- si è
espresso benissimo soprattutto dove il fragore
timbrico è meno preponderante. Un uso più
moderato del pedale di risonanza avrebbe giovato
in alcuni frangenti. L'efficace resa stilistica
di molti brani, come la citata Rhapsodie
espagnole o la complessa fantasia
Réminiscences de Norma dalle celebri arie
belliniane -eseguita per ultimo-, denota la
sicura attitudine del pianista alla musica di
Liszt. Questo è dimostrato anche da recenti
incisioni discografiche fatte per la nota casa
Deutsche Grammophone.
Splendidi i due bis concessi con Ravel in
Alborada del gracioso e Moszkowski con
Etincelles, dedicato e tanto caro al
compianto fondatore della Società Concertistica
Antonio Mormone. Da ricordare.
9 novembre 2017
Cesare Guzzardella
Elisso Virsaladze
per le Serate Musicali
in Conservatorio
Torna tutti gli anni Elisso Virsaladze in
Conservatorio per Serate Musicali
ottenendo sempre un meritatissimo successo. La
pianista georgiana rappresenta
la classicità, la
storia dell'interpretazione, quello che ci si
aspetta da una pianista di gran classe. Nessun
stravolgimento delle idee dei grandi
compositori, virtuosismo reso semplice da una
lunga esperienza artistico-interpretativa e
soprattutto grande espressività. Ieri sera ha
eseguito Mozart, Prokof'ev, Schumann, Liszt e
Chopin nei tre bis concessi. Ha sempre suonato
benissimo Elisso in questi anni ma ieri in modo
eccelso. Tutti i differenti e contrastanti brani
sono stati affrontati con facilità esecutiva.
Facilità vuol dire dominare le difficoltà
tecniche- enormi in Prokof'ev o Liszt- rendendo
fluido il fraseggio, delicato il tocco e nello
stesso tempo pregnante l'espressività . La
pianista Virsaladze è certamente erede della
migliore scuola russa essendo
stata anche
allieva di Heinrich Neuhaus. Ieri in Sala Verdi
ha rivelato ancora le sue affinità non solo con
Robert Schumann , affinità interpretative
elogiate in passato anche dal grande Sviatoslav
Richter, ma anche con tutta la scuola pianistica
dei secoli passati. Il Mozart della celebre
Sonata in Si bem. Magg. K.333, che ha
introdotto il concerto, era di una leggerezza
allarmante e di una chiarezza inarrivabile.
Splendide le 8 Fantsiestüke op.12 del
tedesco ed eccelso Widmung di
Schumann-Liszt. Ma anche la Sonata in re
minore n.2 Op.14 di Prokof'ev, eseguita dopo
Mozart ci è piaciuta assai e Folie d'Espagne
et Jota aragonesa dalle Rhapsodie espagnole
di Liszt ci ha lasciato sbalorditi per la
raffinatezza di tocco. L'interiorizzazione
totale di ogni elemento sonoro, gestito con un
sapiente uso delle dinamiche ha portato quindi
ad un vertice interpretativo di raro ascolto. Un
concerto da non dimenticare conclusosi con tre
eccellenti bis di F. Chopin: una mazurca e due
noti valzer. Applausi interminabili al termine.
Da ricordare sempre.
7 novembre 2017
Cesare Guzzardella
Satyricon di Bruno
Maderna per Milano Musica
Uno spettacolo di qualità quello al quale
abbiamo assistito ieri nel tardo pomeriggio in
Conservatorio. Il Satyricon da Petronius,
opera buffa in un atto di Bruno Maderna
rappresenta l'ultimo lavoro del genere del
compositore
veneziano.
Venne rappresentato in Olanda per la prima volta
nel marzo del 1973 e pochi mesi dopo l'autore
morì. L'allestimento di Sala Verdi, per la regia
di Sonia Grandis, le scene di Lidia Bagnoli e la
coreografia di Simone Magnani, è certamente
valido. La creazione di una specie di buca
orchestrale e la scena localizzata in alta
posizione hanno reso il palcoscenico di Sala
Verdi perfettamente adeguato all'atto unico di
Maderna. La maestria degli orchestrali
provenienti dai Conservatori di Milano e Parigi
e dall'università del Kansas, diretti in modo
prestigioso da Sandro Gorli, unitamente alla
parte elettronica registrata nello Studio di
Fonologia della Rai nel '73, hanno permesso un
livello di realizzazione efficace. La
messinscena unitaria, senza squilibri nelle
diverse componenti,
ha
messo in risalto la musicalità del compositore
veneziano: musicalità ricca di inventiva tra il
cabaret, la cantabilità leggera con la
rielaborazioni di arie di grandi compositori
quali Bizet, Puccini, Monteverdi, Mozart, Weill,
Stravinskij, Wagner ecc. Anche nei frangenti in
cui lo stile compositivo è più impegnato e
complesso, non manca la grande chiarezza
espressiva tipica del Maderna più maturo.
Bellissimi i costumi curati da Daniela Casati
Fava. Un particolare plauso al numeroso cast
vocale, tutto di ottimo livello anche nella
parte recitata. Ricordiamo almeno Pasquale
Conticello in Trimalcione, Fabio
Buonocore, Habbinas, Giovanni Impagliazzo,
Eumolpo, Vladislav Kosov, Niceros,
Sofia Nagast, Criside/Quartilla, Vittoria
Vimercati, Fortunata. Un peccato non
potere avere ulteriori repliche per questo
lavoro che ha visto anche una valida
partecipazione di pubblico.
6 novembre 2017 Cesare Guzzardella
Il Quartetto d'archi "Quatuor
Diotima" al San Fedele per
Milano Musica
Il Quartetto d'archi Quatuor Diotima è
stato il protagonista del concerto ascoltato
ieri sera all'Auditorium San Fedele per il
Festival di Milano Musica. Il programma
diversificato prevedeva come primo brano Il
Quartetto n.8 (2008) di Salvatore Sciarrino,
musicista cui è dedicato il Festival. La
formazione cameristica costituita da Yun-Peng
Zhao, violino, Constance Ronzatti,
violino, Franck Chevalier, viola e
Pierre Morlet al violoncello, ha
rivelato
in questo lavoro del 2008 eccellenti
qualità strumentali. Il breve ed intenso brano
di Sciarrino è un dialogo strumentale tra i
quattro protagonisti giocato su un'efficace
presenza timbrica degli archi che utilizzano in
modo completo ogni mezzo disponibile. Le
timbriche lievi, sinuose e intensamente
pregnanti, sostenute spesso da flebili volumi
sonori, entrano in un discorso unitario dove
anche le più impercettibili note in sovracuti
lontani assumono un valore sostanziale. La
plasticità sonora risulta fondamentale nella
poetica di Sciarrino. Splendidi i quattro archi
nel trovare
il
giusto dosaggio timbrico ricco di glissandi e di
altri minuziosi effetti dialoganti. Al termine
applausi anche a Sciarrino salito sul
palcoscenico. Decisamente validi anche i brani
di Alberto Posadas (1967) tratti da Liturgia
Fractal (2003-2008) e precisamente
Arborescencias e Ondulado tiempo
sonoro.... Anche in questi lavori Quatuor
Diotima ha mostrato le sue ingenti qualità
strumentali con un ruolo da protagonista del
violinista Yun-Peng Zhao, gran virtuoso, spesso
impegnato solisticamente. L'efficace resa
timbrica dei brani è stata definita da
linee
compositive nette, decise, spesso tormentate ma
ben amalgamate nell'insieme quartettistico.
All'insegna della gestualità scenografica invece
gli altri due brani proposti. Specie il primo di
Ashley Fure (1982) denominato Anima
(2017) e composto per Quartetto d'archi ed
elettronica. La componente elettronica nella
rielaborazione IRCAM ha un ruolo determinante
nell'evoluzione del lungo lavoro ( circa 27'),
mentre la componente strumentale- in senso tradizionale-
è ridotta al minimo. L'impegno dei quattro
solisti è relegato soprattutto alla
realizzazioni di effetti sonori dovuti ad un
microfono che amplifica suoni ottenuti
dall'appoggio e dallo
sfregamento del medesimo sulla cassa di
risonanza dei rispettivi archi. Questi suoni
vengono rielaborati in tempo reale
elettronicamente per la realizzazione del
lavoro. La componente visiva e gestuale rimane
fondamentale per la comprensione del suggestivo
brano. Ma questo è anche probabilmente il limite
artistico di un brano che trova nella
performance estetica una forse eccessiva
componente
fondamentale.
Applausi anche alla creativa compositrice
salita sul palcoscenico. L'ultimo brano in
programma di Mauro Lanza (1975) è per Quartetto
d'Archi aumentato (elettronicamente) e
denominato The 1987 Max Headroom Broadcast
Incident (2017). Anche in questa
composizione -come la precedente in prima
esecuzione italiana- è presente una ricca
rielaborazione elettronica. In questo
ambito
però i quattro protagonisti hanno un ruolo
strumentale più evidenziato e realizzano
timbriche rilevanti anche nella fondamentale
struttura portante registrata. L'evoluzione del
particolare, suggestivo ed interessante lavoro
di Lanza raggiunge una vetta nel finale dove
piani sonori stridenti con "rumori" ambientali
che ricordano il periodo concreto, (
fabbriche, catene di montaggio, robot...ecc )
sono amalgamati sapientemente ed in modo
efficace. Applausi anche a Lanza salito al
termine sul palco. Bravissimi gli strumentisti e
tutti i tecnici audio-video. Ricordiamo il
concerto di Milano Musica al Teatro Elfo Puccini
di lunedì 7 novembre che vede come protagonista
la pianista Mariangela Vacatello in brani
contemporanei di Lorusso, Aperghis e Palumbo e
classici di Beethoven come l'Op.111. Da non
perdere.
4 novembre 2017 Cesare Guzzardella
OTTOBRE 2017
Davide Cabassi allo
Spazio Teatro 89 per
un "tutto Beethoven"
L'interessante programma
musicale pianistico ascoltato ieri allo
Spazio Teatro 89 prevedeva un "tutto
Beethoven"con tre Sonate quali l'Op. 26,
l' Op. 27 n.1 e l' Op. 27 n.2 "Al
chiaro di luna" completate da una
trascrizione per quattro mani, operata dallo
stesso musicista tedesco, della Grande fuga
Op.133 per
Quartetto d'archi. Sul
palcoscenico un pianista noto al pubblico
milanese quale Davide Cabassi è stato coadiuvato
nel brano finale, dal più giovane ma altrettanto
valido Emanuele Delucchi. Da alcuni anni Cabassi
è alla ricerca di una nuova idea interpretativa
del genio di Bonn che metta in risalto le
variegate e complesse caratteristiche di un
compositore che ha attraversato momenti
difficili della sua esistenza culminati con la
nota sordità degli ultimi anni. Le sonate
scelte, composte tra il 1800 e il 1801 hanno
molti punti in comune che Cabassi ha colto con
un'interpretazione che definirei di
sostanza
e di carattere. Non elenchiamo alcune
incertezze tecniche evidenti che comunque hanno
poco danneggiato un'interpretazione decisamente
esaustiva in termini di avvicinamento al mondo
beethoveniano. La forza espressiva, l'intensità
armonica, il corretto uso del pedale e le ottime
dinamiche hanno ben supportato l'esecuzione
specie nei frangenti più concitati e di tensione
armonica . Di valore estetico la complessa
Sonata op.26, con l'Andante e le cinque
variazioni ben delineate e pregnanti, bene
lo Scherzo e ancor meglio la Marcia
funebre. Una
certa mancanza di fluidità
tecnica non ha comunque danneggiato l'Allegro
finale. Di grande impatto timbrico anche la
meno nota ma sublime Sonata quasi una
Fantasia op.27 n.1. Ben interiorizzata e
delineata con forza espressiva e di pregnanza
scultorea. La celebre Sonata "Al chiaro di
luna" ha, a mio avviso trovato il punto
debole per l'andamento un po' lento nell'Allegretto
centrale. Bene il celeberrimo Adagio
iniziale anche se non molto "sostenuto"
ed eccellente per grinta e resa complessiva il
Presto agitato. Un Beethoven quindi,
quello di Cabassi, che deve essere ben
considerato nel panorama attuale interpretativo
italiano. Di grande interesse la Grande fuga
op.104 eseguita da Cabassi con il bravissimo
e preciso Delucchi. La chiarezza espressiva
nella corretta divisione temporale ha portato ad
una valida esecuzione. Ottimo il bis con una
rara ma splendida Marcia beethoveniana a quattro
mani. Da ricordare a lungo. Ricordiamo il
prossimo concerto in programma allo Spazio
Teatro 89 per domenica 12 novembre, alle ore
17.00, con il pianista Jeffrey Swann. Programma
interessantissimo per le musiche di Joplin,
Debussy, Stravinskij, Gerswin, Barber e
Gottschalk. Da non perdere.
30 ottobre 2017
Cesare
Guzzardella
“Delitto e dovere”
un'opera di Alberto Colla a
Novara
Da un paio d’anni a questa
parte il Teatro Coccia di Novara ha preso la
lodevole iniziativa di commissionare ad un
autore contemporaneo un’opera di teatro
musicale, in coproduzione con altri enti.
Quest’anno la scelta del compositore è caduta su
Alberto Colla, autore ormai di più di un
centinaio di lavori, tra musica strumentale
(soprattutto pianistica) e operistica: il suo
“Il
processo”
(ovviamente da Kafka) ha avuto quindici anni fa
l’onore di una messa in scena alla Scala.
L’opera di Colla rappresentata ieri a Novara
dopo la prima assoluta nello scorso luglio a
Spoleto, nell’ambito del Festival dei due mondi,
coproduttore col Coccia, s’intitola “Delitto e
dovere” ed è ispirata al racconto di Oscar Wilde
“Lord Arthur Savile’s crime”, feroce satira
della borghesia britannica di età vittoriana.
Oltre che della musica, Colla è autore del
libretto, che si avvale anche di citazioni
ricavate da altri testi dello scrittore
irlandese. Il libretto prevede, oltre ai vari
ruoli dei cantanti, anche una voce narrante,
quella dello stesso O. Wilde, che in verità più
che raccontare, commenta, con punte di acre
sarcasmo, gli sviluppi della vicenda. Nelle sue
linee essenziali la trama è la seguente: durante
un brillante ricevimento mondano nel salotto di
Lady Windermere, il giovane e aitante Arthur
Savile, prossimo a nozze con la bellissima Sybil
Merton, si fa leggere il proprio futuro sulla
mano dal chiromante ‘di fiducia’ della
Windermere, Septimus Podgers, celebre in tutta
Londra per l’infallibilità delle sue previsioni.
Quanto legge Podgers nella mano di Savile è
terrificante: quest’ultimo potrà sposare la sua
Sybil solo dopo aver compiuto un omicidio. Senza
pensarci troppo e senza remore morali di sorta,
il nostro eroe si mette all’opera. Tenta
dapprima di far fuori un’anziana zia malata,
spacciandole un veleno per farmaco. La zietta in
effetti muore, ma Savile scopre che il decesso è
avvenuto per cause naturali, il suo veleno non
c’entra nulla e dunque deve ricominciare
daccapo. Stavolta la scelta cade su un amico,
sir Thomas Marvel, grossolano e ottuso rentier,
la cui unica occupazione nella vita è
collezionare orologi. E appunto una bomba in un
orologio il buon Savile fa confezionare ad un
vecchio anarchico e recapitare come regalo alla
vittima designata. Ma anche questo piano fa
cilecca: l’orologio esplode, sì, ma fa l’effetto
di un innocuo petardo.
A questo punto,
esasperato, Savile uccide il chiromante Podgers
gettandolo nelle acque del Tamigi…Come si vede,
potrebbe benissimo essere la trama di
un’operetta fine ‘800, virata ironicamente al
‘noir’ e con personaggi privi di qualsiasi
consistenza psicologica. Dobbiamo dire in tutta
franchezza che non pensiamo che questo lavoro di
Colla meriti di essere ricordato tra le pagine
significative della storia del teatro musicale
in Italia, neanche limitandoci al primo
ventennio del XXI secolo. Nella babele dei
linguaggi che caratterizza la musica
contemporanea (il che, sia chiaro, non è di per
sé un male, anzi!) Colla si è solidamente
attestato sulla posizione di compositore
decisamente rivolto al recupero di forme e
strutture del passato, sia dal punto di vista
armonico (la sua è musica pienamente tonale),
sia con la propensione a un melodismo
‘neoromantico’ evidente in particolare nelle sue
composizioni pianistiche, con qualche
strizzatina d’occhio ogni tanto a certo
minimalismo nella sua forma più ‘soft’, alla
Nyman. E in effetti le prime battute dell’opera
richiamavano alla mente proprio qualcosa di quel
minimalismo, per poi procedere con una scrittura
piuttosto leggera e trasparente, ben ancorata
alla tonalità, con qualche guizzo d’ironia nei
suoi momenti migliori, ma sostanzialmente senza
sorprese per l’ascoltatore. Una musica che ha
accompagnato ‘in punta di piedi’ le parti
vocali, numerose e con cantanti che ruotavano
talvolta su più ruoli e tra i quali abbiamo
apprezzato in particolare il baritono Michele
Patti, un Arthur Savile dalla voce ben
impostata, di bel timbro caldo e robusta
proiezione, con fraseggi ben scolpiti e Laura
Baudelet, soprano lirico francese, talvolta un
po’ fragile nei centri, ma dal buon acuto, nella
parte di Sybil. Gli altri hanno sbrigato più o
meno bene le loro parti, così come dignitosa è
stata la direzione di Marco Alibrando, attento a
calibrare dinamiche e timbri all’insegna di
quella leggerezza ‘operettistica’ di cui si è
detto, guidando con gesto esatto nello stacco
dei tempi l’Orchestra Talenti Musicali, una
formazione piemontese giovanile, nata pochi anni
orsono. La regia, infine, era affidata al duo
Paolo Gavazzeni-Piero Maranghi, che hanno
dimostrato il loro consumato mestiere nel
gestire con efficacia il continuo andirivieni di
un cospicuo numero di personaggi, imprimendo un
buon ritmo drammaturgico alla rappresentazione,
inquadrata in una scena, curata da Angelo
Linzalata, essenziale: tre pareti e un divano,
icona del salotto pettegolo e fatuo che fa da
sfondo alla vicenda, in cui l’omicidio può
tranquillamente diventare un mezzo tra gli altri
per ottenere i propri scopi. Piacevolmente
curati i costumi, di rigorosa foggia
tardottocentesca, di Nicoletta Ceccolini. Dopo
l’ora e mezza circa di spettacolo, il pubblico
numerosissimo, ha applaudito a lungo una
proposta di “musica contemporanea” pienamente
accettabile anche per quegli ascoltatori cui
tale etichetta evoca noiosi e incomprensibili
‘rumori’.
28 ottobre 2017 Bruno Busca
A Novara la nuova
stagione del Festival
Cantelli
A Novara ha preso avvio ieri sera, 26 ottobre,
la nuova stagione del Festival Cantelli, che,
rievocando il nome di uno dei più grandi
direttori d’orchestra italiani del ‘900,
novarese di nascita, rappresenta da quasi
quarant’anni un appuntamento imperdibile per gli
amanti della musica della cittadina piemontese.
A dare avvio al Festival al Teatro Faraggiana
era una delle più interessanti orchestre
giovanili italiane di questi tempi, la
Futurorchestra, fiore all’occhiello del Sistema
delle Orchestre e dei Cori giovanili della
Lombardia,
fortemente sostenuto dal rimpianto
Claudio Abbado, su ispirazione del celeberrimo
“Sistema” venezuelano. A dirigerla era chiamato
un giovane direttore da sempre vicino alla Futurorchestra (ma con esperienza anche presso
formazioni di antico prestigio) Alessandro
Cadario. L’impaginato proposto proponeva due
titoli molto popolari, entrambi di autori russi:
la Sinfonia n. 5 in Mi minore op.64 di P.I.
Ciajkovkij (tra le composizioni più amate da
Cantelli) e le Danze polovesiane dall’opera Il
principe Igor di A.P. Borodin. La Futurorchestra
è compagine che, nonostante la giovane, talora
giovanissima, età di gran parte dei suoi membri,
pare aver raggiunto un apprezzabile livello di
affiatamento e di qualità espressiva, che una
partitura come quella cjaikovskijana sollecita
al massimo grado di tensione, in particolare
nella sezione dei fiati. Naturalmente i
risultati dipendono dalla direzione: presentato
dal programma di sala come direttore “dal gesto
raffinato ed espressivo” Cadario non ha deluso
le aspettative, guidando con sapienza
l’orchestra affidatagli, in particolare nell’
interpretazione delle dinamiche e nella gestione
dei registri timbrici delle due partiture,
particolarmente la quinta di Ciajkovskij, di cui
la bacchetta di Cadario ha subito evocato il
complesso mondo sonoro, dando il giusto risalto
al contrasto tra il livido tema dei due
clarinetti dell’Introduzione e il successivo
slancio quasi di danza con cui clarinetto e
fagotto aprono l’Allegro. Questa ci è parsa
appunto la scelta interpretativa di fondo di
Cadario: la Quinta come alternarsi incessante di
fuggevole vitalità, affidata anche al frequente
affiorare del ritmo del valzer, in mille forme e
varianti, e di angosciosa desolazione, un’
alternanza finemente espressa dalle sottili
variazioni timbriche in cui il bravo direttore
ci è parso abbia dato il meglio di sé, unita
alla delicatezza nello stacco dei tempi e alla
morbidezza nell’arcata melodica, soprattutto del
meraviglioso Andante cantabile. Apprezzabile
anche l’esecuzione delle Danze Polovesiane, sia
nella effusa melodiosità della Danza delle
fanciulle, sia nella scatenata energia della
Danza degli uomini, che nei suoi barbari
bagliori fa presagire, alla lontana, qualcosa
del Sacre di Stravinskij. Un lungo applauso del
numeroso pubblico ha degnamente testimoniato,
alla fine della serata, il meritato
apprezzamento per i giovani orchestrali e il
loro direttore.
27 ottobre 2017 Bruno Busca
Seong-Jin Cho per la
Società dei Concerti
Dopo i concerti inaugurativi
dell'11 e 12 ottobre di Alexander Madzar e la
Nordwestdeutsche Philharmonie diretta da Klumpp
e dedicati ( anche) ai concerti di Chopin, è
tornata la musica esclusivamente pianistica in
Conservatorio per la Società dei Concerti.
Questa volta con un giovane virtuoso sud-coreano
quale Seong-Jin Cho, vincitore dell'ultimo
prestigiosissimo
"Concorso Chopin" di Varsavia. Siamo abituati
oramai alla scuola pianistica orientale cinese e
sud-coreana che ha preparato ottimi interpreti,
alcuni di questi star internazionali
quali Lang Lang o la Wang. Seong-Jin Cho, per la
prima volta a Milano, ha in comune con i due più
noti pianisti, la tecnica super-virtuosistica
che non concede errori di note o momenti
d'insicurezza. Il programma, sufficientemente
variegato, prevedeva prima Beethoven con due
celebri sonate quali l'Op. 13 "Patetica"
e l'Op.109. Dopo l'intervallo un assaggio
di Claude Debussy con La plus que lente e
L'isle joyeuse e quindi le note
Quattro Ballate di Chopin. Ci è piaciuto il
Beethoven del sud-coreano che oltre ad una
perfezione tecnica fatta
di
calibrata misura dinamica e un ottimo uso del
pedale, presentava estrema dolcezza,
scorrevolezza ed eleganza in alcuni movimenti
come il Presto della Patetica e il
Vivace ma non troppo iniziale della Sonata
in mi maggiore. Certo la carica espressiva e la
potenza del pensiero beethoveniano non sono
emersi, forse per via della giovane età
dell'ottimo interprete. Abbiamo trovato più
interessanti Debussy e soprattutto Chopin. Il
primo per il carattere "meditativo" delle
composizioni che più si avvicina maggiormente
alla cultura dell'interprete. Chopin per
l'equilibrio complessivo dei lavori: le Ballate
infatti sono state eseguite con una maestria
timbrica insuperabile, sapiente dosaggio delle
dinamiche e sicurezza tecnica di eccezionale
livello. Vero è che da un vincitore del
"Concorso Chopin" non possiamo aspettarci altro.
Quello che non abbiamo ritrovato è l'entusiasmo
che può venire a noi attenti ascoltatori di
fronte ad un'esecuzione "nuova" e "importante".
Non facciamo confronti col recente e
entusiasmante Trifonov. Indubbiamente Seong-Jin
Cho merita l'ascolto e speriamo torni presto.
Bellissimi i bis con una profonda Image
di Debussy e uno Studio Trascendentale di
Liszt ( n.10 ) che certamente ha rappresentato
una "vetta altissima".... e questo fa ben
sperare. Da ricordare.
27 ottobre 2017
Cesare Guzzardella
All'Hangar
Bicocca e al Teatro alla Scala è iniziata la
rassegna musicale di Milano
Musica
Quest'anno la rassegna di
musica moderna e contemporanea organizzata da
Milano Musica è dedicata ad uno dei maggiori
compositori viventi quali
Salvatore
Sciarrino. Il Teatro alla Scala è diventato da
oramai molti anni luogo privilegiato di Milano
Musica, ma i 21 concerti sinfonici previsti,
oltre tutta una serie di esecuzioni cameristiche
e di incontri sono altrettanto occasioni da non
perdere. Ricordiamo anche l'anticipo musicale
svoltosi
sabato
all'Hangar Bicocca con altri due lavori di
Sciarrino ( nella foto Sciarrino con lo scultore
Achille Guzzardella ed il fotografo Luca Carrà).
Tra breve inoltre verrà eseguita alla Scala la
nuova opera di Sciarrino dal titolo Ti vedo,
ti sento, mi perdo prodotta e commissionata
dal Teatro alla Scala e dalla Staatsoper Unter
den Linden di Berlino, con ben sei
rappresentazioni a partire dal 14
novembre.
Ieri sera, domenica, in un teatro gremito di
appassionati gli orchestrali scaligeri diretti
da Tito Ceccherini ( foto) hanno eseguito del
Maestro siciliano La nuova Euridice secondo
Rilke, con la partecipazione del soprano
Anna Radziejewska (foto). L'interessante lavoro
è stato preceduto dall'Ouverture dal Manfred
di Schumann nell'orchestrazione di Gustav
Mahler, seguito dal celebre Mandarino
meraviglioso di Bela Bartók. Grandissimo
successo di pubblico per un Festival che si
preannuncia di grande qualità.
23 ottobre 2017 C.G.
Daniil Trifonov
ha inaugurato
la stagione della Società
del Quartetto
Avevo ascoltato Trifonov nel
2012, il giorno 26 novembre, in un concerto
splendido ma non memorabile organizzato da
Serate Musicale. Allora mi era rimasta
impressa la straordinaria capacità di superare
ogni difficoltà tecnica per
una
resa espressiva di qualità superiore. In
quell'anno il pianista -senza barba- era già
noto essendosi affermato al Concorso Chopin
di Varsavia ed avendo vinto il primo premio
al "Rubinstein" di Tel Aviv ed il primo premio
al "Čajkovskij"
di Mosca. Riascoltando ieri sera l'ancora
giovanissimo pianista russo - classe 1991 e
questa volta con barba- per la prima volta
ospite della Società del
Quartetto, l'impressione avuta è decisamente
maggiore. Il concerto, memorabile, è tra quelli
che non si possono dimenticare per via di una
qualità interpretativa che esce dagli schemi
storici del pianismo di questi ultimi trecento
anni per una reinvenzione
musicale comune a molti pianisti-compositori. A
questa categoria Trifonov appartiene in toto nel
livello della più alta invenzione ed espressione
musicale, essendo lui anche un eccellente
compositore, anche se, in questo campo, poco
noto. Quello che fa la differenza tra un grande
interprete ed un unico e geniale interprete e
proprio la capacità di quest'ultimo di ri-creare
la musica con modalità stilistiche e
d'invenzione personali, dettate da un bisogno
profondo di trasformazione delle sonorità.
Per
realizzare questo, la scelta di un programma
concertistico unitario, ben strutturato e
coerente, diventa decisivo. In questa scelta
Trifonov è stato esemplare, avendo impaginato un
programma che ruotava attorno a Chopin
comprendendo anche alcune composizioni del
medesimo come la celeberrima Sonata n.2 in Si
bem. minore op.35 ( quella della Marcia
funebre) - e le meno note Variazioni in Si
bem. maggiore op.2 dal mozartiano Là ci
darem la mano. I due lavori sono stati
eseguiti nella seconda parte del concerto. Nella
prima parte della serata Chopin era citato o
parzialmente eseguito attraverso Frederic Mompou
con le rare Variazioni su un tema di Chopin
( 1957), attraverso Schumann con "Chopin"
da Carnaval Op.9, Grieg con
"Omaggio a Chopin", Samuel Barber con un
Notturno op.33 ( da J.Field, considerato
l'inventore del genere Notturno), per arrivare
quindi
a Čajkovskij con "Un
poco di Chopin" da Morceax op.72 e
Rachmaninov con le corpose
Variazioni su un
tema di Chopin. Riassumendo: un programma
unico nel suo genere che solo un pianista
eccellente ed intelligente come Trifonov poteva
costruire. Per quanto concerne la componente
interpretativa, siamo rimasti sbalorditi dalla
capacità di Trifonov di eseguire i
singoli brani attraverso uno stile unitario che
fa sembrare il concerto come "unica suite".
L'alternanza di situazioni di grande melodicità
e grande respiro con altre di autentica
sonorità, ricche di dinamica energia sonora,
hanno rivelato le immense qualità
dell'interprete-inventore sempre attento alla
bellezza del timbro come alla trasmissione più
razionale e profonda del "tutto musicale". Un
concerto memorabile per i fortunati presenti in
Sala Verdi conclusosi poi con due eccellenti bis
di Chopin: il primo era una splendida
trascrizione di Cortot dal Largo della
Sonata per violoncello e pianoforte op.65 e
il secondo la Fantaisie -Impromptu.
Dimenticavo il Sold out di Sala Verdi e
l'ovazione tributata al termine. Da ricordare
per decenni!
18 ottobre 2017 Cesare
Guzzardella
Yevgeny Sudbin
per Serate Musicali
Siamo abituati alla presenza
costante in Sala Verdi del pianista russo di San
Pietroburgo Yevgeny Sudbin. Come già riferito
nell'ultima
recensione, ogni volta si
riscoprono particolari qualità tipiche del
grande virtuoso. Come spesso
accade
per questa generazione di pianisti, l'attitudine
al repertorio novecentesco o contemporaneo
supera le pur valide interpretazioni riferite a
periodi più lontani.
Anche ieri sera di fronte al programma molto
interessante e articolato proposto per Serate
Musicali, abbiamo
ascoltato autori diversi in ordine sparso quali
Haydn, Beethoven, Chopin, Scarlatti e Scriabin.
Il concerto è iniziato
benissimo con una Sonata di Haydn, la N.32 in
si bem. maggiore, eseguita splendidamente
con un equilibrio perfetto, un ottimo uso del
pedale e sonorità precise e dettagliate. Valide
la brevi Bagatelle op.126 di L.v.
Beethoven . Ha eseguito i n.ri
3-4-5.
Peccato la selezione. In effetti la resa non
eccelsa per espressività, ha rappresentato
l'interpretazione di minor qualità rispetto il
resto. La Ballata n.4 in fa minore di F.
Chopin l'abbiamo
trovata
particolarmente interessante e con un finale di
grande visione coloristica. Dopo l'intervallo,
particolarmente coinvolgenti le due Sonate di
Domenico Scarlatti: la K466 e la K 455.
Con i Pezzi op.9 per la mano sinistra e
la Sonata in fa diesis magg. n.5 op.53 di
Scriabin, Sudbin ha raggiunto l'apice esecutivo
della splendida serata, dimostrando ancora una
volta l'attitudine del pianista
alle sonorità novecentesche. I due bis di
Cajkovskij concessi ,
due
Notturni,
hanno mostrato ancora una
volta le sorprendenti qualità di questo
pianista. Successo di pubblico
in una Sala Verdi del Conservatorio
con moltissimi
appassionati.
17 ottobre 2017 C.G.
Nikolaj Znaider
inaugura la stagione de I
Pomeriggi Musicali al Dal
Verme
Ho ascoltato più volte in
questi ultimi anni Nicolaj Znaider, violinista
danese
poco
più che quarantenne, e devo dire di aver sempre
apprezzato la sua matura personalità. Giovedì
scorso, con replica di ieri nel
tardo-pomeriggio, ha inaugurato la nuova
stagione concertistica de I Pomeriggi
Musicali eseguendo un concerto diretto da
George Pehlivanian, direttore naturalizzato
statunitense. Si tratta di uno dei lavori più
noti della letteratura violinistica: il
Concerto per viol. e Orch. in mi minore Op. 47
di Jean Sibelius. Il brano tardo-romantico
del compositore finlandese è particolarmente
virtuosistico e presenta timbriche
armonicamente
interessanti e dal sapore glaciale. Il
violinista nordico, tra i migliori presenti
sulla scena mondiale, ha centrato l'obbiettivo
con un'eccellente interpretazione ricca di
energia, sicurezza ed intensa espressività.
Bravissima l'Orchestra de I pomeriggi
ottimamente diretta da Pehlivanian. Nessun bis
solistico. Dopo il breve intervallo un
capolavoro della letteratura musicale russa
quale Quadri di un'esposizione di
Musorgskij-Ravel, ha concluso il bel concerto
alla presenza di un pubblico numerosissimo e
particolarmente soddisfatto. Interpretazione
grintosa, espressiva e ricca di dettagli. Da
ricordare.
15 ottobre 2017 C.G.
Der Freischütz
alla Scala
Dopo quasi vent'anni è
tornato alla Scala Der Freischütz,
l'opera romantica in tre atti a lieto fine di
Carl Maria von Weber che nel 1821 ha dato inizio
ad un periodo importante nella storia della
lirica-romantica. La messinscena di
Matthias
Hartmann, giocata su contrasti coloristici e
scenici discordanti, ha voluto evidenziare
soprattutto l'aspetto demoniaco del male
attraverso la scenografia di Raimund Orfeo Voigt
, tetra e poco appariscente, nella quale
l'ambientazione vegetale di alti alberi scuri
sembra quasi l'interno di una grande caverna. Il
protagonista Max, nella valida voce di
Michael König ( tutte le foto dall' Archivio
della Scala), sembra quasi smarrirsi in un
contesto di cacciatori che non riconoscono più
in lui il grande tiratore esperto di una volta.
Questi, da quando è promesso sposo di Agathe,
vive in uno stato di ansia che non gli permette
di centrare più un bersaglio. L'aiuto
"demoniaco" dell'amico Kaspar, forgiatore di
pallottole magiche, permetterà a Max di centrare
un obbiettivo che lo porterà al matrimonio. La
vicenda, certamente carente nei contenuti, come
già evidenziato dalla critica di allora e anche
da Richard Wagner, trovò Wagner stesso tra i più
grandi estimatori della splendida parte
musicale. Il lato più femminile del lavoro,
quello definito da Agathe e Ännchen ha visto
scene più leggere e colorate nei bellissimi
costumi di Susanne Bisovsky e Josef Gerger,
scene forse troppo in contrasto con il tetro
paesaggio iniziale. Valide
le luci di Marco Filibeck. La parte vocale del
cast ha, a mio avviso, la voce migliore
nell'eccellente Günther Groissböck, atletico
Kaspar, bravissimo attorialmente
specie
nella rilevante scena demoniaca. Groissböck ha
voce chiara, energica e di gran volume. Ottime
le voci femminili di Julia Kleiter, Agathe,
e Eva Liebau, Ännchen, che anche nella
parte recitata riescono ad equilibrare in senso
positivo la particolare cupa vicenda. Bravi gli
altri interpreti: Mchael Kraus, Ottokar,
Frank von Hove, Kuno, Stephen Milling,
Ein Eremit, Til von Orlowsky, Kilian,
ecc. Di grande qualità l'interpretazione
musicale di Myung-Whun Chung che ha forgiato le
sonorità più rilevanti con sintesi discorsiva e
timbrica esemplare. Le timbriche hanno tagli
scultorei nella tetra raffigurazione scenica.
Un' impronta musicale più popolaresca, nei
frangenti più leggeri, avrebbe portato ad
un'interpretazione complessiva di altissimo
livello. Un plauso ad alcuni strumentisti
dell'orchestra scaligera splendidamente
evidenziati in alcuni fondamentali passaggi
musicali. Bravissimo, come sempre, Bruno Casoni
nella preparazione dell'eccellente Coro. Da non
perdere le prossime rappresentazioni del
17-20-26-30 ottobre e del 2 novembre.
14 ottobre 2017
Cesare Guzzardella
Il violino di Laura
Bortolotto per la Sinfonica
Verdi in Auditorium
Il concerto di ieri sera in
Auditorium dedicato ai Giovani Talenti
con l'Orchestra Sinfonica Verdi diretta da Luigi
Ripamonti ha trovato al violino
solista
la giovanissima e talentuosa Laura Bortolotto.
L'impaginato prevedeva, nella prima parte della
serata, un brano di Antonin Dvořàk
quale il Concerto per Violino in la minore
op.53 e, dopo l'intervallo, un lavoro
giovanile di F.Mendelssohn quale la Sinfonia
n.1 in do minore op.11. Laura Bortolotto,
classe 1995, ha mostrato di possedere qualità di
sicuro livello attraverso un'interpretazione
giocata
sulla tenue ma incisiva bellezza dei timbri. La
valida direzione di Ripamonti nel sostenere gli
ottimi orchestrali della Verdi, ha
permesso di evidenziare la parte solistica della
giovane interprete che attraverso un suono
levigato, ricco di sfumature ed espressivo, ha
messo in risalto le splendide timbriche del
violino utilizzato -un Pressenda del 1830- e la
melodicità del lavoro proposto. Ottima
l'interpretazione
complessiva
per un brano tra i più belli del genere
solistico, forse non troppo eseguito come invece
meriterebbe. Ottimo il bis bachiano solistico
concesso dalla brava violinista. Valida
l'esecuzione della rara Sinfonia di Mendelssohn,
composta dal grande musicista tedesco a soli 15
anni prendendo spunto da Mozart, Schubert e
dall'amato Bach in una sintesi discorsiva già di
evidente complessità considerando l'età del
compositore. Peccato la non numerosa affluenza
di pubblico in Auditorium in un concerto fuori
dagli abbonamenti ufficiali che meritava una
sala stracolma. Da ricordare.
10 ottobre 2017 Cesare
Guzzardella
Carmen
al Teatro Coccia di Novara
Dopo più di cinque anni la
Carmen è tornata, ieri sera 6 ottobre, sul
palcoscenico del Coccia di Novara a inaugurare
la nuova stagione operistica. Si tratta di una
produzione in esclusiva della Fondazione Teatro
Coccia, che ne ha affidato la regia a Sergio
Rubini e la direzione musicale al suo direttore
stabile Matteo Beltrami, alla guida
dell’Orchestra Fondazione Teatro Coccia,
integrata
da strumentisti del locale Conservatorio G.
Cantelli. I cori sono quelli ormai di casa al
Coccia: quello di S. Gregorio Magno di Trecate e
le voci bianche ( cui era affidato il famoso
‘coro dei monelli’ del primo atto)
dell’Accademia Langhi di Novara. Rubini ha
impostato una regia aliena da ogni facile
esotismo, con una scenografia, realizzata da
Luca Gobbi, all’insegna della sobrietà e della
più rigorosa funzionalità: pochi, essenziali
elementi di un’architettura allusiva ai vari
ambienti in cui si svolge la vicenda (la
fabbrica di tabacchi, la taverna di Lillas
Pastia , la piazza di fronte all’arena di
Siviglia), semplici scalinate con praticabili,
un fondale su cui si proiettava una luce fredda,
a suggerire il carattere di fondo di questo
capolavoro, la sua tragicità tagliente e
oggettiva, di rado accesa da qualche fiammata di
bruciante passionalità. A merito della regia va
aggiunta la sapienza nel gestire i vasti e
continui movimenti e i vari controscena di una
vera folla di personaggi minori e figuranti,
oltre, naturalmente alle prime parti e ai cori.
Il cast di cantanti era di tutto rispetto: gran
protagonista della serata, ovviamente il
mezzosoprano interprete di Carmen,
nell’occasione la giovane russa Alisa Kolosova,
di cui negli ultimi tempi si è detto un gran
bene, presentandola come uno dei migliori
mezzosoprani in giro per il mondo. E’ indubbio
che la Kolosova possiede eccellenti risorse
vocali: bel colore di voce dal suono pieno e
potente, una naturalezza di emissione che le
consente ottimi portamenti e filati con
eccellente fraseggio, centri di peso e un acuto
caldo e luminoso. Detto tutto il bene che si può
dire di lei, non possiamo dire che la Kolosova
sentita ieri sera ci abbia entusiasmato (e anche
il pubblico non le ha riservato un apprezzamento
particolarmente caloroso): la sua
interpretazione è parsa un po’ opaca, da
“normale amministrazione “ della parte: la sua
habanera non è stata niente di speciale, il
drammatico duetto finale con Don José (“C’est
toi! C’est moi”) piuttosto fiacco. Forse le è
mancata quella intensa e conturbante sensualità
che è il tratto essenziale del personaggio. Tra
le voci femminili di primo piano ha invece
suscitato l’ammirazione del pubblico, da noi
condivisa, il soprano Valeria Sepe (Micaela) una
vera scoperta: non in possesso di un gran
timbro, ha però una splendida emissione, con
fiati lunghi e un perfetto legato, un acuto
compatto e piacevolmente squillante. Ha anche
dimostrato matura capacità interpretativa,
recitando al meglio le scene che l’hanno avuta
protagonista: alla fine dello spettacolo il
pubblico ha tributato giustamente a lei la più
calorosa ovazione .Tra le parti maschili ottimo
il baritono spagnolo Simon Orfila, che ha
confermato la sua fama di voce potente e sonora,
con morbida omogeneità di suono e valida
capacità interpretativa nel ruolo di Escamillo,
mentre ci è parsa francamente poco felice la
scelta di attribuire il ruolo di don José al
semisconosciuto tenore azero Azer Zada, sinora
quasi sempre confinato in parti secondarie.
Dotato di una voce di scarso timbro,
dall’emissione talora incerta, specie negli
acuti,e in chiara difficoltà nel reggere i
contrasti vocali che la partitura prevede per la
sua parte, il suo punto debole più grave è
l’interpretazione, al limite della goffaggine:
disastrosa, dal punto di vista teatrale la scena
finale, che ci è parsa al limite della parodia.
Se la sono cavata più che dignitosamente le
parti di fianco, a cominciare da Paolo Maria
Orecchia (Il Dancairo), Didier Pieri (il
Remendado), fino a Leonora Tess (Frasquita) e
Giorgia Gazzola (Mercedes). Valida la direzione
di Beltrami, che ha tenuto bene tempi e
dinamiche, e ha efficacemente guidato
l’orchestra nei tortuosi cromatismi melodici
della partitura di Bizet, valorizzandone con
sufficiente chiarezza i contrasti timbrici e
armonici. Alla fine il gran pubblico presente
(tutto esaurito ieri sera al Coccia) ha
applaudito a lungo l’intero cast responsabile
della produzione.
7 ottobre 2017
Bruno Busca
Recital di
Daniela Barcellona al Teatro alla Scala
Deciso successo di pubblico
per il mezzosoprano Daniela Barcellona
(foto
archivio
Scala) ieri sera al Teatro alla Scala.
Accompagnata al pianoforte da Alessandro
Vitiello - suo compagno nella vita-, la celebre
cantante ha sostenuto un programma variegato che
includeva brani di Schumann, Brahms,
Gounod
e Rossini. Dai primi nove lieder che compongono
“Frauen-Liebe und Leben"-Amore e vita di
donna- Op.42 di Robert Schumann son o
emerse le splendide caratteristiche timbriche di
questa artista. La voce calda, decisa ed
espressiva della Barcellona è stata ottimamente
sostenuta dalla discrezione sonora del
pianoforte
di
Vitiello, specie in Schumann, Gounod con
Melodies e Rossini con il celebre “Eccomi
alfine in Babilonia" dalla “Semiramide".
Il concerto, in crescendo, è terminato con ben
quattro bis tra cui la celebre Habanera
dalla Carmen di Bizet. Fragorosi gli applausi
per una cantante che da circa vent'anni calca i
palcoscenici più importanti del mondo. Da
ricordare.
2 ottobre 2017 Cesare
Guzzardella
“La stagione degli
affetti” a Novara
“La stagione degli affetti” è
il suggestivo titolo che gli ‘eredi’ di quella
che per alcuni anni è stata l’Orchestra barocca
città di Novara, ora scioltasi, hanno voluto
dare al duplice ciclo di concerti che, in
autunno e in primavera, vengono dedicati nella
cittadina piemontese, appunto, alla musica
barocca. Ieri sera, 30 settembre, si è
inaugurata la fase autunnale della nuova
stagione concertistica, nella chiesa secentesca
(ovviamente…) di S. Giovanni decollato, con una
serata dedicata quasi interamente a J. P.
Telemann, di cui ricorre quest’anno il 250°
della morte. Tanto celebre ed onorato in vita,
quanto subito sprofondato in un oblio pressoché
totale dopo la sua scomparsa, il musicista di
Magdeburgo ha lasciato una produzione
sterminata, che ne fa probabilmente il più
prolifico compositore di tutti i tempi. Di
questo immenso mondo musicale il concerto di
ieri sera proponeva una esigua, ma significativa
scelta di un genere cameristico assai diffuso
tra 6’ e ‘700, la c.d. Triosonata, cioè una
composizione per due
strumenti
melodici, in genere flauto e violino,
accompagnati ovviamente dal basso continuo,
nell’occasione formato dal clavicembalo e dalla
viola da gamba: il basso continuo rappresenta la
terza linea musicale della composizione, che per
questo è appunto detta ‘trio’. Di Telemann sono
state proposte una triosonata in sol maggiore,
due in la minore, una quarta in do minore (il
minimale ‘programma di sala’ non indicava i
numeri di catalogo delle composizioni). Per un
utile confronto, alle quattro sonate di Telemann
l’impaginato affiancava due sonate di Handel,
che di Telemann fu amico e sostenitore, una in
fa maggiore e l’altra i do minore. L’esecuzione
dei quattro strumentisti protagonisti della
serata è stata di buona qualità: a parte la
bravura tecnica, messa in rilievo nei passaggi
di scrittura più complessa, come il Vivace della
seconda sonata in la min. di Telemann, con
canoni rapidissimi e salti di ottava tra flauto
e violino, ci è sembrata resa con efficacia la
caratteristica essenziale del mondo sonoro di
Telemann: la valorizzazione del colore timbrico
del suono, un melodismo trasparente che inclina
verso un’espressività prossima a certe sfumature
sentimentali dello stile galante del pieno ‘700,
con le indicazioni agogiche di alcuni movimenti
quali “soave”, “affettuoso” “cantabile”,
interpretate dagli esecutori con scelte adeguate
dei tempi. L’unica riserva che ci permettiamo di
avanzare riguarda la scelta della viola da gamba
come strumento di accompagnamento del
clavicembalo nel basso: il suo timbro un po’
secco e metallico entrava talvolta in contrasto
con l’abbandonata dolcezza del flauto e del
violino, creando così due ‘blocchi sonori’ poco
omogenei. Il suono vellutato e più melodico di
un violoncello, a nostro parere, sarebbe stata
una scelta più opportuna nella concertazione.
Comunque ci uniamo volentieri agli appalusi del
pubblico, che hanno salutato alla fine della
serata i bravi
Laura Caldarera (flauto), Damiano
Bordoni (violino), Giorgio Delrosso
(viola da gamba) e Antonella Panighini
(clavicembalo).
1 ottobre 2017 Bruno Busca
SETTEMBRE 2017
Musiche dedicate
alla Spagna con la Sinfonica Verdi e la pianista
Zilberstein per il MiTo
Era dedicato alla Spagna il concerto ascoltato
ieri sera in Auditorium con l'Orchestra
Sinfonica Verdi. I tre brani diretti dal
madrileno Andrés Salado appartenevano a tre
differenti autori: il primo di un compositore
arabo-statunitense quale Mohammed Fairouz,
classe 1985, particolarmente
conosciuto
ed eseguito negli Stati Uniti. Il suo corposo
Concerto per violino e orchestra - in prima
esecuzione italiana- ha trovato come solista la
bravissima Chloë Hanslip alle prese con un
violino Guarneri del Gesù del 1737. Il secondo
brano in programma di Manuel de Falla, Noches
en los jardines de España, ha visto al
pianoforte l'eccellente Lilya Zilberstein. Per
finire il celebre Bolero di Maurice Ravel
ha concluso la splendida serata. Il Concerto per
violino denominato Al-Andalus e dedicato
alla penisola iberica, è in tre lunghi movimenti
per circa 40 minuti complessivi di musica. Più
che di atmsfera spagnola,
presente
soprattutto nel primo movimento Ibn-Firnas'
Flight, il lavoro di Fairouz ha rivelato una
sintesi musicale intrisa di timbriche
occidentali prevalentemente tonali riferite al
primo Novecento di Prokof'ev, Bartók, ed al
minimalismo americano, -unita a stilemi tipici
del mondo arabo. Il brano pieno di melodicità e
di suggestivi colori ci è piaciuto assai per la
varietà musicale espressa con un linguaggio
accessibile ed immediato che rimanda anche alle
radici folcloristiche europee ed a quelle arabe.
Decisamente interessante il personale linguaggio
dell'autore tipico della realtà globalizzata in
cui viviamo.
Ottima
la parte violinistica, assai virtuosistica,
della bravissima Hanslip e la direzione
orchestrale. Dopo il primo brano, nella seconda
parte della serata, i tre movimenti della
celebri Noches di De Falla sono stati
interpretati in maniera eccellente dalla
fuoriclasse Zilberstein, solista di rara
precisione formale e timbricamente ineccepibile.
A conclusione le qualità della bravissima
Orchestra Verdi sono emerse nella splendida
esecuzione del noto Bolero iniziato con la
precisa e costante ritmica del tamburo di Ivan
Fossati, bravissimo orchestrale della Sinfonica
Verdi . Il percussionista è salito al termine
sul podio insieme all'ottimo direttore Salado
tra i fragorosi applausi del numeroso pubblico
intervenuto. Successo di pubblico. Da ricordare
a lungo.
20 settembre 2017 Cesare
Guzzardella
Bychkov e Gerstein
con l'Orchestra della Rai per
MiTo in
Conservatorio
Tra i numerosi concerti proposti da MiTo a
Milano, di grande valenza musicale si è rivelato
quello ascoltato ieri sera in Sala Verdi, nel
Conservatorio milanese,
con
l'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
diretta da Semyon Bychkov. In programma due
lavori celebri di due grandi russi quali
Rachmaninov e Stravinskij: il Concerto n.2
op.18 del primo e Le Sacre du printemps
del secondo. Per il concerto ottimo il
solista russo Kirill Gerstein che ha mostrato
valide qualità interpretative definendo in modo
chiaro le celebri melodie del brano.
Ottimo
il bis pianistico concesso con una profonda
Melodie di Rachmaninov. Di grande impatto
musicale il celebre brano stravinskijano
eseguito nella seconda parte della serata.
Bychkov ha fornito un'interpretazione analitica
ricca di equilibrio ben evidenziando le
chiarissime timbriche dell'orchestra in ogni
settore. Grandissimo successo e ovazione
tributata dal pubblico che gremiva la capiente
sala del Conservatorio milanese. Da ricordare.
15 settembre 2017 Cesare Guzzardella
Thielemann e
Buchbinder per Beethoven e Bruckner alla Scala
Da molti anni mancava dal Teatro alla Scala il
direttore d'orchestra berlinese Christian
Thielemann. È tornato ieri sera con un'orchestra
di primo livello quale
la
Sächsische Staatskapelle Dresden, una
delle formazioni più antiche al mondo. Come
valore aggiunto abbiamo ascoltato il pianista
austriaco Rudolf Buchbinder nel noto Concerto
n.1 in do magg. Op.15 di Beethoven. Nella
seconda parte della serata un rilevante Bruckner
con la Sinfonia n.1 in do minore. È una
gran bella orchestra quella di Dresda, ancor più
se diretta dal suo direttore principale
Thielemann, interprete elegante e raffinato in
Beethoven, profondo e attento alle sottili
dinamiche in Bruckner. Ottima la sintonia
musicale con Buchbinder che sappiamo essere uno
tra i migliori pianisti del repertorio classico.
In Beethoven Thielemann ha saputo dosare i
bellissimi colori orchestrali sapientemente e
con discrezione tali da far emergere il
raffinato solismo viennese
di
Buchbinder, pianista sempre garbato ed elegante
nel suo fraseggio. Questi ha concesso al termine
un breve bis, la giga dalla Partita
n.1 di J.S.Bach, poco attinente con il
concerto e di normale levatura estetica.
Comunque meritati i fragorosi applausi finali.
Decisamente valida l'interpretazione della Prima
di Bruckner dove sono emerse le rilevanti
qualità dell'orchestra con una sezione d'archi
eccellente, ottima in tutte le altre e con un
gruppo di ottoni di gran classe. Direzione
equilibrata, chiara e dettagliata in ogni
frangente quella di Thielemann e meritatissimi i
lunghi applausi tributati al termine della
splendida serata dal numerosissimo pubblico
intervenuto. Da ricordare.
12 settembre 2017 Cesare Guzzardella
Hänsel und
Gretel al Teatro alla Scala
Successo meritato alla
seconda rappresentazione dell' opera più nota di
Engelbert Humperdinck, Hänsel und Gretel,
dall'omonima fiaba dei fratelli Grimm. Mancava
alla Scala da 58 anni e ha trovato una valida
messinscena con la regia di Sven-Eric Bechtolf,
le colorate e fiabesche scenografie di Juliam
Crouch
completate dai video di Joshua Higgason,
unitamente ai costumi di Kevin Pollard e le
luminose luci di Marco Filibeck. Il celebre
racconto, ridotto a libretto da Adelheid Wette è
stato musicato in maniera eccelsa dal tedesco
Humperdinck. È una delle opere maggiormente
eseguite nel mondo è trovò una fortunata resa
musicale sotto la bacchetta di Richard Strauss
alla prima messinscena nel 1893. Da allora
importanti direttori si cimentarono
nell'orchestrazione: tra gli italiani
Arturo
Toscanini. La musica, ricca di elementi
folclorici ma costruita con timbriche ed armonie
di profonda qualità musicale, si pone al centro
dell'opera e in parte anticipa la modernità
delle opere e dei celebri poemi sinfonici dello
stesso Strauss. Il valido e determinato
direttore March Albretcht, dirigendo i
bravissimi strumentisti dell'Orchestra
dell'Accademia della Scala, ha
mostrato
di cogliere con coerenza l'unità del lavoro
esprimendo timbriche chiare, precise e ricche di
colori. Valida la compagine vocale ( foto
dall'Archivio Scala) con due giovanissimi -nel
secondo cast vocale ascoltato- , quali Dorothea
Spilger, una sicura e determinata Hänsel
e Sara Rossini in Gretel, in crescendo
nel corso dell'opera. Entrambe sono state
bravissime anche attorialmente. Di ottima
qualità anche Paolo Ingrasciotta in Peter,
Ewa Tracz in Gertrud, Oreste Cosimo,
Die Knusperhexe, Enkeleda Kamani,
Sandmännchen e Célin Mellon, Taumännchen.
Bravissimo il Coro di voci Bianche
dell'Accademia scaligera diretto da Marco de
Gaspari. Prossime repliche per il 6-8-16-21 e 24
settembre. Da non perdere.
5 settembre 2017
Cesare Guzzardella
LUGLIO 2017
Presentato a Milano il volume di Olivier Bellamy
su Martha Argerich
Ieri nel tardo pomeriggio è
stato presentato a Milano alla Galleria d'Arte
moderna
il volume
di
Olivier Bellamy «MARTHA ARGERICH l’enfant et
les sortilèges», la biografia della grande
pianista argentina, finalmente pubblicata anche
in italiano da Zecchini Editore. Sono
intervenuti Angelo Foletto, Mario Marcarini e
Carlo Piccardi che hanno raccontato da diversi
punti di vista l'essenza del volume e resi
pubblici ricordi di questa geniale pianista che
ancora adesso si adopera in attività musicali a
360°. Nel corso della serata la giovanissima
pianista
Ginevra Costantini Negri ha eseguito alcuni
brani dal repertorio di Martha Argerich di
Mendelsshon, Prokof'ev e Liszt dimostrando
talento non comune per la sua giovane età. È
intervenuto anche il M.tro Hans Fazzari, storico
organizzatore di Serate Musicali, società
concertistica milanese che ha avuto l'onore di
ospitare più volte la celebre interprete.
6
luglio 2017 C.G.
Presentata
a Milano la V° edizione di
Stradivari festival di
Cremona
Oggi è stata presentata la
quinta edizione dello Stradivari festival,
manifestazione
musicale incentrata sul violino e gli archi che
si terrà a Cremona da 23 settembre all'8 ottobre
nel bellissimo e acusticamente perfetto
Auditorium Giovanni Arvedi. L'incontro si è
svolto alla presenza di Gianluca Galimberti,
Sindaco di Cremona
e
Presidente della Fondazione Museo del Violino
Antonio Stradivari, di Virginia Villa, Direttore
Generale della Fondazione Museo del Violino
Antonio Stradivari, di Roberto Codazzi,
Direttore Artistico della V edizione di
STRADIVARIfestival e di Beppe Menegatti,
regista, autore ed organizzatore artistico.
Tra
i presenti anche alcuni protagonisti della
prossima rassegna cremonese quali Carla Fracci e
le violiniste Anna Tifu e Francesca Dego. Il
festival vedrà per 15 giorni impegnati
importanti virtuosi quali Serjei Krilov, Uto
Ughi, Mischa Maisky, Anna Tifu, Francesca Dego
oltre al direttore-pianista Ezio Bosso, Carla
Fracci ed importanti formazioni cameristiche e
orchestrali. Per ulteriori informazioni:
www.stradivarifestival.it
4 luglio 2017 Cesare
Guzzardella
Die Entführung aus
dem Serail al Teatro alla
Scala
L'entusiasmo del pubblico e i
fragorosi applausi conclusivi tributati ieri
sera a Zubin Mehta e all'ottimo cast vocale
nell'ultima replica del mozartiano Ratto dal
serraglio, testimoniano ancora una volta che
la tradizione lirica con i grandi
protagonisti
del passato al Teatro alla Scala resta sempre
vincente. Il Singspiel tedesco - genere
nel quale alle parti recitate si alternano pezzi
musicali- non è certo tra le opere più
rappresentate del grande salisburghese. Il
ricordo di Giorgio Strehler, a vent'anni dalla
scomparsa, e di Luciano Damiani a dieci ann i
dalla dipartita, ed il loro classico
allestimento rappresentato in Scala la prima
volta nel 1972 e a Salisburgo nel '65 per la
direzione dello stesso Mehta, certamente hanno
destato
molto interesse. Indubbiamente è una messinscena
di valore storico, ripetuta in modo esemplare.
Classica ed equilibrata la direzione di Mehta,
molto rispettosa di un cast vocale
complessivamente valido e piuttosto omogeneo.
Ricordiamo i protagonisti, tutti bravi, ma con
lievi preferenze a mio avviso in quest'ordine (
foto a cura dell'Archivio Scala di
Brescia-Amisano): ai primi posti due donne, il
soprano Sabine Devieilhe in Blonde e il
soprano Lenneke
Ruiten
in Kostanze, quindi il basso Tobias
Kehrer in Osmin e quindi i tenori Mauro
Peter e Maximilian Schmitt rispettivamente in
Belmonte e Pedrillo. Ottima la voce
recitante di Cornelius Obonya in Selim e
impareggiabile la presenza mimica di Marco
Merlini, il Servo muto. L'eccellente
allestimento di Giorgio Strehler ripreso da
Mattia Testi, con i costumi d'epoca e le scene
"minimaliste" di Luciano Damiani ripresi
rispettivamente da Sybille Ulsamer e Carla
Ceravolo, sono stati potenziati dalle ottime
luci di Marco Filibeck. Ineccepibile il coro dei
giannizzeri diretto da Bruno Casoni. Un grande
successo che interrompe la lirica scaligera per
circa due mesi aspettando settembre con la
pantomima Hänsel und Gretel di Humperdinck in
programma dal giorno 2 e per otto
rappresentazioni complessive.
2 luglio 2017 Cesare
Guzzardella
GIUGNO 2017
Massimo
Giuseppe Bianchi al M.A.C .
milanese
Non conoscevo Massimo
Giuseppe Bianchi come interprete pianista e
l'ascolto di ieri sera al M.A.C. di piazza Tito
Lucrezio Caro a Milano si è rivelato valido
sotto ogni aspetto. La serata organizzata da
LaVerdi in collaborazione con Universal
ha fatto emergere un pianista non
particolarmente conosciuto ma
con
un ottimo Cd alle spalle di recente
pubblicazione per Decca-Universal intitolato
Around Bach, un omaggio alla musica di Bach,
musicista cha ha ispirato un numero cospicuo di
altri importanti compositori-interpreti come
Liszt, Busoni, Reger e- come da parole di
Bianchi- Chopin. L'impaginato prevedeva alcuni
brani tratti dal Cd e altri. In ordine, prima
Bach con l'Ouverture in stile francese BWV
831, quindi il celebre Bach-Busoni con la
Toccata in re minore BWV 565, poi Chopin con
lo Scherzo N.2 op.31 ed infine F. Liszt
con due lavori: Weinen, Klagen, Sorgen, Zagen
da una cantata di Bach e Scherzo e Marcia.
Pianista molto personale, Massimo Giuseppe
Bianchi ha un modo di esprimersi estroverso,
improvvisatorio e con sonorità ampie e ricche di
timbriche. Il suo approccio pianistico alla
musica del sommo Bach è molto organistico e
orchestrale. Le timbriche emerse nei due lavori
proposti, sebbene amplificate dall'eccessiva
risonanza
della bella sala del M.A.C. ma con acustica a
dir poco discutibile ( fate qualcosa!), celano
comunque una tendenza all'enfatizzazione sonora
e ad una sintesi discorsiva di un pianista di
alto livello e colto. L'ampio spettro di colori
che emergono dal pianoforte, con piani dinamici
ricchi di contrasti, fanno trapelare una visione
musicale profonda ed articolata. Di qualità
anche la celebre Toccata bachiana nella
versione
del grande virtuoso-compositore Busoni, dove
Bianchi ha trovato momenti di slancio
effettistico non gratuito ma funzionale alla sua
idea complessiva. Interessante anche il suo
Chopin con il noto Scherzo N.2 di grande
impatto timbrico ecoerente
nell'equilibrio complessivo. Meritevole
d'attenzione anche il Liszt proposto all'insegna
di una maggiore riflessività nel primo lavoro e
con un impeto decisamente moderno nel bellissimo
Scherzo und March proposto a conclusione.
Applausi fragorosi dal numeroso pubblico
intervenuto e due eccellenti bis bachiani con un
movimento da una Partita e un Preludio e
fuga del secondo libro del celebre
Clavicembalo ben temperato. Un pianista
valido e da riascoltare con attenzione appena
possibile in sala da concerto.
20 giugno 2017 Cesare
Guzzardella
Il
pianista Stanislav Khristenko per il Concerto
n.3 di Rachmaninov
Il programma di questo
penultimo concerto organizzato dalla Società
dei Concerti ha visto al pianoforte il
pianista russo Stanislav Khristenko per il
Concerto n.3 in Re min. Op.30 di S.
Rachmaninov, il più celebre dei concerti del
grande virtuoso-compositore russo. Le prime note
orchestrali con un
spontaneo
Happy birthday sono state dedicate al
Presidente della Società Antonio Mormone al
quale facciamo tutti noi i più sentiti auguri.
Le semplici note iniziali del concerto, rese
celebri dai più grandi virtuosi del secolo
scorso, hanno trovato nel corso dei tre
movimenti un cambiamento in senso virtuosistico
per le complesse difficoltà tecniche
proposte. Il nostro russo
è stato molto bravo nell'eseguire con
sorprendente facilità d'esecuzione anche i
passaggi più ardui che il brano impone. In
sinergia con la Südwestdeutsche Philharmonie
Konstanz ben diretta da Ari Rasilainen,
abbiamo trovato un buon equilibrio tra la parte
pianistica e quella orchestrale, che in questa
importante composizione trova un relativo spazio
rispetto la dominante componente solistica. Il
celebre tema iniziale e la sua evoluzione nella
difficile progressione virtuosistica, sono stati
delineati da Khristenko in modo luminoso e
tecnicamente rilevante. Grande successo e
fragorosi applausi al termine e due i bis
concessi dal solista con un Momento musicale
di Rachmaninov -op.16 n.15- e un
classico Schumann-Liszt con Widmung
eseguito in modo straordinario. Attendiamo a
Milano Khristenko per un concerto solistico.
Valida, dopo il breve intervallo, l'esecuzione
della Sinfonia n.4 in Re minore Op.120 di
Robert Schumann ben delineata dall'ottima
compagine orchestrale e un bis ancora
orchestrale con il bellissimo Valzer triste
di Sibelius.
15 giugno 2017 Cesare
Guzzardella
La Bohème
di Zeffirelli al Teatro alla Scala
Sono passati 54 anni dalla
prima edizione della pucciniana La Bohème,
su l ibretto di Luigi Illica e
Giuseppe Giacosa, firmata per
regia e scene da Franco Zeffirelli. Questo
capolavoro è ancora una delle opere più
rappresentate al mondo. Da quel lontano 31
gennaio del 1963, quando sul podio scaligero
dominava la bacchetta di Herbert von Karajan, è
stata rappresentata alla Scala in 22 diverse
stagioni,
per
oltre duecento repliche. Dall'anno 2000, i
validi costumi tradizionali di Piero Tosi,
ripresi da Alberto Spiazzi, e le luci ben
calibrate di Marco Filibeck completano un lavoro
che rimane tra i più attesi e con maggiore
vendita al botteghino. Certo le scene presenti
sono tradizionali, come quella semplice e povera
del primo quadro o quella coloratissima e
dinamica del Caffè Momus, ci ricordano una
ricerca scenografica desueta, ma i tre
differenti "quadri" - l'ultimo è un ritorno al
primo- non smettono mai di piacere. Ieri sera il
meritato successo ottenuto ha trovato
motivazione anche dalla presenza di un ottimo
cast vocale. Le voci equilibrate dei
protagonisti
(Foto
Archivio Scala di Brescia-Amisano)
hanno probabilmente avuto un
picco qualitativo in quella del soprano bulgaro
Sonya Yoncheva, una Mimì rilevante per
timbrica chiara, rotonda, voluminosa e
dinamicamente ricca. Eccellente la qualità
attoriale nella commovente scena finale. Anche
Fabio Sartori è stato all'altezza nel compito di
Rodolfo. Sulla bellezza del suo timbro,
preciso e ben contornato, non ci sono riserve,
valido pienamente soprattutto nei toni alti. Di
qualità anche le prestazioni di Mattia Olivieri,
Schaunard, Simone Piazzola, Marcello,
Carlo Colombara, Colline. Quest'ultimo
bravissimo in "Vecchia zimarra".
Rilevante per bellezza timbrica,
spessore
di volumi e dosaggio dinamico, Federica
Lombardi, Musetta, tra i migliori
attorialmente e con eccellente presenza scenica.
Bravi tutti gli altri. Un plauso- come sempre- al
coro preparato
da Bruno Casoni. L'energica direzione
orchestrale di Evelino Pidò è piaciuta molto. Un
complessivo minor spessore volumetrico, in
alcuni frangenti, avrebbe meglio evidenziato la
componente vocale che
comunque è stata sostanzialmente ben rilevata.
Ricordiamo le prossime repliche previste per il
15-20-30 giugno e 5-10-14 luglio. Da ricordare.
14 giugno 2017
Cesare Guzzardella
Maxence
Larrieu e Giuseppe Nova alle
Serate Musicali
A conclusione della Stagione
2016-17 di Serate Musicali ieri sera due
eccellenti flautisti sono saliti sul
palcoscenico di Sala Verdi del Conservatorio
milanese: il francese Maxence Larrieu e
l'italiano Giuseppe Nova. Il primo è in attività
da oltre
sessant'anni
avendo ottenuto importanti vittorie in concorsi
dai primi anni '50. Accompagnati al pianoforte
da Andrea Bacchetti, il duo flautistico ha
eseguito brani classici dell'Ottocento di Kuhlau,
Böhm, Doppler, compositori con un passato anche
virtuosistico essendo stati sommi flautisti. Il
breve e sostanzioso concerto ha messo in risalto
le qualità del flauto moderno in tutta la gamma
di sonorità classiche ben evidenziate
dall'ottima impalcatura pianistica di Bacchetti,
pianista classico bachiano, perfetto nel
sottolin eare in modo
raffinato ogni dettaglio
delle timbriche flautistiche. I brani
presentati, rarità come il Trio in sol op.119
di Friedrich Kuhlau o i duetti da
Mendelssohn e Lachner di Theobald Böhm sono stai
seguiti da parafrasi o trascrizione di celebri
brani tratti da Bellini, Mozart e Verdi nelle
valenti ricostruzioni di Ferenc Doppler e per
quanto riguarda Verdi con la Fantasia e
Variazioni dal Rigoletto,
composte insieme al
fratello Karl. Quest'ultimo era noto nel '800
anche come direttore d'orchestra oltre che sommo
flautista. Meritato il successo ottenuto dai due
valenti strumentisti che hanno portato un
momento di importante valorizzazione di un
melodioso repertorio, facile nella comprensione
ma certamente di autentica qualità
musicale. Pubblico soddisfatto al termine e
validi i bis concessi. Ricordiamo la prossima
straordinaria stagione di Serate Musicali con
artisti del calibro di Lonquich, Schiff, Pletnev,
Kremer, Lortie, Debargue, Bozhanov, Libetta,
Ughi, ecc., ecc. solo per citarne
alcuni. Da non perdere l'abbonamento a Serate,
da ricordare il concerto.
13 giugno 2017 Cesare
Guzzardella
Anne-Sophie Mutter e la Filarmonica della
Scala diretta da Riccardo Chailly
È tornata Anne-Sophie Mutter
al Teatro alla Scala: l'anno scorso in trio con
Lynn Harrell e con Yefim Bronfman, ieri sera con
la Filarmonica della Scala diretta da Riccardo
Chailly. Il programma, tutto brahmsiano,
prevedeva prima il Concerto in Re maggiore
Op.77, quindi la Sinfonia n.4 in Mi
minore Op.98. Due capolavori arcinoti
diretti da un grande esperto di Brahms quale
Chailly. Nella prima parte della serata la
protagonista e stata certamente lei, Anne Sophie
Mutter (Foto di Harald Hoffmann), la
splendida cinquantenne che ha mantenuto in
quarant’anni
di attività concertistica un profilo
interpretativo di altissima qualità. Anche ieri,
dopo il concerto schubertiano dello scorso anno,
Anne Sophie ha dimostrato di essere quella
grande interprete classica e romantica che tutti
conoscono. Coadiuvata dall'ottima Filarmonica
scaligera e dalla dettagliata direzione di
Chailly, la Mutter ha
definito un Brahms nitido, giocato su lievi ma
sostanziose escursioni dinamiche, con un violino
non particolarmente voluminoso ma vario nei
piani sonori e splendidamente intonato.
La
bellezza delle timbriche è emersa subito e ha
raggiunto l'apice nella riuscita cadenza di
Joachim dell'Allegro ma non troppo,
per trovare sconvolgente sensualità nell'Adagio
centrale e ricchezza di virtuosismo nell'Allegro
giocoso finale.
Le
numerose uscite della protagonista e i fragorosi
applausi al termine del concerto hanno avuto un
seguito nel bellissimo bis solistico bachiano.
Dopo l'intervallo, in crescendo
l'interpretazione fornita dalla Filarmonica
nella sublime Sinfonia n.4. Di grande impatto il
movimento finale, un
Allegro energico e passionato di indubbia
qualità espressiva.
Un'ottima ed esperta direzione quella del
Maestro Chailly. Ricordiamo le due repliche che
si terranno questa sera 9 e il 12 giugno.
Assolutamente da non perdere.
9 giugno 2017
Cesare Guzzardella
Shlomo Mintz in Conservatorio con
un'orchestra messicana
Il concerto ascoltato ieri
sera per Serate Musicali si preannunciava
di particolare interesse per la presenza di un
orchestra messicana quale la Guanajuato
Symphony Orchestra e di un grande violinista
quale Shlomo Mintz. Dopo il recente brano
contemporaneo, eseguito in presenza del
compositore Francisco
Javier
Gonzáles Compeán e intitolato Las mujeres de
Pénjamo. La marcha de los rehenes, è stata
la volta di un capolavoro assoluto quale il
Concerto in mi min. per violino e orchestra
Op.64 di F. Mendelssohn. A conclusione della
serata è stata eseguita la nota Sinfonia n.4
op. 36 di
Čaikovskij. Il lavoro di Gonzáles Compéan,
in prima esecuzione italiana, per vasta
orchestra sinfonica, è senza dubbio valido per
la complessità delle timbriche che generano un
clima suggestivo e ricco di tensioni
drammatiche.
Il riferimento a certo sinfonismo tedesco e
russo della prima metà Novecento risulta
evidente. L'ottima direzione di
Roberto Beltran-Zavala ha portato a fragorosi applausi
anche al compositore che ha ringraziato il
numeroso pubblico intervenuto. Il clou
della serata con il concerto mendelssohniano ci
ha rivelato ancora una volta le
abilità
del grande Mintz, virtuoso del violino
decisamente analitico nell'esprimere una
partitura celebre. La sua precisa e attenta
cavata produce sonorità
morbide e nello stesso tempo scultoree per la
pregnanza delle timbriche. L'andamento dei
movimenti, specie il primo, non hanno la
rapidità solita sentire, ma privilegia la
chiarezza timbrica con dinamiche articolate e
ricche di melodicità. Splendido il bis concesso
con la Sonata n.6 di Ysaÿe, di grande
difficoltà tecnica ma affrontata con abilità di
primo livello. Valida l'interpretazione della
sinfonia del russo eseguita nella seconda parte
del bellissimo concerto. Da ricordare.
6 giugno 2016 Cesare Guzzardella
Il pianista Adam Laloum per la
Società dei Concerti
È certamente un ottimo
pianista Adam Laloum, il trentenne francese
ascoltato ieri sera in Conservatorio per la
Società dei Concerti. Il programma classico
e impegnativo prevedeva due geni della musica
come Beethoven e Chopin, tanto
grandi
quanto diversi. Questo è sicuramente motivo di
difficoltà d'approccio a stili differenti per
periodi storici diversi e solo in parte
sovrapposti. Del grande tedesco ha eseguito due
Sonate, la "Patetica" Op.13 e "Waldstein"
Op. 53, entrambe molto
note e con un passato inesauribile di grandi
interpretazioni. Del grande polacco Laloum ha
eseguito ancora brani celebri, dalla Barcarola
op.60 alla Polacca-Fantasia op.61
sino alla Sonata n.3 in Si minore Op.58,
un altro cavallo di battaglia di grandi
virtuosi. Di fronte al numero elevato
d'interpretazioni entrate nella storia con
questi
capolavori diventa sempre più difficile
per i giovani interpreti ricreare uno stile
nuovo ed avvincente. Laloum, vincitore del 2009
di un importante Concorso internazionale svizzero
quale
il Clara Haskil, ha dimostrato attraverso
evidenti qualità di stare sul
podio tra i pianisti migliori della sua
generazione. Valido sia Beethoven con tempi a
volte dilatati, a volte energici, che Chopin. Di
quest'ultimo particolarmente interessante e di
eccellente livello la Sonata n.3. Qualche
lieve vuoto mnemonico non ha certo contrastato
la solida impalcatura melodico-armonica che ha
dominato l'equilibrio delle parti nei differenti
brani. Grande successo di pubblico ed eccellente
il bis concesso con un celebre Intermezzo n.1
Op.117 di J. Brahms. Da ricordare e
riascoltare.
1 giugno 2017 Cesare
Guzzardella
MAGGIO 2017
L'Orchestra UniMi
in Sala Verdi per Boccadoro
e Copland
Il concerto ascoltato ieri
sera in Conservatorio ha riservato delle
piacevoli sorprese per due ragioni: l'ottima
qualità della giovanile Orchestra UniMi e
la scelta del programma con un brano
contemporaneo di Carlo Boccadoro, La cenere
degli astri, una rarità esecutiva di Aaron
Copland con Appalachian Spring- Suite e
una celebre sinfonia beethoveniana quale la
Sesta "Pastorale". Il
tutto reso al top
dall'eccellente direzione orchestrale di Shao-Chia Lü, direttore di Taiwan.
L'accostamento delle tre composizioni era in
perfetta sintonia timbrica. Il felice brano di
Boccadoro, composto nel 2001 per l'Orchestra
Sinfonica abruzzese, prevede una piccola
orchestra con archi e qualche fiato come oboi e
corni. L'introduzione delicata, eterea e molto
spaziale, viene relativamente interrotta da una
ritmica accentuata che porta in evidenza
l'elemento dinamico del lavoro senza giungere
però a stravolgimenti timbrici e tornando poi
alla quiete iniziale. Valida la composizione che
ci rivela un artista, il compositore,
direttore
e pianista Boccadoro, molto variegato nel
comporre essendo lui molto legato sia al
repertorio contemporaneo americano -
minimalisti, ecc.- che al jazz, che alla musica
europea del Secondo Novecento. Il lavoro di
circa dieci minuti di durata risulta certamente
piacevole, equilibrato nelle parti e facilmente
ascoltabile nel suo stile fondamentalmente
tonale. In perfetta sintonia il brano successivo
del grande Copland,
compositore statunitense con
studi europei, purtroppo trascurato nelle sale
da concerto pur avendo scritto brani doc
come Billy the Kid (1938), Rodeo ( 1942) e
questo nobilissimo ed elegante Appalachian
Spring ricco di temi popolari e composto nel
1944. L'esecuzione ottima della giovane
orchestra universitaria milanese con quel
bravissimo direttore non ha nulla ad invidiare
per qualità espressa alle orchestre di
professionisti ben più note . L'unione tra
poetica musicale europea e quella statunitense
resa celebre da musicisti come Gershwin, Porter
o Bernstein trova in Copland un altro grande
esponente che deve trovare più spazio nelle sale
di Milano. Ottima l'esecuzione della Sesta di
Beethoven eseguita dopo l'intervallo davanti un
folto pubblico anche di giovani. Da ricordare.
31 maggio 2017
Cesare Guzzardella
Il pianista Yevgeny Sudbin per
Serate Musicali
È venuto molte volte in Sala
Verdi Yevgeny Sudbin, trentasettenne pianista
russo nato a San Pietroburgo ma da alcuni anni
residente a Londra. Ogni volta si
riscoprono
particolari qualità tipiche del grande virtuoso.
Come spesso accade per questa generazione di
pianisti, l'attitudine al repertorio
novecentesco o contemporaneo supera le pur
valide interpretazioni riferite a periodi pù
lontani. Il programma molto interessante e
variegato portato alle Serate Musicali
prevedeva brani di Scriabin,
Čaikovskij, Liszt,
Scarlatti e Medtner. Alternati in questa
successione avremmo forse non voluto ascoltare
Scarlatti prima di Medtner nella
seconda
parte del concerto, un accostamento azzardato
per affinità. Cosa ci e piaciuto di più?
Certamente la Sonata tragica in do minore
di Medtner ha raggiunto una vetta interpretativa
che dimostra l'eccellenti qualità di Sudbin.
Anche Scriabin con Vers la flamme op.72 e
soprattutto il bis con un Notturno per la
mano sinistra ci sono piaciuti assai. Validi
i brani di
Čaikovskij estrapolati dai Morceaux e
Le stagioni. Particolarmente brillante il
suo Scarlatti con cinque note Sonate
e valido anche Liszt
con lo Studio
Trascendentale n.11.
Ineguagliabile il secondo bis con il celebre
Valzer
"Minute"
di Chopin rivisitato in modo
eccelso
da Sudbin stesso
con
scelte armoniche e
costruttive degne di un Godowsky.
Da ricordare.
30 maggio 2017
Cesare Guzzardella
Presentata la
prossima Stagione musicale della
Società del Quartetto
L’attività della Società del
Quartetto di Milano è stata presentata ieri a
Villa Necchi. La stagione ordinaria in
Conservatorio riprenderà il 17 ottobre con
grandissimi interpreti. Solo per fare alcuni
nomi: Daniil Trifonov, Lei Ove Andsnes,
Angela Hewitt, Radu Lupu,Andràs Schiff, Jan
Lisiecki, sorelle
Labèque,
Murray Perahia, e gruppi cameristici di grande
qualità come i quartetti Belcea, Artemis,
Jerusalem, Europa Galante, King's Singer,
Divertimento Ensemble, ecc.ecc. Il ventaglio
dell’offerta musicale proposta dal Quartetto
comprende anche la prosecuzione dei concerti a
Casa Verdi che hanno come protagonisti i
giovanissimi vincitori del Premio del
Conservatorio: è una rassegna che sta
raccogliendo moltissimi consensi. Riprenderà la
serie “Musica nel tennis” a Villa Necchi, che
nella prossima stagione si intitolerà Quartetti
d’Italia, portando alla ribalta sei giovani ed
emergenti formazioni quartettistiche italiane
(in collaborazione con Le Dimore del Quartetto e
il FAI). Anche per il 2017-18 sono organizzate
alcune prove aperte nel corso delle quali gli
interpreti del concerto racconteranno i segreti
della loro arte ai giovani delle scuole. Per
aprirci a un pubblico nuovo e raggiungere le
giovani leve anche adottando tecniche e
strumenti adeguati alla comunicazione digitale,
abbiamo aperto e sollecitato collaborazioni e
scambi con istituzioni d’eccellenza -
Conservatorio G. Verdi, IED Istituto Europeo di
Design, Fondazione Mondadori. Così la proposta
di musica del Quartetto si allarga ogni stagione
sempre di più, offrendo occasioni nuove e
molteplici di emozioni e crescita.
30 maggio 2017 dalla
redazione
Il quartetto d’archi Daidalos al
Teatro Faraggiana di Novara
Ieri sera, 24 maggio, al
Teatro Faraggiana di Novara, a conclusione di un
breve ciclo di musica cameristica che ha
caratterizzato la prima stagione di questo
rinato e un tempo glorioso teatro della
cittadina piemontese, si è esibito il quartetto
d’archi Daidalos, una formazione appena nata, ma
già con qualche importante
esibizione
in giro per l’Italia e ammesso, previo selettivo
concorso, a frequentare l’Accademia di alto
perfezionamento W. Stauffer di Cremona. E’
formato da giovani strumentisti novaresi,
freschi di studi di conservatorio e con una gran
voglia di ‘sfondare’. L’entusiasmo si accompagna
in loro all’indispensabile preparazione tecnica,
di cui hanno dato abbondante prova nella serata
e che fa ben sperare per il loro futuro. Si
tratta di Anna Molinari e Stefano Raccagni, che
si alternano nelle parti di primo e secondo
violino, Lorenzo Lombardo alla viola e Lucia
Molinari al violoncello. Oltre all’entusiasmo e
alla preparazione, questi quattro ragazzi hanno
anche un coraggio da leoni, che li ha spinti a
misurarsi con due vertici assoluti e di notevole
difficoltà esecutiva della letteratura per
quartetto d’archi: il Quartetto n.3 di Bela
Bartòk e La Morte e la Fanciulla di F. Schubert.
Confessiamo volentieri di essere rimasti
sorpresi dalla qualità esecutiva di cui questi
giovani hanno dato prova, superando con
ammirevole disinvoltura pagine di difficoltà
estrema come il primo tempo del quartetto di
Bartok col suo densissimo contrappunto e
rendendo benissimo in generale l’allucinante
ritmo ‘dattilico’ che attraversa il capolavoro
schubertiano. Se tra i quattro strumentisti
dobbiamo esprimere una particolare preferenza,
non esitiamo a fare il nome della violoncellista
Lucia Molinari, dalla cavata potente e
timbricamente duttile, che già avevamo ascoltato
con piacere nel recente Pierrot lunaire. Il
Daidalos è dunque una formazione già
perfettamente amalgamata, agguerrita
tecnicamente. Devono migliorare ( e ci
riusciranno senz’altro, sotto la sapiente guida
del quartetto di Cremona di cui sono allievi e
‘pupilli’) le dinamiche e soprattutto il lavoro
sui timbri: abbiamo sentito (salvo il
violoncello) un suono ancora un po’ troppo
uniforme, ignaro delle straordinarie
sottigliezze di colori strumentali che ad
esempio Bartok dispiega nel primo tempo del
quartetto, con quegli inimitabili effetti di
‘musica della notte’, uscita un po’ scialba
dalle corde del Daidalos. Ma si tratta di
traguardi assolutamente alla portata di questi
eccellenti giovani: lo dimostra il bis, una
splendida esecuzione (forse il pezzo migliore
della serata…) del Langsamer satz di un Webern
ancora tonale e postbrahmsiano. Forse un omaggio
del Daidalos ai suoi maestri del Quartetto di
Cremona che hanno questo gioiello weberniano tra
i loro ‘pezzi di baule’. O forse perché quando
Webern lo compose aveva l’età meravigliosa di
questi ragazzi, vent’anni. Grandissimo successo
di un pubblico numeroso, con tanti, tanti
giovani!
25-05-2017 Bruno Busca
La
FuturOrchestra e
Luca Buratto per il "Quartetto"
La Società del Quartetto
ha ospitato in Sala Verdi per la prima volta
la giovanissima FuturOrchestra diretta da
Alessandro Cadario. Formata da giovani tra i
dodici e i ventiquattro anni, ha debuttato nel
2011 diretta da D.Rustioni e in
questi
pochi anni ha tenuto importanti concerti anche
in Festival musicali prestigiosi dedicati alle
orchestre giovanili mondiali,
soprattutto quelle del sud-america. Ieri
l'interessante programma prevedeva due brani: un
Concerto di Mozart, il K 595, e una
sinfonia di
Čaikovskij, la N.5 in mi minore Op.64.
Brillante la lettura fornita dai giovanissimi
in
entrambi i lavori. Il bravissimo Alessandro
Cadario ha ottimamente diretto la compagine
elargendo sonorità
precise ed equilibrate. Decisamente rilevante la
parte solistica del concerto mozartiano: il
milanese Luca Buratto, affermato
interprete internazionale, ha eseguito la
fondamentale
parte
pianistica con rigore formale altamente
classico. Il senso della misura, il corretto uso
del pedale, la qualità
timbrica dettagliata nelle esaustive dinamiche,
sono tra gli elementi fondanti per uno dei
migliori pianisti italiani della sua generazione
che speriamo ascoltare presto in un concerto
solistico. Valido il bis di Schumann-Liszt con
Widmung dal noto lied. Serata da
ricordare.
24 maggio 2017 Cesare
Guzzardella
Maurizio Baglini al
M.A.C di Milano per un tutto Schumann
Maurizio Baglini ha
presentato al M.A.C. milanese un progetto
discografico che prevede l'integrale pianistica
della produzione di Robert Schumann. Un lavoro
ampio
che lo vedrà impegnato per parecchi anni intorno
alle musiche di questo geniale compositore,
inventore di celebri e fondamentali armonie.
Ieri, sera davanti ad un numeroso pubblico, ha
interpretato brani che fanno parte dei primi Cd
usciti per la Decca: Papillons Op.2, la
Sonata n.2 Op.22, Carnaval Op.9. È
un pianista completo Baglini: virtuoso, preciso,
meticoloso, con un suo timbro ricco di colori e
sfumature. Ha introdotto ogni brano facendo
anche
brevi
esempi musicali. Valide ed efficaci tutte le
interpretazioni fornite: tra queste un Carnaval
avvincente in ogni breve movimento in una
sintesi discorsiva pregnante per espressività.
Due i bis concessi con una Campanella di
Paganini-Liszt splendida per raffinatezza ed un
intenso Scarlatti con un brano tre i più noti
quali la Sonata K 466. Al termine ha
firmato i Cd usciti. Da ricordare.
23 maggio 2017 Cesare
Guzzardella
Un appuntamento
importante per Serate Musicali: Roberto
Cappello esegue Gershwin
Questa sera un concerto che
ogni appassionato di musica di Gershwin non deve
perdere. Il bravissimo pianista Roberto
Cappello, appassionato ed esperto interprete del
grande statunitense, impagina un programma che
prevede il Concerto per pianoforte ed
orchestra in fa maggiore e la più celebre
Rapsody
in
blu. L'ottima "Orchestra
Antonio Vivaldi" diretta
da Lorenzo Passerini intoneranno anche i noti
brani da Un americano a Parigi, l'altro
capolavoro del grande compositore americano,
celebre per aver fuso gli stilemi jazzistici con
la purezza della musica classica europea. L'anno
scorso ad un concerto di Cappello per Serate
Musicali
avevamo scritto: "l'eccellente pianista
Cappello ha dato prova di alta competenza
e passione per il musicista statunitense con due
esecuzioni esemplari per sicurezza e attenzione
ai particolari. Il senso della ritmica tipiche
della musica jazz è emersa all'ascolto dei
celebri lavori. Ottime le sinergia con
l'Orchestra Vivaldi che ha espresso sonorità
appropriate e in molti frangenti di eccelsa
espressività, grazie anche alla valida direzione
di Passerini". I brani di Gershwin saranno
preceduti da un brano contemporaneo in prima
assoluta mondiale di P. Ratti intitolato
"Panico". Per
l'eccellente qualità del pianista, la freschezza
giovanile dell'orchestra e del suo direttore e
per la novità del nuovo brano di Ratti ci
troviamo di fronte ad un concerto da seguire con
attenzione. Da non perdere.
22 maggio 2017 C.G.
Si
conclude oggi Piano City
Milano, manifestazione
con un numero incredibile
di esibizioni
Si conclude oggi la sesta
rassegna milanese di Piano City, tre giorni
intensi musicali dove in una sterminata varietà
di luoghi si è potuto e si potrà ancora
ascoltare 450 concerti pianistici: alcuni con
pianisti di fama consolidata, altri piuttosto
conosciuti e altri con giovani promettenti
amanti della tastiera bianco e nera. Tra i nomi
presenti molti sono i professionisti per una
rassegna intelligente
che
ogni anno alza il livello qualitativo. Tra le
presenze più gettonate: Nyman, Gonzales,
Campanella, Arciuli, Bahrami, Intra, Sciortino,
Bellocchio, Fumo, Alberti, Campaner, Ciammarughi,
Rossini, Montalenti,
Armellini, Sangiovanni, Nosè, Cosma, Fedrigotti,
Fariselli, Schieppati, Rebaudengo, Picco,
Ligoratti, Granata, Liguori, ecc. Nato nel 2011,
Piano City Milano è realizzato grazie a Comune
di Milano
– Assessorato alla Cultura e Intesa Sanpaolo,
ideato e prodotto da Ponderosa Music&Art e
Accapiù, con il
sostegno dei partner “tecnici” Fazioli, Steinway
& Sons, Yamaha, Furcht/Kawai, Aiarp, Griffa &
figli, Tagliabue, Tarantino Pianoforti, KF
Milano
Musica,
Bösendorfer, Passadori Pianoforti e Steingraeber
& Söhne, che mettono a disposizione gli
strumenti della manifestazione. Tra i
concerti ascoltati ricordiamo almeno quello di
Nicolas Horvath che in una sede rilevante quale
la Fondazione Prada ha tenuto una
maratona pianistica di circa undici ore suonando
ininterrottamente tutta la produzione pianistica
di un grande del minimalismo americano
quale Philip Glass. Ascoltato per circa un paio
d'ore, Horvath ha mostrato di possedere ottime
qualità interpretative per un genere dove la
ripetizione di strutture musicali semplici e di
poche note, trovano resa efficace nella valenza
dinamica e ritmica combinatoria. Alcuni brani
brevi e altri particolarmente lunghi esprimono
"qualità nella ripetitività"
e nella capacità di procedere in infinite
variazioni .
Nicolas
Horvath è stato sempre all'altezza per tenuta
complessiva dimostrando affinità estetica con il
celebre musicista-pianista statunitense. Glass
ricordiamo essere anche un eccellente studioso e
ricercatore musicale approdato da oramai molti
anni ad una produzione più complessa e
articolata anche nel genere sinfonico.
Bravissimo Horvath a portare a termine un'
impresa- attualmente ancora in svolgimento- in
un ambiente particolarmente elegante nella sua
essenzialità quale la Fondazione Prada,
istituzione artistica sita nell'area sud-ovest
milanese. La rassegna di Piano City Milano,
oramai estesa in zone e in comuni limitrofi, si
sta rivelando ancora una volta un grande
avvenimento annuale sia per la qualità della
musica proposta che per il sempre più numeroso
pubblico presente . Da ricordare a lungo.
21 maggio 2017 Cesare
Guzzardella
Conclusa la stagione
del Viotti Festival a Vercelli
All’insegna della genialità,
venata di fanciullesca leggerezza, delle
primizie di un Mozart ancora bambino, si è
conclusa la XIX stagione del vercellese Viotti
Festival, senza dubbio alcuno da molti anni una
delle più significative iniziative musicali nel
Piemonte orientale, per durata, continuità e
qualità delle proposte. La serata di ieri,
sabato 20 maggio, sull’abituale palcoscenico del
Teatro Civico, presentava un programma
interamente dedicato a due serie di opere
composte da
Mozart
tra infanzia e prima adolescenza: le Sonate per
pianoforte (nella versione originale: per
cembalo) e violino (proprio così: in questo
genere di composizione, diffuso allora, il
violino accompagna la tastiera) K 6, K7, K8, K9,
scritte nel 1763, durante il primo soggiorno
parigino e i tre Concerti per pianoforte e
piccola orchestra d’archi K 107, la cui
datazione è tuttora dibattuta dagli studiosi, ma
che dovrebbe risalire al 1771, dunque a un
autore quindicenne. Al pianoforte, per
l’occasione, sedeva Massimo Viazzo, vercellese
di origine, figura singolare per varietà di
interessi e attività: non solo pianista
concertista, ma anche critico e musicologo,
nonché studioso di tecniche di allestimento
scenico, disciplina che attualmente insegna a
Venezia. Nell’esecuzione delle sonate lo
accompagnava al violino Guido Rimonda, che per i
concerti saliva sul podio a dirigere il piccolo
gruppo di archi (violini, violoncelli,
contrabbassi, mancavano le viole) della Camerata
Ducale. Ovviamente la musica di un bambino di
sette anni, quando il bambino è Mozart, è la
musica di un genio di sette anni: pur in uno
stile che è quello di moda allora, ‘alla
francese’, fatto di semplicità, chiarezza,
contorni netti del fraseggio e qualche nuance di
patetismo salottiero, qualche passaggio
originale, che lascia presagire qualcosa di
immensamente più grande per il futuro, non può
mancare già nelle sonate per pianoforte e
violino: il sorprendente ritmo sincopato nella K
7, o i passaggi cromatici della K 9, che le note
del programma di sala del bravissimo Attilio
Piovano, autore anche di una pregevole
introduzione alla serata, suggestivamente
definiscono “striata di inquietudine”, anche se,
lo confessiamo, fatichiamo un po’ a seguirlo
quando propone di riconoscere in queste pur
squisite partiture della puerizia già presente
in nuce “tutto Mozart”…Quanto ai tre concerti,
il tasso di originalità mozartiana praticamente
si annulla, perché, di fatto, altro non sono che
trascrizioni dalle Sonate op. 5 di J. Christian
Bach, salvo le due cadenze presenti nel n.1,
l’unico, tra l’altro, articolato secondo la
suddivisione moderna in tre movimenti, mentre
gli altri due restano ancorati allo schema in
due tempi: si tratta di partiture godibili nella
leggera trasparenza e affettuosa delicatezza
dello stile galante del tempo, dal quale il
Mozart maturo avrebbe saputo spremere succhi di
straordinaria fragranza. Come sempre a Vercelli,
ottima l’esecuzione. Viazzo è pianista dal tocco
preciso e delicato, con cui trae dalla tastiera
un fraseggio di cristallina pulizia, ma anche
attento, con una sapiente gestione delle
dinamiche, alle pieghe più sfumate della
partitura, come nella già citata K9. Sotto le
sue dita, anche l’insistente basso albertino
della mano sinistra perdeva quella schematica
ripetitività che può alla fine riuscire un po’
noiosa. In più, abbiamo percepito una vena di
tenerezza affettuosa, in particolare nelle
sonate, capace di comunicare una piena simpatia
tra l’interprete e il piccolo autore. Belle
anche le cadenze composte da Viazzo per i due
concerti di cui non ci sono giunte quelle
originali, il K2 e il K3, perfettamente
amalgamate allo spirito e allo stile delle
composizioni. Il violino e la bacchetta di
Rimonda hanno accompagnato con perfetta intesa
il pianoforte di Viazzo, facendosi anch’essi
interpreti di quella gioiosa leggerezza di canto
che è la cifra propria di questa musica. Grande
successo presso il foltissimo pubblico accorso
per salutare la “sua “ Camerata Ducale. Il
prossimo anno ricorre il XX anniversario del
ViottiFestival e il XXV della nascita della
Camerata: si annunciano grandi cose, già dal 9
settembre, con una serata interamente dedicata a
Viotti e la presenza, nel corso della stagione
2017-18 di solisti del calibro dii Kavakos e
Pavel Berman, per tacere d’altri. Davvero, il
prossimo anno, seguendo l’invito scritto sui
pieghevoli dei programmi di sala del
ViottiFestival, “Al sabato non prenderemo
impegni”!.
21-05-2017 Bruno Busca
Un grande
Grigory Sokolov per la
Società dei Concerti
Il ritorno del russo Grigory
Sokolov in Conservatorio è sempre atteso dagli
appassionati di musica pianistica e ogni volto
il successo della serata organizzata da
Società dei Concerti è garantita dalla lunga
serie di bis, in genere sei, che il grande
interprete produce sino alla mezzanotte. Ieri,
in una Sala Verdi stracolma,
abbiamo avuto la
conferma di trovarci di fronte ad un colosso
musicale che trova unicità d'espressione
all'interno di un processo ri-creativo
certamente di alto valore estetico, anche se con
risultati formali diversi dalla interpretazioni
entrate nella storia. Questo, per alcuni
ascoltatori amanti di certe interpretazioni
"classiche" consolidate, può sembrare un limite
mentre per altri, come il sottoscritto,
rappresentano un valore aggiunto che rivela un
innovatore musicale assolutamente eccellente,
insomma un fuoriclasse. Il programma interamente
classico prevedeva Mozart nella prima parte e
Beethoven nella seconda, per arrivare al
"concerto nel concerto" rappresentato dai sei
bis concessi al termine del programma ufficiale.
Iniziando dalle geometrie nitide, luminose,
perfette ed equilibrate della celebre Sonata
in do maggiore K. 545, Sokolov è arrivato
poi alla Fantasia K 475 unita - come
spesso accade- alla Sonata in do minore K.
457, ed è in questi
due lavori che è emersa la sua capacità di
ampliare l'elemento drammatico presente in
Mozart, con stravolgimenti di tempi e di
dinamiche tali da rendere
questi due capolavori scultorei per
drammaticità. La ricchezza di ombreggiature
allontana probabilmente dal '700 il suo autore
ma è artisticamente unico. Delle due Sonate
beethoveniane, l'Op.90 e l'Op. 111,
abbiamo trovato migliore la seconda, con un
finale spettacolare, cristallino e adagiato su
piani sonori separati ed uniti nello stesso
tempo. La chiarezza dei dettagli e la bellezza
cristallina dei timbri hanno reso semplici le
strutture complesse del lavoro, cosa che è
prerogativa solo dei grandi.
La capacità
riflessiva sostenuta da un'abilità
tecnico-costruttiva ineguagliabile, sono gli
elementi principali che nelle mani di Sokolov
determinano la sua cifra d'interprete.
Impagabili i bis con l'ottimo Schubert del
Momento musicale n.1 Op.94, un bellissimo e
raro J.P. Rameau con "L'indiscr ète"
che -
insieme a Couperin- rappresenta una sua
specialità. È soprattutto nei tre Chopin con i
due Notturni dell'Op.32, il primo
stratosferico per bellezza, e il contrastato
Preludio n.20 Op.28, con quegli iniziali
granitici accordi , che
Sokolov ha raggiunto la vetta dell'Everest
aiutato dalle sublimi e semplici ultime note
dell'Arabeske Op.18 di Robert Schumann.
Un concerto memorabile che rimarrà indelebile
nella memoria di moltissimi ascoltatori.
18 maggio 2017 Cesare Guzzardella
Il duo
Sollima-Andaloro: quando la musica sa essere
trasversale ai generi
Quando la musica sa essere
trasversale ai generi, se eseguita molto bene,
porta a risultati sorprendenti, sia in termini
qualitativi che di ascolti. Ieri sera per
Serate Musicali, il duo siciliano formato
dal violoncellista-compositore Giovanni Sollima
e
dal pianista Giuseppe Andaloro ha dato una
lezione di stile e di creatività in Sala Verdi
impaginando un programma vario e molto
interessante che accostava la musica antica di
John Dowland (1563-1626) con Flow my tears,
ai novecenteschi
Šostakovič con la rara Sonata in re minore
Op.40 e Stravinskij con la celebre Suite
Italienne; di
Sollima sono stati eseguiti
due
brani quali Tema III dal Bell'Antonio e
Bestiario, per arrivare ai due splendidi
bis dal Rock degli anni '70 dei Queen e dei
favolosi Gentle Giant.
L'anima
di Sollima, amante di Bach come di Jimi Hendrix,
in sinergia con un pianista "creativo" e
virtuoso come Aldaloro-
ricordiamolo anche vincitore in passato
dell'importantissimo Concorso Internazionale
Busoni- ha trovato una resa di altissimo livello
con elementi di grande melodicità e senso
dell'antico in Dowland e nell'anticato
neoclassico Stravinskij.
Si è evidenziata poi una
profonda sintesi minimale-mediterranea nelle sue
valide e struggenti composizioni e un raffinato
virtuosismo
in Šostakovič.
Quanto ai due bis,
già ascoltati in concerto un paio d'anni
fa, ci troviamo di fronte a rielaborazioni, con
ruolo fondamentale anche del bravissimo Andaloro,
che nobilitano in senso classico due eccellenti
lavori di gruppi storici quali i noti Quenn di
F. Mercury in Bohemian Rhapsody , e i meno noti
ma a mio avviso stratosferici Gentle Giant,
fondamentali
esponenti del rock progressivo dei primi anni
'70. Specie in questo variegato e iper-ritmico
complesso lavoro il duo ha donato
un'insuperabile versione cameristica resa
scenicamente dalla irruente e simpatica
gestualità di Sollima. Non dimentichiamo il
terzo bis: ancora un Dowland quasi improvvisato,
sempre con l'ausilio del "pianoforte preparato"
di Andaloro, con effetti quasi clavicembalistici
che hanno potenziato il gusto arcaico. Applausi
interminabili da un pubblico finalmente più
giovane. Da ricordare a lungo.
16 maggio 2017 Cesare
Guzzardella
Il duo pianistico
Canino-Ballista in Conservatorio per la
presentatazione della Stagione concertistica
2017-18 della Società dei Concerti
E da oltre 60 anni che Bruno
Canino e Antonio Ballista suonano assieme il
pianoforte e ieri sera, davanti ad un pubblico
entusiasta che ha riempito Sala Verdi, si sono
ritrovati per un Concerto Straordinario che ha
anticipato la
Stagione musicale 2017-18 della
rinomata "Società dei Concerti". Straordinario
era anche l'impaginato che prevedeva
l'esecuzione della Nona Sinfonia di Beethoven
trascritta da F. Liszt per due pianoforti.
Sessantacinque minuti di splendida musica che ha
avuto un seguito con il fantastico bis concesso
rappresentato dalla trascrizione per pianoforte
a quattro mani di H.v.Bulow della celebre
Ouverture dal Tannhäuser di R. Wagner.
Canino a sinistra e Ballista a destra
del
palcoscenico, hanno esternato emozioni musicali
infinite ed estremamente varie del capolavoro beethoveniano:
raffinatezze coloristiche sono
emerse nella perfetta divisione delle parti in
questa ottima interpretazione di un brano che
raramente si può ascoltare, soprattutto nella
versione per due strumenti. Qualità eccelsa poi
per l'Ouverture wagneriana con resa
coloristica simile all'originale versione
orchestrale. La splendida versione a quattro
mani di questo geniale ed
unico capolavoro è
un'altra rarità esecutiva di grande impatto
sonoro anche per la notorietà dei temi della
celebre opera. La completezza timbrica del
pianoforte a 4 mani ha trovato quindi nei due
storici pianisti, degli interpreti ideali.
Successo di pubblico con numerose uscite in
palcoscenico dei protagonisti e colorati omaggi
floreali. Ricordiamo la prossima stagione
concertistica, anticipata dal direttore
artistico Enrica Ciccarelli Mormone, sia per
quanto riguarda i solisti del calibro di Madzar,
Seong-Jin Cho ( Primo premio Concorso Chopin
2015), Tifu, Geniušas,
Rana, Say, Guang, Volodin, Sokolov, Zilberstein,
ecc, sia per quanto riguarda le eccellenti
Orchestre che proporranno celebri brani
sinfonici in articolati programmi. Per la qualità
unica degli interpreti raccomandiamo i
convenienti abbonamenti stagionali Smeraldo e
Rubino. Un concerto da ricordare.....una
prossima Stagione da non perdere!
13 maggio 2017 Cesare
Guzzardella
Olga Kern per la Società
dei Concerti
È da molti anni che la
pianista russa Olga Kern torna in Conservatorio
per la Società dei Concerti e ogni volta
il pubblico di Sala Verdi tripudia
interminabili applausi. Ieri sera l'eccellente
Stuttgarter
Philharmoniker,
diretta dall'ottimo
direttore israeliano Dan Ettinger, ha proposto
quattro lavori virtuosistici quali
l'Ouverture
Festiva op.96 di
Šostakovič, per
arrivare a due lavori cui la Kern
è stata protagonista: il
Concerto n.1 in re bem. magg. Op.10 di S.
Prokof'ev e il celebre Totentanz di F.
Liszt. Quindi nella seconda parte della serata
sono stati eseguiti i noti Quadri di una
esposizione di
Musorgskij. Il novecentesco virtuosismo di
Šostakovič ha anticipato
nella mirabile esecuzione della pianista,
il
collega russo Prokof'ev.
Il primo concerto pianistico di Prokof'ev è
un lavoro giovanile
di raro ascolto
che
per la sua
difficoltà
esecutiva abbisogna di interpreti adeguati. La
Kern ha il grande pregio di essere inarrivabile
in fatto di virtuosismo e con disinvoltura è in
grado di affrontare ogni partitura.
Nei
russi poi trova le massime qualità
d'espressione. L'ha dimostrato in questo lavoro
poco eseguito ma avvincente. Dopo cinque dovuti
minuti di pausa, lo strabiliante lavoro di Liszt
Totentanz ha valorizzato ancor più la
serata. Il grande pianista e compositore
ungherese con Totentanz, brano dalla durata di
poco più di 15 minuti, ( è nota anche la
versione solo pianistica) ha anticipato quello
che sarà un indirizzo compositivo di primo
Novecento definito da virtuosismo ed espressività,
virtuosismo d'effetto non disgiunto da una
evidente profondità di pensiero. La Kern- ma
anche i bravissimi orchestrali- hanno centrato
il segno fornendo sonorità precise, luminose e
discretamente fragorose. Splendida l'esecuzione.
Due i bis solistici concessi con Étincelles
op.36 n.6 di Moszkovski e lo Studio in do
min. op.2 n.4 di Prokof'ev. Dopo
l'intervallo ottima la direzione e la resa
coloristica orchestrale dei "Quadri"di
Musorgskij-Ravel. Da ricordare a lungo.
Ricordiamo per domani -venerdì 12 giugno- il
concerto straordinario del celebre duo
pianistico Canino-Ballista che interpreteranno
la trascrizione per due pianoforti della Nona
Sinfonia di Beethoven in occasione della
presentazione della Stagione Concertistica
2017-2018. Da non perdere.
11 maggio 2017 Cesare
Guzzardella
András Schiff per
la Società del Quartetto
Con il terzo concerto
dedicato prevalentemente a Bach e Bartók si è
concluso un ciclo che per l'intelligenza della
scelta operata e per la qualità interpretativa
rimarrà
nella
memoria di moltissimi ascoltatori. Stiamo
parlando di un grande pianista quale l'ungherese
András Schiff che è tornato in Sala Verdi per la
Società del Quartetto e ancora una volta
ha raggiunto vertici interpretativi non comuni.
La varietà del programma, che prevedeva nella
prima parte un' alternanza di brani di Bach e Bartók e nella seconda parte Janáček
e Schumann, così come le serate
precedenti, è un punto di forza nella
diversificazione dell'impaginato che piace molto
agli ascoltatori. La lezione-concerto operata
dal
pianista
introducendo con semplici ed esaustiv i
esempi i
brani è certamente positiva. Il bachiano
Capriccio sopra la lontanana del suo fratello
dilettissimo BWV 992 ha anticipato le
Danze in ritmo bulgaro - da "Mikrokosmos"-
di Bartók, inframmezzate
dai Duetti del tedesco. La modernissima
Sonata Sz 80 dell'ungherese ha concluso
la prima parte. Un concerto nel concerto la
seconda parte, con l'altrettanto moderna
Sonata "Nella nebbia" di Janáček
che -senza soluzione di continuità - ha
anticipato l a
monumentale e celebre Fantasia in do maggiore
op.17 di Schumann. La prodigiosa memoria del
pianista ungherese ha esternato una chiarezza
espositiva ottimale che dimostra come la musica
apparentemente semplice
dei quattro Duetti bachiani, o complessa come
nella Sonata bartókiana o nella Fantasia
schumanniana, abbia bisogno solo di grandi
interpreti per raggiungere la "poesia" che le
note nascondono. L'esperienza maturata da Schiff
in oltre quarant'anni di concerti rende sempre
avvincente la sua musica specie in queste
esemplari impaginazioni. Pubblico entusiasta e
bis splendido con due movimenti finali dalla
Partita n.1 di Bach. Tra i concerti più
belli ascoltati fino ad oggi.
10 maggio 2017 Cesare
Guzzardella
Il “Pierrot lunaire”
al teatro Faraggiana di Novara
Ieri sera, martedì 9 maggio,
al teatro Faraggiana di Novara è andato in scena
quello che per questa città è stato un vero e
proprio evento musicale: la prima
rappresentazione pubblica del “Pierrot lunaire”
di Arnold Schonberg (1912). Diciamo pubblica
perché il programma di sala riferisce di una non
meglio precisata esecuzione privata a Novara
negli anni ’60 del secolo scorso. A
caratterizzare la singolarità del fatto, c’è
anche la particolare modalità esecutiva del
capolavoro schonberghiano proposta per
l’occasione: non quella consueta di melologo,
cioè di voce recitante e orchestra, ma quella
assai rara, eppure assai suggestiva, di
carattere drammaturgico, con un mimo che, nel
ruolo di Pierrot, accompagna lo sprechgesang del
soprano e la musica dell’orchestra da camera.
A
portare sulla scena il Pierrot è stato il
novarese Ensemble Progetto Pierrot, formato da
diplomati e insegnanti della locale scuola
civica musicale Dedalo, che si sta imponendo
come una delle realtà più vive e stimolanti
della stentata vita musicale della cittadina
piemontese. I trentacinque minuti circa
dell’esecuzione sono stati seguiti da un
pubblico sorprendentemente numeroso, con la
presenza maggioritaria di giovani, con lunghi
applausi finali, che hanno giustamente premiato
la performance dell’Ensemble. L’opera in
questione, com’è noto, non è di facile
esecuzione, eppure i giovani musicisti novaresi,
sotto la sapiente guida di Cristina Carnelli,
hanno saputo rendere con efficacia le finezze
timbriche onirico-surreali della composizione,
superando in gran parte, con qualche veniale
imprecisione in un paio di battute nell’entrata
degli strumenti, anche le sezioni più complesse
della partitura, come “Parodia” o “ Macchia
lunare”, con le loro complicate strutture a
canone o la meravigliosa passacaglia de “ La
notte” , dove già sta germinando dall’atonalità
il primo embrione del futuro sistema
dodecafonico. Ma al di là dei dettagli tecnici,
ci è piaciuto in generale il suono, il gioco
timbrico che la Carnelli ha estratto dal piccolo
gruppo strumentale: un suono lunare, davvero,
spoglio, essenziale, capace di creare un mondo
sonoro sospeso tra incubo visionario e ghigno di
raggelante sarcasmo. Su tutti elogeremmo in
particolare il violoncello di Lucia Molinari,
dal suono acido e glacialmente metallico, il
flauto (alternato con l’ottavino) di Marco
Rainelli, i cui suoni graffiavano il silenzio
della sala o accompagnavano come uno sghignazzo
lo sprechgesang del soprano e infine il
pianoforte di Gaston Polle Ansaldi, a sostenere
il resto dell’organico con un tocco quasi
accennato, a evocare non suoni, ma ombre di
suoni. Buona la prestazione del giovane soprano
Federica Napoletani: la sua voce si è integrata
molto bene con il suono strumentale, seguendo
una linea interpretativa che, escludendo un
troppo acceso espressionismo, ha puntato
piuttosto su un registro più ironico e
umoristico, sia pure di un umorismo
fantasticante e ‘nero’: da qui una sprechstimme
volutamente sottotono, controllata, mai
abbandonata ad una sovreccitazione delirante,
come capita di sentire in altre esecuzioni del
Pierrot. Quanto al mimo di Cristina Liparoto,
che conta già una significativa esperienza
teatrale, è stata un perfetto Pierrot, nei suoi
movimenti di scena e gesticolazioni, che ne
hanno fatto il simbolo di una condizione umana
di stupefatta estraneazione in un mondo ridotto
all’assurdo puro. Nonostante la scarsa notorietà
degli interpreti ne è risultata una convincente
interpretazione che ha meritato la sua giusta
razione di applausi.
10 maggio 2017 Bruno Busca
Il pianista Alexander Lonquich alle
Serate Musicali
Alexander Lonquich è un
pianista tedesco, da molti anni in Italia, che
viene spesso in Conservatorio ospite delle
Serate Musicali milanesi. Ieri sera ha
impaginato un
programma classico con tre
compositori fondamentali quali Beethoven,
Schubert e Schumann. Partendo dalle note Sei
bagatelle per pianoforte op.126 del primo
sommo tedesco, Lonquich ha concluso la prima
parte della serata con una sonata schubertiana,
quella in Do minore Op. 958. Dopo il
breve intervallo le altrettanto note
Davidsbündlertänze Op.6 di Schumann hanno
concluso il programma ufficiale. Le
interpretazioni, come detto in passato, sono
apparse giocate su una grande fluidità
discorsiva dovuta ad una completa
assimilazione
di tutte le componenti tecnico-esecutive. Lonquich riesce con facilità e con estrema
sicurezza a ponderare le dinamiche rendendo di
alto livello e particolarmente
espressiva le esecuzioni. In ordine di
preferenza ci sono apparsi di maggior spessore
il suo Beethoven e il suo Schumann, due
composizioni che presentano contrasti in brevi
brani raccolti in un unico lavoro. Alcuni di
questi con grande valenza estetica che dimostra
i progressi di questo eccellente interprete.
Meno pregnante probabilmente, la resa stilistica
complessiva nella Sonata schubertiana che ha
alternato passaggi di notevole lirismo ad altri
dinamicamente eccessivi. Rilevanti i bis
concessi con un movimento da una sonata di
Gideon Klein e un riflessivo brano - "La sera
"- dai Pezzi fantastici di Schumann
entrambi eseguiti splendidamente . Grande
successo di pubblico. Da ricordare
9 maggio 2017 Cesare
Guzzardella
Gennaro
Cardaropoli al Teatro dal Verme diretto da Pavel
Berman
Esattamente un anno fa, il 6
maggio 2016, avevamo ascoltato il giovanissimo
violinista Gennaro Cardaropoli in un concerto
fondamentale quale quello di Čaikovskij in Re
maggiore Op.35 e rimanemmo stupiti per le
sue qualità interpretative. Ieri pomeriggio,
nella replica pomeridiana dei concerti del Dal
Verme,
diretto da una prestigiosa bacchetta, quella di
Pavel Berman - grande violinista approdato da
alcuni anni anche alla direzione- , il 19enne
virtuoso salernitano ha affrontato il
Concerto n.1 in Re maggiore op.6 di Niccolò
Paganini, esempio massimo di melodicità italiana
e di stratosferico virtuosismo. Non possiamo
che riconfermare tutte le qualità di questo
eccellente violinista definite da una sicurezza
fuori dal comune espressa con precisione di
dettaglio anche nei più arditi sopracuti,
perfetta cavata e precisa intonazione, capacità
di pesare
le
sonorità con dinamiche diversificate.
L'espressività della sua esecuzione ha trovato
come valore aggiunto l'eccellente direzione di
Pavel Berman alla guida dell'ottima Orchestra
de I Pomeriggi. Dopo i fragorosi applausi
del pubblico intervenuto- applausi anticipati al termine dell' Allegro Maestoso
iniziale- Cardaropoli ha concesso due bis nelle
splendide sonorità del violino Guadagnini 1783,
con un ineccepibile Paganini solistico nelle
celebri variazioni del Nel cor mai più sento
-bis anche del 2016-strappando ancora
fragorosi applausi e con una profonda
Sarabanda di J.S. Bach. Non dimentichiamo
l'ottima direzione di Pavel Berman nel brano
introduttivo, l'Ouverture da L'olimpiade
di Pergolesi e nelle "antiche" melodie
di Stravinskij con Pulcinella, suite dal
balletto. Da ricordare a lungo.
7 maggio 2017 Cesare
Guzzardella
Elisir d'amore al
Teatro Coccia di Novara
In un inusuale ‘fuori
stagione’, il palcoscenico del Teatro Coccia di
Novara ha visto ieri sera, sabato 6 maggio, la
rappresentazione del donizettiano “Elisir
d’amore” proposta dal Laboratorio Opera e
Studio, uno dei laboratori del Conservatorio di
Milano G. Verdi che si propongono di avviare
allievi e neodiplomati a concrete esperienze di
pratica musicale ‘pubblica’, nella speranza, tra
l’altro, che da tali esperienze possa emergere
qualche futuro protagonista della scena
musicale. Un allestimento tutto milanese,
dunque, a cominciare
dall’orchestra,
ovviamente quella del Conservatorio di Milano,
diretta dal giovanissimo e vistosamente chiomato
Nicolò Jacopo Suppa, al Coro, alla regia di
Laura Cosso e ai costumi di Elisabeth Bohr,
oltre che, va da sé, i giovani cantanti, a
schiacciante maggioranza stranieri dell’estremo
oriente (è un caso o un segno inquietante del
fatto che di giovani italiani disposti a
studiare l’arte per eccellenza italiana del
teatro musicale se ne trovano sempre di meno e
che i nostri Rossini, Bellini, Verdi saranno
cantati in futuro solo da cinesi e coreani?).
L’aspetto di questo Elisir più degno di nota
sono certamente la regia e la messa in scena
proposte da L. Cosso. Come spiega lei stessa
nelle note di regia del programma di sala,
l’imbroglione venditore di pseudoelisir
afrodisiaci Dulcamara viene immaginato come un
moderno promoter pubblicitario, il cui
‘naturale’ campo d’azione è il set televisivo.
Per conciliare l’inconciliabile, cioè
l’ambientazione rustica della vicenda e la
presenza costante di contadini e affini, che
poco hanno a che vedere con il mondo della tv,
l’ingegnosa regista ricorre ad una soluzione a
suo modo geniale: i contadini che compaiono sul
palcoscenico sono in realtà interpreti di una
réclame televisiva del prodotto “Il pane del
mietitore” e dunque i numerosi cori di
agricoltori previsti dalla partitura trovano una
almeno apparente giustificazione. Per completare
l’ambientazione contemporanea della vicenda,
Belcore pubblicizza videogames e Giannetta e
compagne si scrivono ‘gossip’ via Facebook. E
Adina e Nemorino? Lei è prima attrice sul set,
lui anonimo cameramen. Per sottolineare, se mai
ce ne fosse bisogno, l’ambientazione della
vicenda nel mondo contemporaneo della tv e
dell’immagine pubblicitaria, durante lo
spettacolo scorrono sullo sfondo della scena
video che mostrano gli stessi personaggi ‘reali’
del palcoscenico impegnati in spot pubblicitari
di vario genere. Dobbiamo dire che tale
‘attualizzazione’ dell’opera donizettiana non
disturba più di tanto lo spettatore e anzi la
Cosso va lodata per il bel movimento in scena
dei cantanti e del coro, che imprime alla
vicenda un ritmo incalzante, talora frenetico,
in un rutilare di smaglianti colori, complemento
indispensabile nella confezione del prodotto
pubblicitario-televisivo, ma che risultano
comunque piacevoli all’occhio dello spettatore..
Per quanto riguarda l’aspetto propriamente
musicale è chiaro che ci troviamo di fronte a un
direttore e a cantanti ancora ‘in erba’. Più di
tutti ci ha convinto il tenore giapponese
Shinikiro Kawasaki, un Nemorino capace di
rendere bene la vena patetica del personaggio,
con ottima dizione italiana, un bel timbro
tenorile profondo e vigoroso, buona estensione e
tecnica vocale già discreta: ha superato bene la
prova del fuoco della grande romanza ‘Una
furtiva lacrima’. Non ci ha invece convinto del
tutto la Adina di Luana Lombardi, soprano un po’
stimbrato e che strilla un po’ troppo gli acuti.
Hanno dignitosamente sbrigato il loro compito il
basso buffo Davide Hong Sching (Dulcamara) il
baritono Hojoum Lee, un Belcore efficace miles
gloriosus nella recitazione, il soprano Gaelle
Meyer nella parte di Giannetta. Sobria nei gesti
e valida nei risultati la direzione di Suppa,
che ha staccato bene i tempi, aiutando i
cantanti, con buon controllo delle dinamiche e
delle linee timbriche: si sente che tra lui e
l’orchestra del Verdi, formata prevalentemente
da suoi coetanei, si è formata una buona intesa.
Buon successo di pubblico di fronte a un Coccia
quasi al completo. Replica oggi pomeriggio,
domenica 7 maggio alle h.16 (ma con cast di
cantanti completamente cambiato) e poi fine
della tournée piemontese del Laboratorio Opera e
Studio a Verbania.
7 maggio 2017 Bruno Busca
APRILE 2017
Prossimamente a
Vercelli
Presso il TEATRO CIVICO di
Vercelli avrà luogo un concerto cameristico
sabato 6 maggio 2017 alle ore 21.00.
Protagonisti Marco Sollini e Salvatore Barbatano,pianoforte
a quattro mani. In programma N. Rimsky -
Korsakov Shéhérazade, Suite Sinfonica op. 35
(Versione per pianoforte a 4 mani dell'Autore) ;
F. Liszt - Orpheus, Poema Sinfonico n. 4 (R 318)
(Verrsione per pianoforte a 4 mani dell'Autore);
F. Liszt - Les Préludes, Poema Sinfonico n. 3 (R
317) (Versione per pianoforte a 4 mani
dell'Autore). Il concerto fa parte della
diciannovesima edizione del Viotti Festival.
30 aprile 2017
dalla redazione
Un concerto a Novara
con il duo Taballione-Coggi
N ell’ambito dell’annuale FestivalFiati,
l’appuntamento annuale che da aprile a maggio fa
del Conservatorio G. Cantelli di Novara la sede
ove s’incontrano numerosi maestri e allievi
d’ogni angolo d’Italia e d’Europa per master e
concerti in ogni genere di strumenti a fiato,
abbiamo assistito ieri sera sabato 29 aprile,
nella Sala Olivieri del Conservatorio, al
concerto del duo flauto/pianoforte dei maestri
Paolo Taballione e Gesualdo Coggi. Taballione
(n.1981) è considerato oggi uno dei migliori
giovani flautisti italiani, il cui valore è
stato riconosciuto, oltre che dall’affermazione
in numerosi concorsi, dal prestigioso incarico
d’insegnamento presso il
Mozarteum
di Salisburgo. Coggi (n.1989), a sua volta,
vanta nel suo curriculum un più che rispettabile
terzo premio al Busoni 2009. I due maestri
presentavano un programma vario e interessante
per le proposte di composizioni di raro ascolto
nelle nostre sale da concerto: si cominciava con
due singolari composizioni della Gubajdullina :
Klange des Waldes (Suoni della foresta)
e
Allegro rustico, scritte in tempi diversi, ma
poi unite in un unico dittico dalla grande
compositrice russo-sovietica. Singolari,
dicevamo, perché ancora lontane dallo stile
maturo della Gubajdullina, quello, per
intenderci, che trova il suo capolavoro nel
grande Offertorium. Qui abbiamo una Gubajdullina
ancora fortemente legata al tonalismo
(soprattutto nel secondo brano che risale al
1963), con fascinosa capacità evocatrice delle
misteriose voci del mondo arcano della natura
nei Klange, mentre l’Allegro Rustico rivela
chiare influenze da Prokofjev nell’ostinato
percussivismo della tastiera, cui il flauto
intreccia un insistente motivo di tarantella.
Seguivano il debussiano “Prelude a l’apres -midi
d’un faune” in una versione per flauto e
pianoforte di Taballione (che ha al suo attivo
anche studi pianistici e di composizione), la”
Sonata per flauto e pianoforte” composta nel
1987 da un ancora sedicenne L. Liebermann,
autore americano (n.1961) decisamente
postseriale, il cui stile amplia la tonalità con
suggestive soluzioni politonali (particolarmente
bello il primo dei due tempi, il Lento con
rubato), le “Reminiscenze su Norma” di Liszt,
ovviamente per il solo pianoforte, una
trascrizione di Taballione dalla “Fantasia sul
Flauto magico” di P. De Sarasate, e per
concludere la “Fantasia sul Freischutz” di quel
Claude-Paul Taffanel , flautista e compositore
ottocentesco pressoché ignoto da noi, ma che va
considerato il ‘padre’ della prestigiosa scuola
flautistica francese, oltre che autore di
composizioni entrate nel repertorio di questo
meraviglioso strumento, tra cui, appunto, questa
Fantasia. Nel complesso, a parte le composizioni
della Gubajdullina, si tratta di un impaginato
mirato soprattutto a mettere in mostra le
capacità tecniche e virtuosistiche dei due
interpreti, che si sono rivelate eccellenti.
Taballione fa del suo flauto una piccola
orchestra, per la straordinaria raffinatezza
nelle variazioni timbriche e l’agilità
acrobatica con cui supera in scioltezza le più
ardue difficoltà tecniche, dai tempi velocissimi
ai salti di ottava ai più sofisticati
cromatismi. Ci pare che le sue performance più
belle, anche sotto il profilo interpretativo,
siano stati i pezzi della Gubajdullina e il
Prelude di Debussy, che hanno incantato gli
ascoltatori con un suono delicatissimo, di
ricche sfumature timbriche e di luminosa
trasparenza. Ottima anche la performance di
Coggi, perfetto nella sua intesa con il flauto e
di grande effetto nel ‘numero’ lisztiano a lui
riservato: possente energia di tocco, che
conserva però sempre una sua sorvegliata
eleganza, capace di tornire con precisione e
brillantezza le note e di chiaroscurare il
fraseggio con una sapiente gestione delle
dinamiche, senza esagerare col pedale: si sente
l’impronta indelebile dei suoi studi parmensi
con Cappello. Noi abbiamo in particolare
apprezzato il suo suono, sfumato e magicamente
evocativo, nel Klange della Gubajdullina. Un bel
concerto, seguito da un buon numero di
ascoltatori, in gran parte docenti e allievi del
Conservatorio, che hanno alla fine della serata
tributato il giusto riconoscimento di un lungo
applauso e di ripetute richieste di bis,
soddisfatte con due nuove esecuzioni dai due
maestri.
30 aprile
2017 Bruno Busca
La pianista
cinese Sa Chen alle Serate
Musicali
Un bel concerto della
pianista cinese Sa Chen ha intrattenuto il
pubblico alle Serate Musicali. È da alcuni anni
che la virtuosa, figlia di una scuola pianistica
rigorosa - quella dei Lang Lang e di Yuja Wang -
, torna in Conservatorio. La
tecnica
sicura e accurata si è espressa bene in
Beethoven con la rara Fantasia in Sol minore
op.77 e la celebre Sonata op.27 n.2 "Al
chiaro di luna"; ottimamente nelle tre
Danze Argentine op.2 di Alberto Ginastera e
nel primo libro dei Préludes di Claude
Debussy. Non dimentichiamo l'ottima esecuzione
del breve brano introduttivo del compositore
statunitense John Adams, China Gates.
Questo lavoro minimalista modifica in infinite
combinazioni otto note
di partenza e mostra la validità di un genere
musicale interessante e autorevole. Ancora una
volta abbiamo riscontrato come la sensibilità di
questa giovane interprete sia molto vicina al
mondo occidentale e come le sue elevate capacità
siano maggiormente significative nei repertori
del secolo scorso o contemporanei. Chiarezza
espositiva, sicurezza tecnica e notevole
interiorizzazione musicale hanno contribuito a
rendere decisamente valida la serata. Unica
pecca la non elevata affluenza di pubblico nella
giornata proposta diversa dal consueto.
Fragorosi applausi al termine. Da ricordare.
28 aprile 2017 Cesare Guzzardella
Successo per La Gazza ladra alla Scala
Ieri sera la quinta
rappresentazione de La Gazza ladra
rossiniana ha riscosso, meritandolo, un evidente
successo di pubblico. Non comprendiamo le
scorribande dei loggionisti nella prima
messinscena, ma certamente gli elementi positivi
che evidenziano la decisa riuscita di questo
capolavoro rossiniano, mancante dalla Scala dal
1841, sono molteplici. Valida la regia di
Gabriele
Salvatores
in tutt'uno con le scenografie e i costumi di
Gian Maurizio Fercioni e le luci di Marco
Filibeck. La grande spazialità architettonica
che dominava il palcoscenico, descritta con
colori tenui e luminosi, ha introdotto bene le
movenze delle voci protagoniste, dei coristi,
delle comparse, unitamente ai memorabili
svolazzamenti della gazza rappresentata dalle
acrobazie della bravissima Francesca Alberti
che, contorcendosi sulle funi e svolazzando da
una parte all'altra del palcoscenico, ha reso
ancor più dinamica l'ampia scena. L'unità
registica-scenografica del lavoro si è
rafforzata con l'ottima direzione di Riccardo
Chailly che già dalla splendida e celebre
Ouverture ha rivelato il suo piglio energico,
incalzante ritmicamente e timbricamente. L'opera
semiseria rossiniana, sempre più drammatica nel
corso del suo svolgimento e con una conclusione
positiva tipica del compositore pesarese,
ha
trovato un valido cast vocale che si è espresso
ancor meglio nei bellissimi trii, quartetti e
quintetti costruiti con maestria dal grande
musicista. Nelle voci soliste ( foto
dall'Archivio Teatro alla Scala), eccellenti
quelle di Michele Pertusi, il Podestà e
Alex Esposito, Fernando. Ottime la
Ninetta di Rosa Feola, tra le più applaudite
al termine, la Lucia di Teresa Iervolino
e Fabrizio di Paolo Bordogna. Di valido livello
Giannetto di Edgardo Rocha, Pippo
di Serena Malfi, Isacco di Matteo
Macchioni, Ernesto di Giovanni Romeo e
gli altri. Come sempre di alto livello la parte
corale curata da Casoni.
Originale l'inserimento delle marionette dei
Colla. Una messinscena che pur nella
tradizione è riuscita a trovare elementi nuovi e
dove tutte le parti si fondono unitariamente
rendendo la fruizione avvincente. Prossime
repliche il 29 aprile, 2-5 e 7 maggio. Da non
perdere.
27 aprile 2017
Cesare Guzzardella
Successo per
l'ultima replica di Anna Bolena di Donizetti
alla Scala
Ho letto troppe cose negative
nei pochi articoli - perchè
poco si scrive di musica!- apparsi nei giornali
musicali o nei quotidiani nelle scorse settimane
sull'Anna Bolena scaligera. Ieri sera, nella
settima e ultima rappresentazione, in un teatro
con pochi posti liberi, ho condiviso il successo
di un pubblico soddisfatto e gli
adeguati
applausi. Se dovessi fare una gerarchia di
preferenze metterei al primo posto un
complessivo valido cast vocale: la sicura ed
incisiva voce di Sonia Ganassi in Seymour,
bravissima attorialmente, (foto dall'Archivio
Scala) il timbro elegante e di qualità di
Federica Lombardi, Anna Bolena, la voce
voluminosa ed incisiva- in crescendo nel corso
dell'opera- di Carlo Colombara, un Enrico
VIII annunciato con qualche problema di
salute prima dell'arrivo del direttore. Validi
anche Piero Pretti in Percy,
Mattia
Denti, Lord Rochefort e Martina Belli,
Smeton. L'ambientazione in costumi
tradizionali d'epoca di Kaspar Glarner non
stupiscono anche se sono in sintonia con la
scialba unica scena di Eric Wonder trasformata
in parte dalle valide luci di Bertrand Couderc.
Certamente una scena non fastidiosa, semplice e
troppo elementare ma che sottolinea la buona
regia di Marie-Louise Bischofberger. Direzione
orchestrale di Ion Marin adeguata ma non
straordinaria. Valido il Coro curato da Casoni.
Certo per un teatro come La Scala siamo ai
minimi accettabili ringraziando soprattutto le
migliori voci soliste.
24 aprile 2017 Cesare Guzzardella
La Camerata ducale e il Trio di Parma
protagonisti a Vercelli
Entusiasmo alle stelle del
pubblico che ieri sera, 22 aprile, ha assistito
al Teatro Civico di Vercelli al nuovo concerto
del ViottiFestival. Il programma, accuratamente
presentato agli ascoltatori dal musicologo
Sandro Cappelletto, proponeva all’inizio un
pezzo di esecuzione piuttosto rara, il
Concertone in DO magg. per due violini,
orchestra con oboe e violoncello soli KV 190, di
Mozart, che, pur essendo un ‘pezzo di baule’ del
grande compositore, non è mai riuscito, chissà
perché, a ‘sfondare’ nei repertori d’orchestra.
Personalmente, è stata anche per noi la prima
volta che lo ascoltavamo. A seguire un pezzo,
invece, decisamente più noto, il Triplo concerto
in DO maggiore per violino, violoncello,
pianoforte e orchestra op.56 di Beethoven.
Protagonisti della serata, oltre, naturalmente,
alla Camerata ducale con Guido Rimonda, il Trio
di Parma, decisamente una delle migliori
formazioni italiane di musica cameristica oggi
in circolazione. Lontano erede del Concerto
Grosso barocco, il Concertone mozartiano si
distingue per la concezione fascinosamente
dialogica della scrittura, una vera
‘conversazione galante’, per rubare le parole a
Cappelletto, tra i quattro strumenti fra loro e
con l’orchestra, sullo sfondo di una timbrica
raffinatissima, ottenuta anche con l’impiego
delle trombe (altro residuo baroccheggiante) dei
corni e una particolare impostazione delle parti
degli archi, con le viole divise. Una simile
partitura, pur non proponendo agli interpreti
difficoltà ‘tecniche’ insormontabili, richiede
però un’esecuzione rigorosamente precisa nelle
entrate dei vari strumenti e una finezza
particolare nel suono, con grande cura dei
chiaroscuri dinamici e un’agogica adatta a
questo vaporoso e sontuoso stile galante. Ebbene
tutto questo, e di più, hanno offerto ieri sera
gli interpreti di questo gioiello mozartiano, a
cominciare dall’orchestra, guidata per
l’occasione da Enrico Bronzi, il violoncello del
Trio di Parma, non alla sua prima esperienza sul
podio, puntuale nello stacco dei tempi e
sapiente nel valorizzare i variegati piani
sonori della
composizione,
mantenendo sempre su linee limpide e luminose il
dialogo con gli strumenti solisti. Questi, da
parte loro, hanno dato vita ad una
‘conversazione musicale’ (citiamo ancora
Cappelletto) di squisita eleganza, risplendente
nei timbri e nella trasparenza del fraseggio e
delle linee melodiche, a cominciare dai due
violini di Rimonda e Rabaglia (violino del trio
di Parma), perfetti nel dialogo fin dalle
battute iniziali del loro ingresso nel primo
tempo, dopo l’esposizione orchestrale, nel loro
rincorrersi per imitazioni e con fraseggi capaci
di svariare sapientemente dalla solenne energia
del tema iniziale del primo tempo, alle sottili
ombreggiature dei passaggi in minore che nei
primi due movimenti screziano la luminosità
dell’insieme. Ottimo, per intensità e finezza
espressiva l’oboe concertante di Stefano Simondi,
mentre ci è parso un po’ scialbo il suono del
violoncello concertante di Fabrizio Scilla.
Nell’insieme, un’interpretazione che ha
valorizzato tutte le sfumature di cui è ricca
quest’opera di Mozart, all’insegna della
galanteria e della sensiblerie del’700 maturo.
Altrettanto valida la proposta esecutiva del
Triplo concerto beethoveniano. Il trio di Parma
ci ha fatto dimenticare ogni riserva che la
critica musicale ha da sempre manifestato nei
confronti di questa composizione ,
considerandola tutto sommato un’opera ‘minore’,
quando non un esperimento mal riuscito, del
Maestro di Bonn. Guidati dal magistrale
violoncello di Bronzi, che dei tre strumenti è
notoriamente quello che nel Triplo di Beethoven
ha il vero ruolo di protagonista, il violino di
Rabaglia e il pianoforte di Miodini hanno dato
vita ad un’interpretazione di possente energia,
sviluppando al meglio le potenzialità espressive
della partitura e creando alcuni momenti davvero
incantevoli all’ascolto: tra tutti, il
meraviglioso canto del violoncello, sul registro
acuto e del violino, accompagnati dal sussurro
di un morbidissimo arpeggio pianistico,
nell’Adagio centrale. Ancora una composizione
musicale la cui bellezza nasce dal dialogo di
diversi strumenti, tre ‘personaggi’ sonori che,
mantenendo ciascuno la propria identità,
costruiscono un mondo musicale che rapisce anche
il più distratto degli ascoltatori. Ha fatto,
come sempre, il suo dovere la Camerata, tornata
sotto la guida di Rimonda, dando i tempi giusti
e fraseggiando con nitida precisione nelle
diverse zone timbriche della compagine. Gli
applausi, straripanti e lunghissimi, di un
pubblico accorso come sempre assai numeroso,
hanno ‘costretto’ al bis il Trio di Parma: lo
Scherzo dal beethoveniano Trio dell’Arciduca.
Davvero un’altra serata da ricordare, che, tra
l’altro, conclude l’integrale delle opere di
Mozart per violino e orchestra, ‘tema’ di questa
stagione del Viotti Festival.
23 aprile 2017 Bruno Busca
I pianisti Prosseda e
Ammara con la Nürnberger Symphoniker per
la Società dei Concerti
La Nürnberger Symphoniker
diretta da Kazem Abdullah ha tenuto un concerto
per la Società dei Concerti impaginando
un programma che prevedeva di D.
Milhaud,
Le boeuf sur le toit op.58, di F.Poulenc
il Concerto in re min. per due pf. e
orchestra e, dopo l'intervallo, di A. Dvořàk
la celebre Sinfonia n.9 in mi min. op.95 “Dal
Nuovo Mondo”. Il brano introduttivo del
primo francese è un esempio di musica ricca di
elementi folcloristici mediati da modalità
compositive tipiche di Milhaud dove le
trasformazioni musicali in senso politonale e le
dissonanze spesso evidenti creano un approccio
musicale innovativo per quei tempi. Ancor più
interessante il secondo brano in programma, sia
per i solisti presenti, gli ottimi pianisti
Roberto Prosseda e Alessandra Ammara,
compagni
anche nella vita, sia per la raffinata qualità
del lavoro di Francis Poulenc. Il
lirismo del compositore parigino è stato
interpretato in maniera eccellente dalla coppia
di solisti che hanno scelto, coadiuvati
dall'ottimo direttore americano Kazem Habdullah,
un andamento iniziale rapido e fragoroso in
alternanza a situazioni pacate ed eleganti.
L'esecuzione energica, brillante ma anche calda
ed intensa, è piaciuta molto al sottoscritto ma
anche al numeroso pubblico intervenuto. Efficace
il bis solistico con una rarità da una Sonata di
F. Mendelssohn
composta a soli
dieci anni. Nella seconda parte del concerto la
celebre Sinfonia dal Nuovo Mondo
del musicista ceco ha trovato un'esecuzione di
spessore da parte dell'orchestra tedesca ben
coordinata dal bravissimo direttore. Da
ricordare.
20 aprile 2017
Cesare
Guzzardella
Straordinario
successo per il duo Tifu-Andaloro alla
Società dei Concerti
milanese
La Società dei Concerti
ha portato ieri sera in Sala Verdi un duo di
strumentisti di alta qualità: quello formato
dalla violinista sarda Anna Tifu e dal pianista
siciliano Giuseppe Andaloro. Quest'ultimo ha
sostituito degnamente il noto pianista russo
Alexander Romanovsky indisposto. Il programma
previsto è rimasto invariato e precisamente di
L. van Beethoven la Sonata n.5 in fa magg. op
24 “La Primavera”, di S. Prokofiev la
Sonata n.2 in re magg. op.94bis e,
dopo
l'intervallo, un tutto Ravel con la Sonata in
Sol maggiore e la celebre Tzigane,
Rhapsodie de concert. I due strumentisti
hanno mostrato affinità musicali nel loro modo
di esprimersi incisivo ed esuberante. Andaloro è
pianista di consumata esperienza iniziata dalla
fondamentale vittoria del Concorso Busoni
nell'anno 2004-2005 e ha un repertorio vario che
spazia dalla musica barocca a quella
contemporanea. L'abbiamo visto di recente in uno
splendido concerto insieme al virtuoso
violoncellista e compositore Sollima con il
quale terrà prossimamente ancora un concerto. Il
suo approccio stilistico privilegia l'elemento
ritmico con una divisione del tempo precisa e
tagliente. Anche l'eccellente Anna Tifu,
probabilmente la migliore violinista italiana,
ha un' energia vitale viscerale e nel bellissimo
concerto di ieri sera ha dato il meglio in Ravel
e negli splendidi bis concessi con la
Fantasia dalla Carmen di Bizet nella
nota trascrizione di Sarasate e nel bellissimo
Meditation dal Thais di Jules Massenet.
Il virtuosismo esasperato è emerso in entrambi
gli interpreti nella
Sonata di Prokof'ev dove l'accentuazione degli
elementi ritmici di Andaloro e il preciso e
intonatissimo tocco del corposo e straordinario
Stradivari della Tifu
-vincitrice nel 2007 del
Concorso Internazionale
George Enescu di Bucarest-
hanno esaltato lo
svolgimento del lavoro. L'influenza jazz nella
Sonata in Sol di Ravel è emersa in modo
accentuato dalle mani di Andaloro, pianista
appassionato jazzista, con sinergia rilevante
della Tifu. Dalla celebre Tzigane in poi
un ruolo di maggior prestigio è stato della
violinista. Le sonorità timbriche in tutte le
sue componenti sono emerse con una precisione
tecnica ma soprattutto con espressività musicale
eccellente. I brani strappa-applausi come la
celebre trascrizione da
Carmen hanno portato il numeroso pubblico
presente in Conservatorio ad un passo dal
delirio come da scroscianti applausi conclusivi.
La soddisfazione dei due giovani strumentisti è
risultata evidente. È certamente uno dei
migliori concerti ascoltati in questa prima
parte d'anno. Da ricordare a lungo.
13 aprile 2017 Cesare Guzzardella
Il Trio Quodlibet al Teatro
Faraggiana di Novara
Decisamente interessante il
programma offerto al pubblico (ahimè
scarsissimo) ieri sera , 12 aprile, al Teatro
Faraggiana di Novara da un giovane, ma già
maturo, trio d’archi, lo svizzero (di Lugano)
Quodlibet, con Mariechristine Lopez al violino,
Virginia Luca alla viola e Fabio Fausone al
violoncello: l’impaginato prevedeva, dopo un
Mozart raro quanto prezioso, con l’Adagio e Fuga
n.1 KV 404 a, la Passacaglia e fuga di Hans
Krasa, compositore boemo ebreo, deportato dai
carnefici nazisti dapprima a Terezin e
successivamente ad Auschwitz, dove finì
tragicamente i suoi giorni in una camera a gas.
La Passacaglia e fuga, composta nel 1944, è il
suo testamento musicale: è infatti l’ultima
composizione scritta pochi
giorni
prima che il treno della morte lo prelevasse da
Terezin per condurlo ad Auschwitz. Infine, uno
dei trii più celebri della musica contemporanea
‘colta’, lo String trio di Schnittke (1985). Tre
mondi musicali apparentemente assai diversi, ma
accomunati dalla ricerca di complesse strutture
formali, come la fuga nel caso di Mozart e Krasa
e la densità delle linee strumentali che
s’intrecciano in una incessante variazione di
tonalità, timbri, agogica, tipica dello stile
del miglior Schnittke. L’esecuzione di queste
complesse partiture è stata di ottimo livello.
In particolare il Quodlibet è stato molto bravo
nel dare voce alla sonorità straziante della
composizione di Krasa, che meriterebbe maggior
notorietà: il tema della passacaglia, nella sua
ossessiva iterazione, ripreso dalla fuga, è da
questa trasformato in un lugubre, raggelante
canto di attesa della morte, realizzato
soprattutto con la costante intensificazione
agogica, che travolge ogni logica tonale per
precipitare in una folle corsa verso il nulla e
spezzarsi infine in una lacerante dissonanza,
che spezza brutalmente la nota di pedale che,
secondo tradizione, dovrebbe annunciare la
conclusione della fuga. L’ascoltatore prova un’
inquietante sensazione di una minaccia crescente
e inesorabile che gli serra la gola,
inchiodandolo alla poltrona: davvero un brano,
questo, che meriterebbe più vasta fama.
Altrettanto inquietante il trio di Schnittke, di
quello Schnittke che preferiamo, che non fa
della musica un gioco un po’ fine a se stesso di
citazioni, ma scende nelle profondità di più
suggestive esperienze spirituali. Lo String
trio, diviso in due tempi, si può considerare un
vasto ‘tema con variazioni’ su un tema che è la
deformazione grottesca e sinistra del motivo di
“Tanti auguri”, proposto dal violoncello nella
tonalità di sol minore. Trasformato nel primo
tempo sino a diventare irriconoscibile,
attraverso le più spericolate avventure tonali,
che sfociano spesso nella sospensione di fatto
della tonalità vera e propria, nel secondo tempo
riemerge, con sogghigno beffardo, di vago sapore
mahleriano, come tema di marcia funebre, che si
va facendo sempre più cupa, sino a concludersi
di nuovo su un mesto sol minore: il ciclo della
vita e della morte trova così la sua inesorabile
conclusione. Bravissimi, come si diceva i
giovani esecutori: perfetta l’intesa tra le
linee strumentali, ottima la valorizzazione dei
piani sonori e armonici di partiture certamente
di non semplice esecuzione. Gli happy few
presenti hanno tributato un caldo applauso,
strameritato. Una serata di buona musica, nel
deserto novarese. Speriamo non resti un episodio
isolato: per maggio è stato annunciato un
Pierrot lunaire in forma scenica: francamente
stentiamo a crederlo.
13 aprile 2017
Bruno Busca
I 70 anni di Gidon Kremer per le
Serate Musicali
Il concerto di ieri sera in
Sala Verdi organizzato da Serate Musicali
ha visto sul palco il violinista
lettone Gidon Kremer e la "sua" Kremerata
Baltica, formazione cameristica di primo livello
fondata dal grande violinista 20 anni fa.
Ĺa serata
celebrava
anche i 70 anni di Kremer con un impaginato
molto articolato tra passato e presente,
con
brani di Bach e Schubert in alternanza a quelli
di Pelècis (1947),
di Kancheli (1935) e di Piazzolla (1921-1992).
Si rimane sempre stupiti per la bravura di
questi strumentisti - molti dei quali molto
giovani - che riescono ad esprimere timbriche
raffinate giocate con dinamiche delicate ed
espressive. Anche i brani più recenti di Pelècis,
The last Song, e di Kancheli con
Twilight, Concerto per due violini,
orchestra d'archi e sintetizzatore
(2005) erano legati ad una tradizione melodica e
tonale dal sapore antico con elementi armonici e
timbrici accurati e di grande espressività.
Il lavoro del compositore georgiano Kancheli
ritrova le modalità tipiche di un musicista che
recupera il passato e vuole essere di
comprensibile ascolto ad un vasto pubblico con
brani di raffinata qualità. I toni pacati e
ricchi di pause del concerto hanno
messo in rilievo due eccellenze virtuosistiche
quali Kremer e la violinista tedesco-coreana
Clara-Jumi Kang, ma anche altri strumentisti
come il primo violino e
il
primo violoncello sono stati determinanti nel
brano. L'eccellenza esecutiva della Kremerata si
è evidenziata anche nel bellissimo
Concerto per due violini in re minore BWV 1043
di J.S.Bach e nella trascrizione per
Orchestra d'archi e violino della Fantasia
D934 di Franz Schubert. Di notevole pregio
ancora la parte solistica della violinista Kang
unita a Kremer nel lavoro bachiano. Raffinato,
come sempre, Kremer nella Fantasia in do
maggiore D 934 schubertiana arrangiata da
Kissine. L'ultimo brano in programma di un
compositore tanto amato da Kremer come Piazzolla
era Le Grand Tango per violino e archi
nell'arrangiamento del bravissimo vibrafonista
della Kremerata A.Pushkarev, qui nel ruolo di
tastierista (sint.Roland). Ancora splendida
l'esecuzione. Fragorosi gli applausi al termine.
Da ricordare.
11 aprile 2017 Cesare Guzzardella
Il Duo
Curtoni-Guaitoli al Teatro Civico di Vercelli
Assolutamente inusuale
rispetto alle consuete proposte il programma
della serata di musica cameristica tenutasi ieri
sera , sabato 8 aprile, al teatro Civico di
Vercelli, nell’ambito dell’annuale Viotti
Festival: un programma tutto novecentesco e
contemporaneo, con ampie concessioni ad uno
spregiudicato crossover. Protagonista di questa
singolare serata il duo Lamberto Curtoni,
violoncellista e compositore, e Carlo Guaitoli
al pianoforte. Il programma è stato impaginato
secondo un principio di rigorosa simmetria, ‘a
specchio’, allusa già dal primo titolo in
programma: Spiegel im Spiegel (= specchio nello
specchio) di Arvo Part seguito
dall’arrangiamento per violoncello e pianoforte
di Pagan Poetry,
dall’album
Vespertine della cantautrice islandese Bjork,
esponente di un pop-eclettico-colto (con vaghe
influenze di Stockausen, Cage e Part), per
concludere la prima parte del concerto con la
Sonata n.2 in la min. (1948) di Nikolaj
Mjaskovskij, un ingiustamente poco noto
compositore russo-sovietico, coetaneo e amico
dei ben più celebri Prokofiev e Schostakovic.
Dopo l’intervallo, a specchio, di nuovo una
celeberrima composizione di Part, Fratres, in
una delle tante versioni possibili, appunto per
violoncello e pianoforte, un altro
arrangiamento, questa volta da Teardrop del
gruppo musicale inglese Massive Attack,
fondatore del trip hop, per concludere con una
composizione di Curtoni, dal semplice titolo di
Sonata, in cinque tempi. Un impaginato che,
proprio per la mescolanza, l’eclettismo e
l’incrocio tra diverse esperienze espressive,
merita la definizione di ‘postmoderno’, se
proprio a questo abusato termine si vuole dare
un senso. La bravura, tanta, di Curtoni e
Guaitoli è consistita soprattutto nell’adattare
il suono e il colore a composizioni così
diverse: dallo struggente e lirico
tardoromantico attardato Mjaskovskij, con
qualche screziatura cromatica accentuata
soprattutto nel primo tempo della sonata, alle
sonorità più dure e accese dei due
arrangiamenti, sino agli ipnotici “tintinnabuli
“ di Part, con quegli arpeggi ossessivi sulle
triadi affidati alla tastiera, resi da Guaitoli
con un bellissimo timbro alonato di mistero e la
sospensione ‘minimalistica’ del moto sonoro
perfettamente interpretata da Curtoni. Questi,
divenuto figura emergente fra i giovani
compositori d’oggi, con la convincente “Bersabea”
, scritta due anni fa su commissione dei
milanesi ‘Pomeriggi musicali’, ha presentato una
composizione che rientra perfettamente
nell’indirizzo dominante nella musica dei nostri
giorni, che, con la morte delle avanguardie, e
in genere di ogni ‘scuola’ organizzata intorno
ad un programma, presenta un panorama
frantumato, in cui è impossibile identificare
linee stilistiche precise: anche Sonata di
Curtoni è all’insegna dell’eclettismo,
dell’ibridazione: in genere tende a far
coesistere melodia e ritmo, con ampie
concessioni al virtuosismo, specie nell’Allegro
iniziale, e a tecniche mutuate da altri
strumenti (come il chitarristico tapping) o
…alle avanguardie (il pianoforte suonato sulle
corde invece che sui tasti). Ne esce una
partitura di buona qualità, varia nelle
dinamiche e nella timbrica, di espressività
talora intensa e meditativa (il quarto tempo),
con ampie zone tonali. Il pubblico vercellese,
pur abituato a un tipo di musica assai diversa,
ha mostrato di gradire molto la performance di
Curtoni e Guaitoli, richiamandoli più volte sul
palcoscenico e ottenendo infine un bis, una
composizione di Guaitoli, di cui ci è sfuggito
il titolo. Una serata certamente da ricordare,
con l’auspicio che la proposta di musica
contemporanea e novecentesca non rimanga un
episodio isolato.
9 aprile 2017 Bruno Busca
Inkinen e Ashkar in Auditorium con
laVerdi
Il direttore finlandese
Pietari Inkinen ha diretto l'Orchestra Sinfonica
Verdi in Beethoven -Concerto n.4 per
pianoforte ed orchestra- e in Sibelius con
la rara
Sinfonia
n.2. La parte solistica del concerto in
Sol maggiore op.58 del grande tedesco è
stata sostenuta dal pianista israeliano Saleem
Ashkar. Affermato internazionalmente, Ashkar ha
ottimamente eseguito il celebre lavoro trovando
un giusto equilibrio nella non facile tessitura
musicale ed eseguendo bene la lunga Cadenza
dell'Allegro moderato iniziale. Ottima la
chiarezza espositiva e valida sinergia con
l'orchestra. Agli applausi è seguito un bis
solistico con l'Adagio centrale della
Sonata "Patetica". Di grande efficacia
l'interpretazione della Sinfonia n.2 in Re
maggiore op.43 del compositore finlandese.
Le affinità interpretative di Inkinen
con
le musiche del suo connazionale sono emerse in
questa splendida esecuzione ricca di suggestioni
descrittive unite ad una sapiente costruzione
armonica e coloristica tipica di Sibelius. Il
numeroso pubblico intervenuto in Auditorium ha
dimostrato d'apprezzare l'esecuzione fornendo al
termine fragorosi applausi all'Orchestra e al
bravissimo direttore. Domani alle oer 16.00 la
replica del concerto. Da non perdere.
8 aprile 2017 C.G.
Yefim Bronfman per la
Società del Quartetto
Il pianista Yefim Bronfman ha
impaginato per la Società del Quartetto
un ottimo
programma
con quattro lavori noti quali la Suite op.14
di Bartók, l' Humoresque di Schumann,
la Suite Bergamasque di Debussy e
Trois mouvements de Petruška
di
Stravinskij. Le qualità interpretative di
Bronfman sono di alto livello e rivelano
un'esperienza esecutiva consolidata nel tempo
essendo oramai da anni pianista affermato nel
mondo. Tra i lavori eseguiti abbiamo trovato di
minore incisività l'Humoresque schumanniana dove
lo spirito romantico del compositore è stato
colto parzialmente, mentre i brani vicini al
Novecento
come la splendida Suite di Debussy e quelli di
inizio Novecento quali l'op.14 di Bartók e la
felice trascrizione di Stravinskij da Petruška
ci sono sembrati di eccellente qualità. I
tre celebri movimenti del russo hanno raggiunto
un vertice per quanto concerne l'espletamento
tecnico ed espressività.
Fragorosi gli applausi al termine in una Sala
Verdi purtroppo non al completo e un valido bis
concesso con l'Arabeske op.18 di
Schumann, eccellente nelle poetiche ultime note.
Da ricordare.
5 aprile 2017 Cesare
Guzzardella
Il duo
Bortolotto-Andri al M.A.C. per Beethoven e
Schumann
Il concerto organizzato da
laVerdi per la Stagione di Musica da
Camera del M.A.C. si è rivelato ieri sera di
particolare interesse per due ragioni: la
presenza di due giovani virtuosi di elevata
qualità quali la violinista Laura Bortolotto ed
il pianista Matteo Andri, e la scelta di un
impaginato con tre capolavori della
letteratura
cameristica di L.v.Beethoven e R.Schumann. La
Sonata n.1 op.12 n.1 e la Sonata n.6
op.30 n.1 del musicista di Bonn hanno
preceduto la Sonata n.2 op.121 di
Schumann. I due ottimi strumentisti, di
consolidata esperienza concertistica, hanno dato
espressività musicale a tutti i lavori. Il
morbido ed incisivo timbro del violino
Prassenda 1830, ha trovato un' eccellente
sinergia con l'ottimo Fazioli di Andri.
Tutti e due gli strumentisti hanno rivelato
disinvoltura e mirabile accordo nei non facili
brani eseguiti con fluidità ed efficace
discorsività. Bellissimi i bis con un Pezzo
romantico (N.3) di Dvorak ed un breve ma intenso
Preludio di Sostakovich. La non valida acustica
del M.A.C. ha comunque fatto emergere le qualità
di una
coppia
strumentale che meriterebbe di frequentare le
massime sale da concerto milanesi e soprattutto
avendo di fronte un pubblico numeroso e non
certo la quarantina di persone presenti ieri.
Passare delle migliaia di appassionati accorsi
recentemente per l'ottimo Fasil Say nelle tre
serate dell'Auditorium ai pochi fortunati che
hanno assistito all'altrettanto splendido
concerto di ieri sera al M.A.C. ci fa
capire come il fattore immagine legato alla
notorietà e la pubblicità di un evento contino
molto. Peccato.., perchè la coppia musicale
Bortolotto-Andri per qualità espressa avrebbe
meritato di riempire in ogni angolo la piccola
ma elegante sala. Bravissimi... e speriamo di
rivederli al più presto. Da ricordare.
4 aprile 2017 Cesare
Guzzardella
Prossimamente Il duo
Curtoni-Guatoli al Civico di Vercelli
Sabato 8 aprile 2017 alle ore
21.00 presso il TEATRO CIVICO di Vercelli si
terrà un concerto avente come protagonisti
Lamberto Curtoni (violoncello) e Carlo Guaitoli
(pianoforte). In programma: A. Pärt
– Spiegel im
spiegel , Björk
– Pagan
Poetry, N. Mjaskovskij
– Sonata n.
2 in la minore op. 81, A.
Pärt –
Fratres, Björk
– Teardrop
(Massive attack) e L.
Curtoni –
Sonata Il concerto fa parte della diciannovesima
edizione del Viotti Festival.
4 aprile dalla redazione
Fazil Say e l'Orchestra Sinfonica Verdi in
Auditorium
Conosciamo bene Fazil Say,
pianista e compositore turco di Ankara, classe
1970. È venuto molte volte a Milano per i
concerti del Conservatorio. Ieri pomeriggio in
Auditorium in seconda
replica è stato accompagnato dalla Sinfonica
Verdi da lui stesso diretta. In programma
musiche di Mozart e di Say. Il concerto
è
stato introdotto dall'Ouverture dalle
mozartiane Nozze di Figaro eseguita molto bene
senza direttore. Il Concerto in la maggiore K
414 e il Concerto in la maggiore K.488
sempre del grande Mozart sono stati
intervallati da un brano di Say del 1990:
Silk Road per pianoforte e orchestra
da camera. Nei noti concerti mozartiani Say ha
mostrato le sue qualità interpretative
attraverso una lettura chiara e spontanea,
lontana dalla perfezione classica ma certamente
di grande impatto comunicativo.
L'interiorizzazione completa degli elementi
musicali melodici ed armonici sono in Say
funzionali ad una restituzione di grande
espressività che evidenzia la sua natura di
compositore votato alla trasformazione più che
alla pedissequa restituzione.
Il
suo noto brano, Silk Road, eseguito
innumerevoli volte nelle sale concertistiche
europee, dimostra la sua natura di compositore
legato all'oriente e all'occidente. Il clima
profondo e suggestivo è giocato sui timbri, i
ritmi e gli accenti di un pianoforte in parte
"preparato" per ottenere effetti sonori
particolari. Il lavoro avvince per immediatezza
nella scrittura tonale ma moderna e viva. Say ha
inventato un personale linguaggio e stile che
troviamo in tutte le sue composizioni, anche
nelle meno note ed interessanti sinfonie. Le sue
composizioni sono legate anche
alla tradizione popolare e alla migliore
letteratura contemporanea turca.
Ma il mondo del jazz e della
canzone popolare sono un altro riferimento della
sua eclettica vena compositiva. Valida sotto
ogni profilo l'esecuzione della Sinfonica Verdi.
Ottimo il il bis concesso con la popolare re-interpretazione
jazz del celebre Alla turca mozartiano.
Fragorosi applausi al termine in un Auditorium
stracolmo di pubblico in tutte le serate. Da
ricordare.
3 aprile 2017
Cesare Guzzardella
MARZO 2017
Die
Meistersinger von Nürnberg
al Teatro alla Scala
Non tutti hanno resistito
sino alla fine delle 5 ore e trenta minuti
necessarie al compimento dell'opera wagneriana
Die Meistersinger von Nürnberg. Al
termine del secondo atto, nella quinta
rappresentazione vista ieri, parecchie decine di
spettatori - forse un centinaio - hanno lasciato
la Scala. Certo Wagner non è facile ma
probabilmente " Maestri cantori" è tra le opere
più accessibili del grande
tedesco,
sia per musica che per dialogo. Tra romanticismo
e certo barocco, i timbri orchestrali di questo
lavoro ricordano molti compositori precedenti
l'autore di un'opera che mancava alla Scala dal
1990. Artefice del successo di questa ripresa
scenica prodotta dall' Opernhaus Zürich è
certamente il direttore Daniele Gatti che con
una restituzione edulcorata da ogni forzatura
musicale ha ottimamente sintetizzato
l'orchestrazione attraverso una visione
espressiva unitaria, sia nella componente
strumentale che in quella vocale. Anche le
fondamentali parte registica di Harry Kupfer e
scenica di Hans Schavernoch ci sono sembrata di
ottimo livello. I movimenti circolari delle
strutture
sceniche - ottima idea per immediati cambiamenti
di visuali prospettiche - sia nelle bellissime
archeologie antiche che nelle comode
verticalizzazioni di impalcature metalliche,
hanno evidenziato un'eccellente scelta. Valida,
ma non equilibrata, la componente vocale con un
cast numeroso che ha visto nella voce di Michael
Volle, nel ruolo di Hans Sachs,
(tutte le foto dall' Archivio
Scala) il timbro migliore sia per
espressività che per voluminosità, seguito da
Markus Werba, un
altro
Maestro Cantore quale Sixtus Beckmesser.
All'opposto due voci determinanti con buon
timbro ma poco volume, non sono apparse
adeguatamente evidenziate: quella attorialmente
valida di Jacquelin Wagner, Eva, e quella
di Erin Caves, Walther von Stolzing.
Citiamo almeno le valide timbriche di Anna
Lapkovskaja in Magdalene e di Wilhelm
Schwinghammer in Ein Nachtwächter. Di
spessore adeguato tutte le altre voci.
Componente corale di Casoni sempre ai massimi
livelli. Al termine applausi sostenuti per i
migliori protagonisti e deboli per alcuni. Le
prossime repliche sono previste per il 2 e 5
aprile. Assolutamente da non perdere.
31 marzo 2017
Cesare Guzzardella
Il pianista londinese Freddy Kempf alle
Serate Musicali
Da molti anni il pianista
quarantenne Freddy Kempf torna alle Serate
Musicali. Abbiamo imparato a conoscere i
suoi virtuosismi pianistici in repertori
classici
come
quelli di lunedì scorso dove dopo la Sonata
"La tempesta" di L.v. Beethoven ha eseguito
un lavoro giovanile di S. Prokof'ev quale la
Sonata n.1 in fa minore e quindi, dopo
l'intervallo, le Novelletten op.21 di
Schumann. Rimangono sempre impresse le scelte
stilistiche di questo virtuoso, giocate su tempi
rapidi e modalità tipiche dei pianisti che
"stravolgono" quasi
sempre in senso positivo le
partiture originarie. La Sonata in re minore
op.31 n.2 del grande tedesco è il brano
eseguito in modo più "tranquillo", anche se gli
andamenti sostenuti hanno rivelato un equilibrio
formale impeccabile.
Le
timbriche tenui espresse con dinamiche calibrate
in differenti piani sonori ci hanno rivelato
cambiamenti nello stile interpretativo di questo
eccellente pianista. Di grande impatto sonoro la
Sonata n.1 del russo eseguita in circa sei
minuti con una sintesi discorsiva avvincente.
Molto interessanti le otto Novellette
schumanniane di rara esecuzione complessiva.
L'alternanza di questi capolavori del
compositore romantico oltre a rivelarci il genio
armonico e costruttivo del compositore hanno
reso giustizia ad un interprete di qualità quale
Kempf. Applausi del pubblico non numerosissimo
e un bis splendido con un Valzer di Chopin. Da
ricordare.
29 marzo 2017 Cesare
Guzzardella
Francesco Granata e
l'Orchestra Sinfonica del Conservatorio diretta
da Amedeo Monetti in Sala
Verdi
Dopo il concerto solistico
avvenuto in Sala Puccini
nel dicembre dello scorso anno, abbiamo
ritrovato il giovane pianista milanese Francesco
Granata (1998) ancora in Conservatorio, questa
volta nella capiente Sala Verdi per un
concerto
importante
nel quale hanno avuto ruoli fondamentali sia la
giovane Orchestra Sinfonica del Conservatorio
sia il direttore Amedeo
Monetti. Il
Concerto per pianoforte e orchestra n. 4 in
sol maggiore op. 58 di
L.V.Beethoven è stato anticipato dalla celebre
La Moldava di B.Smetana diretta benissimo
da Monetti e interpretata in modo luminoso dalla
giovane formazione milanese. Quindi è salito sul
palco Granata davanti ad un
pubblico particolarmente giovane. Il celebre
concerto ha trovato nel 18enne pianista un
interprete di
grande
qualità. Come già evidenziato in passato,
Francesco rappresenta il "classicismo" con la C
maiuscola fatto di perfezione formale,
equilibrio, visione d'insieme e bellezza
timbrica. L'eccellente articolazione digitale -
con la perfetta padronanza della mano sinistra-
e l'uso corretto e prudente del pedale di
risonanza hanno permesso un'esecuzione di alto
profilo, con una Cadenza splendida nell'Allegro
moderato iniziale. Sinergia complessiva di
qualità
con
l'equilibrata direzione di Monetti. Le morbide
sonorità orchestrali hanno fatto emergere ogni
frangente della parte pianistica. Granata - che
ricordiamo essere il
vincitore del
Premio del Conservatorio 2016 -
ha concesso, dopo i fragorosi
applausi tributati dal numeroso pubblico
intervenuto, un eccellente bis con un' Aria
bachiana soffice e meditata. Ottima
l'interpretazione della Sinfonica del
Conservatorio nella celebre
Sinfonia n. 9 in mi minore, “Dal nuovo mondo”
di A. Dvořák,
che
ha concluso la splendida serata. Da ricordare a
lungo.
27 marzo 2017
Cesare Guzzardella
Il violino di
Marco Rizzi a Vercelli
Ieri sera, sabato 25 marzo,
al Teatro Civico di Vercelli, era serata
mozartiana: la quarta dell’integrale dei
concerti per violino. Il programma prevedeva
l’esecuzione dei primi due, il n.1 in Si bem.
Maggiore KV 207 e il n.2 in Re magg. KV
211. L’impaginato alternava
intelligentemente le due composizioni di Mozart
con altri
due
brani, al Salisburghese in qualche modo legati:
la c.d. Sinfonia veneziana di Antonio Salieri,
che in realtà il presunto assassino di Mozart
non compose mai, perché si tratta di un
‘assemblaggio’ di sinfonie d’opera e intermezzi,
scritti da Salieri per drammi giocosi,
predisposto da un editore musicale napoletano e
poi fantasiosamente spacciato come Sinfonia di
Salieri n.29, quando in quegli anni il musicista
di Legnago di sinfonie ne aveva scritte
effettivamente una sola …L’altro pezzo
dell’impaginato era una delle adolescenziali 12
Sinfonie d’archi del “Mozart del Romanticismo”,
F. Mendelssohn-Bartholdy, la n.10 in si min. Sul
podio Guido Rimonda alla guida della ‘sua’
Camerata Ducale, violino solista Marco Rizzi,
che gli impegni professionali d’insegnamento
hanno ormai da anni portato lontano dall’Italia,
pendolare tra Berlino e Madrid. Dopo la
brillante introduzione al concerto del
musicologo Fabio Sartorelli, abbiamo ascoltato
per la prima volta la c.d. Veneziana di Salieri:
sembra una sinfonia ‘vera’, con una sua unità e
coerenza di toni e temi. La cosa non è poi così
sorprendente, visto che lo stile ‘galante’
allora di moda costituiva un linguaggio musicale
piuttosto omogeneo, che non prevedeva una gran
varietà di soluzioni formali: scarsa
individualità dei profili melodici, tendenza
alla ripetitività, tempi lenti di un patetico
leggero, gusto arcadico per il
pastorale-boschereccio. Da questa cosuccia
l’ottimo Rimonda ha saputo esprimere tutto
l’esprimibile, con uno stacco lieve dei tempi e
una aggraziata leggerezza di suono, venata di
una sfumatura di malinconia, quasi a evocare un
mondo favoloso di damine incipriate e gentili
cicisbei. Non smette mai di stupire invece
l’ascolto delle sinfonie fanciullesche di
Mendelssohn, per la bellezza di certe scelte
espressive e l’abilità compositiva nella cura
dell’orchestrazione e del colore degli archi, al
di là delle ovvie influenze riconoscibili: nella
n.10 proposta ieri sera spiccano un intenso
Adagio introduttivo e un incisivo primo tema
dell’Allegro centrale, mentre qua e là, come
giustamente rilevato da Sartorelli, affiorano
annunci della futura “ Scozzese”. Ancora una
volta valida l’esecuzione della Camerata, nella
resa tersa e accurata dei timbri e delle
dinamiche. Ma il ‘piatto forte’ della serata
erano i due concerti di Mozart. Sono due
concerti un po’ diversi stilisticamente, più
brillante il primo, più ‘costruito’ e di più
ampio respiro melodico il secondo, ma entrambi
adatti ad esaltare lo splendido Guarneri 1743 di
Rizzi, violinista dalla cavata di raffinata
eleganza, di suono smaltato e limpido, che sa
svettare con fraseggio perfettamente tornito
anche nella tessitura acuta, come nello sviluppo
dell’Adagio del KV 207 e nell’Andante del KV
211. La tecnica sapiente del legato permette poi
a Rizzi passaggi fluidi nelle dinamiche,
particolarmente chiaroscurate nel KV 207 e nelle
progressioni presenti nei tempi veloci,
soprattutto del primo concerto. Intonazione
perfetta e brillante tecnica completano il
ritratto di questo eccellente violinista, che
non avevamo avuto ancora occasione di ascoltare.
La Camerata ha fornito al solista un ottimo
sostegno, nello stacco sempre esatto dei tempi e
nell’accompagnamento timbrico e dinamico. Un
esempio tra i tanti che ci hanno deliziato:
l’accompagnamento per note ribattute degli oboi
e dei violini all’entrata del solista
nell’Adagio del KV 207, sfumato con dolcezza
quasi estatica. Applausi lunghissimi e convinti
da parte dei numerosi presenti, gratificati da
un bis, la ripetizione del terzo tempo del KV
207. Serata da ricordare.
26 marzo 2017 Bruno Busca
ll
violino di Zanon in Auditorium
La serata proposta ieri sera
dall'Orchestra Sinfonica Verdi
diretta da Jader Bignamini, prevedeva due
capolavori dell'Ottocento quali il Concerto
in Re maggiore Op.61 di L.v. Beethoven e la
Sinfonia "Incompiuta" di F. Schubert.
L'interesse
per il programma ha trovato come valore aggiunto
la presenza di un giovane e già affermato
violinista quale il veneto Giovanni Andrea Zanon.
Ex enfant- prodigio tanto da essere stato
iscritto al Conservatorio all'età di solo
quattro anni, oggi il virtuoso 19enne vanta un
repertorio piuttosto vasto che lo ha portato in
giro per il mondo accompagnato dalle più
importanti orchestre internazionali. Il concerto
beethoveniano ha avuto la solida direzione di
Bignamini, bacchetta attenta ad ogni dettaglio e
particolarmente rispettosa della parte
solistica. L'interpretazione fornita da Zanon è
certamente di qualità e denota una cura
meticolosa e precisa ad ogni elemento
costruttivo. Il solido impianto solistico si è
implementato
di timbriche espressive e la splendida
Cadenza dell'Allegro ma non troppo,
ha messo ancor più in rilievo la notevole cifra
interpretativa di un violinista di alto livello
che può ancora crescere in termini di
disinvoltura. Validi anche gli altri movimenti,
con dinamiche del violino integrate
perfettamente con le sonorità della Sinfonica
Verdi. Eccellente il bis con il primo movimento
dalla Sonata n.1 per violino solo di
J.S.Bach. Applausi fragorosi del pubblico. Anche
l'interpretazione della celebre "Incompiuta"
di Schubert ha rivelato lo spessore
dell'eccellente direttore e messo in risalto le
timbriche avvincenti dell'orchestra milanese. Da
ricordare. Replica per domani alle ore 16.00. Da
non perdere.
25 marzo 2017 Cesare
Guzzardella
Il duo
Znaider-Anderszewski alle Serate Musicali
Il
concerto in Sala Verdi di lunedì scorso
organizzato da Serate Musicali ha visto sul
palco il violinista Nicolaj Znaider insieme al
pianista Piotr Anderszewski per
interpretare
musiche di quattro compositori importanti ma
particolarmente diversi. Dello slovacco Leoš
Janáček
è stata
eseguita la Sonata n.3 per violino e pianoforte,
di Robert Schumann la
poco eseguita Sonata n.2
in re minore op.121; dopo l'intervallo i brevi
Quattro pezzi op.7 di Anton Webern, di mirabile
efficacia espressiva, hanno preceduto, senza
soluzione di continuità, la celebre Sonata
"Primavera" op.24 di L.v. Beethoven. Valide le
esecuzioni, con una maggior resa complessiva per
la Sonata di Janáček, lavoro innovativo che ha
subito modifiche tra il 1913 e il 1921,
per essere eseguito nella splendida stesura
definitiva nel '23. Sia la parte violinistica
che quella fondamentale del pianoforte hanno
trovato quì due
eccellenti interpreti. Di spessore anche la
melodica e armoniosa "Primavera" beethoveniana
che ha portato, a conclusione del programma
ufficiale, il pubblico intervenuto in
Conservatorio a fragorosi applausi. Valido il
bis concesso con la nota Melodia di Gluck da
Orfeo ed Euridice.
22 marzo 2017 C. G.
La pianista Sofya Gulyak allo
SpazioTeatro 89
È una grande fortuna poter
ascoltare La Valse di Ravel prima al
Teatro alla Scala con la Filarmonica diretta dal
formidabile Chung e due giorni dopo- ieri
pomeriggio- con una splendida pianista russa
quale Sofya Gulyak. Dal
centralissimo
tempio della musica italiano e mondiale, al
piccolo teatro-auditorio di una zona periferica
milanese, lo Spazio Teatro 89, quando
l'arte ha la A maiuscola, grazie al genio di
Ravel e la bravura degli interpreti, ogni luogo
va bene. Sofya Gulyak, vincitrice nel 2009
dell'importante Concorso
Pianistico
Internazionale di Leeds, è venuta più
volte in questo spazio da poco più di 200 posti.
Grazie a chi l'ha scoperta nel 2007, il
bravissimo e abile organizzatore musicale Luca
Schieppati -anche ottimo pianista e docente di
Conservatorio- la Gulyak torna spesso in via
Fratelli Zoia 89. Ieri pomeriggio è stata
esemplare impaginando un programma interessante
e variegato: da Clementi a Brahms, da Franck a
Ravel con una chicca finale nel bis di Händel.
Tutti i brani sono stati, come sempre avviene,
introdotti
verbalmente
e con competenza da Schieppati. Il primo, la
Sonata-Concerto in do maggiore op.33 n.3 di
Muzio Clementi è di raro ascolto anche se la
eseguiva superbamente il grande Horowitz(
https://youtu.be/N_oMhcM8EFs
). La Gulyack l'ha interpretata benissimo, con
facile e sciolta esternazione e con rapida
andatura. Il timbro dell'ottimo Kawai, sotto le
dita della pianista ha espresso note chiare,
tonde e ben riconoscibili anche nel luminoso
Presto finale. Il secondo brano in programma,
le Variazioni e Fuga su un tema di Händel
di Brahms sono decisamente più conosciute. La
bellezza del primo tema händeliano e la varietà
delle 25 variazioni sono cavallo di battaglia di
tutti i più celebri pianisti. Ottima
l'interpretazione della Gulyak, con adeguati
contrasti dinamici e leggerezza esecutiva. Nella
seconda parte del concerto abbiamo nei
Quattro valzer dall'Op.39 di Brahms trovato
al pianoforte per un'esecuzione a quattro mani,
anche Schieppati che insieme alla compagna di
musica
ha dato supporto ad una riuscita qualità. Le
interpretazioni dei due lavori conclusivi del
programma ufficiale, sono apparse di ancor più
pregio: prima il Preludo, Fuga e variazioni
op.18 di Caesar Franck, nella versione
pianistica di H. Bauer, e poi La Valse di
Maurice Ravel, versione pianistica dello stesso
compositore. La leggerezza tutta francese, con
quel bellissimo cantabile, del Preludio iniziale
di Franck è stata tutta evidenziata dalle
sensibili e delicate mani della Gulyak. La
profondità di pensiero del musicista reso con
chiarezza evidente. La complessità de La
Valse di Ravel ha trovato facilità
espressiva con la Gulyak per una resa articolata
ma unitaria. Splendidi i colori. Dopo i
fragorosi applausi da parte del numeroso
pubblico intervenuto, il bis finale con la
Ciaccona in Sol maggiore di Händel è stato
davvero una sorpresa. Ad una velocità
ragguardevole e con timbriche molto
clavicembalistiche, ricche di perfetti
abbellimenti, la Gulyak ha coronato il tardo
pomeriggio con eccellente abilità, intelligenza
e senso estetico. Da ricordare a lungo.
20
marzo 2017 Cesare Guzzardella
Myung-Whun Chung dirige la
Filarmonica della Scala
Il concerto della Filarmonica
della Scala diretto ieri sera da Myung-Whun
Chung (foto Archivio Scala) era in memoria del M°Georges Prêtre,
mancato il 4 gennaio scorso. L'impaginato scelto
dal direttore coreano è il medesimo di
quello
che avrebbe dovuto dirigere il francese: la
Sinfonia n.3 "Eroica" di Beethoven e due
brani di Ravel, Ma mère l'Oye e La
Valse. I progressi direttoriali di Chung di
questi ultimi anni pongono il direttore ai
massimi vertici dell'interpretazione orchestrale
e il concerto di questi giorni - ieri l'ultima
replica- ha evidenziato l'eccellente sintonia
del Maestro con i due grandi compositori
proposti. La Sinfonia n.3 in mi bem.maggiore
op.55 è stata interpretata meravigliosamente
dalla Filarmonica della Scala e il direttore è
riuscito ad esprimere il giusto equilibrio dei
tempi attraverso il corretto dosaggio delle
dinamiche, da quelle più tenue dei violini a
quelle più robuste degli ottoni. Ogni sezione
orchestrale è stata all'altezza. La lettura, in
linea con le maggiori interpretazioni entrate
nella storia, non innova ma ritrova con
determinazione il tempo passato. Ottimo anche
Ravel, sia quello delicato nella ridotta
formazione orchestrale di Ma mère l'Oye,
che quello sensuale e travolgente nella grande
orchestra de La Valse. L'apoteosi della
danza ha trovato in Chung l'interprete ideale e
il pubblico, acclamandolo al termine del
concerto, ha mostrato di capire la potenza
espressiva di questa grande bacchetta . Un
concerto da ricordare a lungo.
18 marzo 2018 Cesare
Guzzardella
Prossimamente il
violinista Marco Rizzi a Vercelli
Sabato
25 marzo 2017 alle ore 21.00 presso il TEATRO
CIVICO di Vercelli verrà eseguita la parte
IV dell'’integrale dei
Concerti per violino e orchestra di W.A.Mozart.
Protagonisti il
violinista Marco Rizzi, Guido Rimonda
(direttore) e l’ORCHESTRA CAMERATA DUCALE.
Presentazione di Fabio Sartorelli.
Il concerto fa parte della
diciannovesima edizione del Viotti Festival.
18 marzo dalla redazione
Lukas Geniušas
per la Società
dei Concerti
Una serata da ricordare a
lungo quella organizzata dalla Società dei
Concerti in Sala Verdi con il pianista
moscovita Lukas Geniušas.
Era già venuto nel maggio del 2013 in
Conservatorio per interpretare Chopin e Liszt e
allora ascoltando la celebre sonata lisztiana
avevamo rilevato le eccellenti qualità tecnico
espressive
del
giovane figlio di una scuola strumentale, quella
russa, tra le migliori al mondo, anzi
probabilmente la migliore. Ieri sera
ascoltandolo nell'esecuzione di brani di
Schumann, Grieg e Prokof'ev, non possiamo
che confermare il giudizio espresso e rilevare i
progressi fatti in questi tre anni per arrivare
a questi livelli di altissima resa espressiva.
Nel 2013 si era da pochi anni affermato in
importantissimi Concorsi Internazionali come il
Chopin di Varsavia (seconda posizione),
nel 2015 ha trovato soddisfazione nella seconda
posizione al prestigioso Concorso
Čaikovskij.
Suona tutto a
memoria Lukas, come avviene per la maggior parte
dei concertisti, e questo è molto utile
per concentrarsi sull'espressività
dell'eseguito, in
questo
caso su brani di alto virtuosismo. Schumann, con
il celebre Carnevale di Vienna op.26, è
stato affrontato con una tale sicurezza da
renderlo un brano apparentemente facile. Le
cinque parti che compongono il lavoro
necessitano di agilità unita a quell'attitudine
romantica determinante per la resa di qualità.
Le grandi potenzialità di questo ventiseienne
pianista hanno permesso di forgiare il suono su
differenti piani dinamici e con accentuazioni
ritmiche perfette ed appropriate. Molto bella
anche la Romanza presente come secondo
movimento. La selezione di sei Pezzi Lirici
di Edvard Grieg dai numerosi scritti dal
compositore norvegese, ci ha permesso di
apprezzare le qualità soprattutto melodiche di
Geniušas riferite
al grande musicista. Ottima la resa espressiva
anche se ancora lontana dalla tradizione
esecutiva nord-europea. La seconda parte del
concerto ha visto due importanti sonate di
Sergej Prokof'ev quale la N.5 in Do maggiore
op.135 (seconda versione) e la N.2 in Re
minore op.14. L'intesa con il mondo musicale
del connazionale è stata eccellente.
Nell'esecuzione
di Geniušas abbiamo
apprezzato il perfetto equilibrio delle parti e
dei movimenti nel definire le geometrie musicali
trasparenti e cubiste del grande genio russo. I
piani sonori differenti e sovrapposti sono
emersi con grande chiarezza in un complesso
architettonico- musicale di eccelsa
qualità. Validi i due bis
con una Mazurca -op.68 n.2- di Chopin e
un brano jazz particolarmente ritmato eseguito
benissimo - Foxtrot di Desyatnikov- che
dimostra la duttilità delle nuove generazioni di
pianisti ed il superamento dell'antico erroneo
concetto di separazione dei generi. Meritati i
lunghi applausi tributati ad uno dei migliori
pianisti al mondo sotto i trent'anni. Da
ricordare a lungo.
16 marzo 2016 Cesare
Guzzardella
Andrea Lucchesini per
la Società del Quartetto
Ieri sera Andrea Lucchesini
ha tenuto un concerto per "Il Quartetto"
interpretando le ultime tre sonate di Franz
Schubert: la D 858, la D 859 e la D 860. La
serata, un po' diversa dal consueto, prevedeva
sul palcoscenico anche la presenza dello
scrittore e storico della musica Sandro
Cappelletto nel ruolo di voce narrante.
Cappelletto ha anticipato l'esecuzione dei tre
capolavori schubertiani con un'
introduzione esplicativa sui tre brani e
sul'ultimo anno di vita del grande compositore. Lucchesini
ha interpretato i tre brani qualitativamente in
crescendo.
La
Sonata n.21 in do minore ci è sembrata di
minor impatto estetico: il pianista ha fatto
trasparire una ricerca razionale degli elementi
strutturali. Nella Sonata in la maggiore
un più rilevato trasporto emotivo ha permesso
una migliore prestazione. È nella Sonata in
si bem. maggiore che l'evidente distensione
comunicativa ha trovato il Lucchesini di
qualità. Il suo Schubert, molto classico, è di
alto livello espressivo. La divisione dei piani
sonori, piuttosto marcata, ha portato ud una
ottima evidenzazione delle parti melodiche.
Molto bello il bis con un breve melologo su un
brano schubertiano ben recitato da Cappelletto.
Applausi sentiti del numeroso pubblico
intervenuto in Sala Verdi.
15 marzo 2017 C.G.
Manuel Barrueco alle
Serate Musicali
del Conservatorio
Lunedì 13 marzo 2017.
Repertorio tutto spagnolo ieri sera in Sala
Verdi. Nella prima parte Barrueco ha eseguito
brani di Granados tratti dalla Suite espanola,
trascritti per chitarra, regalandoci momenti di
autentiche atmosfere spagnole. Il chitarrista,
noto come grande virtuoso e dotato di una
rigorosa tecnica che
talvolta
nelle esecuzioni lascia poco spazio all'agogica,
ha saputo trasmettere il significato più vero
delle danze spagnole di Granados, con
raffinatezze che traspaiono chiaramente dal
fraseggio molto lineare unito ad un suono
equilibrato e pulito. Nella seconda parte
Barrueco ha suonato brillantemente le
"Variazioni su un tema di Mozart" del
chitarrista e compositore dell'Ottocento di
Barcellona Fernando Sor. E ancora nell’ambito
del tema con variazioni, molto valida anche
l'esecuzione della Folia
d'españa con quei rapidi passaggi nelle
successioni di terze in una delle variazioni,
ben ritmate e col suono limpido. La parte
conclusiva del concerto è stata dedicata a
Manuel De Falla, col notevole lavoro di
trascrizione svolto da Barrueco dalla musica dei
balletti "El sombrero de tres picos" e "El
amor brujo"; in essi Barrueco ha saputo
trasporre il folklore e la tradizione spagnoli,
con ritmi serrati e un suono particolarmente
brillante. Interessante l'esecuzione dell'ultimo
brano "Danza del molinero", con il gioco
di contrasti reso con l'alternarsi di registri
gravi e acuti, e con i crescendo dei rasgueadi.
E nei bis ci siamo virtualmente “spostati” in
Venezuela col Vals venezuelano nr 3 di
Antonio Lauro, brano molto gradevole all’ascolto
per il pubblico.
14 marzo 2017 Alberto
Cipriani
Ivo Pogorelich per
Vidas
in Auditorium
Il concerto organizzato da
Vidas, anche per ricordare la fondatrice di
questa importante istituzione Giovanna Cavazzoni,
ha trovato al pianoforte
dell'Auditorium di
Milano un celebre pianista serbo quale Ivo Pogorelich. Raramente viene nella nostra città -
l'ultima volta ancora per Vidas nel 2012- ma
quando torna, l'interesse dei numerosi
appassionati di musica pianistica è
particolarmente acceso. Ricordiamo che gli
incassi della serata benefica verranno
utilizzati per la realizzazione della Casa
Sollievo Bimbi, una struttura che offrirà
gratuitamente cure e sollievo ai bambini e
adolescenti inguaribili e ai loro familiari.
Questo lo ha sottolineato in apertura della
serata Ferruccio De Bortoli. Oltre agli spazi
dedicati ai minori, la struttura ospiterà anche
un nuovo centro di ricerca scientifica su
patologie relative all'età pediatrica. Il
concerto di Pogorelich, molto variegato, ha
visto l'esecuzione di brani di Chopin, Schumann,
Mozart e Rachmaninov. In questi ultimi anni il
grande pianista ha parzialmente trasformato
i
suoi modi interpretativi reinventando le
composizioni con modalità esecutive personali e
spesso contestate dai puristi della musica
rispettosa dei tempi e dello spartito. Le
numerose "trasgressioni" del pianista sui tempi,
spesso lentissimi o sulle dinamiche accentuate e
fragorose, devono essere lette nell'ambito del
modo "creativo" dell'interprete. Chopin
dell'attuale Pogorelich è diverso da quello
degli anni '80, sempre molto interessante ma
ancora legato alla linea interpretativa
storicizzata. La Ballata n.2 in fa maggiore
e lo Scherzo n.3 in do diesis minore
hanno introdotto il concerto. La lenta e
meditata introduzione alla celebre Ballata
chopiniana con momenti di sospensione del suono
quasi ad
approfondire il carattere riflessivo e
il contrasto fragoroso della parte centrale sono
stati il biglietto da visita di un concerto
decisamente valido e suggestivo. L'impatto
energetico iniziale dello Scherzo n.3 e
la profonda meditazione del secondo tema, con
quella splendida cascata di suoni a coronamento,
hanno ancora rappresentato la cifra stilistica
di Pogorelich. Molto contrastato e diversificato
il suo Schumann con il Carnevale di Vienna
eseguito come terzo brano. La parte introduttiva
dell'Allegro iniziale, sintetica e
tagliente, ha evidenziato la luminosa
cantabilità, molto rilevata, del secondo tema.
Il pianismo grintoso e forzato di Pogorelich
nasconde in realtà una forza di pensiero che va
aldilà di quello che si coglie inizialmente.
Decisamente meditata ed interiorizzata la
Romanza con lievi contrasti dinamici
particolarmente efficaci. Segno preciso e netto
per gli altri tre movimenti. La seconda parte
della serata è cominciata con la nota
Fantasia in do minore k.475 di Mozart forse
di minore impatto
esecutivo ma originale nella
reinvenzione. Di grande levatura stilistica la
Sonata n.2 in si bem.maggiore di
Rachmaninov. Esecuzione evoluta e proiettata in
pieno '900 pur essendo di un compositore
considerato tardo-romantico. Composta nel 1911,
la durata di circa 20 minuti ha trovato in
Pogorelich un interprete degno, con spiccata
sintesi discorsiva. Fragorosi gli applausi al
termine e un bis particolare con il celebre
Valzer triste di Sibelius eseguito con
andatura lentissima. Quasi irriconoscibile
l'andamento di valzer iniziale, il brano ha
nascosto invece una ricerca introspettiva di
raro valore estetico. Da ricordare. Chi volesse
sostenere VIDAS è pregato di fare riferimento
al seguente codice IBAN: IT 78 V 05584 01623
00000000 8475 Banca Popolare di Milano. Per
il 5×1000 per Vidas il C.F. è : 970 193 501
52.
14 marzo 2017 Cesare
Guzzardella
Il Trio Metamorfosi
al Viotti Festival di Vercelli
Il nuovo appuntamento con il
vercellese Viotti Festival, ieri sera sabato 11
marzo al Teatro Civico, proponeva una serata di
musica da camera, con protagonista il Trio
Metamorfosi, il nuovo nome con cui dal 2015 si è
ribattezzato il Trio Modigliani, vale a dire una
delle migliori formazioni di questo tipo
presenti oggi in Italia: i fratelli Angelo e
Francesco Pepicelli, rispettivamente al
pianoforte e al violoncello, Mauro Loguercio al
violino. Il programma, rigorosamente
monografico, proponeva due splendide gemme della
letteratura per trio di pianoforte ed archi,
vale a dire le prime due delle tre composizioni
scritte per questa formazione da R. Schumann, il
Trio Op. 63 in re min. n1 e il Trio op.80 in Fa
magg .n.2. Non si tratta di composizioni di
semplice esecuzione: il denso linguaggio
contrappuntistico schumanniano, unito alla
ricchezza di chiaroscuri e alla varia
espressività, mettono gli esecutori dinanzi a
scelte interpretative non sempre agevoli,
soprattutto nella scelta dei tempi, delle
dinamiche, dei colori. Nell’esecuzione del Trio
Metamorfosi abbiamo colto due punti di forza: la
lucida resa delle complesse strutture
contrappuntistiche delle partiture, in
particolare nelle sezioni di sviluppo dei primi
tempi e la scelta di un colore ‘smorzato’, che
avvolge di un velo di sottile malinconia anche
le parti espressivamente più euforiche, quale il
Finale del quartetto n.1, senza
accentuare
esageratamente il pathos delle sezioni più
appassionate, presenti in particolare nel primo
trio. Una interpretazione , insomma, di grande
equilibrio, in cui si resta ammirati dalla
compattezza e perfetta integrazione delle tre
linee strumentali, grazie alla quale il suono
caldo e vigoroso del violino e quello morbido e
limpido del violoncello si fondono in perfetta
armonia espressiva col pianoforte suonato da
Angelo Pepicelli con diteggiatura delicata e
diremmo quasi discreta, a screziare con una
timbrica sottile e allusiva il dialogo degli
archi: esemplare, nel terzo tempo del primo
trio, la delicatezza con cui dalle zone basse
della tastiera è stato evocato, appena un’ombra
fuggevole , quell’intervallo di quarta
ascendente che è la cellula-base dell’intera
architettura dell’opera e che a questo punto
della partitura, tra i momenti più intimi e
meditativi, richiama la mente assorta
dell’ascoltatore ad abbracciare l’intera
costruzione, quasi un meraviglioso viaggio
mentale in un mondo sonoro di raffinatezza senza
eguali. La grande sapienza degli strumentisti
nella resa dei colori e delle atmosfere dei due
capolavori ha avuto uno dei suoi momenti
culminanti nel Primo tempo del primo trio, in
quella meravigliosa pausa di rarefatta pace,
aperta come un miracolo nel tormentato corso
melodico-armonico dello sviluppo, da un
delicatissimo gioco sonoro sui ponticelli degli
archi e sugli accordi ribattuti del pianoforte.
E’ precisamente su questo genere di dettagli
solo apparentemente ‘tecnici’ che si regge
l’interpretazione di una partitura. Pienamente
soddisfatto il numeroso pubblico presente in
platea, che ha tributato ai tre maestri un
interminabile applauso, ricompensato da due bis,
uno ancora da Schumann (presentato come
“Duetto”, ma confessiamo di non aver compreso
bene a quale opera ci si riferisse), seguito dal
Tempo di marcia del Trio di L.. Bernstein. Una
serata musicale da ricordare.
12 marzo 2017 Bruno Busca
Philipp Kopachevsky
diretto da Kochanovsky con la Sinfonica Verdi in
Auditorium
Il concerto serale di ieri in
Auditorium ha visto la milanese Sinfonica
Verdi insieme a due giovani interpreti russi
quali il direttore di San Pietroburgo
Stanislav
Kochanovsky e il pianista moscovita Philipp
Kopachevsky. In programma due capolavori
polacchi e ungheresi quali il Concerto per
pianoforte e orchestra n.1 in Mi minore op.11
di F. Chopin e il Concerto per Orchestra
di B. Bartók. Il Concerto n.1 è quello
più popolare tra i due composti dal grande
polacco, prevede un'importante introduzione
orchestrale che riassume i temi esposti dal
pianoforte nel corso dell'opera. Philipp
Kopachevsky, classe 1990, ha rivelato ottime
qualità attraverso un tocco sicuro e preciso
e un'aderenza alle timbriche della scuola
interpretativa polacca. Abbiamo ascoltato un
pianoforte espressivo in sinergia con la
Sinfonica Verdi e con la precisa e dettagliata
direzione di Kochanovsky, rispettosa della
fondamentale componente solistica. Meritati
applausi al termine del concerto con due ottimi
bis concessi da Kopachevsky quali il breve
Minute e il Valzer in La minore di
Chopin . Dopo l'intervallo di rilievo
l'interpretazione del Concerto per Orchestra
di Bartók nel quale sono emerse tutte le
qualità direttoriali di
Kochanovsky e le
colorate ed espressive timbriche della Sinfonica
Verdi. Il brano in cinque parti è stato scritto
dal compositore ungherese nei primi anni '40 del
secolo scorso e presenta un importante connubio
tra tradizione e avanguardia con trovate
timbriche molto ricercate. Kochanovsky, come
altri ottimi giovani direttori , ha dimostrato
di possedere qualità congeniali ai repertori più
vicini ai nostri tempi. Splendida l'esecuzione.
Da ricordare. Replica domenica alle ore
16.00. Da non perdere.
11 marzo 2017 Cesare
Guzzardella
La pianista Beatrice
Rana per la Società dei
Concerti
È una giovane ed affermata
pianista Beatrice Rana. Recentemente ha eseguito
un concerto pianistico di Carlo Boccadoro al
Teatro alla Scala segno di un
notevole
interesse per la musica contemporanea e della
consolidata carriera. Ieri sera ha trovato un
pubblico numeroso e attento in Conservatorio per
un concerto con impaginato tradizionale e
variegato: Bach con la Partita n.2 in do
minore, Debussy con Pour le piano e
dopo l'intervallo, la monumentale Sonata in
Si minore di F.Liszt. Tre lavori
fondamentali che hanno rivelato una pianista
determinata, sicura e con doti di raro ascolto.
Il suo Bach ha un tocco deciso e
sorprendentemente vario nelle dinamiche. Il
gioco di pesi, per un intensità del suono varia
e ricca di sfumature, ha dato valore esecutivo
alla nota Partita. La sintesi discorsiva con
accentuazioni rilevanti ha portato ad un ottimo Debussy con i tre movimenti -Prelude,
Sarabande e Toccata- che formano il brano
eseguiti molto bene. La gestualità decisa sulla
tastiera ha determinato
una
risposta di timbriche dal sapore quasi pittorico
con segno robusto e tagliente. Il legame con
Bach con frangenti polifonici è emerso nella
Toccata finale. Valido anche Liszt con la
celebre sonata definita ancora una volta da
decisa gestualit à e
timbriche accentuate intervallate da sonorità
più meditate. Il contrasto deciso tra i vari
momenti del brano è apparso a volte esagerato,
ma la qualità esecutiva è indubbia. Bellissimi i
bis con Widmung di Schumann-Liszt e un rapido
finale dalla Partita n.1 bachiana. Ricordiamo la
recente pubblicazione delle Variazioni
Goldberg di Bach, firmate dall'interprete al
termine del concerto. Applausi fragorosi alla
sorridente e soddisfatta Beatrice Rana. Da
ricordare.
9 marzo 2017 Cesare Guzzardella
Olli Mustonen alle
Serate Musicali
È un pianista affermato il
finlandese Ollin Mustonen. E' anche compositore
e direttore d'orchestra ed evidenzia le sue doti
complete di musicista attraverso una costante
voglia di ricerca timbrica che effettua con una
gestualità evidente ma funzionale al risultato
che vuole ottenere. Ieri sera davanti ad un
pubblico
attento
ma non particolarmente numeroso - e questo è
veramente un peccato! - ha impaginato un
programma decisamente interessante con brani di
raro ascolto quali l'Album della gioventù op.
39 di
Čaikovskij e l'Album della gioventù
op. 59 di Rodion Shchedrin (1932)
intervallati dalle più note Mazurche op.56
e op.59 di Chopin. A conclusione del
programma ufficiale , due lavori di Scriabin con
la breve ed intensa Sonata n.10 in do magg.
Op.70 e il poema per pianoforte "Vers la
flamme" Op.72, eseguiti quasi senza
interruzione. Rilevanti i brevi 24 brani del
celebre primo russo dedicati ai bambini. Alcuni
di essi strutturati in modo particolarmente
semplice con poche note evidenziate mirabilmente
dal pianista con un gioco di accenti e di
dinamiche da renderli brani maturi. Ci sono
piaciute molto la successione delle miniature e
la scelta dei tempi. La tendenza alla nuova
espressività è, a nostro avviso, apparsa
eccessiva nelle celebri tre Mazurche dell'Op.56
e nelle tre dell'Op.59 del grande polacco.
L'abitudine ad esecuzioni consolidate dai grandi
interpreti hanno evidenziato una resa poco
polacca dei sei capolavori e una ricerca di
accentuazioni eccessive, certamente originali,
ma improprie. Ottima la seconda parte della
serata con un eccellente Shchredrin e i suoi 15
brani dedicati alla gioventù, eseguiti con
sicurezza. L'attitudine alla musica del '900
oltre che a quella più contemporanea è emersa
anche nelle esecuzioni di Scriabin. La Sonata
op.70 ha trovato una sintesi discorsiva di
grande rilievo e anche il più pacato Poema
op.72 ha trovato un aggancio alla sonata
attraverso una meditata
resa espressiva. Di valore i bis concessi con
due scultorei brani di Prokof'ev resi in modo
mirabile. Fragorosi gli applausi al termine.
7 marzo 2017 Cesare
Guzzardella
Il duo
Piovano-Pappano per le
Serate Musicali milanesi
Ritorna con una certa
frequenza a Milano Sir Antonio Pappano,
direttore musicale dell'Accademia
Nazionale di Santa Cecilia . Noto direttore
d'orchestra, è anche ottimo pianista e spesso
suona in duo con il violoncellista Nicola
Piovano, primo violoncello dell'orchestra
medesima romana.
Recentemente
Piovano è venuto in Sala Verdi per un tutto Bach
in solitaria che ha riscosso successo di
pubblico. Ieri sera, sempre per Serate
Musicali il duo Piovano-Pappano ha
impaginato al Teatro Dal Verme un programma
classico e contemporaneo con le prime due Sonate
di Johannes Brahms, l'Op.38 e l'Op.99
precedute da due brevi brani di Riccardo
Panfili (1979) e di Michele Dall'Ongaro (1957).
Entrambi i recenti lavori erano dedicati al duo
Piovano-Pappano. Le celebri sonate brahmsiane
sono state eseguite con disinvoltura dai due
strumentisti. Il violoncello di Piovano emerge
per dolcezza timbrica ed eccellenti legati. Nel
pianoforte di Pappano si è rivelata la sua
visione complessiva- da direttore d'orchestra-
degli elementi musicali, visione di sintesi in
cui gli elementi armonici prevalgono
maggiormente su quelli melodici. La timbrica
pianistica complessiva, forse leggermente
invasiva sul violoncello e sostenuta da un uso
non discreto del pedale di risonanza, ha
determinato un buon equilibrio con l'ottimo
strumento ad arco. Valide le interpretazioni con
una maggiore risultanza per la Sonata n.2 in
fa maggiore op.99. Interessanti
i brani contemporanei. Il primo, L'ospite
insonne- in prima esecuzione assoluta-, è
diviso in due parti nettamente contrastanti, un'
Elegia che rappresenta la quiete di chi
vuole addormentarsi in una note stellata e La
fuga, che rappresenta l'insonnia improvvisa
e l'impossibilità di una "petit mort"
-come dice Panfili nel libretto di sala-
ristoratrice. L'approccio strumentale iniziale,
melodico e meditativo con poche lunghe note del
violoncello e leggeri e opposti accordi
pianistici viene, nel secondo movimento,
contrastato da timbri gravi, robusti e ritmici
dei due
strumenti
con uno stile dal sapore improvvisatorio e quasi
jazzistico, quasi a voler ricreare un clima di
insofferenza - l'insonnia- che termina in alcuni
momenti per poi ancora dominare e concludersi
con una grave e decisa nota conclusiva
pianistica. Avvincente la resa. I due brani di
Dall'Ongaro, Due canzoni siciliane, in
prima esecuzione milanese- dal sapore
folcloristico- si sono
rivelati di piacevole e più immediata
comprensione. Il compositore nella presentazione
del libretto di sala cita Berio e i suoi Folk
Song. Il primo, A vitalòra, inizia con
vellutate semplici note in successione
nella parte alta del pianoforte lievemente
contrastate dai timbri bassi del violoncello ma
anche da intensi sovracuti. Sembra quasi uno
scrigno incantato. Diversamente il più incisivo
Carnescialata dei pulcinelli, ci rivela una
melodia folclorica del sud-Italia espressa con
sicurezza dal bellissimo violoncello di Piovano
e completata da una volutamente dissonante ma
efficace parte pianistica ottimamente
interpretata da Pappano. Un cambio improvviso di
tonalità ci mostra una breve inferenza
improvvisatoria che porta ad un delicato ed
interiorizzato finale del cello . Due brevi,
immediati lavori originali che meriterebbero
larga diffusione. Entrambi i compositori sono
saliti al termine dei rispettivi brani sul
palcoscenico per i meritati applausi. Non
dimentichiamo l'efficace raro bis concesso dal
duo con una breve ed intensa Romanza n.1
di Giuseppe Martucci eseguita benissimo.
Fragorosi applausi per un ottimo concerto. Da
ricordare.
4 marzo 2017 Cesare
Guzzardella
Prossimamente in Auditorium
il pianista Ivo Pogorelić
per VIDAS
Ivo Pogorelić,
virtuoso pianista di raro talento, di scuola
chopiniana, torna a donare al pubblico di Vidas
l’innovativa originalità del suo stile
interpretativo, dopo il concerto di cinque anni
fa a fianco del violinista Shlomo Mintz. Una
scelta che testimonia la sensibilità
dell’artista croato per le cause sociali e in
particolare per la missione della nostra
associazione. L’appuntamento è fissato per
lunedì 13 marzo alle 21 nelle cornice consueta
dell’Auditorium Fondazione
Cariplo di largo
Mahler. Il repertorio di Ivo Pogorelić
abbraccia nella sua vastità l’intera
musica moderna e il programma scelto per Vidas è
una sequenza di brani vivaci nell’armonia delle
differenze dei singoli autori. Chopin e
Schumann, per salutare la sera della primavera
imminente al ritmo suadente e brioso insieme
delle ballate romantiche
– e
poi Mozart e, salto nel contemporaneo,
Rachmaninoff. La tappa
milanese sarà l’unica data italiana in un carnet
fitto di presenze sui più prestigiosi
palcoscenici d’Europa. Il concerto segna per
Vidas l’ingresso ufficiale nel 35esimo anno di
attività: dal 1982, anno della sua creazione,
l’associazione ha assistito gratuitamente oltre
34mila malati terminali a Milano, Monza e 112
Comuni delle due province. Oggi l’ambizione è di
realizzare la prima Casa Sollievo Bimbi
destinata alla cura dei pazienti in età
pediatrica e al sostegno alle loro famiglie. Il
cantiere della nuova costruzione, che sorgerà
accanto all’hospice Casa Vidas (via Ojetti 66,
MM Bonola), è stato aperto lo scorso autunno e i
lavori sono stimati durare per i prossimi due
anni. Ecco il programma, godibilissimo e
difficile (nell’esecuzione che tocca vertici di
assoluto virtuosismo): Frédéric Chopin
(1810-1849) Ballade n°2 in F Major op. 38,
Scherzo n°3 in C sharp minor op. 39; Robert
Schumann (1810-1856 Faschingsschwank aus Wien
op. 26 Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)
Fantasia in C minor K. 475; Sergej Rachmaninoff
(1873-1943)Piano Sonata n°2 in B flat minor op.
36. Biglietti con quote di sottoscrizione da 20
a 130 euro. Per prenotazioni e informazioni:
segreteria.eventi@vidas.it oppure telefonando
allo 02.72511.211/209
4 marzo 2017 dalla redazione
Il
Trio Metamorfosi
prossimamente a Vercelli per il
Viotti Festival
Sabato 11 marzo 2017 alle ore
21.00 presso il TEATRO CIVICO di Vercelli
concerto del TRIO METAMORPHOSI con Mauro
Loguercio al violino, Francesco Pepicelli al
violoncello e Angelo Pepicelli pianoforte. In
programma musiche di il Trio n. 1 e n 2. Il
concerto fa parte della diciannovesima edizione
del Viotti Festival.
3 marzo 2017 dalla redazione
FEBBRAIO 2017
András
Schiff per le Serate
Musicali
Torna e ritorna più volte
ogni anno in Sala Verdi il pianista
ungherese András Schiff. Dopo averlo
recentemente ascoltato in un variegato concerto
nel quale ha interpretato Bach, Bartók, Janáček
e Schumann, lo abbiamo ritrovato in una giornata
di pioggia e in una serata monografica
schubertiana. Mi aspettavo meno pubblico per via
del tempo, ma ho trovato ieri sera in
Conservatorio una sala colma di affezionati che
per circa tre ore hanno ascoltato il lungo
programma. L'impaginato
prevedeva due Sonate, la D 845 eseguita
ad
introduzione,
e la D 894, al termine, i
Quattro Improvvisi D 935, i
Tre Klavierstücke D 946 e, quasi a
mezzanotte, il bis con l'Improvviso n.2 op.90.
Un programma sterminato che poteva essere
impiegato in due concerti e che la prodigiosa
memoria di Schiff ha esternato con solo minime
sbavature. Il breve intervallo è stato preceduto
da un'interruzione del pianista causa il
continuo tossire di alcuni spettatori in fondo
platea. Dopo i primi due movimenti della prima
sonata Schiff si lamenta per i colpi di tosse
e se ne va. Non è la
prima volta che l'intolleranza di questo artista
emerge in un concerto. Alcuni anni or sono in una
serata della Società del Quartetto era
avvenuta la stessa cosa. Fortunatamente dopo
pochi minuti l'ungherese è rientrato e dopo
alcune parole microfonate con le quali ha
accusato i responsabili "cattivi ed
ignoranti" di rovinare la bellezza della
musica schubertiana, ha ripreso la Sonata dallo
Scherzo. A parte questa triste
interruzione, la serata è stata musicalmente di
grande qualità. Schiff domina la tastiera e con
gli anni ha migliorato il suo Schubert evidenziando
un canto poetico in cui la polifonia nelle due
mani s'intreccia e si alterna nelle voci con
dinamiche pesate al grammo. In molti frangenti
ha raggiunto vertici e nell'ultima sonata in
programma, la n.20 in
Sol maggiore "Fantasia", iniziata dopo oltre
due ore di musica, ha espresso il meglio con
un'autorevole profondità interpretativa. Questa
imponente composizione ricca di contrasti, con
energiche timbriche che evidenziano lo Schubert
più "rivoluzionario" e con momenti di intensa
leggerezza evocativa dello Schubert più lirico e
"poetico", ha trovato un pianista splendido nel
valorizzarne ogni dettaglio in modo espressivo.
Il bis concesso con l'Impromptu n.2
Op.90, eseguito con grande equilibrio ed
eccellente espressività, ha determinato
prolungati applausi che ci hanno fatto
dimenticare la spiacevole interruzione di inizio
concerto. Da ricordare a lungo.
28 febbraio 2017 Cesare
Guzzardella
L'Orchestra Haydn di Trento e Bolzano
all'Auditorium milanese
Il programma impaginato ieri
pomeriggio per la replica del concerto in
Auditorium, prevedeva brani classici come il
Concerto K.482 di Mozart e la Sinfonia
"L'Orologio" di Haydn, anticipati da un
brano in prima esecuzione di Ivan Fedele,
Lexikon III. L'Orchestra Haydn di Trento e
Bolzano è specializzata nel repertorio classico
e dalle eccellenti interpretazioni ascoltate con
Mozart e Haydn abbiamo ritrovato l'attitudine ad
un equilibrio di alto livello
delle
sezioni orchestrali. Nel brano mozartiano la
parte solistica è stata sostenuta da una giovane
pianista coreana, Chloe Mun che ha mostrato di
meritare le recenti vittorie di due importanti
Concorsi Internazionali quali quello di
Ginevra e il Busoni di Bolzano. Il
suono delicato, scorrevole e di perfetto
equilibrio, offerto dalle sue eccellenti mani
hanno reso splendida questa interpretazione del
Concerto n.22 in Mi bem.Magg. K482 del
Salisburghese. In ottima sinergia con la
compagine orchestrale, diretta in modo mirabile
da Benjamin Bayl, la Mun ha rivelato qualità
sicure nel Mozart
accompagnato,
tanto da ben sperare di ascoltarla in un
concerto solistico per un analisi più attenta
delle sue qualità. Ottima anche la Sinfonia
n.101 in Re maggiore "L'orologio". La
duttilità dell'Orchestra Haydn si è rivelata con
il recente brano di Ivan Fedele, un compositore
affermato che non ha certo bisogno di
presentazioni. Lexikon III per strumenti
a fiato, archi, e percussioni trova l'ausilio
anche di una tastiera abbinata a Pc con suoni
campionati che spesso risultano
determinanti. Il lavoro di circa 10 minuti
-terzo appuntamento di un brano di circa trenta
minuti di durata- è in due parti, Leggerezza
e Rapidità. Andrebbe chiaramente
riascoltato, ma già al primo ascolto appare
interessante per le timbriche aperte, spaziali e
ben articolate.
L'uso
degli elementi campionati è ben inserito nel
contesto anche se le sonorità d'insieme
dell'orchestra risultano più chiare e genuine.
Il limite dei suoni precostituiti e bisognosi di
un'amplificazione, è quello di doverli adattare
in qualche modo ai più precisi e validi timbri
degli strumenti tradizionali. L'idea di Fedele
di partire dal pensiero narrativo di Italo
Calvino nelle sue Lezioni americane, è risultata
vincente. Il limite della sua composizione è
solo quello di non essere replicata dal vivo in
periodi brevi. Ma questo è il limite della
musica contemporanea in generale che non trova
una diffusione adeguata da rendere circolabile,
in contesti anche differenti, i prodotti più
recenti. Ottima la direzione dell'australiano
Bayl. Applausi sostenuti anche a Fedele salito
al termine sul palcoscenico.
27
febbraio 2017 Cesare Guzzardella
La Butterfly al
Teatro Coccia di Novara
Oggi, domenica 26 febbraio,
con la replica pomeridiana della Butterfly al
Teatro Coccia,, si è conclusa la stagione lirica
novarese 2016-17. E diremmo che si è conclusa in
modo dignitoso. Lo spettacolo è una produzione
esclusiva del Coccia e ha visto impegnate
“forze” locali: dal regista, il novarese Renato
Bonajuto
all’orchestra, inevitabilmente quella del
Coccia, guidata dal “suo” direttore Matteo
Beltrami, al coro (S. Gregorio Magno di Trecate)
sino al tenore Ivan Defabiani, di Alagna, nella
parte di Pinkerton. In un’ intervista rilasciata
qualche giorno fa ad un giornale di Vercelli,
Bonajuto aveva dichiarato senza mezzi termini
che la sua sarebbe stata una regia assolutamente
tradizionale: unica licenza, lo spostamento di
un ventennio della vicenda, in piena epoca
Liberty, dove l’amore per cineserie e
giapponeserie rasentò il culto. In effetti le
scene, dovute a Laura Marocchino, consistono in
un ‘contenitore’ addobbato come una grande casa
giapponese, ricco di pannelli con motivi
orientaleggianti, con uno sfondo aperto su un
giardino, in cui compare di tanto in tanto
l’inevitabile luna, a irradiare di malinconiche
penombre lo scenario della patetica vicenda di
Cio- cio -san. Dunque una regia senza sorprese,
ma curata nel movimento dei cantanti e con
qualche tratto di originalità: recitazione il
più possibile avanzata sul proscenio e la scena
finale dell’harakiri che si svolge al di là di
un sipario che la lascia appena intravedere, a
sottolineare, interpretiamo, l’assoluta
solitudine in cui madame Butterfly vive il suo
dramma sino al suo tragico esito. In questo
finale, sicuramente efficace, avremmo però
evitato il colore rosso sangue che avvolge il
palcoscenico, francamente un po’ scontato. La
qualità propriamente musicale di questo
allestimento è più che accettabile. Dominatrice
assoluta ne è stata, ovviamente, la Cio-cio-san
del soprano sloveno Rebeka Lokar. Tipico soprano
lirico-spinto, ha il suo punto di forza nella
morbidezza dei centri, bruniti di sfumature
mezzosopranili, e nei chiaroscuri con cui
ombreggia un ottimo fraseggio, reso fluido da
una sapiente gestione di legati e portamenti.
L’estensione e la proiezione della voce, degne
di un soprano drammatico di qualità, hanno come
unico limite acuti e sovracuti talora un po’
troppo gridati. Ottime la sua capacità
interpretativa e la sua dizione: sicuramente una
cantante che merita di essere meglio conosciuta
nel teatri italiani. Non ci ha convinto
altrettanto il Pinkerton di Defabiani: è
sicuramente in possesso di una voce tenorile di
bel timbro caldo e di energico volume, ma
monocorde e troppo forzata negli appoggi, il che
mal si presta ad un personaggio ambiguo e
contraddittorio qual è Pinkerton. Anche la
recitazione assumeva talora toni goffamente
enfatici, a conferma di una capacità recitativa
ancora da maturare. Valide le prestazioni degli
altri interpreti, di cui vogliamo qui ricordare
per qualità del canto ed efficacia della
recitazione il mezzosoprano Sofia Janelidze
(Suzuki), il tenore Jorge J. Morata (Goro) e un
collaudato baritono, quale Sergio Bologna nel
ruolo di Sharpless. La direzione di Beltrami ha
guidato bene orchestra e cantanti, anche se
certi strappi improvvisi ai tempi non sempre
hanno messo a loro agio gli interpreti sul
palcoscenico. Nel complesso, dunque, una
Butterfly da non cancellare dagli ‘annali’ del
Coccia e che ha ricevuto il tributo di un
lunghissimo applauso da parte del pubblico, come
sempre, a Novara, accorso ai limiti del ‘tutto
esaurito’.
26 febbraio 2017 Bruno Busca
Serata Stravinsk ij
alla
Scala
Continuano al Teatro alla
Scala le repliche di Serata Stravinskij,
due celebri balletti su musiche del grande
compositore russo: Petruška
e Le Sacre du
printemps. I respettivi
lavori sono due dei tre celebri balletti - il
terzo è l'Uccello di fuoco- che
Igor Stravinskij musicò per i balletti russi di
Serghej Diaghilev. Le celebre musiche hanno
trovato per l'occasione la direzione
dell'orchestra scaligera di Zubin Mehta. Questi
ha sostenuto con efficace restituzione la
fondamentale parte musicale sulla quale poggiano
i due balletti. Per le coreografie (foto dall'Archivio della Scala) sono state
proposte quelle storiche di Michail Fokin
riprese da Isabelle Fokine per Petruška
e di Glen Tetley ripresa da Bronwen Curry per il
Sacre. Il Corpo di ballo del Teatro alla
Scala preparato da Frédéric Olivieri ha
fornito una resa di alto livello in entrambi i
lavori. Il primo realizzato in un ambiente
circense coloratissimo costruito con le antiche
scene e i costumi del 1911 di Benois e il
secondo, geometrico e ricco di simmetrie, con la
presenza dei ballerini nelle scarne ed eleganti scene e
negli essenziali costumi di Nadine Baylis. Sono
passati quasi quarant’anni da quando
Le Sacre du
printemps venne messo in scena alla Scala
-stagione 1980-81- con le coreografie di Tetley
e da allora il suo progetto rimane ancora uno
dei migliori e tra i più riproposti nelle scene
mondiali. Ricordiamo almeno i ballerini
Nicoletta Manni , la ballerina, e
Maurizio Licitra ( in sostituzione di Mik Zeni
indisposto) in Petruška,
e la
parte solistica dell'eccellente Antonino Sutera,
nel Sacre. Ma tutti notevoli, come
sempre, i ballerini del corpo scaligero.
Applausi fragorosi per tutti al termine e anche
per l'ottimo Mehta salito sul palcoscenico
davanti ad un teatro stracolmo. Ultima recita
per il primo
marzo. Da non perdere.
24 febbraio 2017
Cesare Guzzardella
Filippo Gorini per la
Società del Quartetto
Il"Quartetto" ha
ospitato ieri sera un giovane pianista lombardo
che sta ottenendo una particolare attenzione
dalle istituzioni musicali per le sue qualità
interpretative. A 19 anni, nel 2015, ha vinto un
importante premio internazionale quale il "Telekom-Beethoven
2015" di Bonn. In questi ultimi mesi ha
anche seguito corsi con il grande Alfred Brendel.
L'impaginato della serata prevedeva
tre
composizioni note e di grande impegno
interpretativo quali la Sonata n.31 op.110
di Beethoven, le Sette Fantasie op.116
di Brahms e i 24 Preludi op.28 di
Chopin. Queste composizioni sono di solito un
traguardo raggiungibile da ottimi pianisti in
età matura. Il coraggio dimostrato da Gorini
nella scelta di questo programma ha trovato
nella valida esecuzione una parziale, a mio
avviso, ragione di soddisfazione. Certamente
Gorini ha dimostrato qualità tecniche di alto
profilo ma è sul versante della resa complessiva
che ci ha convinto solo parzialmente. La genuina
e fluida esecuzione della Sonata in la
bem.maggiore del grande tedesco pur interpretata
con sicurezza mancava di robustezza e di più
definiti contrasti dinamici. Più omogenee ed
interessanti
le
Sette fantasie di Brahms dov e
il tocco leggero artefice di velate sonorità ha
espresso un pensiero più maturo, contemplativo e
profondo. I 24 Preludi di Chopin trovano
in genere difficoltà di esecuzione per
l'equilibrio complessivo e da Gorini stati
eseguiti in modo un po' disomogeneo con rese
poco interessanti per alcuni brani e di
rilevante valenza coloristica ed espressiva per
altri, specie in quelli di più ampia
esternazione volumetrica. Splendidi i tre bis
concessi con uno Sostakovich del Preludio e
fuga n.15 di grande impatto sonoro e di
chiara esecuzione, uno Schumann con il Canti
del mattino n.1 ottimo e un movimento dall'Arte
della fuga - Primo contrappunto-
di Bach ottimamente evidenziato. Gorini ci
sembra un pianista con grandi potenziali che
merita certamente di essere riascoltato.
Fragorosi applausi al termine.
22 febbraio 2017 Cesare
Guzzardella
Maria Perrotta per i
concerti cameristici de "LaVerdi" al
M.A.C.
Grande successo di pubblico
per la pianista cosentina Maria Perrotta. Ieri
sera per i concerti cameristici organizzati al
M.A.C di piazza Tito Lucrezio Caro, a
poche
decine di metri dall'Auditorium milanese,
abbiamo assistito ad un concerto di grande
qualità musicale. La bravissima pianista
quarantenne, diplomata al Conservatorio milanese
con Edda Ponti, ieri ci ha stupito con brani di
Chopin e di Schubert. Il programma prevedeva
infatti i Tre notturni op.9, la
Berceuse op.57 e la Ballata n.4 del
polacco e ,dopo il breve intervallo, la
Sonata n.21 D 960 del viennese. Sia in
Chopin che in Schubert Maria Perrotta ha
mostrato di possedere doti di alto livello. Il
suono fluido, chiaro ed espressivo, ha rivelato
una visione
complessiva
dei brani legati alla tradizione
storico-interpretativa ma con specificità
originali dell'interprete. La splendida
articolazione digitale con legati e puntati
perfetti e l'inquadratura ritmica molto precisa
nei dettagli, hanno ben sottolineato ogni
inserzione melodica, fondamentale sia in Chopin
- eseguito in modo elegante- che in Schubert.
Validi i tempi scelti, meditati e profondi.
L'andamento della splendida ultima sonata di
Schubert, misurato e contrastato nelle
dinamiche, ci ha rivelato un'interprete vocata
al musicista
austriaco-
sua una recente incisione con Sonate
dell'austriaco per un'importante casa discografica- dopo i brillanti successi
ottenuti con Bach, Beethoven e Chopin. La
profondità di pensiero di quest'interprete la
pone tra le migliori pianiste presenti in Italia
e certamente anche in Europa. La non bella
acustica del M.A.C. - se si potesse far qualcosa
per migliorarla...! - non ha nascosto comunque
lunghe situazioni di grande bellezza
interpretativa. La sala, sovraffolla di
pubblico, ha tripudiato calorosi applausi al
termine e Maria ha concesso due brevi e
splendidi bis con un celebre movimento da una
Partita e l'inizio delle altrettanto note
Goldberg di J.S.Bach. Da ricordare a lungo.
21 febbraio 2016 Cesare
Guzzardella
La Camerata Ducale a
Vercelli
A Carnevale ogni scherzo
vale, devono aver pensato quei simpaticissimi
burloni della Camerata Ducale, che hanno
iniziato la serata concertistica di ieri sera,
18 febbraio, al Civico di Vercelli, con uno dei
pezzi più allegramente ‘carnevaleschi’
dell’intera storia della musica: il
Divertimento in Fa magg. ‘Ein musikalischer
Spass KV 522 di Mozart, una straordinaria
parodia delle
tante
mediocri e insulse composizioni diffuse ai suoi
tempi, che pure riuscivano talvolta più gradite
al pubblico dei preziosi gioielli foggiati con
miracolosa perfezione dall’officina del
salisburghese: una spassosa sequela di vere
demenzialità musicali, con stecche pagliaccesche
dei corni, dissonanze grossolane, schemi
compositivi a ramengo, scempio del sistema
tonale, con l’esilarante finale…a sei tonalità
in netto contrasto, a lacerare i timpani degli
ascoltatori. Formalmente il Musikalischer Spass
sarebbe un sestetto per 2 violini, viola,
contrabbasso e due corni, ma il maestro Guido
Rimonda, infischiandosene della filologia ha
chiamato a…divertirsi un buon numero di altri
strumentisti della Ducale, travestiti da
improbabili abitanti di un villaggio riuniti a
far musica come possono: cuochi, artigiani,
contadini, diretti da un “maestro” che al posto
della bacchetta usa un mestolo…Deliziosa
l’esecuzione, svagata e leggera come la
partitura comanda: bisogna saper suonare bene
anche le stecche e la Ducale lo ha fatto
benissimo. Il Divertimento mozartiano apriva un
programma, presentato brillantemente dal
musicologo Enrico M. Ferrando, che costituiva la
III parte dell’integrale dei concerti per
violino di Mozart, fil rouge dell’odierna
stagione del Viotti Festival. Veramente.
l’impaginato della serata non proponeva alcun
concerto per violino, ma presentava
intelligentemente composizioni in cui il violino
ha comunque un ruolo rilevante, come accade
nello stesso Spass. Il perno intorno a cui
ruotava l’intero programma era quel capolavoro
noto come Sinfonia concertante per violino,
viola e orchestra in Mi bem. Maggiore KV 364.
In verità, dal punto di vista strutturale,
l’opera appare più come un concerto per i due
strumenti, che come una sinfonia: il tutti
orchestrale disegna le linee portanti della
composizione, il cui centro è saldamente
occupato dai due solisti, G. Rimonda al violino
(oltre, naturalmente, che alla direzione) ed
Enzo Salzano (prima viola della Ducale) alla
viola. A nostro avviso è stata un’eccellente
esecuzione, che ha saputo interpretare con
efficacia le variegate componenti che in essa
convivono, in primo luogo quella della nuova
scuola di Mannheim, che impone rapidi mutamenti
espressivi e agogici, soprattutto nell’Allegro
iniziale, sapientemente controllati
dall’orchestra e dai due solisti. I momenti
migliori sono stati offerti dall’intreccio delle
voci soliste, in particolare nell’Andante
centrale, ove l’intenso ed energico suono dello
Stradivarius Noir di Rimonda e il morbido e
vellutato timbro della viola, reso più brillante
dall’accordatura un semitono sopra, danno vita a
momenti di cantabilità davvero incantevole,
virata sui colori scuri sostenuti dai fiati,
specie gli oboe, nel registro grave. Accanto a
questo monumento di altissima musica, hanno poco
da aggiungere, per quanto eseguiti
impeccabilmente, gli altri due brani in
programma: il Rondò dalla serenata Haffner KV
250, nell’arrangiamento di Kreisler (che
nuoce peraltro all’unità stilistica del brano)
che nella cadenza ha permesso a Rimonda una
volta di più di sfoggiare il suo virtuosismo
tecnico, e l’unico tempo scritto da Mozart, l’Allegro
KV 320e, di una Sinfonia concertante per
violino, viola, violoncello e orchestra, in cui,
accanto a Rimonda e Salzano merita la sua brava
parte di applausi Daniele Bogni, primo
violoncello della Camerata ducale, dal suono
preciso e raffinato. La platea quasi esaurita ha
tributato alla fine un lungo applauso, giusto
riconoscimento per un’altra serata di ottima
musica.
19 febbraio 2017 Bruno Busca
Stefan Milenkovich
diretto da Gaetano d'Espinosa in Auditorium
Dopo il concerto milanese
dello scorso anno in Auditorium, è tornato,
accompagnato dalla Sinfonica Verdi, il
violinista serbo Stefan Milenkovich,
l'enfant prodige che
alla fine degli anni '80 si era esibito in una
serie di importanti concerti in Italia. Sono
passati circa trent'anni da allora e adesso
Stefan
all'età di 40 anni, è certamente ancora un
eccellente virtuoso. La Sinfonica Verdi diretta
dall'ottimo Gaetano d'Espinosa ha eseguito prima
il celebre Concerto per violino e orchestra
in re maggiore op.77 di J. Brahms e quindi,
sempre del grande compositore ungherese, la
Sinfonia n.1 in do minore op.68. Decisamente
di qualità il concerto violinistico. Specie nei
movimenti laterali Milenkovich ha mostrato
valore con timbriche sicure e pregnanti di
espressività. L'ottima lettura, anche in ambito
orchestrale, con "sapore sinfonico" del
concerto, ha reso il rapporto violino-orchestra
di estremo interesse e di elevata esternazione
estetica.
Più
debole, ma comunque apprezzabile, l'Adagio
centrale che esigeva una timbrica violinistica
più voluminosa ed una
sinergia maggiore con l'orchestra. Le qualità di
alto livello tecnico-espressivo di Milenkovich
sono emerse ancor più nei tre bis concessi,
anticipati da una divertente presentazione al
pubblico: un brano, il Capriccio Recitativo e
scherzo del violinista-compositore viennese
Fritz Kreisler, il Preludio dalla Partita
n.3 di Bach e la variante di questo di Eugène
Ysaÿe denominato "Ossessione".
Tutti splendidi. Dopo la pausa ottima
l'interpretazione della Sinfonia n.1 di
Brahms che ha evidenziato il valore di Gaetano
d'Espinosa e della prestigiosa "Verdi".
Fragorosi gli applausi al termine. Ultima
replica per domenica alle
ore 16.00.
18 febbraio 2017 Cesare
Guzzardella
András Schiff
per la Società del Quartetto
Dopo il concerto di gennaio,
quello del pianista ungherese András Schiff è un
ritorno molto gradito per il numeroso pubblico
intervenuto e per la Società del Quartetto
organizzatrice dell'evento musicale. Ancora
una volta l'esecuzione di brani di Bach, Bartók,
Janáček e Schumann
ha dato validi risultati: ancora migliori
della scorsa volta.
L'idea splendida di alternare autori classici al
primo Novecento storico è utile, specie
per quel pubblico abituato solo alla musica
classico-romantica
priva di "dissonanze". Con l'ungherese Bartók e
il moravo Janáček
inizia la musica più "moderna", infarcita
spesso di splendide "dissonanze" oramai
accettate anche dal pubblico più conservatore.
Anche ieri sera, nella prima parte del concerto,
Schiff ha alternato Bach a Bartók, con le bellissime
Invenzioni a tre voci in alternanza con
la Suite op.14 e All'aria aperta sz81
del compositore ungherese. La maestria del
pianista, dalla prodigiosa memoria, ha
evidenziato la semplicità strutturale di alcuni
brani alla maggiore complessità di altri. Il
pianista ungherese, come recentemente detto, ha
rivelato ancora una volta la sua raffinata cifra
stilistica mediata da una perfezione tecnica e
da una completa assimilazione mnemonica del
materiale musicale.E' l'equilibrio complessivo
di
questo
grande talento che stupisce e ci pone di fronte
ad una costante riflessione sulle possibili
restituzioni dell' interprete. Nella seconda
parte della serata la breve ed intensa Sonata
1.X.1905 di Leòs Janáček
ha anticipato senza soluzione di continuità,
come fa spesso Schiff, l'originalissima
Sonata n.1 in fa diesis minore op.11 di
Robert Schumann. Lavori diversi ma uniti da
un'esecuzione di alto livello che evidenzia
ancora una volta l'interesse di
questo interprete per repertori più vicini ai
nostri tempi. Applausi interminabili e tre bis
con ancor Janáček,
“La Vergine di Frydek”,
Bartók,“La Danza dei pastori” e Bach con
un'Invenzione a due voci. Da ricordare a
lungo.
15 febbraio 2017 Cesare
Guzzardella
Evgeni Bozhanov alle
Serate Musicali
E' per la terza volta ospite
di Serate Musicali il pianista bulgaro
Evgeni Bozhanov. Ieri sera ha tenuto un concerto
interpretando musiche di Schumann e Liszt. A
trentadue anni, virtuoso della tastiera, Evgeni
è stato uno dei favoriti al Concorso Chopin di
Varsavia: nel 2010 non vinse e si piazzò "solo"
al quarto
posto
destando critiche da parte di chi lo voleva
vincitore. Ancora una volta abbiamo trovato un
pianista singolare e molto interessante. L'estro
e la creatività emergono dalla strepitosa
tecnica. Seduto in un seggiolino molto basso -
vi ricordate Gould- riesce con una postura
regolare e mani aderenti alla tastiera a
calibrare le dinamiche in modo evidente con
giusti contrasti e senza mai esagerare. Abbiamo
apprezzato moltissimo il suo Schumann di
Blumenstück op.19 e della nota raccolta di
brevi brani Davidsbündlertänze op.6 .
L'ineguagliabile articolazione unita ad un
fraseggio chiaro ed espressivo ha portato ad
un'esecuzione di alto livello. Dopo l'intervallo
i brani di Liszt hanno rivelato ancor più le sue
qualità di grande interprete. Specie i primi due
brani , Soiree de Vienne N. 6 e Jeau
d'eux a la
Villa d'Este, calibrati ma vitali
hanno ricordato i massimi interpreti
del
repertorio dell'ungherese. Il brano finale con
la nota Dante Sonata ha degnamente
concluso il concerto di questo grande
interprete, tra i migliori della sua
generazione. Il bellissimo bis chopiniano
concesso al termine del programma ufficiale ci
ha ricordato il concerto
del 2014 che prevedeva tra l'altro due
importanti sonate del polacco. Un Valzer eseguito
in modo rapidissimo ha evidenziato un
virtuosismo intelligente, creativo ed altamente
espressivo. Successo in una Sala Verdi che
meritava il pienone di pubblico. Da ricordare.
14 febbraio 2017 Cesare
Guzzardella
L'ultima replica del Don
Carlo verdiano alla Scala
Il successo ottenuto ieri
pomeriggio nell'ultima replica scaligera del Don
Carlo nella lunga versione in cinque atti è
l'ultimo tassello positivo della gestione
artistica di Alexander Pereira. Prossimamente
troviamo repliche del Falstaff, opera molto
apprezzata per il cast vocale e la direzione di
Mehta e con critica negativa di alcuni- non da
me- per la messinscena di Michieletto. Mehta lo
ritroviamo anche nella Serata Stravinskij
di questi giorni con due importanti
balletti:
Petruska e Le sacre du printemps.
In cartellone troviamo a fine febbraio ancora
Verdi con La traviata nella messinscena
di Liliana Cavani. Ma tornando al Don Carlo,
dobbiamo constatare che il protagonista
indiscusso nella realizzazione della grand
opéra verdiana è stato Myung-Whun Chung. A
distanza di poco tempo dal Simon Boccanegra,
Chung ha portato al successo Don Carlo
attraverso una concertazione di profondo
spessore artistico. Specie nel quarto e quinto
atto dell'opera, la sua direzione molto
dettagliata nelle dinamiche e timbricamente
molto sinfonica, ha destato stupore. L'ottimo
cast vocale, soprattutto nelle sei voci
principali, è piaciuto molto a tutti. Alcune
voci ancora di più. Stabilire una graduatoria di
quelle migliori a mio avviso non è difficile: il
primato per qualità vocale e attoriale spetta
certamente a Ferruccio Furlanetto ( le foto sono
dall'Archivio del Teatro alla Scala), Filippo
II, che dopo quarant'anni di
carriera riesce
ad esprimersi ancora benissimo sia per potenza e
qualità timbrica che per presenza scenica.
Splendida anche la presenza scenica di Eric Halfvarson un Grande inquisitore robusto
timbricamente e di evidente spessore. Al terzo
posto metterei l'ancor giovane ed esperto
Francesco Meli, Don Carlo, più per la
qualità timbrica che per la presenza scenica. I
colori nitidi della sua rotonda voce diventano
eccellenti nelle mezze voci. Nel versante
femminile troviamo al quarto
posto Krassimira Stoyanova, artista che eccelle
attorialmente e che nel definire Elisabetta
ha trovato timbriche ottime, specie nei toni
alti, espresse in crescendo nel corso
dell'opera. A parità troviamo infine le nitide
voci di Ekaterina Semenchuk in Eboli,
ottima attorialmente, e di Simone Piazzola,
valido e spesso incisivo Rodrigo.
Decisamente
valide le altre voci. Eccellente come sempre il
Coro di Bruno Casoni. Di grande qualità la regia
di Peter Stein che riempie le scene soprattutto
con le dinamiche dei personaggi ed è coadiuvato
da una scenografia volutamente minimale e
pienamente azzeccata per valenze geometriche
nella maggior parte delle scene di Ferdinand
Wogerbauer. Eccellenti le luci di Joachim Barth
e appropriati i costumi di Anna Maria Heinreich.
Le uniche scene deboli sono quelle del terzo
atto con una prima scena con troppi colori e
stoffe circensi inadeguate e quindi la scena
dell'auto-da-fé molto fredda e purtroppo
tra le peggiori viste in Don Carlo. Comunque la
resa complessiva di questa edizione è da
considerasi ottima, con parecchie situazioni di
alto valore artistico. Da ricordare a lungo.
13 febbraio 2017 Cesare
Guzzardella
Il ritorno di
Falstaff al Teatro alla Scala
La nuova messinscena di
Falstaff di Damiano Michieletto vista ieri sera
al Teatro alla Scala ci ha convinto. Grazie
all'ottimo e risoluto livello del cast vocale e
del protagonista Ambrogio Maestri (foto
Archivio Teatro alla Scala) e alla valida
concertazione di Zubin Mehta
abbiamo trovato che la grande "scatola
scenica" che conteneva cantanti, mimi, comparse,
ecc., ha giocato
un
valido ruolo di cambiamento in questa
produzione. Questo Falstaff è quello andata in
scena nel 2013 al Salzburzer Festspiele. La
grande ed unica scena era la sala con pianoforte
della "Casa di riposo per musicisti Giuseppe
Verdi" di Milano, opera architettonica di
Camillo Boito, fratello del più celebre
librettista Arrigo, autore anche di quest''ultima
opera verdiana. L'interno è stato ricostruito
sul palcoscenico scaligero da Paolo Fantin,
illuminato in modo eccellente dalle luci di
Alessandro Carletti e movimentato dai costumi di
Carla Teti. Dopo i passati successi di Strehler
e di Carsen, quest'operazione scenica
nell'intelligente regia di Michieletto, se pur
in ambientazione tradizionale, rimane comunque
innovativa. Non è facile per qualsiasi regista
rinnovare una scena con connotati un po'
vecchiotti quali gli interni della neogotica
"Casa Verdi". Il giovane ed
affermato
regista è invece riuscito a rendere varia
l'unica scena con trovate dinamiche interessanti
realizzate dai numerosi personaggi presenti.
L'ambiente iniziale statico di persone anziane è
ringiovanito grazie soprattutto alla presenza
del più giovane e fresco cast femminile con
Carmen Giannattasio, un'ottima Alice già
presente nel lavoro di Carsen-Harding, con
l'ottima Annalisa Stroppa in Meg Page,
con la delicata e femminile Giulia Semenzato in
Nannetta e con l'energica e risoluta
Yvonne Naef in Mrs. Quickly. Ottimo anche
il versante maschile che trova oltre al
consolidato, sempre presente in scena, Ambrogio
Maestri -un Falstaff di alto spessore
canoro e attoriale -Carlo Bosi, pregnante
Dott. Cajus, Massimo Cavalletti, espressivo
Ford. Abbiamo trovato di valore per espressività
e bellezza timbrica la voce di Francesco Demuro,
delicato Fenton bravissimo nei duetti con
la Semenzato. Più che bravi anche Gabriele
Sagona e Francesco Castoro in Pistola e
Bardolfo. Sempre eccellente il Coro di
Casoni. Per concludere: un Falstaff tradizionale
ricco di fantasia che ha soddisfatto pienamente
il pubblico scaligero presente ieri sera e che
vuole essere un omaggio al grande musicista di
Roncole. Prossime repliche previste per il
15-17-19-21 febbraio. Da non perdere.
11 febbraio 2017 Cesare
Guzzardella
Prossimamente la
Camerata Ducale a Vercelli per i concerti di
violino di Mozart
Sabato 18 febbraio 2017 alle
ore 21.00 presso il TEATRO CIVICO di Vercelli un
concerto avrà come protagonisti Guido Rimonda
(violino), Enzo Salzano (viola), Daniele Bogni
(violoncello) e l’ORCHESTRA CAMERATA DUCALE. In
programma la Parte III del l’integrale dei
concerti per violino di Mozart. La serata verrà
introdotta dal musicologo Enrico Maria Ferrando.
10 febbraio 2017 dalla
redazione
Jan Lisiecki in
Conservatorio per Serate
Musicali
Nel 2015 avevamo ascoltato il
pianista canadese- di genitori polacchi- Jan
Lisiecki per Serate Musicali. Ieri lo
abbiamo riascoltato in un programma variegato
che oltre l'amato Chopin, impaginava Bach,
Schumann e Schubert. La prevalenza di musicisti
romantici ha visto nella Partita n.3 in la
minore di J.
S.Bach
un'introduzione settecentesca. Bach è oramai un
punto di partenza per tutte le nuove generazioni
d'interpreti. La qualità sostanziale
interpretativa del grande tedesco è in genere
alta per tutti gli ottimi pianisti della
medesima generazione del nostro, solo con alcuni
è eccelsa. Lisiecki, a 21 anni, è dotato di
tecnica strabordante e brillante, probabilmente
suona di tutto. Il suo Bach perfetto e chiaro
nei dettagli, a volte è eccessivo e inadeguato
nello spirito. Il bisogno di mostrare una
tecnica iper-esecutiva in alcuni frangenti
sovrasta un più riflessivo pensiero. Certamente
è di grande effetto. Nei Quattro
Klavierstücke op.32 di Schumann ha dato una
valida prova espressiva con un'esecuzione di
sicuro livello. Ci è piaciuto meno lo Scherzo
n.1 in si minore op.20 di Chopin nel quale
l'indubbia maestria tecnica di un pianista
superdotato è sacrificata alla giusta ricerca di
un equilibrio polacco che possa paragonarsi alle
interpretazioni storiche. Meglio i Due
Notturni op.48, sempre del genio polacco,
eseguiti dopo l'intervallo. Qui la riflessività
imposta dai rispettivi brani ha portato ad una
maggiore attenzione all'espressione. I celebri
Quattro improvvisi op.142 di F. Schubert
hanno concluso egregiamente
la parte ufficiale del concerto. Bellissime
l'esecuzioni del primo, Allegro moderato,
e del quarto, Allegro scherzando.
Soprattutto nell'Improvviso n.1 Lisiecki ha
mostrato doti di grande pianista: con raffinata
chiarezza espressiva ha centrato il segno
fornendo un'esecuzione perfetta nell'equilibrio.
Ottimo il bis concesso con la celebre
Traumerei dalle "Kinderszenen" di
Robert Schumann. Un pianista con grande talento
che deve ancora crescere, ma con potenziali
decisamente elevati. Bravo e da riascoltare.
Grande successo e lunghi applausi al termine.
7 febbraio 2017
Cesare Guzzardella
GENNAIO 2017
Lucas Debargue alle
Serate Musicali
Il pianista francese Lucas
Debargue al suo debutto milanese per Serate
Musicali si è rivelato un pianista
splendido. Ieri sera ha impaginato un
programma
variegato con due lavori fondamentali,
Gaspard de la nuit di Maurice Ravel e la
Sonata in si minore di Franz Liszt,
preceduti da quattro Sonate di Domenico
Scarlatti, le K 208, K 24, K132 e
K 141. Con le quattro brevi sonate
scarlattiane Debargue ha rivelato da subito la
sua cifra interpretativa giocata su una evidente
interiorizzazione degli elementi musicali
restituiti in modo discreto, senza elargizioni
d'effetto. I timbri
vellutati
hanno fornito uno Scarlatti diverso dal solito
ma certamente creativamente interessante.
Presentatosi in Sala Verdi nella classica giacca
nera, anche con Ravel, Debargue è apparso molto
equilibrato nelle timbriche e particolarmente
espressivo con un finale, nel celebre Scarbo,
di più marcata restituzione. Dopo l'intervallo,
tornato in scena in camicia bianca a significare
il ruolo più combattivo, Debargue ha introdotto
pacatamente le prime note della
magnifica
Sonata lisztiana per poi condurre l'Allegro
energico in situazioni contrastanti
attraverso sonorità sia garbatamente romantiche
che virtuosamente incisive. Un'esecuzione
esemplare per equilibrio e nuova per ricerca
stilistica. Sentiti applausi al termine e due
bis: un pacato Satie e un brano jazz che
dimostra la passione di questo bravissimo
pianista per un genere elargito con impostazione
classica ma decisamente efficace. Da ricordare e
certamente riascoltare.
31 gennaio 2017
Cesare Guzzardella
Gabriele Carcano con
Claus Peter Flor e la Sinfonica Verdi in
Auditorium
L'Orchestra Sinfonica Verdi
ha trovato nei giorni scorsi alla direzione
Claus
Peter
Flor per un impaginato che prevedeva due
importanti composizioni: una di Beethoven con il
Concerto per pianoforte ed orchestra in re
magg. n.5 op.73 "Imperatore" e una di
Bruckner con la Sinfonia n.9 in re minore
Nella prima parte del concerto il pianista
torinese Gabriele Carcano ha dimostrato di
possedere tutti i requisiti necessari per
un'esecuzione di qualità. Lo abbiamo ascoltato
spesso anche in concerti solistici e ci sembra
indubbiamente tra i migliori pianisti della sua
generazione per quel che concerne la tradizione
classica. Il suo tocco preciso, secco e dalle
sonorità tonde ha reso l'interpretazione
beethoveniana fluida e sicura, ben coadiuvata
dalla valida direzione di Flor e dalle timbriche
della Sinfonica Verdi. La facilità esecutiva di
Carcano
ha
rivelato la completa interiorizzazione
della partitura anche se a volte, l'eccessiva
sicurezza è andata a discapito della necessaria
profondità di pensiero che Beethoven pretende.
Comunque ottima l'esecuzione complessiva e
validi i due bis concessi con una sonata di
Scarlatti ed un breve ed intenso Schumann. .
Dopo l'intervallo di qualità l'interpretazione
della sinfonia bruckneriana.
30 gennaio 2017 Cesare Guzzardella
Domenico Nordio a
Vercelli
Ieri sera, sabato 28 gennaio,
al Teatro civico di Vercelli la serata del
Viotti Festival ha visto come protagonista
assoluto uno dei migliori violinisti italiani di
questi anni, Domenico Nordio, che proprio qui a
Vercelli nell’ormai remoto
1987
spiccava il volo per la sua brillante carriera
internazionale, vincendo a soli sedici anni il
Premio Viotti. Nordio era chiamato a
interpretare un programma dedicato
esclusivamente a composizioni per violino e
orchestra di W. A. Mozart, nella seconda ‘tappa’
dell’integrale dedicata dalla odierna stagione
del ViottiFestival a questo settore, in verità
non molto ampio, della produzione mozartiana. Il
programma della serata prevedeva nell’ordine le
seguenti composizioni per violino e orchestra:
l’Adagio in MI magg K261 (scritto probabilmente
come alternativa all’Adagio del concerto K219),
il Rondò in SI bem. Magg.K269 (anch’esso
probabile variante per il terzo tempo del K207),
un altro Rondò, il K373 in DO magg. e, a
conclusione trionfale, la gemma dell’intera
opera violinistica del Salisburghese, il
Concerto in LA magg. K219. Si tratta, come ognun
sa, di un complesso di opere di non
trascendentale difficoltà tecnica,
prevalentemente ispirate a quello stile
‘galante’ di moda tra Vienna e Parigi negli anni
’70 del XVIII sec., la cui cifra caratteristica
è il raffinato arabesco sonoro, più che il
complicato virtuosismo. Ma proprio per questo è
chiamata in primo piano la capacità
interpretativa del solista, anzitutto la qualità
del suo suono. Ebbene, la prima impressione
acustica che le quattro corde di Nordio ci hanno
lasciato è stata quella di una limpidezza
solare, in cui il suono, calibratissimo e di un
vibrato di meravigliosa finezza e misura, veniva
distillato dalla cavata superba del solista in
un fraseggio di fluidità e precisione senza
pari. I paragoni in musica non hanno secondo noi
molto senso, tuttavia ci pare calzante
l’accostamento che ci capitò di leggere tempo fa
tra Nordio e il sommo Jascha Heifetz, un altro
violinista di astrale solarità di suono.
Aggiungiamo un’altra virtù di Nordio: la
duttilità timbrica e nel dosaggio del peso
fonico di ogni singola nota: senza poter
scendere in singoli dettagli, basterà qui citare
come esempio la presentazione del primo tema
dell’Andante del Concerto K219, la cui
folgorante bellezza è stata illuminata da
un’esecuzione che ne ha saputo mettere in pieno
risalto i trapassi dinamici chiaroscurali tra
piano e forte e le sottilmente inquietanti
alterazioni cromatiche, per trasportare poi
l’ascoltatore nella celestiale serenità
dell’idea successiva e di nuovo variare il tono
nel malinconico e sottile Sol# della sezione
sviluppo. Una bellissima esecuzione, premiata da
applausi travolgenti della sala, quasi al gran
completo, e coronati da due bis bachiani, tra i
quali, d’obbligo, la Ciaccona dalla Partita n. 2
, eseguita con suono potente e tecnica
raffinata. Come sempre, ha svolto validamente il
suo compito la Camerata Ducale diretta da Guido
Rimonda. Efficace e sicura nell’accompagnare il
solista, soprattutto nel Concerto K219, che
prevede una parte orchestrale non irrilevante a
fianco del violino solo, con una scrittura densa
di ostinati e note ribattute, puntualmente
staccate da Rimonda, la Camerata ha riservato
per sé sola la scena dopo l’intervallo, con quel
gioiello giovanile di Mozart che è la Sinfonia
in Sol min. K183 n.25. La scelta dei tempi, le
dinamiche e la cura del dettaglio hanno reso in
modo più che adeguato quella febbrile tensione
che accompagna tutta questa sinfonia, presagio
non troppo lontano della grandiosa K550.
Meritatissimi dunque, anche gli applausi per
Rimonda e la sua compagine, che impavidi solcano
le acque tempestose di questi anni durissimi per
la vita musicale in Italia, specie in provincia.
29 gennaio 2017 Bruno Busca
Kavakos-Pace, un
duo di eccellente qualità
Il ritorno di Leonidas
Kavakos e di Enrico Pace ha alzato ancora una
volta il livello medio concertistico milanese,
livello già ottimo ma che con il violinista
greco ed il pianista riminese aumenta a
dismisura. Ieri sera il numeroso pubblico
presente in Sala Verdi per il concerto
organizzato dalla Società del Quartetto è
rimasto entusiasta per l'esibizione musicale
offerta. Il variegato programma
prevedeva
autori consolidati quali Schubert e Beethoven ad
altri meno frequentati,ma ugualmente di valore,
come Janáček e
Messiaen. I primi sono stati eseguiti in modo
alternato dopo i secondi: la Sonata per
violino e pianoforte di Leoš Janáček
ha preceduto la non molto frequentata
Fantasia in do maggiore D 934 di Franz
Schubert, mentre il raro Thème
et variations del francese Olivier Messiaen
ha preceduto la celebre Sonata n.10 in Sol
maggiore op.96 di Beethoven. Tocco magico
per i due interpreti sin dalle prime note della
sonata del musicista ceco: l'equilibrio dei due
strumenti ha pochi rivali in questo genere di
formazione cameristica. Le pesate sonorità del
violino di Kavakos,espresse con momenti di
leggero nitore melodico in alternanza ad altri
di aspra incisività sono stati complementari
all'eccellente parte pianistica di Pace:
pianista perfetto, equilibrato, preciso, che usa
i pedali in modo discreto. L'ottima secchezza
delle timbriche pianistiche mette in rilievo le
pause e l'intervento sinergico del grande
violinista. Dopo questa mirabile interpretazione,
la classicità del duo è emersa sia
nell'apparentemente facile Fantasia D 934
di Schubert che nella celebre Op.96
beethoveniana, mentre i colori tersi e ricchi di
varietà dei due strumenti si sono rivelati nel
bellissimo tema variato di Messiaen, breve ed
intenso lavoro del 1932 dedicato alla moglie
violinista. Due bis con un movimento da un'altra
sonata di Beethoven hanno concluso una serata
tra le migliori di questo mese oramai trascorso.
Da ricordare a lungo.
25 gennaio 2017 Cesare
Guzzardella
Prossimamente al
Viotti Festival di Vercelli Domenico Nordio
Per la diciannovesima
edizione del Viotti Festival sabato, 28
gennaio 2017 alle
ore
21.00, presso il TEATRO CIVICO di Vercelli ci
sarà il quarto concerto della stagione in
abbonamento. Protagonisti della serata il
violinista Domenico Nordio con la Camerata
Ducale diretta da Guido Rimonda. In programma la
seconda parte dei concerti per violino di
Mozart. Il concerto verrà introdotto dal
musicologo Alberto Batisti. Da non perdere.
25 gennaio 2017 dalla redazione
Musica contemporanea con i
Sentieri Selvaggi per la Società del
Quartetto
Nel panorama italiano dei
gruppi che si dedicano alla musica contemporanea
certamente i Sentieri Salvaggi occupano
un ruolo primario. Diretti da Carlo Boccadoro,
compositore, pianista e direttore, il gruppo
storico è da molti anni impegnato nella
diffusione delle musiche di compositori
italiani, europei e nord-americani. La capacità
di adattamento di questi eccellenti strumentisti
alle diverse ricerche sonore fatte in questi
ultimi settant'anni - con riferimenti ai maestri
Boulez, Cage, Berio, alle generazioni
successive, dal minimalismo allo spettralismo,
ecc.-, ci rivela gli enormi potenziali del
gruppo. Ieri sera davanti un
pubblico partecipe
e purtroppo non numeroso come doveva essere, i
Sentieri con formazioni differenti hanno
eseguito sette brani non semplici ma ben
strutturati. Dallo storico Pierre Boulez di
Derive I al Goffredo Petrassi di Tre per
sette, si è quindi arrivati all'esecuzioni
di prime assolute con Dal nero del tempo
di Marco Quagliarini (1973) al Concerto per
pianoforte e strumenti di Gabriele Cosmi
(1988). Queste novità si sono rilevate entrambe
avvincenti per le timbriche chiare, gli sviluppi
armonici e l'efficace resa dei solisti. Tra i
solisti citiamo almeno il bravissimo Andrea
Rebaudengo, pianista presente nella maggior
parte dei lavori, Andrea Dulbecco, vibrafonista
di eccellente qualità e Piercarlo Sacco brillante ed incisivo. Abbiamo ascoltato
anche Altre solitudini per violino e ensemble
di Mauro Montelbetti ( 1969) e
Gelbe Begleitung per flauto, clarinetto,
vibrafono, violino e violoncello di Lucio
Gregoretti( 1961) . L'ultimo brano, di Carlo
Boccadoro (1963) denominato Bad Blood per
pianoforte e 5 strumenti, ha concluso in
modo folgorante il programma ufficiale. Ma una
sorpresa veramente inaspettata ha reso ancor più
preziosa la serata. Alla presenza in Sala Verdi
del celebre compositore inglese M. Nyman, , è
stato eseguito il suo brano Love always
counts. Al termine Nyman è salito sul
palcoscenico insieme a tutti i Sentieri
Selvaggi. Calorosi gli applausi finali.
18 gennaio 2017 Cesare
Guzzardella
Il
mondo ideale di Maurizio Pollini alla Scala
Il concerto ascoltato ieri
sera al Teatro alla Scala ha trovato il 75enne
Maurizio Pollini (foto Brescia - Amisano Archivio Scala) in perfetta forma
intellettuale. Dico intellettuale riferendomi
alle sue chiare idee su come devono essere
eseguiti i brani proposti di Schönberg e di
Beethoven. Ha iniziato con Schönberg, op.11
e op.19, per continuare con
Beethoven, op.13 "Patetica", op.78 e
op.57 "Appassionata". Ha iniziato
con
la Seconda Scuola di Vienna per poi procedere
con la Prima. Evidentemente ha colto quello che
non per tutti è facilmente riscontrabile
all'ascolto, una continuità, raccontata al
contrario, dei due fondamentali periodi
storico-musicali. La sintesi di Schönberg, con i
Drei Klavierstücke e con i brevissimi
Sech kleine Klavierstücke, è stata espressa
in modo mirabile. La
profondità di pensiero del
viennese si è evidenziata dal peso delle note e
delle significanti pause ed è stata resa in modo
eccellente. Con la Sonata n.8 in do minore
le cose non sono andate così bene. Gli acciacchi
del Maestro rilevati da imprecisioni tecniche,
errori e andamenti affrettati nella Patetica,
brano relativamente giovanile di Beethoven,
hanno fatto rabbrividire forse gli ascoltatori
più critici, ma il grande ritorno al Pollini che
conosciamo, profondo ed intenso nella
seconda
parte del concerto, ci ha ricordato di essere
davanti ancora ad uno dei massimi interpreti
viventi. Con la breve Sonata in fa diesis
maggiore Pollini ha trovato la giusta
dimensioni per un'esecuzione di qualità,
scorrevole e brillante. Ma è con la Sonata in
fa minore "Appassionata" che Pollini ha
raggiunto la vetta, e parliamo di vetta ideale,
quella che riguarda il pensiero più che il
suono. Gli errori tecnici non hanno intaccato la
qualità di un'esecuzione che trova in Pollini il
pianista ideale per Beethoven. Gli andamenti
spediti e la sintesi discorsiva
che essi comportano, hanno messo in risalto
l'essenza musicale polliniana fatta di valori
estetici interiorizzati e
restituiti con grande sensibilità. Ascoltando
questa sonata viene voglia
di dire al Maestro di continuare l'attività
concertistica sino ai cento anni.
Qualcuno-Horzowskij- ci è riuscito. Due
splendide Bagatelle beethoveniane come bis e
ovazione da parte del pubblico al completo. Da
ricordare.
17 gennaio 2017 Cesare
Guzzardella
Un duo speciale per
Serate Musicali:
Uto Ughi e Bruno Canino
È un duo storico quello
formato dal violinista bustocco Uto Ughi e dal
pianista napoletano Bruno Canino. Hanno fatto la
storia dell'interpretazione italiana
ritrovandosi spesso in questa formazione con
scelte di repertorio collaudate dove emerge il
virtuosismo del violinista e il fondamentale
supporto del pianista.
Ieri
sera, in Sala Verdi a Milano, l'impaginato
variegato ha certamente convinto il numeroso
pubblico intervenuto in una giornata inconsueta
-il sabato- per l'organizzazione concertistica
Serate Musicali di Hans Fazzari. Nella
prima parte la splendida Ciaccona in sol
minore di Tomaso Antonio Vitali e quindi la
Sonata n.3 in re minore op.108 di Brahms
hanno introdotto la prima parte del concerto.
Ricordiamo che la Ciaccona è opera di un
musicista italiano che per età cronologica
precede di poco Bach e mostra tutta la ricchezza
d'invenzione del repertorio violinistico
italiano. L'affinità di Ughi con il repertorio
italiano, per il quale il violinista rimane
interprete fondamentale, è risultata
evidente. Il suo vibrato luminoso e antico è
emerso anche nel proseguo delle altre
esecuzioni. Valida la celebre sonata brahmsiana,
dove anche il chiaro apporto di Canino è
stato
determinante. Maggior virtuosismo, all'insegna
della bella melodia, quello ascoltato dopo il
breve intervallo. Con la celebre " Meditation"
da Souvenir d'un lieu cher di
Čaikovskij, siamo
entrati nel vivo del concerto. Ughi, in stato di
grazia, ha esternato le sue collaudate qualità
virtuosistiche con la bellezza quasi
"improvvisata" del suo timbro. Assimilabile ad
un concerto per "canto" questa seconda parte ha
mostrato interamente la melodicità
dell'eccellente violino d'epoca impiegato da
Ughi. I colorati brani che compongo la Suite
popolare spagnola di Manuel de Falla hanno
proseguito il concerto e da questi è emersa
anche l'intelligenza musicale dell'ottantenne
Canino, fatta di nitore timbrico, dosaggio delle
pause e uso sapiente dei pedali. Bellissima
esecuzione. L'Havanaise op.83 e l'Introduzione
e Rondò capriccioso op.28 di Camille
Saint-Saëns hanno concluso in modo avvincente la
parte ufficiale del programma. Le parole
ironiche di Ughi hanno quindi introdotto due
classici bis quali la Polonaise in re
maggiore del polacco Henryk Wieniawski e
l'elegante brano del virtuoso viennese Fritz
Kreisler, Schön Rosmarin. Fragorosi gli
applausi al termine con più uscite dei grandi
interpreti. Da ricordare a lungo.
15 gennaio 2017
Cesare Guzzardella
Massimo
Mercelli e Ramin Bahrami al Teatro Civico di
Vercelli
Davvero appagante il concerto
cameristico offerto al Civico di Vercelli ieri
sera, sabato 14 gennaio, dalla XIX edizione del
ViottiFestival: di scena il duo
flauto/pianoforte Massimo Mercelli-Ramin Bahrami,
vale a dire una delle migliori formazioni di
questo organico strumentale oggi a livello
internazionale. Intelligente e intrigante
l’impaginato: Johann S. Bach e il più celebre
dei suoi figli, Carl Ph. Emanuel. Il filo
conduttore: il Palazzo di Sanssouci a Potsdam,
residenza prediletta del grande re prussiano
Federico II Hohenzollern, munifico mecenate e
amante della musica, ottimo suonatore di flauto
e compositore dilettante, al cui servizio fu
Carl Ph. E. Bach e per il quale Bach padre
compose uno dei suoi capolavori più geniali,
l’Offerta musicale BWV 1079, in sostanza una
serie di composizioni polifoniche che elaborano
un tema, il celebre “tema regio”, un difficile
tema cromatico composto dallo stesso Federico II
e proposto al maestro di Eisenach in occasione
del loro incontro, appunto, a Sanssouci. Ed ecco
un programma che alterna sapientemente
composizioni di Bach padre e di Bach figlio: del
primo sono state proposte due composizioni
dall’Offerta musicale , la Fuga canonica in
Epidiapente e il Ricercare a tre (per
cembalo/pianoforte solo), oltre alla Sonata in
Sol magg, trascrizione dalla Sonata da camera
BWV 1022 per violino. Del secondo erano proposte
la Sonata in re min. (senza numero d’opus) e la
Sonata in Do magg. Wq.149. A chiudere una
sintesi ideale (si potrebbe dire: una “cadenza
perfetta”) tra padre e figlio: una
rielaborazione di C. Ph. E. Bach da un’altra
composizione paterna contenuta nell’Offerta
musicale: la Sonata in do min. dal Trio per
flauto violino e basso continuo BWV 1079. Quasi
al centro, subito dopo l’intervallo, veniva
eseguito un breve pezzo Taking it as read,
composto appositamente per Mercalli e Bahrami da
M. Nyman, contemporaneo compositore inglese
legato al c.d. minimalismo, famoso ben al di là
della cerchia degli addetti ai lavori per alcune
colonne sonore cinematografiche, tra cui quella
del film “Lezioni di piano”. Eseguita in prima
assoluta mondiale l’estate scorsa in occasione
dell’Emilia Festival, si presenta in effetti
come una composizione tipicamente minimalista,
nella iterazione di due semplici temi melodici
al flauto, con accompagnamento prevalentemente
accordale del pianoforte, distribuiti in una
rigorosa struttura a Liedform tripartita ABA,
concentrata in un breve giro di battute, per una
durata di poco più di quattro minuti: come
spesso accade con la musica minimalista,
l’iterazione dei suoni e delle melodie sprigiona
un sottile fascino incantatorio, che, unito ad
un sostanziale recupero del tonalismo, rende
questa corrente musicale una delle poche
esperienze di musica “colta” contemporanea
accettabile per il grosso pubblico; in effetti,
il mondo sonoro evocato da questa breve
partitura non strideva poi troppo con quello …di
Sanssouci. Di questo articolato percorso
musicale il duo Mercelli-Bahrami ha fornito,
com’era nelle attese, un’interpretazione di
eccellente livello. Non si tratta tanto di
“fedeltà” filologica, quanto di scavo alle
radici del suono, per ricavarne quella
scintilla, per ritrovarne quel potere evocatorio
che solo il grande interprete sa atingere. La
qualità del suono e le dinamiche hanno in questo
un ruolo essenziale: il flauto di Mercelli e la
tastiera di Bahrami hanno avvolto il mondo
sonoro dei due Bach in una leggera velatura, che
pareva collocarlo in una astratta e remota
distanza di sogno, mentre l’uso sapiente delle
dinamiche ne rendeva limpidi all’ascoltatore i
passaggi fondamentali dell’architettura
compositiva, in particolare nelle parti
contrappuntisticamente più complesse delle
partiture come le ardue polifonie di Bach padre.
Bahrami, com’è risaputo, fa talvolta arricciare
il naso ai bachiani ortodossi per la scelta di
tempi “alla Gould” e un uso immoderato del
pedale e di ‘sforzati’ beethoveniani. Ieri sera,
forse anche perché costretto dai vincoli del
duo, abbiamo sentito un Bahrami molto
equilibrato, che ha eseguito il Ricercare a tre
voci certo con tempi più rapidi di altri
esecutori (non invidiavamo il giovane e
bravissimo voltapagine), ma finalizzati non
certo a esteriore esibizionismo,quanto a
reinventare, ci sembra, il senso stesso della
fuga musicale, come straordinaria costruzione
della razionalità umana, esposta tuttavia alla
perenne rapina del tempo. Un’esecuzione, infine,
quella di Mercelli e Bahrami capace anche di
rendere al meglio i momenti di dolcezza quasi
già mozartiana dei tempi lenti delle
composizioni di Bach junior, nel pieno clima di
una galante sensiblerie” tutta settecentesca.
Grande è ovviamente il merito del flauto di
Mercelli: il suo suono caldo, misurato, dal
fraseggio sempre limpido e con suggestivi
chiaroscuri si è perfettamente integrato con la
tastiera di Bahrami, illuminando con
intelligenza l’intrico della polifonia bachiana.
Grandissimo il successo di pubblico, coronato da
ben quattro bis: due per il duo (la Giga dalla
Sonata in si minore BWV. 1030 e il Siciliano
dalla Sonata in Mi bem. Magg. BWV 1031) e una
per ciascuno per il flauto solo ( una bella
esecuzione delle volute sonore di Syrinx di
Debussy) e per il pianoforte solo ( il Preludio
in do min. dal Volume II del Clavicembalo ben
temperato), pezzo “ di baule” per Bahrami, che
scherzosamente lo ha definito una volta
Mina-Bach, per la sua somiglianza con una
canzone della famosa cantante italiana). Ancora
una volta il ViottiFestival si conferma come un
progetto musicale di eccellente qualità, parte
ormai irrinunciabile del patrimonio
artistico-musicale nazionale.
15 gennaio 2017 Bruno Busca
Ilya Gringolts per
la Società dei Concerti
Da alcuni anni è ospite in
Sala Verdi il violinista russo Ilya Gringolts.
Lo abbiamo ascoltato gli anni scorsi in
solitaria per un tutto Bach quindi con il suo
Quartetto d'archi e ieri sera insieme al
pianista di San Pietroburgo Peter Laul.
L'impaginato
prevedeva tre brani con Sonate per violino e
pianoforte di Dvorak, di Beethoven e di Richard
Strauss. La poco eseguita Sonata in fa magg.
Op 57 del musicista ceco ha introdotto il
valido concerto e la più celebre Sonata n.10
in sol magg. Op.96 ha concluso la prima
parte. Le indubbie qualità dei due interpreti
sono emerse subito. Anche la parte pianistica è
stata sostenuta in modo autorevole da Laul.
Abbiamo trovato maggiormente equilibrata nella
fusione delle parti e di splendida resa
espressiva, la sonata beethoveniana. Qui
Gringolts, ottimamente coadiuvato da Laul, ha
mostrato le sue doti virtuosistiche attraverso
un'esecuzione all'insegna dell'eleganza, con un
uno Scherzo e un Poco allegretto
finali di qualità eccelsa.
Ricordiamo
che l'ancor giovane Gringolts ha vinto nel 1998
il prestigioso Concorso Paganini e da allora ha
suonato con i massimi interpreti e con le
migliori orchestra al mondo. Nella seconda parte
la virtuosistica Sonata in mi bem. magg.
Op.18 di Strauss ha concluso il concerto.
Strepitoso il difficile movimento finale
Andante-Allegro reso con una straordinaria
chiarezza musicale dai due interpreti. Il
virtuosismo della parte violinistica e le
complesse armonie dell'Allegro le
ritroveremo nel celebre poema sinfonico Don
Juan, ma anche in questa esecuzione in duo
abbiamo assaporato una resa dal carattere
molto "sinfonico". Breve ed intenso il bis con
il movimento iniziale da Petruska di Igor
Stravinskij eseguito in modo eccellente. Lunghi
applausi, decisamente meritati.
12 gennaio 2017
Cesare Guzzardella
Prossimamente Ramin
Bahrami al Teatro Civico di Vercelli
Sabato 14
gennaio 2017 alle ore 21.00 presso il TEATRO
CIVICO di Vercelli si terrà il secondo concerto
della sezione cameristica . A pianoforte il
pianista Ramin Bahrami e al flauto Massimo
Mercelli. Verranno eseguite musiche di J.S.Bach.
11 gennaio 2017
dalla redazione
András
Schiff
per la Società del Quartetto
È un piacevole ritorno quello
del pianista ungherese András Schiff in
Conservatorio per i concerti del "Quartetto".
Ancor più piacevole per via dell'impaginato,
di grande varietà con ben quattro musicisti
interpretati -Bach,
Bartók,
Janáček
e Schumann- ma con una serie di brani pensati
dagli autori soprattutto per il mondo giovanile
o per i principianti. Brani che interpretati
dall'ottimo Schiff rivelano come la semplicità
può coincidere con " bellezza e profondità". Mi
riferisco soprattutto alle Invenzioni a due
voci bachiane, eseguite in alternanza con i
Dieci pezzi per bambini di Bartók e i
Tre rondó su melodie popolari; ma anche con
le più complesse Tre burlesche BB 55
sempre dell'ungherese. Dopo il breve intervallo
la raccolta di dieci brevi brani concepita nel
primo decennio del '900 e denominata "Su un
sentiero di rovi" di Leoś
Janáček,
ha preceduto i
diciotto più complessi e celebri lavori
di Schumann
"Davidsbündlertänze
"op.6. Il lungo programma, quasi due ore di
musica, ha trovato uno Schiff in stato di
grazia: dalla semplicità strutturale di alcuni
brani alla maggiore complessità di altri,
l'ungherese ha rivelato ancora una volta la sua
raffinata cifra stilistica mediata da una
perfezione tecnica e da una completa
assimilazione mnemonica del materiale musicale.
La prodigiosa memoria del pianista a volte si
permette di variare con trilli e acciaccature la
scrittura di Bach, rendendola quindi ancora più
varia. Ma è l'equilibrio complessivo di questo
grande talento che stupisce e ci pone di fronte
ad una costante riflessione sulle possibili
restituzioni dell' interprete. E qui ci troviamo
di fronte ad un esecutore che ha fatto del
profondo studio e della riflessione musicale i
suoi punti di forza. Apprezziamo molto la scelta
di Schiff di proporre programmi differenziati
legati da tematiche comuni. Il rapporto
privilegiato tra Bach e Bartók, due B
differenti, lontane ma con molti punti in
comune, lo ritroveremo prossimamente quando il
pianista tornerà in Conservatorio per il
"Quartetto" con altre due serate dedicate ai due
geni, serate che certamente daranno
soddisfazione al pubblico presente in sala. Da
ricordare a lungo.
11 gennaio 2017 Cesare Guzzardella
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