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DICEMBRE 2022
Rinnovato successo per il
Boris Godunov al Teatro alla Scala
Ancora grande successo al
Teatro alla Scala per il Boris Godunov di
Musorgskij diretto da Riccardo Chailly. La
positiva impressione complessiva per l'opera del
grande compositore russo che ha inaugurato la
nuova Stagione scaligera, è stata anche ieri
sera, alla sesta e penultima rappresentazione,
riconfermata dagli interminabili applausi
tributati a tutti i
protagonisti, ad iniziare da
quello maggiormente apprezzato, il basso Ildar
Abdrazakov, una presenza scenica generosa, sia
musicale che attoriale. La prima versione del
Boris, quella del 1869, era già stata diretta da
Gergiev nel 2002 agli Arcimboldi. Dopo vent'anni
è tornata per riconfermare il valore del primo
lavoro, un'opera che in seguito venne
rimaneggiata, ma che in questa versione, l'Ur-Boris,
risulta essere maggiormente incisiva
nell'evidenziare il contrasto tra potere e
popolo. Come accade nelle messinscene più
riuscite, è la somma dei vari interventi
artistici a portare al successo un'opera.
L'alto
livelli del cast vocale, con il protagonista al
top d'eccellenza, la direzione analitica,
incisiva e rispettosa delle voci di Riccardo
Chailly, gli eccellenti Cori, sia quello
principale che quello di voci bianche,
rispettivamente preparati magistralmente da
Alberto Malazzi e da Bruno Casoni, la
complessiva valida regia di Kasper Holten
rimarcata dalle ottime scene di Es Devlin e dai
costumi di Ida Marie Ellekilde, e soprattutto la
splendida musica, molto russa del grande Modest
Petrovi č
Musorgskij, hanno portato ad un risultato
sorprendente, se pensiamo all'entusiasmo
rivelato nelle rappresentazioni in teatro e il
seguito di pubblico televisivo della Prima del 7
dicembre. I pochi elementi di criticità, inerenti alla regia,
sostenuti in alcuni articoli giornalistici, sono
ben poca cosa rispetto ad un lavoro di alta
qualità degno del luogo, il Teatro alla Scala,
dove è stato effettuato. Un lavoro ancora atteso
per l'ultima replica del 29 dicembre. Da non
perdere. ( fotografie di Brescia e Amisano
dall'archivio del Teatro alla Scala)
24 dicembre 2022 Cesare
Guzzardella
Ingrid Fliter e Anton
Dressler
diretti da Pier Carlo Orizio in Conservatorio
Una splendida conclusione del
2022 per la Società dei Concerti con il
concerto della Filarmonica del Festival di
Brescia e Bergamo diretta da Pier Carlo
Orizio e due solisti d'eccezione, quali la
pianista Ingrid Fliter e il clarinettista Anton
Dressler. L'impaginato scelto prevedeva prima il
Concerto
n.2 in mi bem. maggiore per Clarinetto e
Orchestra op.74 di Carl Maria von Weber
(1776-1826), quindi l'Ouverture le Ebridi
di Felix Mendelssohn (1809-1847) e, dopo
l'intervallo, il Concerto n.2 in fa minore
per Pianoforte e Orchestra di Fryderic
Chopin (1809-1847). Weber è noto per l'uso del
clarinetto, sovente utilizzato nelle sue opere.
Nei suoi concerti questo strumento assume poi un
ruolo virtuosistico. Tra i massimi interpreti
dello strumento ad ancia, Dressler ha espresso
con passione, grinta e scorrevolezza i tre
movimenti del noto concerto, trovando rara
elenganza nel bellissimo Andante con moto
centrale, ottimamente coadiuvato dalle timbriche
orchestrali. Di pregnante espressivit à
il bis concesso dal
solista
con il suo brano Prayer per clarinetto
solo. L'efficace direzione di Orizio è poi
emersa in modo evidente nella coinvolgente
Ouverture le Ebridi di Mendelssohn, un
lavoro ricco di tensione emotiva, ottimamente
rivelata dalla compagine orchestrale. Il
frangente più atteso dal pubblico è stato
probabilmente il celebre Concerto n.2 in fa
min. Op.21 per Pianoforte e Orchestra di
Chopin, brano di grande intensità melodica,
sostenuto da una pianista chopiniana doc
quale la Fliter. Le sue qualità interpretative
hanno raggiunto una vetta nel profondo
Larghetto, movimento centrale ben
evidenziato in ogni dettaglio e sorretto
efficacemente dalle sfumate
timbriche
dell'orchestra. La fluidità discorsiva della
pianista, con quei colori molto chopiniani
elargiti da un tocco deciso e luminiso, hanno
pienamente meritato gli applausi tributati dal
pubblico intervenuto in Sala Verdi. L'interprete
è apparsa visibilmente soddisfatta concedendo un
primo bis con il celebre Valzer in do diesis
minore op.64 n.2 dell'amato compositore
polacco e poi un secondo brano di G. Gershwin,
questa volta in duo, avente come protagonista
melodico Anton Dressler - compagno anche nella
vita- per un eccellente arrangiamento del
leggendario Summartime. Ancora applausi
meritatissimi a tutti i protagonisti.
22 dicembre 2022 Cesare
Guzzardella
Il Messiah
di G.F. Händel alle Serate Musicali del
Conservatorio
Una serata impegnativa ma di
esemplare riuscita quella di ieri sera
organizzata da Serate Musicali in
Conservatorio, dove il Coro e Orchestra
Cremona Antiqua, creati e diretti da Antonio
Greco, hanno eseguito il Messiah di Georg
Friedrich Händel. A completare la compagine
orchestrale
e
l'ottimo Coro, c'erano quattro voci soliste,
quelle del soprano Silvia Frigato, del
mezzosoprano Adriana Di Paola, del tenore
Krystian Adam e del basso Alessandro
Ravasio. Il Messiah di Händel è certamente
l'opera più conosciuta del grande compositore
sassone (1685-1759), musicista naturalizzato
inglese che visse gran parte della sua vita a
Londra. Composto nel 1741, l'Oratorio è
suddiviso in tre parti, su libretto di Charles
Jennens dai testi dalle Sacre Scritture.
L'alternanze delle parti corali con quelle
solistiche, tutte perfettamente integrate nella
componente strumentale, hanno trovato una
precisa e dettagliata direzione in Antonio
Greco, un direttore specializzato nel repertorio
rinascimantale e barocco,
con
grande attenzione per le esternazioni corali.
L'imponente componente corale, culminante nel
celebre Hallelujah, che conclude la
seconda parte del monumentale lavoro, ha trovato
nel Coro - che ricordiamo essere stato fondato a
Cremona nel 1993- una resa timbrica di
eccellente espressività. Sono 52 i differenti
momenti musicali complessivi, tra sinfonie,
recitativi, arie, corali e duetti,
ad iniziare dalla Sinfonia, un breve Preludio
in forma di Ouverture francese. Tutte di
qualità, nelle personali timbriche solistiche,
le
quattro voci intervenute alternativamente, poche
volte in duo, per esternare con sicurezza e
limpidi colori le note del grande capolavoro. A
rendere ancor più imponente l' Oratorio gli
interventi di due pregnanti trombe antiche e il
deciso tocco dei timpani. Applausi fragorosi dal
numeroso pubblico intervenuto in Sala Verdi e
naturalmente nel bis concesso intorno alla
mezzanotte, ancora il celebre Hallelujah.
20 dicembre 2022 Cesare
Guzzardella
Mikhail Pletnev,
il poeta delle note alle Serate Musicali
milanesi
Un concerto memorabile quello
di Mikhail Pletnev. Ieri sera ai concerti di
Serate Musicali, il grande pianista russo è
tornato in Conservatorio con il suo personale
pianoforte gran-coda Shigeru Kawai per
deliziare il pubblico
di
Sala Verdi con un impaginato studiato
meticolosamente, quasi a sembrare un'unica
grande Suite di brani. Brahms e Dvo řák,
erani i due musicisti scelti da Pletnev. In
alternanza, lavori più noti del grande musicista
ungherese, quali la Rapsodia n.1 op.79,
l'Intermezzo n.6 Op.118, i Tre
Intermezzi op.117 e la Ballata in sol
minore dall'op.118, con quelli, molti di
rara esecuzione, del grande compositore ceco
quali il Minuetto op.28 n.1, i n.ri 4, 5
e 6 dall'op.52, i n.ri 7,6 e 4 dall'op.101
, i n.ri 3 e 4 dall'op 103 e a
conclusione una selezione da i Quadri poetici
op.85. Il celebre pianista ha, ancora una
volta, rivelato una maestria eccelsa
nell'esprimere i n
modo personale sia i più corposi brani
brahmsiani che quelli di Dvořák,
spesso brevi momenti musicali che nelle mani di
Pletnev diventano pura poesia. Impressionante la
sua capacità di "pesare" il suono, spesso
centellinando le singole note quasi a fermarle
nel tempo. La lettura, sovente non segue le
indicazioni di partitura, ma stravolge il testo
con la sua profonda idea musicale, un'idea di
grande arte estetica, tipica dei pochi
grandissimi
pianisti
entrati nella storia dell'interpretazione. Tra i
frangenti più memorabili, certamente i più brevi
brani di Dvořák
sono stati di più immediata e raffinata
godibilità. Il dominio assoluto del materiale
musicale ha trovato esternazione attraverso la
sua misurata gestualità corporea, espressa anche
con movimenti delle mani minimi e rapidissime
articolazioni digitali che producono sonorità
che sottintendono un pensiero profondo e un'idea
precisa della forma musicale. Eccellenti, al
termine del programma ufficiale, i due celebri
bis con il Notturno Op.9 n.2 di Chopin e
lo Studio Op.2 n.1 di Scrjabin, nelle sue
mani.. due capolavori assoluti. Applausi
calorosissimi.
17 dicembre 2022 Cesare
Guzzardella
Beatrice Rana
alla Società dei
Concerti
È tornata a Milano in
Conservatorio la pianista pugliese Beatrice Rana
alle serate organizzate dalla Società dei
Concerti. Un impaginato in due parti
prevedeva le timbriche romantiche di F.Chopin
con la Sonata n.2 in si bem. minore op.35,
precedute dal tardo romanticismo visionario di
A. Skrjabin, con una selezione di quattro
Preludi dalle Op.re 11e 16, e
di due
Studi
dalle Op.re 42 e 2. La seconda
parte era tutta dedicata alla monumentale
Sonata n.29 in si bem. maggiore Op.106 "Hammerklavier"
di Beethoven. La Rana, da anni è la pianista
italiana più affermata internazionalmente. Le
sue evidenti qualità le abbiamo riscontrate più
volte ascoltandola in diversi repertori. Quello
di ieri, davanti ad un numeroso pubblico con
anche moltissimi giovani, è stato un concerto
che ha lasciato un segno, non tanto per il suo
ottimo Skrjabin con la valida selezioni di brani
eseguiti senza soluzione di continuità o con la
pregnante Sonata op.35 , perfetta tecnicamente e
di rilevante espressività, ma soprattutto per il
Beethoven della Hammerklavier op.106, una
delle ultime sonate beethoveniane, quella più
complessa, ricca di contrasti, che deve molto
nel finale a J.S Bach. La Rana
ha
qui raggiunto una vetta interpretativa che
certamente rimarrà nella memoria di molti
ascoltatori. La visione limpida della celebre
sonata ha prodotto esternazioni variegate ma
coerenti in tutti i movimenti del brano. La
forza espressiva dell'Allegro iniziale e
del successivo Scherzo, mediata da una
gestualità sicura, attraverso una tecnica
perfetta nei dettagli, ha trovato un contrasto
nel meditato e controllato Adagio sostenuto
e nel successivo Largo, mentre con l'Allegro
risoluto del finale, padroneggiato in modo
mirabile dalle due mani con intensa carica
espressiva, si è tornati ad una musicalità
dirompente. La Rana sembra esternare in modo
ancor più efficace le situazioni
melodico-armoniche più complesse, quelle che
richiedono un maggiore controllo
tecnico-virtuosistico. Il pubblico al termine
della memorabile esecuzione ha tributato
ripetuti fragorosi applausi ad una pianista
visibilmente soddisfatta. Due i bis concessi con
un bellissimo Il cigno di Saint-Saëns
nella rivisitazione di Godowsky e quindi un
eccellente Debussy con la Studio n.6 - per
otto dita. Un concerto importante.
15 dicembre 2022 Cesare
Guzzardella
Valentina Ciardelli,
e Anna Astesano ai
Lieti Calici
Avevamo recentemente scritto,
recensendo due dischi, del raro duo strumentale
formato dalla contrabbassista e compositrice
lucchese Valentina Ciardelli, e dall'arpista
Anna Astesano . Ieri in un tardo pomeriggio
musicale e gastronomico, quello organizzato da
Mario
Marcarini
per la rassegna Lieti Calici, presso gli
Amici del Loggione del Teatro alla Scala,
abbiamo avuto l'occasione di ascoltare le due
giovani e valide strumentiste. Le suggestive
sonorità dell'arpa, ben inserite nei colori
caldi del contrabbasso, ci hanno portato in un
mondo sonoro dal sapore orientale attraverso
l'interpretazione di brani scritti dalla stessa
Ciardelli, molti dei quali ispirati dal mondo
orientale giapponese. Di qualità la Randori
suite
in
tre parti della Ciardelli, un brano ricco di
suggestioni sonore espresse pienamente
nell'ottima integrazione delle sonorità
dell'arpa con le timbriche variegate del
contrabbasso suonato nelle più complete
potenzialità. Interessanti anche i brani della
Ciardelli costruiti sulle arie pucciniane tratte
dalle opere Madama Butterfly e Le
Villy. Applausi calorosi al termine del
breve ed intenso concerto e quindi valido il
rinfresco con i vini e prodotti di alta qualità
gentilmente offerti da importanti case
produttrici.
15 dicembre 2022 C.G.
L’ORCHESTRA CREMONA ANTIQUA AL
FESTIVAL CANTELLI DI NOVARA
Ieri sera, martedì 13
dicembre, al Teatro Faraggiana di Novara, il
quarto concerto proposto dagli Amici della
musica, nell’ambito del Festival Cantelli,
vedeva in scena l’orchestra Cremona Antiqua,
fondata nel 2004 e diretta dal Maestro Antonio
Greco, affermatasi come compagine strumentale di
rilievo nell’esecuzione ‘storicamente informata’
come oggi suole dirsi, cioè con strumenti
d’epoca, di un repertorio che dal primo barocco
si estende sino al classicismo
sette-ottocentesco, da Monteverdi a Beethoven.
Ma la serata vedeva anche la presenza, per la
prima volta a Novara, di un giovanissimo (diciannove
anni) violoncellista che si sta ormai
conquistando fama nazionale, il romano Ettore
Pagano, fresco
vincitore,
primo assoluto, dell’edizione 2022 di uno dei
più prestigiosi concorsi internazionali per
violoncello, il Khaciaturian di Erevan. Il
programma proposto è stato un vero e proprio
tuffo in uno dei momenti decisivi della storia
della musica europea, quella complessa fase di
passaggio che nella seconda metà del ‘700 vede
emergere un nuovo linguaggio musicale, che tende
a spostare il suo baricentro dalla ‘facile’ e
limpida cantabilità italiana, di galante melodia,
ad una più complessa articolazione
armonico-contrappuntistica e a una più tesa e
scavata esplorazione di inediti registri
espressivi, presagio del non lontano
Romanticismo. Coerente e inevitabile, con questo
programma, la scelta degli autori: F. J. Haydn,
con il Concerto per violoncello e orchestra in
Do maggiore, Hob VII B/I e con la
Trauersymphonie in mi minore Hob I/44; il Bach ‘italiano’
Johann Christian, con la sinfonia in sol minore
op.6 n.6, per chiudere con l’ancor quindicenne
Mozart della sinfonia in La maggiore n.29 KV
201. Il Maestro Greco colloca gli strumenti
dell’orchestra secondo una disposizione poco
frequente in Italia: ove in genere trovano posto
i violoncelli e i contrabbassi, sul lato destro
dell’orchestra rispetto al pubblico, colloca i
secondi violini e le viole, che così
fronteggiano i primi violini, mentre gli archi
gravi trovano il loro posto nei settori centrali
dell’orchestra, accanto al clavicembalo (tutti e
quattro i pezzi in programma vedono infatti la
presenza del basso continuo, come vuole prassi
dell’esecuzione filologica delle opere di un
periodo ancor legato a tale eredità barocca). Ne
risulta una dimensione spaziale del suono degli
archi che conferisce a questa sezione
strumentale una timbrica particolare, con un
impasto più compatto tra violini secondi e viole,
sicché i violini secondi sembrano suonare talora
di un colore più scuro rispetto ai violini primi,
mentre gli archi scuri, distanziati all’interno
della compagine orchestrale, sembrano allargare
il loro ‘respiro’, in una inedita dimensione
spaziale, quasi ampliando il loro suono.
Eseguendo
i pezzi in programma secondo un rigoroso ordine
cronologico, si comincia con la sinfonia di J.
C. Bach. La sinfonia op.6 n.6 è piuttosto
particolare nel catalogo delle quarantanove
sinfonie dell’ultimo figlio di Bach: pur
denunciando ancora chiare influenze italiane,
soprattutto del Sammartini che fu il suo mentore
durante il soggiorno milanese, come la divisione
in tre tempi e il frequente affiorare di uno
stilema tipicamente sammartiniano come i ‘ritmi
alla lombarda’ (in cui è puntata la nota in
levare), questa composizione si distingue per
un’ispirazione nuova, già segnalata dalla scelta
della tonalità minore, molto rara in questo
autore: le sue consuete leggerezza e serenità
cedono il campo a ritmi più mossi ed inquieti e
a colori più cupi, con effetti espressivi, che,
soprattutto nel tempo lento centrale, hanno già
un sentore di Sturm und Drang: è da qui che
parte il Mozart dell’op.183. La direzione di
Greco è esemplare nella perfetta tornitura del
fraseggio, nella gestione delle dinamiche,
capaci di portare in primo piano le zone più
umbratili di questa partitura, nella cura del
dettaglio motivico e timbrico, spinta quasi al
preziosismo. La Cremona Antiqua si rivela sin
dall’inizio orchestra di notevoli qualità
tecniche ed espressive, complesso cameristico
perfettamente affiatato, e compatto, dal suono
raffinato e pregnante di sottili sfumature
espressive . Queste qualità, unite alla bravura
del solista E. Pagano, rendono ragione dell’alto
livello esecutivo del concerto per violoncello
n.1 di F. J. Haydn, un’altra partitura che
richiede interpreti capaci di esplorarne le più
intense sfumature espressive. In questo, la
collaborazione tra orchestra e solista è stata
ieri sera perfetta. Pagano è violoncellista, a
dispetto dell’età, già maturo, non solo nel
dominio tecnico dello strumento, testimoniato,
senza esibizionismi, nel finale, vero e proprio
scatenamento ritmico dionisiaco, ma anche nella
intensa espressività della cavata. Nel
meraviglioso Andante, il suono del violoncello
del giovane solista romano unisce all’elegante
pulizia del suono e alla chiarezza morbida del
fraseggio, una dolcezza di canto di rara
suggestione, specie quando ascende ai registri
acuti, in cui il rarefarsi del suono, sotto il
vigile controllo delle dinamiche, sembra creare
momenti di estatica sospensione. Un
violoncellista che è ormai molto più di una
promessa, questo ragazzo diciannovenne, che ha
pienamente meritato i calorosi applausi
tributati dal pubblico alla sua esecuzione e al
lungo bis sulla cui identificazione nutriamo
seri dubbi, astenendoci quindi da ogni commento
in merito. La Trauer Symphonie di Haydn in
realtà non giustifica il titolo, peraltro non
d’autore: nessun elemento di lutto (Trauer in
tedesco) in questa quarantaquattresima sinfonia
del Maestro di Rohrau: semmai, certo, una nuova
concezione della composizione strumentale
rispetto alle galanterie dei suoi contemporanei
italiani e tedeschi, alla ricerca di più ricche
potenzialità espressive, che offriranno al
giovane Beethoven più di un motivo di
ispirazione. Il momento più alto di questa
sinfonia, banco di prova di ogni orchestra che
la includa nel proprio repertorio, è senz’altro
l’Adagio, insolitamente in terza posizione, con
lo scopo evidente di accentuare il contrasto
espressivo col finale: Il problema
interpretativo posto da questa stupenda pagina è
quello di conciliarne i due registri che
sembrano escludersi reciprocamente, quello
austero, solenne e quello cantabile, di infinita
dolcezza. , affidata soprattutto ai violini,
primi e secondi, in sordina. Greco raggiunge
pienamente il non semplice obiettivo, puntando
molto sul gioco vario delle dinamiche e dei
timbri: animando gradualmente la tenera melodia
dei violini in un crescendo dinamico,
valorizzando giustamente il ritmo puntato che
sembra sollecitarla, fa successivamente suonare
i corni valorizzandone al massimo quel che di
asciutto e quasi severo avevano rispetto ai
corni d’oggi, fondendo così la dolce effusione
del sentimento, con un più umbratile momento di
sospesa meditazione, con effetto sonoro
bellissimo. Ma Haydn non sarebbe Haydn, se a
questo brivido d’inquietudine non contrapponesse
subito dopo un Finale di brillante e quasi
sfrenato impeto ritmico, di luminoso slancio
vitale, che la Cremona Antiqua, sotto
l’impeccabile direzione di Greco, rende al
meglio, con momenti di vero virtuosismo
contrappuntistico e agogico che coinvolge anche
i fiati (oboi e corni a due).La serata si
concludeva con la ventinovesima sinfonia di
Mozart, la seconda composta dopo la ‘svolta’
dell’ op.183, col graduale, ma piuttosto rapido
allontanamento dallo stile italiano e la ricerca
di un nuovo mondo sonoro, che riconoscesse
all’espressione e all’interiorità uno spazio
sempre più ampio, scuotendosi di dosso trini e
parrucche delle ‘galanterie’ musicali
tardobarocche e rococò. Anche in questo caso
l’interpretazione di Greco è perfetta nel
rendere l’equilibrio tra abbandono lirico e
ricchezza di elaborazione contrappuntistica, fin
dal primo movimento, ove sottolinea la tenerezza
del tema principale, quasi esitante coi suoi
semitoni in appoggiatura, per poi dare vigore
alla sua evoluzione in stile imitativo, con
finezza cameristica dei dettagli. Questa linea
interpretativa permea tutta l’esecuzione della
sinfonia, dall’Andante, in cui la carica
espressiva è data dal continuo gioco di intrecci
tra archi in sordina e le due coppie di fiati (oboi
e corni) a loro volta in dialogo fra loro, il
tutto diretto con grande maestria dalla
bacchetta di Greco, ai decisi e inconsueti
contrasti dinamici del Minuetto, alla tensione
quasi drammatica di alcune sezioni del Finale,
sapientemente portata in primo piano
dall’interpretazione della Cremona Antiqua
rispetto al ritmo da finale ‘all’italiana’ che
ancora la contraddistingue. Bellissimo concerto,
lungamente applaudito alla fine dal pubblico in
sala, tra cui si notavano numerosi ragazzi,
fatto non consueto a Novara, e che torna ad
onore degli Amici della Musica e di chi li
dirige con passione e grande competenza. ( foto
Uff. Stampa Novara)
14 dicembre 2022 Bruno Busca
Khatia Buniatishvili
al Teatro alla
Scala tra tradizione e personale creatività
La pianista georgiana, di
Tbilisi, Khatia Buniatishvili è da anni celebre
in tutto il mondo. Venuta più volte ai concerti
milanesi, ha trovato ieri sera un numeroso
pubblico al Teatro alla Scala. L'impaginato
prevedeva soprattutto musiche di Franz Schubert,
con una coda dedicata a Liszt. È una pianista
particolare la Buniatishvili, che ha trovato una
mediazione tra modalità interpretative
tradizionali, che vogliono essere rispettose dei
compositori, ad altre dove vuole fare emergere
una sua personalità con stravolgimenti
anche
sostanziosi delle note di partitura e dei tempi.
Ieri la celebre Sonata in si bem. magg. D 960
di Schubert ha introdotto un concerto
eseguito senza intervallo. L'ultima sonata
pianistica del musicista viennese ha i primi due
movimenti, il Molto moderato e l' Andante
sostenuto,
particolarmente corposi, mentre i due rimanenti,
lo Scherzo e l'Allegro ma non troppo
conclusivi, si dipanano celermente.
L'interpretazione della Buniatishvili ha trovato
una componente particolarmente riflessiva nei
primi due movimenti- anche se nel primo con
andamento nella norma, si è notata la mancanza
di ritornelli e salto di alcune battute - e con
il secondo, l'Andante sostenuto, eseguito molto
lentamente, quasi a voler fermare il tempo, per
una durata inconsueta simile a quella del primo
movimento da lei eseguito. In contrasto lo
Scherzo e l'Allegro hanno rivelato normali tempi
d'esecuzione. Il completo controllo di ogni
componente musicale nella loro completa
interiorizzazione, ha permesso
un'interpretazione matura, nel solco delle
importanti interpretazioni entrate nella storia.
Anche il successivo Improvviso op.90 n.3,
ha visto modalità discorsive espresse con valida
sintesi nella corretta restituzione. Valida, ma
eccessivamente meditata, la celebre Ständchen
S 560/7 di Schubert- Liszt, che nello
sviluppo temporale scelto ha perso le
caratteristiche tipiche di Serenata.
Le
qualità personali della Buniatishvili, mediate
dalla sua creatività, sono risultate ancor più
nell'ultimo brano dell'impaginato, la
Rapsodia ungherese n.2 in do diesis minore di
Liszt- Horowitz S 244/2 , firmata anche
dalla stessa Buniatishvili, con evidenti
stravolgimenti tendenti ad un'ulteriore sintesi
virtuosistica. Efficace comunque la resa
espressiva, particolarmente d'effetto e assai
apprezzata dal pubblico. La duplice personalità
dell'interprete, tra tradizione ed esternazione
creativa personale, è emersa anche nei tre bis
proposti: partendo da un meditato e valido
Adagio di J.S.Bach- A.Marcello, contrastato
dal noto Precipitato dalla Sonata n.7
op.83 di Prokofiev, sostenuto da una
sorprendente rapida andantura , sino ad arrivare
ad un brano del francese Serge Gainsbourg, La
Javanaise, rivisitato elegantemente in
chiave jazzistica da una protagonista che farà
discutere la critica musicale. Applausi
fragorosi meritati.
12 dicembre 2022 Cesare Guzzardella
Il Premio di Composizione
"Costruttori
di Armonie" al Conservatorio milanese
Ieri sera in Sala Puccini, al
Conservatorio milanese, si è svolta la finale
del Concorso Internazionale di Composizione
organizzato da Serate Musicali con il
sostegno della famiglia Lodigiani. Il Concorso
era dedicato a Giuseppe Lodigiani (1918-2004),
ingegnere ed importante costruttore, con
grande
passioni per le arti e soprattutto per la musica.
Una giuria presieduta dal noto
compositore-voloncellista Giovanni Sollima,
formata anche da Nicola Baroni, Christian
Bellisario, Giorgio Colombo Taccani e Carlo
Galante, ha valutato i cinque brani finalisti:
di Daniel Espen, Evocazione
per violoncello e pianoforte, di Livia
Malossi, Places per
violoncello solo, di Leonardo Marino
Cut per violoncello e
pianoforte, di Luca Rizzo,
Shirasagi Suite per violoncello solo
e di Federica Volante per Mamba
Nero
per
violoncello e pianoforte. La serata,
presentata da Luca Schieppati, ha trovato quali
interpreti lo stesso Schieppati al pianoforte e
Cosimo Carovani e Fabio Mureddu in alternanza al
violoncello. I brani, tutti validi, sebbene con
caratteristiche d'approccio compositivo
differenti, sono stati ottimamente interpretati
e al termine delle esecuzioni la premiazione ha
portato al meritato Primo Premio per Federica
Volante e il suo Mamba Nero, un brano
particolarmente riuscito dove l'ottimo
equilibrio tra la parte solistica del
violoncello, ben sostenuta da Carovani e le
scintillanti armonizzazioni
pianistiche,
sono risultate valide e di pregnante
espressività. Il Secondo Premio è stato
attribuito a Leonardo Marino per il suo Cut,
ottimamente interpretato da Fabio Mureddu e Luca
Schieppati . Assegnato anche il "Premio del
pubblico" al brano Evocazioni di Daniel
Espen, un lavoro immediato per la sua liricità,
con timbriche mediterranee di subitanea presa
emotiva. Di qualità anche gli altri lavori.
Sagnalo l'interessante lavoro per
violoncello
solo Evocazioni di Livia Malossi, un
brano dove la tecnica violoncellistica, con le
numerose potenzialità dello strumento, è stata
ottimamente esaltata da Cosimo Carovani.
Applausi calorosi al termine della serata,
particolarmente riuscita, ai compositori, agli
interpreti, e ai molti intervenuti della
famiglia Lodigiani.
11 dicembre 2022 Cesare
Guzzardella
Gabriele Duranti per i "Quadri"
di Musorgskij per la Prima diffusa
La Prima diffusa del
Boris Godunov di questa Sera alla scala si potrà
ascoltare e vedere anche in trentadue sale
milanesi o altre location attivate
per
l'occasione. Tra i più importanti teatri, sia
centrali che periferici di Milano, anche il
Conservatorio milanese proietterà l'opera di
Modest Musorgskij nelle due capienti sale
disponibili, con oltre duemila posti a
disposizione per chi volesse assistere in
diretta al capolavoro russo. Tra le iniziative
anticipatrici della musica del grande
compositore segnaliamo il concerto tenuto ieri
nel tardo pomeriggio da Gabriele Duranti,
pianista ventiduenne emergente nel panorama
italiano. Ieri in Sala Puccini ha infatti
eseguito la più celebre delle composizione di
Musorgskij, quei Quadri di un'esposizione
che volevano essere una promenade in più
momenti musicali ispirati dalla mostra del
pittore russo, amico del musicista, Victor
Hartmann, scomparso prematuramente a San
Pietroburgo. Duranti, ha interpretato con forza
di esternazione ed equilibrata visione
complessiva i Quadri ottenendo applausi
convinti dal numerosissimo pubblico intervenuto.
Il breve ma intenso concerto è stato presentato
dal nuovo direttore del Conservatorio, M.tro
Massimiliano Baggio ,
e da un rappresentante di
rilievo dell'Accademia del Teatro alla Scala
quale il M.tro Daniele Borniquez. Interessante è
stata anche la visita alla mostra Verso l'Ur-Boris.
Il cammino italiano dello Zar Boris, che ha
preceduto il recital pianistico
07-12-22 C.G.
Il duo jazz Alderighi &
Trick
alle Serate Musicali del Conservatorio
Un programma diverso dal
consueto e indubbiamente di grande interesse ed
afficacia musicale, quello ascoltato ieri sera
in Sala Verdi ai concerti organizzati da
Serate Musicali. Il Duo pianistico formato
dal milanese Paolo Alderighi e dalla
statunitense Stephanie Trick, ha impaginato una
ventina di brani jazz presentati dallo stesso
Alderighi, il quale ha messo in rilievo
l'influenza che la musica d'oltre oceano, nata nei
primi decenni del
secolo scorso, ha apportato al
mondo classico europeo. La formazione "classica"
dei due eccellenti pianisti, è stata avvertita
nelle loro modalità interpretative. I brani
eseguiti, ripercorrendo la storia del jazz con i
ragtime, stride piano, boogie woogie, blues e
swing, erano loro ottime trascrizioni per due
pianoforti, per pianoforte a quattro mani e solo
alcuni per pianoforte solista. La perfezione
tecnica del duo, centellinata in ogni singola
nota, ha portato ad esecuzioni chiare, precise e
ricche d'espressività. Una tecnica, quella loro
, certamente diversa da quella dei pianisti jazz
del passato che conosciamo, dove spesso
l'improvvisazione e il bisogno anche "d'imperfezione", nate da modalità differenti di
fare musica, erano la norma. Abbiamo ascoltato
brani di Nick La Rocca, Scott Joplin, Irvin
Berlin, Louis Armstrong, Porter Graincer,
Clarence Williams, William Handy, Eubie Blake,
Fats Waller, Sholom Secunda, Duke Ellington, con
classici come St.Louis Blues, Maple
Leaf Rag, Sophisticated Lady, solo
per citare i più noti, arrivando al termine
del
concerto al più "occidentale" degli statunitensi
con George Gershwin e un ricchissimo medley
da Un Americano a Parigi e ad altri
celeberrimi brani. La discorsività del duo,
equilibrato e spesso divertente nella gestualità
- soprattutto in quella a quattro mani- ha
portato ad un meritatissimo successo, dovuto sia
alla felice scelta dei brani proposti, che alla
sorprendente intesa della coppia Alderighi
&Trick, interpreti che hanno il merito di
nobilitare il migliore repertorio jazz,
allontanandolo da quella errata sudditanza, in
parte ancora presente, rispetto alla cultura
musicale classica. Come ben evidenziato dal
pianista milanese, musicisti europei quali
Debussy, Ravel, Stravinskij, Milhau e ancora
altri, avevano messo in evidenza la grandezza di
quella musica ricca di raffinatezze e ritmo,
dedicando al jazz loro importanti composizioni.
Rilevanti il medley di brani natalizi in
versione jazz, eseguiti come primo bis e anche
il brano jazz concesso come secondo. Una serata
piacevolissima e divertente che ha portato a
fragorosi e meritatissimi applausi.
6 dicembre 2022 Cesare
Guzzardella
La
Quinta
edizione
del "Concerto per Antonio" in
Conservatorio
La quinta edizione del
"Concerto per Antonio" dedicato ad Antonio
Mormone, fondatore e Presidente della
"Fondazione
La Società dei Concerti",
si è svolta ieri sera in Sala Verdi, nel
Conservatorio milanese. Enrica Ciccarelli
Mormone, attuale presidente e organizzatrice dei
concerti
della
nota società musicale, ha introdotto la serata.
Un vero spettacolo quello visto ed ascoltato,
con tre importanti interpreti quali la pianista
veneta - di Jesolo- Gloria Campaner, la
violinista comasca Emma Arizza ed il soprano
argentino Ivanna Speranza, ai quali si è
aggiunta anche Enrica Ciccarelli, anche ottima
pianista, presente in due brani lirici come
accompagnatrice. Gli interpreti si sono
alternati in brani diversificati, suonando anche
in coppia o in trio, da quelli più impegnati ad
altri più "leggeri", ma sempre di valida resa
interpretativa. La Campaner ha introdotto la
serata con una sequenza di nove Preludi
scelti tra i 24 Preludes Op.28 di Chopin.
Di
ottima resa espressiva i brani del polacco,
mediati anche da una profonda interiorizzazione,
resa
evidente dalla significativa componente gestuale
dell'ottima interprete. Rilevanti i brani per
violino interpretati della Arizza, accompagnata
dalla Campaner nei Romantische Stücke op. 75
n. 1 e n. 2 eseguiti con romantica
chiarezza timbrica e profonda espressività, e
nella nota Calabrese op.34 n.6 di Antonio
Bazzini, interpretata dalla giovane musicista
con valente virtuosismo. La componente del canto
ha trovato una valida voce, intonata, estroversa
e ben dosata, in Ivanna Speranza. Prima con due
Romanze di F.P. Tosti, precisamente
Malia e Visione, con accompagnamento
pianistico della Ciccarelli e valido controcanto
violinistico della Arizza; quindi tre brani di
differenti autori con la Speranza accompagnata
dalla Campaner: di P.Luna De Espana vengo
(El nino judio), di L. Arditi il pregnate Il
bacio e di
G.
Gimenez Me llaman la primorosa (El
Barbero de Sevilla). Tutti brani intepretati con
vigore timbrico dalla Speranza, soprano dotata
anche di rilevanti qualità attoriali. I brani di
canto sono stati intervallati dalla valida resa
interpretativa della Campaner nell' eccellente
trascrizione per pianoforte di Tatjana
Nikolajeva della celebre Toccata e Fuga in re
min. BWV 565 di J.S. Bach, dall'originale
per organo. Interpretazione energica,
determinata, con caratteristiche organistiche
per le riverberanti timbriche. Applausi
fragorosi a tutti i protagonisti ed un riuscito
bis "improvvisato" dalle tre principali
interpreti con il celebre Libertango di
Astor Piazzolla. Applausi fragorosi e ripetuti
in questa splendida serata.
4 dicembre 2022 Cesare
Guzzardella
L'Orchestra Sinfonica
giovanile di Milano con Enrico Dindo e Jaume
Santonja
Dopo
il concerto diretto ieri sera con l'Orchestra
Sinfonica di Milano, il direttore spagnolo Jaume
Santonja si è trovato di fronte alla compagine
giovanile della Sinfonica di Milano, una
formazione recente formata da giovani promesse.
Il programma del tardo pomeriggio prevedeva
prima il Concerto per violoncello e orchestra
op.104 di A. Dvorak e quind i
la Suite dallo Schiaccianoci di P.I.
Čajkovskij.
Nel primo lavoro la prestigiosa presenza del
violoncellista Enrico Dindo ha nobilitato
l'interpretazione ottimamente diretta da
Santonja e restituita con determinazione
dai giovani orchestrali. Valida anche la
successiva Suite del secondo russo. Applausi
fragorosi dai mumerosi spettatori intervenuti.
3 dicembre 2022 C.G.
Jaume Santonja
alla guida
dell'Orchestra Sinfonica di Milano per Mozart,
Sibelius e Strauss
È tornato a dirigere l'Orchestra
Sinfonica di Milano lo spagnolo Jaume
Santonja. Il direttore ha proposto ieri sera in
Auditorium tre lavori di compositori diversi.
Dal classicismo di Mozart con il celebre
Concerto per pianoforte e orchestra in la maggiore
K 488 siamo poi passati al tardo
romanticismo con due brani, tra loro vicinissimi
nel tempo, con En Saga
op.9 di Jean
Sibelius e Don Juan op.20 di Richard
Strauss. A sostenere l'intensa parte solistica
del concerto mozartiano c'era il pianista
ventiduenne israeliano Tom Borrow. L'equilibrio
strumentale del concerto che il musicista
salisburghese compose nel 1786, ha trovato la
precisa direzione di Santonja e la tenue
discorsività di Borrow, un eccellente pianista
che attraverso un tocco leggero ma ricco di
espressione ha ben condotto la fondamentale
parte solistica in piena sintonia con i
dettagliati colori orchestrali. Di profonda resa
emotiva le poche ed intense note del movimento
centrale Adagio, in contrasto con la
fluidità ben delineata dai movimenti laterali
Allegro e Allegro assai. Di evidente
qualità l'interpretazione complessiva.
Dopo il
breve intervallo, l'allargamento degli strumenti
dell'orchestra tipico delle formazioni
tardo-romantiche, ci ha messo di fronte a due
lavori di fine Ottocento: uno assolutamente di
raro ascolto come quello del musicista
finlandese Sibelius con la sua En Saga
del 1892, nella revisione del 1902, l'altro, tra
i più celebri del musicista tedesco Strauss, con
il poema sinfonico Don Juan del 1888.
Entrambi i brani caratterizzanti del linguaggio
tipico dei rispettivi compositori, hanno trovato
adeguata resa interpretativa nella direzione di
Santonja e nella restituzione della Sinfonica di
Milano. El Sega, nella sua coloristica glaciale
nordica, è un esempio di originalità moderna nel
sapiente uso delle ritmiche irregolari e nella
sovrapposizione di piani sonori contrastanti,
mentre nel Don Juan il virtuosismo esasperato
orchestrale raggiunge vertici assoluti con
frangenti anche melodici negli interventi
solistici. Un ottimo concerto quello ascoltato,
che troverà una replica domenica 4 dicembre ,
alle
ore 16.00. Da non perdere.
3 dicembre 2022 Cesare
Guzzardella
NOVEMBRE 2022
Nicolas Altstaedt e
Alexander Lonquich ai concerti organizzati da "Serate
Musicali"
Con orario d'inizio in
anticipo rispetto il consueto, è stata eseguita
in Sala Verdi l'integrale delle Sonate per
violoncello e pianoforte di Ludwig van
Beethoven. I due eccellenti interpreti erano il
violoncellista Nicolas Altstaedt ed il pianista
Alexander Lonquich. Lonquich non ha bisogno
certo
di
presentazioni in quanto da moltissimi anni è tra
i migliori interpreti di repertorio sia classico
che in quello più vicino ai nostri giorni. Dopo
il Primo Premio al Concorso Casagrande di Terni
del 1977 ha iniziato una brillante carriera
concertistica, dedicandosi successivamente anche
alla direzione orchestrale. Il più giovane
violoncellista, il franco-tedesco Altstaedt, ha
intrapreso un'importante carriera internazionale
vincendo numerosi premi e dedicandosi anche alla
musica contemporanea, eseguita con i massimi
strumentisti, i più noti direttori e le
orchestre più prestigiose. L'impaginato classico
di ieri sera, dedicato al genio di Bonn, ha
trovato quindi due interpreti in perfetta
sinergia e con una visione musicale simile,
giocata sia sulla profonda riflessione che
sull'energica esternazione. Le Cinque Sonate di
Beethoven, composte tra il 1796 e il 1815,
rappresentano una summa musicale del repertorio
violoncellistico e sono importanti anche in
quello pianistico,
essendo
la componente per tastiera sempre in primo piano
sia nella costruzione melodica che in quella
armonica. La fluidità discorsiva dei due
interpreti, con Lonquich sempre preciso nelle
perfette scansioni strutturali dei brani e
Altstaedt incisivo nell'elargire le melodie con
evidente intensa espressività, ha determinato
interpretazioni di alto livello, rese con
misurato equilibrio nei giusti rapporti
dinamico-ritmici. Nelle oltre due ore di musica,
ogni movimento ha trovato perfetto inseriment o
nelle rispettive
sonate, dalla n.1 e n.2 dell'Op.5,
alla terza dell'Op.69, fino alle ultime
due dell'Op.102. Segnaliamo almeno due
movimenti della sorprendente Sonata n.5 in re
maggiore con l'intenso Adagio
centrale eseguito con lenta andatura e profonda
riflessione e l'Allegro fugato finale
giocato su una polifonia tipicamente bachiana
elargita con straordinaria conpenetrazione
timbrica dai due musicisti. Applausi intensi al
termine della serata da parte del numeroso
pubblico intervenuto in Conservatorio e
splendido il bis concesso con lo Scherzo
pizzicato dalla Sonata per violoncello e
pianoforte op.65 di Benjamin Britten. Grande
serata!
29 novembre 2022 Cesare
Guzzardella
La musica di
Francesco Paolo
Frontini in Conservatorio per Patrizia Patelmo
È stata per molti una
piacevole scoperta ascoltare le belle melodie di
Francesco Paolo Frontini, musicista siciliano
nato a Catania nel 1860 e deceduto nella stessa
città nel 1939. Autore fecondo in un repertorio
vasto
ed
eterogeneo, è rimasto alla storia per quel
grazioso e orecchiabile brano chiamato Il
piccolo montanaro ( Le petit montagnard).
Non molti hanno sentito anche la Serenata
araba o la Marcia trionfale. In
realtà la produzione lirica di Frontini andrebbe
riscoperta e anche le sue centinaia di melodie.
Numerose sue opere (Nella, Sansone, Aleramo, ecc.
) vennero rappresentate a cavallo dei due secoli
e il suo amore per la sua terra è testimoniato
dai cinquanta Canti popolari siciliani.
Ieri, nel tardo pomeriggio, per la rassegna
Musica Maestri!, nella Sala Puccini del
Conservatorio milanese, il mezzosoprano
siciliano
Patrizia Patelmo e la pianista russa Svetlana
Kosyatova hanno intrattenuto il numeroso
pubblico intervenuto con 14 Arie da Camera
-una quindicesima si è aggiunta come bis-
donandoci un quadro ampio della mirabile
produzione melodica di Frontini. Brani più
leggeri o più impegnati si sono alternati,
mediati dalla colorata e voluminosa voce della
Patelmo e dalle chiare e precise note della
Kosyatova. Bravissima la cantante ad introdurre
con chiare parole ogni brano prima di ogni
interpretazione. Marinaresca, Nenia, A se
stesso, Dispetto, Fotografia, Vorrei Sapere,
Lasciatemi dormir e tutti gli altri, si sono
succeduti rivelando un compositore importante,
legato al suo tempo e con molti legami in Europa,
tanto da essere molto apprezzato nella sua
produzione lirica dal francese Julies Massenet.
Un'importante scoperta!
28 novembre 2022 Cesare
Guzzardella
Alessio Bidoli e Stefano
Ligoratti ai Lieti Calici
L'ottimo tardo pomeriggio
milanese degli Amici del Loggione di via Silvio
Pellico 6, ha visto come protagonisti della
rassegna "Lieti Calici" il violinista
Alessio Bidoli e il pianista Stefano Ligoratti.
Il duo strumentale ,
di fronte ad un folto pubblico,
ha voluto omaggiare Giuseppe Verdi attraverso
alcune parafrasi dedicate alle sue opere. La
scelta dei due validi strumentisti, preceduta
dalle parole di Mario Marcarini, è caduta su
Traviata e su Un ballo in maschera,
nelle rispettive fantasie di Antonio
Bazzini
(1818 -1897) e di Camillo Sivori (1814-1894). I
due violinisti-compositori, noti per le loro
abilità strumentali virtuosistiche, in questi
brani hanno riunito i momenti più peculiari dei
due lavori, restituendo in modo personale
le arie più celebri. Alessio Bidoli, violinista
che ha già prodotto numerose incisioni
discografiche dimostrando di fare ricerca
musicale in un territorio vasto e spesso non
conosciuto, ha ben restituito la melodicità del
canto lirico delle due opere con il suo
voluminoso strumento, coadiuvato dall'ottimo
Ligoratti, pianista tra i più affermati tra le
nuove generazioni d'interpreti. Bene il Verdi
della Traviata e ancor più preciso ed intonato
quello corposo ed intenso di Un ballo in
maschera, dove ci è
apparsa
una maggiore determinazione e sintonia delle
corde violinistiche con le atmosfere verdiane.
Decisamente di qualità i due bis concessi al
termine con due brani di Antonio Bazzini: la
celebre Ridda dei folletti e la meno
frequentata Calabrese. Due brani che
hanno ancor più esaltato le doti virtuosistiche
di Bidoli, attraverso un'interpretazione
scorrevole, grintosa e ricca di energia per
un'evidente espressiva. Applausi calorosi ai due
interpreti e quindi la consueta seconda parte
della serata con brindisi di ottimi vini offerti
da Apollo by Ensto e anche Gin, panettoni
e squisiti cioccolatini. Il prossimo
appuntamento per la rassegna Lieti Calici
è il 14 dicembre. Da non perdere.
27 novembre 2022 Cesare
Guzzardella
IL
VIOTTI FESTIVAL DI VERCELLI FESTEGGIA LE NOZZE
D’ARGENTO CON UN OMAGGIO A …VIOTTI
Il XXV° Viotti Festival di
Vercelli, promosso e organizzato con crescente
consenso di pubblico e critica dall’Orchestra
Camerata Ducale, ha ufficialmente inaugurato
ieri sera, 26/11, sul palcoscenico del Teatro
Civico, la sua lunga stagione con un concerto
monograficamente dedicato al grande violinista,
cui il Festival vercellese è intitolato, vissuto
tra 1755 e 1824. Il Maestro Guido Rimonda,
violinista e direttore della Camerata Ducale, è
anche uno dei più autorevoli studiosi dell’opera
del grande violinista di Fontanetto Po (Vc),
promuovendo il sacrosanto riconoscimento di una
figura-chiave nella storia della musica per
violino nel periodo cruciale del passaggio tra
‘700 e ‘800, che forse è stata oscurata oltre il
lecito dalla fama del più giovane Paganini. Il
programma del concerto, accanto ad un’ antologia
tratta dai più di trenta concerti per
violino
e orchestra di Viotti, presentava un ‘ genere’
dell’opera del compositore vercellese del tutto
inusuale, per non dire completamente sconosciuto,
salvo, pensiamo, ad una ristretta cerchia di
studiosi specialisti: le arie per ‘opera lirica.
Intendiamoci: Viotti non compose mai un’opera
per teatro musicale. Le arie di cui si parla
furono composte per essere inserite in opere
scritte da altri autori,, in occasione di
qualche rappresentazione. Questa pratica di
manipolare i libretti con la soppressione e
l’aggiunta di arie era comunissima a quel tempo:
basti considerare il gran numero di melodrammi
tratti dall’"Olimpiade "
di Metastasio : non ce n’è uno uguale all’altro
Il pubblico presente ieri sera al Civico ha
dunque potuto, crediamo per la prima volta,
ascoltare l’aria “Consola amato bene” composta
da Viotti per essere inserita in una
rappresentazione dell’opera “Una cosa rara”
(1786) di Vicente Soler, un compositore spagnolo,
oggi condannato a un quasi totale oblio, ma che
a fine ‘700 godeva di gran fama, tanto che a
Vienna la sua “Cosa rara”, su libretto di Da
Ponte, trionfo’ sulle contemporanee “Nozze di
Figaro” di Mozart, che ebbero solo due
rappresentazioni, contro le ben settantotto (!)
repliche dell’opera dello spagnolo. L’altra aria
viottiana, “Che gioia, che contento” fu scritta
per essere inserita ne “Le nozze di Dorina”
opera dell’italiano Giuseppe Sarti, messa in
scena al parigino Theatre de Monsieur, diretto
da Viotti stesso. Se, come s’è detto, Viotti non
compose mai un’opera, tuttavia un suo interesse
per il canto è testimoniato, nel suo abbondante
catalogo, da un discreto numero di composizioni
per soprano e pianoforte, di cui saremmo curiosi
un giorno di ascoltare qualche saggio,
in
quel tempio viottiano che è il Civico di
Vercelli. A interpretare questo impaginato
inaugurale erano il Maestro Rimonda con la
Camerata Ducale e, per le due arie, il soprano
russo-ucraino, ma ormai di cittadinanza italiana,
Ekaterina Bakanova. Cambiando completamente
l’ordine delle composizioni previsto dal
programma (cosa che al Viotti Festival avviene
con una certa frequenza: sia chiaro, non dà il
minimo problema all’ascoltatore, però ce ne
sfugge il motivo), la serata ha inizio con
quella che doveva esserne le trionfale
conclusione, il concerto per violino e orchestra
n.27 in Do maggiore (1794). Questa composizione,
come tutte quelle dal.20 al 32 del catalogo W
dell’opera del Maestro vercellese, fa parte dei
c.d. concerti ‘londinesi’, dal luogo di
composizione e dove Viotti morì. Come segnalato
dal programma di sala, i concerti londinesi
segnano il culmine dell’opera viottiana, perché
alla componente virtuosistica aggiungono una
ricerca più impegnata sui colori timbrici
dell’orchestra, un dialogo più serrato tra
strumento solista e orchestra, accompagnato da
una linea melodica più appassionata e intensa
che nel periodo precedente. Tutte queste
caratteristiche, chiaramente influenzate dal
nascente Romanticismo, dell’ultimo Viotti,
vengono illuminate alla perfezione
dall’interpretazione di Guido Rimonda e della
Ducale: le quattro corde dell’ormai leggendario
‘Noir’ di Rimonda, affrontando impavide le varie
difficoltà ‘tecniche’ disseminate ovunque nella
partitura viottiana, con una cavata di suono
sempre intensa e calda, dal fraseggio nitido e
preciso anche nelle zone più acute, con colpi
d’arco che sembrano scolpire le note anche nei
passaggi di più travolgente velocità,
accompagnano l’ascoltatore lungo tutto il
viaggio nel mondo sonoro di questo gran bel
concerto, dall’elaborazione tematica primo
tempo, classicamente in forma sonata, ma con
momenti di notevole originalità, all’Andante,
dall’atmosfera già romantica con la sua melodia
principale improntata ad un intenso pathos
sentimentale, all’Allegretto finale, (Rondò)
tutto impostato sul dialogo tra solista e i vari
strumenti dell’orchestra, un dialogo movimentato
da un’agogica varia e reso godibile dalle
fresche melodie del ritornello e dei couplets.
L’orchestra ha reso al meglio quelle pennellate
timbriche di cui si diceva, con un’ottima
esecuzione sia da parte della sezione degli
archi, sia da parte di quella dei fiati, cui la
presenza di due fagotti e due corni ( se da dove
eravamo abbiam visto bene, ma così è indicato in
partitura) conferiva un fondo oscuro e
squillante a un tempo, piuttosto singolare. Dei
tre restanti pezzi per violino e orchestra,
tratti antologicamente da altrettanti concerti
di Viotti, più che l’Allegretto finale (Rondò)
del concerto n.25 in La minore (1792), brano
spiritoso per gli interventi del triangolo che
lo punteggiano su un ritmo vagamente
all’ungherese del tema principale e con vaghe
reminiscenze haydniane, con gran sfoggio di
virtuosismo da parte del solista, ci hanno
colpito l’Andante dal Concerto n. 23 in sol
maggiore., e la Romance Adagio dal Concerto n.4
in Re maggiore. Il primo è il tempo centrale di
uno dei concerti che più lanciarono la fama di
Viotti in Inghilterra, tanto che tale concerto
fu soprannominato “John Bull” (personificazione
della G. Bretagna), per la popolarità di cui
godé oltremanica. Questo magnifico Andante
potrebbe essere definito un omaggio a Händel,
per la ricchezza armonica e l’atmosfera di
solennità quasi sacrale, un mondo sonoro come
sospeso in un clima di assorta meditazione, reso
benissimo dal violino solista e
dall’accompagnamento orchestrale. Il secondo
pezzo, al contrario, si distingueva per una
limpidezza serena, che il ‘noir’ di Rimonda
interpreta al meglio con il nitore delle sue
arcate e il timbro caldo del suono. Ottima anche
la prestazione della Bakanova nelle due arie,
accompagnate dall’orchestra, che era chiamata a
cantare ieri sera. La Bakanova è un soprano di
agilità, di ottime capacità sulle colorature e
sui salti d’intervallo, con un acuto e un
sovracuto che conservano un perfetto timbro
vocale e un ‘fiato lungo’, che le consente un
fraseggio fluido in ogni registro. Se l’aria “Che
gioia, che contento”, non va oltre i limiti del
convenzionale, l’altra aria, “Consola, amato
bene”, è pezzo vocale di livello artistico
superiore al precedente, sia per l’elaborazione
motivica, sia per l’impegno richiesto alla
cantante, che lo ha pienamente assolto,
dimostrando le sue commendevoli qualità. Gli
applausi scroscianti del folto pubblico,
doveroso tributo a un gran bel concerto, hanno
ottenuto un bis, l’aria “Che gioia, che contento”.
A proposito del pubblico: ci ha fatto
trasecolare la presenza, eccezionalmente
numerosa, per una sala da concerto italiana, di
giovani e giovanissimi. L’intelligente politica
della Camerata Ducale, in questo caso guidata
dal suo impareggiabile Direttore Artistico
Cristina Canziani, che punta molto ad attrarre
un pubblico giovanile e che quest’anno (caso
pensiamo unico in Italia) ha previsto
abbonamenti gratuiti alla stagione 2022-23 per i
giovani under 26 , ha già dato i suoi primi,
saporosi frutti. In questo Vercelli sia
d’esempio a tutta Italia, a cominciare dalla
vicina Novara, dove, pur con un ottimo
Conservatorio e ben due scuole civiche di musica,
ai concerti di musica ‘classica’ non vedi un
under 50 neanche a cercarlo con la lanterna di
Diogene!
27 novembre 2022 Bruno Busca
Il pianoforte di
Rudolf Buchbinder
per la "Società dei concerti"
Ieri doppio appuntamento
nella Sala Verdi del Conservatorio
milanese per il pianista viennese Rudolf
Buchbinder. Nel pomeriggio per la serie
Zaffiro, e alla sera per la serie Rubino,
abbiamo ascoltato soprattutto sonate di
Beethoven anticipate, nel programma pomeridiano,
dai quattro Improvvisi op.90 D 899 di
Franz Schubert. Il celebre virtuoso, specialista
soprattutto del repertorio classico di fine '700
e della prima metà dell'800, con una
passione
rivolta da decenni per Haydn, Mozart, Schubert e
Beethoven, ha ancora una volta restituito in
modo altamente espressivo lo spirito del mondo
classico, con uno stile interpretativo elegante
e fluido, tipico della grande scuola pianistica
viennese. Dopo il valido Schubert pomeridiano,
ben sette Sonate pianistiche - l'Op.49 n.2
e l'Op.13 "Patetica" nel pomeriggio e
le Op. 2.n.3, 49 n.1, 81a "Gli addii", Op.10
n.3 e l'Op 101 alla sera- hanno
espresso il genio compositivo del grande genio
tedesco. Buchbinder, da anni esegue tutte le 32
Sonate di Beethoven con grinta e passione ed ha
raggiunto una capacità di esternazione che
deriva sia dall'affinità oramai storicizzata
della musica del compositore di Bonn, che
dall'invidiabile esperienza raggiunta nella
definizione di sintesi formale dei
raffinati concerti live.
La
resa interpretativa, sempre di alto livello, ha
trovato momenti di ancor migliore restituzione
in molte delle opere proposte. Tra quelle
eseguite l'apice, a mio avviso, è stato
raggiunto nelle due sonate pomeridiane
contenenti anche la celebre "Patetica" ,
e alla sera nella Sonata n.3 in do maggiore
op.2 n.3, nella Sonata n.7 in re maggiore
op.10 n.3 e nell'ultima, quella di piena
maturità stilistica, la n.28 in la maggiore
Op.101. Valido il bis concesso in entrambi i
concerti con due finali di altre sonate
beethoveniane: il Presto dell'Op.10 n.2 e
l'Allegretto dell'Op.31 n.2 "Tempesta".
Pubblico entusiasta al termine dei rispettivi
concerti con fragorosi applausi e numerose
uscite in palcoscenico per il celebre interprete.
Al termine dei concerti, nel foyer di
Sala Verdi, ha firmato copie del suo ultimo Cd
uscito per una nota casa discografica, una
Soirée de Vienne che tra pochissimi giorni
sarà reperibile in tutti i negozi musicali sia
fisici che on-line.
24 novembre 2022 Cesare
Guzzardella
DOMENICO NORDIO E I MUSICI DI
PARMA AL FESTIVAL CANTELLI DI NOVARA
Ieri sera, 22/11, il Teatro
Faraggiana ha visto in scena una nuova serata
del XLII° Festival Cantelli, l’annuale
appuntamento della città di Novara con la musica
cameristica e sinfonica. Il programma del
concerto, che vedeva protagonista uno dei
migliori violinisti italiani del momento,
Domenico Nordio, nella duplice veste di solista
e direttore dell’orchestra dei Musici di Parma,
in formazione cameristica per soli archi, era di
notevole interesse, con uno spazio rilevante
concesso alla musica del ‘900: tre composizioni
su cinque. Il primo pezzo proposto era una delle
composizioni per violino più celebri della
musica barocca italiana, la Ciaccona in Sol
minore per violino e basso continuo, nella
versione, oggi di gran lunga più diffusa, per
violino e orchestra d’archi, di Tomaso Antonio
Vitali (1663-1745), esponente importante di
quella scuola bolognese di violinisti e
compositori, che nella
generazione
precedente aveva dato il suo splendido frutto
con A. Corelli. L’età barocca, com’è noto,
associa in maniera abbastanza rigorosa le varie
tonalità del sistema temperato ad un preciso
stato d’animo ( come del resto già gli antichi
Greci, coi loro modi). Massimo teorico di questa
correlazione tra tonalità e ‘affetti’, fu il
francese Marc Antoine Charpentier, che definisce
la tonalità di sol minore “seria e magnifica”.
Dunque una musica austera e solenne. Il sol
minore della Ciaccona di Vitali e in genere
della scuola musicale bolognese, apporta, a
questo registro solenne, una vena di sottile
pathos, come un velo di malinconia, preparando
alla lontana il sol minore di qualche decennio
più tardi, intriso di tensione tragica. Ed è
proprio questa la chiave interpretativa che
guida la bella interpretazione di Nordio. Nordio
è un violinista dalla cavata di un colore caldo
e morbido, con un’ arcata di rara limpidezza ed
eleganza in tutti i colpi d’arco e, in
particolare, di una leggerezza capace di
plasmare suoni quasi eterei .Le sue quattro
corde creano un mondo sonoro di preziosa
raffinatezza e capace, con il sapiente variare
delle dinamiche, di penetrare nelle pieghe più
sottili del suono: così le variazioni della
ciaccona ,affidate al violino di Nordio
disegnano i loro suggestivi e incantevoli
arabeschi sul basso dell’orchestra, in una delle
più suggestive interpretazioni del capolavoro di
Vitali da noi ascoltate. A seguire un’opera non
tra le più note, ma certamente deliziosa di F.
Schubert: il Rondò in La maggiore per violino e
orchestra d’archi D438. Dal Barocco al
Romanticismo, dunque, ma un Romanticismo come
gaio e sereno abbandono alla vita, nella forma
un po’ salottiera della danza, preceduta da
un’introduzione lenta, in cui domina una delle
anime del grande Maestro viennese, quella
mozartiana, che si traduce in forme di limpida e
classica eleganza, animata da una ineffabile
grazia. E ancora una volta Nordio e i Musici di
Parma danno prova delle loro squisite virtù
interpretative, esprimendo al meglio la sognante
levità delle volute sonore dell’Adagio
introduttivo e la viva freschezza del tema
principale e dei vari couplets dell’Allegro del
Rondò, appena ombreggiata (non sarebbe
altrimenti Schubert), da qualche passaggio
armonico in chiaroscuro che qua e là incrina il
sereno fluire dei motivi di danza.
A
chiudere la prima parte della serata un nuovo
balzo cronologico, dall’800 romantico al pieno
‘900. Anche in questo caso l’impaginato
presentava un compositore di non fulgida
notorietà, nonostante la sua prolifica
produzione meriti forse qualche attenzione in
più di quella che solitamente le viene riservata.
Parliamo di Mieczislaw Weinberg (è questa una
delle tante forme in cui è noto il suo nome, ma
è almeno altrettanto nota la forma russa di
Vajnberg, 1919-1996): di origini ebraico-moldave,
visse la fanciullezza e la giovinezza in Polonia
e da qui fuggì in Unione sovietica quando la
Polonia venne invasa dalle armate hitleriane. In
URSS trascorse il resto della sua esistenza,,
legandosi di stretta amicizia a ‘colossi’ come
Sciostakovic, di cui fu tra gli amici più
stretti, e Rostropovic. Tra le poche
composizioni di Weinberg che godono di una certa
fama è il Concertino per violino e archi op.24,
eseguito ieri sera a Novara. In questa
composizione emergono due delle caratteristiche
più significative dell’arte di Weinberg, il
ricorso al folklore musicale ebraico e moldavo e
le forme di limpida e leggera architettura
musicale, di un classicismo che definiremmo ‘aereo,
ancora fondamentalmente tonale, in cui quel
materiale musicale è immesso. Ad arricchire il
mondo musicale di questo gioiello fatto di suoni,
è la frequente variazioni delle dinamiche e
dell’agogica, specie nel tempo finale: il
violino domina e guida l’orchestra con rara
sapienza, nello stacco dei tempi e nel fraseggio,
un meraviglioso trine di suoni, nitidi e leggeri,
che paiono sospesi ad un qualche iperuranio. Il
motivo di un canto ebraico, ripetuto
insistentemente nel primo tempo, perde qualunque
peso e si fa puro ritmo, che l’incipit del tempo
lento centrale, affidato ad una sorta di cadenza
per violino solo, con le sue stridenti doppie
corde sembra spezzare, per poi riprendere con
l’intervento dell’orchestra e concludere col
finale che torna ad avvolgere l’ascoltatore. col
suo leggero turbine di musica. Dopo il breve
intervallo, due celebri composizioni
novecentesche, per orchestra di soli archi, in
cui Nordio depone il violino, e sale sul podio:
l’Adagio per Archi di S. Barber e la Simple
Symphony di B. Britten. L’Adagio di Barber,
eseguito da un’orchestra da camera spegne forse
un po’ l’intensità ed il volume sonoro della
tensione espressiva prima ascendente, poi
discendente, che è uno dei tratti caratteristici
dell’opera e che un’orchestra a pieno organico
può rendere al meglio. In compenso però Nordio,
con una finissima gestione delle dinamiche,
ottiene dagli archi dei Musici di Parma un suono
come leggermente velato, che accentua l’altra
caratteristica musicale dell’Adagio di Barber,
quel che di inafferrabile, di sfuggente che, ‘tecnicamente’,
scaturisce dall’incerta sospensione tra modalità
e tonalità propria di questa partitura: ci
sembra di poter dire che, con la riduzione del
‘volume sonoro’, Nordio abbia tolto parecchio di
quel sapore di musica da film caratteristico di
questo brano, non a caso sfruttato più volte
come colonna sonora, e lo abbia reso più intimo,
talora quasi un sussurro di suoni, carico di
suggestione. Il concerto chiudeva dunque con
quella chicca musicale che è la Simple Symphony
op.4 di Britten. Non deve trarre in inganno
l’aggettivo con cui l’autore qualificò questa
composizione, ‘simple’, semplice. Britten
intendeva alludere alla ingenuità di chi crea un
mondo di suoni, paragonabile a quella di un
fanciullo che si trastulla con un giocattolo: in
realtà, è una composizione tutt’altro che
semplice, sia per la ricerca raffinatissima sui
timbri degli archi, sia per i numerosi
riferimenti ‘colti’ alla tradizione musicale,
come lo Scherzo (Playful) tutto in pizzicato,
che evoca lo Scherzo della quarta sinfonia di
Ciajkovskij, per fermarsi all’esempio più
evidente. Nordio ha donato al pubblico
un’interpretazione splendida di questo brano di
Britten, valorizzando al massimo quella ricerca
timbrica di cui si diceva, e contemporaneamente
ottenendo dall’orchestra, in questa mirabile
tavolozza di colori quella leggerezza di suoni,
che è la cifra del Nordio violinista.
Valorizzando la tessitura alta che la partitura
prevede e spremendo ogni sfumatura dalle melodie
raddoppiate, ne esce una Bourrée (primo tempo),
semplicemente incantevole, così come perfetta, a
nostro parere, è la Sarabanda in cui
l’alternarsi di tinte scure e trasparenti è reso
al meglio, mentre di energia haydniana, non
priva di qualche sfumatura ironica alla Rossini
è l’interpretazione del Finale, nella vivacità e
nella sorprendente varietà di motivi, spesso di
alto virtuosismo, in cui i Musici di Parma hanno
dimostrato, una volta di più, il loro
indiscutibile valore. Ieri 22 novembre, era il
giorno di S. Cecilia., santa della musica e dei
musicisti. Non lo si poteva festeggiare meglio
di così, con questo bellissimo concerto che
l’Associazione Amici della Musica,
organizzatrice del Festival Cantelli, ha
regalato al pubblico, che ha espresso la sua
gratitudine con un lunghissimo applauso,
chiedendo un bis che purtroppo non è stato
concesso.
23 novembre 2022 Bruno Busca
Il pianista János Balázs
diretto da Gábor Takács-Nagy
alle Serate Musicali
Ieri sera, per il concerto tenuto in Sala Verdi
al Conservatorio milanese, organizzato da "Serate
Musicali", la "Cziffra Chamber Festival
Orchestra" diretta da Gábor Takács-Nagy e il
pianista trentaquattrenne
di Budapest János Balázs, hanno tenuto un
concerto "per i 100 anni dalla nascita di
György Cziffra", celebre virtuoso ungherese.
Oltre ai protagonisti , tutti
ungheresi,
anche
l'interessante impaginato
prevedeva brani di compositori ungheresi quali
Ferenc Liszt (1811-1886) e Béla Bartók
(1881-1945). Le note Danze popolari rumene
(1915) del secondo ungherese, nella versione
per piccola orchestra, hanno introdotto la
serata, rivelando l'ottimo livello
interpretativo della giovane compagine
strumentale diretta con esuberanza gestuale ed
efficace resa espressiva in tutte le sette parti
che compongono le Danze. Due i brani di Liszt
interpretati dal pianista Balázs: prima il
celebre Concerto n.1 in mi bem. maggiore per
pianoforte e orchestra S124 (1849- 1856) ) e
poi, dopo il breve intervallo, la rara
Fantasia su temi popolari ungheresi S123
(1852), ampliamento tematico dalla più nota
Rapsodia ungherese n.14, entrambi nelle
trascrizioni per piccola orchestra di Reszsö Ott.
Nei
due lavori del grande compositore-pianista,
caratterizzati da una rilevante quantità di effetti virtuosistici, valida
è stata la resa interpretativa di János Balázs, pianista
dotato certamente di tecnica appariscente,
visibilmente espressa con sicurezza timbrica,
tipica dell'interprete estemporaneo ed
estroverso. Più efficace, a mio avviso, con momenti di
eleganza coloristica, la Fantasia sui temi
ungheresi. Validi i bis solistici concessi da
Balázs con una Danza ungherese e una riuscita
trascrizione pianistica del celebre O mio
babbino caro, dall'opera Gianni Schicchi di
Giacomo Puccini. Di ottima qualità l'ultimo
lavoro in programma con il Divertimento per
orchestra d'archi Sz 113 (1939) di Bartók,
brano composto in pieno '900, interpretato con
profonda espressività complessiva, ed evidente
intensità coloristica nel penetrante movimento
centrale "Molto adagio".
22 novembre 2022 Cesare
Guzzardella
Alla Scala ancora grande
successo all'ultima replica di The Tempest
di Thomas Adès
Il meritato successo che ha
concluso con l'ultima replica l'opera di Thomas
Adès "The Tempest", con un Teatro alla
Scala al completo in ogni ordine di posto,
rappresenta certamente una piacevolissima novità
per quanto
riguarda
il mondo del teatro musicale contemporaneo. Il
dramma a lieto fine, dall'omonima commedia di
William Shakespeare era stato pensato dal
direttore e compositore inglese nei primi anni
del duemila, con una prima messinscena avvenuta
a Londra nel 2004, al Royal Opera House Covent
Garden. La sintesi operata da Meredith Oakes nel
suo valido libretto, riproduce sostanzialmente
nei contenuti l'originale celelebre lavoro
shakespeariano, con alcuni cambiamenti
funzionali all'ottimo adattamento scenico di
Jasmine Catudal per un'ambientazione che
riproduce in scena anche il Teatro alla Scala, e
la valida regia teatrale di Robert Lepage,
ripresa da Gregory A. Fortner. La cosa che
certamente ha molto contribuito all'incredibile
risultato di pubblico, con un teatro stracolmo
in tutte e cinque le rappresentazioni, è l'unità
del lavoro nel rapporto musica-messinscena.
Thomas Adès ha una visione musicale aperta, che
rappresenta
una
sintesi, in positivo, dell'esperienze
stilistiche del '900 ma anche con richiami alla
musica antica e barocca. Si riconosce comunque
nella sua musica un linguaggio "inglese", con
riferimenti soprattutto ai melodrammi di
Benjamin Britten. Una musica intensa,
poliritmica ma con frangenti melodici, molto
legata al testo e a quello che accade sulla
scena, sonorità le sue, che si apprezzano senza
difficoltà di ascolto per tutte le oltre due ore
nei tre atti che compongono l'opera. La bravura
dei protagonisti , la varietà delle scene con i
riusciti "effetti scenici miracolosi", sono
un'altra ragione dei fragorosi applausi
tributati al termine della rappresentazione.
Citiamo almeno i protagonisti impegnati in tutte
le rappresentazioni, tutti di ottima levatura
vocale e attoriale; Leigh Melrose in Prospero,
Isabel Leonard in
Miranda,
Audrey Luna, una vocalità straordinaria
per Ariel; gli eterni ubriachi sono Kevin
Burdette in Stefano e Owen Willetts in
Trinculo (controtenore), Robert Murray è
Antonio, Josh Lovell è Ferdinand. Un
caso a parte è stato Frédéric Antoun nel ruolo
di Caliban che ottimo mimo in
scena, per problemi di voce è stato all'ultimo
momento perfettamente doppiato dal sostituto
Thomas Ebenstein, visibilmente presente in
posizione laterale rispetto il palcoscenico, e
premiato con intensi applausi al termine. Valide
anche le voci di Toby Spence, Alonso Re di
Napoli, Sorin Colban, Gonzalo e Paul
Grant in Sebastian .
Ottimi i costumi di Kym Barret, le luci di
Michel Baulieu riprese da Marco Filibeck, le
coreografie di Crystal Pite riprese da Katherine
Cowie e naturalmente le parti corali preparate
da Alberto Malazzi. Prossimo appuntamento lirico
con la nuova Stagione e il Boris Godunov di
Modest Musorgskij
(Foto di Brescia & Amisano dall'Archivio
della Scala)
19 novembre 2022 Cesare
Guzzardella
Costanza Principe
con i Préludes
tra danza e musica alla Società dei Concerti
La Società dei Concerti
di Milano ha portato, sul palcoscenico di
Sala Verdi in Conservatorio, uno spettacolo
diverso dal consueto, ottenendo al termine
fragorosi e ripetuti applausi dal numeroso
pubblico intervenuto. L'eccellente pianoforte di
Costanza Principe, in posizione laterale sul
palco, ha costruito le basi per l'ideazione
coreografica di Massimo Moricone denominata "Préludes",
dove quattro celebri opere pianistiche sono
state
interpretate
dai ballerini classici Anbeta Toromani, Amilcar
Moret Gonzalez e Alessandro Macario. Due momenti
di pausa dei danzatori hanno permesso alla
Principe di eseguire al pianoforte La
cathédrale engloutie di Claude Debussý e il
poco eseguito Allegro in si minore Op.8
di Robert Schumann. Una ragionata selezione con
sette tra i celebri Ventiquattro Preludi
op.28 di Frédérik Chopin - precisamente i
numeri 2-4-21-15-6-7-13- ha introdotto la
serata con tutti e tre i danzatori in
palcoscenico. Dopo i primi tre preludi
danzati
dai due ballerini, con le prime note del celebre
Prelude n.15 "la Goggia" è entrata in
scena Anbeta Toromani, prima raggiungendo
Gonzalez e Macario e poi in solitaria per
definire con aggraziate movenze il breve e
toccante Prelude n.6 in si minore . Tutti
i Preludi chopiniani, scelti tra quelli più
introspettivi e melanconici, ad eccezione della
più luminosa Goccia, sono stati
interpretati con profonda espressività dalla
Principe. Bravissimi i ballerini nell'esprimere
sinergie complessive evidenti con profonda
penetrazione della musica. L'intermezzo
pianistico, con l'intenso Debussy della celebre
"Cattedrale". è stato definito dalla splendida
trascrizione pianistica di Leonard Borwick del
Prélude à l'après-midi d'une faune, un
fondamentale lavoro del compositore francese,
tra le sue prime opere rivoluzionarie, spesso
utilizzato dai maggiori coreografi dopo la
storica ideazione e interpretazione del 1912 di
Vaslaw Nijinski. La flessuosa Toromani e il
valente Macario hanno interagito in plastiche
movenze di elegante espressività. Dopo il breve
intervallo, il Preludio in do diesis minore
Op.3 n.2 di Sergej Rachmaninov, nell'esecuzione
grintosa della Principe, ha portato ad un severo
scontro danzante di Macario e Gonzales
che in una sorta di schermaglia corporea hanno
poi lasciato, da posizioni opposte, il
palcoscenico.
Ottimo l'intermezzo solo pianistico successivo,
con l'Allegro op.8 schumanniano eseguito
intensamente da una Principe che ha rivelato
alte qualità nel rapportarsi col mondo musicale
romantico. Notevole l'ultimo balletto in
programma, con tutti e tre i danzatori in
palcoscenico, per una sorprendente esecuzione
della Ciaccona dalla Partita n.2
di J.S. Bach nella trascrizione pianistica di
Ferruccio Busoni. Le qualità dei tre artisti
della danza sono ancora emerse in quest'ultimo
eccellente lavoro dove il ruolo centrale della
ballerina Anbeta Toromani trovava come
contendenti il napoletano Alessandro Macario e
il cubano Amilcar Moret Gonzalez. Numerose
uscite di ringraziamento per i quattro
bravissimi protagonisti.
17 novembre 2022 Cesare Guzzardella
Di cosa vive l'uomo:
le canzoni di Kurt Weill e Bertolt Brecht
rivisitate dalla C-Jazz Band di Enrico
Intra
Una rivisitazione in chiave
jazzistica dei celebri brani di Kurt Weill
(1900-1950) e Bertolt Brecht (1898-1956) ha
visto la C-Jazz Band e alcuni studenti dei
Civici corsi di Jazz di Milano diretti da
Enrico Intra e Luca Missiti in una serata al
Teatro Lirico "Giorgio Gaber" denominata Di
cosa vive l'uomo . Le voci di Peppe Servillo
- musicista, cantante e attore - e quella di
Costanza
Alegiani, nota cantante jazz, insieme e in
alternanza, hanno dato un'impronta particolare
alle canzoni tratte dalla celebre Opera da
tre soldi e dagli altri lavori del musicista
tedesco e del grande drammaturgo. La serata è
stata introdotta con dovizia da Maurizio Franco,
e si sono naturalmente ricordati il regista
Giorgio Strehler e la cantante Milva, migliori
rappresentanti italiani di quel mondo culturale
e musicale tedesco. Certamente con modalità
intrattenitive differenti, lontane anni luce dal
kabarett berlinese e dalle opere originarie di
stampo classico di Weill-Brecht, e in un clima
musicale vicino alla Broadway newyorchese, sono
stati piacevolmente interpretati i numerosi
brani. I colori degli ottoni della big-band, ben
rivelati nei classici assoli improvvisati dai
bravissimi musicisti della C-Jazz Band e dagli
studenti della Civica milanese, hanno espresso
chiare timbriche negli arrangiamenti ben fatti
da Gianluigi Giannatempo e da Filippo Minisola.
Una
serata di spettacolo vario, con momenti di più
seriosa intensità espressiva nei testi
brechtiani recitati da Peppe Servillo,
nell'avvincente canzone Speak Low del periodo
statunitense di Kurt Weill, cantata molto bene
da Costanza Alegiani. Tra i brani eseguiti
ricordiamo il Salamon Song, Tango
Ballade, Jenny dei Pirati, Cannoni e bombe
di Weill- Brecht, Lost in the stars di
Weill e la rivisitazione della Ballata per
una ragazza annegata sul toccante testo di
Brecht e le musiche di Weill tratte dal Berliner
Requiem (1928), breno reso molto bene dalla
Alegiani accompagnata dall'ottima chitarra di
Pierluigi Fidanza. Gran bis finale con tutti i
protagonisti per il brano probabilmente più noto
dall'Opera da tre soldi, Mackie Messer.
Tra i musicisti ricordiamo almeno, oltre a
Enrico Intra al pianoforte e alla direzione,
Mario Rusca al pianoforte, Marco Mistrangelo al
contrabbasso, Giulio Visibelli al sassofono,
Humberto Amesquita al trombone, Emilio Soana e
Marco Mariani alle trombe, Tony Arco alla
batteria, Pierluigi Fidanza alla chitarra e il
giovane e bravo direttore Luca Missiti. Applausi
calorosi con tutti i protagonisti in piedi sul
palcoscenico.
16 novembre 2022 Cesare
Guzzardella
Il violoncello di Enrico
Dindo alle
Serate Musicali del Conservatorio
È tornato in Conservatorio il
violoncellista Enrico Dindo, da oltre vent'anni
direttore della compagine cameristica I
Solisti di Pavia da lui fondata nel 2001.
L'impaginato scelto, di grande impatto melodico,
prevedeva brani della fine '800 e soprattutto
della prima metà del secolo scorso, lavori di
Bruch, Weinberg, R.Strauss, Messiaen e Fuchs. Il
brano introduttivo, il
noto
Kol Nidrei per violoncello e archi (
riduzione di Enrico Dindo) ha evidenziato subito
le intense sonorità dell'eccellente violoncello
di Dindo. Un brano di lancinante intensità
emotiva, composto da Bruch nel 1881 su melodie
ebraiche e restituito con profondità espressiva
dal cellista, coadiuvato ottimamente dai Solisti
di Pavia, in un rapporto dialettico unitario tra
solista ed archi. Il brano successivo, una
rarità del musicista polacco Mieczyslav
Weinberg, era il Concertino per violoncello
ed archi op.43bis. È un brano in tre
movimenti del 1948 riscoperto da pochissimi anni
che ritrova le qualità musicali più tipiche del
compositore, influenzato dal tardo romanticismo
e dalla musica russa, specialmente quella di
Šostakovič. Ottima la resa timbrica del solista
e degli archi. Ancora un brano particolarmente
melodico di Richard Stauss con la Romanza per
violoncello ed archi ( riduzione di Dindo),
un Adagio cantabile tardo romantico del
1883 di intensa pregnanza espressiva. Un cambio
di registro, sempre nella più
appariscente esternazione melodica, si è avuto
con il luminosissimo brano di
Oliver
Messiaen tratto dal celebre Quartetto per la
fine del tempo, nel quinto movimento
Louange à l'Éternité de Jésus, una melodia
dal sapore trascendentale, quasi ipnotico nella
sua lenta evoluzione, con un tema ancorato alle
armonizzazioni degli archi nello stile
inconfondibile del grande compositore francese.
Eccellente la resa di Dindo e degli orchestrali.
Impatto di leggerezza e gradevolezza nell'ultimo
lavoro dell'impaginato, assolutamente di raro
ascolto, con la Serenata per archi n.2 op.14
di Robert Fuchs. Un brano del 1876 di grande
impatto sonoro per la sua musicalità classica e
folcloristica, con almeno due movimenti di
immediata orecchiabilità come l'Allegro
risoluto, ripetuto anche come primo bis, e
il Presto finale. Apllausi fragorosi dai
presenti e altri due bis, questa volta per il
solo Dindo, con il J.S. Bach del Preludio
dalla Suite n.1 per violino solo e l'Alemanda
in re maggiore. Bravissimi tutti!!
15 novembre 2022 Cesare
Guzzardella
PIERO RATTALINO
E ILIA KIM INAUGURANO IL FESTIVAL CANTELLI A
NOVARA
Ieri sera, lunedì 14/11,
all’Auditorium del Conservatorio di Novara si è
inaugurato il XLII° Festival Cantelli, la
storica stagione novarese di musica cameristica
e sinfonica, organizzata dall’associazione Amici
della Musica V. Cocito, attualmente presieduta
dal Maestro Ettore Borri. La serata inaugurale
aveva un titolo: “Il Recital come Dramma: Eros e
Thanatos nella vita di Schumann” e due
protagonisti, il grande studioso e storico del
pianoforte e della musica pianistica Piero
Rattalino e la pianista sud coreana, ma ormai
naturalizzata italiana, Ilia Kim.. La serata era
impostata, sostanzialmente, come una ‘conferenza-concerto’,
incentrata sulla figura e l’opera pianistica di
Schumann, o meglio, data l’impostazione scelta
da Rattalino, sulla tormentata vita amorosa e
coniugale e l’opera pianistica di Schumann. A
spingere Rattalino a portare nelle sale da
concerto da un po’
di
tempo questa formula è la convinzione che il
concerto tradizionale sia ormai in crisi,
soprattutto perché i musicisti d’oggi eseguono,
in modo anche tecnicamente impeccabile, le opere,
senza però saperle interpretare (che è una
sacrosanta verità, purtroppo!) e per Rattalino
si ha vera interpretazione della musica solo
quando si riesce a far emozionare l’ascoltatore.
Prima che ‘pensiero’, la musica è ‘emozione’. E
il modo migliore, secondo Rattalino, per
infondere nuova linfa emotiva all’ormai esausta
formula del tradizionale concerto, sarebbe
appunto quello di guidare, con un’adeguata
presentazione, gli ascoltatori a penetrare,
attraverso la musica, negli abissi dell’anima
dell’autore, che nelle note trovano la loro
espressione. In concreto, e qui citiamo
Rattalino alla lettera, la musica deve essere
interpretata come “documento biografico” ,
servendosi soprattutto di nozioni, tratte, un po’
a spanne, dalla psicanalisi freudiana (almeno
per quel che si è sentito ieri sera). Quindi, i
singoli brani in programma venivano introdotti
da Rattalino, che narrava gli episodi della vita
e degli amori di Schumann che, a suo avviso
fornirebbero la chiave interpretativa dei
relativi brani e la cui conoscenza sarebbe
fondamentale all’ascoltatore per provare ‘emozione’
da quella musica. Lo scrivente si sente in
dovere di dichiarare apertamente che le sue idee
di estetica musicale sono lontane anni luce da
quelle espresse da Rattalino (oltretutto un po’
vecchiotte, dal sapore di positivismo tardo
ottocentesco nel legare strettamente arte e
biografia dell’artista), ma va riconosciuto al
Maestro il merito di una ancora vivissima e
accattivante capacità affabulatrice (a
novant’anni suonati!!), che, nutrita di una
vastissima cultura musicale (e non solo), ha
saputo sempre tener desta l’attenzione del
pubblico, senza annoiare mai. Va aggiunto che
nelle sue presentazioni Rattalino, inseriva
anche utili e acuti accenni alla struttura
musicale del brani, sempre preziose guide per
l’ascoltatore. Questa formula della ‘conferenza-concerto’
presenta però un limite, a nostro modo di vedere,
ci scusi Rattalino, imperdonabile: la gran parte
dei pezzi in programma non sono presentati nella
loro integrità, ma a frammenti. Quando il brano
presenti già di suo una struttura frammentaria,
la cosa può essere ammissibile, sia pur a fatica,
nel caso di Schumann in cui il frammento è
sempre legato all’insieme, a formare una
totalità spirituale e musicale. Il programma
prevedeva da “Papillons” op.2 i nn. 1,5,7,11,12
(cinque pezzi su dodici); dai Phantasiestucke
op.12 il solo n. 1 Des Abends, “La sera” (un
pezzo su dieci). Seguiva il solo primo movimento
della Fantasia op.17. E qui osiamo ribellarci, e
dire al Maestro Rattalino: “Caro Maestro, no!
Non ha nessuna giustificazione spezzare l’unità
di un capolavoro assoluto della musica, come la
Fantasia op.17 di Schumann, amputarla degli
altri due meravigliosi movimenti, e in
particolare di quel sublime Adagio finale che
illumina il senso di tutta l’opera, un viaggio
straordinario della musica all’infinito, per far
ascoltare il solo primo tempo come ‘documento
biografico’. In questo modo, lungi dal
restituire vitalità e forza di coinvolgimento ai
concerti, li si impoverisce e li si svilisce!”.
Per fortuna, il concerto si concludeva con un
capolavoro finalmente eseguito nella sua
interezza, la sonata in fa minore op.5 n.3 di
Brahms. L’itinerario attraverso le vicende
amorose di Schumann non può in effetti che
concludersi con Brahms, che , com’è noto, entrò
ancor ventenne, nella vita coniugale di Robert e
della moglie Clara Wieck, innamorandosi
perdutamente di costei e complicando la già
intricata vita amorosa e coniugale di Schumann.
Di questa sonata brahmsiana Rattalino fornisce
un’interpretazione singolare, in verità
difficilmente dimostrabile, ma degna di essere
citata per originalità: secondo il Maestro,
Brahms, in questo vasto e complesso affresco
sonoro, disegnerebbe la tragica storia d’amore
incestuoso dei fratelli Walsidi, Siegmund e
Sieglinde, quale è narrata nei primi due atti
della Valchiria wagneriana. Questa vicenda
sarebbe a sua volta ‘maschera allusiva’
dell’amore di Brahms per Clara Wieck Schumann. Passiamo all’esecuzione
dei brani pianistici in programma. Ilia Kim
appartiene alla classe dei pianisti ‘ muscolari’,
dal suono energico e potente, diteggiatura di
ferro e tecnica elevatissima. Il suono che esce
dal suo tocco è generalmente un suono pulito e
preciso. Ha reso al meglio il tono malinconico
che avvolge i motivi di danza nei pezzi tratti
dai Papillons, ma ci è parso un po’ troppo
uniforme il trattamento delle dinamiche nel Des
Abends dai Pezzi fantastici: il crepuscolare
incanto serale del pezzo ci è sembrato
compromesso dal prevalere di un suono
eccessivamente tenuto sul ‘forte’ .. Valida le
interpretazioni del primo tempo della Fantasia
op..17, di cui è stato espresso appieno il tono
appassionato e soprattutto l’episodio al centro
del movimento,, molto ben diteggiato nelle sue
progressive ornamentazioni in variazioni. Tra le
buone interpretazioni della sonata n.3 di Brahms
da noi ascoltate porremmo senz’altro quella
fornita ieri dalla Kim, efficace sia nella resa
delle parti più vigorose e armonicamente
complesse, sia nel dar voce a quelle mezze tinte
crepuscolari, così inconfondibilmente brahmsiane,
presenti nell ‘Andante espressivo’, come nell’
‘Intermezzo ‘di soffusa malinconia, in alcuni
passaggi vicino a una marcia funebre. Così come
ci è piaciuto il breve bis, il tema e la prima
variazione delle Variazioni per pianoforte op. 9
di Brahms, da un tema di Schumann, con la sua
sognante e vaporosa atmosfera ultraromantica.
Una serata, su cui, come abbiamo detto, molto ci
sarebbe da discutere, ma appunto per questo
stimolante e meritevole degli applausi che alla
fine il pubblico ha tributato ai due
protagonisti. ( Foto di Attilio
Borri )
15 novembre 2022 Bruno Busca
Il pianista Alessandro
Riccardi ai Lieti Calici milanesi
Il trentenne pianista toscano
Alessandro Riccardi, dopo un lungo periodo negli
Stati Uniti, è tornato nella sua terra italiana
dove recentemente ha
approfondito
lo studio di Franz Liszt realizzando anche un
valido Cd per Da Vinci Classics dedicato
al grande virtuoso e compositore ungherese e
denominato "Pelerinage en Italie". Questa
mattina, nella periodica rassegna musicale e
gastronomica "Lieti calici", organizzata da
Mario Marcarini presso gli Amici del loggione
del Teatro alla Scala, in via Silvio Pellico, il
giovane virtuoso ha presentato parte di quella
valida registrazione eseguendo alcuni brani
dell'ungherese. La poesia legata a Petrarca e
Dante, che ha ispirato Liszt
per
la realizzazione di molti suoi lavori, è stata
l'occasione per ascoltare direttamente da
Riccardi, prima una lettura di alcuni versi, poi
l'interpretazione pianistica dei relativi Tre
Sonetti del Petrarca (n.ri 4-5-6) e il
Dante- Sonetto Tanto gentile e tanto onesta...,
quattro brani ispirati dai versi dei sommi poeti
sostenuti con ottimo equilibrio formale da
Riccardi per una resa espressiva limpida e
riflessiva. L'ottimo pianista ha poi eseguito,
come fuori programma, ancora una pagina
lisztiana con una delle 6 Consolazioni: la
Consolation N.3 , brano ancora poetico per
la meditata esternazione delle chiare timbriche.
Successo caloroso in una sala stracolma di
pubblico che ha mostrato evidente soddisfazione
per la breve ma intensa esibizione. Al termine
un ottimo brindisi con vini di altà qualità a
tutti gli intervenuti.
13 novembre 2022 Cesare
Guzzardella
LE CONVENIENZE ED
INCONVENIENZE TEATRALI DI G. DONIZETTI AL COCCIA
DI NOVARA
Pochi giorni dopo la
presentazione della stagione 2023, molto ricca e
interessante nella varietà delle sue proposte (si
comincia alla grande a Gennaio col “Trovatore”),
il Teatro Coccia di Novara chiude la sua
stagione operistica 2022 con uno dei titoli più
accattivanti e divertenti, benché non molto
frequentati, del teatro comico di Donizetti: “Le
convenienze ed inconvenienze teatrali”, andato
in scena ieri sera, Venerdì 11/11, con replica
Domenica
13. Propriamente si tratta di una ‘farsa’, più
che di un’opera buffa, il che in concreto
significa che in essa più che dalle battute, dai
contrasti dialogati, il comico scaturisce dalle
situazioni (che la musica deve contribuire a ‘creare,
coi suoi ritmi e i suoi temi e motivi). E’
un’opera in cui Donizetti attinge
abbondantemente alla tradizione del dramma
giocoso e degli intermezzi del teatro musicale
settecentesco, come segnala la presenza di un
personaggio caratteristico come il tenore
tedesco Guglielmo, che richiama visibilmente,
col suo improbabile tedesco ridicolo, il soldato
tedesco Tagliaferro di uno degli archetipi del
genere, la “Cecchina” del Piccinni Questa farsa
ha due versioni, la prima, del 1827, in un solo
atto, su libretto dello stesso Donizetti e una
seconda del 1831, in due atti, su libretto del
Gilardoni, talora rappresentata in passato anche
coll’improbabile titolo di “Viva la mamma”. La
versione novarese, coprodotta col Teatro
municipale di Piacenza e il Teatro dell’Opera
Giocosa di Savona, propone la seconda versione.
“Le convenienze ed inconvenienze teatrali” sono
un classico esempio di metateatro, di ‘teatro
sul teatro’: vi si racconta, in toni farseschi,
la messa in scena di un’opera seria,
un’immaginaria “Romulo ed Ersilia”, esempio
delle tante insulsaggini che infestavano i
palcoscenici dell’epoca. L’intento dell’autore è
chiaramente la satira del teatro musicale del
proprio tempo, coi suoi vizi, le sue convenzioni,
le pretese grottesche e i comportamenti talora
assurdi dei cantanti e di tutto un mondo di
comprimari che ruotava (e in parte ancora oggi
ruota) intorno all’impresa teatrale. A questo si
aggiunga, come fonte primaria della comicità di
questa farsa donizettiana, la parodia di
numerose opere del tempo, anche di autori
celebri: famosa ed esilarante la parodia della
‘canzone del salice’ dall’Otello di Rossini,
cantata, si fa per dire, da Mamm’Agata. Questo
carattere burlesco dell’opera è subito
sottolineato, se mai ce ne fosse bisogno, dalla
modifica del nome del luogo in cui si svolge
l’azione: la Lodi del libretto del Gilardoni è
sostituita da ‘Momo’, che è sì una piccola
borgata del territorio novarese, ma è anche
l’antico dio greco della burla e della
buffoneria, vero e proprio. ‘fool’ della
mitologia. Nell’allestimento novarese, il
libretto originario di Gilardoni subisce un
drastico intervento, ad opera del celebre
critico
musicale e giornalista Alberto Mattioli, ieri
presente in sala, che nell’occasione assume il
ruolo di drammaturgo: a parte il riferimento a
doppio senso appena citato a Momo, l’intervento
più importante di Mattioli riguarda i recitativi.
Partendo dal presupposto (citiamo dalle note
dello stesso Mattioli nel libretto di sala) che
“la satira non può essere archeologica”, e che
molti dei riferimenti a figure e abitudini del
teatro musicale ottocentesco nel 2022
sfuggirebbero ai più, Mattioli riscrive gran
parte dei recitativi, sia nella forma,
rendendoli parlati, come nell’operetta (ma in
verità se ne trovano anche nell’opera buffa e
negli intermezzi settecenteschi), sia nei
contenuti, aggiornati al mondo contemporaneo: ed
ecco allora che nel corso della vicenda, in
questi recitativi moderni si parla di cellulari,
mail, followers, sponsor, Muti, Netrebko,
Gheorghiu critici musicali, fra cui lo stesso
Mattioli, che fa dell’humour su se stesso, e via
andare; l’impresario diventa “sovrintendente”,
il poeta Prospero Salsapariglia diventa
modernamente ‘regista’ etc. A nostro avviso
questo adattamento modernizzato del libretto,
pur potendo talora risultare un po’ forzato, e
talvolta persino estraneo, nel confronto con la
partitura di Donizetti, non disturba
particolarmente lo spettacolo, proprio perché
questo trae tutta la sua verve dalla partitura e
dalla trama del libretto scritte quasi due
secoli fa e ha il suo centro di più travolgente
forza comica nel personaggio protagonista di
Mamm’Agata, la mamma della ‘seconda donna’
Luigia, che, con la sua imponente e mascolina
mole e la sua irruente invadenza, occupa
letteralmente il palcoscenico per difendere la
figlia dalla ‘tirannia della ‘prima donna’,
Corilla, ma soprattutto per conquistare una
parte per sé, peraltro quasi totalmente digiuna
di canto. La parte di Mamm’Agata è affidata da
Donizetti alla voce maschile di un baritono/basso
buffo, creando così uno dei rari esempi, nella
storia del teatro musicale, di parte ‘en
travesti’ al contrario (di solito , specie nel
melodramma barocco, ma non solo, è una voce
femminile che interpreta un ruolo maschile). Lo
spettacolo confezionato è davvero godibile e
ottimamente realizzato in tutti i suoi aspetti.
Anzitutto una prima, grande nota di merito va
assegnata al regista Renato Bonajuto, che sa far
muovere benissimo i personaggi e il coro sulla
scena, assecondando il ritmo dell’azione coi
suoi continui colpi di scena, soprattutto,
facendo recitare a meraviglia i cantanti. I
balletti, che di tanto in tanto interrompono
l’azione ( e totalmente assenti nel libretto
originario) conferiscono un carattere di ‘rivista’
all’insieme che ben si concilia con l’intento
satirico della farsa. .La regia è perfettamente
sostenuta dalle scene del bravissimo Danilo
Coppola, che interpreta al meglio l’atmosfera di
operetta, che avvolge l’allestimento, costruendo
una rapida successione di ‘siparietti da
avanspettacolo, fatti ora di ‘stracci di scena’,
ora di sale di prova e di camerini, di
conchiglie di ostrica, infine di una scena ‘eroica’
di una classicità anch’essa impietosamente
parodiata. Anche i costumi, di Artemio Cabassi,
nella loro sfolgorante pacchianeria,
contribuiscono efficacemente a questa satira del
teatro musicale e sono coerenti con quella nota
di ‘rivista’ di cui si parlava poc’anzi. Ma
naturalmente uno spettacolo di teatro musicale
fallirebbe, se non potesse contare su cantanti
di qualità. Almeno metà del merito della
riuscita di queste “Convenienze” spetta ad un
Simone Alberghini, semplicemente strepitoso
nella parte di Mamm’Agata: col suo tonante
fraseggio, sostenuto da una voce basso-baritonale
di intensa proiezione e di timbro perfetto in
tutti i registri, Alberghini ha sfoderato anche
grandi capacità di attore, con una serie di
numeri e di gag, davvero travolgenti.: una
grande Mamm’Agata, per la quale c’è solo da
rimpiangere che non sia stata fatta cantare in
dialetto napoletano, come prevedeva la prima
versione dell’opera e in cui, secondo il nostro
modesto avviso, Mamm’Agata assurge al livello di
uno dei personaggi più riusciti del nostro
teatro musicale, non solo comico. Ottima anche
la Corilla del soprano Carolina Lippo padrona
sicura del canto di agilità, dal limpido
fraseggio anche nelle zone acute e sovracute, un
po’ meno impeccabile, talvolta, nelle mezzevoci.
Bravissima anche lei come attrice,
nell’interpretare l’altezzosa e intransigente
superbia della classica primadonna. Applausi
dovuti anche alla Luigia di Leonora Tess,
soprano cui toccava la parte di ‘mezzo carattere’,
con buon timbro vocale, che sa essere pungente
nei momenti più ‘polemici’. Tra le parti
maschili più importanti vanno segnalati il
Procolo (marito di Corilla) di Paolo
Ingrasciotta, baritono dal buon timbro e
fraseggio dagli ottimi legati, nitido nei centri
come nei registri più alti e il Guglielmo di
Didier Pieri, divertente nel suo farfugliante
italo-tedesco e di buona vocalità tenorile,
valido per profondità dei centri e di più che
discreti acuti. Hanno sbrigato a dovere la loro
parte, sia quella di cantanti, sia quella di
attori anche gli altri interpreti: la
mezzosoprano Lorrie Garcia (Dorotea), il
baritono Andrea Vincenzo Bonsignore (Biscroma
Strappaviscere, il direttore d’orchestra), il
baritono Dario Giorgelé (il sovrintendente) il
basso Stefano Marchisio (Prospero Salsapariglia,
il regista), il basso Juliusz Loranzi (l’ispettore
teatrale): questi ultimi tre recitano, in verità,
più che cantare. L’Orchestra Filarmonica
Italiana era affidata alla direzione del Maestro
Giovanni di Stefano, autorevole specialista
dell’opera comica italiana sette-ottocentesca e
in particolare autorevole studioso ed esecutore
di Paisiello: impeccabile la sua direzione,
caratterizzata da una agogica e da una dinamica
calzanti a pennello con il ritmo sostenuto di
battute e scenette, e capace di sostenere al
meglio i cantanti e il coro del Teatro Coccia,
ben diretto da Yrui Weng. Alla fine applausi a
scena aperta e prolungati da un pubblico
numeroso (pienone in platea, qualche vuoto di
troppo nei palchi e nel loggione), tra cui
vogliamo segnalare una scolaresca delle
elementari, accompagnata dai suoi intelligenti
insegnanti, che ha seguito in perfetto silenzio
e compostezza straordinaria tutta l’opera,
dall’inizio alla fine. In tempi in cui in certe
scuole gli allievi sparano pallottole di gomma
ai loro insegnanti, uno spettacolo consolante,
in platea, che si accompagna a quello divertente
sul palcoscenico.
12 novembre 2022 Bruno Busca
Daniele Gatti inaugura
la nuova Stagione Sinfonica dell'Orchestra della
Scala con la Sinfonia n.3 di Mahler
L'inaugurazione della
Stagione Sinfonica 2022-23 dell'Orchestra del
Teatro alla Scala è iniziata con la monumentale
Sinfonia n.3 in re minore di Gustav
Mahler, diretta dal milanese Daniele Gatti, una
bacchetta italiana che opera da anni in Europa
alla guida delle più prestigiose orchestre. La
presenza
del mezzo-soprano Elina Garan ča,
del coro di voci femminili preparato da Alberto
Malazzi
e quello di voci bianche nella guida di Bruno
Casoni, ha dato un'importanza anche scenografica
al capolavoro mahleriano che è
strutturato in sei parti. Cento minuti di
musica per entrare nel mondo sonoro del
compositore boemo: un mondo sfaccettato che
trova relazioni melodiche e timbriche riferibili
sia alla musica popolare e folcloristica che a
quella raffinata e colta del migliore stile
viennese. La valida lettura operata da Gatti ha
dovuto scontrasti con una partitura quindi
complessa, che trova capovolgimenti timbrici
continui nel passaggio tra un movimento musicale
a un altro. La delicatezza degli archi, il
fragore degli ottoni, la dolcezza della voce
della Garanča, i timbri decisi delle voci
femminili e quelli delicati delle voci bianche
si alternano in un mondo sonoro la cui gestione
risulta
differente
nel controllo di ogni direttore d'orchestra.
Gatti ha ben mediato i capovolgimenti
coloristici di questo articolato lavoro, che ha
modalità stilistiche molto
personali e simili a qualle delle sue prime due
sinfonie. La sua direzione, chiara nelle
intenzioni, si è rivelata precisa nei dettagli,
con modalità aspre e secche nel lunghissimo
primo movimento, Kräftig Entschieden,
dove gli interventi quasi da "banda di paese"
degli ottoni e dei legni danno volutamente un
carattere meno classico e più popolare alla
sinfonia. Momenti di maggiore interiorizzazione
emotiva negli altri movimenti, con frangenti
luminosi con l'ingresso vocale dell'ottima Garanča
e del Coro sia delle bravissime voci bianche che
di quello femminile. Grandissimo successo di
pubblico alla prima replica ascoltata ieri sera,
con ripetute uscite del direttore e degli altri
protagonisti. Domani l'ultima replica, da non perdere.
( foto di Brescia e Amisano
dall'Archivio della Scala)
11 novembre 2022 Cesare
Guzzardella
Patricia Pagny
al Museo del Novecento
Dopo la recente uscita
dell'ottimo Cd Stradivarius della
pianista francese Patricia Pagny, dedicata alle
"impressioni notturne" di compositori francesi,
abbiamo avuto ieri, nel tardo pomeriggio, la
possibilità di ascoltarla in un programma simile
al Museo del Novecento.
L'impaginato eseguito
senza
soluzione
di continuità, come fosse un'ampia suite
notturna, prevedeva brani di Debussy, Fauré,
Poulenc, Chopin e di un compositore francese
assai meno conosciuto, Georges Migot
(1891-1976), figlio di quella scuola musicale
che fa del colore l'elemento preponderante nelle
composizioni. Era un artista non solo del
pianoforte ma anche della tela: rilevante
infatti è pure la sua produzione pittorica.
L'eccellente Pagny ha eseguito i numerosi brani
secondo un intelligente ordine esecutivo,
rivelando qualità interpretative giocate su
un'evidente sicurezza di restituzione musicale e
indubbia espressività. L'interiorizzazione
completa dei materiali melodico-armonici e la
concentrazione meditata sull'interpretazione
coloristica hanno permesso l'ascolto di una
splendida ora musicale, una vera "passeggiata"
tra le note, in sintonia anche con il bellissimo
ambiente scenografico serale di Sala Fontana, ai
piani alti del Museo del Novecento, da cui si
gode un affascinante panorama di piazza Duomo.
Tra
i brani eseguiti citiamo Les sons et le
parfums tournent dans l'air du soir, dai
Preludi di Claude Debussy e come brano
conclusivo ancora del francese un sorprendente
Feux d'artifice; particolarmente
significativi i due Notturni di Georges Migot,
dalla raccolta Quatre Nocturnes pour le Piano
(1945-49), in prima esecuzione italiana,
brani che partendo da Debussy trovano timbriche
personali ricche di suggestioni. Citiamo anche
due brevi ed espressivi Notturni di Francis
Poulenc, "Bal fantome" e "Phalènes"
, il Notturno n.8 e n.9 di Gabriel Fauré
e naturalmente Chopin, prima con il Notturno
in do minore op.27 n.1 e poi con la
Ballata n.2 in fa maggiore op.18 eseguita
con una padronanza virtuosistica esemplare.
Interpretazioni complessive di alto livello, per
una pianista raffinata nel gusto e nei gesti.
La pianista ha voluto dedicare il concerto a Roberto Elli, fondatore
di Stradivarius, mancato nel luglio di quest'anno.
Applausi calorosi, al termine, dal numeroso
pubblico intervenuto.
9
novembre 2022 Cesare
Guzzardella
Elisso Virsaladze
in Conservatorio per Serate Musicali
E' ritornata in Sala Verdi la
pianista georgiana Elisso Virsaladze, dopo un
anno di assenza per motivi probabilmente dovuti
alla pandemia. Nella splendida serata
organizzata da Serate Musicali, la
società concertistica milanese che dal 1992 la
ospita regolarmente, la Virsaladze ha impaginato
un programma all'insegna della classicità,
inserendo musiche di Beethoven,
Haydn
e Schumann. Interessante l'ordine alterno dei
brani scelti, alcuni di apparente semplicità
come la Sonata n.19 in sol minore op.49
di Beethoven o le Kinderszenen Op.15 di
Schumann, lavori spesso destinati a giovani nei
primi studi pianistici, ma resi dalla pianista,
nata nel 1942 a Tblisi, con una luminosità ed
una leggerezza discorsiva sorprendenti. A questi
si univano altri brani, tre lavori di Beethoven
come la Sonata n.25 in sol maggiore op.79 "Alla
tedesca" l'Andante in fa maggiore "Favori"
e il raro Rondò a capriccio in sol maggiore
op.129, le note Variazioni in fa minore
Hob XVII di Haydn e la celebre Arabesque
in do maggiore op.18 di Schumann, resi con
una progressiva qualità espressiva, partendo
dall'ottima resa dei primi brani ed arrivando
all'eccellenza delle ultime
esecuzioni,
sino al virtuosistico ultimo brano in programma,
con un'emozionante e ricca di energia Sonata
n.23 in fa minore op.57 "Appassionata". Un
pianismo esemplare quello della Virsaladze, che
proviene dalla migliore scuola russa moscovita,
quella di Sviatoslav Richter e di Emil Gildes,
dei grandi pianisti-didatti Heinrich Neuhaus e
Yakov Zak, suoi maestri. Applausi fragorosi in
una sala con folto pubblico. Il concerto è stato
dedicato a Marco Vallora (1953-2022), grande
intellettuale e giornalista, studioso
raffinatissimo di arte, letteratura, filosofia,
musica e cinema, bibliofilo tra i più importanti.
Persona riservata ed eclettica, che sempre
s'incontrava ai concerti di Sala Verdi in
Conservatorio ed in ogni luogo di cultura, e che
certamente avrebbe apprezzato ancora una volta
le qualità eccelse della grande Elisso
Virsaladze.
8 novembre 2022 Cesare
Guzzardella
I MUSICI DI S.ANDREA
PRESENTANO A VERCELLI IL XXV VIOTTI FESTIVAL
Ieri sera, sabato 5 novembre,
a Vercelli, la Camerata Ducale, fedele a quella
che è ormai divenuta una lodevole tradizione, ha
‘presentato’ musicalmente l’imminente XXV
edizione del Viotti Festival (e ricordiamo che
il 2023 ricorrerà anche il XXX° anniversario
della fondazione dell’orchestra Camerata Ducale
ad opera dei Maestri Guido Rimonda e Cristina
Canziani) con un concerto a ingresso libero,
nella settecentesca chiesa di s. Lorenzo. Il
programma, integralmente impaginato su
compositori dell’età barocca, era affidato al
complesso dei Musici di S. Andrea: si tratta di
una formazione orchestrale, pensata e realizzata
dal Maestro Guido Rimonda, proprio come ‘sezione’
della Camerata Ducale specializzata nel
repertorio barocco. E’ formata, oltre che da ‘veterani’
dell’”orchestra-madre”, anche da giovani
strumentisti selezionati per la loro eccellente
preparazione tecnico- interpretativa. Una volta
di più si conferma una caratteristica che
conferisce caratura decisamente nazionale alla
Camerata Ducale, oltre alle sue indiscutibili
qualità esecutive: essere un ‘cantiere’
straordinariamente attivo nel promuovere sempre
nuove iniziative, che si propongono in
particolare
di valorizzare e inserire nella vita musicale i
giovani musicisti segnalati per il livello delle
loro capacità. Questa serata è stata per alcuni
di questi giovani l’occasione per esibirsi nelle
parti di primo piano previste dalla struttura
della musica barocca, non solo col concerto
solista e la sonata, ma anche col concerto
grosso. Tutte e tre queste forme capitali della
musica strumentale del tardo ‘600-‘700 erano
infatti previste dal programma di ieri sera, che
proponeva cinque composizioni di tre autori
chiave della nostra civiltà musicale barocca:
Corelli, il ‘corelliano’ Geminiani e Vivaldi.
Proprio il grande veneziano ha dato inizio al
concerto con uno dei suoi trentanove concerti
per fagotto e archi, l’RV492 in Sol maggiore. Il
fagotto è lo strumento cui il ‘prete rosso’
dedicò più concerti, dopo, (molto dopo)
s’intende, il violino;. Del fagotto, del suo
peculiare suono pieno e scuro, pastoso nelle
note basse, cantabile e leggermente nasale in
quelle alte, Vivaldi apprezzò e sfruttò tutte le
risorse, richiedendo interpreti di qualità. E
notevoli qualità ha senza dubbio sfoggiato il
giovane Lorenzo Mastropaolo, calibrando con
grande attenzione le dinamiche, i chiaroscuri
timbrici dello strumento, fondamentali in una
musica come quella barocca, che, ignorando la
complessa articolazione tematica della
forma.sonata classico-romantica, si affida alla
varietà dei colori strumentali e al virtuosismo
degli abbellimenti delle linee melodiche. Anche
per questo aspetto l’esecuzione di Mastropaolo è
risultata impeccabile, con un dominio tecnico
dello strumento davvero esemplare. La scelta di
orchestrare il basso continuo con un
contrabbasso e un violoncello ha dato una tinta
di fondo particolarmente scura ai questo e a
tutti gli altri pezzi in programma, forse
evocando la timbrica del violone, utilizzato,
soprattutto nel tardo’600, per il basso. E’
stata comunque una scelta felice, proprio perché,
combinandosi con il suono dei violini, spesso al
registro acuto, a quello vellutato e suadente
della viola, e, per questo concerto, a quello
particolare del fagotto, questo basso molto
scuro ha creato una tavolozza di colori
orchestrali particolarmente suggestiva. Fin da
questo esordio i giovani Musici di S. Andrea,
guidati dal Maestro Rimonda in veste di
Konzertmeister, hanno dimostrato di essere
complesso ottimamente amalgamato, con precisione
nelle entrate e una cavata di suono
omogeneamente intensa ed energica. L’impaginato
proseguiva con tre Concerti Grossi di F.
Geminiani, il n. 8 in mi minore H 139 il n. 9 in
La maggiore H 140 e il n.7 in re minore H138. In
verità si tratta di rielaborazioni in forma
concertistica di altrettante sonate per violino
dell’op.5 di Corelli, omaggio a quello che per
Geminiani fu “onore e lume”, per dirla con
Dante. Il ‘concertino’ è stato affidato in
questo caso a due violini: nel concerto n.8
Paolo Chiesa violino I e Pierfrancesco Galli
violino II, nel concerto n.9 Guido Rimonda
violino I e Francesco Sappa violino II, nel n. 7
Francesca Ripoldi violino I e Guido Rimonda
violino II. L’esecuzione, anche in questo caso,
merita il più sincero apprezzamento: del
concerto grosso barocco, nella sua classica
forma corelliana, i giovani Musici hanno reso
con ottimi risultati i due aspetti- chiave, cui
si alludeva all’inizio: gli elementi del
concertino hanno sfoggiato con agilità il vario
repertorio del virtuosismo violinistico barocco
(il discorso si riferisce ovviamente ai giovani,
il Maestro Rimonda è qui fuori discussione),
così come gli archi del ‘ripieno’ hanno
realizzato a dovere quella fondamentale ,
precisa diversificazione dei piani sonori,
talora con suggestivi effetti ‘ad eco’, che è
uno degli elementi portanti del concerto grosso.
Tra i primi due concerti di Geminiani e il terzo,
che chiudeva la serata, è stata presentata una
inusuale trascrizione per violoncello col
contrabbasso in funzione di basso continuo, di
una delle composizioni per violino più celebri
di tutti i tempi: la Sonata op.5 n.12 per
violino solo e basso continuo “La Follia”, di A.
Corelli, consistente, com’è noto, in una serie
di ventitré variazioni su un tema di probabile
origine popolare portoghese. La trascrizione è
dovuta al giovane contrabbassista Tommaso
Fiorini, ieri sera anche esecutore, accanto a
Camilla Patria al violoncello. Tra i vertici del
virtuosismo violinistico barocco, questa
composizione pone evidentemente ardui problemi
tecnici anche al violoncello, sulle cui corde le
dita provette della giovane esecutrice se la
sono cavata egregiamente, tra scale rapidissime,
arpeggi, doppie corde etc. Dobbiamo onestamente
confessare che ci ha suscitato qualche
perplessità l’accoppiamento, per una sonata, di
due strumenti come il contrabbasso e il
violoncello. In teoria nulla da eccepire sulla
scelta di sostituire il più usuale clavicembalo
con il contrabbasso, perché le indicazioni in
partitura prevedono, in alternativa alla
tastiera, il violone, che per estensione e
colore di suono si avvicinava molto al
contrabbasso. Ma abbinare poi il contrabbasso al
violoncello ci è parsa una scelta non delle più
felici sul piano timbrico, reso troppo scuro.
Alla fine di questo bellissimo omaggio alla
civiltà musicale barocca italiana possiamo
trarre una conclusione: accanto alla Camerata
Ducale Junior (CDJ), I Musici di s. Andrea sono
un’altra eccellente ‘creazione’ della Camerata
Ducale, cui arride un futuro di sicuro successo.
Non possiamo chiudere questo articolo senza un
almeno breve riferimento alla presentazione
della nuova stagione 2022/23 del Viotti
Festival, fatta nel corso della serata dal
Direttore Artistico della Camerata Ducale,
Cristina Canziani. Si parte sabato 26/11/2022,
si finisce sabato 20/05/2023, per un totale di
quindici concerti, di cui tre della CDJ. I
concerti sono affidati tutti ad interpreti di
chiara fama nazionale e internazionale. Si
segnalano ben due serate integralmente dedicate
a G.B. Viotti e la presenza in cartellone di un
apprezzabile numero di autori del ‘900 “storico”.
Infine, degne del più alto plauso, offerte di
massimo favore rivolte ai giovani fino ai 26
anni, che fanno di questa stagione concertistica
vercellese un caso più unico che raro in Italia.
Portare i giovani in sala da concerto è un’altra
sfida che la Camerata Ducale si è data e che le
auguriamo con tutto il cuore di vincere!
6 novembre 2022 Bruno Busca
Il giovane violinista
Leonardo Moretti e l'Insubria Chamber Orchestra
Il concerto ascoltato ieri
sera in Conservatorio per "Serate Musicali"
ha visto l'Insubria Chamber Orchestra
diretta da Giorgio Rodolfo Marini in pagine di
Mendelssohn, Bazzini e Ravazzin. Il giovane
violinista Leonardo
Moretti,
da alcuni anni sulla scena concertistica
nazionale e internazionale, era impegnato nei
brani inziali: prima il raro Concerto in re
minore per violino ed archi di un
Mendelssohn tredicenne, poi lo Scherzo
fantastique per violino e archi op.25, brano
celebre di Antonio Bazzini, musicista inserito
in programma anche per ricordare i 125 anni
dalla sua morte. In entrambi i lavori è emerso
il virtuosismo del violinista, le sue qualità
evidenti ma anche le potenzialità che il
giovanissimo strumentista esprime per possibili
ulteriori miglioramenti in termini di sicurezza,
disinvoltura e precisione dei dettagli.
Certamente valide le due interpretazioni, grazie
anche alla direzione di Marini e l'espressività
coloristica della formazione cameristica. Di
qualità il corposo bis solistico di Moretti con
il Paganini dell' Introduzione e variazioni
su "Nel cor più non mi sento" da La Molinara
di Giovanni Paisiello. Il successivo lavoro,
elargito dopo il breve intervallo,
era
del contemporaneo -presente in Sala Verdi -
Massimo Ravazzin (1951) con il suo Concertato
su "Arboro son" . È un brano tonale in stile
antico che parte dalla tradizione
quattro-cinquecentesca e che usa il "Concertato"
di quattro strumenti solisti -flauto, oboe,
viola e violoncello- per stabilire un rapporto
dialettico con il resto dell'orchestra
cameristica. Valido il risultato musicale, nel
solco delle piu lontane tradizioni italiane.
Applausi agli orchestrali e al presente Ravazzin.
L'ultimo brano, la Sinfonia per archi n.11 in
fa maggiore di Mendelssohn è un brano di un
compositore che scrisse le sue 13 Sinfonie
per archi
tra i 12 e i 14 anni di età, certamente
prodigiosa, se riferità all'età, la sua
undicesima. I cinque movimenti costituenti il
lavoro utilizzano stilemi riferiti al suo mondo
contemporaneo, con un particolare riferimento a
Bach, per l'uso polifonico della fuga nel quinto
e ultimo movimento Allegro molto.
Applausi fragorosi dai presenti in Sala Verdi e
come bis, ripetizione dello Scherzo con
l'originale ausilio dei timpani che rimarcano
l'orecchiabile ritmica del brano.
6 novembre 2022 Cesare
Guzzardella
ll violinista Roman
Simovic diretto da
Alessandro Cadario
Il concerto ascoltato ieri ai
Pomeriggi Musicali del Teatro Dal Verme
vedeva il direttore Alessandro Cadario per brani
di due validi compositori quali lo statunitense
Samuel Barber e lo spagnolo Manuel de Falla. Del
primo la scelta è caduta sui lavori tra i più
noti quali l'Adagio per archi Op.11 e il
Concerto per Violino e Orchestra Op.14;
del secondo le altrettanto celebri suite El
amor brujo e El sombrero de tres picos.
L'Adagio di Barber, introduttivo al
concerto, è noto per la sua profonda liricità,
espletata nel tema iniziale con poche note degli
archi. L'atmosfera
particolarmente
meditativa è stata resa con espressività degli
archi dell'Orchestra de I Pomeriggi. Ampia la
strumentazione per il successivo e corposo
concerto violinistico. Solista nell'Op.14
il virtuoso Roman Simovic ha espresso con
abilità discorsiva e pregnanza espressiva le
timbriche del concerto che Barber compose nel
1939 e che trova una componente neo-romantica
ben accentuata nella composizione, specie nell'Allegro
iniziale e nell'Andante centrale. Il
Presto finale, in moto perpetuo, ha
sottolineato le qualità virtuosistiche
dell'ottimo interprete che in sinergia con gli
orchestrali, ha rivelato il lato più energico
del lavoro. Di qualità anche la componente
melodica del concerto resa con tensione emotiva
da Simovic che ricordiamo essere violinista
affermato internazionalmente oltre che primo
violino della London Symphony Orchestra. Ottimo
il bis offerto dal solista.
Le qualità direttoriali di Cadario e l'ottima
resa orchestrale, sono emerse poi nei lavori di
Manuel De Falla, due suite dai relativi balletti,
che caratterizzano le qualità d'orchestrazione e
le pregnanti scelte coloristiche del compositore
di Cadice per i brani ricchi di folclore
mediterraneo, tipico spagnolo. Nella prima
suite, El amor brujo, il momento più noto, la
Danza ritual del fuego, e stata resa celebre
da Artur Rubinstein nella versione pianistica,
ma di grande impatto è anche l'originale
orchestrale, ben risolta dai bravissimi
strumentisti deIl'Orchestra de I Pomeriggi,
ottimi in ogni sezione strumentale. Applausi
calorosi al termine dal numeroso pubblico
intervenuto. Sabato alle ore 17.00 la replica.
4
novembre 2022 Cesare Guzzardella
OTTOBRE
2022
La finale del Concorso
Shigeru
Kawai Italia-Spagna al Conservatorio
milanese.
La finale del Concorso
pianistico Shigeru Kawai Italia-Spagna,
svoltasi ieri sera al Conservatorio milanese, ha
trovato come finalisti i pianisti Nicolas
Giacomelli, Yuna Tamogami e Leo De María,
rispettivamente nei
Concerti
di
Čaikovskij
con il
N.1
Op.23,
di Liszt con il N.2 op.125 e di Prokofiev
col N.3 Op.26. Tre lavori tra i più
noti nel panorama dei concerti pianistici. I
brani sono stati eseguiti in Sala Verdi nella
versione per due pianoforti grazie all'ccellente
pianista occompagnatore Yevgeni Galanov. È stata
la prima edizione di questo particolare concorso
che come sempre accade, a più riprese, ha
selezionato un gran numero di partecipanti,
sacrificando per la finale un certo numero di
altrettanto validi interpreti. Al termine delle
ottime
esecuzioni, tutte
all'insegna
di un grande virtuosismo espresso da tutti e tre
i protagonisti con sicurezza ed intensa
espressività, la giuria presieduta da Davide
Cabassi e con Ana Guijarro Malagón, Cristina
Frosini, Alessandro Marangoni e Giuseppe
Devastato, ha espresso queste valutazioni: il
Primo premio è stato assegnato al pianista
italiano Nicolas Giacomelli,
che di diritto parteciperà nel 2023-24 in
Giappone al Concorso Internazionale Shigeru
Kawai; il Secondo premio allo spagnolo Leo De
María e il Terzo alla giapponese, residente in
Italia, Yuna Tamogami. A Giacomelli è stato
anche assegnato il Premio della critica.
Applausi a tutti i protagonisti, ai membri della
giuria e alla validissima organizzazione, in
attesa, come a ricordato il presidente della
giuria Davide Cabassi, del prossimo concorso
Shigeru Kawai.
31 ottobre 2022 Cesare
Guzzardella
Agli Amici del Loggione per
il nuovo Cd di Gloria Campaner
Presentato agli Amici del
Loggione di via Silvio Pellico il recente Cd di
Gloria Campaner e Enrico Saverio Pagano dedicato
a L.v. Beethoven.
Mario
Marcarini, alla presenza del solo direttore
d'orchestra Pagano, in quanto la pianista veneta
è stata impedita a partecipare causa ritardi nei
trasporti aerei, ha introdotto la mattinata. Il
giovane direttore d'orchestra, a capo della
compagine strumentale "Orchestra da Camera
Canova", ha raccontato le difficoltà avute
alla realizzazione del disco dovute al
particolare periodo pandemico, ed ha poi parlato
della scelta interpretativa dei due brani del Cd
facendo anche ascoltare
frammenti
del Concerto n.5 "Imperatore" e l'ultimo
movimento della Sinfonia n.7. La
componente pianistica sempre presente ai
Lieti Calici, causa la mancanza della
pianista, ha trovato nel Maestro Alberto Malazzi,
direttore del Coro del Teatro alla Scala, un
momento musicale significativo. Malazzi al
pianoforte ha infatti ben interpretato la
celebre Per Elisa beethoveniana. Applausi
meritati. La mattinata è terminata all'ora di
pranzo con un ottimo brindisi con vini di
qualità e gustose tartine e salumi. Per la
recensione del Cd:
www.corrierebit.com/recensionimusicali.htm
31 ottobre 2022 Cesare Guzzardella
Marco Battaglia
ricorda Giuseppe
Mazzini con la sua chitarra.
Di particolare interesse la
lezione-concerto tenuta dal chitarrista
Marco Battaglia presso l'Auditorium di Milano
ieri nel tardo pomeriggio, lezione denominata "Quando
Mazzini suonava la chitarra". Battaglia ha
suonato una
chitarra
costruita dal napoletano Gennaro Fabricatore del
1811 e appartenuta a Giuseppe Mazzini, patriota
e politico che ebbe tra le sue principali
passioni la musica, soprattutto quella per
chitarra, essendo lui stesso un valente
suonatore dello strumento a sei corde. Il
chitarrista oltre a raccontare la storia della
chitarra da lui usata e adesso, dopo l'avvenuto
prezioso restauro, di sua proprietà, ha parlato
anche delle altre chitarre possedute da Mazzini.
Per la parte musicale ha impaginato un programma
accattivante e di raro ascolto ,
scegliedo musiche di Paganini, Moretti,
Giuliani, Mertz e Legnani,
tutti
musicisti-chitarristi vissuti nell'Ottocento,
con brani melodici, particolarmente adatti alle
sonorità di quello strumento dalle piccole
dimensioni, ma dalle ottime timbriche. La grande
tradizione lirica, soprattutto italiana, ha
accomunato la sceltà dei brani eseguiti, con
riferimenti di melodie tratte da opere di
Rossini, di Verdi, di Pacini, di Paesiello, ma
anche di Mozart, come nel brano iniziale con
alcuni dei 43 Ghiribizzi di Niccolò
Paganini. Le ottime qualità interpretative di
Battaglia sono emerse in tutti i lavori e, tra
questi, ricordiamo almeno le Variazioni su
"Io ti vidi e t'adorai" dall'opera
Amazilia di Giovanni Pacini, variazioni
composte da Mauro Giuliani o, dello stesso
Giuliani, la Rossiniana n.5 op.123.
Efficaci anche le Variazioni sui temi della
Traviata di Verdi di Caspar Joseph Mertz e
due -quelli eseguiti- dei 36 Capricci op.20
di Luigi Rinaldo Legnani. Un ottimo
pomeriggio culturale-musicale dedicato al
genovese Giuseppe Mazzini.
29 ottobre 2022 Cesare
Guzzardella
Ying Li in
Conservatorio
per il concerto di Robert Schumann
Una serata all'insegna del
romanticismo quella ascoltata ieri sera in Sala
Verdi in Conservatorio ai concerti organizzati
dalla Fondazione la Società dei Concerti.
L'ottima Orchestra da Camera di Mantova
era diretta da un giovane promettente direttore
quale lo spagnolo Julio Garcia Vico, impegnato
in brani di Schumann e di Mendelssohn.
Protagonista della serata è stata la pianista
cinese Ying Li, talento che ha trovato
affermazione internazionale anche in seguito
alla vittoria del primo Concorso
Internazionale "Antonio Mormone" dello
scorso anno, concorso organizzato dalla stessa
società concertistica. Il talento della
venticinquenne pianista, oltre ad aver dato la
possibilità di frequentazioni delle più
importanti sale da concerto mondiali - nei
giorni scorsi anche la prestigiosa
Carnegie
Hall di New York-, le ha permesso di
realizzare un primo Cd interamente pianistico di
ottima qualità per una prestigiosa casa
discografica. Ieri, dopo il brano introduttivo,
l'Ouverture da concerto op.27 "Meeresstille
und glückliche Fahrt", interpretato con
rigore ed impeto dall'orchestra, la pianista è
salita sul palcoscenico per il celebre
Concerto in la minore op.54 di Robert
Schumann, un capolavoro di equilibrio
costruttivo del grande compositore tedesco. Le
ottime sinergie con l'attenta direzione di Julio
Garcia Vico, hanno trovato Ying Li in una
situazione idonea per un'eccellente
interpretazione, giocata oltre che da un
dettagliata e precisa resa tecnica, da
un'importante restituzione espressiva esternata
da una complessiva leggerezza di tocco non
disgiunta da momenti di sicura incisività.
Personale, ma certamente valida, la resa
stilistica della sua interpretazione. La
bellezza delle timbriche, sia del pianoforte che
delle sezioni orchestrali, è emersa in modo
evidente nei tre movimenti del concerto. Il
pubblico ha tributato al termine intensi
appllausi e la pianista ha concesso due bis, il
primo Des Abends dai Fantasiestücke
Op.12 di Schumann, e il secondo un breve e
luminoso J.S. Bach. Dopo l'intervallo, il brano
orchestrale,
ancora
di Felix Mendelsshon, era la nota Sinfonia
n.3 in la minore op.56 "Scozzese", lavoro
terminato nel 1842, un anno dopo la
realizzazione del concerto schumanniano. Julio
G.Vico ha trovato il giusto equilibrio delle
dinamiche nella sua direzione senza bacchetta,
ma con una gestualità particolare e molto
producente in termini di resa coloristica. Il
lavoro mendelsshoniano è complesso e ricco di
contrasti nell'organizzazione dei quattro
movimenti, ma con momenti melodici, tipici del
compositore, ottimamente elargiti da ogni
sezione dell'orchestra mantovana, orchestra che
ricordiamo essere tra le più importanti ed
affermate in Italia e non solo. Ancora intensi
gli applausi al termine della riuscita serata.
27 ottobre 2022 Cesare
Guzzardella
Un duo d'eccellenza:
Isabel Faust e Antoine
Tamestit alle Serate
Musicali
Una serata di alta qualità
quella proposta ed ascoltata in Conservatorio
per le Serate Musicali. Il duo
cameristico formato dalla violinista tedesca
Isabel Faust e dal violista parigino Antoine
Tamestit ha rivelato eccellenti qualità
strumentali, affrontando un impaginato che
copriva un ampio periodo
storico,
passando dalla seconda metà del Seicento con
Monsieur de Sainte Colombe (1640-1700), al
vivente Gyorgy Kurtag (1926), attraverso Mozart
(1756-1791) e Bohuslav Martinu (1890-1959). Un
programma intelligente e splendido a
dimostrazione di come interpreti del calibro
della Faust e di Tamestit possano, in modo
disinvolto, trovare relazioni tra le timbriche
più antiche espresse dai loro strumenti e le
composizioni contemporanee. I tre concerti di De
Saint Colombe, in un unico movimento, denominati
Le retour, Le tendre e Tombeau
Les Regrets, si sono alternati agli altri
lavori. In essi, il duo ha mostrato di penetrare
la musica piu lontana temporalmente attraverso
arditezze strumentali raffinate, eseguite in
modo perfettamente sincrono tra i toni più alti
del violino e quelli intermedi della viola. I
timbri, ricchi di sottigliezze coloristiche, ci
hanno portato indietro nel tempo e,
attraversando i diversi periodi storici degli
altri compositori proposti, hanno portato il
segno del sapore "antico" anche nei brani più
recenti di Martinu o di Kurtag. I quattro brevi
e raffinati brani di Kurtag, tra i quali citiamo
almeno Ligatura Y e Eine Blume für
Tabea, erano giocati sull'espressività di
pochi elementi musicali riuniti in sottili
armonie unificate dai due strumenti.
Sottigliezze ardite,
eseguite
con infinita precisione dai due protagonisti.
Due bellissime Sonate mozartiane per Duo, la
KV423 e la KV424, eseguite una nella
prima parte della serata e l'altra a conclusione
del concerto, ci hanno portato in un clima
musicale più sicuro e conosciuto , dove la
cantabilità dei temi del grande genio
salusburghese e il suo modo di armonizzare o di
sviluppare i temi, come nel mirabile Tema con
variazioni nel finale della seconda sonata,
hanno trovato il piacere d'ascolto di tutto il
pubblico presente in Sala Verdi. Di grande
impatto timbrico i Tre Madrigali per violino
e viola di Martinu, dove il grande musicista
ceco ha penetrato il mondo musicale antico
attraverso gli stilemi del '900. L' eccellente
resa espressiva della Faust e di Tamestit ha
evidenziato in questo lavoro una sorta di
sintesi dell'idea complessiva avuta per il
sorprendente impaginato. Un concerto che
meritava una sala al completo, ma purtroppo,
spesso accade che la migliore arte sia
prerogativa di pochi fortunati. Ottimo il bis
concesso tratto dal Flauto magico mozartiano.
Applausi calorosi.
25 ottobre 2022 Cesare
Guzzardella
Carlo Boccadoro
allo Spazio
Teatro 89 di Milano
L'elegante auditorium di via
Fratelli Zoia 89 ha accolto ieri pomeriggio il
musicista Carlo Boccadoro. Classe 1963,
Boccadoro è noto in Italia nella molteplicità
dei suoi ruoli: compositore, direttore
d'orchestra, saggista e anche pianista. E'
specializzato nel repertorio contemporaneo, ma
trova
interesse
anche in quello classico e jazzistico. Ieri, nel
concerto introdotto da Luca Schieppati,
organizzatore musicale e pianista, Boccadoro ha
impaginato al pianoforte un programma
particolare dal titolo "Il suono del ricordo
- Musica fra memoria e metamorfosi". Le
composizioni scelte, presentate al pubblico con
grande chiarezza e competenza dallo stesso
Boccadoro, appartengono a quel filone musicale
detto "minimalismo", che ha nella semplicità
melodica e strutturale e nella tonalità gli
elementi più evidenti. Brani di Adès, di Glass,
di Pärt, di Einaudi e di Boccadoro stesso, si
sono succeduti secondo una logica che trova
nella trasformazione di semplici elementi e
nella
riflessione
su piccoli cambiamenti una ragione di
comprensione. Il primo brano è stato il breve ed
intenso Souvenir (2018) dell' inglese
Thomas Adès (1971), utilizzato anche come
colonna sonora del film Colette: si è così
definita dai primi accordi la cifra tonale e
riflessiva data al pomeriggio musicale. Le
Five Metamorphosis (1988) del compositore
americano Philip Glass (1937) ci hanno portato
nel più autentico minimalismo, giocato su
piccole trasformazioni di un tema ripetuto
all'infinito. Bravissimo Boccadoro
nell'evidenziare, con sfumature ben delineate,
le sottili dinamiche che fanno mutare le
timbriche del noto lavoro. Una sorta di
cambiamento di percorso si è avuto con il brano
Cruel Beauty (2011) di Boccadoro (1963),
dedicato a Franco Battiato: una breve
composizione che, pur utilizzando elementi
semplici in partenza, rievocanti la corrente
minimalista, trova anche semplici dissonanze ed
elementi armonici più evoluti. Indubbiamente un
brano di notevole espressività. Profondo nella
sua
semplicità solo apparente Variationen zur
Gesundung von Arinuschka (1977) del
compositore estone Arvo Pärt (1935). Un breve
lavoro giocato su pochissime note e interpretato
con grande intensità emotiva da Boccadoro. I
quattro brani conclusivi tratti da Underwater
(2020) di Ludovico Einaudi (1955) ci hanno
portato nel minimalismo melodico del noto
compositore piemontese. L'interiorizzazione dei
lavori di Einaudi, che appaiono all'ascolto come
una sorta di monologhi con se stesso, ha trovato
in Boccadoro un interprete ideale. Molto
piacevole per la sua coralità espressiva il
breve Underwater, dodicesimo brano che dà
il nome alla raccolta. Ottimo il bis concesso
dal pianista con un'eccellente trascrizione di
Black Bird dei Beatles, nella firma di
Lennon-McCartney. Grande successo e applausi dal
numeroso pubblico intervenuto.
24 ottobre 2022 Cesare
Guzzardella
Ali Hirèche ai Lieti
Calici milanesi
Il pomeriggio musicale degli
Amici del Loggione del Teatro alla Scala di via
Silvio Pellico 6, ha avuto come protagonista il
pianista parigino Ali Hirèche, classe1976. Dopo
i primi studi fatti nella capitale francese,
Hirèche ha continuato al Conservatorio "G.Verdi"
milanese con Riccardo Risaliti, perfezionandosi
poi alla scuola d'interpretazione pianistica di
Imola. È stato
vincitore di concorsi
internazionali tra cui l'importante Premio
Venezia nel 1999. Il breve concerto,
introdotto da Mario Marcarini per la rassegna "Lieti
Calici", aveva come tema Faust e il Wenderer,
e per l'occasione il virtuoso ha eseguito la
celebre corposa Sonata in si minore di
Franz Liszt, un brano molto rappresentativo
della musica romantica legata a quel periodo
storico di metà Ottocento. L'interpretazione
fornita da Hirèche ha rivelato le sue indubbie
qualità virtuosistiche, sostenute da una carica
espressiva
evidente, ma anche da una visione
complessiva del brano:
precisa e sicura nelle rappresentazioni
coloristiche e unitaria nell'insieme costruttivo.
Ricordiamo che Hirèche è un collaudato
interprete del romaniticismo musicale avendo
eseguito con successo molta musica di Chopin e
avendo all'attivo anche recenti registrazioni di
Schumann. Di Schubert-Liszt il pianista ha poi
interpretato in modo introspettivo il noto brano
Gretchen am spinnrade dal relativo lied del
viennese. A conclusione, l'ottimo ed intenso
Mompou di Pájaro triste e come bis il suo
amato Chopin con un vibrante Studio n.12
op.10. Dopo l'ora musicale sia è passati al
classico brindisi, con ottimi vini, salumi e
gustosi pizzoccheri.
22-10-2022 Cesare Guzzardella
Gaia Gaibazzi e Massimo
Bianchi alla Sala Esedra del Museo del Teatro
alla Scala
Un tardo pomeriggio
nell'elegante Sala Esedra del Museo del Teatro
alla Scala ha trovato due ottimi interpreti nei
nomi di Gaia Gaibazzi, al clarinetto, e di
Massimo Giuseppe Bianchi, al pianoforte, venuti
per un concerto organizzato dal Museo della
Scala e da "Musica con le ali", l'organizzazione
culturale fondata da Carlo Hruby nel 2016, atta
a sostenere
la
musica delle nuove generazioni di interpreti. In
questa occasione l'associazione ha appoggiato un
progetto, la Musica del fiore, legato alla
Fondazione Bianca Garavaglia, a favore della
raccolta fondi per la ricerca oncologica sui
tumori pediatrici. Il concerto, presentato dallo
stesso Hruby, ha visto una giovane ma già
affermata clarinettista insieme a un virtuoso
pianista come Bianchi, pure raffinato
organizzatore musicale, impaginare un programma
che prevedeva due maturi brani di Johannes
Brahms e due lavori meno noti e più attuali di
Paul Ben-Haim (1897-1984) e di Béla Kovács
(1937-2021). Ricordiamo che il pianoforte
utilizzato da Massimo G. Bianchi, e attualmente
al Museo scaligero, è uno Steinway & Sons
appartenuto
a Liszt dal 1883 e da alcuni anni utilizzato per
i concerti del Museo scaligero. Le Sonate
per Clarinetto e Pianoforte Op. 120 n.1
e Op. 120 n.2, sono le ultime
composizioni cameristiche di Brahms e denotano,
oltra ad una costruzione melodica-armonica
avanzata, nello stile più autentico del
compositore, momenti di esternazione di evidente
cantabilità, evidenziata molto bene dai colori
caldi del clarinetto della bravissima Gaibazzi.
L'ottima integrazione tra i due interpreti
l'abbiamo riscontrata anche nei profondi e
riflessivi brani di Paul Ben-Haim, compositore
israeliano che utilizza intervalli tipici della
musica medio-orientale. Le Three songs
without words sono costruite su armonie
tipiche medio- orientali
e su un canto di poche note, ma di profonda
esternazione, elargito con introspezione col
timbro piu caldo del clarinetto. Ottima la resa
complessiva del duo, sia in Ariosto che
in Ballad e in Sephardic Melody.
Il breve brano conclusivo del compositore e
clarinettista ungherese Béla Kovács,
Sholem-alekhem, nella revisione di Giora
Feidman, è in stile klezmer, ed è stato eseguito
molto bene evidenziando il caratteristico modo
estemporaneo e folcloristico del movimentato
finale. Tra i brani eseguiti, Bianchi ha voluto
anche inserire una breve ma sentita sua
improvvisazione su alcune note di Ben-Haim. Di
grande resa coloristica poi il bis concesso, con
una trascrizione per duo del brano di
Lennon-McCartney, Because. Applausi
convinti dal numeroso pubblico intervenuto.
21 ottobre 2022 Cesare
Guzzardella
Ramin Bahrami
e i Solisti Aquilani
per la Società dei Concerti
Conosciamo bene la passione
che lega il pianista iraniano Ramin Bahrami alla
musica di Bach. Interprete affermato, ha
eseguito concerti nelle maggiori sale
concertistiche europee e di tutto il mondo,
producendo anche numerose incisioni per le
maggiori case discografiche. Ieri in una bella
serata organizzata dalla "Società dei
Concerti", ha interpretato naturalmente
"tutto
Bach", coadiuvato da una valida formazione
cameristica, quella dei Solisti Aquilani.
La formazione strumentale, nata nel 1968 sotto
la guida di Vittorio Antonellini, ha iniziato il
concerto con il celebre Concerto
Brandeburghese n.3 in Sol maggiore BWV 1048,
rivelando da subito la freschezza virtuosistica
della formazione che ha donato
un'interpretazione ricca di timbriche luminose
ed espressive. L'entrata in palcoscenico di
Bahrami ci ha permesso l'ascolto del solo
pianoforte con il Concerto in stile Italiano
in fa maggiore BWV 971. Un Bach personale
quello del pianista iraniano, caratterizzato da
una leggerezza discorsiva certamente lontana
dalla tradizione esecutiva di tipo
clavicembalistico, ma più vicina alle sonorità
tipiche dello strumento moderno, sonorità
avvolgenti e morbide, certamente di qualità. Il
Concerto n.3 in re maggiore per pianoforte ed
archi BWV 1054 concludeva la prima parte
della serata. Un' esecuzione ricca di
espressività,
con un Adagio centrale di notevole
riflessione ed intensità espressiva. Dopo il
breve intervallo, Bahrami procedeva ancora in
solitaria con la Partita n.1 in si
bem.maggiore BWV 825, tra le più note ed
eseguite del genere. Sette brevi movimenti
interpretati ancora con candore e fraseggio
legato e scorrevole. Due concerti per pianoforte
ed archi concludevano il programma ufficiale:
quello in Fa minore BWV 1056 e quello in
Sol minore BWV 1058. In entrambi, il
movimento centrale , un Largo e un
Andante, hanno rivelato intensa espressività.
Ottima la componente orchestrale in tutti i
lavori, sempre in sintonia col Bach vellutato di
Bahrami. Applausi fragorosi dal numeroso
pubblico intervenuto, con la presenza anche di
molti giovani. Nell'ottimo bis concesso da
Bahrami, con dedica del pianista al popolo e
soprattutto alle donne iraniane, la replica
dell'intenso Adagio del Concerto n.3 BWV
1054 Ancora lunghi applausi ai protagonisti.
20 ottobre 2022 Cesare
Guzzardella
Successo di Fedora
alla Scala con la
coppia Yoncheva-Alagna
Un Teatro alla Scala al
completo ha accolto l'opera Fedora di
Umberto Giordano, tre atti su libretto di Arturo
Colautti tratto dal dramma omonimo di Victorien
Sardou. Fedora è un'opera che piace molto al
pubblico italiano e internazionale, da quando
venne proposta al Teatro Lirico milanese nel
novembre del 1898 A Milano mancava dal 2004,
dove venne rappresentata agli Arcimboldi, teatro
che allora sostituiva la Scala in
ristrutturazione. Il successo di ieri sera, in
seconda rappresentazione, con applausi fragorosi
a
tutti
i protagonisti, è dovuto a più motivazioni:
certamente la resa emotiva di un lavoro ricco di
splendida musica, orchestrata magistralmente da
Giordano, con eccellenti proposte vocali dal
sapore pucciniano, ha contribuito al meritato
successo di un'opera importante e celebre
quanto l'Andrea Chènier; l'ottimo cast vocale
impiegato, con le voci corpose e limpide di
Sonya Yoncheva - la principessa Fedora
Romazov- e di Roberto Alagna - il Conte
Loris Ipanov- ha contribuito a dare un
valore aggiuto probabilmente determinante.
Aggiugiamo le ottime rese vocali di Serena
Gamberoni, la Contessa Olga Sukarev, di
George Petean, De Siriex, e di tutti gli
altri. Per quanto concerne la messinscena di
Mario Martone, regista eccellente in campo
cinematografico, troviamo che la scelta di
ambientare ai giorni nostri il dramma - pur con
l'ausilio delle valide
scenografie
di Margherita Palli, dei costumi attuali di
Ursula Patzak, delle luci di Pasquale Mari e
delle coreografie di Daniela Schiavone- abbia contribuito solo in parte alla riuscita di un'opera di
pregio, che ha avuto un passato di grandi
realizzazioni. E' una
regia comunque che vuole mettere in rilievo i
caratteri dei personaggi slegandoli da
un'ambientazione probabilmente non fondamentale. Di pregio la
direzione di Marco Armiliato, che con una
sensibilità legata alla tradizione del bel canto
italiano, ha saputo elargire un'orchestrazione
musicalmente ricca, capace d'integrare benissimo
le ottime voci e le parti corali preparate bene
- come sempre- da Alberto Malazzi. Una
rappresentazione complessiva che merita
certamente di essere seguita nelle prossime date
in programma. Repliche previste per il
21-24-27-30 ottobre e 4 novembre.
( Foto di Brescia-Amisano dall'Archivio della
Scala )
19 ottobre 2022 Cesare
Guzzardella
Il violinista Daniel
Lozakovich ai
concerti di "Serate Musicali"
Ieri sera, al concerto
organizzato da Serate Musicali, Daniel
Lozakovich doveva avere come compagno Stanislav
Soloviev, ma il pianista di San Pietroburgo ha
avuto il divieto di lasciare il suo Paese a
causa delle disposizioni che lo potrebbero
mandare a combattere in Ucraina. All'ultimo
momento il ventunenne violinista svedese ha
organizzato un programma per solo violino con
pagine di Bach, Ysaye, Paganini e Milstein. Un
impaginato
all'insegna del virtuosismo che Lozakovich ha
esternato con continuità e senza l'interruzione
del consueto intervallo. Non era la prima volta
che il violinista veniva a Milano . L'avevamo
già ascoltato nel febbraio di quest'anno, al
Teatro Lirico "Gaber", in un bellissimo Concerto
op.64 di Mendelssohn e nel marzo del 2018, non
ancora maggiorenne, in duo con il pianista
ucraino Romanovski. Ieri ha avuto la possibilità
di dimostrare i progressi fatti in questi anni,
rivelando un netto miglioramento delle sue già
notevoli qualità, in termini di virtuosismo ed
espressività interpretativa. Iniziando dalla
celebre Partita n.2 in re minore BWV 1004,
quella della famosa Ciaccona, ha
subito espresso fluidità non indifferente
nell'affrontare anche i frangenti più
virtuosistici della straordinaria composizione
bachiana.
Con
la Sonata in sol maggiore op.27 n.5 " Mathieu
Crickboom", brano di Eugene Ysaye ricco di
raffinate esternazioni coloristiche, Lozakovich
ha rivelato ancor più grinta e bellezza nei
timbri del suo voluminoso e prezioso violino.
Negli ultimi brani, all'insegna di Paganini,
Lozakovich ha consolidato una qualità
interpretativa che lo pone certamente tra i
migliori interpreti della sua generazione: prima
con il celebre Capriccio n.24 in la minore
op.1 - quello delle variazioni-; poi
la meno nota Paganiniana del virtuoso
violinista Nathan Milstein, che non è altro che
una serie di variazioni in "stile paganiniano"
di alcuni tra i più celebri momenti musicali del
grande genovese. Decisamente validi i due bis
concessi: un Adagio dalla Sonata n.1 per
violino solo di Bach, quindi un ottimo Fritz
Kreisler con Recitativo e Scherzo, brano
di grande impatto espressivo. Applausi fragorosi
dal pubblico presente in Sala Verdi.
18 ottobre 2022 Cesare
Guzzardella
Michele Mariotti
e Ian Bostridge per
l'Orchestra Sinfonica di Milano
Due presenze importanti hanno
caratterizzato l'eccellente concerto
dell'Orchestra Sinfonica di Milano, ascoltato in
replica oggi pomeriggio: la presenza del
direttore pesarese Michele Mariotti e del tenore
inglese Ian
Brostidge,
ritornato a Milano dopo il recente successo al
Teatro Dal Verme con Les illuminations di
Benjamin Britten per il Festival Mito.
L'impaginato prevedeva due validi lavori quali
La morte e la fanciulla (1824) di Franz
Schubert, nella riuscita trascrizione per
orchestra d'archi (1887-90) operata da Mahler
dall'originale quartetto d'archi, quindi Des
Knaben Wunderhorn (1890) di Gustav Mahler,
cinque lieder di rara espressività per tenore ed
orchestra. Le interpretazioni ascoltate, di alta
qualità, hanno visto l'attenta, precisa e
dettagliata direzione di Mariotti, direttore che
ha trovato soprattutto nella musica lirica, con
opere celebri eseguite nei più prestigiosi
teatri, una celebrità internazionale
meritatissima. La sua passione per il canto è
stata assecondata anche nei due brani
dell'impaginato: il primo, schubertiano, ha
nella cantabilità un elemento principale;
il
secondo, con la splendida voce tenorile di
Brostidge, ha nell'orchestrazione innovativa
mahleriana un altro elemento importante che ha
esaltato le qualità interpretative del direttore.
La bellissima voce del cantante londinese, a
volte delicata e all'occorrenza incisiva e ricca
di potenza, ha fatto poi la differenza, con
un'emozionante interpretazione dei cinque
intensi e profondi lieder. Il pubblico presente
in Auditorium ha assai apprezzato entrambi i
lavori, tributando, al termine della loro
esecuzione, fragorosi applausi.
16 ottobre 2022 Cesare
Guzzardella
Inaugurata la nuova
stagione concertistica
dell'Orchestra de I Pomeriggi Musicali
Ieri sera al Teatro dal Verme
è iniziata la nuova Stagione concertistica dell'Orchestra
de I Pomeriggi Musicali che quest'anno
prevede 22 appuntamenti con i consueti concerti
di giovedì alle ore 20.00
e le rispettive
repliche
di sabato alle ore 17.00. Il direttore
principale dell'Orchestra de I Pomeriggi, James
Feddeck, ha scelto un programma di grande
impatto timbrico con due capolavori noti a tutti,
come il Bolero di Ravel e i Quadri di
un’esposizione di Musorgskij, anticipati
però da un brano non molto frequentato quale le
Variazioni su un tema di Paganini di
Witold Lutos ławski,
per l'occasione eseguite dal giovane pianista
Julian Trevelyan.
L'inizio
scintillane della serata, con un lavoro giocato
sulle variazioni del celebre tema paganiniano,
ha messo in rilievo le qualità
virtuosistiche di questo giovane interprete.
Julian Miles Trevelyan è un pianista britannico
di 23 anni, vincitore di numerosi concorsi
internazionali, tra cui un importante secondo
premio al Concorso Internazionale "Geza Anda"
di Salisburgo ottenuto
nel
2021. Il suo alto livello interpretativo del
concerto del musicista polacco, ha trovato
integrazione con un'ottima resa timbrica degli
orchestrali de I Pomeriggi e una decisa e
adeguata direzione di Feddeck. Valido il bis
solistico di Trevelyan con un brano dal sapore
decisamente chopiniano. Fragorosi gli applausi.
Con i due classici brani di Ravel e Musorgskij -
i Quadri nella celebre orchestrazione dello
stesso Ravel- , l'orchestra ha ancora dimostrato
ottime qualità in ogni sezione strumentale, con
un Bolero decisamente chiaro e dinamicamente
eccellente e una valida interpretazione dei
Quadri di un'esposizione. Applausi sostenuti dal
numeroso pubblico presente per tutti i lavori.
Sabato, alle ore 17.00, la replica.
14 ottobre 2022
Cesare Guzzardella
Sonia Bergamasco
ed Emanuele Arciuli
interpretano Richard Strauss
Una serata diversa dal solito
quella che ha inaugurato la Serie Rubino
della "Società dei Concerti" di Milano.
Sul palcoscenico di Sala Verdi in Conservatorio,
è salita l'attrice Sonia Bergamasco che insieme
al pianista Emanuele Arciuli ha recitato
Enoch Arden op.38, il noto melologo che
Richard
Strauss (1848-1904) compose nel 1897 sulle
parole del racconto di Lord Alfred Tennyson, per
l'occasione tradotto in italiano da Bruno Cagli.
La voce recitante della milanese Bergamasco -che
ricordiamo essersi diplomata in pianoforte in
questo Conservatorio - ha modulato molto bene il
racconto di Tennyson, coadiuvata costantemente
dal pianoforte di Arciuli, interprete con il
quale collabora da molti anni. La tensione
emotiva "in crescendo" del testo è apparsa in
sintonia con gli interventi pianistici atti a
sottolineare la vicenda, con momenti di
sovrapposizione tra parte musicale e recitazione,
in alternanza ad altri per solo pianoforte o per
sola voce.
L'ottima introduzione di Arciuli, che con scale
ascendenti e discendenti descrive con forza
l'ambientazione del racconto in una scogliera
marina, ha poi sviluppi musicali che descrivono
la vicenda secondo uno schema tipico, riferibile
al genere del poema sinfonico. Eccellente la
resa complessiva del lavoro e applausi convinti
per entrambi gli interpreti. Il melologo
straussiano ha avuto un breve seguito con un
altro breve
melologo concesso come bis: di Franz
Schubert, infatti, la coppia di artisti ha
interpretato Addio alla terra, su testo
di Adolf Pratobevera von Wiesborn, reso ancora
molto bene da entrambi. Nella prima parte della
serata, il lavoro di Strauss era stato
anticipato da una parte solo pianistica, con
l'esecuzione di alcuni "Pezzi lirici" di
Edvard Grieg, precisamente l'op 12
n.1, l'op.43 n.4-5-6, l'op.62 n.5 e
l'op.65 n.6. Di qualità l'interpretazione
del pianista pugliese che, attraverso un valido
controllo delle dinamica ed una precisa e
riflessiva lettura, ha colto l'essenza musicale
del compositore norvegese e del suo modo
raffinato di nobilitare i temi folcloristici
legati alla sua terra. Applausi convinti e
sostenuti, anche nella prima parte della
splendida serata, dal pubblico intervenuto .
13 ottobre 2022 Cesare
Guzzardella
Il Quartetto di Praga
e Luisa Sello al
Museo del Novecento
"Archi nella contemporaneità",
questa la denominazione dell'eccellente
concerto cameristico organizzato nella Sala
Fontana del Museo del '900 di Milano. Il
programma, sia novecentesco che contemporaneo,
ha visto il
Quartetto Pra žăk
-una delle
migliori formazioni della scena quartettistica
mondiale- cimentarsi in un impaginato di
particolare rilevanza. In alcuni brani era
presente l'ottima flautista Luisa Sello, che ha
avuto modo di eseguire anche un brano per solo
flauto. I primi due lavori, della prima metà
del Novecento, erano di Erwin Schulhoff
(1894-1942), compositore cecoslovacco di origine
ebraica, morto nel campo di concentramento di
Wülzburg presso Weißenburg nel '42, e di
Silvestre Revueltas (1899-1940), uno dei massimi
compositori messicani. I Five Pieces per
Quartetto d'archi del primo e il
Quartetto d'archi n.4 "Musica de Feria"
(1932) del secondo, sono brani accomunati da uno
stile compositivo che aveva già assimilato tutte
le principali correnti del primo Novecento,
quelle legate alla Seconda Scuola di Vienna e
quella neoclassica stravinskiana. Il grande
rilievo interpretativo del
Quartetto di Praga è
emerso subito dalla straordinaria intesa dei
quattro strumentisti; un'intesa giocata su una
speciale abilità di controllo delle sonorità,
per un sapiente modo di dosare le timbriche e di
saperle miscelare per arrivare ad una resa
unitaria fluida e ricca di espressività. Il
momento di maggior contemporaneità si è rivelato
nei brani di Rainer Bischof (1947), compositore
presente in sala. Il primo, un recente
Quartetto d'archi n.4 (2020), era in prima
esecuzione assoluta. Un lavoro complesso, ma
reso in modo efficace dai quattro archisti che
hanno espresso bene le timbriche scure, spesso
taglienti, del notevole brano. Dopo i sostenuti
applausi, rivolti anche al compositore entrato
in scena, ancora un brano di Bischof, questa
volta per solo flauto, dedicato ed eseguito da
Luisa Sello. Il brano 'Erbarme dich',
Siciliano sulla Passione Secondo San Matteo,
introduce la
nota melodia di Bach per
trasformarsi poi in una serie di varianti del
tema che, partendo da una morbida discorsività,
arrivano poi ad una marcata resa virtuosistica
espressa ottimamente dalla Sello. Luisa Sello
era presente come protagonista del bellissimo
brano per flauto e quartetto d'archi del
compositore argentino Alberto E. Ginastera
(1916-1983), Impresiones de la Puna
(1934), un lavoro con anche ritmiche
sud-americane ottimamente interpretate. Il brano
conclusivo di Valter Sivilotti (1963) dedicato a
Luisa Sello, Incantesimo della Luna Nuova,
per flauto ed archi, è un lavoro di ottima
fattura, di immediata accessibilità per la
luminosa costruzione armonico-melodica
realizzata. Ottima la resa strumentale di questo
indovinato lavoro. Ricordiamo l'attuale
formazione del quartetto d'archi: Jana Vonàskova
e Marie Fuxova ai violini, Josef kluson alla
viola e Pavel Jonàs Krejcì al violoncello.
Calorosi gli applausi del numeroso pubblico
presente nella scenografica Sala Fontana del
Museo milanese.
12 ottobre 2022 Cesare
Guzzardella
L'EsTrio ai concerti
di "Serate Musicali" per un
"tutto Schumann"
È un Trio di qualità l'EsTrio,
quello formato da Laura Gorna al violino, da
Cecilia Radic al violoncello e da Laura Manzini
al pianoforte. Dal 2004 suonano insieme in
repertori sia classici che contemporanei. Ieri
sera in Conservatorio, nel concerto organizzato
da Serate Musicali, il programma
era
interamente dedicato a Robert Schumann
(1810-1856). Le tre strumentiste hanno rivelato
già dalle prime battute la loro efficace intesa
strumentale. La musiche del grande genio tedesco,
con lo straordinario talento inventivo -
armonico e melodico- presente in questi lavori
dell'ultimo periodo di vita del compositore, ha
trovato solida espressività nell'EsTrio.
Iniziando dalla Fantasiestücke per violino,
violoncello e pianoforte Op.88, composta nel
1842, si è poi passati - in ordine d'esecuzione-
al Trio per violino violoncello e piano no.2
in fa maggiore Op.80 e al Trio per
violino, violoncello e pianoforte n.1 in re
minore Op.63, entrambi del 1847. Il
classicismo dei quattro brani che formano la
Fantasiestücke, con i riferimenti
alla
musica di Haydn, Beethoven e Schubert, trova un
linguaggio più evoluto nel romanticismo dei due
Trii del 1847, caratterizzati, nella più ampia
dimensione, da intrecci armonici e melodici
tipici del migliore Schumann, come nello
stupefacente finale Mit Feuer dell'op.63,
segnato da quella felice incalzante melodia che
ritorna più volte. Nelle valide interpretazioni,
le parti più melodiche degli archi erano
sorrette dalla complessa impalcatura armonica
del pianoforte, sostenuta dall'ottima Laura
Manzini attraverso una rilevante fluidità
discorsiva, esternata con sicurezza
nell'approccio esecutivo. Complessivamente, il
trio ha fornito un'ottima interpretazione, con
il violino della Gorna e l'ancor più luminoso
violoncello della Radic ben integrati nel
tessuto armonico, per una resa melodica
coinvolgente. Applausi calorosi al termine del
programma ufficiale, ed efficace il bis concesso
con il primo dei 6 Studi in forma canonica
per pianoforte a pedali op. 56 -ancora di
Robert Schumann- nella riuscita vibrante
trascrizione di Theodor Kirchner. Gran concerto.
11 ottobre 2022 Cesare
Guzzardella
Thomas Adès
sostituisce Tugan
Sokhiev, indisposto, alla direzione dei
Filarmonici della Scala
Un programma con due
capolavori quali il Concerto n.2 in do minore
op.18 (1900-01) di Rachmaninov e la
Sinfonia n.4 in fa minore op.36 (1877-78)
di
Čaikovskij,
quello proposto dalla Filarmonica della Scala.
Il direttore
londinese
Thomas Adès, noto
soprattutto come compositore e a novembre alla
Scala con la sua nuova opera The Tempest,
ha sostituito
all'ultimo
momento il russo Tugan Sokhiev indisposto,
mantenendo il medesimo impaginato. Il pianista
cinese Hoachen Zhang, vincitore nel 2009 del
Concorso Internazionale "Van Cliburn", ha avuto
il ruolo di protagonista come solista del
celebre concerto di Rachmaninov. Nella seconda
replica, ascoltata ieri sera in un teatro con
pochi posti liberi, la direzione di alta qualità
di Adès ha trovato una risposta rilevante dai
bravissimi Filarmonici in entrambi i lavori. Di
valida resa espressiva la linea interpretativa
scelta da Adès e da Zhang per il concerto del
russo. Gli andamenti riflessivi, sia nel
Moderato iniziale che nell'Adagio
sostenuto, hanno trovato una perfetta
integrazione tra i colori del pianoforte e
quelli dell'orchestra, per un'esecuzione
personale, ricca di timbriche ottimamente
miscelate anche nell'Allegro scherzando
finale. La perfezione tecnica del pianista di
Shanghai ha portato ad un'esternazione
coloristica precisa e sapientemente dosata;
così
come il perfetto dosaggio delle timbriche
orchestrali, nella direzione di Adés, hanno
esaltato la componente sinfonica del concerto.
Di alta qualità interpretativa il bis solistico
concesso da Zhang con l' Intermezzo n.2
Op.118 di Johannes Brahms d'intensa
espressività. Dopo il breve intervallo,
un'ottima Sinfonia n.4 di
Čaikovskij
ha rivelato ancora le qualità
direttoriali di Adès che con il suo gesto
composto e riflessivo, ha riempito di elementi
di contrasto i quattro movimenti che formano il
corposo e spesso fragoroso brano. Probabilmente
non è emersa in toto l'anima russa nella celebre
sinfonia, ma certamente la resa espressiva, in
ogni sezione orchestrale, è stata all'altezza
tanto da meritare i fragorosi e continuati
applausi del numerosissimo pubblico intervenuto
in Scala. Grande serata.
10 ottobre 2022 Cesare
Guzzardella
La musica pianistica
di Alfredo Catalani per
Luca Gorla ai Lieti Calici
Particolarmente
interessante l'incontro
organizzato da Mario Marcarini agli Amici del
Loggione del Teatro alla Scala di via Silvio
Pellico 6 per la
rassegna
musicale Lieti Calici. Il pianista Luca
Gorla, ha messo in rilievo la figura di un
musicista un po' dimenticato quale il lucchese
Alfredo Catalani (1854-1893), proponendo una
serie di brani pianistici particolarmente
significativi. Ricordiamo che Catalani, fu una
figura di spicco alla fine del '800 soprattutto
come operista. Apprezzato dai contemporanei e da
direttori come Toscanini o da
direttori-compositori come Mahler- ma l'elenco
degli apprezzamenti è lungo - rimane ora
ricordato soprattutto per l'opera la Wally e
meno per Loreley o Edmea. Nella
breve vita, interrotta all'età di 39 anni
per
una grave forma di tisi, Catalani oltre ad un
numero importante di opere liriche, compose
musica da camera, per orchestra e una serie di
brani pianistici melodici d'immediata presa
emotiva. Gorla, tra le parole espresse con
chiarezza sulla non facile vita del compositore,
ha alternato alcuni brani pianistici, tra cui
A te.., Rêverie, In sogno e A sera,
tutti lavori dove l'alta componente melodica,
con intima e melanconica liricità, rivelano
l'amore del musicista per l'opera italiana ed
europea. Ottime le interpretazioni di Gorla e la
sua lezione-concerto complessiva che è piaciuta
molto ai numerosi presenti nella capiente sala.
Al termine, come di consueto un brindisi con
ottimi vini e non solo.
10 ottobre 2022 Cesare
Guzzardella
L'Orchestra Sinfonica
di Milano e il
pianista Roberto Cominati per Campogrande,
Beethoven e Brahms
Il Concerto sinfonico di ieri
sera in Auditorium ha trovato per la Sinfonica
di Milano una giovane bacchetta quale l'inglese
Joel Sandelson, vincitore lo scorso anno del
prestigioso Premio Herbert von Karajan Young
Conductors di Salisburgo. In programma due
celebri brani di Beethoven e di
Brahms e una novità
del compositore torinese Nicola Campogrande con
la sua Sinfonia n.2 "Un mondo nuovo". Il
recentissimo brano di
Campogrande, meno di venti
minuti la durata complessiva per quattro
movimenti, prevedeva anche, nell'Adagio
cantabile del finale, una voce solista da
mezzosoprano. Il compositore ha trovato
ispirazione dalla tragedia della guerra che
ancora stiamo vivendo con angoscia, per comporre
un lavoro sinfonico che portasse valori positivi
in opposizione a quanto è in atto. Con il
supporto del librettista Piero Bodrato, autore
delle belle parole dell'ultimo movimento, ha
realizzato un lavoro che ha soprattuto nell'Allegro
iniziale e nell'Allegro spiritoso
del terzo movimento note e armonie positive, e
momenti di maggiore riflessione nell'Adagio
espressivo e nell'Adagio cantabile
finale. Il lavoro, decisamente tonale nella
fattura melodico-armonica, risente influenze
soprattutto italiane per la cantabilità e il
gusto armonico, influenze soprattutto della
scuola sinfonica del primo Novecento. Una
maggiore apertura alle modalità compositive
europee, con riferimenti a R.Strauss o Mahler,
la troviamo nell'esaustivo Adagio cantabile,
dove la voce eccellente del mezzosoprano tedesco-
con studi italiani- Theresa Kronthaler, ha dato
un notevole valore aggiunto alla breve sinfonia.
La resa complessiva del brano, nella valida
direzione di Sandelson, al primo ascolto ci è
sembrata più che valida. Con il Concerto per
pianoforte e orchestra n.5 in mi bem.maggiore
Op. 73 "Imperatore" del genio di Bonn, ci siamo trovati
di fronte all'ultimo capolavoro, in questo
genere, di Beethoven. Al pianoforte, nella parte
solistica, Roberto Cominati, ha sostenuto in
modo efficace il suo fondamentale ruolo.
L'ottima sinergia con la convincente direzione
di Sandelson ha portato ad una valida resa
interpretativa complessiva. Molto intenso il
celebre Adagio poco mosso centrale, dove
le poche note della melodia, sono state riempite
di profonda espressività dalle mani di Cominati,
pianista che elargisce spesso un'elegante cifra
stilistica evitando ogni eccesso timbrico. Di
splendida fattura il bis concesso, con una
mirabile trascrizione del celebre Lascia che
io pianga di Handel reso in
modo corposo e
pregnante. Applausi convinti dal numeroso
pubblico intervenuto. Dopo il breve intervallo
valida l'interpretazione della Sinfonia n.1
in do minore op.68 di Johannes Brahms. La
resa espressiva dei bravissimi orchestrali della
Sinfonica milanese è stata forgiata da una
direzione energica e con andature rapide da Joel
Sandelson. Applausi interminabil i
al termine
dell'esecuzione. Domenica 9 ottobre, alle ore
16.00, la replica. Da non perdere.
8 ottobre 2022 Cesare
Guzzardella
Anna Tifu apre
la nuova stagione
musicale della Società dei Concerti
La nuova stagione
concertistica della "Fondazione La Società
dei Concerti" è iniziata ieri sera con una
violinista tra le migliori del panorama
internazionale: Anna Tifu. La
Nordwestdeutsche Philharmonie, compagine
orchestrale
della Germania nord-occidentale, era diretta da
Jonathan Bloxham, che ha impaginato un programma
denominato "Vibrazioni americane" per la
particolarità delle composizioni scelte: due
importanti brani di compositori europei che
trovarono ispirazione dal mondo musicale
americano, luogo che frequentarono negli ultimi
decenni della loro vita. Di E. W. Korngold,
compositore austriaco vissuto per alcuni decenni
negli Stati Uniti, è stato proposto il
Concerto per violino e orchestra in re magg. op.
35 (1945) mentre di Antonin Dvo řák,
musicista ceco, la sua celebre Sinfonia n. 9
in Mi min. op. 95 "Dal Nuovo Mondo" (1895).
Per il meno noto concerto solistico,
pur
di straordinaria bellezza, la violinista sarda
Anna Tifu ha sostenuto il ruolo di protagonista
con un'interpretazione di alto livello
espressivo. Anna Tifu, ben coadiuvata dalla
direzione di Bloxham, ha espresso il particolare
virtuosismo del concerto di Korngold con un resa
energica, ricca di sicurezza timbrica
nell'esternazione del fraseggio. Valida anche la
cadenza del primo movimento Moderato nobile
e di efficace resa coloristica tutti i tre
movimenti dell'originale lavoro. Applausi
sostenuti al termine e di rilievo il bis
solistico concesso dalla Tifu con l'Adagio dalla Sonata n.1 di J.S.Bach intensamente espressivo.
Dopo il breve intervallo, ottima
l'interpretazione
della nota Sinfonia op.95 di Dvorak, eseguita
con corretto equilibrio formale e perfetto
dosaggio dei piani sonori. Valida ogni sezione
orchestrale e ben delineata e particolareggiata
la direzione di Bloxham. Applausi convinti dal
pubblico presente in Sala Verdi e bis
orchestrale con una vibrante Danza Slava
op.46 n.8 di Dvorak. Il prossimo
appuntamento del 12 ottobre , per la serie
Rubino, avrà la partecipazione della voce
recitante dell'attrice Sonia Bergamasco e del
pianista Emanuele Arciuli per un programma
dedicato a Grieg e a R.Strauss. Da non perdere.
6 ottobre 2022 Cesare
Guzzardella
CURTIS ON
TOUR A VERCELLI
Quella inesauribile fucina di
musica che è la Camerata Ducale di Vercelli,
felicemente operosa per tutti i dodici mesi
dell’anno, ha offerto ieri sera, mercoledì 5
ottobre, nella sontuosa cornice del Palazzo
Dugentesco, un succulento antipasto dell’ormai
prossima XXV Stagione del Viotti Festival:
grazie alla Camerata Ducale cinque tra i
migliori giovani allievi di una delle più
prestigiose accademie di studi musicali al mondo,
lo statunitense Curtis Institute of Music di
Philadelphia, in tour attualmente in Europa,
hanno eseguito ieri a Vercelli il loro unico
concerto previsto per il nostro Paese. I cinque
concertisti sono il soprano italo-australiano
Elena Perroni, il violinista Andrea Obiso (in
realtà ex allievo del Curtis, tornato in Italia,
ove si sta conquistando solida fama ed è
attualmente violino di spalla dell’Orchestra di
S. Cecilia) , la violista sudcoreana Haesue Lee,
il violoncellista greco Timotheos
Gavrillidis-Petrin e la pianista
indiano-americana Pallavi Mahidara. Il programma
presentato proponeva tre composizioni: il Trio
per archi n.1 in Si bem. maggiore D. 471 di
Schubert, i “Canti della Natura” del compositore
americano contemporaneo, nonché laureatosi
anch’egli al Curtis, Richard Danielpour e il
gran finale con il Brahms del Quartetto per
pianoforte e archi in sol min. n.1 op.25. La
composizione schubertiana non è certo da
annoverare tra i capolavori del sommo autore
viennese: largamente incompiuta ( Schubert
scrisse interamente l’Allegro iniziale, poi
abbandonò l’opera alla battuta 38 del secondo
movimento), risente, senza particolare
originalità, del modello mozartiano, salvo
qualche guizzo innovativo nella sezione dello
sviluppo. Eppure Obiso, Lee e Gavrillidis-Petrin
sono riusciti a infondere vita e freschezza in
questo brano, grazie a quelle che sono apparse
subito le caratteristiche fondamentali dei
prodigiosi giovani del Curtis: a parte la
scontato dominio tecnico degli strumenti, una
cura finissima del dettaglio, timbrico, dinamico,
agogico, e una energia di suono che trascina
l’ascoltatore in un vortice impetuoso di musica.
Bravissimi, i tre ‘Curtis’ Boys’ nell’impostare
il dialogo degli strumenti in modo da potenziare
al massimo i diversi piani timbrici dei tre
archi, valorizzando la qualità
migliore
di questa composizione ‘minore’ di Schubert:
l’eccellente orchestrazione. ‘Scaldati i motori
‘, il concerto spicca il volo con le “Voci della
Natura” di Danielpour. Danielpour, nato nel
1956, non molto presente nelle sale da concerto
nostrane, ma affermato negli USA, autore di un
abbondante catalogo nei più disparati generi
musicali, opera compresa, appartiene a quella
generazione di compositori che, serialisti agli
esordi, hanno poi trasformato, anche in modo
radicale, il proprio linguaggio musicale in
direzione di un recupero della tonalità e di
un’apertura ad altre esperienze musicali,
estranee alla musica di ricerca, come, nel caso
di Danielpour, i Beatles. ”Voci della Natura” è
una composizione per violoncello, pianoforte e
soprano, nata su commissione del Curtis
Institute ed eseguita per la prima volta in
Francia nell’estate dello scorso 2021. Quella di
ieri è stata la prima italiana. Le “Voci della
Natura” potrebbero essere definite
approssimativamente un poema sulla natura,
rappresentata nel suo trasformarsi attraverso le
stagioni. Qui il riferimento alle “Quattro
stagioni” di Vivaldi è quasi d’obbligo e infatti
i testi cantati dal soprano, in italiano, sono i
quattro sonetti che Vivaldi scrisse di suo pugno
a commento poetico dei suoi concerti più famosi.
Danielpour si attiene ad un impianto formale
sostanzialmente tonale, ricreando musicalmente i
diversi volti della cangiante natura, per mezzo
della voce e soprattutto dei due strumenti: a
momenti improntati a una musica rarefatta e come
sospesa che evoca il mistero profondo della
natura (e che ha richiamato vagamente alla
nostra memoria certi momenti simili nei
“Planets” di Holst), succedono sezioni di
impetuosa energia e altri, più rari, di disteso
lirismo. La voce parrebbe chiamata a esprimere
lo stupore e l’ebbrezza dell’uomo di fronte allo
spettacolo della natura. Per questa continua
tensione emotiva la parte del soprano non è
facile: il suo canto, tendenzialmente un
declamato con qualche apertura a momenti di
canto più lirico, è impegnato prevalentemente su
un registro acuto o sovracuto, con frequenti
sbalzi tra le altezze del suono. Voce ben
timbrata, con una venatura di morbidezza
vellutata (che peraltro questa partitura
raramente le concedeva di mettere in mostra) ,
di potente emissione, ottima negli acuti, la
Perroni ha svolto egregiamente la sua parte,
risultando una delle protagoniste della serata.
Splendido il violoncello di Gavrillidis-Petrin,
che ha saputo trovare sempre il suono, il timbro,
il ritmo, giusti con una maturità esecutiva già
piena. Decisamente degna di apprezzamento anche
la pianista Mahidhara, in particolare nei
momenti di più rarefatta e arcana sonorità. E
infine, il gran Brahms del primo dei suoi tre
Quartetti per pianoforte e archi. L’impressione
generale che lascia nell’ascoltatore
l’esecuzione udita ieri sera è quella di una
straripante energia, in cui i tre archi e il
pianoforte hanno sprigionato un suono di grande
intensità e potenza di pathos. Per questo è
stato davvero esaltante il finale ‘Rondò alla
zingarese’, specie nei primi due couplets, dove
i quattro bravissimi strumentisti hanno la
possibilità di mettere in evidenza tutto il loro
virtuosismo, in particolare la Mahidhara, col
moto vorticoso della tastiera.
Questa
scatenata energia dà piena voce ai momenti più
potentemente drammatici di cui è ricco questo
capolavoro, ma sa cedere anche al carattere
languido e malinconico che talvolta affiora,
come nel terzo couplet del Rondò (e qui, ancora
una volta ribadiamo la nostra ammirazione
particolare per il violoncello di
Gavrilidis-Petrin). Un altro banco di prova
superato brillantemente dai quattro bravissimi
allievi del Curtis è stata la sezione sviluppo
del primo tempo, dove Brahms mette in opera le
più sottili arti della sua tecnica, di origine
beethoveniana, delle ‘variazione in sviluppo’:
guidati dalla sapiente maestria del violino di
A. Obiso, i quattro strumenti hanno dialogato
tra loro facendo emergere quelle sottili e
complesse varianti melodiche e ritmiche del tema
principale, che è motivo non ultimo del fascino
di questo movimento del Quartetto. L’ammirazione
suscitata dalla bravura dei cinque interpreti si
è espressa nei torrenziali applausi che il
pubblico, accorso numerosissimo, (nonostante le
due importanti partite di calcio che si
giocavano ieri sera) ha tributato loro. Davvero
un gran successo strameritato per i cinque
giovani, che ci auguriamo di riascoltare presto,
ma un gran successo anche per la Camerata Ducale
e la sua costante e meritoria attenzione ai
giovani, i protagonisti della vita musicale del
prossimo futuro
6 ottobre 2022 Bruno Busca
Il pianista Boris Bloch
a PianoSofia "Da Odessa con Amore"
Il concerto pianistico di
ieri sera per la rassegna organizzata da Luca
Ciammarughi e Silvia Lomazzi, ha trovato anche
momenti di dialogo e di poesia. L'interessante
introduzione proposta da Franco Pulcini e da
Luca
Ciammarughi
a inizio serata, sulla musica pianistica e sui
compositori del periodo sovietico, ha inquadrato
anche le origini del bravissimo pianista Boris
Bloch nato ad Odessa nel 1951. Bloch si è
formato con insegnamenti della scuola pianistica
russa, avendo avuto a Mosca come insegnanti
anche Tatyana Nikolaeva e Dimitri Bashkirov.
Dopo il breve intervento di Annina Pedrini che
ha letto con
sicurezza
e ottima intonazione due poesie della poetessa e
saggista Wis ława
Szymborska (Impressioni teatrali e Un
amore felice), Boris Bloch ha iniziato
il
percorso
musicale.
Da oltre trent'anni il virtuoso non suonava a
Milano. In Italia ha iniziato la sua carriera
concertistica, vincendo nel 1978 il prestigioso
Premio Internazionale
"Ferruccio
Busoni"
di Bolzano. L'impaginato scelto prevedeva brani
di Lysenko, Mozart e Chopin. Un programma
apparentemente disomogeneo, che in realtà
ha ben evidenziato l'eccellenti qualità
interpretative del pianista, esplicitate
dall'ottimo pianoforte Shigeru Kawai EX
utilizzato. L'Elegia di Mykola Vitalijovyč
Lysenko (1842-1912) ha introdotto il concerto
evidenziando da subito lo stile pianistico di
Bloch giocato
su
una forza timbrica dirompente molto personale,
che sottolinea con chiarezza espositiva ogni
dettaglio del lavoro prescelto. Il romanicismo
dell'Elegia del
compositore
ucraino ha trovato un impatto ancora più
ricco d'impeto con l'interpretazione della
Polacca in fa diesis op.44 di F. Chopin,
eseguita in modo eccellente, con intensa e
dettagliata espressività. Netto il contrasto con
il brano successivo di Mozart: la Sonata in
Do maggiore KV 309 ha visto una sorprendente
luminosità espositiva in tutti e tre i movimenti
e un cambiamento d'atmosfera musicale su un
versante più tranquillo e giocoso. Una serie di
Studi chopiniani (op. 25 n.1-2-5 e
op.10 n.11-5-4)
ha
valorizzato ancora di più la serata con un
cambiamento di carattere in senso virtuosistico.
La sintesi discorsiva dello stile pianistico di
Bloch ha esternato momenti di alto valore
espressivo, rafforzati anche dall'ultimo brano
del programma ufficiale, lo Scherzo n.1 in si
minore, sempre del grande polacco.
Splendide
tutte le esecuzioni chopiniane sostenute da un'
impetuosa disinvoltura discorsiva di raffinata
bellezza coloristica. Applausi sostenuti dal
numeroso pubblico intevenuto. Di qualità i due
bis proposti con La notte di Anton
Rubinstein e Cordoba di Isaac Albéniz dai
Canti di Spagna. Una serata ricca di
situazioni, ottimamente organizzata. Questa sera
ancora un importante pianista con il giovane
Giovanni Bertolazzi impegnato in Liszt.
5 ottobre 2022 Cesare Guzzardella
Il pianista Filippo Gamba
inaugura la nuova
Stagione di Serate
Musicali
Doveva esserci Evgenij Sudbin
ad inaugurare la nuova Stagione di Serate
Musicali. A causa di un'indisposizione del
pianista russo, da molti anni presente ai
concerti di Sala Verdi in Conservatorio, si è
trovata una valida
sostituzione
con il pianista Filippo Gamba. Gamba, già
vincitore di molti Concorsi internazionali, tra
cui l'importante "Géza Anda" di Zurigo nel 2000,
ha scelto un impaginato che comprendeva pagine
di due grandi geni della musica quali
L.v.Beethoven e J.Brahms. Nella prima parte
della serata la Sonata n.8 in do minore op.13
“Patetica”, seguita dalla Sonata n.31 in
la bemolle maggiore op.110, hanno rivelato
lo spessore interpretativo del pianista veronese
e la sua predilezione per i classici e
soprattutto per il compositore di Bonn. Il
Beethoven di Gamba, nelle due sonate prescelte,
è certamente di alta qualità; giocato su una
chiarezza timbrica evidente e un'analitica
esternazione
per una resa equilibrata, ricca di intrecci
sonori riconoscibili nella loro luminosità.
Nella seconda parte del concerto, i Tre
Intermezzi op.117 e le Sette Fantasie
Op.116 di Brahms, sono stati elargiti ancora
con una visione analitica e riflessiva. Gli
andamenti molto pacati dei tre brani che
compongono l'Op.117, hanno trovato maggiori
articolazioni, con andature più eterogenee,
nelle Fantasie dell'Op.116, per una resa
espressiva più efficace. Intenso il breve bis
concesso con una breve pagina di Robert Schumann
dall'Op.6 ( Zart Und Singend ).
Applausi sostenuti da una Sala Verdi purtroppo
con molti posti liberi. Il prossimo concerto per
Serate Musicali del 10 ottobre, vedrà l'Es
Trio ( Gorna- Radic- Manzini) impegnato in
brani interamente di Schumann. Da non perdere!
4 ottobre 2022 Cesare
Guzzardella
PianoSofia
alla Casa degli Artisti
milanese col pianista francese Adam Laloum
Siamo arrivati al terzo anno
di PianoSofia, la valida iniziativa
filosofica-musicale ideata da Luca Ciammarughi e
Silvia Lomazzi che si svolge nell'elegante
Casa degli Artisti del quartiere milanese di
corso Garibaldi.
"Lo
spirito libero tra virtù e virtuosismo", questo
il tema dell a
serata, prevedeva
l'intervento in dialogo tra gli studiosi
Florinda Cambria e Carlo Sini. L'indisposto Sini
ha messo di fronte al numeroso pubblico
intervenuto, solo la studiosa italiana Cambria.
filosofa e saggista che partendo dal pensiero di
Friedrich W.Nietzsche ha sviluppato
un'interessante argomentazione sullo "Spirito
libero", quello di colui che "pensa diversamente",
di chi va contro le opinioni dominanti. Dopo il
significativo intervento della Cambria,
l'efficace lettura scenica del "Canto di Ulisse"
dalla Divina commedia dantesca,
è
stata ottimamente recitata da Nicola Bibi
Ciammarughi. Siamo arrivati quindi alla corposa
parte musicale con un ottimo pianista quale il
francese Adam Laloum, vincitore nel 2009 del "Concorso
Internazionale Clara Haskil". L'impaginato,
presentato da Luca Ciammarughi a inizio serata,
prevedeva due importanti lavori quali la
Sonata op.1 di Alban Berg e la Sonata in
Si bem.Maggiore D 960 di Franz Schubert.
Laloum, pianista presente a Milano una sola
volta nel maggio del 2017 - ottimo il concerto
dove aveva interpretato brani di Beethoven e di
Chopin - ha rivelato indubbie qualità
nell'eseguire i due brani, che seppur molto
differenti, sono emblematici dei momenti
importanti nella produzione dei due
grandi
compositori. L'opera prima di Berg segna
l'inizio di una produzione che partendo dal
tardo romanticismo porterà ai grandi sviluppi
musicali, in termini di nuovo linguaggio, nel
primo decennio del '900; mentre l'ultima Sonata
schubertiana segna la conclusione dei lavori più
maturi, e di grande spessore compositivo, del
genio viennese. Laloum ha espresso con grinta ed
efficace resa espressiva la non facile sonata
berghiana, aiutato anche dalle corpose sonorità
dell'eccellente pianoforte Shigeru Kawai
utilizzato. Di grande equilibrio la celebre
sonata schubertiana. Il taglio musicale deciso
delle mani di Laloum, ha travato un valido
dosaggio delle timbriche, che hanno dato
chiarezza ed espressività
alle
frasi musicali dei quattro movimenti.
Particolarmente pregnante l 'Andante
sostenuto e fluidi e ricchi di chiarezza lo
Scherzo e l'Allegro ma non troppo
del finale. Di qualità i due bis concessi con l'
Intermezzo n.1 di Johannes Brahms dall'Op.117
e l'Andante dalla Sonata D.664
di Schubert. Applausi convinti da parte del
numeroso pubblico intervenuto. Ricordiamo i
prossimi appuntamenti per PianoSofia sul
versante musicale: questa sera, 2 ottobre, alle
ore 21.00 il tenore Blagoj Nacoski e Luca
Ciammarughi in veste pianistica interpreteranno
il noto ciclo schubertiano Winterreise; il 4
ottobre alle ore 21.00 ci sarà il panista
ucraino Boris Bloch, vincitore nel 1978 del
Concorso Busoni ; il 5 ottobre l'italiano
Giovanni Bertolazzi e poi l'emergente giovane
Sofia Donato.
2 ottobre 2022 Cesare
Guzzardella
SETTEMBRE 2022
Il violinista armeno Sergey
Khachatryan
diretto da Stanislav Kochanovski con la
Sinfonica di Milano
Inizio di Stagione
particolarmente riuscito
quell o
dell'Orchestra Sinfonica di Milano, con un'eccellente
direzione orchestrale come quella del russo
Stanislav Kochanovski. Due compositori
importanti come Modest Musorgskij e Jean
Sibelius hanno riempito di colori lo spazio
della grande sala dell'Auditorium milanese di
L.go Mahler con i brani Una notte sul
Monte
Calvo e Quadri di una esposizione del
russo e con il Concerto per violino e
orchestra in Re minore op.47 del compositore
finlandese. Il concerto violinistico,
inframmezzato tra i brani del russo, ha trovato
come violino solista l'armeno Sergey
Khachatryan, un virtuoso che nel 2000, ancora
giovanissimo. vinse l'importante Concorso
Internazionale Jean Sibelius di Helsinki. Il
brano introduttivo, con il primo lavoro di
Musorgskij, nella versione originale del 1867,
ha rivelato subito le ottime qualità della
Sinfonica di Milano nella mediazione
direttoriale di Kochanovskij. Un'interpretazione
grintosa e ricca di virtuosismo. Lo splendido
concerto di Sibelius, brano del 1903-04, è tra i
più belli e profondi del genere e ieri sera ha
trovato un solista di altissima levatura a
sostenerlo. Il violino di Khachatryan, forgiato
con tocco intensamente preciso, ricco di
espressività nel delineare i timbri scuri del
tardo-romanticismo del compositore,
era
in ottima sinergia con la componente
orchestrale. Khachatryan, con un taglio
scultoreo ha delineato l'intenso fraseggio con
cavata sicura ed eccellente vibrato. Ha poi
eseguito molto bene la lunga
Cadenza dell'Allegro moderato
iniziale. Splendido anche l'Allegro ma
non tanto del finale. Applausi sostenuti per
gli interpreti e molto espressiva la pacata e
profonda melodia armena concessa come bis
solistico dal grande violinista. Dopo il breve
intervallo, l'ottima interpretazione dei celebri
Quadri (1874) di Musorgskij, nella
splendida orchestrazione che Maurice Ravel fece
nel 1922, ha rivelato ancora la cifra
direttoriale e la restituzione della compagine
orchestrale, ottima in tutte le sezioni.
Timbriche luminose e ricche di equilibrio.
Fragorosi applausi al termine. Questa sera alle
20.00 prima replica del concerto e domenica alle
16.00 la seconda replica. Da non perdere.
30 settembre 2022 Cesare
Guzzardella
A Milano si conclude il
Festival MiTo con la Mahler Chamber
Orchestra e il pianista Leif Ove Andsnes
Un programma interamente
mozartiano, all'insegna della classicità, ha
portato
alla conclusione il Festival MiTo, una
rassegna musicale che quest'anno è stata
certamente un successo per il concentrato di
avvenimenti e per la numerosissima presenza di
pubblico. La Sala Verdi del Conservatorio
milanese, ieri sera gremita di pubblico, premia
una manifestazione musicale che è destinata a
rimanere probabilmente la più attesa nei
territori lombardo-piemontesi. La nota Mahler
Chamber Orchestra, fondata da Claudio Abbado nel
lontano 1997, ha rivelato ancora una volta le
sue eccellenti qualità. La compagine formata da
giovani strumentisti, ha portato un programma
interamente mozartiano, con brani maturi e assai
grintosi del genio salisburghese:
i
Concerti per pianoforte e Orchestra KV 482
e KV 491 inframmezzati
dalla celebre ultima sinfonia, quella in Re
maggiore KV 504 "Praga". Nella veste sia di
solista che di direttore, nei due concerti, il
pianista Leif Ove Andsnes ha elargito eleganza
ed equilibrio in entrambi i capolavori, con
andature decisamente energiche, ben articolate
nel perfetto dosaggio tra la componente
solistica e quella orchestrale. Nell'intensa
Sinfonia n.41 "Praga", l'Orchestra con la
maggior parte degli orchestrali in piedi, come
spesso si usa oggi, hanno trovato un'intesa
splendida nei tre movimenti del celebre lavoro,
capeggiati dal primo violino e concertatore
Matthew Truscott. Applausi intensi al termine,
con un bis eccellente nel movimento centrale "Andante"
del celebre Concerto n.21 KV 467.
Splendida conclusione della fortunata rassegna
musicale.
26 settembre 2022 Cesare
Guzzardella
Riparte la rassegna
musicale "Lieti Calici" con Andrea
Bacchetti
È ricominciata la rassegna
musicale "Lieti calici" ideata da Mario
Marcarini presso gli Amici del Loggione del
Teatro alla Scala di via Silvio Pellico 6
a
Milano. La fortunata iniziativa, improntata
soprattutto sulla riscoperta di brani di
compositori legati alla lirica, trova anche
incontri musicali con interpreti affermati in
altri repertori. Mario Marcarini ha anticipato
quelli che saranno i dieci appuntamenti della
rassegna, giunta al terzo anno di svolgimento, e
incentrati su particolari repertori legati a
Verdi, Puccini, Catalani e altri illustri
compositori. Quindi i saluti di Gino Vezzini,
presidente degli Amici del Loggione del Teatro
alla Scala, hanno visto poi l'ingresso in sala
del pianista genovese Andrea Bacchetti che ha
intrattenuto il numerosissimo pubblico
intervenuto con
musiche
di J.S.Bach, Cimarosa e D.Scarlatti. Bacchetti,
tra i migliori interpreti a livello
internazionale del repertorio bachiano, ha
eseguito sei tra i 24 Preludi e fughe del
Libro Secondo del Clavicembalo ben temperato,
quindi una breve ma intensa Sonata di
Cimarosa e tre
Sonate di Domenico Scarlatti.
Applauditissimo, ha proposto poi due bis con la
virtuosistica Pulcinella di Heitor
Villa-Lobos e ancora Bach con la rara ma intensa
Aria e dieci variazioni nello stile italiano.
Al termine un brindisi con eccellenti vini assai
graditi a tutti gli intervenuti.
25 settembre 2022 C.G.
Il mezzosoprano
Fleur Barron e il pianista Julius Drake al
Festival Mito
Dall'Ombra alla Luce .
E' così denominato il bellissimo recital
che il mezzosoprano Fleur Barron ha tenuto
insieme al pianista Julius Drake al Teatro
Filodrammatici per il Festival Mito.
L'introduzione della brava Gaia Varon ha ben
sintetizzato il variegato programma del concerto
che con una ventina di brani di autori
differenti copriva almeno due secoli di storia
della musica. Partendo dal romanticismo tedesco
e arrivando ai giorni nostri,
attraverso
la Francia, gli Stati Uniti e anche la Cina, in
ordine sparso, abbiamo ascoltato lieder di Franz
Schubert, Robert Schumann, Clara Schumann,
Johannes Brahms, Erich Wolfgang Korngold,
Olivier Messiaen, Florence Price, Gabriel Fauré,
Henri Dutilleux, Charles Ives, Chen Yi, e Cole
Porte. Dai colori scuri più incisivi dei primi
brani, alle gradazioni sfumate e chiare degli
ultimi. Una scelta, quella della Barron e di
Drake, perfettamente inserita nel loro stile
interpretativo, dove la voce incisiva, elegante
e ricca di espressive sfumature della Barron,
era perfettamente integrata con le armonie di
Drake, tra i migliori pianisti internazionali
nella scena liederistica. Ricordiamo almeno
questi titoli - tutti eccellenti- dal corposo
impaginato: di Clara Schumann Liebst du um
Schönheit op.12 n.2, di Charles Ives The
Light that is Felt e At the River; di
Henri Dutilleux Il n’y avait que des troncs
déchirés, di Chen Yi Sai quanti petali
cadono e Monologo e il celebre
Night and Day di Cole Porter. Due i bis
concessi, tra cui il divertente Boum! di
Charles Trenet. Un concerto splendido,
applauditissimo dal numeroso pubblico
intervenuto all'appuntamento pomeridiano
milanese.
24 settembre 2022 Cesare
Guzzardella
Gli Archi
dell'Orchestra
Filarmonica di Torino e la voce di Ian Bostridge
al Festival Mito
Ieri sera al Teatro Dal Verme
gli Archi dell'Orchestra Filarmonica di
Torino diretta da Giampaolo Pretto hanno
eseguito musiche di compositori vissuti in
periodi diversi: quasi settantacinque anni
infatti separano la nascita del compositore
inglese Benjamin Britten (1913-1976) da quella
del russo Pëtr Il'i č
Čajkovskij (1840- 1893). Il brano Les
illuminations op.18, su testi di Arthur
Rimbaud, tra i più
importanti ed eseguiti del grande
musicista
inglese del Novecento, ha introdotto il
concerto, seguito poi da Souvenir de Florence
in re minore op.70, del grande russo. Il
ruolo degli archi, compagine strumentale di
entrambi i lavori, era integrato, nel primo
brano in programma, dalla primeggiante e
fondamentale voce solistica tenorile.
Nel convincente concerto
organizzato dal Festival MiTo e ben
introdotto dal direttore artistico e compositore
Nicola Campogrande, il palcoscenico ha trovato
insieme ai filarmonici torinesi, il celebre
tenore inglese Ian Bostridge. I dieci,
relativamente brevi, lieder che compongono Les
illuminations, su testi in francese, sono stati
interpretati in modo superlativo da Bostridge,
integrato perfettamente dalle espressive
timbriche degli orchestrali. Il linguaggio
personale e incisivo della scrittura di Britten
ha creato una luce profonda, dal taglio musicale
ricco di espressività ben restituito dalle
possenti corde vocali di Brostidge. Applausi
convinti del numeroso pubblico e, come bis, la
ripetizione del quarto brano dell'op.18. Clima
più pacato e con colori più tenui nelle melodie
di Souvenir de Florence op.70 di
Čajkovskij. L'ottima direzione di Pretto e
l'avvincente interpretazione degli archi
torinesi hanno ancora entusiasmato gli
spettatori intervenuti nella capiente sala
milanese.
23 settembre 2022 Cesare
Guzzardella
La Sinfonia
n.9 op.125 di
Beethoven nella trascrizione lisztiana per due
pianoforti in Conservatorio
Una serata tutta
beethoveniana, quella ascoltata nella Sala
Puccini del Conservatorio milanese, in un
concerto organizzato da Serate Musicali e
da Coop Lombardia. L'occasione della
giornata internazionale della pace, in
sottotono
per la preoccupante situazione della guerra, ha
trovato comunque valide giustificazioni nelle
parole di Luca Schieppati, pianista e
organizzatore dei "Concerti Coop" e degli ospiti
intervenuti sul palcoscenico che hanno
denunciato la difficile situazione di questo
momento storico, ma anche auspicato un rapido
termine della guerra in Ucraina. La forza
espressiva della musica del genio di Bonn,
nell'eccellente trascrizione della celebre
ultima sinfonia operata da Franz Liszt nel 1851,
ha spostato il pensiero dei numerosi spettatori
intervenuti alla serata musicale di pace.
Ai pianoforti Luca Schieppati e Corrado Greco
hanno trovato in palcoscenico anche l'attrice e
voce recitante Lorenza Fantoni che, tra il terzo
e il quarto movimenti dell'op.125, ha declamato
con grande espressività la traduzione italiana
della celebre Ode alla Gioia (1785) di
Friedrich Schiller, nota soprattutto per essere
stata inserita da Beethoven nel finale della sua
straordinaria sinfonia. La restituzione
pianistica dei due interpreti è stata certamente
di ottima qualità. La valida intesa dei dui
strumentisti ha determinato una pregnante
chiarezza espressiva che ha messo in risalto in
modo analitico ogni frangente del capolavoro,
mostrando spesso dettagli musicali che sfuggono
o vengono percepiti in modo differente
nell'originale versione orchestrale. Una serata
particolarmente interessante e stimolante
quindi, che ha pienamente soddisfatto il
numeroso pubblico intervenuto. Applausi calorosi
ai tre protagonisti.
22 settembre 2022 Cesare
Guzzardella
Il baritono Matthias
Goerne al Festival MiTo
Luci aumentate
per i lieder di Schubert, Wolf,
Schumann e Brahms sono apparse ieri sera al
Teatro Dal Verme per il Festival MiTo con
il celebre
baritono
Matthias Goerne. Si deve ad Alexander Schmalcz
la trascrizione per formazione da camera di
alcuni lieder originariamente per pianoforte.
Undici strumentisti- la Camerata RCO-
musicisti della Royal Concertgebouw Orchestra,
hanno accompagnato il baritono in una dozzina di
lieder, rendendo la splendida voce di Goerne
ancor più ricca di colori e di profondità
espressiva. In
effetti
le ottime trascrizioni di Schmalcz ci propongono
maggiore luce e più varietà di timbriche
rendendo il canto solista ancor più pregno di
significati. I lieder sono stati anticipati e
inframmezzati da una serie, prima di danze e poi
di bagatelle strumentali: di György Ligeti con
Antiche danze ungheresi di società e di
Antonin Dvořák
con le Bagatelle op.47. Lavori che hanno
valorizzato le qualità strumentali dei
bravissimi
strumentisti. Tra i lieder eseguiti, tutti di
grande valore espressivo, segnaliamo almeno
Hoffnung op.87 n.2 e Augenlied D.297
di Schubert, Peregrina n.1 e n.2
di Hugo Wolf, Liebesbotschaft op.36 n.6
di Schumann, An den Mond op.71 n.2 di
Brahms e il conclusivo Abendlied op.107 n.6
di Schumann. Ma altri due ottimi canti sono
stati concessi come bis. Grande serata di canto
e non solo.
18 settembre 2022 Cesare
Guzzardella
Una straordinaria
Barbara Hannigan,
direttore e soprano per l'Orchestra
dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Una serata speciale quella di
ieri sera al Teatro Dal Verme per il Festival
MiTo: l'Orchestra dell'Accademia Nazionale
di Santa Cecilia, una delle più prestigiose
compagini italiane, ha trovato la direzione di
una tra le più celebrate interpreti al mondo
quale la canadese Barbara Hannigan, nota
soprattutto
come eccellente soprano lirico e da alcuni anni
come direttore d'orchestra. La Hannigan, dotata
di una musicalità dirompente, è artista
celebrata soprattutto per la frequentazione del
repertorio Novecentesco e contemporaneo. Spesso
dirige e canta nello stesso tempo. In parte è
avvenuto anche ieri davanti al pubblico che
gremiva il teatro milanese. L'impaginato scelto,
più classico, prevedeva musiche di F.J.Haydn,
con la
Sinfonia n.96 in re maggiore "Il miracolo" e
di Gustav Mahler con la Sinfonia n.4 in sol
maggiore per soprano ed orchestra. Il
movimento finale "Godiamo le gioie
celestiali"
prevede infatti l'uso della voce femminile.
La classicità della sinfonia haydniana ha
trovato un equilibrio eccellente nella direzione
della Hannigan. Attenta ad ogni dettaglio, ha
definito espressioni dinamiche tangibili nel
passare tra pianissimo e forte con gradazioni
calibrate e timbricamente rilevanti nella
restituzione dell' Orchestra di Santa Cecilia.
Il vero miracolo si è poi realizzato
nell'interpretazione della celebre sinfonia
mahleriana "La vita celestiale". La cifra
interpretativa dell'orchestra romana ha
raggiunto delle vette espressive in ogni sezione
strumentale e la visione complessiva delle
celebri pagine da parte della Hannigan,
ha
rivelato le sue enormi qualità direttoriali, che
sono quelle di chi penetra la musica con
evidente profondità di pensiero, attraverso
gesti direttoriali essenziali ed incisivi. La
bellezza del terzo movimento Ruhevoll
(tranquillo), reso con un andamento che sembrava
fermare il tempo, è risultato evidente.
Girandosi verso il pubblico la Hannigan ha poi
rivelato la sua sorprendente voce nel movimento
finale. Raffinata e dettagliata, l'espressività
vocale è stata pari alle sue espressività
gestuali, in una perfetta integrazione con i
timbri caldi della splendida orchestra che ha
seguito mirabilmente le indicazioni
agogiche-dinamiche del direttore. Applausi
interminabili da parte del pubblico quasi in
delirio per la straordinaria direzione
orchestrale e per la struggente voce di
un'artista unica nel panorama mondiale
17 settembre 2022 Cesare
Guzzardella
Una Doppia arte
della fuga al
Festival MiTo
La coppia di pianisti formata
dall'israeliana Yaara Tal e dal tedesco Andreas
Groethuysen da molti anni viene ospitata nelle
più importanti sale da concerto del mondo.
Spesso programmi alternativi, come quello
particolarmente
interessante ascoltato ieri sera al Teatro dal
Verme per il Festival MiTo, fanno parte
dell'impaginato. Il Bach proposto dal duo,
rivisitato da Reinhard Febel, musicista tedesco
di Metzingen nato nel 1952, è quello della
celebre Arte della Fuga, brano conclusivo
del genio tedesco. Il brano, presentato a inizio
serata da Nicola Campogrande, è titolato
Diciotto Studi sull'Arte della fuga (2020) e
riprende, come da partitura, il Bach originale
su un pianoforte, mentre con grande libertà di
trasformazione la seconda linea pianistica
propone rielaborazioni in termini di accenti,
ripetizioni di note, cambiamenti di tonalità e
altri artifizi, per ottenere contrasti
particolari, effetti eco, risonanze e mille
altre situazioni timbriche che rivelano un Bach
diverso, riattualizzato in modo contemporaneo.
Il Bach autentico, nascosto nel
"tutto
sonoro", in realtà viene alternato dai due
pianisti, così come le modifiche sono spesso
equamente suddivise tra gli interpreti. Al primo
ascolto, questo lavoro risulta certamente nuovo
ed innovativo per il taglio compositivo scelto,
anche se rielaborazioni in chiave moderna sono
oramai particolarmente diffuse, basti pensare al
tedesco/britannico Max Richter con le Quattro
Stagioni di Vivaldi o all'italiano Danilo Rea
che in coppia con Ramin Bahrami ha rivisitato in
chiave jazzistica le Variazioni Goldberg, ancora
di Bach. Gli ottimi interpreti Tal&Groethuysen
per oltre ottantacinque minuti hanno definito
con tensioni emotive le note bachiane e quelle
rielaborate, generando frangenti espressivi
spesso di eccellente qualità. Il pubblico ha
apprezzato il lavoro di Febel con la sua "Doppia
arte della fuga" e naturalmente l'ottima
interpretazione dei due bravissimi pianisti.
16 settembre 2022 Cesare
Guzzardella
Claude Debussy per
il pianoforte di Emanuele Arciuli
Il Teatro Edi Barrio's di
Milano ha ospitato, per il Festival MiTo,
il pianista pugliese Emanuele Arciuli per un
impaginato interamente dedicato a Claude
Debussy.
Arciuli è particolarmente conosciuto nel mondo
musicale per il suo legame con la musica del
Novecento, soprattutto quella statunitense, e
per la sua continua ricerca di repertorio
contemporaneo. La sua incursione nel mondo di
Claude Debussy, compositore francese che insieme
a non molti altri ha anticipato il linguaggio
del nuovo secolo, ha evidenziato le sue
eccellenti qualità d'interprete anche in questo
periodo storico, periodo che probabilmente
inizia a sembrarci lontano essendo passati oltre
centodieci anni dalla realizzazione dei brani
eseguiti. In realtà la modernità di Debussy, con
quella ricerca cromatica delineata da luci ed
ombre,
è partecipe ancora di molte composizioni
recenti. Dopo i dodici brani che compongono il
primo libro dei Préludes (1909-1910),
Arciuli ha eseguito la Suite bergamasque
(1890-1905) e, a conclusione del programma
ufficiale, L'isle joyeuse (1904-05). Di
ottima qualità il Debussy di Arciuli, giocato su
una approfondita riflessione ed esternazione,
per una visione complessiva molto unitaria. La
precisione dei dettagli e la raffinata ricerca
coloristica si è rivelata in ogni brano. Di rara
bellezza il suo Clair de lune, riflessivo
e timbricamente perfetto. Applausi convinti dal
numeroso pubblico intervenuto in teatro e
decisamente validi i due bis concessi: il primo,
dal sapore blues, della compositrice
afro-americana Margaret Bonds titolato
Troubled Water
(1967); il secondo di Bill Evans titolato
Quiet Now (1969), genio del jazz che deve
molto alle timbriche impressioniste debussyane.
15 settembre 2022 Cesare
Guzzardella
Luci
brasiliane
in Sala
Verdi per l'Orchestra Neojiba diretta da Ricardo
Castro e
Maria João Pires
Le Luci brasiliane del
Festival MiTo, si sono
accese in Sala Verdi, al Conservatorio milanese
per l'effervescente NEOJIBA, l'Orchestra
Giovanile dello Stato di Bahia diretta da
Ricardo Castro. Ospite d'eccezione la pianista
portoghese Maria João Pires, impegnata nel
Concerto n.3 in do minore per pianoforte e
orchestra op.37. Il programma incentrato su
tre compositori
brasiliani
quali Antonio Carlos Gomes (1836-1896), il
contemporaneo Jamberê Cerqueira (1987) e Heitor
Villa-Lobos (1887-1959), ha trovato un
importante frangente di classicismo con il
celebre concerto beethoveniano, reso con intensa
espressività dalla Pires, ben coadiuvata dai
giovanissimi orchestrali di Bahia ottimamente
diretti da Castro. La Pires ha concesso anche
due bis: il primo a quattro mani con Castro, che
ricordiamo essere un eccellente pianista, per un
brano di E.Grieg dal Peer Gynt, la
celebre Anitra's Dance; il secondo,
insieme agli orchestrali, per il
movimento centrale Largo dal Concerto
n.5 BWV 1056 di J.S.Bach. Ma è probabilmente
nel repertorio brasiliano che l'orchestra ha
rivelato tutte le sue qualità nell'elargire
timbriche ben interiorizzate e restituite
ottimamente: prima nell' Ouverture dall'opera
Il Guarany di Gomes, brano che ha introdotto
la serata; poi nell'originale lavoro di Jamberê
Cerqueira- in prima esecuzione italiana-
denominato Kamarámusik, un brano
concertante per Berimbau, percussioni e
orchestra. Infine per la Bachianas
brasileiras n.4 di Villa-Lobos, lavoro di
struggente espressività eseguito in modo
eccellente dall'orchestra in tutti i quattro
movimenti. Il brano di Jamberê Cerqueira,
compositore
nato a Salvador-Bahia, prevede l'uso del
barimbau, strumento primitivo formato da una
sola corda, intonata benissimo da Raysson Lima,
in un gioco musicale con molte declinazioni
ritmiche e melodiche, che introducevano
l'originale componente orchestrale dalle
timbriche calde giocate su ritmiche percussive,
ben amalgamate sui colori degli ottoni, dei
legni e degli archi. Rilevante anche la
componente scenografica e coreografica del
lavoro. Dopo l'eccellente interpretazione della
Bachiana n.4 di Villa-Lobos un divertentissimo
bis con un pourpurì di brani del folclore
brasiliano a partire da Aquarela do Brasil
su musiche di Ary Barroso e Tico Tico no
Fubà di Zequinha di Abreu, arrangiate da
Jamberê ha reso la serata frizzante ed
entusiasmante per il numerosissimo pubblico del
MiTo che riempiva Sala Verdi. Applausi fragorosi
a tutti gli orchestrali e al direttore Castro.
14 settembre 2022 Cesare Guzzardella
Il pianoforte di Skrjabin
per Mariangela
Vacatello
Una serata tutta dedicata al
compositore Aleksandr Skrjabin (1872-1915)
quella proposta per il Festival MiTo
dalla pianista napoletana Mariangela
Vacatello
al Teatro Delfino. La non facile musica del
compositore russo ha anticipato di decenni
l'evoluzione musicale di tutto il primo
Novecento e le sue sonate per pianoforte - ne ha
composte dieci- segnano un periodo importante
dell'evoluzione pianistica, soprattutto per
l'uso di un linguaggio personale mediato da un
virtuosismo proiettato alla realizzazione di una
musica visionaria, dove i contrasti tra luci e
ombre sono particolarmente accentuati. La
Vacatello,
virtuosa affermata internazionalmente, ha scelto
quattro sonate: la n1 in fa minore op.6,
la n.4 in fa diesis maggiore op.30, la
n.9 op.68 "Messe noire" e la n.10 op.70
"Degli insetti". Partendo dalla prima
sonata, completata nel 1892, dove maggiori sono
le influenze legate ad altri compositori, a
cominciare da Chopin, si è passati alla quarta
sonata del 1903 dove la personalizzazione del
linguaggio ha una resa esclusiva tipica del
compositore. La Vacatello ha centrato in pieno
quelle che sono le intenzioni compositive di
Skriabjn mediante interpretazioni ricche di
energia e sicurezza, per una resa dettagliata e
luminosa favorita da un virtuosismo espresso con
facilità, senza sforzo nel definire dinamiche
contrastate e situazioni estremamente complesse,
con timbriche molto espressive. Eccellente la
resa complessiva di una pianista certamente tra
le migliori nello scenario musicale
internazionale. Due i bis concessi con ancora
Skriabjn tra cui il Preludio per la mano
sinistra Op.9 n.1.
11 settembre 2022 Cesare
Guzzardella
I magnifici colori
della
Staatkapelle di Dresda per la direzione di
Christian Thielemann
Due serate di grande musica
quelle ascoltate dalla Sächsische
Staatkapelle Dresden diretta da Christian
Thielemann. Prima la Sinifonia n.5 di
Anton Bruckner poi, la sera successiva, le
Sinfonie n.8 e n.7 di L.v. Beethoven, per
rivelarci qualità coloristiche eccelse. I quasi
475 anni della Staatkapelle
di
Dresda sono serviti ha formare i massimi
direttori d'orchestra. Per ultimo il berlinese
Christian Thielemann, da dieci anni direttore
principale della splendida compagine
orchestrale. Nella serata di giovedì, al termine
della monumentale Sinfonia n.5 in si bem.
maggiore
di Bruckner, lavoro composto tra il 1875 ei
1877, un'ovazione è stata tributata a Thielemann
e agli orchestrali, con infinite uscite del
direttore per un'interpretazione che ha
nell'assoluto equilibrio delle dinamiche, nella
bellezza coloristica e nella plasticità timbrica
le principali ragioni per definirla eccellente.
La numero cinque delle monumentali sinfonie del
compositore austriaco, ha rivelato timbri
orchestrali corposi, delineati perfettamente in
ogni dettaglio da tutte le sezioni
dell'orchestra, anche nei raffinati e
volumetrici ottoni che hanno riempito di luce il
Teatro alla Scala nei circa centoventiminuti di
sinfonia. Nella serata di ieri ancora applausi sostenuti
per la Sinfonia n.8 in fa maggiore op.93
e per la più celebre Sinfonia n.7 in la
maggiore op.92 del genio di Bonn. Le
interpretazioni di alto livello, hanno ,
a mio avviso,
trovato i momenti migliori nel Presto e
nell' Allegro con brio, movimenti finali
della Settima, poi nella vetta espressiva del
bis concesso con una strepitosa Ouverture
"Coriolano"
eseguita con espressività senza pari. Due
serate memorabili.
10 settembre 2022 Cesare
Guzzardella
ll Matrimonio Segreto
di Domenico Cimarosa alla Scala
Per il Progetto Accademia,
quest'anno è di scena al Teatro alla Scala Il
Matrimonio Segreto di Domenico
Cimarosa, un dramma giocoso in due atti che ha
sempre trovato riscontro di pubblico in tutti i
teatri d'opera, probabilmente per la leggerezza
del soggetto e per la giocosità interpretativa
dei
protagonisti. I due atti di Cimarosa su libretto
di Giovanni Bertati vennero rappresentati per la
prima volta a Vienna nel 1792 e diretti
registicamente nel 1949 da un giovane Giorgio
Strehler. Alla Scala ritorna dopo oltre
quarant'anni. La direzione orchestrale attuale è
stata affidata a Ottavio Dantone, direttore e
clavicembalista specializzato nel repertorio
antico e settecentesco che ha proposto in questi
anni, nella sala del Piermarini, un cospicuo
numero di opere di Händel, Mozart e, più di
recente, di Rossini. Ieri sera, nella seconda
rappresentazione delle cinque in programma, il
successo si è rinnovato. La messinscena della
regista Irina Brook, le scene e i costumi di
Patrick Kinmonth e le luci di Marco Filibeck
sono stati molto apprezzati. La teatralità del
lavoro, con i numerosissimi interventi corali in
tutte le combinazioni dei sei protagonisti, ha
esaltato le musiche di Cimarosa ben evidenziate
con un ritmo serrato, dal direttore Dantone. Il
giovane cast vocale - ieri il secondo cast-,
capeggiato dall' "esperto" veterano e docente
dell'Accademia scaligera Pietro Spagnoli -nel
ruolo di Geronimo- ha rivelato le
eccellenti potenzialità della scuola scaligera
che nel cast di ieri sera trovava Fan Zhou in
Elisetta, Aleksandrina Mihaylova in
Carolina, Valentina Pluzhnikova in
Fidalma, Jorge Martinez nel Conte
Robinson e Brayan Ávila Martinez in
Paolino. La bravura degli interpreti si è
evidenziata
oltre
che nelle voci, tutte all'altezza, anche
nell'esternazione attoriale. La messinscena in
chiave moderna di Irina Brook, nella valida e
varia scenografia e nei costumi di Kinmonth, ben
evidenziati dalle luci di Filibeck, ha dato un
apporto teatrale di immediato impatto
comunicativo, sinergico alle musiche di
Cimarosa, musiche che hanno anche frangenti di
evidente bellezza estetica. Ma probabilmente la
dominante teatralità del lavoro è quella che ha
convinto di più il numerosissimo pubblico che ha
tributato al termine fragorosi applausi a tutti
i protagonisti ed anche ai numerosi attori-mimi
spesso fondamentali nelle divertenti situazioni.
Ottima quindi la direzione orchestrale e le note
di clavicembalo di Eric Foster. Uno spettacolo
altamente consigliabile. Prossime repliche per
il 10-13-19 settembre. ( Foto di Brescia
e Amisano Archivio Scala)
8 settembre 2022 Cesare Guzzardella
Alla Scala l'inaugurazione
del MiTo milanese con la londinese
Philharmonia Orchestra diretta da John
Axelrod
Il MiTo si è acceso
quest'anno all'insegna di Luci Immaginarie.
Così è chiamata la
rassegna musicale settembrina che con oltre
centodieci concerti accomunerà le città di
Milano e di Torino. Ieri sera la prima di MiTo
al
Teatro
la Scala ha trovato la londinese Philharmonia
Orchestra protagonista, diretta dallo
statunitense John Axelrod. Il valido direttore,
da anni presente ai concerti milanesi, ha
impaginato un programma eterogeneo con brani di
Grace-Evangeline Mason, Grieg e Korsakov. Non
mancano quasi mai brani di musica contemporanea
nelle scelte di Axelrod, che ricordiamo essere
noto anche nel repertorio americano del
Novecento. The imagined forest, della
compositrice inglese ventisettenne
Grace-Evangeline Mason, è stato proposto come
primo lavoro: in prima esecuzione italiana era
ben inserito in un contesto di brani dove
l'elemento coloristico, con timbriche
contrastanti nei chiaro-scuri sonori, è presente
in ogni lavoro.
Il
recente brano della compositrice inglese ha una
parte iniziale luminosa, con timbriche
tipicamente inglesi e con un primeggiante primo
violino. La delicata atmosfera iniziale, ricca
di luce, ricorda autori come gli inglesi Ralph
Vaughan Williams e Frederik Delius. Il lavoro ha
poi una parte centrale più concitata per poi
tornare al suggestivo clima iniziale. Un brano
di ottima fattura, diretto molto bene da
Axelrod, ed interpretato con nitore dalla
Philarmonia londinese. Al termine meritati
applausi anche alla compositrice salita sul
palcoscenico scaligero. I brani succesivi erano
classici di Edvard Grieg con la Suite n.1
op.46 dal Pear Gynt e l'altrettanto
nota Suite sinfonica op.35 "Shéhérazade"
di Rimski j-Korsakov.
Esecuzioni di rilievo, ben defiite dagli ottimi
orchestrali della Philharmonia Orchestra.
Successo evidente e meritati applausi in un
teatro al completo.
7 settembre 2022 Cesare
Guzzardella
Il recital di Asmik
Grigorian al Teatro
alla Scala
Un'apertura settembrina del
Teatro alla Scala all'insegna del bel canto,
quella proposta ieri sera nella sala del
Piermarini. Il soprano lituano Asmik Grigorian
ha infatti temuto un recital incentrato
sui russi Pëtr Il’i č
Čajkovskij
e Sergej Rachmaninov, accompagnata in modo
eccellente dal pianista moscovita Lukas
Geniušas, strumentista assai noto che ha dato
sfoggio delle sue qualità
eseguendo, nella prima parte del concerto, tre
rilevanti brani solo pianistici del primo
compositore, quali la Romanza in fa min op.
5, lo Scherzo humoristique op. 19 n. 2
e la Dumka in do min. op. 59.
Interpretazioni tutte di eccellente qualità. La
Grigorian, cantante celebrata in tutto il mondo
e con molte presenze nel nostro teatro lirico -
la Dama di picche ha riscontrato un
meritatissimo successo nel febbraio scorso- ha
scelto come impaginato brani lirici di raro
ascolto, con sei romanze nella prima parte della
serata di
Čaikovskij
e con undici brani di Rachmaninov. Tutti i
lieder hanno trovato rilevanti qualità
interpretative dai due interpreti, in perfetta
sinergia e con una leggerezza e fluidità
discorsiva di evidente valore estetico. La
profondità espressiva della Grigorian, giocata
su una volumetria sottile con situazioni di
rilevante esternazione timbriche nei frangenti
più concitati, ha trovato le avvolgenti e
vellutate timbriche del pianoforte di Geniušas.
I brani, tutti di qualità,
hanno avuto un'introduzione esemplare con
Nel turbinio della danza op.38 n.3, quindi
Di nuovo, come prima, sono solo op.73 n.6
e No,solo chi conosce la nostalgia, op.6 n.6,
per citarne alcuni
di
Čaikovskij.
Ancora spessore
interpretativo con i brani di Rachmaninov.
Momenti di grande intensità emotiva, nei cinque
finali, e precisamente: Ti aspetto op.14.n.1,
Crepuscolo op.21 n.3, Com'è bello qui op.21 n.7,
Riposeremo op.26 n.3 e
Dissonanza op.34 n.13. Applausi intensi
da parte del numeroso pubblico intervenuto e
tre bis di Rachmaninov
hanno concluso una serata di meritato successo.
(Foto di Brescia e Amisano - Archivio
Scala)
5 settembre 2022 Cesare
Guzzardella
LUGLIO 2022
Prossimamente il 4° Festival
Beethoven a Villa Durio di Varallo organizzato
da M.G. Bianchi
Il
29, il 30 e il 31 luglio 2022 si terra il 4°
Festival Beethoven per Musica a Villa Durio. Il
Festival organizzato da Massimo Giuseppe Bianchi
a Varallo Sesia è oramai una rassegna
consolidata e prestigiosa che prevede quest'anno
la presenza di importanti solisti quali Emma
Rizza al violino, Matteo Rocchi alla
viola,
Caterina Isaia al violoncello e, naturalmente,
Massimo Giuseppe Bianchi al pianoforte. I
concerti prevedono la presenza
numericamente maggiore di musiche di Beethoven,
ma anche di musicisti quali Dotzauer,
Sostakovich, Brahms e Debussy. I tre concerti
avranno luogo nel cortile del Palazzo dei Musei
di Varallo ad un costo di 5 euro. Un Festival
assolutamente da non perdere!
25 luglio 2022 C.G.
Presentato al MaMu
il Cd lisztiano di
Eliana Grasso
Presentato al MaMu- Magazzino
Musica di via Soave 3 a Milano il Cd di Eliana
Grasso "Liszt Piano trascriptions".
Il
musicista e docente Andrea Massimo Grassi ha
introdotto il tardo pomeriggio musicale parlando
in modo esaustivo delle tascrizioni di brani
orchestrali o cameristici operate dai grandi
musicisti nel corso della storia, per arrivare
infine a Franz Liszt, probabilmente il più
grande trascrittore e rielaboratore esistito.
Quindi Eliana Grasso ha presentato ed ha esguito
con grande espressività e perfezione tecnica
quattro tra i lavori che compongono il valido Cd
recentemente uscito per Velut Luna e
precisamente: di Verdi-Liszt la Danza sacra e
il duetto finale da Aida, di Chopin-Liszt
Frühling ( dai Sei canti polacchi), di
Schubert-Liszt Serenade ed infine di
Liszt Mephisto Waltz n.1 a sua volta
trascrizione pianistica dall'originale brano
orchestrale. Un brindisi tra gli intervenuti e
la bravissima interprete ha concluso il
bellissimo incontro.
9 luglio 2022 C.G.
AfteRite e Lore,
due balletti di
Wayne McGregor al Teatro alla Scala
Musica splendida quella di
Igor Stravinskij per i due balletti di Wayne
McGregor in scena in questi giorni al Teatro
alla Scala. Le bellissime coreografie che il
regista e coreografo britannico
ha recentemente realizzato sono AfteRite
e Lore. Il primo per la prima volta in
scena in Italia, dopo le rappresentazioni del
Metropolitan di New York del 2018; il secondo,
in
prima
assoluta mondiale, è una nuova produzione
scaligera. Due lavori differenti, che trovano
nelle timbriche dei capolavori stravinskiani
quali Sacre du printemps e Les noces
un punto d'unione. Il Sacre venne
composto nel 1913 e Les noces nel 1923.
Hanno in comune le ostinate poliritmie pagane,
sapientemente dosate dal grande musicista russo
per realizzare una varietà di timbriche divenute
celebri soprattutto nel primo lavoro
orchestrale. Nel secondo brano, quello più
raramente eseguito ma di incredibile resa
musicale, la formazione strumentale
cameristico-corale prevedeva la presenza di ben
quattro pianoforti, con altrettanti pianisti
quali Davide Cabassi, Giorgio Martano, Andrea
Rebaudengo e Marcello Spaccarotella. Il Coro
preparato splendidamente da Alberto Malazzi, ha
trovato anche quattro incisivi timbri solistici
nelle voci del soprano Karine Babajanyan, del
mezzosoprano Olga Savova, del tenore Vasili
Efimov e del basso Alexei Botnarciuk, ai quali
si aggiunge anche Alberto Rota, basso profondo
del Coro.
Il
grande coreografo ha realizzato un' altrettanta
varietà d'interventi particolarmente efficaci
per il corpo di ballo, con parti solistiche, di
coppia e di gruppo in entrambe le coreografie.
La direzione musicale eccellente di Koen Kessel s,
alla testa dell'Orchestra del Teatro alla Scala
per AfteRite e dell'ampio gruppo
strumentale e corale per Lore,
è stata in perfetta sinergia con la splendida
componente coreografica. In AfteRite il ritorno
di Alessandra Ferri quale personaggio centrale
del numeroso corpo di ballo è stato eccellente
sotto ogni profilo, apprezzato al termine dal
pubblico con applausi particolarmente fragorosi.
La riuscita coreografica di entrambi i lavori ha
trovato il fondamentale supporto delle scene e
dei costumi di Viki Mortimet, nelle perfette
illuminazioni di Lucy Carte per AfteRite e di
Jon Clark per Lore. Nel secondo lavoro sono
risultate importantissime la realizzazioni
grafica e di Film design di Ravi
Deepres per una varietà di effetti perfettamente
integrati e di raffinata resa visiva. Ricordiamo
almeno qualche nome degli ottimi solisti che
hanno portato al successo le rappresentazioni
già effettuate tra cui la sesta, da me vista.
Oltre la straordinaria Alessandra Ferri, Marco
Agostino, Martina Arduino, Caterina Bianchi,
Nicola Del Freo, Christian Fagetti, Maria
Celeste Losa, Valerio Lunadei, Mattia
Semperboni, Gioacchino Starace, Virna Toppi,
Navrin Turnbull, Rinaldo Venuti in
AfteRite e Timofej Andrijashenko, Claudio
Coviello, Agnese Di Clemente, Domenico Di
Cristo, Nicoletta Manni, Alice Marianiin Lore.
Questa sera settima ed ultima messinscena. Da
non perdere! Dal 9 al 16 luglio ritorna
Giselle. (Foto di Brescia e Amisano
dall'Archivio Scaligero).
7 luglio 2022 Cesare
Guzzardella
Pianotime
in Conservatorio
L'ottima iniziativa
denominata Pianotime, pensata dai docenti
di pianoforte del Conservatorio "G. Verdi" di
Milano, ha trovato riscontro nel successo
della
splendida serata svoltasi ieri sera nel chiostro
del Conservatorio. Sette giovani pianisti, tra i
migliori dell'importante Istituzione musicale
italiana, hanno offerto un saggio delle loro
qualità interpretative, offrendo al
numerosissimo pubblico intervenuto alcuni brani
di un vasto repertorio che spaziava da Beethoven
sino a Prokofiev e Gershwin. In ordine di salita
sul palcoscenico abbiamo ascoltato: Elisabetta
Galindo Pacheco, Margherita Righetti, Andrea
Canino, Edoardo Braga, Giorgio Paolo Nicita,
Sonia Candellone e Virgilio Volante. Tutti
bravissimi! Da segnalare comunque alcuni brani
particolarmente convincenti, a mio parere, ad
iniziare dai tre Intermezzi op.18 di
Brahms (n.1-2-4) interpretati con sicurezza ed
equilibrio dalla Galindo Pacheco, alla rara
Ballade di Claude Debussy eseguita con
disinvoltura dalla Righetti; di ottima resa
espressiva l'Allegro in si minore op.8 di
Schumann eseguito dal giovanissimo Andrea Canino
dopo un buon Liszt ( Un sospiro). Tra gli
ultimi saliti sul palcoscenico eccellente la
resa disinvolta ed espressiva di Sonia
Candellone nei virtuosistici Sarcasmes op.17
di Prokofiev e di valida estroversione ed
equilibrio formale la conclusiva Rhapsody in
blue di George Gershwin interpretata da
Volante. Ottima dunque la serata, che troverà
una cadenza bimensile di altri saggi pianistici
nella Sala delle conferenze della biblioteca del
medesimo Conservatorio.
6 luglio 2022 Cesare
Guzzardella
Arcadi Volodos
al Teatro alla Scala per la rassegna "I Grandi
Pianisti"
Doveva esserci Daniel
Trifonov alla Scala. All'ultimo minuto non
potendo venire, è stato rimpiazzato da un altro
grande del concertismo mondiale. Il russo Arcadi
Voldolos, venuto in febbraio in Conservatorio,
ha pensato bene di rifare il medesimo concerto,
con solo alcuni dei cinque bis differenti.
Certamente le qualità espresse sono state ancora
di altissimo livello ed hanno reso pienamente
soddisfatto il pubblico presente in teatro.
Rimane il
fatto
di aver mantenuto lo stesso impaginato, cosa
assai diffusa tra molti fuoriclasse del pianismo
mondiale, che girano per un anno le sale
concertistiche con il medesimo programma. A
parte questo, dobbiamo ribadire il giudizio
espresso in febbraio ascoltando prima Schubert
con la corposa Sonata in re maggiore D 850
, un lavoro scritto in età matura dal viennese,
precisamente nel 1825. La classicità della
sonata si articola in quattro movimenti
ricalcando il sonatismo beethoveniano, ma
introducendo una varietà melodica tipica solo
del viennese. Volodos si è rivelato anche ieri
sera un eccellente interprete schubertiano,
capace di una straordinaria discorsività mediata
da un peso delle dinamiche espresse in modo
esemplare. Passando da una leggerezza quasi
impercettibile dei pianissimo, sino alle robuste
esternazioni dei momenti più concitati. La
chiarezza espressiva si è rivelata con timbriche
forse ancor più scavate e di luminosa resa
espressiva.
Dopo
il breve intervallo il tutto Schumann riproposto
evidenziava prima le Kinderszenen op.15 e
poi la Fantasia in do maggiore op.17.
Questa volta, distanziando le due opere da
applausi e da una fugace uscita dal
palcoscenico, - cosa che in Sala Verdi non era
avvenuta avendo eseguito le due opere senza
interruzione- Volodos ha espresso ancor più
profondità espressiva nella celebre raccolta dei
tredici brevi brani dedicati ai giovanissimi,
con alcune vette di esemplare resa
interpretativa. Ha poi ridefinito con grande
maestria i tre grandi movimenti che compongono
la Fantasia in do maggiore op.17, resa
con virtuosismo mediato da grande capacità
riflessiva ed estemporanea resa discorsiva.
Momento di grande pianismo quella dei cinque
bis, ancora una volta concessi. Partendo dal
noto Vogel als Prophet dall'op.82 di
Schumann arrivando a Liadov col Preludio
op.40 n.3 in re minore, a Scriabin con il
Poéme op.71 n.2 e a conclusione il Mompou
della Musica Callada dal vol.4, Lento.
Interpretazioni memorabili. Applausi intensi in
un teatro con purtroppo molti posti liberi.
4 luglio 2022 Cesare
Guzzardella
GIUGNO 2022
Finalmente
un nuovo Rigoletto
alla Scala
La seconda rappresentazione
di Rigoletto, per la regia di Mario Martone e la
direzione di Michele Gamba, ha trovato a
conclusione della serata meritati e sostenuti
applausi. Certo, il bravissimo regista
napoletano, attualmente anche sullo schermo dei
cinema con l'ottimo film Nostalgia, interpretato
dallo
straordinario Pierfrancesco Favino, non c'era
sul palcoscenico per il finale. Ma gli altri,
con lo straordinario cast vocale si, e gli
applausi convinti per tutti si sono fatti
sentire a lungo. Il Teatro alla Scala era al
completo con un pubblico quasi completamente
senza mascherina. Dopo quasi trent'anni
dall'ultimo Rigoletto scaligero, rappresentato
con successo moltissime volte, questo
cambiamento, con una nuova produzione scaligera ,
ci voleva. Un cambiamento in senso moderno, per
quanto riguarda regia e scenografie, con quelle
ottime di Margherita Palli. La valida direzione
di Michele Gamba ci è sembrata spesso legata al
ritmo imposto dalla regia nei momenti più
concitati, con un'energia musicale straripante
di timbriche, ma con un ritorno ai "normali"
andamenti nel sottolineare con rispetto e
qualità la miriade di arie meravigliose presenti
in Rigoletto.
Comunque
una lettura, quella del direttore quasi
quarantenne, complessivamente di spessore. Le
scene rotanti su più livelli, con arredi ricchi
e poveri, secondo una divisione di classe molto
marcata, così voluta da Martone, ci è piaciuta
assai, soprattutto quella moderna ambientazione
dei "ricchi". L'eccessivo contrasto di classe ha
fatto già molto discutere, e non vorrei
soffermarmi troppo su motivazioni politiche in
un contesto musicale dove il geniale lavoro di
Verdi, reso in modo straordinario dal cast
vocale, risulta essere pienamente dominante e
sovrastante. Voci di eccellente qualità quindi
quelle del mongolo Amartuvshin Enkhbat, un
Rigoletto limpido, voluminoso ed
intensamente espressivo; della statunitense
Nadine Sierra, una Gilda con splendida
timbrica, intensa e voluminosa in tutti i
registri, voce, insieme a quella di
Rigoletto,
più applaudita. Di ottima qualità le altre.
Bellissimi i colori di Piero Pretti, un Duca
di Mantova scintillante nei colori e di
ottima presenza scenica; ottima anche Marina
Viotti in Maddalena, con timbro sicuro e
determinato nel suo non facile ruolo. Di grande
caratura lo Sparafucile di Gianluca
Buratto, con timbro chiarissimo, voluminoso e
pastoso. Di rilievo tutti gli altri. Le scene
ben articolate, hanno trovato molto bravi
attorialmente tutti i protagonisti e i
comprimari, in una regia molto attenta ad ogni
movimento per una positiva ed esplicativa
presenza scenica. Bene i costumi di Ursula
Patzak, le luci di Pasquale Mari e la componente
coreografica di Daniela Schiavone. I pochi
secondi finali contestati alla Prima
rappresentazione, e di cui hanno molto parlato i
giornali, con quella insurrezione dei
subordinati alla ricca e superficiale borghesia,
che si conclude con la strage dei "cattivi",
paragonata da molti al finale del bellissimo
Parasite, film del regista sud-coreano Bong
Joon-ho, è ben poca cosa rispetto al finale
cinematografico. Una conclusione politica a mio
avviso non troppo adeguata all'arte verdiana.
Per il resto tutto di ottima qualità, anche la
parte corale preparata benissimo
da Alberto Malazzi. Da non perdere le prossime
rappresentazioni previste per il 27 e il 30
giugno e il 2, il 5, l' 8 e 11 luglio (
Foto di Marco Brescia e Rudy Amisano
dall'Archivio del Teatro alla Scala)
24 giugno 2022 Cesare
Guzzardella
Festa della musica
all'Università Cattolica milanese
Una serata di rilevante
interesse musicale e culturale quello offerto
ieri sera nell'Aula Magna dell'Università
Cattolica di Milano. Una Festa della Musica
che ha voluto concludere l'anno accademico
proponendo un
impaginato
musicale in omaggio al compositore inglese Ralph
Vaughan Williams per i 150 anni dalla nascita,
anniversario ricordato dal prof. Enrico
Reggiani, docente di letteratura inglese e
responsabile dello Studium Musicale d'Ateneo
dell'università. Sottolineando l'importanza
della musica inglese, un po' dimenticata in
Italia, Reggiani insieme a Martino Tosi,
coordinatore delle attività musicali, ha
motivato la scelta dell'interessante impaginato
che con ottime esecuzioni ha rivelato le qualità
degli studenti impegnati da anni nella musica,
sia come strumentisti che nel Coro polifonico.
Tra i brani eseguiti, la maggior parte hanno
trovato l'ottima direzione di Mariateresa
Amenduni.
Il celebre The Lark Ascending, di Ralpf
Vaughan Williams, interpretato benissimo dalla
compagine orchestrale e dalla violinista solista
Anna Pederielli, era inserito nell'impaginato
tra brani di Thomas Tallis, di Joseph Bodin de
Boismortier, di Georg Philipp Telemann, di John
Rutter, ma anche di Mozart con il celebre
Soave sia il vento, terzettino da Così fan
tutte, eseguito con espressività dalle tre voci
soliste nell' ottimo contesto strumentale e
corale. A conclusione, il celebre Pomp and
circumstance op. 39 n.1 di Edward Elgar è
stato reso con efficace espressività
dall'Orchestra e dal Coro sempre nella precisa e
dettagliata direzione della Amenduni. Tra i
brani eseguiti segnaliamo anche quello di
Stravinskij con il Pater Noster
interpretato con estremo
equilibrio
vocale e nitore dal Coro a cappella e tra quelli
di John Rutter, noto compositore britannico,
soprattutto tra gli ambienti universitari,
The Lord is my shepherd, brano di grande
resa strumentale e vocale. Applausi calorosi dal
numerosissimo pubblico che gremiva la bellissima
aula magna ed eccellente il bis proposto con un
Gaudeamus Igitur, inno universitario
internazionale, eseguito splendidamente.
22 giugno 2022 Cesare
Guzzardella
Il film di Damiano
Michieletto
"Gianni Schicchi" agli Amici del Loggione di
Milano
L'ultimo incontro della
rassegna Lieti Calici organizzata da
Mario Marcarini agli Amici del Loggione del
Teatro alla Scala, prevedeva la visione del
bellissimo film Gianni Schicchi di
Damiano Michieletto, dalla nota e
divertente
opera di Giacomo Puccini. Il lavoro è di
particolare interesse perchè unisce alle musiche
pucciniane eseguite ottimamente dall' Orchestra
del Teatro Comunale di Bologna diretta da
Stefano Montanari, le ottime voci dei
protagonisti cantate in presa diretta durante la
realizzazione, come spiegato dagli ospiti
intervenuti: Damiano Michieletto- da remoto- ,
Roberto Frontali (Gianni Schicchi) , e Bruno
Taddia (Betto) Ma è soprattutto l'eccellente
resa cinematografica, studiata nei dettaglie e
con ottima personalizzazione dal regista
Michieletto, che il Gianni Schicchi
cinematografico trova una valida ragione di
realizzazione. La vicenda, tradotta dalle
splendide sequenze girate sia in
interni
che in esterni, e riunite con un eccellente
montaggio, risulta facilmente comprensibile
anche da chi non è abituato a frequentare i
teatri lirici. Un film quindi che da maggiore
possibilità di conoscenza del genio pucciniano.
Michieletto, oltre ad aver parlato
dell'esperienza fatta, ha anticipato una
probabile possibilità per un'ulteriore
realizzazione lirica attraverso il cinema. I due
cantanti-attori presenti nella sala gremita di
partecipanti, hanno poi raccontato nei dettagli
l'esperienza svolta evidenziando il lavoro
intenso nelle settimane di ripresa, riprese
svolte davanti a decine di lavoranti che con
impegno e dedizione, insieme a tutti i
protagonisti sono arrivati alla valida
realizzazione. Un pranzo finale, con ottimi
vini, ha concluso la splendida giornata
domenicale degli Amici del Loggione di via
Silvio Pellico. Ad ottobre incomincierà una
nuova serie d'incontri e di concerti. Siete
tutti invitati!
20 giugno 2022 C.G.
Enrico Rava
e Francesco Grillo ai
Bagni Misteriosi
Alla sera diventa un luogo
magico quello denominato Bagni Misteriosi,
spazio milanese localizzato di fianco al Teatro
Parenti. Di giorno le piscine
accolgono
i bagnanti. La sera gli spettacoli, musicali e
teatrali, portano il pubblico a riempire le
gradinate e l'ampia pedana galleggiante posta
sulla piscina maggiore. Ieri, in una calda
giornata, fortunatamente seguita da una fresca
aria arrivata al calare della luce, il Duo Jazz
formato dal celebre trombettista ottantaduenne
Enrico Rava e dal più giovane pianista Francesco
Grillo - musicista impegnato non solo nel jazz
ma anche nel repertorio classico-, ha sostenuto
un valido concerto eseguendo brani soprattutto
di Rava ma anche di Jobim, di Bruno Martino e
standards jazz di altri compositori. L'ottima
intesa dei due protagonisti ha permesso di
delineare un impaginato con una decina di lavori
che hanno evidenziato
il
timbro caldo ed espressivo della tromba di Rava
e le abilità jazzistiche di Grillo, pianista
sostenuto da una tecnica classica liberata in
una forma improvvisata tipica del migliore jazz.
L'efficace resa stilistica di entrambi i
musicisti ha ben delineato la componente
melodica assai interiorizzata e ricca di
profonda espressività di Rava, e le articolate
armonizzazioni di Grillo, espresse con una
ritmica incisiva ben delineata. Tra i brani
eseguiti ricordiamo almeno Certi angoli
segreti, Thank You Come Again e
Bandoleros di Rava, Retrato em branco e
preto di Jobim e la celebre Estate di
Bruno Martino. Il 21 giugno i Bagni Misteriosi
vedranno la presenza di Paolo Fresu, Petra
Magoni e I Virtuosi di Roma diretti da Paolo
Silvestri per una festa della musica con brani
dal classico al pop, da Bach a David Bowie. Da
non perdere.
17 giugno 2022 Cesare
Guzzardella
La Gioconda di
Ponchielli al
Teatro alla Scala
È un opera di grande
teatralità La Gioconda di Ponchielli,
allestita in questi giorni al Teatro alla Scala
per la regia di Davide Livermore, regista
abituato
alla
grandiosità delle messinscene teatrali, qui
coadiuvato dalle diversificate scenografie Giò
Forma, dai costumi di Mariana Fracasso, dalle
luci di Antonio Castro, dai video D-Wok e dalla
coreografia di Frédéric Olivieri. Un insieme di
collaboratori ritrovati anche in altre opere,
che fanno della grandiosità elemento essenziale
e che in questa Gioconda, su libretto di Arrigo
Boito, trova nelle ampie e luminose scenografie
veneziane - rese sia fisicamente che con valide
proiezioni- elementi ispiratori. È un'opera
certamente complessa quella del compositore
cremonese: quattro atti, con gli ultimi due
espressi insieme e separati solo da pochi minuti
di sosta. Mancava dal Teatro alla Scala da
venticinque anni l'opera che rimane essere
l'unica del compositore eseguita in tutti i
teatri lirici e che è riconosciuta dal grande
pubblico grazie alla celebre Danza delle ore,
momento musicale molto atteso sul palco
scaligero ed espresso con creatività dagli
allievi della scuola di ballo della Scala
preparati benissimo da Frédéric Olivieri.
Nella
rappresentazione vista, la terza, l'impressione
complessiva di questa lunga serata, al netto dei
due non brevi intervalli, è positiva ma non
entusiasmante. Probabilmente la causa è nella
complessità di una vicenda a volte dispersiva,
che vuole accontentare tutti i numerosi
protagonisti presenti e comunque ben
rappresentati dal valido cast vocale. Almeno sei
le voci importanti, unite poi all'eccellente
Coro della Scala di Alberto Malazzi e all'ottimo
Coro di voci bianche preparato da Bruno Casoni.
Certamente le varie e molto interessanti musiche
di Ponchielli, tra Romanticismo e Verismo, sono
state ben dirette da Frédéric Chaslin, che è
riuscito anche a mettere in risalto le voci
soliste e gli importanti momenti corali. Nella
terza replica vista, la Gioconda era
nella voce di Irina Churilova, voce dal timbro
chiaro e potente nei registri alti, forse la più
apprezzata, al termine della rappresentazione,
dal pubblico che gremiva il teatro. La voce
della Churilova ha trovato antagonista quella di
Daniela Barcellona, una Laura Adorno di
qualità anche attoriali, con timbro ottimamente
impostato in tutti i registri. Di spessore il
timbro chiaro e deciso di Erwin Schrott, un
Alvise Badoèro freddamente determinato e
risoluto nel mettere alla condanna mortale la
moglie Laura.
Certamente
di qualità Anna Maria Chiuri, La cieca,
una presenza scenica importante, con ottimo
timbro in tutti i registri. Sicuro e deciso il
timbro di Roberto Frontali, un Barnaba
chiaro ed intensamente espressivo. Valido anche
Stefano Colla, un ottimo Enzo Grimaldo
valido in tutti i registri. Bravi tutti
gli altri. Applausi sostenuti al termine con
qualche spettatore uscito prima del termine per
la lunghezza di un'opera che meritava una
probabilmente impossibile ma necessaria,
sintesi. Da vedere. Prossime repliche previste
per il 18, il 21 e il 25 giugno. ( foto
di Brescia e Amisano dall'Archivio della Scala)
15 giugno 2022 Cesare
Guzzardella
GIUGNO
2022
Ingrid Carbone
ai "Lieti Calici"
di via Silvio Pellico a Milano
Per la fortunata rassegna
musicale "Lieti Calici", organizzata da
Mario Marcarini, l'ospite pomeridiano
dell'incontro organizzato agli Amici del
Loggione
del Teatro alla Scala di via Silvio Pellico 6 a
Milano era la pianista calabrese Ingrid Carbone.
Abbiamo recentemente parlato sul nostro giornale
delle sue apprezzate incisioni discografiche
riguardanti soprattutto, ma non solo, Franz
Lizst. Questo incontro-concerto, presentato da
Marcarini di fronte ad un numerosissimo
pubblico, riguardava tutt'altro. Il napoletano
Ruggiero Leoncavallo, noto operista per pochi
titoli - tra cui il celeberrimo Pagliacci-
, pur avendo composto oltre quaranta opere, è
stato un
eccellente
pianista ed anche autore di parecchi brani
pianistici. Tranne che per pochissimi numeri,
quasi tutte le composizioni sono andate nel
dimenticatoio. Ingrid Carbone ha il merito di
avere ricercato decine di brani del compositore
e di aver realizzato un doppio Cd che uscirà
prossimamente con ben trentasei brani. Ieri ne
ha selezionati sette, prima parlandone e poi
eseguendoli
con coinvolgente espressività al pianoforte. I
brani di Leoncavallo, tutti particolarmente
melodici, hanno rivelato influenze legate ai
molteplici luoghi dove il musicista visse per
alcuni anni, dall'Egitto alla Spagna, dalla
Francia agli Stati Uniti. La Carbone ha proposto
Gondola, Chanson d'amour, Granadinas,
Menuette d'Arlequine, Cortège de Pulcinella,
Primo bacio e Tarantella, con una
musicalità molto italiana assai apprezzata dal
pubblico che ha tributato, al termine, intensi e
calorosi applausi. Molto bello il fuori
programma concesso dalla Carbone col
virtuosistico O Polichinelo di Villa
Lobos. A conclusione il classico ottimo brindisi
e deliziosi piattì con prodotti tipici.
12 giugno 2022 Cesare
Guzzardella
Giovanni Sollima
e la
PFM
al Teatro Dal Verme con
l'Orchestra de I Pomeriggi
La rassegna "Panorami
sonori" iniziata al Teatro Dal Verme con
l'Orchestra de "I Pomeriggi musicali" ha trovato
il violoncellista-compositore Giovanni Sollima
anche direttore dell'orchestra. Nella prima
parte della serata, l'impaginato scelto
prevedeva tre brani dello stesso Sollima quali,
Terra con variazioni, Aquilarco n.2 e
n.3, tutti per
violoncello
e orchestra, intervallati da due brevi ma
efficaci brani di Henry Purcell ( 1659- 1695),
precisamente The Cold Song e Strike
The Viol. Già in passato abbiamo rimarcato
le qualità dei lavori del musicista palermitano,
improntati ad una
musicalità ricca di sottili melodie derivanti
dalle culture popolari più antiche e da una
rilevante componente mediterranea, con evidenti
influssi dei territori asiatici e nord-africani.
L'ottima coordinazione di Sollima
violoncellista, con la contemporanea direzione
orchestrale, ha portato a valide escuzioni dei
tre lavori rispettivamente del 2015 il primo, e
del 1998. Di raffinata qualità i due brani
secenteschi dell'inglese Purcell,
il
primo di maggiore impatto melodico e il secondo
di ampia valenza ritmica con importante rapporto
dialettico tra il solista e gli efficacissimi
archi. La seconda parte della serata, molto
apprezzata dal numerosissimo
pubblico presente, ha trovato ospiti di Sollima
e dell'Orchestra il noto gruppo di rock
progressivo della PFM - Premiata Forneria
Marconi-, formazione che trovò grande successo
in Italia, e in parte anche all'estero ,
soprattutto negli anni
'70 e '80. Ricordo con piacere di aver assistito
nel 1972 al
cinema-teatro Massimo - divenuto
poi il frequentatissimo Auditorium - ad
un
loro concerto con brani tratti dal 33 giri
Storia di un minuto, grande successo
discografico di quei magici anni. La scelta
operata dal gruppo e da Sollima di proporre una
serie di brani tratti da Verdi (Nabucco ecc.),
Prokofiev (Romeo e Giulietta), Rossini
(Guglielmo Tell) e anche della stessa PFM, con
il noto brano È festa ( Celebration
nella versione inglese), in una specie di
suite
unitaria
di circa 40 minuti, pur con discutibile resa
acustica, ha riscosso uno straordinario
successo. Purtroppo il contrasto tra i suoni
naturali dell'orchestra e l'imponente
amplificazioni di batteria, tastiere, basso e
violino elettrico, ha creato una miscela di
timbriche imprecise, troppo roboanti, con un
effetto - passatemi il termine- da "balera". Le
sicure qualità di musicisti come Franz Di
Cioccio alla batteria, Patrick Djivas al basso,
Lucio Fabbri al violino, dell'antica formazione,
e degli altri ottimi esponenti, sono
parzialmente emerse. Rimane comunque
l'apprezzamento del pubblico, con i moltissimi
giovani presenti, motivati dalla presenza dei
validi protagonisti trainati dall' indiscutibile
talento di Giovanni Sollima. Giovedì prossimo,
per questa rassegna, ci sarà il pianista
Alessandro Taverna e il direttore Ryan McAdams
in musiche di Gershwin. Da non perdere!
10 giugno 2022 Cesare Guzzardella
Fazil Say per
la Società dei Concerti
Il pianista turco Fazil Say è
finalmente ritornato in Sala Verdi in
Conservatorio per la Fondazione La Società
dei Concerti, recuperando una serata che
avrebbe dovuto svolgersi nel mese di marzo. Da
anni ascoltiamo Say nel repertorio classico e
anche nel suo, essendo un affermato compositore.
Le due attività, quella d'interprete e quella di
compositore, sono legate da una personale
visione della musica che rendono l'artista
certamente unico per modi interpretativi e
compositivi. Molto conosciuto nella sua terra
d'origine, Say ha acquisito notorietà in Italia
e in Europa grazie anche ad alcune pecurialità
stilistiche e gestuali che hanno dato a lui un
apprezzamento interessante di musicista
'trasversale", aperto al jazz e alle
melodie
tonali ricche di innovazioni timbriche.
Generalmente anche un pubblico più giovane del
consueto segue i suoi concerti, come del resto
accade per un altro interprete e compositore
quale l'italiano Giovanni Sollima. I due,
attraverso due strumenti diversi, il violoncello
per il musicista siciliano, hanno in comune un
modo molto mediterraneo d'intendere la musica e
un medesimo approccio "creativo" nell'eseguire
la musica classica. Nel bellissimo concerto,
ascoltato ieri, due lavori sono stati eseguiti
senza intervallo, ed hanno trovato grande
successo al termine delle rispettive esecuzioni.
Le celebri Variazioni Goldberg di J.S
Bach hanno occupato la parte più cospicua della
serata, mentre il recente brano di Say, Yeni
hayat - Nuova vita (2021), la parte
conclusiva. Le ottime Goldberg di Say hanno
avuto una restituzione decisamente personale e
di ricca esternazione, sino dalla celebre
Aria iniziale - ripetuta a conclusione -
eseguita con luminosa introspezione. Le trenta
Variazioni erano giocate su una varietà
di contrasti molto efficaci, dove le timbriche,
all'occorrenza accentuate e accellerate, oppure
distese e riflessive, con infinite gradazioni
dinamiche, hanno dato vita ad un lavoro dove il
carattere "improvvisatorio", di chi però ha
completamente interiorizzato il materiale,
risulta evidente. Le poche imprecisioni, in
alcune ultime variazioni, non hanno certo
influito sulla qualità interpretativa
complessiva sempre di alto livello. La
componente gestuale, elemento centrale nelle sue
composizioni, trova anche una valida importanza
nei brani classici, e anche in questo valido
Bach. Say tende ad eseguire
l'evento
sonoro "vedendolo" spazialmente e sottolineando
le frasi con gesti, apparentemete scomposti, ma
invece perfettamente funzionali alla resa
esecutiva. Dopo le ottime Goldberg, la sua
recente Sonata per pianoforte op.99 "Yeni
hayat" -poco più di dieci minuti la sua
durata- ha ritrovato il suo tipico personale
stile compositivo e la sua lucida sintesi
discorsiva, inserità in un'unità espressiva di
eccellente qualità. Gli effetti sonori iniziale
sulle corde, nella cassa di risonanza e altri
artifizi sono tipici in Say. Il brano, ricco di
suggestioni coloristiche, utilizza tutta
l'estensione della tastiera, in un contesto di
riverbero sonoro che da spazialità e
orchestralità al lavoro. La gestualità
dell'interprete integra perfettamente il
risultato sonoro in una performance
che comunque deve essere anche osservata per
meglio intenderne la valenza artistica
complessiva. Applausi sostenuti al termine del
brano, con molto pubblico entusiasta in piedi e
come bis, ancora un suo brano dal carattere più
melodico, con il suo gusto tipico "alla
francese".
9 giugno 2022 Cesare
Guzzardella
Il ritorno in Scala di
Riccardo Chailly
per le Sinfonie e i Cori verdiani
Il ritorno di Riccardo
Chailly al Teatro alla Scala, dopo la breve
pausa, per le ragioni di salute che non gli
hanno permesso il podio per l'opera
Un ballo in maschera,
è stato accolto con entusiasmo dal numerosissimo
pubblico intervenuto alla Stagione Sinfonica per
ascoltare l'Orchestra e il Coro del
Teatro
alla Scala in musiche verdiane. Il programma,
ricco di brani tratti dalle maggiori opere del
musicista di Roncole, prevedeva Sinfonie,
Cori, Ballabili e Preludi riferiti a
ben nove opere quali Nabucco, I Lombardi alla
prima crociata, Ernani, Don Carlo, Macbeth,
Trovatore, La forza del destino, Aida e Simon
Boccanegra, quest'ultimo proposto nel bis. Nella
prima replica, ascoltata ieri sera, l'effetto
scenico della grande Orchestra del Teatro alla
Scale e dell'imponente Coro scaligero, preparato
e coordinato magistralmente da Alberto Malazzi,
era proporzionato all'impetuosa e pregnante
musica del grande operista, che nella
complessiva esternazione dei diciotto momenti
sinfonico-corali, ha reso evidente il suo
caratteristico e unico linguaggio melodico,
votato anche alla grande musica orchestrale e
corale. Alternando il maggior numero di celebri
brani a pochi altri meno popolari, si è iniziato
dalla Sinfonia, Gli arredi festivi e il
Va', pensiero del Nabucco per arrivare
alle pagine conclusive col Gloria all'Egitto
e Iside dell'Aida. Un arco di tempo di oltre
quarant'anni di composizioni che hanno
evidenziato il genio verdiano e l'attitudine
verdiana esternata con passione ed abilità dal
direttore milanese, per una resa orchestrale e
corale di altissimo livello, nelle quasi due ore
di musica complessiva interpretata con rigore e
taglio netto e preciso. Ricordiamo, come
annunciato anche dal direttore, che le serate
saranno registrate da Decca che le pubblicherà
in disco nel 2023, in vista dei 210 anni dalla
nascita del grande compositore. Mercoledì, 8
giugno, seconda e ultima replica di una serata
assolutamente da non perdere. (foto di
Brescia e Amisano a cura del Teatro alla Scala)
7 giugno 2022 Cesare
Guzzardella
Un filo d'Arianna
per
un flauto tutto al femminile
L'iniziativa musicale
proposta questa mattina nella Sala Puccini del
Conservatorio milanese è meritoria per più
ragioni. Quella principale è l'aver proposto
brani di compositrici viventi e del passato, in
un arco
temporale
compreso tra il '700 e i giorni nostri. La
seconda è quella di aver scelto il flauto, in
tutte le sue tipologie, come strumento di
riferimento per i brani scelti, oltrettutto
nelle mani di valide giovani flautiste del
Conservatorio milanese che hanno rivelato l'alto
livello di qualità musicale dell'importante
Istituzione milanese ed italiana. Il progetto, a
cura di Rosalba Montrucchio, docente di flauto
in Conservatorio, prevedeva brani di 1O
compositrici eseguiti partendo dalle più giovani
d'età, per arrivare, andando indietro nel tempo,
sino ad Anna Bon (1740-1767). In ordine di
esecuzione esattamente: Sonia Bo (1960) e
Beatrice Campodonico (1958) docenti di
composizione del
Conservatorio
G.Verdi, Sofia Gubaidulina (1931), certamente la
più nota compositrice russa vivente e
probabilmente la maggiore al mondo, Eugenie
Rocherolle (1939) americana e nota in ambito
cinematografico, quindi le non viventi Germaine
Tailleferre (1892-1983), la meno eseguita del
francese Gruppo dei sei, Mal Bonis (
1858-1937), Lili Boulanger (1893-1918), celebre
didatta, Marie F.C.Grandval (1830-1918), Maria
Theresia von Paradis (1759-1824), e Anna Bon
(1740-1767). A conclusione è stato
aggiunto
un brano per flauto ed arpa ancora della
Grandval, Valse mélanconique. Le ottime
flautiste nei nomi di Cecilia Omini, Arianna
Quaggetto, Alice Maria Pratolongo, Emma
Francesca Ferrari, Linda Facchinetti, Zang
Xiqimo, Ilgaz Duman, Marina Zenobi, Elisabetta
Albert e , unico esponente maschile, Francesco
Paoletti - nella splendida Sonata per cembalo e
flauto traversiere di Anna Bon (con Samantha
Bertuccio)- , hanno interpretato uno o più brani
spesso accompagnate da ottimi pianisti quali:
Paolo Ehrenheim, Francesco Elgorni, Gabriele
Duranti e Naomi Tistarelli. Ottimi tutti i brani
ascoltati, a dimostrazione di come un certo
reportorio al femminile ancora nascosto
debba
essere assolutamente rivalutato. Interessante
poi l'accostamento con le grafiche e i dipinti
proiettati - sempre di artiste al femminile-
durante le esecuzioni. Immagini scelte con
intelligenza, per gli accostamenti alla musica,
da Chiara Macor dall'Accademia d'arte di Napoli,
coadiuvata dalla Graphic Designer Giada Fadoni.
Tra i brani segnaliamo quelli contemporanei di
Sonia Bo con Pax per flauto eseguito con
maestria dalla Omini, ottimo lavoro che mette in
risalto le infinite potenzialità del flauto
traverso in un continuo sonoro dove i forti
contrasti espressivi e le differenti timbriche
vengono esaltate dall'eccellente scrittura
campositiva. Valido anche il brano Variazioni
all'infinito di Beatrice Campodonico,
eseguito bene da Arianna Quaggetto. Lavoro dove
tre diversi flauti, il traverso con il flauto
basso e l'ottavino, si alternano in posizioni
spaziali differenti per una ricca resa
espressiva. Eccellenti poi i due brani della
Gabaidulina con Alice Pretolongo al flauto (al
pianoforte prima Ehrenheim, poi Elgorni) per
Sounds of the Forest e Allegro rustico,
quest'ultimo molto debitore degli insegnamenti
di Prokofiev e
Šostakoviç.
Decisamente piacevole la cordiale e scorrevole
Sonata n.1 di Eugenie Rocherolle con
E.Ferrarri al flauto e Ehrenheim al pianoforte.
Oltre alla già citata raffinata Sonata op.1
n.4 di Anna Bon eseguita benissimo da
Francesco Paoletti, segnaliamo l'ultimo lavoro
della Grandval, Valse mélanconique per
flauto e arpa con i bravissimi Alice Maria
Pratolongo al flauto e Xochiti Derycz all'arpa.
Valide tutte le altre composizioni con i
relativi interpreti. Splendida mattina di
musica! Sabato 11 giugno, alle ore 17.30,
seconda parte con Voce di donna, brani al
femminile per canto e pianoforte.
5 giugno 2022 Cesare
Guzzardella
L'Eurydice di
Dmitri
Kourliandski
per il Festival Milano Musica
Un giusto equilibrio tra
musica e teatro è lo spettacolo visto in una
delle sale del Teatro Elfo-Puccini per il
Festival Milano Musica. Le particolari
timbriche
del russo Dmitri Kurliandski hanno evidenziato
la pièce teatrale Eurydice, une
expérience du noir, dove il soprano Jeanne
Crousaud nel ruolo di Eurydice, anche
elegante attrice, il mimo-attore e poco
danzatore, Dominique Mercy in Orfeo e la
pianista Bianca Chillemi rendevano scenico il
testo tratto dal poema di Nastya Rodionova. La
valida regia di Antoine Gindt ha trovato gli
adeguati rapporti di movimento tra i due
principali protagonisti inserendoli in un
contesto dove i toni cupi - con un inizio
completamente al buio- tratteggiano il dramma
umano di incomunicabilità tra la giovane e bella
Eurydice e l'anziano e trasandato Orfeo. La
musica di Kourliandski,
tra effetti elettronici derivanti dalle lontane
esperienze di musica concreta-elettronica degli
anni '50 e l'eccellente
vocalità
narrativa _alla Berio- dell'ottimo soprano
-vocalità completate da componenti registrate in
un tutt'uno timbrico di eccellente fattura- ,
riesce ad integrarsi in modo unitario con la
scena teatrale in un contesto di decadenza e
chiusura che segnano l'incapacità di
comunicazione. Interessante anche la scansione
del tempo con quelle poche note scandite quasi
ossessivamente dalla brava pianista Chillemi.
Dopo la prima rappresentazione assoluta avvenuta
a Reggio Emilia, anche questa seconda milanese,
perfettamente inserita nel progetto del Festival
Milano Musica, denominato Suoni d'ombra,
ha trovato ottimo riscontro dal numeroso
pubblico intervenuto. Peccato non ci siano
repliche. Molto interessante.
1 giugno 2022 Cesare
Guzzardella
MAGGIO 2022
Sergei Babayan
alle Serate
Musicali
Un concerto di ottima qualità
quello organizzato ieri sera in Conservatorio da
Serate Musicali in ricordo di Giuseppe
Ferreri (Amico e socio fondatire degli Amici
delle Serate Musicali). Sul palcoscenico di Sala
Verdi il pianista
armeno
Sergei Babayan ha eseguito un programma vario e
ricco di importanti lavori. Iniziando da
Bach-Busoni con la nota Ciaccona dalla
Partita n.2 in re minore, Babayan ha
rivelato subito una musicalità timbricamente
voluminosa per un brano reso in modo
"organistico" e certamente espressivo. Passando
a timbriche più delicate con alcuni lieder di
Schubert, nella rivitazione di Franz Liszt,
Babayan ha espresso colori più interiori,
evidenziando in modo chiaro le melodie
schubertiane nelle complesse articolazioni
dell'ungherese. Dei noti lieder ha eseguito
Der Müller un der Bach, Gretchen am Spinnrade
e Auf dem Wasser zu singen. Con i quattro
brani di Sergej Rachmaninov - due
Étude-tableau (op.39 n.5 e n.1) e due
Momenti musicali op.16
(n.2 e il n.6) , Babayan ha dato una svolta in
senso virtuosistico alla serata, attraverso
interpretazioni di grande valenza musicale per
sintesi discorsiva e pregnanza espressiva.
La
completa interiorizzazione di ogni elemento
scritto in partitura e la restituzione
estemporanea di ogni brano, ha messo in risalto
modalità pianistiche di grande impatto
coloristico nelle complesse definizioni dei
piani sonori, voluminosi ma limpidi in
espressività. Interpretazioni le sue che
ricordavano quelle del grande Lazar Berman. La
seconda parte del concerto è stata introdotta da
un ottimo Liszt con la Ballata n.2 in si
minore cui è subito seguita la celebre
schumanniana Kreisleriana n.16.
Un'esecuzione, quest'ultima di assoluta
rilevanza estetica, dove la sintesi discorsiva
di alcuni movimenti si alternava a timbriche
introverse e riflessive dei momenti maggiormente
melodici. Una visione chiara e coerente quella
dell'interprete, per una restituzione
complessivamente eccellente. Applausi calorosi
da un pubblico purtroppo non numeroso e un bis
concesso con la celebre Aria iniziale
delle Variazioni Goldberg di J. S.Bach,
eseguita con intensa luminosità. Un grande
pianista Babayan, proveniente dalla migliore
scuola pianistica russa, che speriamo di
riascoltare presto.
31 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Corrado Giuffredi
e
Leonora Armellini agli Amici del Loggione del
Teatro alla Scala per i Lieti Calici
Un tardo pomeriggio di
qualità quello organizzato da Mario Marcarini in
via Silvio Pellico a Milano. La rassegna
Lieti Calici sta mietendo successi grazie
alla presenza di protagonisti di chiara fama
internazionale. È anche il caso della giovane
pianista Leonora Armellini,
recentemente
premiata al Concorso Internazionale F. Chopin
di Varsavia ( 5° meritato posto), prima
donna italiana ad ottenere quel prestigioso
premio; ma anche del noto e meno giovane Corrado
Giuffredi, tra i migliori clarinettisti
italiani. Ma è il programma scelto dal duo che
ha reso ancor più interessante questo incontro.
Un breve impaginato incentrato sulle originali
parti del clarinetto tratte da opere di
Cherubini, Rossini, Bellini, Mercadante ,
Ponchielli,
Verdi e due rarità di Giovanni Pacini, tutti
compositori lirici. La parte orchestrale è stata
trascritta per pianoforte ed eseguita benissimo
dall'Armellini, per una restituzione, con la
principale voce clarinettistica, di eccellente
resa qualitativa. Giuffredi ha introdotto ogni
brano,
chiarendo dettagli inerenti l'opera, la parte
clarinettistica e i primi storici interpreti
degli interventi solistici. Dall'incontrò tra i
protagonisti nascerà a breve anche un Cd
prodotto da un'importante casa discografica. Due
i bis concessi:
prima, in solitaria, un'
eccellente e rara Tarantella
di Chopin che ci ha ancora rivelato le
eccellenti qualità espressive dell'Armellini e
il suo talento per la musica del genio polacco;
poi la più celebre aria per clarinetto inserita
in un'opera quale la pucciniana E lucevan le
stelle da Tosca. Applausi dal numerosissimo
pubblico intervenuto e poi
un ottimo brindisi con eccellenti
degustazioni di vini offerti dall'azienda Giulio
Ferraris accompagnati da
ottime tartine, salumi e primi
piatti, con anche una lasagna doc.
29 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
L'Orchestra Sinfonica
di Milano al Lirico Gaber per la
Sinfonia "La resurrezione" di Gustav Mahler
Dopo quasi venticinque anni,
l'Orchestra Sinfonica e il Coro Sinfonico di
Milano sono tornati al Teatro Lirico, oggi
Teatro Lirico "G.Gaber", per un concerto
diretto da Claus Peter Flor,
direttore
musicale della compagine milanese.
Una
serata importante, che ha segnato una
transizione tra la stagione musicale 2021-22 con
quella prossima già delineata da una splendida
programmazione che avrà luogo nella sede
dell'Auditorium milanese con un primo concerto,
come è consuetudine, al Teatro alla Scala. Il
Lirico, elegante e con adeguata acustica per i
concerti, era al completo: appassionati venuti
per ascoltare la Sinfonia n.2 in re minore "
La Resurrezione" per soli, coro e orchestra
di Gustav Mahler. Voci soliste erano il soprano
inglese Sarah Fox e il mezzosoprano di origine
tedesca Eva Vogel. Il monumentale lavoro di
Mahler,
quasi
novanta minuti la durata in cinque ampie parti,
è del 1894, con prima esecuzione berlinese
avvenuta nell'anno successivo. L'ottima
interpretazione ascoltata, ha trovato
l'eccellenza direttoriale di Flor che è riuscito
a far confluire le qualità dell'orchestra
milanese, con gli ottimi interventi solistici,
prima della Vogel, poi della Fox, e l'eccellente
coralità del Coro preparato da Massimo Fiocchi
Malaspina. Di grande espressività
l'interpretazione complessiva, con resa al
massimo nei momenti più concitati e volumetrici,
e perfetto equilibrio dinamico nei piani sonori.
Pubblico soddisfatto al termine e lunghi e
fragorosi applausi finali.
28 maggio 2022 Cesare Guzzardella
Benedetto Lupo
e l'Orchestra de I
pomeriggi Musicali per il Rach3
Un programma interamemte
russo ha concluso la stagione ufficiale 2021-22
del Dal Verme e dell'Orchestra de I Pomeriggi
Musicali. Il direttore principale James
Feddeck ha interpretato
brani
celebri di repertorio con il Concerto per
pianoforte e orchestra n.3 op. 30 di Sergej
Rachmaninov e la Sinfonia n.5 in mi minore
op.64 di P.I.
Čaikovskij. Nel
celebre
Rach3
al pianoforte c'era Benedetto Lupo che ha
trovato una valida resa interpretativa ben
coadiuvato dall' orchestra. Il concerto, celebre
per la presenza di una componente melodica di
evidente pregnanza romantica, ha anche
situazioni di estremo virtuosismo superate molto
bene da Lupo, nella sua
esemplare
discorsività. Applausi
fragorosi e due bis concessi da Lupo al termine,
con il noto Giugno da Le stagioni
di
Čaikovskij ed un intenso Preludio di
Scriabin. Di ottima resa complessiva la Sinfonia
n.5 di Čaikovskij, lavoro complesso,
ricco di ampie melodie tratte dal folclore russo
e inserite splendidamente nel contesto
sinfonico. Ancor più di
qualità il sorprendente Finale con un Allegro
vivace
reso con grande energia da Feddeck che ha
strappato fragorosi apllausi dalla numerosissima
platea presente. Sabato alle ore 17.00 la
replica. Da non perdere.
27 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Grigory Sokolov
per la Società dei
Concerti
È dal 29 maggio del 2019 che
il pianista russo Grigory Sokolov non veniva a
Milano. L'assenza dalle sale da concerto nei due
anni successivi, motivata dall'evidente
situazione
pandemica
di questi anni, è finalmente stata interrotta
dall'imperdibile serata tenuta ieri sera in
Conservatorio, ancora per la Fondazione La
Società dei Concerti. Come sempre tra i
pianisti più attesi, Sokolov rimane tra i pochi
interpreti che riempiono le sale da concerto
anche in questo momento di non conclusa
emergenza sanitaria. L'impaginato classico, di
straordinario interesse, prevedeva Beethoven con
le 15 Variazioni e Fuga op.35 (1802),
Brahms con i Tre intermezzi op.117 (1892)
e, dopo l'intervallo Schumann con la
Kreisleriana op.16 (1838) . Tre importanti
lavori restituiti in modo personale dal grande
pianista russo, come è sua consuetudine. L'
Op.35, nota per avere in sé
il celebre tema presente nella Sinfonia n.3
"Eroica", ha trovato un Sokolov cesellatore del
suono. Un'interpretazione chiara, trasparente,
molto analitica e dilatata, che stupisce per
l'equilibrio complessivo perfetto nell'andamento
volutamente riflessivo, che evita contrasti
marcati negli andamenti tra alcune variazioni.
Il
taglio scelto, luminoso e spesso incisivo,
rendono unica la sua interpretazione. Di
altrettanta personalizzazione i Tre
Intermezzi op.117, definiti da colori
sfumati ed ombreggiati, ben delineati nei
particolari per una definizione introspettiva di
rilevante valenza estetica. La celebre
Kreisleriana di Robert Schumann, nelle sue
intense otto parti, ha ancora trovato la
sicurezza precisa e calibrata, nelle mani del
grande pianista. Personali le timbriche, come
personale la gestualità di Sokolov per una
restituzione ancora di altissima qualità, dove
la riflessione entra con prepotenza nel
carattere improvvisatorio del brano,
stravolgendo esperienze cui siamo abituati e
facendoci scoprire particolari che in altre
esecuzioni, pur valide, sfuggono. Il classico
concerto nel concerto, con numerosi bis sono
cosa oramai consolidata. Ancora una volta sono
sei quelli concessi con generosità da
Sokolov, alcuni brevi ed altri corposi. Il primo
con Brahms e la Ballata op.118 n.3 , due
mirabili Rachmaninov con i Preludi dall'Op.23
il n.9 e il n.10 , quindi due
Chopin, entrambi straordinari, con la Mazurca
in la minore op.68 n.2 di straordinaria
limpidezza e il Preludio n.21 di potenza
scultorea. Per finire, tra interminabili
applausi, con Scriabin e il suo Preludio
op.11 n.4. Pubblico entusiasta per un
grandissimo del pianoforte.
26 maggio 2022 Cesare Guzzardella
Il gruppo cameristico
Achrome ensemble
al Museo del Novecento
La musica contemporanea ha
trovato oggi espressione nel pomeriggio musicale
organizzato al Museo del Novecento milanese. In
Sala Fontana abbiamo avuto l'occasione di
ascoltare
musiche
di Vittorio Fellegara ( 1927-2011) ad opera del
Achrome ensemble, gruppo cameristico
diretto da Marcello Parolini. Questa formazione
è risultata anche vincitrice del Premio
Vittorio Fellegara, premio biennale
culturale istituito dal 2013 e consegnato oggi
dalla moglie del grande compositore e didatta
milanese, la pianista Tiziana Moneta Fellegara.
Cinque i brani proposti dall'Ensemble, in
differenti formazioni, per lavori scritti dal
compositore tra il 1980 e il 1994.
Wintermusic
per
violino, violoncello e pianoforte,
Herbstmusik per quartetto d'archi, Nuit
d'été per pianoforte e quartetto d'archi,
Wiegenlied per clarinetto e pianoforte e il
conclusivo
Berceuse per flauto e pianoforte. Le ottime
interpretazioni espresse dal gruppo,
specializzato nella musica del Secondo Novecento
e contemporanea, hanno rivelato le qualità di
Fellegara. Era un musicista colto, in
controtendenza rispetto a molto compositori di
quel periodo, lagato alla tonalità, espressa
però in modo
evoluto
e con un linguaggio molto personale, innovativo,
raffinato e riconoscibile. Tutti bravi gli
strumentisti ad arco nei nomi di Mariani,
Rigamonti e in aggiunta alla formazione
consueta, Negri e Malandrin, il pianista
Gabriele Rota, il clarinettista Stefano Merighi
e la flautista Antonella Bini. Martedì prossimo,
nel medesimo luogo si terrà un concerto dedicato
a Sylvano Bussotti.
24 maggio 2022 Cesare Guzzardella
La
chitarra di
MANUEL BARRUECO alle
SERATE MUSICALI
Non di frequente si ascolta
la chitarra in concerto e quando ciò accade si
rimane stupiti della completezza melodico-
armonica di questo strumento a sei corde che
abbisogna di un ascolto adeguato; dove
l'attenzione dell'ascoltatore deve andare
incontro ai volumi contenuti della cassa
armonica per comprenderne la ricchezza e la
raffinatezza timbrica. Manuel Barrueco,
chitarrista
cubano, è tra i più noti virtuosi di questo
strumento e da anni è ospite di Serate
Musicali. Nel concerto di ieri sera ha dato
sfoggio delle sue eccellenti qualità
interpretative con brani tipici per questo
strumento. Alcuni di essi composti appositamente
per lo strumento a sei corde, altri in
trascrizione da originali strumenti a tastiera,
quali clavicembalo, organo o pianoforte. I primi
due brani del corposo impaginato, sono un
esempio di quest'ultimo caso. L'Aria con
Variazione detta “La Frescobalda” di
Girolamo Frescobaldi (1583-1643),
originariamente per strumenti a tastiera, ha
trovato un'eccellente trascrizione per la
chitarra ed è entrata prepotentemente nel
repertorio chitarristico per la sua sorprendente
resa qualitativa.
Anche
nel caso di Domenico Scarlatti (1685-1757), le
sue Sonate ( ne ha composte circa 550),
originariamente per clavicembalo e poi per
pianoforte, hanno notevoli trascrizioni
chitarristiche che assolutamente non sminuiscono
la geniale portata espressiva. Barrueco, con
perfezione tecnica, grande espressività,
definita da raffinatezza coloristica, ha dato
una lezione interpretativa di queste
straordinarie pagine introduttive, eseguendo,
dopo le bellissime variazioni di Frescobaldi, le
Sonate K392-32-380-208-209
di Scarlatti. I brani successivi hanno
rivelato un approccio più propriamente
chitarristico. Erano dello spagnolo Dionisio
Aguado ( 1784-1849), del messicano Manuel Maria
Ponce ( 1882-1948), del cubano Ignacio Servantes
(1847-1905) e dello spagnolo Joaquin Malats (
1872-1912). Le raffinatezze coloristiche di
Barrueco si sono disvelate in tutti i lavori,
dal notevole Fandango Varié op.16 di
Aguado, alla deliziosa Sonatina Meridional in
re maggiore di Ponce, dalle cinque Danze
cubane di Cervantes, ai raffinatissimi brani
di Malats, ovvero la cubana Morena, la
Serenata Ãndaluza e la Serenata Èspañola.
In queste ultime Barrueco ha dato ancor più
sfoggio di eleganza sopraffina nel delineare
timbriche sfumate, dettagliate e ricche di
elementi virtuosistici sapientemente dosati.
Applausi fragorosi al termine, in una Sala Verdi
con molti appassionati chitarristi. Due i bis
generosamente concessi: un noto brano di De
Falla, la Danza del la molinera, dal
balletto El sombreros de tres picos, e
una raffinata trascrizione della ancor più
celebre beethoveniana Per Elisa.
Splendido concerto!
24 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Teatro alla Scala al completo
per l'ultima replica di Un ballo in maschera
Anche all'ultima replica, la
settima rappresentazione di Un ballo in
maschera di Verdi, il Teatro alla Scala al
completo ha trovato un pubblico entusiasta
dell'ottimo lavoro del registra,
scenografo
e costumista Marco Arturo Marelli. La
messinscena, tradizionale ma con un utilizzo
completo ed intelligente del grande palco
scaligero, ha permesso un coinvolgimento
appassionato, movimentato e funzionale alla
drammaturgia, del cast vocale, del coro e delle
comparse presenti. Valide anche le illuminazione
di Marco Filibek. La dinamicità delle scene, con
quelle eccellenti quinte mobili che
trasformavano, di volta in volta, la scena in
modo vario e particolarmente volumetrico, hanno
permesso un ottimo inserimento dei protagonisti
nei tre atti. Il melodramma, tra i più
rappresentati di Verdi, composto su libretto di
Antonio Somma, ebbe all'epoca problemi di
censura che comportarono continue modifiche sino
alla prima messinscena del Teatro Apollo di Roma
nel 1859.
All'ultima
recita, quella da me vista, la direzione di
Giampaolo Bisanti, che si era alternato sul
podio con Nicola Luisotti ( entrambi in
sostituzione di Chailly indisposto), ci è
apparsa di spessore, ricca di energia e duttile
in un lavoro musicale tra i più complessi ed
interessanti di Giuseppe Verdi. Il cast vocale,
di ottima rilevanza complessiva, ha trovato le
voci di maggior pregio - ed anche le più
applaudite- in Sondra Radvanovsky, un' Amelia
ottima anche attorialmente, e con alto livello
vocale nei frangenti di maggior volumetria; in
Ludovic Tézier, un Renato dalla voce
robusta, penetrante in ogni registro, di
indubbia espressività e con presenza scenica
sicura e risolutiva. Ottimo il Riccardo
di Francesco Meli, voce timbricamente bella,
luminosa,
omogenea nella sua evoluzione. L'Oscar di
Federica Guida ha visto una voce di qualità in
un contesto attoriale perfetto per un ruolo che
rendeva più morbida la drammatica vicenda. Di
forza espressiva e di valida presenza scenica
Okka Von Der Damerau in Ulrica e
bravissimi tutti gli atri. Come sempre al top
il Coro della Scala curato da Alberto Malazzi.
Ricordiamo la prossima opera in calendario con
La Gioconda di Amilcare Ponchielli con
sei rappresentazioni previste per il
7-11-14-18-21 e 25 giugno. Da non perdere!!!
( Prime due foto Foto di M.Brescia e
R.Amisano dall'Archivio
del Teatro alla Scala)
23 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Andrea Lucchesini al 31°
Festival Milano Musica
per Berio, Bartòk, Vacchi e Liszt
Il 31°Festival Milano
Musica ha portato in Sala Verdi, al
Conservatorio milanese, il pianista toscano
Andrea Lucchesini per un programma variegato,
naturalmente avendo come componente centrale la
musica contemporanea o del Novecento, ma con
anche un brano classico importantissimo quale la
Sonata in Si minore di Franz Liszt,
eseguita dopo
l'intervallo.
Luciano Berio (1925-2003), grande compositore
del Secondo Novecento, compose poca musica per
solo pianoforte. I brani più noti sono i Six
Encores, sei brevi miniature pianistiche
eseguite anche singolarmente come bis e composte
in un lungo arco di tempo, dal 1965 sino al
1990. Lucchesini, storico interprete di questo
importante lavoro, ha colto in modo adeguato,
con timbriche ricche di colori e profondità
interpretativa ,
i sei brevissimi momenti musicali che
ripercorrono, con particolare sintesi, i modi
compositivi della seconda parte del Novecento.
La maggiormente
nota Wasserklavier, del 1965, rappresenta
il momento melodico e tonale in un contesto
diversificato con frangenti atonali o frizzanti
come l'ultimo
Feurklavier. Il brano successivo, la
Sonata per pianoforte di Béla Bartòk è del
1926 ed è l'unica nel suo genere composta dal
grandissimo ungherese. Accostabile per stile
compositivo ai suoi concerti pianistici, si
evolve nei classici tre movimenti e cioè
Allegro moderato, Sostenuto e pesante
e Allegro molto. L'eccellente
interpretazione di Lucchesini ha evidenziato in
modo
chiaro
gli elementi di contrasto del difficile brano
imperniato, come spesso accade in Bartòk, in
accentuazioni ritmiche, spesso irregolari e
marcate, non mancando comunque di riferimenti
melodici riferiti al folclore della sua terra.
Il
recente brano del
bolognese Fabio Vacchi (1949)- in prima
esecuzione assoluta-
ha concluso con successo
la prima parte del concerto.
La
Sonata n.2 per pianoforte del noto
compositore è stata terminata nel dicembre 2020
e concepita nei momenti più cupi della pandemia.
Articolata in due parti, dalla durata
complessiva di quasi quattordici minuti, è un
lavoro interessante per l'uso particolare del
pianoforte inteso come strumento diffusivo di
timbriche ampie, ricche di armonie e di discreta
estroversione. Inizia con accordi compatti e
sostenuti che poi si riverberano in parti più
ampie della tastiera, per un'esternazione di
progressiva accentuazione coloristica giocata su
rese dinamiche sottili e spesso di pregnante
esternazione. La presenza in lontananza di una
melodia popolare segmentata da un taglio
armonico netto e preciso, rende il brano
ancorato ad un riferimento tonale, anche se
l'elemento coloristico, assimilabile a certe
atmosfere impressionistiche, è riconoscibile
come elemento centrale di un lavoro che sembra
voler uscire dalla logica pianistica per una più
ampia e corale rappresentazione musicale.
Eccellente Lucchesini nell'articolare in modo
netto e preciso l'articolata composizione di
Fabio Vacchi.Il
pianista
era visibilmente soddisfatto al
termine
dell'esecuzione. Applausi fragorosi dal pubblico
presente in Sala Verdi anche a Fabio Vacchi,
salito sul palcoscenico e molto contento
dell'interpretazione. La celebre Sonata in Si
minore di Liszt ha concluso il programma
ufficiale. Eccellente la resa di Lucchesini,
giocata su un'esecuzione ricca di contrasti, dai
momenti più marcati e voluminosi, ad altri di
più introversa presenza melodica, per delineare
il motivo conduttore che ha reso celebre questo
capolavoro. Un'interpretazione robusta, ricca di
energia e di equilibrio complessivo, pur nella
complessa restituzione. Due i bis concessi da
Lucchesini: prima un'interessantissima e rara
Variazione sul tema di Diabelli di Franz
Schubert sul noto tema reso celebre da
Beethoven, eseguita con illuminata espressività;
poi un eccellente Domenico Scarlatti con una
Sonata tra le meno celebri, ma di grande
valore musicale. Ancora applausi fragorosi.
Concerto splendido!
21 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Ingrid Fliter all'Università
Cattolica per
"Il Pianoforte in Ateneo"
Il progetto "Il Pianoforte
in Ateneo" ha visto ieri sera nell' Aula
Magna dell'Università Cattolica milanese un
concerto con la pianista argentina Ingrid
Fliter. il Maestro Davide
Cabassi,
docente presso il Conservatorio di Milano, e il
Prof. Enrico Reggiani, direttore dello Studium
Musicale di Ateneo, sono
gli artefici di questa felice iniziativa che
unisce il mondo culturale iniversitario ad una
delle più importanti componenti della cultura,
quella musicale, per un'unione di linguaggi
utili allo sviluppo delle conoscenze. Tema della
serata era "Verso la luce: forme del pianismo
tonale". L'argomento introdotto con
limpidezza dal prof. Reggiani ha trovato una
corretta delucidazione del concetto di
"tonalità", utilizzato in modo più rigoroso dai
primi decenni del '700, fino ai nostri giorni.
La luce, cui Reggiani si riferisce, che nasce
dai contrasti dei toni,
è
quella emersa nelle bellissime composizioni
interpretate ottimamente dalla Fliter. Haydn,
Scarlatti e Schumann, i compositori scelti dalla
nota interprete, ben si addicono a rappresentare
la luminosità del mondo tonale. Eccellente la
Sonata in mi minore Hob.XVI N.34
introduttiva di J.Haydn, con una Fliter di
eccelsa fluidità nel rendere bene i geometrici
contrasti dei tre movimenti. Ottima anche la
Sonata in do diesis minore K247 di Domenico
Scarlatti, brano tra i più sviluppati del grande
musicista napoletano. La Fliter ha voluto
eseguirla quasi come introduzione ai celebri
Studi Sinfonici op.13 di Robert
Schumann,
una composizione tra le più interessanti del
grande romantico tedesco. Una serie di momenti
musicali ricchi di contrasti, spesso anche di
grande voluminosità, con caratteristiche appunto
"sinfoniche" per il complesso armonico
espresso. Una luce a volte tenue, a volte
intensa quella emersa nell'ottima
interpretazione della Fliter. Ingrid ha voluto
terminare il complesso lavoro inserendo alla
fine uno degli Studi più parcellizzati in
termine di quantità di note, da lei centellinate
con intensa profondità espressiva. Applausi
sostenuti dal numeroso pubblico intervenuto e
tre ottimi bis concessi dall'interprete con uno
Schumann (movimento centrale della Sonata n.2) e
due Chopin ( un Valzer e lo Studio "Minute")
eseguiti ottimamente.
20 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Serata memorabile per
Juan Diego Flórez al
Teatro alla Scala con undici bis
Il tenore Juan Diego Flórez è
stato accolto da un Teatro alla Scala al
completo per il suo recital dedicato -
nel programma ufficiale- quasi esclusivamente ad
autori italiani, ad eccezione di Christoph
Willibald Gluck con O del mio dolce ardor
da Paride ed Elena, brano introduttivo. Il
pianoforte di Vincenzo Scalera- da decenni
affermato come accompagnatore
di grandissimi interpreti quali Bergonzi,
Caballé, Carreras, Gencer, Scotto, Valentini
Terrani,
Ricciarelli,
Kabaivanska, e molti altri - ha trovato ottimi
dosaggi coloristici per evidenziare le qualità
del grande quarantanovenne tenore peruviano. Ma
non solo il predisposto impaginato ha reso ampio
ed importante questo recital. Il gran
finale, con oltre cinquanta minuti di bis
strappati da un pubblico entusiasta che aveva
voglia del bel canto, dopo un lungo periodo di
tregua pandemica, sono stati concessi con
immensa generosità latina dal grande interprete.
La serata, dopo il primo Gluck, procedeva con
Caccini, Carissimi, Bellini, Rossini e, dopo
l'intervallo con Tosti, Donizetti, Verdi e
Puccini. Tra i numerosi brani, due brevi pezzi
pianistici di Rossini con la rara Danse
sibérienne n.12, e di Verdi con la
Romanza senza parole in fa maggiore,
facevano per pochi minuti riposare la voce di
Flórez, e rivelavano ancor più le qualità di un
pianista doc quale Vincenzo Scalera. Tra
i brani dell'impaginato per canto e pianoforte,
ben quattordici, citiamo almeno La Ricordanza
di Bellini- riconosciuta come aria più
celebre nei Puritani-
La
speranza più soave da Semiramide di Rossini,
i celebri Sogno e Aprile dai tre
brani eseguiti di Francesco Paolo Tosti, quindi
Brezza del suol natio... Dal più remoto
esilio da I due Foscari di Giuseppe
Verdi e quello conclusivo con Torna ai felici
dí da Le Villi di Giacomo Puccini. Una
carellata già numerosa che ha rivelato la
splendida tenuta vocale del grandissimo tenore
per una emissione dalle tenui timbriche di
velata coloratura e all'occorenza di grande
forza espressiva, con ardite volumetrie
applauditussime al termine di ogni brano.
Applausi fragorosi, interminabili a conclusione
del programma ufficiale e quindi inizio del
"concerto nel concerto". Undici bis
aspettavano Flórez che entrava prima nel mondo
più "popolare", tra napoletano e latino,
impugnando la chitarra e accompagnandosi in
quattro brani quali
Core
'ngrato di Salvatore Cardillo, Piel
Canela (Me importas tu, y tu, y tu) ,
poi Guantanamera intonata anche
coralmente dal pubblico e Cucurrucucú Paloma
di Tomás Méndez, Il rientro in scena di
Scalera portava ancora al celebre Ah! Mes
amis dal donizettiano La Fille du Régiment,
Pourquoi me réveiller dal Werther di
Massenet, poi ancora il brano latino Jurame,
quindi Che gelida manina da Bohème,
il verdiano La donna è mobile da
Rigoletto , e poi, cavallo di battaglia di Del
Monaco e anche di
Claudio Villa,
Granada e.... ancora Puccini con il
classico Nessun Dorma dalla Turandot.
Applausi interminabili. Memorabile.
19 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Prossimamente per "Musica a
Villa Durio" di Varallo Sesia Valentina
Ciardelli e Massimo Giuseppe Bianchi in concerto
Domenica 22 Maggio nel Salone
dell’Incoraggiamento di Palazzo dei Musei alle
ore 17.30 si terrà
un
concerto per duo di contrabbasso e pianoforte .
Accanto a Valentina Ciardelli, compositrice
oltre che contrabassista ci sarà Massimo
Giuseppe Bianchi, pianoforte, al quale è
dedicata un’opera scritta dalla giovane artista.
Dice Bianchi "Ho incontrato Valentina Ciardelli
alcuni anni fa, ne ho apprezzato subito
l’energia e sensibilità artistica. Speravo di
poterla proporre al pubblico di Musica a Villa
Durio nel 2020, dopo due anni riusciamo
finalmente a concretizzare il progetto.
Suoneremo un
repertorio
per contrabbasso e pianoforte che spazierà dal
Don Giovanni di Mozart, a Gershwin, passando per
West Side Story di Bernstein per concludere con
Frank Zappa.”I biglietti dei concerti sono
acquistabili da subito sul sito Eventbrite al
link
https://bit.ly/MVD42 oppure, come di
consueto, prima dei concerti al prezzo di 10
euro, mentre i bambini e i ragazzi fino a 12
anni entrano gratis.Sarà possibile prenotare
contattando il numero di Musica a Villa Durio,
388 255 42 10, anche con messaggio whatsapp. Per
tutte le informazioni è a disposizione l’email:
info@musicavilladurio. (Foto dall'Ufficio Stampa
di Varallo Valsesia)
18 maggio dalla redazione
Pedro Amaral e l'Orchestra
Sinfonica Nazionale
della Rai per il Festival Milano Musica
Il 31° Festival Milano
Musica è approdato ieri sera al Teatro alla
Scala per un importante concerto sinfonico.
L'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai era
diretta da Pedro Amaral in brani di Sofija
Gubajdulina (1931), Arvo Pärt (1935) e Dmitrij
Šostakoviç
(1906-1975). La presenza del virtuoso violinista
Vadim Repin ha impegnato i primi due lavori. Il
primo,
Dialog:
Ich und Du - Concerto per violino e orchestra
n.3, è stato realizzato dalla compositrice
russa nel 2018. Un brano, in prima esecuzione
italiana, che rivela il segno forte della
Gubajdulina nei circa venti minuti di una musica
giocata sul rapporto tra il violino solista e
l'orchestra, con ruolo importante nella sezione
percussiva. Un dialogo coinvolgente, dove le
abilità espressive di Vadim Repin sono risultate
evidenti, unitamente alle pregnanti timbriche
dell'Orchestra, una compagine di altissimo
livello, specializzata nel repertorio del
Novecento e contemporaneo. Di alta qualità la
direzione del portoghese Amaral, che ha saputo
dosare con chiarezza espressiva i colori
contrastati della ricca tavolozza orchestrale.
Anche il brano dell'estone Arvo Pärt,
La Sindone,
per violino e orchestra,
ha trovato una resa eccellente sia nel violino
di Rapin che nelle sezioni orchestrali. È un
lavoro del 2006 rivisitato più volte, sino alla
versione ascoltata del 2022 in prima esecuzione
italiana. I caratteri tipici del compositore,
molto interiorizzati e di profonda riflessione
religiosa, emergono nel breve ma sostanzioso
brano,
soprattutto nella sua parte centrale, pur
alternandosi a situazione di voluminosa
estroversione per una resa complessiva ricca di
carica espressiva. Dopo l'intervallo, la
Sinfonia n.15 in la maggiore op.141, ultima
del genere di Dmitrij
Šostakoviç,
ci ha portato in mondo musicale ricco di
caratteri differenziati. Composta nel 1971, ed
eseguita l'anno successivo con la direzione di
Maksim, figlio del compositore, la Sinfonia
trova ispirati e diversificati riferimenti, sia
con chiare citazioni da Rossini o Wagner, che da
modalità stilistiche differenti, con riferimenti
settecenteschi o di certo neoclassicismo
stravinskiano, sino all'impronta dodecafonica.
Una sorta d'interessante collage che tende a
svanire nel nulla terminando in uno stato di
sensazione d'impenetrabilità. Splendida
l'interpretazione di Amaral, per una resa
orchestrale di alto livello. Fragorosi applausi
dal numeroso pubblico intervenuto.
17 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
L'Orchestra Sinfonica di
Milano diretta da
Stanislav Kochanovsky in collaborazione con
Milano Musica
Un concerto particolarmente
interessante quello dell'Orchestra Sinfonica di
Milano che segna anche la collaborazione con la
rassegna di musica contemporanea di Milano
Musica da poco iniziata. Tre lavori, due del
polacco Witold Lutoslawski (1913-1994) e uno
dell'ungherese Bela Bartók (1881-1945), hanno
segnato il pomeriggio domenicale di ieri nella
replica da me
ascoltata.
Un direttore di indubbia valenza quale il russo
- di Pietroburgo- Stanislav Kochanovsky ha
proposto prima Musica funebre per orchestra
d'archi (1958) e Chantefleurs et
Chantefables (1989-90) del polacco e, dopo
il breve intervallo, il Divertimento per
orchestra d'archi (1939) dell'ungherese.
Sono lavori accomunati da evidenti capacità, per
entrambi i compositori, di grande
orchestrazione. La Musica funebre di Lutoslawski
è dedicata a Bartòk, a dimostrazione di quanto
il polacca sia debitore, specie nelle modalità
compositive, all'ungherese. Le atmosfere cupe e
incisive del breve brano in quattro parti
segnano un primo personale stile del grande
compositore.
Il secondo brano, dal carattere completamente
diverso, con situazioni anche spensierate, si
affida ad una voce di soprano, quella della
bravissima Lucja Szablewska, per nove brevi
poesie di Robert Desnos con temi legati a fiori
ed animali. Il lavoro scritto negli ultimi anni
di vita dell'autore, è un gioiello di eleganza
per un eccellente resa del soprano polacco in
felice consonanza con i colori orchestrali. La
conclusiva e più nota pagina di Bartòk, nella
sua tipica felice ed efficace scrittura per
archi, rivela ancora le qualità del russo
Kochanovsky,
direttore dal gesto elegante, sicuro e profondo,
che ha ben messo in rilievo le eccellenti
timbriche dell'Orchestra Sinfonica di Milano,
ottima in tutti i lavori eseguiti. Applausi
convinti dal pubblico presente in Auditorium.
Prossimo appuntamento per l'Orchestra Sinfonica
di Milano previsto per il 19 il 20 e il 22
maggio con il pianista Volodin e il celebre
Rach3. Per il Festival Milano Musica e la sua
Stagione di musica contemporanea importante è il
concerto di questa sera alla Scala con
l'Orchestra della Rai e il violinista Repin. Da
non perdere entrambi i concerti.
16 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Francesco Libetta
rivela Paisiello agli Amici del Loggione
Un valido incontro con il
pianista Francesco Libetta, svoltosi agli Amici
del Loggione del
Teatro
alla Scala, ha evidenziato la figura del
compositore Giovanni Paisiello ( Taranto 1740-
Napoli 1816), uno dei migliori rappresentanti
della scuola napoletana. La lezione-concerto di
Libetta, organizzata da Mario Marcarini, è stata
l'occasione per la presentazione di un suo
recente Cd. Libetta ha giustamente messo in
risalto il lato più nascosto di Paisiello,
quello legato alla produzione pianistica. Il
pianista pugliese ha fatto esempi musicali
interpretando
alcuni
brevi brani del suo conterraneo, alla luce di
una semplicità di scrittura che andrebbe
certamente riscoperta nella sua autenticità. I
manoscritti da lui analizzati, autentiche
rarità, hanno rivelato anche il Paisiello
anticipatore del genere del Notturno, genere
reso poi celebre da Chopin. Applausi per
l'interprete e il classico brindisi finale con
ottimo vino bianco e ricco buffet.
15 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
PROSSIMAMENTE: GRAN FINALE AL
CIVICO: IL VIOTTI FESTIVAL CHIUDE CON PAGANINI!
Nella realtà storica,
all'inizio dell'800 Giovan Battista Viotti
lasciò idealmente il testimone all'astro
nascente Niccolò Paganini. È dunque naturale che
sabato 21 maggio (ore 21)
– con
un'interessante anticipazione per le scuole
venerdì 20 maggio alle ore 10
– il XXIV
Viotti
Festival
chiuda il cartellone principale al Teatro Civico
di Vercelli con uno spettacolo teatral-musicale
dedicato proprio a Paganini. Ideato, diretto e
interpretato (insieme a molte ottime attrici) da
Giovanni Mongiano, Niccolò, quanti capricci! è
il nuovo capitolo della fortunata collaborazione
tra la Camerata Ducale (presente in scena con
Guido Rimonda al violino e un ensemble di archi)
e il TeatroLieve di Fontanetto Po, incontro
artistico che si rivela ogni anno quanto mai
felice. Il risultato questa volta è una serata
intensa e divertente, nella quale il vulcanico
Mongiano prende per mano lo spettatore e lo
accompagna alla scoperta (semiseria) della vita
avventurosa e non certo irreprensibile del
violinista “maledetto”
per eccellenza. Quello che, per
intendersi, oggi sarebbe sicuramente una
rockstar. Malato da tempo, Niccolò Paganini, il
più grande violinista di tutti i tempi,
circondato da illustri medici e loschi
ciarlatani, muore a Nizza il 27 maggio 1840 a
seguito di un accidentale ma violento colpo di
tosse. Qui comincia lo spettacolo, perché,
si
sa, a teatro i morti parlano. Niccolò, già
imbalsamato e posto in una teca trasparente,
scopre che gli si vuol negare la sepoltura per
la sua condotta immorale. Irritato dalla
seccante situazione, comincia a raccontare la
sua vita al figlio Achille, rammentando i suoi
strabilianti successi e la genesi di quell’abilità
ineguagliabile che lasciava sbalorditi gli
spettatori. Ma ci sono guai in vista: tra la
folla di ammiratori compare anche la madre di
Achille, Antonia Bianchi, che rivanga la loro
burrascosa relazione. E ancora, per una perfida
coincidenza, ecco intorno a Niccolò le sue
amanti più celebri, da Elisa Bonaparte a
Carlotta Watson, dalla baronessa Hélène von
Dobeneck ad Angiolina Cavanna, tutte sedotte e
abbandonate. E no, non sarà facile difendersi.
(Foto dall'ufficio stampa di Vercelli)
15 maggio dalla redazione
Maxim Francesco Zoni,
un giovane pianista agli Amici del Loggione
del Teatro alla Scala
Ha quindici anni Maxim
Francesco Zoni, talentuoso pianista vincitore
del Concorso per giovani interpreti di Chopin
tenuto recentemente in Svizzera con una giuria
presieduta
nientemeno
che da Martha Argerich. Nel pomeriggio di oggi,
agli Amici del Loggione del Teatro alla Scala
di via Silvio Pellici, l'estroversa
presentazione di Ginevra Costantini Negri e poi
naturalmente di Gino Vezzini, ci ha permesso di
conoscere le doti di Maxim, prima nel suo amato
Chopin e poi in Mozart. Le Mazurche Op.17,
il Notturno n.1 op.27, la Ballata n.1
op.23 e il bis di fine concerto con la
celebre Polonaise op.53 "Eroica", hanno
rivelato una predisposizione naturale al grande
polacco dal giovane interprete. Timbriche
chiare, trasparenza e sicurezza
tecnica
hanno portato a valide interpretazioni, con
maggiori esternazioni qualitative nella
Mazurka op.17 n.4 -resa celebre dal grande
Horowitz- , nella Ballata n. 1 in sol minore
e nella Polacca op.53, certamente di
grande effetto per espressività e quadratura
costruttiva. Valida la resa espressiva della
Sonata n.13 K 333 eseguita dopo il breve
intervallo. Maxim è un pianista con alte
potenzialità che va seguito nel corso del sua
evoluzione d'interprete. Bravissimo! Applausi
sostenuti dal numeroso pubblico intervenuto.
14 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Presentata la Stagione
2022-2023 della
Fondazione La Società dei Concerti con il
"Concerto di Gala degli Artisti in residenza"
Serata particolarmente
riuscita quella di ieri sera in Sala Verdi al
Conservatorio milanese per il "Concerto di Gala
degli Artisti in residenza"
della Fondazione La Società dei Concerti.
Enrica Ciccarelli, Presidente e Direttore
artistico della nota società concertistica, ha
introdotto
la
serata evidenziando la nuova programmazione di
concerti previsti per la Stagione 2022-23. Sarà
il quarantesimo anno di musica dalla nascita
della Fondazione per opera di Antonio Mormone.
Dopo le sentite parole del consigliere artistico
Nazzareno Carusi, sono saliti sul palcoscenico
gli artisti in residenza per il concerto. Il
Trio Kaufman, Giulia Rimonda, Valerio Lisci e
Josef Mossali - era purtroppo assente il
flautista Cristian Lombardi indisposto- hanno
organizzato un impaginato diversificato e ricco
di ottima musica, con alcuni brani del compianto
musicista, pianista e direttore Ezio Bosso, cui
era dedicato il concerto.
Un
brillante Rondò all'ungherese di Haydn -
dal Trio in sol maggiore- ha introdotto
il concerto con Valentina, Chiara e Luca Kaufman
- rispettivamente pianista, violoncellista e
violinista- in perfetta sinergia per una
resa
ottimale in fluidità ed espressione. Una
bellissima trascrizione di Méditation dal
Thaïs di Massenet ha accolto la violinista
Giulia Rimonda e l'arpista Valerio Lisci per
un'interpretazione ancora ricca di sentimento.
Il primo omaggio a Ezio Bosso, a due anni dalla
scomparsa, ha visto di nuovo la Rimonda e Lisci
per il brano Bitter and Sweet, un lavoro
pacato e ricco di suggestioni coloristiche.
Ancora Giulia Rimonda, questa volta col pianista
Josef Mossali, ha concluso la prima parte della
serata con un espressivo Scherzo di
Joahnnes Brahms dalla celebre Sonata FAE.
Dopo il breve intervallo, ancora un omaggio ad
Ezio Bosso con Rain in Your black eyes
eseguito dal Trio Kaufman, affiatatissimi
strumentisti nell'esternazione minimalista di un
lavoro giocato su
poco
note, ma di grande intensità emotiva. Di grande
impatto coloristico e virtuosistico la Grande
fantasia sulla Lucia di Lammermoor che il
compositore E.Paris Alvars ha scritto per arpa.
Notevole la capacità di resa virtuosistica ed
espressiva dell'arpista Valerio Lisci con le sue
"magiche"
timbriche
che hanno definito le bellissime variazioni
delle celebri arie donizettiane. A conclusione
del programma ancora sul palcoscenico Josef
Mossali per la strepitosa Suite da concerto
dallo Schiaccianoci di
Čaikovskij, nella virtuosistica trascrizione di
M.Pletnëv: sette momenti
musicali di grande
efficacia pianistica restituiti con chiarezza e
brillantezza da questo eccellente giovane
interprete. Applausi fragorosi a tutti i
protagonisti saliti sul palcoscenico, ed anche
ad Enrica Ciccarelli, grande organizzatrice
musicale. Una splendida serata.
14 maggio 2022 Cesare Guzzardella
Alessandro Deljavan
diretto da Jacopo Brusa per Fauré e una prima di
un brano di Alessandra Ravera
Ottimo concerto quello di
ieri sera con l' Orchestra de I Pomeriggi
Musicali. La valida direzione di Jacopo
Brusa proponeva tre brani differenti per genere
e periodo di realizzazione.
Partendo
dal recentissimo Arcane, per orchestra di
fiati, prima esecuzione assoluta di un
lavoro di Alessandra Ravera, siamo andati a
ritroso nel tempo con la Ballata per
pianoforte e orchestra Op.19 di Gabriel
Fauré, sino alla celebre Sinfonia n.7 op.92
di L.v. Beethoven, eseguita dopo il breve
intervallo. Il brano cameristico della
compositrice romana Alessandra Ravera (1977),
allieva anche di Azio Corghi e
di Ivan Fedele, è di particolare
interesse per qualità espressiva. L'organico per
strumenti a fiati, sostenuti anche dalle
percussioni, si dipana per circa dodici minuti
di musica esprimendo suggestive ed efficaci
timbriche giocate sulle relazioni degli
strumenti a fiato, tra interventi individuali, a
piccole sezioni, e ampie coralità. La solida
impalcatura costruttiva e gli efficaci
interventi melodici dei bravissimi fiati de I
Pomeriggi, hanno
permesso armonizzazioni piacevoli al primo
ascolto, con timbriche dal sapore orientale e
di
evidente valida resa espressiva. Applausi del
numeroso pubblico anche alla compositrice salita
sul palcoscenico. La Ballata per pianoforte e
orchestra in fa diesis maggiore del francese
Fauré è una delizia alle orecchie più attente.
La leggerezza melodica del bravissimo
compositore è solo la parte superficiale di un
lavoro raffinato, giocato su armonizzazioni
splendide dal punto di vista costruttivo. Non si
poteva trovare meglio di Alessandro Deljavan ad
esprimere l'importantissimo ruolo pianistico.
Deljavan, affermato interprete internazionale,
ha reso in modo particolareggiato e profondo il
delicato gioco melodico, ricco di intrecci,
della Ballata. È stato ben coadiuvato dagli
orchestrali e
dall'attenta
direzione di Brusa. Splendida interpretazione.
Di eccellente qualità il bis concesso dal
solista con la preziosa Mazurca Op.17 n.2 in
mi minore di F. Chopin resa con grande
espressività. Dopo il raro Fauré, la celebre
Settima Sinfonia di Beethoven ha trovato una
direzione energica in Brusa per una valida
restituzione degli orchestrali de I Pomeriggi,
bravi in ogni sezione. Applausi sostenuti dal
numeroso pubblico intervenuto. Sabato alle ore
17.00 si replica. Da non perdere.
13 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Olga Kern diretta da
Roland Böer per la Società dei Concerti
Non capità spesso di
assistere ad una serata di grande qualità come
quella ascoltata ieri sera. Il concerto
organizzato dalla Fondazione La Società dei
Concerti aveva come protagonisti l'Orchestra
dell'Accademia del Teatro alla Scala, il
direttore Roland Boër e una pianista ben
conosciuta
dal pubblico della Società quale Olga Kern. Il
bellissimo impaginato prevedeva due capolavori
della letteratura concertistica e sinfonica
romantica rappresentati dal Concerto n.2 in
Do minore op.18 per pianoforte ed orchestra
di Sergej Rachmaninov e dalla Sinfonia n.2 in
re maggiore op 73 di Johannes Brahms. Se è
lecito esprimere un primo elogio, dobbiamo darlo
ai giovani orchestrali dell'accademia scaligera,
che diretti ottimamente da Böer, hanno eccelso
in entrambi i lavori
fornendo
una resa espressiva degna delle migliori
orchestre. Mettiamo poi su un piedistallo la
bravissima Olga Kern. L'ho ascoltata in
moltissimi concerti, e debbo dire che ieri sera
ha superato se stessa per qualità
interpretativa. Vero è che la Kern è sempre
stata un'eccellente interprete di Rachmaninov,
ma ieri il Rack 2, capolavoro del russo
composto tra il 1900 e il 1901, che unisce
chiare melodie note ad ogni pubblico a
virtuosismi di incredibile
difficoltà
tecnica, ha trovato una pianista eccelsa, che
con grinta e sicurezza assolute ha superato ogni
difficoltà con apparente semplicità, per una
resa eccellente. Ottima la sinergia con gli
orchestrali, bravi in ogni sezione. Tra i
calorosi applausi del numerosissimo pubblico
intervenuto in Sala Verdi- ricordiamo la non
sempre presenza di molti giovani- la Kern è
stata molto generosa a concedere tre
virtuosistici bis, dopo aver ricordato il popolo
ucraino nella speranza di una rapida fine della
guerra. Prima un noto brano di Mosorskij nella
trascrizione di Rachmaninov, Gopak ;
poi di Claude Debussy Feux d'artifice
reso con incredibile chiarezza virtuosistica e,
per ultimo, il classico Etincelle di
Moszkowsky reso celebre dal grande Vladimir
Horowitz. Dopo l'intervallo, la portentosa
Sinfonia n.2 che il grande amburghese
compose nel 1877, ha esaltato ancor più le
abilita dei giovani orchestrali, di rilievo in
tutte le sezione. Applausi fragorosi al termine
al bravissimo direttore Roland Böer e
all'Orchestra dell'Accademia scaligera. Grande
soddisfazione per tutti in una serata da non
dimenticare.
12 maggio 2022 Cesare Guzzardella
Alexander Gadjiev
alle Serate
Musicali del Conservatorio
Il pianista goriziano
Alexander Gadjiev è salito alla ribalta
internazionale con la recente importante seconda
posizione al prestigioso Concorso
Internazionale Chopin di Varsavia del 2021.
Ieri sera, nel bel concerto organizzato da
Serate Musicali in Conservatorio, ha dato
saggio delle sue qualità d'interprete del grande
polacco impaginando un programma romantico
che
dedicava a Chopin la prima parte del concerto.
La Polacca Fantasia in la bem.maggiore op.61
introduceva la serata ed evidenziava da subito
la cifra stilistica del giovane interprete: le
indubbie qualità tecniche e le timbriche sfumate
ben evidenziate ben si addicevano all'Op.61 di
Chopin, tra le polacche quella più visionaria e
suggestiva. Le Tre Mazurche op.56
continuavano il concerto in un unicum espressivo
in sintonia con il primo brano. La
personalizzazione interpretativa di Gadjiev,
certamente di ottima fattura, è lontana da
quelle dei grandi interpreti storicizzati,
quella dei Cortot, dei Rubinstein, di Lipatti o
dei più vicini Pollini e Zimerman,- solo per
citarne alcuni tra i massimi - e vuole cercare
nuovi orizzonti, cosa non facile da apprezzare
nell'immediato per chi ha orecchie abituate a
riferimenti entrati nella storia interpretativa.
Certamente
Gadjiev
ha espresso frangenti con ottimo stile e valida
creatività musicale. Anche nella celebre
Sonata n.2 in si bem.minore op.35, Gadjiev
ha articolato momenti particolarmente rilevanti
pur non facendo emergere, al primo ascolto, una
chiara unità interpretativà. Dopo il breve
intervallo, un altro grande romantico come
Schumann e la sua Fantasia in do maggiore
op.17 ha trovato una complessiva notevole
resa espressiva. Dalle prime efficaci note del
celebre lavoro è continuata un'esternazione di
ottimo livello. Molto applaudito dal pubblico
intervenuto in Sala Verdi, con molti giovani
presenti, Gadjiev ha concesso poi tre bis
certamente di qualità: il Preludio in do
diesis minore op.45 di Chopin, un eccellente
Debussy con lo Studio n.11 per arpeggi e
l'ottimo Studio op.10 n.8 in Fa maggiore
ancora del polacco. Fragorosi e meritati
applausi. Un pianista da riascoltare con
attenzione.
10 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
L'Orchestra Sinfonica
di Milano
diretta da Hannu Lintu per Bartók e Schumann
"La Verdi", con la nuova
denominazione Orchestra Sinfonica di Milano,
ha visto in questi giorni la direzione di Hannu
Lintu per due brani sinfonici importanti quali
il Concerto per
pianoforte
e orchestra n.3 Sz. 119 di Belá Bartók e la
Sinfonia n.3 in mi bem. maggiore op.97
"Renana"
di Robert Schumann. Il primo lavoro del
compositore ungherese, ascoltato alla replica
domenicale, è un brano maturo composto da Bartók
negli Stati Uniti nel 1945 ed eseguito per la
prima volta nel '46 a Philadelphia per la
direzione di Eugene Ormandy, purtroppo mai
ascoltato dal grande musicista, deceduto poco
dopo la quasi completa realizzazione ( mancavano
solo 13 battute completate
poi dagli appunti da Tibir Serly) . Un
ottimo pianista quale il milanese Luca Buratto
ha sostenuto la parte solistica avendo
chiarissimamente in testa la visione completa
del difficile brano, caratterizzato da grande
virtuosismo ma anche da momenti di pacato
lirismo come nell'intenso Adagio religioso
centrale. L'ottima direzione del finlandese
Hannu Lintu, con resa chiara
in
tutte le sezioni orchestrali, ha sostenuto con
efficacia l'eccellente interpretazione di
Buratto, in un lavoro caratterizzato da una
scrittura tonale ricca di contrasti, dove
soprattutto l'elemento ritmico costruisce
fraseggi articolati, marcati moto bene dal
solista, con perfezione tecnica e discorsività
profonda. Applausi calorosi ai protagonisti e
ottimo il bis solistico con l'amato Schumann
ed il primo dei
Fantasiestucke op.12. La seconda parte del
concerto ci ha portato indietro di quasi cento
anni, al romanticismo di Robert Schumann e la
sua Quarta Sinfonia "Renana" op.97. Si
tratta di un lavoro maturo del compositore
tedesco composto nel 1850 che si sviluppa in ben
cinque movimenti, una rarità per il genere
trattato. La direzione dirompente di Lintu ha
reso molto bene i caratteri schumanniani,
attraverso una restituzione fluida e di ottima
qualità espressiva da parte della Sinfonica di
Milano. Applausi calorosi al termine ai
protagonisti.
9 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
LA VIOLINISTA
GIULIA RIMONDA
E IL MAESTRO EMMANUEL TJEKNAVORIAN PROTAGONISTI
A VERCELLI
Ieri sera, sabato 7 maggio la
XXIV stagione del Viotti Festival, ormai vicina
alla conclusione, ha proposto, nella sala del
Teatro civico di Vercelli, un concerto che
vedeva in programma due pagine tra le più note
dell’intera storia della musica: il Concerto per
violino e orchestra in mi minore op.64 di F.
Mendelssohn-Bartholdy e la sinfonia n.3 in mi
bem. maggiore op.55, universalmente celebre come
l’”Eroica” di L. van Beethoven. A eseguire
questi due immortali capolavori la ventenne
violinista Giulia Rimonda e il Maestro Emmanuel
Tjeknavorian, che sempre più spesso lascia
l’archetto del violino per la bacchetta di
direttore, in questa occasione alla guida della
Camerata ducale. Avevamo già avuto modo di
apprezzare Giulia Rimonda in
un
recente recital cameristico di elementi della
Camerata ducale junior, in cui ci aveva colpito
la già matura autorevolezza interpretativa,
unita ad una scioltezza e sicurezza assolute nei
passaggi più ardui di abilità: uscimmo da quel
concerto con una certezza e con un desiderio: la
certezza che la giovanissima Rimonda è già più
che una semplice promessa e il desiderio di
riascoltarla il più presto possibile. Il
concerto di ieri sera ha appagato il desiderio e
confermato pienamente le certezza. Giulia
Rimonda ha ormai maturato un suo suono,
calibrato e tornito con cura, tanto nei legati
quanto negli staccati, fatto di energia, di
morbidezza e duttilità davvero notevoli nel
controllo delle dinamiche, con un timbro che
imprime alle note chiarezza e calore, sostenuto
da una perfetta intonazione, come ci assicura la
somma autorità di uno dei suoi Maestri, S.
Accardo La cavata è sempre fluida, limpida, tale
da consentirle un fraseggio che con naturalezza
sale dalle note più gravi sino ai vertici di
siderali sovracuti, un fraseggio che è un
incessante fervore di impulsi ritmici e
melodici. Più che convincente la sua
interpretazione del Concerto di Mendelssohn. Fin
dall’apertura, in seconda battuta, dell’Allegro
molto appassionato, la giovane violinista
torinese trova la ‘sua’ chiave esecutiva, in
unità con l’orchestra, per dare voce alla
tensione che impronta questa sezione del
concerto, non come scomposto sentimentalismo, o
ansimante respiro della cavata, ma piuttosto
come un anelito struggente che si esprime al
meglio, in particolare quando suona a doppia
corda, nel dare voce all’espansione ascendente
della melodia, coi suoi guizzi che, muovendo dai
registri gravi, si protendono all’acuto e al
sovracuto, quasi attratti dal richiamo di un
ignoto al di là del suono stesso. E’ una sezione
ricca di figurazioni, che l’archetto di Giulia
Rimonda rende con accurata incisività nel
dettaglio, altra virtù dello stile esecutivo di
questa violinista. Più che il ritmo in sé,
Rimonda ci è sembrata ricercare e valorizzare i
‘vertici di tensione’ che questo capolavoro
dissemina nei momenti più coinvolgenti del primo
tempo, ed è davvero brava nella sezione in cui,
alla ripresa del primo tema dopo l’esposizione
del secondo, il violino deve suonare, quasi
protendendosi, per ben tre volte una nota
tenuta, nel registro sovracuto: qui il
sentimento che la solista comunica
all’ascoltatore non ha nulla di drammatico, o
addirittura di straziante, come per molti
interpreti, ma è avvolto da un indicibile ‘non
so che’, una sorta di ‘sete di infinito’,
perfettamente romantica. Ma Rimonda sa dare
anche voce adeguata all’altra componente di
questo stupendo concerto, quella più
affabilmente e teneramente melodica delle due
sezioni esterne del secondo movimento: il
violino qui sa passare dall’energia e dalla
tensione al canto puro, di intensa liricità, in
cui peraltro la calma dell’andamento ritmico
lascia filtrare talora un che di palpitante,
quasi commovente, per poi cambiare ancora suono
nella sezione centrale del movimento, con un
vibrato su doppia corda, che ascende
gradualmente, con superba gestione delle
dinamiche di crescente intensità, fino a
congiungersi in un magico accordo con il tutto
dell’orchestra, come in una sorta di trionfale
rivelazione. Naturalmente queste preziose
qualità di intelligente interprete sono sorrette
da un virtuosismo che le permette di affrontare
senza sforzo, e con assoluta precisione i
passaggi più impervi del concerto
mendelssohniano e in particolare il quarto
tempo, un Rondò sonata dai passaggi vorticosi,
per rapidità di ritmi, ampiezza di intervalli e
quant’altro. Davvero strameritati i lunghissimi
e appassionati applausi del numeroso pubblico
presente, cui Giulia Rimonda ha concesso, come
fuori programma, una appassionata e malinconica
melodia della tradizione popolare ucraina. Il
concerto per violino di Mendelssohn non fa
dell’orchestra un semplice sfondo di
accompagnamento per l’esibizione virtuosistica
del solista: all’opposto di Paganini,
Mendelssohn propone una continua interazione
dialogica tra orchestra e strumento,
che
tendono a integrarsi, più che a contrapporsi. E
Tjeknavorian ha svolto egregiamente il suo
ruolo, curando al meglio i dettagli timbrici e
dinamici, staccando i tempi giusti, sostenendo
perfettamente la solista nei momenti di maggior
tensione della partitura, con una ben calibrata
energia di suono, che non ha mai coperto il
suono dello strumento solista. A Tjeknavorian è
poi toccato dirigere uno dei monumenti sacri
della musica occidentale, l’Eroica. E’ davvero
difficile, oggi, dopo più di due secoli di
esecuzioni, al ritmo di centinaia all’anno con
l’avvento della registrazione, dire qualcosa di
‘nuovo’ su questo mostro sacro della musica. A
nostro avviso il Maestro austro-armeno ha
eseguito bene, facendo suonare al meglio la
Camerata ducale: ne è uscita un’Eroica dalla
sonorità compatta, ma con colori diversi per i
quattro movimenti, (molto ben riuscito per
scelta metronomica e alleggerimento del suono lo
staccato degli archi e la successiva ripresa
dell’oboe, che aprono lo Scherzo, dopo la Marcia
funebre) e densa, grazie anche ad una buona
conduzione dei fiati, anche nel dare ‘peso’ e
densità al suono orchestrale coi loro raddoppi
d’ottava. Volendo indicare uno dei momenti
migliori della direzione di Tjeknavorian
sceglieremmo il fugato del secondo movimento,
dove al direttore riesce perfettamente di unire
alla densità contrappuntistica della sezione un
velo di accorata malinconia di fronte al mistero
del dolore universale. Buona la gestione delle
dinamiche, che eccelle nel gigantesco respiro
dell’inizio e nella cura dei dettagli timbrici e
motivici , che dà il meglio di sé nell’immenso
sviluppo dell’iniziale Allegro con brio. Un gran
bel concerto, che ha riscosso, a giudicare dai
lunghi applausi del pubblico quasi al completo,
un notevole e meritatissimo successo. Un’altra
serata di buona musica che fa onore alla
Camerata ducale, al suo ViottiFestival e a chi
li organizza e li dirige, specie in tempi così
difficili per la musica, l’arte, la cultura
tutta.(Foto dall'ufficio stampa di
Vercelli)
Bruno Busca 8 maggio 2022
La West-Eastern Divan
Orchestra alla Scala diretta da Guggeis
Doveva esserci Daniel
Barenboim a dirigere la sua West-Eastern
Divan Orchestra. In convalescenza, è stato
sostutuito dal giovane direttore tedesco Thomas
Guggeis. Guggeis di
recente
lo abbiamo visto alla direzione dell'Orchestra
Sinfonica di Milano, anche insieme ai
fratelli pianisti Jussen, per uno splendido
concerto sinfonico. Ieri sera lo aspettava
l'impaginato predisposto da Barenboim, con il
noto Má vlast (La mia patria) di Bed řich
Smetana, ampio ciclo sinfonico in sei parti
contenente l'arcinota Vltava - La
moldava. Il lavoro del compositore boemo fu
composto alla fine degli anni '70 ed ebbe la
prima esecuzione completa nel 1882, pur avendo
parziali interpretazioni dei singoli poemi negli
anni precedenti. I riferimenti descrittivi
dell'ottima musica di Smetana trovano
valide
rese espressive nelle melodie ispirate dal
repertorio popolare della terra
del compositore.
Sono
orchestrate mirabilmente traendo insegnamento
dalle abili orchestrazioni
di
Berlioz e
di Liszt, musicisti conosciuti
ed amati
da Smetana. L'ottima direzione di Guggeis ha
permesso una valida restituzione interpretativa
dai giovani professori di
un'
orchestra che ricordiamo essere stata fondata
nel 1999 da Daniel Barenboim e dallo studioso
palestinese Edward w.Said con lo scopo di unire
le culture del Medio oriente. Valide tutte le
sezioni della
West-Eastern
Divan
Orchestra, compagine particolarmete equilibrata
nelle timbriche, dagli archi alle arpe, ai
fiati, spesso emersi come solisti in questo
ciclo di poemi, sino alle molto presenti
percussioni. Successo caloroso a tutti i
protagonisti al termine con numerose uscite del
direttore in palcoscenico.
7 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
La Filarmonica della Scala
diretta da Speranza Scappucci
La
direttrice d'orchestra romana Speranza Scappucci
è tornata alla Scala per un concerto sinfonico
classico interpretando brani di Schubert, Mozart
e Mendelssohn. Di recente la Scappucci
aveva
diretto in Scala il belliniano I Capuleti e i
Montecchi ottenendo un meritato successo di
critica. Questa sera l'impaginato è stato
introdotto dall'Ouverture in Stile
italiano D 590 di Franz Schubert, un esempio
di eccellente sinfonismo nel classico stile del
grande viennese che guarda anche alle future
modalità romantiche. L'interpretazione ascoltata
ha visto un ottimo equilibrio dinamico delle
sezioni orchestrali. La Sinfonia concertante
per fiati e orchestra K297b di W.A.Mozart,
ci ha immerso nel classicismo "galante" tipico
del salisburghese con valide esternazioni
timbriche dei bravissimi quattro solisti
preposti al "concertino" cioè Fabien Thouand
all'oboe, Fabrizio Meloni al
clarinetto, Valentino Zucchiatti al
fagotto e
Danilo
Stagni al corno. Interpretazione
equilibrata dei solisti e particolarmente in
evidenza le prestazioni nel bellissimo
Andantino con variazioni del finale. Dopo il
breve intervallo un'ottima Sinfonia n.4 in la
maggiore op.90 "Italiana" di Felix
Mendelssohn ci ha portato nella sponda romantica
della serata. La chiarezza espositiva della
Scappucci, nella restituzione limpida della
Filarmonica della Scala, ha reso giustizia al
compositore attraverso un'interpretazione molto
italiana per un celebre brano che il musicista
tedesco ha voluto dedicare all'Italia, dopo un
viaggio fatto nel sud dello stivale avvenuto
intorno al 1830. Nel '33 portò a termine il
fortunato lavoro che trova un incipit tra
i più celebri della produzione sinfonica
romantica. L'ottima resa della Filarmonica
scaligera nella bacchetta di Speranza Cappucci
ha entusiasmato il numeroso pubblico presente in
teatro che al termine ha tributato sostenuti
applausi. Lunedì, 9 maggio, seconda e ultima
replica. Da non perdere.
5 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Successo all'ultima
replica di Ariadne auf Naxos
Una Scala al completo per
l'ultima replica di Ariadne auf Naxos,
testimonia il successo per un'opera di Richard
Strauss non facile musicalmente e giocata
soprattutto sulle abilità vocali e
attoriali
dei protagonisti. Un'orchestra di ristrette
dimensioni, con molti frangenti cameristici, ben
delineava gli sviluppi contenutistici del
libretto di Hugo von Hofmannsthal e le efficaci
voci presenti in scena. La valida direzione di
Michael Boder ha dato buona energia alla
riuscita regia di Sven-Eric Bechtolf, alle
originali scene di Rolf Glittenberg, ai colorati
costumi di Marianne Glittenberg illuminati dalle
luci di Jürgen Hoffmann. La messinscena
complessivamente ha rivelato un'unità
d'interventi che hanno reso vitale un'opera
complicata nei contenuti, che trova un valido
compromesso tra situazioni drammatiche e
divertenti. Le due compagnie teatrali presenti
nella vicenda si sono ben amalgamate per
restituire teatralità all'elegante costruzione
scenica. Le ottime voci presenti erano
quelle di Sophie Koch, splendida in tutti i
registri di Der Komponist, di Markus
Werba, valido Ein Musiklehrer, di
Krassimira Stoyanova, ottima Ariadne, di
Erin Morley, con ottima intonazione e perfetta
attorialmente nel ruolo di Zerbinetta, di
Stephen Gould, un adeguato Bacchus.
Ottimo il terzetto delle Ninfe e
bravissimi tutti gli altri. Ricordiamo la
prossima opera in cartellone presente da questa
sera con il verdiano Un ballo in maschera.
Repliche per il 7, 10, 12, 14, 19, 22 maggio. Da
non perdere. ( Foto di M. Brescia e R.
Amisano dall'Archivio del Teatro alla
Scala)
4 maggio 2022 C.G.
Lucas Debargue
alle Serate Musicali del Conservatorio
È un fuoriclasse il francese
Lucas Debargue. Un pianista che oltre ad una
tecnica invidiabile, spesso presente nelle nuove
generazioni di virtuosi, ha una capacità di
rendere personale uno stile interpretativo che,
se pur attento ai dettagli di partitura, gioca
anche sulla forza dirompente della restituzione
sonora. L'impaginato, presentato tutto difilato
al concerto di ieri sera alle "Serate Musicali"
di Sala Verdi, proponeva brani di Franck, Ravel,
Skrjabin e Liszt.
Quello
introduttivo, di César Frank, la Fantasia in
la maggiore da "3 Pièces pour grand
orgue", era un trascrizione per pianoforte
dello stesso Debargue: un Andantino reso
in modo espressivo che anticipa le capacità
rielaborative del francese, che ricordiamo avere
molto a cuore l'improvvisazione ed il jazz come
testimonia il finale della serata. Un pianista
quindi "creativo", che se pur capace di
interpretare ottimamente i classici, tende dare,
all'occorrenza ,, un'
impronta personale alle esecuzioni proposte. In
linea con le interpretazioni dei maggiori
pianisti era il secondo ampio lavoro, Gaspard
de la nuit, celebre brano composto da
Maurice Ravel nel 1908 e suddiviso in tre parti:
Ondine, Le gibet e Scarbo.
Debargue ha restituito la coinvolgente
composizione con una trasparenza coloristica
invidiabile. L'accuratezza dei dettagli e gli
evidenti contrasti dinamici, si sono rivelati in
modo esuberante nei due brani laterali,
Ondine e Scarbo. Il pacato Le
gibet centrale, ha trovato una solida
riflessività e un perfetto equilibro meditativo,
sostenuto anche da quella
celebre
nota ripetuta ben 153 volte nel corso
dell'esecuzione. Un'interpretazione complessiva
di altissimo livello quella del francese. La
Fantasia in si minore op.28 di
A.Skrjabin, prima, e la
Fantasia quasi sonata ovvero la "Sonata
Dante" di Franz Liszt poi, hanno ancor più
evidenziato le qualità virtuosistiche di
Debargue. Due esecuzioni dirompenti, ricche di
contrasti perfettamente controllati, che
rivelano le capacità del solista di penetrare la
notazione musicale attraverso una visione ben
precisa della musica. Frangenti esasperati, ma
di una chiarezza espressiva disarmante, sono
emersi soprattutto nella Sonata dedicata al
poeta italiano. Applausi sostenuti al termine e
tre bis concessi da Debargue: le note semplici e
profonde della Sonata n.32 in re minore
di Domenico Scarlatti, uno splendido Erik Satie
con Gnossienne n.1 e per concludere il
celebre Round midnight di Thelonius Monk,
brano jazz rivisitato mirabilmente da Dabergue
con un finale virtuosistico tutto del francese.
Applausi convinti dal pubblico intervenuto in
Conservatorio.
3 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Palazzo Marino in Musica
con Francesco
Manara e Andrea Bacchetti
Oggi, primo maggio, è
iniziata l'undicesima edizione di "Palazzo
Marino in Musica", rassegna musicale
organizzata dal Comune di Milano che propone una
serie di concerti domenicali
offerti
alla cittadinanza milanese alle ore 11.00.
L'offerta musicale di quest'anno indagherà sul
rapporto tra musica e matematica, sia nei
rapporti consolidati tra arte e scienza che dal
punto di vista dei nuovi sistemi di produzione
musicali lagati al mondo digitale e al computer.
Il primo concerto ha visto la presenza di due
affermati interpreti quali il violinista
Francesco Manara ed il pianista Andrea
Bacchetti. Manara, oltre a svolgere un'intensa
attività concertistica solistica, è noto per
essere da trent'anni "spalla"- (primo violino),
della prestigiosa Orchestra del Teatro alla
Scala. Il genovese Andrea Bacchetti da decenni è
riconosciuto come eccellente interprete del
repertorio settecentesco, soprattutto quello di
J.S.Bach. Una Sala Alessi gremita di
appassionati ha
attentamente
ascoltato il programma proposto, denominato
Tre!, che prevedeva brani di Händel, Mozart,
Bartók, Bloch e Saint-Saëns. L'ottima intesa del
duo ha messo in rilievo le qualità classiche di
Bacchetti nel sottolineare con chiarezza
esaustiva ed eccellente equilibrio le splendida
linee melodiche del violino di Manara. La
Sonara op.1 n.4 di Händel e la Sonata in
si bem.maggiore K454 di Mozart hanno messo
in rilievo l'equilibrio "matematico" del duo
giocato su un'evidente chiarezza coloristica. Le
celebri Danze popolari rumene di
B.Bartók,
Nigun, adagio non troppo di Ernst Bloch e
Introduzione e Rondó capriccioso di
Camille Saint-Saëns, hanno esaltato l'efficace
virtuosismo di Manara,
violinista
attento ad ogni dettaglio, preciso nei perfetti
sopracuti, e soprattutto molto espressivo,
sostenuto bene dalle armonie pianistiche di
Bacchetti. Splendido anche il bis concesso al
termine con il celeberrimo brano Meditation
dal Thais di J.Massenet eseguito con profonda
espressività melodica. Applausi fragorosi dal
pubblico in una sala al completo. Prossimo
concerto denominato "La sintesi degli opposti" è
previsto per il 5 giugno e troverà Tania Birardi
al clavicembalo
1 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Katia e Marielle
Labèque
al Teatro alla Scala
Ieri sera al Teatro alla
Scala, per la serie "Grandi pianisti alla
Scala" è salito sul palcoscenico il duo
femminile più celebre internazionalmente, quello
formato dalle pianiste Katia e Marielle Labèque.
Da decenni suonano anche da soliste, in
formazioni cameristiche e spesso insieme,
impaginando programmi diversificati, dove la
tradizione classica si unisce sovente al
Novecento e alla musica contemporanea, non
rinunciando a volte a trasgressioni nel mondo
pop
e jazz. Il programma scaligero, presentato
davanti ad un pubblico che riempiva il teatro, è
un esempio di visione a 360 gradi della musica.
Il classicismo di Schubert con la celebre
Fantasia in fa min. D 940 per pianoforte a
quattro mani è stato anticipato dal Claude
Debussy dei Six épigraphes antiques per
due pianoforti. Una musica, quella del francese,
concepita nel 1901 che nasce dalla lettura di
brevi versi poetici dell'amico Pierre Louýs. La
traduzione pianistica è breve, poco più di
tredici minuti di timbriche deliziose, dal
sapore antico, eseguite magistralmente dalle due
celebri sorelle, per un'unità sonora perfetta ed
espressiva nei colori delicati e profondi. Il
romanticismo schubertiano della celebre
Fantasia in Fa minore è del 1828, l'ultimo
anno di vita del genio viennese. Di notevole
profondità e perfetta completezza formale, il
brano è stato interpretato in modo introspettivo
e senza eccessi dalle Labéque, per
un'interpretazione di elevato valore artistico.
E'
con il bellissimo arrangiamento di Michael
Riesman del corposo lavoro dell'americano Philip
Glass, Les Enfants terribles, che la
serata ha preso una piega più vicina ai nostri
tempi. Il lavoro originario per balletto è del
1996, più recente la riuscita versione
pianistica per due pianoforti. L'originario
minimalismo di Glass trova in questo corposo
lavoro formato da un' Ouverture introduttiva e
da dieci brani, un'evoluzione particolarmente
fantasiosa nelle sequenze di elementi ripetuti
con infinite varianti. Le Labèque, conoscitrici
profonde della musica di Glass, hanno restituito
un'interpretazione accurata e intensamente
espressiva, con perfetta sincronia delle parti.
Applausi sostenuti e ben quattro bis concessi
con il bellissimo Debussy iniziale a quattro
mani di Le jardin féerique , ancora
Glass, un brano in stile Boogie Woogie
per due pianoforti e un'ultimo breve e
divertente a quattro mani. Pubblico entusiasta e
continue uscite sul palcoscenico con meritati
applausi.
1 maggio 2022 Cesare
Guzzardella
Prossimamente
a Vercelli Emmanuel Tjeknavorian e Giulia
Rimonda
A volte le cose belle
ritornano. Basterebbe questo per descrivere il
concerto che sabato 7 maggio riporterà in scena
Emmanuel Tjeknavorian nella veste di direttore e
Giulia Rimonda in quella di violino solista
–
accompagnati dalla fedelissima Orchestra
Camerata Ducale –
al Teatro Civico di Vercelli (ore 21, concerto
in abbonamento). Ritornano, proprio così. Perché
Tjeknavorian è già stato in questa stagione
ospite del Festival (per l'occasione come
violinista), e perché entrambi si sono resi
protagonisti nella scorsa edizione di un altro
memorabile
concerto.
Questa è dunque una nuova tappa di un sodalizio
artistico tra due musicisti giovanissimi, un
concerto che dimostra come la genuina voglia di
“fare musica” sappia davvero superare ogni
confine: Giulia è infatti il talento di casa al
Civico, dove ha debuttato in tenerissima età, ed
Emmanuel parte dalla sua Vienna per portare la
sua musica in mezzo mondo. Quando si è così
giovani –
lei è da poco ventenne, lui ventisettenne
– un anno
può fare una grande differenza. Non c'è dunque
da stupirsi se, dopo un primo concerto già molto
denso dal punto di vista musicale, in vista di
questo appuntamento i due protagonisti hanno
deciso di alzare ancora “l'asticella”,
proponendo un programma di incantevole bellezza,
ma indubbiamente di notevole impegno. La serata
si aprirà infatti con Tjeknavorian a dirigere
Rimonda in una vera e propria colonna del
repertorio violinistico universale, ovvero il
meraviglioso Concerto in mi minore op. 64 di
Mendelssohn. Un'opera che richiese al suo autore
ben sette anni di lavoro, e che riesce a
incarnare mirabilmente quell'appassionato
lirismo e quella capacità di rinnovare la
tradizione che è il segno inconfondibile della
grande musica romantica. A seguire, Tjeknavorian
dirigerà l'Orchestra Camerata Ducale in un'altra
composizione che possiamo definire
“monumentale”, ossia la Sinfonia n. 3 di
Beethoven, nota a tutti come l'Eroica. Opera
sulla quale sono stati scritti fiumi di parole,
e della quale possiamo ricordare ora che, sia
per i contenuti musicali sia per la vicenda
della dedica, prima concepita e poi negata, a
Napoleone, rappresenta una svolta fondamentale
nella definizione del ruolo dell'artista e del
suo rapporto con la storia, con gli eventi,
insomma con il mondo che lo circonda. Un
concerto che rappresenta dunque uno dei momenti
più significativi dell'intera stagione, e che si
rivolge a tutti gli appassionati della grande
musica, in particolare ai più giovani.
1 maggio 2022 dalla redazione
APRILE 2022
L' Orchestre de Paris
diretta da Esa-Pekka
Salonen alla Scala
Un concerto di alta qualità
quello ascoltato ieri sera al Teatro alla Scala.
L'Orchestre de Paris, compagine nata nel
1967 e diretta in questi decenni dai più
importanti direttori d'orchestra quali ad
esempio Munch, Karajan, Solti, Barenboim,
Harding e molti altri, ha visto ieri la
direzione del finlandese Esa-Pekka Salonen,
musicista noto anche per le sue valide
composizioni. L'impaginato, incentrato su brani
francesi, ha trovato anche, in posizione
centrale, la Suite da Il Mandarino
meraviglioso dell'ungherese Belà Bartók. La
pacata e introspettiva introduzione della
raveliana Pavane pour une infante defunte
- versione orchestrale da un brano pianistico
composto negli ultimissimi anni dell'800- ha
messo in
risalto
gli eleganti colori dell'orchestra. Il brano
bartókiano eseguito subito dopo, ha stravolto il
clima musicale per una dirompente miscela di
timbriche, dove anche gli strumenti a fiato e
quelli a percussione hanno esternato le loro
rilevanti qualità espressive. L'eccellente
direzione di Esa-Pekka Salonen e la risposta
vigorosa dell'orchestra parigina in questo
suggestivo lavoro, ha evidenziato l'alta cifra
stilistica dei protagonisti. Salonen ha proposto
timbriche contrastanti, taglienti e di grande
impatto emotivo, esternando in modo chiarissimo
i variati elementi ritmici tipici della musica
di Bartòk e presenti in questo brano dela fine
anni '20 del Novecento. Miscelando perfettamente
i colori delle differenti sezioni della grande
orchestra, ha trovato modo di far emergere le
qualità virtuosistiche degli eccellenti
strumentisti, per una restituzione di assoluta
rilevanza estetica. Fragorosi gli applausi. Dopo
il breve intervallo, il ritorno alla musica
francese con la celebre e corposa Symphonie
fantastique di Hector Berlioz ha di nuovo
esaltato le splendide qualità di questa
compagine. Il brano, in cinque ampi movimenti, è
del 1830 e rivela le immense capacità
d'orchestratore di Berlioz, musicista che
rivoluzionerà il modo di fare musica sinfonica.
I movimenti, ricchi di contrasti, hanno rivelato
la duttilità dell'orchestra, dall'elegante Un
bal, tempo di valzer del secondo movimento,
all'energia prorompente dei movimenti finali,
cioè la Marche au supplice e il
conclusivo Songe d'une nuit du Sabbat.
Tutte le sezioni sono state esaltate dalla
decisa ed elegante gestualità nella splendida
direzione di Salonen. Eccellenti i colori degli
ottoni e perfetti i molteplici interventi delle
percussioni. Il numerosissimo pubblico
scaligero, al termine del programma ufficiale,
ha esternato fragorosi e continuati applausi e i
generosi protagonisti hanno concesso ben due
bis. Prima il soffuso ma pregnante colore degli
archi nel Ravel de Le jardin féerique,
poi l'estroverso e fragoroso Wagner con il
celebre
Preludio dall'atto terzo del Lohengrin.
Una serata con interpretazioni che rimarranno
indelebili nei ricordi dei più appassionati
spettatori.
30 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
Serata mozartiana
per l'Orchestra de
"I Pomeriggi" diretti da Alessandro Bonato
Una serata interamente
mozartiana quella ascoltata ieri sera al Dal
Verme. Il giovane direttore Alessandro Bonato
alla guida dell'Orchestra de I Pomeriggi
Musicali ha proposto due brani diversi, per
le timbriche espresse, del grande salisburghese:
un concerto per violino e
orchestra,
il N.5 in La maggiore K 219, e un lavoro
cameristico corposo in sei movimenti quale la
Serenata per fiati N.10 in Si bem. maggiore
"Gran Partita" K 361. A sostenere la parte
solistica del noto concerto c'era il violinista
salernitano Gennaro Cardaropoli. L'ultimo
concerto violinistico di Mozart, nei classici
tre movimenti, presenta una rilevante
cantabilità che Cardaropoli ha espresso in modo
eccellente con tocco preciso, luminoso e ben
integrato con la parte orchestrale espressa con
equilibrio da I Pomeriggi. Di qualità le
cadenze solistiche del concerto,
ancor
più indicative delle qualità del solista, tra i
migliori fra gli italiani della sua generazione.
Eccellente il bis solistico con Nel cor più
non mi sento , un
classico di Niccolò Paganini dove il tema ricco
di variazione di particolare virtuosismo,
presenta difficoltà tecniche trascendentali
superate con disinvoltura da Cardaropoli per una
resa espressiva di rilevante qualità. Applausi
sostenuti dal numeroso pubblico intervenuto al
Dal Verme ai protagonisti. Dopo il breve
intervallo la "Gran Partita" mozartiana ha messo
in risalto le qualita degli strumentisti
dell'orchestra. Il
bellissimo
lavoro - recentemente ascoltato anche dai
bravissimi de "LaVerdi" - ha trovato ancora
eccellente qualità dai colleghi de "I
Pomeriggi". Ottima la direzione di Bonato e la
resa espressiva per un lavoro di evidente
discorsività, con frangenti di estrema bellezza
tipica del genio salisburghese, come nel
pregnante e contrastato Tema con sei
variazioni del finale. Applausi intensi al
temine a tutti gli strumentisti e al direttore.
Sabato alle ore 17.00 si replica. Da non
perdere.
29 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
Presentato al Fazioli
Showroom di Milano
il Concorso Internazionale Pianistico"Alessandro
Casagrande"
Milano, 28 aprile 2022. Torna
a Terni dall’11 al 17 settembre 2022 il Concorso
Pianistico Internazionale Alessandro Casagrande,
giunto alla 32esima edizione, con la direzione
artistica di Carlo Guaitoli. Il concorso, che
negli anni ha premiato, tra gli altri, Ivo
Pogorelich, Alexander Lonquich, Boris
Petrushansky, Roberto Prosseda, Giuseppe
Andaloro e Herbert Schuch, celebra quest’anno il
centesimo anniversario della nascita del
pianista e compositore a cui è dedicato,
Alessandro Casagrande, prematuramente scomparso
a soli 42 anni.Un’edizione che, non ancora
iniziata, ha già registrato il primo record,
toccando i 189 iscritti. Di questi, 28 sono i
pianisti selezionati da Filippo Gamba, Carlo
Guaitoli, Alberto Miodini, che
parteciperanno
alle fasi finali del concorso a Terni (tre prove
per pianoforte solo e una finale con l’Orchestra
Sinfonica Abruzzese). 12 le nazioni
rappresentate dai candidati: Cina, Giappone,
Italia, Mongolia, Perù, Regno Unito, Russia,
Slovenia, Spagna, Sud Korea, Ucraina, USA. La
giuria del concorso, chiamata a incoronare il
nuovo talento del pianoforte, sarà costituita da
Enrica Ciccarelli (Italia), Romain Descharmes
(Francia), Carlo Guaitoli (Italia), Yuka Imamine
(Giappone), Piers Lane (Australia), Roland
Pöntinen (Svezia), Jerome Rose (USA). Il
concorso è stato presentato oggi presso il
Fazioli Showroom di Milano, alla presenza di
Elena Benucci, Presidente della Fondazione
Casagrande, e Carlo Guaitoli, direttore
artistico del concorso. “La scorsa edizione,
2018/2019, gli iscritti furono 117
– commenta Elena Benucci – Il risultato di
quest’anno è decisamente inaspettato,
lusinghiero e crediamo non così usuale nel
panorama dei concorsi internazionali,
soprattutto in tempi di pandemia”. “Il numero
eccezionale delle iscrizioni e il livello
altissimo dei pianisti in questa fase di
pre-selezioni hanno reso particolarmente lunghi
e complessi i lavori della prima giuria
– le fa
eco Carlo Guaitoli – Per questo desidero
ringraziare i colleghi Filippo Gamba e Alberto
Miodini che hanno con me condiviso questo
compito molto delicato e desidero congratularmi
con tutti i concorrenti, tra cui numerosissimi
italiani, che hanno dimostrato uno straordinario
livello artistico e professionale. Tutto mi fa
pensare che sarà un’edizione del
Casagrande estremamente ricca, interessante e
avvincente”.
In palio un montepremi totale di 37.000 €. Al
vincitore anche concerti presso prestigiose
istituzioni musicali in Italia e all’estero, tra
le quali sono già confermate: Società dei
Concerti di Milano, IUC-Istituzione
Universitaria Concerti di Roma, Fazioli Concert
Hall di Sacile, Gioventù Musicale Italiana,
Associazione Lingotto Musica di Torino,
Orchestra Sinfonica Abruzzese, Associazione
Filarmonica Umbra, Amici della Musica di
Foligno, Teatro Comunale di Carpi, Emilia
Romagna Festival. Anche per l’edizione 2022
Fazioli Pianoforti è content partner del
concorso. L’azienda, fondata nel 1981
dall’ingegnere e pianista Paolo Fazioli, nel
settore è una vera icona del made in Italy,
caratterizzata da passione per la musica e
competenza scientifica, abilità artigianale,
ricerca tecnologica e severa selezione dei
materiali.
28 aprile dalla redazione
Domenica inizia la 42°
edizione di Musica a Villa Durio
Si apre il 1 Maggio, la
Giornata Internazionale del Jazz, con la 42°
edizione di Musica a Villa Durio,
stagione musicale di Città di Varallo, diretta
da Massimo Giuseppe Bianchi. Il calendario degli
concerti comprenderà per quest’anno un’edizione
primaverile, dal 1 Maggio al 12 Giugno 2022,
quindi una pausa estiva ricca di
appuntamenti
musicali tra i quali il tradizionale Festival
Beethoven organizzato in collaborazione con
Musica con le Ali di Milano. I concerti
riprenderanno nel mese di Settembre per
terminare a Dicembre uno straordinario Concerto
di Natale. Musica classica, Jazz, Musica Antica
e la consueta attenzione ai giovani talenti,
vincitori di prestigiosi premi internazionali,
per proporre al pubblico valsesiano un’offerta
di alta qualità e una visione su quanto di nuovo
accade
nella scena musicale internazionale, un
programma di grande qualità che si distingue per
l'alto livello degli interpreti e per le novità.
Il Primo maggio sarà all’insegna del jazz a l
Palazzo dei Musei con il Trio formato da Lorenzo
Bisogno, sax tenore, Manuel Magrini, pianoforte
e Pietro Paris, contrabbasso. Una formazione
giovane ma dalla forte personalità, all’interno
della quale spicca Lorenzo Bisogno, laureatosi
vincitore del Premio Nuovo IMAIE e del Premio
Massimo Urbani. Domenica 8 Maggio 2022, il
controtenore premiato ai Grammy Awards David
Feldman e Massimo Giuseppe Bianchi, pianoforte,
proporranno un programma di grande fascino
dedicato a opere per voce e pianoforte di Elgar,
Vaughan Williams e Britten. Già ospite della
40esima edizione e del 3° Festival
Beethoven,
David Feldman porta a Varallo l’esperienza
maturata nei teatri europei come solista di
importanti formazioni, tra cui i Vox Luminis con
i quali ha appena concluso una lunga tournée tra
Spagna, Francia, Belgio e Olanda. I biglietti
dei concerti sono acquistabili da subito sul
sito Eventbrite al link https:// bit.ly/MVD42
oppure, come di consueto, prima dei concerti al
prezzo di 10 euro, mentre i bambini e i ragazzi
fino a 12 anni entrano gratis.Sarà possibile
prenotare contattando il numero di Musica a
Villa Durio, 388 255 42 10, anche con messaggio
whatsapp. Per tutte le informazioni è a
disposizione l’email: info@musicavilladurio.it (
Foto dall'ufficio Stampa di Musica a Villa Durio)
26-04-2022
Dalla Redazione
LaFil - la Filarmonica
di Milano al Teatro
Lirico "G.Gaber" per Mendelssohn
Un concerto particolarmente
riuscito quello ascoltato ieri al nuovo Teatro
Lirico "Giorgio Gaber". La Filarmonica di Milano
ovvero LaFil, era impegnata in questi
giorni nel "Progetto Mendelssohn 2022".
Una serie di concerti dove a quello di sabato è
seguito il bellissimo
concerto
del tardo pomeriggio di ieri. La recente
orchestra sinfonica LaFil ha eseguito due brani
particolarmente celebri quali il Concerto per
violino e orchestra in mi minore op 64 e la
Sinfonia in la maggiore n.4 "Italiana",
introdotti dalla Ouverture da Concerto op.26
da "Le Ibridi". Sul podio
l'eccellente giovane Felix Mildenberger ha
diretto la compagine orchestrale che ricordiamo
essere formata da prime parti di formazioni
provvenienti da tutta Europa e da giovani
strumentisti selezionati tra i migliori delle
rispettive nazioni. In anni recenti ,
nel 2018 e nel 2019,
la LaFil ha eseguito brani di Schumann
e di Brahms con la direzione di Daniele Gatti.
Si
rimane stupiti per l'alta qualità espressa dalla
LaFil in tutti e tre i lavori proposti.
Nel celebre concerto mendelssohniano, il solista
ventunenne di Stoccolma, Daniel Lozakovich, ha
espresso con grande sensibilità i tre movimenti
del lavoro terminato dal musicista lipsiano nel
1844 ed interpretato dai maggiori virtuosi al
mondo. Lozakovich, oltre alla straordinaria
tecnica, testimoniata dai numerosi concorsi
internazionali vinti, ha rivelato una notevole
sensibilità sostenuta da un tocco molto
interiorizzato, preciso e sicuro, ricco di
morbidi colori, esternati con ampia escursione
dinamica. Eccellente l'equilibrio sinergico
avuto con la direzione di Mildenberger e con
l'orchestra per un'esecuzione complessiva di
alto profilo. Particolarmente espressivo il
brano solistico dei primi del Novecento concesso
come bis: la Dance Rustique dalla
Sonata n.5 di Eugene Ysaye.
Le
qualità orchestrali sono emerse sia nella
Ouverture che nella celebre Sinfonia "Italiana",
quattro movimenti, in quest'ultimo brano,
esternati con raffinata direzione da
Mildenberger, per una espressività giocata su
una morbina esecuzione in calibrati contesti
timbrici restituiti con volumetrie mai
eccessive, ma ben pesate ed equilibrate.
Applausi calorosi al termine di ogni brano dalla
numerosissima platea intervenuta nell'elegante
teatro, luogo ottimale per la musica sinfonica.
Da ricordare.
25 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
LE PERCUSSIONI DI SIMONE
RUBINO PROTAGONISTE AL VIOTTIFESTIVAL DI
VERCELLI
Ieri sera, 23/04, per il
ViottiFestival il Teatro Civico di Vercelli ha
spalancato le porte ad un concerto di
straordinario interesse, ma anche di
(coraggiosa) rottura con i programmi che esso
abitualmente propone, legati alla grande
tradizione classico-romantica, Protagonista
della serata, vero e proprio one man show, è
stato il ventinovenne percussionista Simone
Rubino, almeno dal 2014, quando ‘si rivelo’’ con
un primo premio al prestigioso Festival ARD di
Monaco di Baviera, assurto a fama di
percussionista tra i più acclamati della sua
generazione per virtuosismo e qualità esecutive.
Dunque un concerto, quello di ieri sera,
dedicato esclusivamente alla musica per
percussioni, il che vale a dire impaginato sul
predominio
assoluto
della musica contemporanea, avendo le
percussioni acquisito solo dal pieno ‘900, nella
musica c.d. ‘classica’ o ‘colta’ che dir si
voglia,, un ruolo di primo piano, sino a essere
valorizzate addirittura come strumenti
solistici, magari integrati dalla musica
elettroacustica, a creare paesaggi sonori del
tutto ignoti alla civiltà musicale del passato.
Il filo conduttore lungo il quale si è dipanato
l’ampio programma del recital è stata l’estrema
varietà dei colori, dei timbri, dei suoni che il
variegato mondo delle percussioni può offrire
all’ascoltatore. Il concerto ha dunque preso
l’avvio con un pezzo del
percussionista-compositore tedesco Peter Sadlo,
uno dei maestri e mentori di Rubino: “Variations
on Fuga C II”, titolo che non siamo riusciti a
decifrare (caso non infrequente nella musica
contemporanea). Si tratta di una composizione
per varie specie di membranofoni, cioè tamburi.
Si comincia dunque col ritmo puro, scatenato in
tutta la varietà delle sue dinamiche, ma in
genere con un’agogica tendente al massimo della
velocità, che subito mette in evidenza il
virtuosismo straordinario di questo
percussionista. Il ritmo sembra comporsi in una
sequenza quasi costantemente ripetuta, con
pressoché impercettibili variazioni, evocando
esperienze minimaliste. Tutt’altro mondo sonoro,
quello realizzato dal successivo “Interzones”,
per vibrafono e nastro magnetico, una delle
opere più celebri dell’americano Bruce Hamilton.
Qui la bravura di Rubino si è manifestata nella
capacità di valorizzare al massimo il suono
peculiare del vibrafono, un suono caldo, ma
variabile in un ampio ventaglio di sfumature,
agendo sia sul particolare congegno elettrico
che dà o toglie profondità al suono, sia sul
pedale di smorzamento che regola la durata della
nota emessa. L’Interzones propostoci da Rubino,
associando sapientemente i vari registri del
vibrafono con lo sfondo sonoro del nastro
magnetico, è risultato un pezzo vario ed
eclettico, in cui momenti di sapore jazzistico,
si alternavano ad altri di più rarefatta e quasi
sospesa atmosfera, al limite dell’incantevole..
A
seguire un pezzo che propone, ancora al
vibrafono, un’esperienza musicale di tipo
completamente diverso, in cui l’esecutore non si
limita a suonare lo strumento, ma lo accompagna
con la sua voce, parlando e cantando i testi di
tre poesie di una poetessa italiana
contemporanea. Si tratta di “Io guardo spesso il
cielo” del compositore Lamberto Curtoni: il
titolo è quello di una delle tre poesie della
brava poetessa Mariangela Gualtieri, divenuta
improvvisamente nota anche al grande pubblico
del nostro Paese in occasione dell’ultimo
Festival di Sanremo, quando Jovanotti ha
recitato una sua poesia. Accompagnandosi al
vibrafono, Rubino recita e canta con un discreto
falsetto i versi della Gualtieri. Il suono del
vibrafono si fa delicato, sensuoso, carico di
sfumature e colori diversi: il tutto evoca, in
modo vagamente straniante, un madrigale
cinquecentesco. Nuova tappa di questo percorso,
un pezzo di quello che senz’altro è il
compositore più noto al pubblico, fra quelli in
programma, anche perché autore di celebri
colonne sonore per film, come “La tigre e il
dragone”. Stiamo naturalmente parlando del
cinese Tan Dun, e il pezzo è “Water Spirit”,
cioè la cadenza del “Water concert” per
percussioni e orchestra. Il concerto di Tan Dun
(1998), una delle composizioni più affascinanti
dell’ultimo quarto di secolo, trasforma il
rumore dell’acqua in ritmo e suono, il ritmo e
il suono profondo della vita. E’ lo stesso
risultato che ottiene Rubino, mettendo ancora
una volta in evidenza le peculiari qualità del
suo virtuosismo. Ovviamente, in primo luogo, un
virtuosismo musicale, cioè la capacità di
ricavare da due bacinelle d’acqua i più vari
ritmi ed effetti sonori, sino a far ‘suonare’
l’acqua, ovvero a rendere significativo il
rumore. Ma a integrare questo virtuosismo
musicale interviene questa volta anche quello
corporeo, la capacità di produrre rumori/suoni e
ritmi col proprio corpo, che diviene così parte
essenziale dell’esperienza musicale, in una vera
e propria performance (nel senso propriamente
artistico del termine) di notevole impatto
sull’ascoltatore-spettatore: il battito dei
piedi, l’effetto sonoro generato dal battersi il
volto con le mani etc., uniti agli effetti
sonori creati con l’acqua (dallo sgocciolio allo
sciacquio) creavano un ritmo che organizzava i
rumori al confine del suono: perfetto Rubino nel
coordinare corpo e materiale sonoro prodotto con
l’elemento liquido. L’integrazione
corpo/strumento della performance non è che il
primo passo verso una vera e propria
teatralizzazione dell’esecuzione musicale: ai
confini col teatro è infatti il pezzo
dell’americano Casey Cangelosi, giovane
percussionista compositore, “the voice of a new
generation”, come viene definito oltreoceano .
Il suo brano , proposto ieri sera è tra i suoi
più riusciti: “Bad Touch”, per percussioni e
nastro magnetico. L’esecuzione si colloca già in
un’ambientazione teatrale: sul palcoscenico cala
il buio, che lascia vedere solo le bacchette
illuminate tenute in mano dall’esecutore,
pressoché invisibile. L’interprete muove le
bacchette, ma non suona, il suo si fa gesto di
un attore che muove nello spazio la bacchetta,
accompagnando, ‘recitando’ gli eventi sonori del
nastro magnetico, in un’atmosfera inquietante e
surreale, generata dal mix di suoni elettronici,
frammenti di frasi pronunciate da voci umane
registrate, e schemi ritmico-musicali, il tutto
proveniente da un misterioso mondo di tenebre.
La qualità interpretativa di un brano come
questo, senz’altro il più ‘sperimentale’ della
serata con quello di Tan Dun, si misura sulla
capacità di associare e gestire
contemporaneamente, tutte queste diverse e
frammentarie componenti. E, ancora una volta, ci
pare che Rubino abbia assolto al meglio il suo
compito. Caratteristica immancabile nei
programmi proposti da Rubino è la combinazione
della musica moderna e contemporanea con la
tradizione, naturalmente ‘riletta’ nel
linguaggio delle percussioni. E simbolo quasi
archetipico della tradizione è per Rubino J.S.
Bach, ieri sera presente con la sua gloriosa
Ciaccona dalla Partita n.2 BWV 1004, nella
trascrizione per vibrafono del chitarrista e
compositore argentino Eduardo Eguez. Cosa lega
la sperimentazione più ardita, alle frontiere
del rumore e dell’impulso ritmico allo stato
puro e l’armonia del contrappunto barocco?
Rubino risponde, presentando al pubblico questa
Ciaccona, che proprio la trascrizione di
composizioni del passato, in particolare
dell’età barocca, consente di valorizzare la
dimensione armonica e melodica delle
percussioni, oscurata dall’uso che ne ha fatto
la musica contemporanea, privilegiandone la
dimensione ritmico-percussiva. Ciò vale
naturalmente soprattutto per quegli strumenti
dotati di una potenzialità armonica
significativa, e di un suono, come ad es. il
vibrafono. Nonostante la nostra idiosincratica
freddezza per le trascrizioni, dobbiamo
riconoscere che questa Ciaccona in versione per
vibrafono non ci ha disturbato, anzi, l’abbiamo
ascoltata non senza piacere. Tra l’altro non è
una semplice trascrizione a stretto rigor di
termini, perché la parte ‘reale’, cioè
l’originale bachiano, è stata riservata alla
mano destra, mentre per la sinistra è stato
scritto una specie di basso continuo. A parte la
funambolica bravura di Rubino nel padroneggiare
tutte le possibilità offerte dallo strumento, di
cui si è fatto cenno sopra, è stato decisamente
interessante il colore particolare del suono, un
timbro scuro, ma caldo e smaltato in campiture
brillanti, che trasporta il capolavoro bachiano
in un mondo sonoro certo lontanissimo da quello
originario del violino, eppure non privo di una
sua suggestione, evocatrice di certe atmosfere
barocche virate sul grave e sul funebre. Il
programma del concerto vedeva alla conclusione
le “Asventuras per rullante (cioè tamburo)solo”
del tedesco Aleksej Gerassimov: coetaneo e amico
di Rubino e con lui uno dei giovani
percussionisti di più ardito virtuosismo, nonché
compositore, di oggi. Rubino ha suonato il pezzo
dell’amico come una sorprendente ricerca dei più
diversi colori e suoni di cui è capace la
membrana di un tamburo. Dopo una breve
introduzione affidata alla percussione delle
sole bacchette, Rubino si è avventato sul
rullante investendolo con ritmo frenetico e
vorticoso che, ora con le bacchette, ora con una
spazzola, ora con la nuda mano, ora infine, con
mallet da timpani, esplorando le diverse zone
dello strumento, ne ha ricavato una
straordinaria varietà timbrica, unita ad una
gestione davvero ammirevole, delle dinamiche,
dal pianissimo, ai confini del silenzio, al
fortissimo. Nei momenti di più vertiginosa
rapidità, Rubino ci ha fatto venire in mente ciò
che a suo tempo si diceva di Liszt, cioè che
sapesse suonare il pianoforte…con tre mani. Il
pubblico in sala, meno numeroso del solito
(evidentemente qualcuno, per il quale la storia
della musica finisce con l’anno 1899, si sarà
spaventato leggendo il programma) ha salutato
con entusiasmo questo bellissimo concerto,
spellandosi le mani in fragorosi e prolungati
applausi, ricompensati da Rubino con un bis: un
altro pezzo di Curtoni per vibrafono e voce su
un testo poetico della Gualtieri, bello e
struggente. Serata memorabile, che sommessamente
auspichiamo non resti senza seguito.(Foto
di M.Reggreve Uff.Stamapa di Vercelli)
24 aprile 2022 Bruno Busca
Il Triplo Concerto di
Beethoven con
Francesca Dego, Edgar Moreau e Filippo Gorini
Una serata di particolare
interesse quella di ieri sera in Auditorium con
la Sinfonica Verdi e il direttore musicale Claus
Perer Flor. Particolarmente attrattivo il brano
di L.v. Beethoven con il suo Triplo concerto
in Do maggiore per, violino, violoncello e
pianoforte op.56, interpretato
da
tre giovani solisti affermati internazionalmente
quali la violinista Francesca Dego, il
violoncellista Edgar Moreau ed il pianista
Filippo Gorini. Una composizione, quella del
genio tedesco, concepita tra il 1803 e il 1804,
con frangenti di altissima qualità espressiva,
dove il concertato tra i tre solisti
protagonisti raggiunge alte vette espressive.
L'ottima direzione di Flor e l'avvincente
restituzione orchestrale dell'Orchestra Verdi,
ha esaltato gli interventi solistici con un
violino, quello della Dego, perfettamente
integrato con gli altri due strumenti e con
rilevanti interventi solistici; con un
violoncello, quello di Moreau, voluminoso e
melodicamente efficacissimo e con un pianoforte,
quello di
Gorini,
preciso e controllato nella perfetta sincronia
d'intervento. L'unità d'intenti del trio e la
resa complessiva hanno contribuito a rendere il
concerto di alto livello espressivo. Il pubblico
presente ha apprezzato l'esecuzione tributando
al termine calorosi applausi e determinando le
numerose uscite in palcoscenico dei
protagonisti. Bellissimo il bis concesso dai tre
virtuosi con un brano di Schumann dai Pezzi
fantastici, il n.3, Duetto. Il
concerto beethoveniano era stato anticipato da
un cameristico lavoro di Mozart: la Serenata
n.10 in Si bem. maggiore K361 "Gran Partita".
Sette movimenti interpretati molto bene da
undici strumenti a fiato e da
un
contrabbasso, tutti strumentisti della Verdi.
Un'esecuzione accurata, nel tipico stile
d'intrattenimento del genio salisburghese, per
un brano concepito intorno al 1783. Applausi
sostenuti. Questa domenica alle 16.00 la
replica. Prossimo concerto invece per il 28
aprile, con repliche il 29 e il primo maggio. In
programma le ultime tre sinfonie di Mozart. Da
non perdere.
23 aprile 2022 Cesare Guzzardella
Ingrid Fliter diretta
da George Pehlivanian
in Chopin
Il concerto di ieri sera al
Dal Verme con l'Orchestra de I Pomeriggi
musicali ha trovato sul podio il direttore
libanese George Pehlivanian per due brani,
differenti per stile, di due
compositori
legati al mondo francese quali Fryderyc Chopin e
Francis Poulenc. Il grande polacco ottenne la
cittadinanza francese nel 1835 e il secondo,
parigino doc, è certamente uno dei principali
musicisti francesi del '900. Il Concerto n.1
per pianoforte ed orchestra in mi minore op 11
di Chopin, tra i più eseguiti al mondo, è
stato sostenuto al pianoforte da una chopiniana
quale l'argentina Ingrid Fliter. La Fliter nel
lontano 2000 vinse infatti il secondo premio al
Concorso Internazionale "F.Chopin" di Varsavia,
avviandosi ad una brillante carriera
concertistica incentrata soprattutto
sulla
musica di quel grande compositore. Notevole la
disinvoltura della Fliter nell'interpretare i
tre movimenti dell' op.11. Elastica, grintosa,
espressiva e corretta nell'esprimere le
timbriche, dando il giusto peso alle note per
difinire l'adeguato equilibrio complessivo. La
pianista ha trovato un ottimo appoggio dalla
valida direzione di Pehlivanian e dai morbidi
timbri dell' orchestra de I Pomeriggi.
Momento di maggiore intensità espressiva nel
movimento centrale Romanza.Larghetto e
massima estroversione e brillantezza nel
Rondò.Vivace del finale. Applausi sostenuti
e due i bis concessi dalla Fliter con due tra i
più
noti
Valzer di Chopin eseguiti con meditata intensa
espressività. Dopo il breve intervallo la
Sinfonietta FP 141 di Poulenc ha cambiato
completamente il clima musicale. Dal deciso
romanticismo al variegato neoclassicismo, con
questo creativo lavoro ricco di fantasia e di
trovate timbriche, per un brano che si esegue
raramente pur essendo di notevole efficacia
musicale. Di qualità l'interpretazione
ascoltata. Sabato alle ore 17.00 si replica. Da
non perdere.
22 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
SABATO A
VERCELLI: UN PASSO OLTRE- LE PERCUSSIONI DI
SIMONE RUBINO AL TEATRO CIVICO
Senza
innovazione non ci sarebbe la musica. Anche ciò
che oggi è considerato “classico” un tempo è
stato “moderno”, e la sua modernità ha sorpreso,
stimolato, magari scandalizzato ma spinto a fare
un passo avanti. È questo lo spirito di una
delle serate più importanti di questo XXIV
Viotti Festival, quella di sabato 23 aprile,
quando
al Teatro Civico di Vercelli (ore 21, concerto
in abbonamento) sul palcoscenico sarà unico
protagonista il giovane percussionista
– piemontese
di nascita e ora acclamato in tutto il mondo
– Simone
Rubino. Un concerto molto atteso, eppure capace
di andare al di là delle aspettative, questo di
Rubino. Siamo infatti di fronte non a un pur
bravissimo esecutore, ma a un artista completo e
inesauribile, nel quale la tecnica mirabolante
si sposa a una carismatica presenza scenica. Le
percussioni, un tempo semplice complemento
dell'orchestra, giungono nelle sue mani al
centro della scena, creando un “mondo sonoro”
inatteso, pieno di sfumature e incredibilmente
affascinante. Un mondo che, tratto
caratteristico di Rubino, fa dialogare antico e
nuovo spaziando tra le epoche e gli stili.Il
programma del concerto è dunque un vero e
proprio viaggio di scoperta, a partire
dall'evocativa versione per vibrafono della
Ciaccona di J. S. Bach (la cui polifonia in
fondo si presta ad essere espressa con le
percussioni) fino al Water Spirit di Tan Dun,
nel quale Rubino manipola con vari tipi di
microfono i suoni prodotti da ciotole, bottiglie
e altri oggetti immersi in bacinelle piene
d'acqua. Sarebbe già molto, ma c'è ancora di
più, ovvero le opere di veri virtuosi quali
Alexej Gerassimez, Peter Sadlo (già maestro
proprio di Rubino), Bruce Hamilton e Casey
Cangelosi (definito “il Paganini dei
percussionisti”), nelle quali la musica dal vivo
si sposa spesso alle tracce preregistrate e il
solista dà vita a una vera e propria performance
teatrale. Teatro che ritorna in chiusura, con
Rubino impegnato non solo con le mani ma anche
con la voce in un'opera sviluppata con Lamberto
Curtoni sugli splendidi testi della poetessa
Mariangela Gualtieri.
21 aprile dalla redazione
Micah McLaurin e
Ludovica Rana per la
Società dei Concerti
Un programma incentrato su
Chopin quello ascoltato ieri sera nel concerto
organizzato dalla Fondazione La Società dei
concerti. Il pianista statunitense Micah
McLaurin, ventottenne di Charleston, e la
violoncellista pugliese Ludovica Rana, hanno
completato l'impaginato ufficiale con tre brani
del genio polacco. Nella prima parte della
serata il solo pianoforte dell'eccentrico
McLaurin ha espresso ad introduzione il
Preludio in do diesis minore op.45
seguito
poi dalla corposa Sonata n.2 in si bem.minore
op.35. McLaurin, - artista impegnato anche
nel mondo pop con rilevante presenza sui
"social", pur avendo una solida formazione
classica- ha rivelato una forte personalità,
interpretando con sicurezza e chiarezza
espressiva le note chopiniane. La celebre Sonata
op.35 è stata eseguita con taglio espressivo
sicuro, valido equilibrio nei quattro movimenti
e adeguata personalizzazione. Il frangente più
coinvolgente è stato probabilmente il terzo
movimento Lento, la nota Marcia
funebre, una sezione importante del lavoro,
dove l'interprete ha esaltato bene le evoluzioni
dinamiche nei momenti più intensi ed
espressivi
con eccellenti crescendo; poi un chiarissimo
conclusivo Finale.Presto, il frangente
più "moderno" della produzione chopiniana. Dopo
il breve intervallo, la rara Sonata in sol
minore op.65 per violoncello e pianoforte ha
trovato Ludovica Rana in eccellente equilibrio
con la rilevante parte pianistica di McLaurin.
Per l'occasione McLaurin ha cambiato l'abito di
scena. La coinvolgente discorsività del brano
composto da Chopin nel 1845-46 e dedicato
all'amico cellista Auguste Franchomme, è stato
ben sostenuto nella rilevante componente
melodica della espressiva violoncellista, per
un' integrazione di ottima fattura in tutti i
quattro movimenti. Applausi convinti dal
numeroso pubblico intervenuto in Sala Verdi e
tre i bis concessi: prima un intenso brano di
Bach da una Suite per violoncello solo ben
interpretato dalla Rana, poi il solo pianoforte
di McLaurin con un suo originale e virtuosistico
arrangiamento su temi della pop-star Lady Gaga;
a conclusione il duo in un eccellente
Rachmaninov col celebre Vocalise.
Successo meritato.
21 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
IL MAESTRO P. ORIZIO E GUIDO
RIMONDA CON LA CAMERATA DUCALE A VERCELLI
Il concerto del Viotti
Festival di Vercelli
programmato in un primo tempo per tre settimane
fa, per cause di forza maggiore si è dovuto
rinviare a ieri sera, sabato 16 aprile,
sull’abituale palcoscenico del Teatro Civico, in
un recital che vedeva l’orchestra della Camerata
Ducale per l’occasione diretta dal Maestro
Piercarlo Orizio con Guido Rimonda nelle vesti
di violino solista. Il programma proposto per la
serata è stato davvero un bellissimo uovo di
Pasqua, pieno di graditissime ‘sorprese’, vale a
dire di brani quasi tutti di non frequente
esecuzione, tra i quali uno è stato una vera
chicca, per rarità e interesse, di quelle che
non di rado l’orchestra vercellese offre al suo
devoto pubblico: non l’ultimo dei motivi per cui
si fa tanto apprezzare!. Il concerto si è aperto
e si è chiuso all’insegna di Schubert: il primo
brano impaginato era infatti, dalle “Musiche di
scena per Rosamunde regina di Cipro”,
l’”Entr’acte (cioè una composizione di raccordo
tra una scena e l’altra del testo teatrale) n.3,
in Si bem. maggiore. La
melodia
principale di questo breve pezzo è celeberrima,
resa nota da altre due famose opere in cui
Schubert la riprese: l’Andante del Quartetto in
La min. D. 804 (alquanto liberamente) e
soprattutto quel gioiello che è l’Impromptu
pianistico D.935, ove è ripresa tal quale. Ma
l’Entr’acte dalla Rosamunde, in cui quella
melodia sbocciò per la prima volta come un fiore
miracoloso, non è di frequente esecuzione. La
direzione di Orizio ha restituito questo brano
un po’ misconosciuto’ in tutto l’incanto della
sua freschezza: l’Andantino dell’Entr’acte ,
sotto la bacchetta del direttore bresciano, ha
incantato per la raffinatissima scrittura
orchestrale, colla sua inconfondibile timbrica
schubertiana, fatta di impasti delicati e caldi
affidati al vario gioco degli archi e dei fiati,
ma sempre come velata da una sottile nota di
infinita malinconia, che il Maestro ottiene con
il sapiente chiaroscuro delle dinamiche e lo
stacco adatto dei tempi. Aperta e gustata come
si doveva questa prima sorpresa dell’uovo
pasquale confezionato dalla premiata ditta
Rimonda-Orizio, eccoci subito alla supersorpresa
della serata: un brano di Beethoven, crediamo,
poco conosciuto anche ai più assidui
frequentatori delle sale da concerto, un’opera
fuori del catalogo ‘ufficiale’ delle
composizioni beethoveniane, privo di numero
d’opus e scritta da un ‘protobeethoven’
giovanissimo, ancora a Bonn, intorno al 1790,
prima del gran ‘salto’ in quel di Vienna: si
tratta del “Concerto per violino e orchestra in
Do maggiore” WoO 5, in realtà un ampio
frammento, le circa 250 battute del Primo Tempo
in Allegro di quello che sarebbe dovuto essere
il primo concerto per violino di Beethoven e poi
lasciato incompiuto, in quella sorta di ‘torso’
musicale che ce ne è rimasto. Esistono di questo
pezzo lasciato bruscamente interrotto
registrazioni discografiche, che lo completano
con tanto di cadenza e coda, ma Orizio e Rimonda
hanno fatto benissimo, a nostro avviso, a
eseguirlo così come ci è effettivamente stato
lasciato: nel suo stato di frammento mutilo, una
sorta di michelangiolesco ‘non finito’. Si
tratta di un brano di notevole interesse, in
quanto anticipa alcune caratteristiche del
futuro stile violinistico maturo del Maestro di
Bonn. Questo Beethoven ancor ventenne è già
chiaramente al di là di Mozart: se ne è staccato
per una concezione più monumentalmente sinfonica
del concerto, per una superiore ricchezza e
varietà nell’armonia e soprattutto per una
energia e ricchezza di virtuosismo nel
trattamento del violino, quasi invadente nella
sua esuberanza. Oseremmo dire che in alcuni
momenti, più che Mozart Beethoven tenga presente
il nostro Viotti, considerandolo, a quel tempo,
modello più ‘moderno’ e attuale di quello del
cigno salisburghese. Possiamo dunque dire che
Rimonda, oggi il più autorevole interprete e
studioso di Viotti, non solo in Italia, abbia
‘giocato in casa’ nell’eseguire questo brano di
Beethoven: eccellente nell’esecuzione tanto dei
momenti più cantabili, quanto in quelli di più
intensa assertività, con la solita olimpica
sicurezza nel dominio delle parti più improntate
al virtuosismo, Rimonda svariava anche su una
tavolozza di colori ampia e cangiante,
dall’intenso lirismo realizzato con una cavata
calda e morbida, a una più cupa e fremente
energia cui davano voce adeguata i registri più
gravi del suo ‘Noir’. In questo abbozzo di
concerto, l’orchestra si integra col violino in
un costante dialogo, gestito al meglio dalla
Camerata Ducale sotto la guida inappuntabile di
Orizio. Il terzo uscito dall’uovo di Pasqua
offerto ieri sera al pubblico vercellese, un
pezzo ‘minore’ e perciò anch’esso non molto
frequentato di P.I. Ciajkovskij: la Sérénade
mélancolique op.26, brano concertante per
violino e orchestra.
Non
fa certo gridare al capolavoro, ma è senz’altro
un’opera di piacevole ascolto, in cui lo
strumento solista svolge un ruolo essenziale per
conferire all’insieme un tono di soffusa e
pacata cantabilità. Il dialogo tra orchestra e
solista tocca il suo punto più alto proprio in
apertura di pezzo, quando all’introduzione
orchestrale breve, di colore livido e gravido di
inquietudine, con forte presenza degli archi
gravi, segue la voce del violino, appena
scurita, che attacca un canto di, appunto,
malinconica elegia, il tema principale del breve
brano: Rimonda sa far cantare meravigliosamente
il suo strumento, dando al suono dolcezza e
cullante mestizia. Poi, come uno scatto
improvviso, dalle quattro corde spicca il volo
un secondo canto, diverso, più luminoso, che
quando viene ripreso successivamente coi suoi
trilli sembra evocare il libero volo di un
fragile uccello, che pare voler fuggire
l’ostinato ripetersi, ad opera dell’orchestra,
del malinconico tema principale, con cui si
conclude mestamente la Sérénade: bravissimi,
ancora una volta Rimonda e Orizio nel dare voce
e colore a questo intrecciarsi di stati d’animo,
di sentimenti, trovando sempre l’intensità di
suono, il timbro, i tempi e le dinamiche
adeguate. Un po’ più noto è il quarto pezzo in
programma, l’Ave Maria di Bruch, in realtà, ieri
sera, presentata come la trascrizione di una
trascrizione. L’Ave Maria nasce come
trascrizione per violoncello e orchestra, ad
opera dello stesso Bruch, della c.d. ‘Scena
della preghiera’ dal suo oratorio “La croce di
fuoco”. Ieri sera ne abbiamo ascoltato la
trascrizione per violino e orchestra. L’Ave
Maria di Bruch è un colloquio dell’anima col
divino espresso con il suono in luogo della
voce. Dopo l’introduzione orchestrale che
prepara con il suo ritmo grave e solenne il
momento sacro, ecco la voce del violino che dopo
una prima sezione, un cantabile pacato e di
sonorità densa, suonata benissimo da Rimonda,
che esprime una volontà di pace dello spirito,
si fa inquieta e agitata, quasi drammatico
anelito al cielo e alla salvezza, che il violino
esprime con improvvisi movimenti di rapide scale
discendenti e ascendenti, di tempi rapidissimi e
sovracuti. Il ritorno alla prima sezione della
preghiera, in cui l’orecchio coglie benissimo
l’illuminarsi del passaggio dal minore al
maggiore, non è però totalmente privo di
inquietudine, come suggerisce un brusco
passaggio di ottave nel violino e una
martellante serie di accordi ribattuti del
“tutto” orchestrale, prima che la preghiera si
plachi finalmente nel suo esito rasserenante.
Ancora una volta, eccellenti Rimonda e Orizio
nell’intesa solista-orchestra, nella scelta dei
tempi e nei risultati raggiunti nella ricerca
dei colori e delle dinamiche. A confermare
l’impressione che la musica da film si sia ormai
conquistata un suo posto nei recital di musica
‘classica’, sta il bis concesso da Rimonda e
Orizio: un brano da una delle più note colonne
sonore mai scritte, tanto da avere un suo
titolo, indipendente da quello della pellicola
per cui fu composta: “Smile”, scritta da Charlie
Chaplin nel 1936 per il suo film “La vita è
bella”. In chiusura un’opera di immensa
celebrità, uno dei capolavori assoluti di
Schubert, la Sinfonia n.8 in si min.
universalmente nota come l’Incompiuta. E’ stato
giustamente osservato più volte, come
l’Incompiuta segni l’approdo di Schubert, nel
genere della sinfonia, ad una completa maturità,
emancipata con grande originalità da qualsiasi
modello, a partire da quello beethoveniano.
Eppure, qualcosa dell’empito eroico
beethoveniano, e qualcosa anche di quella
grandiosa unità che caratterizza la Quinta di
Beethoven, ci pare di riconoscerle, sia pur
riespresse con tutt’altro stile compositivo, in
questa creazione schubertiana, tra le più
perfette che la storia della musica conosca.
Diciamo questo perché l’interpretazione di
Orizio, bellissima, ci è parsa valorizzare
precisamente uno Schubert, che, in particolare
nel primo tempo, per drammaticità ed
inquietudine e per trascinante energia eroica,
specie nello sviluppo e nella coda, non sarebbe
neppur pensabile senza l’esperienza
beethoveniana. Quello che più si ammira nella
direzione di Orizio è la cura precisa del
dettaglio timbrico: nessuna voce strumentale è
mai oscurata dal possente magma sonoro del primo
tempo, tutti gli strumenti sono fatti suonare
magnificamente, dai violoncelli e poi violini
che con sfumata malinconia espongono il secondo
tema, come il ricordo lontano di una danza, al
trasognato impasto dei legni cui è affidato il
motivo precedente, agli ottoni, in particolare
ai tre tromboni che nello sviluppo hanno
addirittura parti melodiche. Sempre valida la
scelta delle dinamiche, raffinata nel conferire
il ‘respiro’ giusto all’andamento discendente
che caratterizza tutti i principali temi e
motivi di questa parte dell’Incompiuta. La
bacchetta di Orizio evoca nel secondo tempo, con
altrettanta bravura, l’atmosfera di mesta
rassegnazione che lo impronta: sotto la
bacchetta del Maestro bresciano il suono dei
vari strumenti si fa più leggero, al limite
dell’arabesco, come quella distesa melodia,
prima al clarinetto, poi all’oboe che è il
secondo tema, o l’indimenticabile pianissimo su
cui si spegne il tempo e la sinfonia. Esecuzione
tra le più belle da noi ascoltate negli ultimi
anni di questa meraviglia musicale, degna
conclusione di una serata musicale di grande
qualità, che ha meritato i lunghi applausi del
numeroso pubblico in sala.
17 aprile 2022 Bruno Busca
Presentato alla Scala il
nuovo libro di Francesco Maria Colombo:
L'Aristocratico di Leningrado
L'Aristocratico di Leningrado
- Viaggi tra musica, arte, cinema, letteratura,
fotografia e cocktail, il nuovo libro di
Francesco Maria Colombo è stato presentato al
Ridotto Arturo
Toscanini
del Teatro alla Scala. Colombo è direttore
d'orchestra, giornalista, fotografo, romanziere,
esperto di cocktail e con infiniti altri
interessi. Ha parlato della sua nuova opera
letteraria, in questo speciale tardo pomeriggio
promosso dagli Amici della Scala e dalla casa
editrice Ponte alle Grazie,
insieme
al compositore Filippo del Corno e al musicologo
Emilio Sala. La nota diffusa in rete dice questo
"Questo libro racconta di arte e di artisti:
è la risposta più semplice a chi si chiedesse
cosa troverà in queste pagine. Più precisamente
potremmo parlare, con la terminologia di Walter
Benjamin, di una passeggiata tra costellazioni.
Le stelle sono le arti, gli artisti e le loro
creature; e a mostrarci le costellazioni che li
uniscono, tra un segreto svelato e un gioco del
caso, è l’autore: che ci guida a fare, con i
nostri occhi e le nostre orecchie, le sue stesse
scoperte. Billy Wilder e il Tristano, Rodenbach
e Vertigo di Hitchcock, Karajan e Brigitte
Bardot,
Šostakovič e Truffaut, Nabokov e Brassens: che
cosa li collega? Mentre osserviamo una nuova
costellazione ci sembra di sentire quella
musica, di leggere quelle pagine, di guardare
quel film, di ricordare quella fotografia. Non
di rado, la notte delle costellazioni si
rovescia in un sottosuolo doloroso. Ma intanto
sotto quel cielo abbiamo passeggiato, in buona
compagnia".
14 aprile 2022
C.G.
ll pianista Seleem
Ashkar per la Società
dei Concerti
Il pianista israeliano Seleem
Ashkar ha finalmente potuto riprendere i
concerti milanesi dopo i continui rimandi degli
scorsi anni per motivi legati alla pandemia.
Ieri sera, in Conservatorio,
nella
riuscita serata organizzata dalla Società dei
Concerti, ha impaginato un programma
incentrato su Beethoven con due sue corpose
sonate, ma con anche due brani romantici di
Chopin e di Brahms: la Ballata n.3 op.47
del primo e le Due Rapsodie op.79 del
secondo. Il Beethoven di Ashkar è certamente di
ottima fattura: energico, estremamente
equilibrato nella stesura dei movimenti, e
completamente interiorizzato per una
restituzione di alto profilo tecnico-espressivo.
Sia la Sonata in do maggiore op.2 n.3,
eseguita all'inizio della serata, che la celebre
"Appassionata", in fa minore op.57,
terminante il programma ufficiale, hanno trovato
un interprete determinato nella fluente
discorsività di lavori tra i suoi favoriti e nei
quali eccelle. Bene anche i brani degli altri
due
compositori.
Probabilmente meglio la risoluta espressività di
Brahms con le architetture ben delineate delle
due ampie Rapsodie, entrambe con deciso taglio
esecutivo ricco d'intensità, rispetto uno Chopin
che, se pur ben delineato nella sua esposizione,
non ha trovato quel gusto tipico dei grandi
interpreti storicizzati o viventi, soprattutto
ma non solo polacchi. Ottimo il bis concesso con
il celebre Träumerei di Robert Schumann,
settimo brano dalle Kinderszenen Op.15. Applausi
calorosi del pubblico presente in Sala Verdi
ampiamente meritati.
14 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
Danilo Rea e
Ramin Bahrami al Teatro Parenti per FRO
Un concerto particolare
quello di ieri sera al Teatro Parenti. Due noti
musicisti, il pianista classico Ramin Bahrami e
quello jazz Danilo Rea, hanno trovato un punto
d'unione nel nome di J.S.Bach. Conosciamo il
Bach di Bahrami, un ottimo interprete che ha
fatto del grande
genio
tedesco una ragione di vita nella costante
interpretazione delle sue immense opere. Danilo
Rea è tra i più affermati jazzisti italiani con
studi musicali classici e con indubbie capacità
d'improvvisazione. È proprio sulla componente
dell'improvvisazione che è nato "Bach is in
the air", uno spettacolo dove i più celebri
brani di Bach, a partire dalla celebre Aria
dalle
Variazioni Goldberg, sono eseguiti
classicamente, come da spartito da Bahrami, e
hanno trovano varianti con spunti jazzistici
nelle mani di Rea. Il risultato , che potrebbe
far rimanere basiti i puristi di Bach, trova
invece una resa estetica interessante dal punto
di vista della creatività musicale, con
frangenti di particolare luminosità.
L'impaginato dopo l'introduzione dell'Aria,
prevedeva brani
tra
i più celebri del grande tedesco, come il
Preludio iniziale dal Clavicembalo ben
Temperato, l'Aria sulla quarta corda, la
nota Siciliana e moltissimi altri. Le
varianti melodiche e armoniche estemporanee di
Rea, o l'inserimento improvviso di brevissimi
spezzoni di melodie molto popolari - c'era anche
Gershwin con Summertime- hanno spesso stravolto
l'integrità bachiana per un Bach-Rea a volte di
luminosa leggerezza, a volte di brutale
integrazione, comunque interessante nella
proposta complessiva. Il numeroso pubblico
presente in teatro ha molto apprezzato
l'originale proposta dei due pianisti in una
serata ben organizzata introdotta e
animata
da Max Laudadio a favore di FRO - Federazione
radioterapia oncologica- , da oltre trent'anni
vicina ai pazienti oncologici ( www.fro.care
). Sul palco anche il prof.lorenzo Livi, punto
di riferimento per la Radioterapia Oncologica e
altri ospiti che hanno sostenuto l'attività di
FRO. Chi volesse sostenere FRO può fare un
versamento su IBAN IT 29 O
0892270372000000413411 o per il 5x1000 al C.F.
94023880480
13 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
Luisa Sello e Le Agane
al Museo del Novecento
Continuano i pomeriggi
musicali organizzati al Museo del Novecento
milanese. In Sala Fontana alle ore 17.00, un
interessantissimo concerto con un gruppo di sei
flautiste, quelle di
Luisa
Sello e de Le Agane, hanno interpretato
brani di nove musicisti. Ma non è un concerto di
soli brani quello cui abbiamo assistito: è un
lavoro di teatro e danza, dove la musica ha
certamente un ruolo essenziale, ma trova una
logica unitaria d'insieme con tutte le
componenti artistiche presenti, a cominciare dal
racconto sulle Agane. Sono personaggi mitologici
particolarmente noti in Carnia, come spiriti dei
corsi d'acqua, che a volte si trasformano in
fate o in streghe. Sono state raccontate da
Luisa Sello, nota flautista internazionale e
ideatrice del riuscito spettacolo. Rendono ancor
più accattivante la messinscena le coreografie,
con passi di danza sostenute
dalle
sei flautiste e ideate da una di esse - Ilaria
Prelaz-, e i costumi, cinque neri e uno blu-
quello della Sello- , spesso integrati con
vivaci foulard e con colorate maschere. Flauti,
flauti in sol, ottavino, flauti basso, hanno
suonato insieme o in alternanza, fermi o in
movimento, unendo brani
contemporanei, ricchi di effetti coloristici, ad
altri più "classici" dal sapore antico. Si sono
succeduti brani di Berthomieu, Baratello,
Bichof, Clark, Corazza, Piazzolla, Selby,
Zanettovich e uno della stessa Luisa Sello
denominato Echi. Esecuzioni raffinate, da
perte delle protagoniste, che hanno rivelato un
alto livello tecnico interpretativo,
sia
individualmente che coralmente. La Sello, a
conclusione del pomeriggio musicale, ha voluto
presentare le più giovani compagne d'avventura,
Le Agane
nei nomi di Sara Brumat, Veronica Bortot,
Ksenija Franeta, Tijana Krulj, Ilaria Prelaz.
Due i bis concessi con uno struggente "Il
signore delle cime" di Giuseppe De Marzi e
il celebre Libertango di Astor Piazzolla,
ben arrangiato per sei flauti. Fragorosi
applausi al termine per uno spettacolo
particolarmente originale e certamente di
qualità.
13 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
PROSSIMAMENTE GRANDE SOIRÉE
AL CIVICO: GUIDO RIMONDA DIRETTO DA PIER CARLO
ORIZIO
Sabato 16 aprile 2022 al
Teatro Civico di Vercelli , Via Monte di Pietà
15, ore 21 Guido Rimonda al violino e Pier Carlo
Orizio alla direzione dell' Orchestra Camerata
Ducale eseguiranno musiche di F. Schubert , L.
van Beethoven, P. I. Čajkovskij
e M. Bruch Certe volte
vale
la pena aspettare. Esempio ideale è
l'appuntamento che il XXIV Viotti Festival,
aveva in programma per lo scorso 26 marzo e che
purtroppo è stato rinviato a sabato 16 aprile,
sempre al Teatro Civico di Vercelli. Ne è valsa
la pena, si è detto, perché protagonisti saranno
Guido Rimonda, ovvero il solista residente e
fondatore del Festival, un direttore d'orchestra
d'eccezione come Pier Carlo Orizio e,
naturalmente, l'Orchestra Camerata Ducale,
“colonna” della rassegna concertistica
vercellese. La serata sarà aperta e chiusa da
Schubert: allo splendido ma poco eseguito terzo
Entr'acte da Rosamunde “risponderà” idealmente
la celebrata Incompiuta, vero manifesto della
poetica schubertiana il cui finale mai scritto
si dice confluì proprio in un altro brano di
Rosamunde, in un intreccio il cui mistero forse
non sarà mai chiarito. Tra queste due ammalianti
pagine, il pubblico potrà scoprire il fascino di
un'altra opera incompiuta, ossia il Concerto WoO
5 di Beethoven, ma anche lo struggente lirismo
della Sérénade Mélancolique di Čajkovskij e la
sospesa perfezione dell'Ave Maria di Bruch,
della quale l'autore fu
tanto soddisfatto da separarla dalla
composizione di cui faceva parte – La croce di
fuoco – e
pubblicarla come pagina autonoma.
All'ascolto, una scelta che si rivela quanto mai
condivisibile. (Foto Orizio da Ufficio Stampa di
Vercelli)
13 aprile Dalla
redazione
DA VIVALDI A
MORRICONE AL
VIOTTI FESTIVAL DI VERCELLI
Ieri sera, Sabato 9 aprile,
il nuovo appuntamento al Teatro Civico di
Vercelli con il Viotti Festival, organizzato
dalla Camerata Ducale, prevedeva un recital
cameristico, con un duo violoncello-pianoforte
formato da due strumentisti francesi di ormai
consolidata fama internazionale: il giovane
violoncellista (26 anni) Edgar Moreau,
vincitore, tra l’altro di un prestigioso premio
Rostropovic e il pianista David Kadouch, che a
soli tredici anni suonava già al Metropolitan di
New York. Il programma impaginato per
l’occasione si caratterizzava per la varietà
stilistica, cronologica e di ‘genere’ delle
composizioni proposte: da due sonate barocche,
una di Vivaldi, la n. 5 in Mi minore delle 6
dell’op. 14 RV 40, e una di Benedetto Marcello,
la n.1 op.2 in Fa maggiore, proseguendo con la
Suite italienne n.1 di Stravinsky ( eseguita
però come seconda composizione della serata) che
il compositore russo-americano trasse nel 1932
dai brani più famosi del balletto Pulcinella,
trascrivendoli per violoncello e pianoforte e
per concludere con Paganini, di cui si è
eseguita la famosa “Sonata a preghiera” vale a
dire l’Introduzione e Variazioni sulla quarta
corda in Fa minore sul tema ‘Dal tuo
stellato
soglio’ dal Mosé di Rossini, concepita
originariamente per violino solo e orchestra da
camera, ma che poi, dato il successo, ha avuto
diverse trascrizioni, tra cui quella per
violoncello e pianoforte ascoltata ieri sera.
Tra Stravinsky e Paganini Moreau e Kadouch hanno
inserito la versione per violoncello e
pianoforte di brani di tre delle più celebri
musiche da film composte da Ennio Morricone:
quelle per i film “C’era una volta il West”,
“Mission” e “Nuovo cinema Paradiso”. Ci pare
evidente l’idea di musica che ispira un tale
programma, un’idea che ha dominato per quasi due
millenni la musica occidentale profana, cioè
quella di una musica concepita come
intrattenimento, nel senso più nobile del
termine, sia come piacevole appagamento
dell’udito, gradevole flusso di sensazioni
sonore, grazie ad una forma elegante e di
gradevole e raffinata melodiosità e armonia, sia
come esibizione delle capacità virtuosistiche
dell’esecutore. Un’idea di musica che,
intendiamoci, non viene meno con la rivoluzione
romantica che attribuisce alla musica un
significato totalmente nuovo e di abissale
profondità nella vita spirituale dell’uomo, anzi
può affiorare ancora in pieno ‘900, ad es. in
alcuni momenti del neoclassicismo stravinskiano
del “Pulcinella”, che nasce proprio
dall’incantata riscoperta di quel mondo sonoro
di dolce eleganza della musica settecentesca
italiana di Pergolesi (o presunto tale).
Insomma, per citare le parole di Busoni,
riportate nel programma di sala, “Non sentimento
o metafisica, ma musica al cento per cento”. In
tale quadro può rientrare più che legittimamente
la musica da film, destinata ad accompagnare le
immagini e il racconto del genere di spettacolo
d’intrattenimento più tipico della modernità, il
cinema. E i due interpreti hanno perfettamente
dato voce a questa musica “al cento per cento”,
entrambi, ciascuno col proprio strumento,
distinguendosi per un suono di trasparente e
soave leggerezza, per una limpida dolcezza della
cavata melodica, per un suono, insomma
tipicamente ‘francese’, nella sua luminosa
chiarezza. Il ruolo di primo piano della serata
è naturalmente toccato a Moreau. Moreau è un
violoncellista di notevole spessore
interpretativo, capace di dare voce a mondi
sonori molto diversi tra loro: molto bella
l’interpretazione delle sonate ‘da chiesa’ (cioè
con lo schema di successione dei tempi Lento,
Allegro, Lento, Allegro) di Vivaldi e Marcello,
in cui la morbida e delicata cavata del giovane
Maestro francese ha saputo dare pienamente voce,
specie nei due tempi lenti, a quel carattere
‘amorevole e lamentevole’, che secondo il
compositore secentesco Charpentier sarebbe
proprio della tonalità di mi minore (Vivaldi),
ma vale anche per la composizione di Marcello:
un patetismo tenuto sempre nei limiti di una
impeccabile eleganza formale, con un archetto
che stacca le note, sia nei legati, sia nei
balzati, con ottimo controllo delle dinamiche e
un’arcata melodica di rara fluidità. La
duttilità interpretativa di Moreau appare poi
evidente nella Suite di Stravinsky, dove quell’
ispirazione un po’ grottesca e spiritosa, da
opera buffa, che circola nella Serenata e nel
Finale, trova la sua adeguata espressione nei
pizzicati e nei passaggi rapidi sui registri
bassi, gestiti con notevole abilità, e controllo
efficace dei vari passaggi agogici nel dialogo
con il pianoforte. Infine, con la “Sonata a
preghiera” paganiniana, è emerso in tutta la sua
bravura il Moreau virtuoso, già nella terza
proposta del tema con un ampio ricorso agli
armonici e soprattutto nelle tre variazioni e
nel finale, con una diteggiatura acrobatica su
tempi rapidissimi, salti vertiginosi di ottava e
sovracuti che s’innalzavano ai limiti del
silenzio. Pur svolgendo inevitabilmente un ruolo
non protagonistico, il Kadouch che abbiamo
ascoltato ieri sera ci ha fatto venir voglia di
ascoltarlo da solista: stacca un suono che
unisce perentoria energia e dolce fluidità,
dando alle note, di volta in volta, una delicata
velatura di trasognata malinconia (Vivaldi e
Marcello, il tema della Suite stravinkyana) o la
nettezza allegra del ritmo puntato di una marcia
(il Tempo di marcia, appunto, delle Variazioni
rossiniane di Paganini).E’ stato un ‘partner’
ideale per Moreau, con cui ha mostrato perfetta
intesa. Un breve discorso a parte va riservato
alla presentazione dei brani di Morricone:
niente da ridire sul fatto che la musica da film
entri nelle sale da concerto della c.d. ‘musica
classica’,; del resto avviene ovunque e sempre
più spesso. Semmai ci sarebbe da domandarsi
perché, per quanto ne sappiamo per esperienza
personale, la musica da film sia solo quella di
Morricone e tutt’al più di Rota, quando il ‘900
ci ha regalato tanta altra splendida musica da
film, da Prokofiev a Korngold a Jolivet, tanto
per citare i primi nomi di una folta schiera che
ci vengono in mente. Ma il problema, per quanto
riguarda il recital di ieri sera, non è certo
questo, ma il modo in cui è stata presentata la
musica di Morricone, ovvero in una trascrizione
(ignoriamo se dei due interpreti o di chi altro)
per violoncello e pianoforte. La musica da film,
nella grande maggioranza dei casi e in
particolare nel caso di Morricone, è concepita
per orchestra, vive di effetti orchestrali, il
suo respiro è orchestrale. La suggestione che
emana dalla colonna sonora di “C’era una volta
il West” nasce dalle sempre efficaci e
splendidamente variopinte scelte timbriche di
quel grande allievo di Petrassi che fu
Morricone. Tutto questo mondo sonoro va
fatalmente perdendosi completamente in una
trascrizione per violoncello e pianoforte, fino
a rendere quasi noiosa una musica così
coinvolgente quando è eseguita nella sua veste
originale. A parte questo rilievo, è stato un
bel concerto, applaudito a lungo da un pubblico
accorso numeroso come sempre. Per dovere di
cronaca, va detto che Moreau e Kadouch hanno
regalato al pubblico due bis, che hanno
presentato in inglese, ma di cui non abbiamo
capito, né riconosciuto gli autori. Ce ne
scusiamo con gli eventuali lettori.
10 aprile 2022 Bruno Busca
La Sinfonica Verdi diretta
da Maxime Pascal per
Colasanti, Weill e Bartòk
Tre compositori tra '900 e
contemporaneo sono stati proposti dall'Orchestra
Sinfonica di Milano "G.Verdi", per
l'occasione diretta da Maxime Pascal. Tre brani
che hanno in comune la lontananza dal mondo
romantico e la modernità del nuovo linguaggio
musicale iniziata nel primo decennio del 1900.
Il brano di K.Weill, il Concerto per violino
e orchestra a fiati Op.12 è del 1924, quello
di B.Bartok, Musica per strumenti a corde, a
percussioni e celesta del 1936 e quello
contemporaneo di Silvia Colasanti, Cede
pietati, dolor - Le anime di Medea per orchestra
del 2007. Il primo eseguito in Auditorium
ieri sera, è stato quello della
compositrice
romana. Un lavoro particolarmente espressivo con
un impatto orchestrale ben marcato sin dalle
prime battutte, e una situazione di suggestiva
resa emotiva per le nette e risolute timbriche,
spesso taglienti e ricche di contrasti. In
linguaggio tonale, costruito su linee melodiche
di pochissime note, il brano ispirato dai versi
di Medea di Seneca, ha ancora una volta messo in
rilievo le abilità costruttive della Colasanti,
una tra le più affermate ed eseguite
compositrici italiane e internazionali viventi.
Il successivo brano del sassone Kurt Weill, ha
trovato come protagonista la violinista moldava
Patricia Kopatchinskaja, un'interprete nota
internazionalmente
per
le sue qualità virtuosistiche, soprattutto nel
repertorio novecentesco e contemporaneo, e per
la sua eccentricità che la vede affermarsi anche
gestualmente in modo intelligente, sottolineando
anche mimicamente peculiarità timbriche dei
brani eseguiti. Il concerto di Weill, di rara
esecuzione, è particolarmente interessante per
l'approccio coloristico dell'orchestra a fiati,
il suo utilizzo cameristico con fondamentali
interventi solistici che si sommano o si
alternano al protagonista violino solista
dell'eccellente Kopatchinskaja. I tre ampi
movimenti del corposo lavoro, hanno lo stile
tipico tra espressionismo e Gebrauchsmusik
("musica d'uso") che ha caratterizzato in parte
la musica tedesca di quegli anni con compositori
come appunto Weill e ancor più Paul Hindemith.
L'influenza del cabaret di Bertolt Brecth si
riscontra in lontananza anche in questo lavoro
di Weill con i pregnanti timbri
dei
fiati e gli interventi del violino aiutati dalla
sorprendente gestualità della solista. Ottima,
come nel precedente brano, la direzione del
giovane direttore francese Maxim Pascal, esperto
nel repertorio contemporaneo e del Novecento.
Divertente il bis concesso dalla Kopatchinskaja:
un suo brano per violino e clarinetto dove ha
coinvolto, nel gioco di relazioni timbriche, il
bravissimo Fausto Ghiazza, primo clarinetto
della Sinfonica Verdi. L'ultimo lavoro di Barto ķ,
il brano più celebre, ha
visto ancora un'eccellente direzione e una
ottima resa espressiva in tutte le sezioni
dell'Orchestra Verdi. Applausi del pubblico
intervenuto e replica da non perdere per
domenica alle ore 16.00.
9 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
La violoncellista Julia
Hagen ai Pomeriggi
Musicali
Il concerto de I Pomeriggi
Musicali diretti da James Feddeck prevedeva
tre lavori, il primo di un compositore vivente,
Andrea Melis, classe 1979, era una prima
esecuzione assoluta.
 Composto
per l'Orchestra de I Pomeriggi Musicali,
Visio Maragdina - Quasi una Passacaglia è un
lavoro di circa dieci minuti di durata, dal
carattere riflessivo, sostenuto da note lunghe
che trovano inizialmente la sezione degli archi
più gravi ad enunciare una pacata melodia poi
appoggiata, ripetuta e ampliata delle altre
sezioni dell'orchestra. Una musica d'atmosfera,
in ambito tonale con una coralità che penetra
con facile assimilazione al primo ascolto. Il
brano, ben costruito, è stato apprezzato dal
pubblico che ha tributato applausi anche al
compositore salito sul palcoscenico. Il secondo
brano era probabilmente il più atteso per la
presenza di una giovane solista al violoncello.
Julia Hagen, è un'emergente cellista
ventisettenne nata a Salisburgo. Si è impegnata
nel bellissimo Concerto
per
violoncello e orchestra n.1 in do maggiore
di F.J.Haydn, un lavoro classico di
straordinaria qualità sia nei movimenti
laterali, il Moderato e l'Allegro
molto
finale, sia nella riuscita e pregnante melodia
dell'Adagio centrale. La Hagen ha
espresso con rigore tecnico, ma soprattutto con
elegante espressività, le melodie haydniane
dimostrando un ottimo tocco e una profonda
discorsività nell'esprimere i fraseggi col suo
voluminoso strumento. Splendida l'esecuzione.
Dopo l'intervallo, valida l'interpretazione
della celebre Sinfonia n.3 op.55 "Eroica"
di L v.Beethoven, diretta con piglio energico da
Feddeck per una resa ancor più di valore nell'Allegro
molto. Finale. Fragorosi applausi al
termine. Sabato alle 17.00 si replica. Da non
perdere.
8 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
Il Concerto De' Cavalieri e
Vivica Genaux in
Conservatorio
Un'
eccellente serata musicale quella ascoltata ieri
sera in Conservatorio ed organizzata dalla
Fondazione La Società dei Concerti. Il
gruppo orchestrale
"Concerto De' Cavalieri ",
diretto da Marcello Di Lisa, è tra le formazioni
barocche più apprezzate in Italia e
internazionalmente.
L'ottimo
impaginato prevedeva brani di Corelli, Händel,
Vivaldi, Hasse, Porpora e Brioschi/Hasse. Alcuni
con l'ausilio dello splendido mezzo-soprano
Vivica Genaux. Il Concerto grosso op.6 n.4
di Arcangelo Corelli, due Concerti di
Vivaldi, tra cui quello per Due violini e
archi op.3 n.5 insieme all'Ouverture
da Rinaldo di Händel hanno ben individuato
l'alta cifra espressiva della formazione
cameristica giocata su una raffinata capacità
coloristica prodotta da tutti i bravissimi
strumentisti. In alternanza con i concerti, le
Arie cantate dalla Genaux sono state
Cara sposa dal Rinando di Händel, Son
qual misera colomba dal Cleofide di J.A.
Hasse, Alto Giove
dal
Polifemo di N.Porpora, Lascia che io pianga
ancora dal Rinaldo e Son qual nave da
Artaserse di Brioschi/Hasse. Tutte hanno fatto
emergere la deliziosa vocalità della
statunitense Vivica Genaux. Una voce dove la
perfezione tecnica e l'agilità sono unite ad un
bellezza evidente del suo timbro e ad una
discorsività appassionante. Applausi fragorosi
al termine del programma ufficiale e un bis
altrettanto valido con ancora Antonio Vivaldi e
la sua splendida aria
Agitata da due venti dall'opera Griselda.
7 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
Pierre-Laurent Aimard
per un Bach esemplare
Uno dei più importanti
interpreti di musica del '900 e contemporanea,
ha portato in Conservatorio, in una serata
organizzata dalla Società del Quartetto,
la musica di Johann Sebastian Bach. L'impaginato
prevedeva l'esecuzione completa del Libro
Secondo BWV 870-893 del Clavicembalo ben
temperato, monumento musicale del genio
tedesco, che oltre ad
avere
uno scopo didattico, essendo universalmente
eseguito dagli studenti di Conservatorio,
rappresenta una delle più alte opere di Bach. I
ventiquattro Preludi con le relative Fughe -
oltre due ore la durata complessiva d'esecuzione
- sono stati equamente distribuiti in due parti,
separate dal breve intervallo. Pierre-Laurent
Aimard, francese, classe 1957, non ha bisogno
certo di presentazioni, essendo tra i massimi
specialisti al mondo di Stockhausen, Ligeti,
Benjamin, Boulez, e di molti altri grandi nomi
riferibili al Secondo Novecento e prima di loro
anche di Messiaen. Il fatto che oggi porti nelle
sale da concerto la musica di Bach dimostra la
molteplicità degli interessi di un pianista che
da giovanissimo, a meno di vent'anni, divenne il
solista della parigina Ensemble
Intercontemporain. Come interprete bachiano ci
ha stupito.
Con
una mirabile tenuta tecnico- espressiva ha
elargito un'interpretazione di altissimo livello
in tutti i ventiquattro brani, considerando il
Preludio e la Fuga come elemento unitario.
Stupisce la capacità di Aimard di modulare il
linguaggio stilistico e l'espressività in
ciascuno dei ventiquattro numeri, creando una
varietà incredibile di possibilità d'approccio e
rendendo sempre nuovo l'evento sonoro. Splendidi
i Preludi, alcuni più celebri di altri, e ancor
più mirabili le Fughe, interpretate con una
chiarezza espositiva esemplare nel fare emergere
le singole voci, i contrappunti e la complessa
logica costruttiva del sommo Bach. Dai momenti
di sobria riflessione di alcuni preludi alle
repentine
e leggere discorsività di altri, tutti ci sono
apparsi di pregio, e le fughe, ricche di
chiarezza e di accenti nell'esposizione del
tema, hanno trovato un intreccio nelle
ripetizioni tematiche con escursioni dinamiche
esemplari. Un esempio di grande Bach quello di
ieri sera, che grazie alle mani fatate di Aimard
e alla sua intensità riflessiva ed espressiva,
ha fatto trascorre le oltre due ore di musica
rapidissimamente. Un concerto memorabile, per un
interprete applaiditissimo dal pubblico presente
in Sala Verdi. Splendido il bis concesso con un
brano esemplare di Ligeti, Autunno a Varsavia
- il n.6 dal primo volume di Studi- in
perfetta concordanza con il Bach ascoltato per i
livello delle strutture costruttive e
polifoniche, anche se dal carattere tragico.
Dedicato da Aimard alle vittime della tragica
guerra in Ucraina, come da lui detto poteva
essere titolato Autunno a Kiev o a Maripoul.
Splendida serata.
5 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
Prossimamente a
Vercelli
TRA I SECOLI A PASSO DI
DANZA: MOREAU E KADOUCH AL TEATRO CIVICO. Se è
vero che il tempo ben speso passa in un attimo,
il concerto di sabato 9 aprile al Teatro Civico
di Vercelli (ore 21, concerto in abbonamento),
capace com'è di volare leggero su tre secoli di
musica, apparirà breve come un respiro. Eppure
si tratta di uno degli appuntamenti più
importanti del XXIV Viotti Festival, in quanto
dà il benvenuto a Vercelli a due interpreti
acclamati in tutto il mondo: il violoncellista
Edgar Moreau e il pianista David Kadouch.
Fortemente voluti dalla Camerata Ducale,
organizzatrice del Festival, Moreau e Kadouch
sono arrivati giovanissimi alla ribalta
internazionale e da anni sono una presenza fissa
sui più prestigiosi palcoscenici del mondo,
forti di una musicalità e di un'espressività che
lasciano ammirati sia il pubblico sia la
critica. Quando si esibiscono insieme, come
nella serata vercellese, formano un duo che
spicca per la profondità dell'interpretazione e
allo stesso tempo, in uno dei “miracoli”
riservati solo ai grandi musicisti, per la
sublime leggerezza con cui affrontano il loro
repertorio. E il concerto del Civico è un
perfetto esempio delle loro magistrali capacità:
passa infatti con disinvoltura dal fascinoso
Settecento di Vivaldi e Marcello all'Ottocento
di Paganini per arrivare alla meravigliosa Suite
Italienne di Stravinskij e a un florilegio di
celebri pagine di Ennio Morricone, del tutto a
suo agio
– cosa che
avrebbe sicuramente apprezzato – nel confronto
con i “monumenti” della musica classica.
dalla redazione 5 aprile 2022
Giovanni Bertolazzi
alle Serate
Musicali
È un giovane promettente del
concertismo internazionale Giovanni Bertolazzi.
Veronese, classe 1998, ha vinto numerosi
concorsi internazionali e ultimamente, nel 2021,
un 2° Premio al prestigioso Concorso
pianistico internazionale "F.Liszt" di
Budapest. La sua passione per il musicista
ungherese ha trovato esplicazione nel bel
concerto di ieri sera, organizzato in
Conservatorio
da Serate Musicali. Un impaginato
interamente dedicato a Liszt, con brani tra i
più ardui per spessore virtuosistico. Tutti noti
i cinque brani in programma e alcuni di essi
celeberrimi, come Après une lecture du
Dante.Fantasia quasi Sonata, eseguito ad
introduzione e la Sonata in si minore
eseguito al termine del programma ufficiale. Non
si discute l'alto livello tecnico di Bertolazzi.
Quanto alla qualità interpretativa,
complessivamente di rilievo, abbiamo trovato il
pianista in crescendo nel corso delle
esecuzioni. La "Sonata Dante" ha visto un
interprete solido e determinato, a volte
eccessivo nelle volumetrie e nell'uso del pedale
di risonanza. Di maggior pregio il brano
conclusivo. La
Sonata in si minore ha trovato un pianista
raffinato, ricco nella tavola dei colori ed
equilibrato nelle esternazioni dinamiche.
Un'interpretazione
certamente di alta qualità. Validi i tre brani
intermedi, dai 12 Studi di esecuzione
trascendentale il n.11 Harmonies du soir
e il n.13 Chasse- neige. Quindi,
ancor più valida, la Rapsodia ungherese n.12
in do diesis minore, di rara chiarezza
espressiva. Tre i bis concessi da Bertolazzi,
tutti di ottima resa: dal virtuosistico e
melodico Vecsey-Cziffra col Valse triste,
al celebre cavallo di battaglia di Arthur
Rubinstein, la Ritual fire danse di
Manuel De Falla, e dopo tanto virtuosismo, la
tranquillità di Bach con l'Aria sulla quarta
corda nella celebre trascrizione pianistica
di Siloti. Ottimo concerto e convinti applausi
del pubblico intervenuto in Sala Verdi.
5 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
Riccardo Chailly
e l'Orchestra
e il Coro della Scala per la Sinfonia n.2
"Resurrezione" di Mahler
Una delle più monumentali
opere di Gustav Mahler, la Sinfonia n.2 in Do
minore "Resurrezione", ha trovato sul podio
scaligero ieri sera, alla seconda e ultima
replica, Riccardo Chailly. Monumentale non è
soltanto il lavoro in cinque movimenti, ma anche
la compagine orchestrale comprensiva di ampio
Coro e di due voci femminili soliste. La
sinfonia ebbe una
lunga
gestazione iniziata nel 1887 ed arrivò a
conclusione nel 1894, con una prima esecuzione a
Berlino nel 1896. Chailly è un esperto di
Mahler. La conoscenza del grande sinfonista
maturata nel corso degli anni con orchestre
italiane ed europee, come ad esempio la
Gewandhausorchester Leipzig, hanno portato la
sua cifra direttoriale nelle articolate
sinfonie, ad una raffinata resa espressiva,
giocata sulla cura di ogni dettaglio, sulla
chiarezza delle timbriche e sui giusti equilibri
negli impasti sonori. La risposta al suo
coinvolgente gesto, da parte dell'Orchestra
della Scala , del grandioso Coro curato in modo
eccellente da Alberto Melazzi e delle due ottime
voci soliste, ovvero il soprano Erin Morley e il
contralto Anna Larsson, è stata straordinaria.
Una qualità interpretativa
dove
la trasparenza di ogni frangente musicale è
emersa con afficace resa espressiva, sia nei
momenti maggiormente cameristici che in quelli
di grande estroversione orchestrale e corale,
partendo dall' iniziale Allegro maestoso. Mit
durchaus ernstem und feierlichem Ausdruck,
sino al monumentale Im Tempo des Scherzo.
Wild herausfahrend, rappresentazione della
resurrezione ad una vita ultraterrena. Di
qualità sia la voce della Larsson che quella
della Morley. Applausi fragorosi e numerose
uscite dei protagonisti in un teatro ancora
colmo di pubblico.
( Foto di Brescia e Amisano a cura dell'archivio
della Scala)
4 aprile 2022 Cesare Guzzardella
Maria Gabriella Mariani
alla rassegna milanese
Lieti calici agli "Amici del loggione del
Teatro alla Scala"
Un simpatico e riuscito
incontro musicale e... anche di ottimo
aperitivo.., quello tenuto questa mattina agli
Amici del Loggione della Scala, nella milanese
via Silvio Pellico. Mario Marcarini,
organizzatore, discografico e musicologo, ha
portato davanti al pianoforte della capiente
sala degli Amici, la pianista e
compositrice napoletana Maria Gabriella Mariani.
L'artista da alcuni anni vive a Campobasso, ed è
anche autrice di validi romanzi. Nella breve
intervista
concessami,
ha raccontato la sua storia musicale iniziata in
tenera età con studi serissimi di Conservatorio,
e perfezionamenti con il grande Aldo Ciccolini,
dopo aver conosciuto anche Vincenzo Vitale,
grande didatta della scuola napoletana. Come
interprete ha realizzato numerosi Cd aventi come
base la scuola francese di Debussy e Ravel, ma
anche con molto Schumann. La passione
compositiva è avvenuta dopo, nel 2008, per
motivi accasionali, e da allora l'inserimento di
suoi lavori nei concerti, come nei recenti
dischi, è avvenuto puntualmente. Nel valido
concerto di circa un'ora, davanti un numeroso
pubblico, abbiamo ascoltato alcuni suoi brani.
Sono caratterizzati da una parte iniziale
scritta in modo rigoroso sul pentagramna, e da
una finale dove la
Mariani
ha dato sfoggio delle sue abiltà
d'improvvisazione. La sua interessante ed
immediata cifra stilistica, in ambito tonale,
trova riferimenti nel mondo da lei più amato,
quello francese di fine ottocento e dei primi
decenni del '900 (Debussy, Ravel e Poulenc), ma
anche nel repertorio italiano, soprattutto
dell'Italia centrale e del sud. Infatti Il suo
accentuato "lirismo" è una caratteristica
privilegiata, e la sua capacità improvvisatoria
nasce anche dalla sua ricca esperianza in ambito
interpretativo concertistico. Sin dal suo primo
brano, Ologramma: Tema Variazioni, Finale e
Improvvisazione, l'approccio stilistico, dal
taglio tradizionale ma comunque caratterizzante
di un linguaggio personale, è risultato
evidente. Le semplice melodia iniziale, dal
sapore antico, ha subito nel corso
dell'esecuzione, variazioni e complessità
armoniche,
sino
a trasformarsi in una sorta di finale senza
fine, improvvisato con valida abilità
discorsiva. Anche nel più breve secondo lavoro
presentato, ha mostrato il suo stile narrativo,
legato ai personaggi che spesso emergono nei
suoi romanzi. Di grande impatto estetico il
brano finale, concesso come bis, titolato
Nenè Waltz, che inizia con un guizzo
improvviso virtuosistico e termina brevemente
sempre nel suo stile improvvisatorio. Una bella
mattinata di musiche con un lieto calice di
vino, un meraviglioso Dolcetto.
3 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
A VERCELLI SERATA
CAMERISTICA CON I GIOVANI DELLA CAMERATA DUCALE
JUNIOR
A
conferma, se mai ce ne fosse bisogno, del ruolo
sempre più importante che con gli anni si è
venuta conquistando la Camerata Ducale nel
panorama delle orchestre italiane, è
l’intelligente ed efficace attenzione che essa
dedica da anni ai giovani musicisti, avviandoli
e formandoli all’attività concertistica, sia in
ambito sinfonico che cameristico. Con un lavoro
attento di selezione e valorizzazione dei più
promettenti diplomati di vari Conservatori
italiani, sostenuto anche da istituzioni come la
romana Accademia Avos Project, la Camerata
Ducale ha ‘figliato’ in questi ultimi anni una
Camerata Ducale Junior, costituita di giovani
strumentisti, di età non superiore ai 25 anni,
protagonista di una stagione musicale sua
propria, che si svolge, con grande successo,
parallelamente al Viotti Festival della Camerata
Ducale ‘senior’. In occasione del recital
cameristico di ieri sera, sabato 2 aprile, nella
splendida cornice del Salone Dugentesco
recentemente
restaurato, a rappresentare i giovani della
Camerata ducale junior erano Giulia Rimonda
(violino), Marco Introna (viola) ed Ettore
Pagano (violoncello). Ad accompagnarli
nell’esecuzione dei brani in programma erano
altri due strumentisti, che hanno già raggiunto
la fama nelle sale da concerto e in questa
occasione hanno assolto il compito di Maestri
preparatori dei tre giovani della CDJ,
guidandoli all’esecuzione e poi esibendosi con
loro: si tratta del violinista Andrea Obiso, in
verità di poco più anziano dei suoi tre giovani
allievi/colleghi, ma già primo violino
dell’Orchestra dell’Accademia di S. Cecilia, e
del pianista Massimo Spada, cofondatore, tra
l’altro, di Avos Project. Il programma della
serata prevedeva due composizioni celeberrime
della letteratura cameristica classico-romantica
ottocentesca: il “Trio degli spiriti”
(GeisterTrio), titolo con cui è universalmente
conosciuto il Trio per archi e pianoforte in Re
maggiore op.70 n.1 di L. van Beethoven e il
Quintetto in Fa minore per pianoforte e archi di
Cesar Franck. Dunque, come primo pezzo in
programma è stato presentato il Trio degli
spiriti, così chiamato a causa del suo movimento
centrale, il cui motivo, stando ad alcuni suoi
appunti, Beethoven intendeva utilizzare per la
scena dell’apparizione delle streghe in un
“Macbeth”, che poi non compose. Il Trio op.70
n.1 è tra le opere a nostro avviso più
enigmatiche e perciò più affascinanti di
Beethoven: essa vive nel cuore e nella memoria
dell’ascoltatore per il radicale contrasto tra i
due movimenti esterni, vere esplosioni di
energia vitale, energia cosmica fattasi suono, e
un tempo centrale tra i più desolatamente
nichilistici che la musica conosca, dal timbro
livido e tenebroso: come uno sguardo sugli
abissi del nulla, che irrompe come una vertigine
di totale smarrimento nell’abbandono
all’ebbrezza dionisiaca della vita. Non
conosciamo riferimenti a questo Trio nell’opera
di Nietzsche, ma esso ci pare una delle
composizioni più nietzschiane mai concepite. A
eseguire questo capolavoro erano ieri sera
Giulia Rimonda al violino, Ettore Pagano al
violoncello e Massimo Spada al pianoforte. E,
diciamolo subito, è stata un’esecuzione di
altissimo valore. In generale, possiamo dire che
i tre strumentisti hanno saputo valorizzare
pienamente le caratteristiche di questo
splendido monumento musicale, con un suono
‘spigoloso’ e potente, diremmo ‘demonico’ nei
due tempi estremi, realizzato in un dialogo
sempre efficace tra gli archi e il pianoforte,
frutto di sapienza tecnica ed intesa perfetta.
Decisamente bella e coinvolgente l’esecuzione
del Largo centrale, nella quale il perfetto
lavoro sui contrasti dinamici incessanti nel
passaggio continuo tra violino e violoncello del
motivo-chiave di sette note, col sostegno degli
spogli accordi ribattuti del pianoforte,
avvolgeva il movimento in quell’ombra
inquietante che è la sua ‘tinta’ sonora più
appropriata. Più in dettaglio sono da segnalare
alcuni momenti di particolare qualità esecutiva.
Fin dal perentorio attacco dell’iniziale
‘Allegro vivace’, colla fulminante testa del
tema principale, seguito da una sezione di più
distesa cantabilità, l’ascoltatore è stato
colpito dal suono perfettamente calibrato del
violino di Giulia Rimonda, capace di sprigionare
la più intensa energia, come di effondersi in
una linea melodica dal legato morbido e
suadente, con un suono di intensità e potente
proiezione, oltre che di perfetto dominio
tecnico, che ha dato la sua impronta decisiva
all’interpretazione del movimento, in un dialogo
incessante con gli altri due strumenti. Una
bravura e una maturità, quelle di Giulia
Rimonda, che escono pienamente confermate
dall’ardua prova del tempo centrale, dove il
suono delle sue quattro corde ha vibrato, con
finezza, di quella malinconica desolazione che è
la cifra espressiva del pezzo, chiaroscurandola
con lo svariare delle dinamiche dal “sotto voce”
d’esordio ai “fortissimo” e agli “sforzando”
successivi. Una valutazione molto alta è dovuta
anche al violoncello di Pagano, eccellente
sempre nel dialogo col violino e molto accurato
nei dettagli nei momenti in cui ha goduto di una
maggiore autonomia, come nella sezione dello
sviluppo del terzo tempo, poco prima della
ripresa, ove al violoncello l’autore affida una
raffinata e tenera melodia, che col suo brunito
timbro crepuscolare, sembra anticipare Brahms.
Perfetto sostegno ai due archi è stato il
pianoforte di Spada, essenziale, nel tempo
centrale, per creare, con accordi ribattuti e
tremoli, quel clima ‘spettrale’ che lo
caratterizza, così come, nello sviluppo del
primo movimento, ha pennellato una sapiente
sfumatura di color ‘sulfureo’ accompagnando con
un che di tortuoso e oscuro l’iniziale
elaborazione. del primo tema. Seguiva un altro
capolavoro cameristico,
ma
di ben altra concezione e stile musicale, il
Quintetto di Franck. A eseguirlo Giulia Rimonda
primo violino, Andrea Obiso secondo violino,
Matteo Introna viola, Ettore Pagano violoncello
e Massimo Spada al pianoforte. Il quintetto di
Franck, con la sua tendenza al monumentale (più
di quaranta minuti per tre tempi), l’insistente
ritorno ciclico di temi e cellule motiviche, il
denso cromatismo di molti passaggi, crea, sotto
l’influenza della linea Liszt-Wagner che si
andava imponendo negli anni ’70-’80 del XIX sec.
su tanta musica europea, una sorta di onda
musicale montante, che trascina con sé
l’ascoltatore con moto irresistibile, L’ampio
ricorso al cromatismo crea delle zone di
particolare intensità e suggestione
‘sentimentale’ che hanno spesso autorizzato,
insieme con l’indicazione ‘con molto sentimento’
riferita dall’autore stesso al Lento centrale,
interpretazioni improntate, appunto, ad un
sentimentalismo talora sopra le righe. Non è
stato, per fortuna, il caso dell’interpretazione
ascoltata ieri sera a Vercelli. I giovani
interpreti hanno semmai portato in primo piano,
ancora una volta con potente energia di suono,
un altro aspetto che pure è presente in questo
capolavoro del tardo romanticismo, cioè il
contrasto, che talora si fa drammatico, tra il
‘blocco’ degli archi, guidato con autorevolezza
e sapienza da Giulia Rimonda e il pianoforte; un
contrasto evidente fin da subito, quando il
primo violino apre, con un fortissimo
“drammatico”, come scritto in partitura, , cui
risponde, in antitesi, un “espressivo piano” del
pianoforte, suonato da Spada conferendo al ‘suo’
motivo un’aura di trasognata sospensione, stile
‘Pelleas et Melisande’, sfruttando al meglio
l’ambiguità tonale del dominante cromatismo.
Impossibile passare in rassegna i dettagli di
un’opera così densa: non possiamo che ribadire
gli elogi per un gruppo di giovani musicisti che
ha sfoggiato ad alto livello qualità
interpretative già mature, non solo, s’intende,
nel dominio tecnico dei propri strumenti, ma nel
controllo delle dinamiche, nella giusta
calibratura agogica, nella capacità di penetrare
le sfumature più sottili e segrete di una
partitura densa e complessa, di creare, nel
dialogo strumentale, una timbrica, sfumata e di
raffinata eleganza, perfettamente adeguata alle
sfumature armoniche della composizione. Insomma,
la CDJ., per quanto si è visto ieri sera, è già
ben più che una promessa, grazie alle qualità
dei suoi giovani rappresentanti e, naturalmente,
alla bravura dei loro Maestri. Alla fine del
concerto, nell’ampio Salone Dugentesco, tutto
esaurito, nonostante la ‘concorrenza’ del
concerto di Claudio Baglioni, che si svolgeva
ieri sera al Teatro Civico della città, sono
risuonati a lungo scroscianti e meritatissimi
applausi, seguiti da un bis, la ripetizione di
un brano tratto dal quintetto di Franck. Serata
che ricorderemo a lungo.(Foto
dall'ufficio stampa di Vercelli)
3 aprile 2022 Bruno Busca
Honegger con Mozart
e Beethoven diretti da
Thomas Guggeis
Un programma sostanzioso per
il concerto dedicato a Franca Canuti Cervetti,
si è svolto ieri sera con replica di domenica .
Impaginato ricco,
con brani di Honegger, Mozart e Beethoven. Il
movimento sinfonico Pacif 231
del compositore francese, di origine
svizzera, Arthur
Honegger
(1892-1955) ha anticipato Mozart. L'Orchestra
Sinfonica di Milano "G.Verdi" diretta da
Thomas Guggeis ha interpretato molto bene questo
breve lavoro di circa sei minuti che, composto
nel 1923, riassume in modo efficace la modernità
di una composizione ispirata dal mondo
industriale e proiettata nel futuro. Il brano,
decisamente Futurista, considerato il periodo di
produzione, è un esempio felice, dal punto di
vista timbrico e coloristico, di un genere
innovativo se pur in ambito tonale. A seguire
il
Concerto per due pianoforti in mi bem maggiore
K365 (1779) di Mozart ha trovato come
solisti della testiera
Lucas & Arthur Jussen. Due
fratelli affermatissimi nel panorama
internazionale, dotati di un talento
straordinario, che hanno affrontato in modo
efficace il bellissimo concerto mozartiano.
L'eccellente intesa tra i due giovani
interpreti, coadiuvati dalla Sinfonica Verdi, ha
portato ad una valida interpretazione giocata
sulla chiara esposizione e sulla resa espressiva
delle melodie presenti nei classici tre
movimenti.. L'alternanza simmetrica
delle
parti pianistiche, e la bellezza melodica è
stata sostenuta sino al notissimo
Rondò.Allegro del finale, apprezzato dal
numerosissimo pubblico presente in Auditorium
che al termine ha tributato fragorosi applausi.
I fratelli, visibilmente soddisfatti, hanno
concesso un virtuosistico bis per due pianoforti
con una splendida rielaborazione di Igor Roma
del celebre
Valzer di Johann Strauss da "Il
pipistrello", in chiave ritmica
"sud-americana". Bravissimi! Nella seconda
parte
del concerto l'attesissima Sinfonia "Eroica"
di L.v.Beethoven è stata preceduta dalla lettura
dell'ode manzoniana Il cinque maggio, per
i duecento anni dalla morte di Napoleone. Una
lettura resa con chiarezza espositiva da
Massimiliano Finazzer Flory. Ottima
l'interpretazione di Thomas Guggeis della
Sinfonia n.3 op.55 del genio di Bonn,
restituita con dovizia di particolari ed
espressività dalla Sinfonica Verdi, per un
eccellente equilibrio dinamico complessivo.
Ancora applausi meritatissimi. Da non perdere la
replica di domenica pomeriggio alle ore 16.00
2 aprile 2022 Cesare
Guzzardella
Meritato successo per il
Don Giovanni
di Robert Carsen alla Scala
È tornato il Don Giovanni
mozartiano per la regia di Robert Carsen.
Sono passati oltre dieci anni dalla medesima
messinscena, allora diretta da Daniel Barenboim.
Nella rappresentazione vista ieri sera, la
terza, il Teatro alla Scala al completo e gli
applausi tributati al termine,
testimoniano
ancora una volta la riuscita complessiva di
un'opera che trova nell'insieme degli interventi
artistico-musicali la sua rilevante riuscita. A
partire dalla direzione dello spagnolo Pablo
Heras-Casado per una visione equilibrata della
partitura, molto rispettosa delle voci e
qualitativamente di rilievo interpretativo. Le
scene minimali di Michael Levine e i validi
costumi di Brigitte Reiffenstuel erano
perfettamente funzionali all'ottima regia di
Carsen- autore anche delle luci insieme a Peter
Van Praet. Una regia studiata per dar corpo
attoriale sostenuto alle voci. I protagonisti in
palcoscenico, molto in movimento e spesso in
unione con le comparse e l'ottimo coro preparato
da Alberto Malazzi, hanno riempito le scene
spesso spoglie con lo sfondo di grandi quinte
che rappresentavano il teatro. Valido il gioco
di specchi subentrato in alcune scene
nei
due lunghi due atti. Di ottima qualità il cast
vocale, completamente diverso rispetto
all'edizione del 2011 e alla ripresa del 2017.
Hanno reso per timbrica e voluminosità tutti i
cantanti, ad iniziare da Christopher Maltman, un
Don Giovanni con voce perfettamente
impostata ed efficace presenza scenica. Stessa
validità per Alex Esposito, voce incisiva e
presenza scenica brillante quella del suo
Leporello, il più applaudito. Sul versante
femminile decisamente di qualità Hanna-Elisabeth
Muller, una Donna Anna di grande presenza
con voce ricca di colori e impositiva nel
porgerla. Ottima attrice. Di qualità Emyli
D'Angelo, una Donna Elvirà elegante con
timbro adeguato al ruolo efficace attorialmente.
Valida Andrea Carrol, una piacevole Zerlina,
con valida emissione ed intonazione e ben
presente in scena. Ancora sul
versante
maschile, di eccellente fattura la timbrica di
Bernard Richter, un Don Ottavio perfetto
nel porsi. Bravo Fabio Capitanucci in Masetto
e rilevante vocalmente Günther Groissböck un
Comendatore impositivo in scena e anche dal
palco centrale illuminato insieme a tutto il
Teatro. Numerosi i riusciti fuori scena con
movimenti anche tra il pubblico presente.
Applausi fragorosi a tutti i protagonisti.
Prossime repliche per il 2, 5, 10 e 12 aprile.
Da non perdere! ( Foto di Brescia -
Amisano dall'Archivio del Teatro alla Scala)
1 aprile 2022 Cesare Guzzardella
PROSSIMAMENTE ANDREA OBISO E
MASSIMO SPADA CON LA CAMERATA DUCALE JUNIOR
Quando
viene riaperto al pubblico un luogo storico che
è parte integrante del patrimonio di una città,
la scelta migliore è quella di guardare al
futuro. È con questo spirito che sabato 2 aprile
(ore 21, concerto fuori abbonamento, ingresso
gratuito sotto i 25 anni) gli spettatori del
XXIV Viotti Festival potranno finalmente
ritrovare lo splendido Salone Dugentesco
– gioiello medievale e tappa fondamentale della
Via Francigena – al termine di una lunga
chiusura dovuta ai lavori di consolidamento
strutturale al piano superiore.
Guardare al futuro, si
è detto. E i protagonisti
della serata non potrebbero incarnare meglio
questo proposito: saranno infatti di scena i
solisti della Camerata Ducale Junior,
l'orchestra under 25 nata dalla Camerata Ducale
ma ormai diventata una brillante e del tutto
autonoma realtà musicale, per l'occasione
rappresentati da Giulia Rimonda al violino,
Matteo Introna alla viola ed Ettore Pagano al
violoncello. Il quintetto verrà completato da
due Maestri preparatori d'assoluta eccezione
come Andrea Obiso al violino e Massimo Spada al
pianoforte, ovvero il meglio della nuova
generazione italiana di concertisti alla
conquista dei palcoscenici internazionali. Oltre
a rappresentare un esempio d'eccezione dal punto
di vista professionale (chi non vorrebbe
ripercorrere i loro passi?), i Maestri
preparatori quest'anno non si limitano a seguire
e indirizzare le prove del concerto, ma si
esibiscono insieme ai giovani della CDJ, dando
prova di grande entusiasmo e coinvolgimento.
Coinvolgimento confermato dalla collaborazione
con Avos Project. In programma : L. van
Beethoven - Trio per archi e pianoforte n. 5,
op. 70 n. 1 Geister trio C. Franck - Quintetto
in fa minore per pianoforte e archi
1
aprile dalla redazione
MARZO 2022
Angela Hewitt
per la Società del
Quartetto
La musica di J.S. Bach, il
principale riferimento per la pianista canadese
Angela Hewitt, è tornata in Conservatorio. Il
concerto organizzato dalla Società del
Quartetto ha visto un
numeroso
pubblico in Sala Verdi, per un'interprete che ha
iniziato la sua carriera concertistica nel nome
del grande compositore tedesco e che da alcuni
decenni prosegue nell'interpretare l'amatissimo,
senza comunque tralasciare altri importanti
compositori. La Hewitt divenne infatti nota al
grande pubblico a metà degli anni '80 dopo
un'importante vittoria ottenuta ad un concorso
pianistico tenuto a Toronto nel 1985 e dedicato
a Bach, e grazie anche all'uscita - per una
prestigiosa casa discografica- di uno splendido
CD dedicato al grande musicista tedesco.
L'impaginato di ieri sera prevedeva i Quattro
Duetti, i Diciotto Piccoli Preludi,
la Fantasia e fuga in la minore , l'Ouverture
in stile francese in si minore e il
Concerto in stile Italiano in fa maggiore.
Naturalmente
di qualità l'interpretazione della Hewitt. Il
suono chiaro, ricco di sfumature ha ben
individuato il gioco d'intrecci tra le parti
della tastiera facendo emergere le linee
melodiche, il ricco contrappunto e ogni
particolare costruttivo. Le sonorità dell'ottimo
Fazioli ben si prestano alla musica barocca e
soprattutto alla musica di Bach, musica precisa,
emotiva ma anche molto razionale, che abbisogna
di precisioni millimetriche per definire le
infinite sue geometrie, e la Hewitt, come
architetto musicale ha pochissimi rivali al suo
livello. Grande successo, con applausi fragorosi
e con due bis ancora bachiani, due corali con il
secondo tra i più celebri: dalla Cantata 147
"Jesus bleibet meine Freude" nella
trascrizione pianistica di Myra Hess. Ottimo
concerto per un'importante interprete.
30 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Giuseppe Gibboni
alle Serate
Musicali
È tornato a Milano il
violinista salernitano Giuseppe Gibboni per un
concerto organizzato da Serate Musicali.
Insieme al pianista Ingmar Lazar, presente in
una parte dei brani, ha impaginato un programma
diversificato con alcuni lavori di Paganini,
musicista a lui legato avendo vinto recentemente
- nel 2021- il prestigioso Premio
Internazionale Paganini di Genova. Il primo
brano era la Sonata n.3 per violino e
pianoforte Op.108 di Johannes
Brahms.
Una sonata celebre anche per quel Presto
agitato
che conclude il lavoro, scritto dal grande
amburghese nel 1888 e che spesso viene eseguito
come bis da molti virtuosi. Valida
l'interpretazione. Un netto salto di qualità è
stato riscontrato nei successivi lavori. Il
ventunenne Gibboni ha proposto tre Capricci
dai 24 dell'Op.1 e precisamente il N.1
"L'Arpeggio", il N.5 e il corposo
N.24, un
Tema con variazioni in la minore. Con i
Capricci paganiniani sono emerse in toto le
qualità virtuosistiche ed interpretative di
Gibboni, eccelse nell'esprimere con apparente
facilità virtuosismi d'immensa difficoltà. Di
evidente qualità, anche il brano successivo,
eseguito dopo il breve intervallo, ossia le
Variazioni su un tema tema originale per violino
e pianoforte Op.15 di Henryk Wieniawski
(1835-1880). Il celebre virtuoso violinista e
compositore
polacco è debitore della lezione paganiniana.
Anche in questo delizioso lavoro, Gibboni, in
sinergia con l'ottimo Lazar, ha espresso al
meglio le sue naturali qualità per
un'interpretazione di alto livello. Il violino
solo è ritornato nel brano successivo del
compositore russo Alfred Schnittke ( 1934-1998).
Titolato "A Paganini", recupera frammenti
paganiniani, con una sorta di collage
tratt o
da alcuni Capricci, per uno sviluppo
virtuosistico autonomo dove è riconoscibile lo
stile politonale del compositore, caratterizzato
da colori scuri intensamente espressivi. Gibboni
ha trovato la giusta dimensione interpretativa
del difficile lavoro del 1982, attraverso
timbriche precise, dettagliate dominate da
colori scavati e profondi, resi dall'ottimo
violino
con voluminosa intensità espressiva . Originale
il finale che prevede un'ultima nota ottenuta
con la "scordatura" della corda più bassa.
Eccellente interpretazione. L'ultimo brano in
programma era la celebre "La Campanella",
dal Concerto n.2 op.7 di Paganini che ha ancora
trovato un evidente apprezzamento dal pubblico
intervenuto. Un Campanella brillante, raffinata,
in ottimo equilibrio con la parte pianistica
eseguita molto bene dal giovane Lazar. Due i bis
concessi, il primo in duo, con Hora Staccato,
un celebre brano del folclore rumeno di Grigoras
Dinicu (1889-1949), quindi il solista con l'Adagio
dalla Sonata n.1 per violino solo di
J.S.Bach, eseguito splendidamente. Applausi
intensi e prolungati ai protagonisti.
29 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Jader Bignamini
e Domenico Nordio con
l'Orchestra Sinfonica G. Verdi
Programma particolarmente
ricco quello proposto dalla "Sinfonica Verdi"
con l'importante ritorno alla direzione di Jader
Bignamini, attualmente responsabile della
Detroit Symphony Orchestra. Tre i brani
proposti, con una novità della compositrice
romana Silvia Colasanti. Il suo recentissimo
Esercizi per non dire addio per
violino e orchestra è stato proposto come
primo brano. A seguire il Concerto per
violino e orchestra op.61 di L.v. Beethoven
e quindi, dopo il breve intervallo, la
Sinfonia n.9 op.70 di Dmitri
Šostakoviç.
Nei primi due lavori -
non
a caso la serata era titolata "Un violino per
due" - al violino solista c'era l'ottimo
Domenico Nordio. L'intenso e suggestivo concerto
della Colasanti si immerge nei ricordi del
passato, ricordi molto interiorizzati,
attraverso sonorità cupe e frammentate per circa
venti minuti, elargite in un unico movimento. Il
prevalente impianto tonale rende particolarmente
comprensibile il lavoro, giocato su
un'alternanza o una sovrapposizione della parte
solistica con le profonde timbriche orchestrali,
spesso combinate con particolari effetti delle
percussioni. La presenza di una sostenuta
cadenza violinistica, di circa due minuti, resa
con grande espressività da Nordio, assimila il
brano ad un classico concerto violinistico,
anche se risulta evidente il linguaggio attuale
della nota compositrice, tipico dei nostri tempi
ma con solidi agganci alla tradizione
novecentesca, soprattutto europea ma con
influenze mediterranee ed asiatiche. È un lavoro
efficace, di ampio respiro che è stato
commissionato dalla Sinfonica Verdi e che ha
trovato un valido riscontro da parte del
pubblico presente in Auditorium. L'eccellente
direzione di Bignamini,
con
elegante e producente gestualità, si è
riscontrata anche negli altri due importanti
lavori. Eccellenti qualità violinistiche di
Nordio anche nel celebre concerto beethoveniano.
La discorsività del solista è emersa nei tre
movimenti, così come la coinvolgente
espressività delle timbriche dell'Orchestra
Sinfonica Verdi. Ottimo l'equilibrio tra le
parti per una interpretazione dell'Op.61
efficace. Di pregio la Cadenza dell'Allegro
ma non troppo sostenuta da Nordio con grinta
e profondità. Una maggiore volumetria sonora del
dolce e intonatissimo violino di Nordio, avrebbe
reso perfetto il concerto. Di particolare
rilievo il bis solistico concesso da Nordio con
un brano contemporaneo: Intervals dalla
Sonata n.2 op.95 per violino solo di Weinberg.
Dopo la pausa, significativa la Sinfonia n.9 di
Šostakoviç.
Cinque brevi movimenti composti dal russo nel
1945, improntati anche da timbriche spesso
apparentemente scherzose, permeate però da
profonda tragicità. Applausi intensi a tutti i
protagonisti. Domani, alle 16.00, ultima
replica. Da non perdere.
26 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Successo all' ultima
replica di Jewels al Teatro alla Scala
Ieri sera ultima
rappresentazione e ancora meritato successo, per
il belletto Jewels, lavoro coreografico
di George Balanchine ispirato a tre grandi
scuole di danza: il Teatro Mariinskij di San
Pietroburgo, l’Opéra di Parigi e il New York
City Ballet. È in tre parti distinte, e
precisamente: Emeralds su musiche di
Gabriel Fauré, Rubies su musiche di Igor
Stravinskij. e
Diamonds
su quelle di P.I.
Čajkovskij. Presentato per la prima volta nel
1967, Jewels ha una coreografia tutta costruita
sulle musiche dei tre grandi compositori. Manca
un testo di riferimento, ma le note orchestrali
e quelle del pianoforte nel balletto centrale,
sono l'unico riferimento. Emeralds e Diamonds
seguono stili classici più
tradizionali, mentre Rubies interpreta una
composizione neoclassica di Stravinskij. I
notevoli costumi di Karinska e le preziose
scenografie di Peter Harvey hanno reso
l'intenzione di Balanchine di voler
rappresentare tre pietre preziose attraverso
passi di danza eleganti e pieni di coerenti
simmetrie. Nella rappresentazione di Emeralds si
sono avvicendati solisti quali Gaia Andreanò,
Nicola Del Freo, Vittoria Valerio, Edoardo
Capolaretti, Alessandra Vassallo, Agnese De
Clemente e Federico Fresi, insieme ad un
sinergico corpo di ballo. Hanno interpretato con
equilibrio le dolci, eleganti e leggere
timbriche del francese Fauré tratte da Pelléas e
Melisande e da Shylock. Ottima la direzione
musicale di Paul Connelly. Ribies è un balletto
moderno, che mostra un Balanchine ancor più
fantasioso e proiettato verso il futuro.Tratto
dal bellissimo Capriccio per pianoforte ed
orchestra di Stravinskij, ci troviamo di
fronte ad una ballerina solista e ad una coppia,
rappresentati dai bravissimi Alice Mariani,
Virna Toppi e Claudio Coviello, in sinergia con
il versatile corpo di ballo.
L'efficace
Capriccio è ottimamente interpretato al
pianoforte da Roberto Cominati e dagli
eccellenti orchestrali. Le particolari e
contrastate timbriche dell'originale lavoro,
sembrano aver ispirato Balanchine nel generare
movenze di danza spettacolari, ricche di
simmetrie e di asimmetrie, in perfetta sintonia
come la musica. Un balletto convincente diretto
con rigore musicale da Connelly. Con Diamonds,
costruito sulle musiche di
Čajkovskij
tratte dalla Sinfonia n.3 (gli ultimi quattro
movimenti), torniamo ad un concezione classica
del balletto: una coppia di solisti, ieri sera
Maria Celeste Lisa e Timofej Andrijashenko, si
oppongono o si integrano nel grande corpo di
ballo scaligero. L'interpretazione di Connelly e
dell'Orchestra del Teatro alla Scala ci
è apparsa sinergica con la parte
coreografiche per un'interpretazione decisamente
valida. Bravissimi i solisti e tutto il corpo di
ballo. Successo di pubblico con numerose uscite
dei protagonisti. Il prossimo balletto sarà
Sylvia dall'11 al 26 maggio con sette
rappresentazioni. Da non perdere. (prima
foto di Brescia e Amisano Archivio Scala)
25 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Con “Il pianoforte in Ateneo”
si apre una nuova stagione cameristica
Cinque
pianisti di fama internazionale sul palco
dell’Aula Magna in largo Gemelli da marzo a
ottobre 2022: si apre così la nuova stagione
cameristica in Università Cattolica a Milano
grazie all’accordo tra Kawai Italia e lo Studium
musicale d’Ateneo. La presentazione è avvenuta
lunedì
21
marzo, ore 10, presso la Sala Conferenze della
Biblioteca del Conservatorio “Giuseppe Verdi” Il
pianoforte è quindi il protagonista di una
nuova, straordinaria stagione cameristica
milanese in largo Gemelli, nata dalla
collaborazione tra Università Cattolica e Kawai
Pianos di Hamamatsu, una delle più prestigiose
Case produttrici degli strumenti musicali nel
mondo. Il progetto “Il Pianoforte in Ateneo. La
grande musica a Milano” presentato in una
conferenza stampa lunedì 21 marzo, alle ore 10,
presso la Sala Conferenze del Conservatorio
“Giuseppe Verdi” in via Conservatorio 12 a
Milano dove ha partecipato anche il direttore
scientifico del Progetto Enrico Reggiani,
docente di Letteratura inglese e direttore dello
Studium musicale di Ateneo, e il direttore
artistico Maestro Davide Cabassi. «Cinque
pianisti straordinari - Luca Trabucco, Giuseppe
Andaloro, Ingrid Fliter, Carlo Guaitoli e
Roberto Cominati - formano una sorta di dream
team della tastiera, alle cui mani affidiamo i
meravigliosi pianoforti Shigeru Kawai nella
cornice prestigiosa dell'Aula Magna
dell’Università Cattolica. Una nuova stagione di
musica, cultura e bellezza da donare a Milano» -
anticipa Davide Cabassi. Il concerto di apertura
è avvenuto giovedì 24 marzo nell’Aula Magna
dell’Università Cattolica con inizio alle ore
20.45, dedicato a “Maurice Ravel: il piacere
squisito di un’occupazione inutile”. Al
pianoforte Luca Trabucco. Il calendario completo
è il seguente: 24 marzo 2022 Luca Trabucco
(Ravel) 21 aprile 2022 Giuseppe Andaloro
(Chopin, Rachmaninoff, Ravel) ; 9 maggio 2022
Ingrid Fliter (Haydn, Beethoven, Scarlatti,
Schumann) ; 16 giugno 2022 Carlo Guaitoli
(Chopin, Janacek, Prokofiev); 6 ottobre 2022
Roberto Cominati (Chopin, De Falla)
Foto dall'Ufficio Stampa
dell'organizzazione.
dalla redazione 24-03-2022
Joshua Bell
in Conservatorio per la
Società del Quartetto
Il violinista americano
Joshua Bell è tornato ad esibirsi in
Conservatorio per la Società del Quartetto.
Era venuto nel 2018 con un impaginato classico
ed è tornato ancora con quattro autori classici
con brani prevalentemete noti. Schubert,
Beethoven, Bloch e Ravel si sono
succeduti
eseguiti ottimamente anche dal pianista
israeliano Shai Wosner. La giovanile Sonatina
in re maggiore n.1 D 384 di Franz Schubert
ha introdotto la serata. È un brano discorsivo,
immediato e ricco di fresca inventiva che
ricorda, soprattutto nell'Allegro molto
iniziale, Mozart. Bell, in ottima sinergia con
Wosner, ha espresso elegantemete e con efficace
resa espressiva le melodie schubertiane
presenti. Di maggior impegno costruttivo il
brano successivo di L.v. Beethoven con la
Sonata n.7 in do minore op.30 n.2. Un lavoro
più complesso, in quattro movimenti, con una
parte pianistica più importante, che rivela un
compositore maturo lontano dallo stile
settecentesco e dal linguaggio personale. La
solida intesa tra i due strumentisti ha prodotto
un' interpretazione di ottima qualità. Bell,
attento ad ogni dettagli o
e misurato nelle sonorità garbate, precise e
raffinate, ha ben evidenziato la parte
solistica, coadiuvato dall'ottima
armonizzazione
del pianoforte di Wosner. Dopo l'intervallo
cambio di stile e periodo storico con due lavori
del Novecento. Il primo, meno noto, dello
svizzaro- naturalizzato statunitense- Ernest
Bloch con la Baal Shem Suite- Tre quadri di
vita Cassidica. È un brano del 1923
caratterizzato da una suggestiva ricchezza
coloristica definita dalle intense melodie del
violino, che esprime arie meditate con citazioni
della tradizione yiddish. Le note, molto legate,
si succedono con perfetta integrazione dei due
strumenti, riflessive nelle prime due parti del
brano e di giocosa esuberanza nell'estroverso
movimento finale. Eccellente l'interpretazione.
Il
brano
conclusivo, la Sonata n.2 in sol maggiore
di Maurice Ravel, è stato composto tra il 1923 e
il 1927. È in tre movimenti, molto eseguito, con
influenze jazz-blues specie nella seconda parte,
un Blues Moderato. Semplici note del
pianoforte e del violino s'intrecciano definendo
una melodia spezzata ricca di swing. Il
virtuosistico Perpetuum mobile.Allegro
finale ritrova ancora lo spessore virtuosistico
dei protagonisti. Applausi fragorosi e
particolarmente toccante il bis concesso con una
trascrizione per violino. di rara intensità
espressiva, del celebre Notturno postumo n.20
in do diesis minore di F. Chopin. Splendido
concerto.
23 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Steven Isserlis e
Olli Mustonen
per "Serate Musicali"
Una straordinaria intesa tra
due strumentisti quella vista ed ascoltata ieri
sera in Conservatorio al concerto organizzato da
Serate Musicali. Gli estrosi musicisti,
il violoncellista inglese Steven Isserlis ed il
pianista finlandese Olli Mustonen, hanno trovato
unione in quattro brani per violoncello e
pianoforte, resi ottimamente con linguaggio
personale ed estremamente
espressivo.
Iniziando con Felix Mendelssohn (1809–1847)
e le Variazioni concertanti in re maggiore
op.17, i due da subito sono entrati in
sintonia: il pianista con la sua nota tecnica
personale, brillante ed efficace, molto precisa
nella pur evidente gestualità; il cellista con
un'intensa melodicità in perfetta sinergia con
le armonie pianistiche. Il virtuosistico brano,
composto nel 1829 dal grande lipsiano, ha visto
cambiamenti repentini nelle otto variazioni del
delizioso tema iniziale, rese molto bene dal
duo. Decisamente interessanti i due brani
successivi. La Sonata per violoncello e
pianoforte del pianista e compositore Olli
Mustonen (1967) è del 2006 e, nei suoi quattro
movimenti, - Misterioso, Andantino,
Precipitato, Con visione - è un esempio
felice di musica contemporanea, cosa non
scontata. La scrittura, comprensibile, in ambito
tonale con momenti di interessanti e ricercate
dissonanze, rivela riferimenti storici che vanno
da Stravinskij o Prokofiev a certo Messiaen ed
altri ancora. La parte pianistica, ricca di
virtuosismi espressi in modo chiaro da Mustonen,
ha trovato appoggio dall'intensa melodicità di
Isserlis, che è entrato perfettamente nel suo
importante ruolo. Un ottimo lavoro,
meritatamente apprezzato dal numeroso pubblico
presente in Sala
Verdi
con applausi convinti. Il brano successivo, del
ceco Bohuslav Martinů
(1890-1959), ha destato altrettanto interesse ed
è stato reso mirabilmente. La Sonata
per violoncello e pianoforte n.3 è del 1952
ed è molto legata al folclore ceco. La
costruzione, in tre movimenti, è nel tipico
linguaggio del compositore che partendo dal
neoclassicismo del primo Novecento , trova una
personale modalità espressiva, resa bene dal
duo. Il brano che ha concluso il bellissimo
impaginato era quello più noto: la Sonata n.3
in la maggiore op.69 di L.v.Beethoven
(1770-1827). Originalissima l'interpretazione
del duo, con una personalizzazione, in senso
virtuosistico e ritmico, valida e
caratterizzante. Applausi sostenuti dal pubblico
e un bis concesso con un brano intensamente
melodico della compositrice francese Cécile
Chaminade (1857-1954), Sommeil d'Enfant
(1907).
22 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Agli Amici del Loggione
il pianista
Diego Petrella
Un cambio di programma, per
motivi legati alla positività-covid, ha visto la
sostituzione del gruppo cameristico Ensemble
Festa Rustica che doveva presentare il recente
Cd sul
compositore
Francesco Antonio Vallotti, con un ottimo
interprete quale il ventiseienne pianista Diego
Petrella. Di lui avevamo già parlato in
occosione di un concerto del 2020 in
Conservatorio. Vincitore del Premio del
Conservatorio di Milano nel 2019 e di altri
prestigiosi Concorsi internazionali, il
bolognese Petrella ha ancora rivelato le sue
ottime qualità eseguendo con maestria J.S.Bach.
Mario Marcarini, musicologo, organizzatore e
discografico, ha anticipato il breve concerto
parlando di Bach e dei suoi contemporanei al
numeroso pubblico intervenuto
nella
sala degli Amici del loggione della Scala.
Petrella ha eseguito l' Ouverture in Stile
francese n.1 in si minore BWV 831 con
padronanza tecnica e rilevante espressività. Due
i bis concessi prima con Scriabin e il Poema
op.32 n.1 e poi Chopin con un Notturno
. Applausi sostenuti da tutti i numerosi
presenti e delizioso brindisi con un eccellente
vino bianco.
21 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Prossimamente a Vercelli la Camerata Ducale,
Orizio e Rimonda
Sabato
16 aprile
2022 al Teatro Civico, via Monte di Pietà 15, di
Vercelli, la Camerata Ducale con Guido Rimonda
al violino e Pier Carlo Orizio alla direzione
eseguiranno: F. Schubert - Entr'acte III da
Rosamunde, Fürstin von Cypern (Rosamunda,
principessa di Cipro).L. van Beethoven -
Concerto in do maggiore per violino WoO 5, P. I.
Čajkovskij - Sérénade
Mélancolique op. 26,M. Bruch - Ave Maria op. 61,
F. Schubert - Sinfonia n. 8 Incompiuta in si
minore D 759. Da non perdere.
21 marzo 2022
dalla redazione
Ancora grande successo
alla Scala all'ultima replica di Adriana
Lecouvreur
Applausi meritati al Teatro
alla Scala a conclusione della settima ed ultima
rappresentazione dell'opera più celebre di
Francesco Cilea (1866-1950), Adriana Lecouvreur.
Cilea, nato a Palmi in Calabria, fu autore non
fecondo, ma con l’Adriana ebbe notorietà
internazionale.
Questi
ha il merito di aver composto un’opera, nel
1902, molto ricca di raffinate melodie, un passo
avanti rispetto al Verismo e se pur con
ambientazione settecentesca, con sonorità a
volte decadenti non lontane da Wagner o da
R.Strauss, ma soprattutto dal sapore pucciniano,
con una componente orchestrale con rilevante
valenza sinfonica. Sonorità che anche in un
allestimento tradizionale, come quello visto
ieri sera in un teatro gremito di pubblico, ha
ancora una valida ragione di essere apprezzato.
La riuscita messinscena, come spesso, accade è
dovuta al complesso delle interazioni di tutte
le componenti artistiche. La valida regia di
David McVicar -ripresa da Justin Way-, le ottime
scenogafie di Charles Edwards con i
costumi
settecenteschi di Brigitte Reiffenstuel, le
adeguate luci di Adam Silverman e le corrette
coreografie di Andrew George, hanno trovato
unione con la riuscita componente musicale,
dall'ottima direzione di Giampaolo Bisanti, al
suo debutto scaligero e applauditissimo, al coro
sempre eccellente di Alberto Malazzi e,
naturalmente, al cast vocale che ci è apparso di
alto livello, con una punta nella coinvolgente
voce di soprano di Maria Agresta. Un'Adriana,
la sua, bravissima anche attorialmente con bel
timbro, chiaro e delicato ma all'occorrenza
incisivo e voluminoso. Yusif Eyvazov è stato un
Maurizio
Conte
di Sassonia vocalmente adeguato in tutti i
registri con valide qualità attoriali. Notevole
la presenza scenica di Judit Kutasi, una
Principessa di Bojillon con voce molto
voluminosa ma anche limpida e particolarmente
ricca di espressività. Validi Alessandro Spina,
adeguato Principe di Bouillon e Carlo
Bosi, l’Abate di Chazeuil. Notevole
Corbelli in Michonnet. Questi ha
sostituito all'ultimo momento Ambrogio Maestri
indisposto. La sua splendida capacità attoriale
ha ben integrato la sua rilevante vocalità.
Bravi tutti gli altri, ballerini compresi.
Un'Adriana Lecouvreur che ha degnamente espresso
il capolavoro teatrale di Francesco Cilea. Da
ricordare! Prossima opera Don Giovanni, dal 27
marzo al 12 aprile con sette rappresentazioni.
(Prime due foto di M.
Brescia e Amisano- Archivio Scala)
20 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Il Festival 5 Giornate
per la musica
contemporanea
È iniziata oggi la
16°edizione del Festival 5 Giornate
dedicato alla musica contemporanea. Si svolge
prevalentemente nel bellissimo spazio dedicato
al Museo del Novecento di Milano per
l'organizzazione musicale di Alessandro
Calcagnile e di Rossella Spinosa. Oggi il
programma
prevedeva
la presenza del gruppo cameristico New Made
Ensemble in brani di Manzoni, Sani,
Ambrosini, Solbiati, Fedele e Sciarrino. Paolo
De Gaspari al clarinetto e Rossella Spinosa al
pianoforte hanno introdotto il concerto con un
lavoro significativo di Giacomo Manzoni del
1988, Frase per pianoforte e clarinetto.
È un breve brano, ottimamente sostenuto
dai
due validi interpreti, dove le solide timbriche
dello strumento a tastiera- con effetti anche
nella cordiera- si alternano ai timbri ricercati
del clarinetto, ricchi di effetti coloristici
ottenuti con una ampia varietà di modi
d'approccio ai timbri. Particolarmente valida
l'interpretazione. Gli altri cinque brani erano
per solo strumento solista.
Prima
il flauto contralto, con l'ottima Birgit Nolte
impegnata in Dialoghi Migranti di Nicola
Sani, un lavoro dove anche la gestualità è utile
nel definire le soffici e discrete volumetrie,
poi il clarinetto basso di De Gaspari per un
corposo pezzo di Claudio Ambrosini denominato
Capriccio, detto l'ermafrodita; quindi
ancora il flauto con un brano di Alessandro
Solbiati, "As if to land.." , lavoro che
come il precedente si snoda utilizzando lo
strumento in una gamma di possibilità totale tra
suoni tondi ed effetti ben miscelati nella
marcata linea compositiva. Di altrettanta
efficacia il successivo brano, sempre per
clarinetto basso, di Ivan Fedele denominato "High-
memoriam Miles Davis".
Vuole
essere un omaggio al grandissimo trombettista e,
la maggior melodicità del lavoro, se comparata
ai brani precedenti, trova anche relazioni col
mondo jazzistico. Precisa e dettagliata
l'interpretazione. A conclusione un originale
brano per flauto di Salvatore Sciarrino,
Immagine Fenicia, suonato molto bene e
caratterizzato da una sorte di note ribattute e
ripetute quasi a creare un effetto eco. Applausi
sostenuti ai tre interpreti al termine. Domani
alle ore 17.30 il secondo appuntamento con brani
di Sani, Castiglioni e Scelsi. Altri
appuntamenti previsti i giorni successivi sino
al 22 marzo, ultima delle 5 giornate di Milano.
Da non perdere.
18 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Il Trio Sitkovetsky
per la Società dei Concerti
La Fondazione Società dei
Concerti ha portato
sul palco di Sala Verdi in Conservatorio il
Trio Sitkovetsky,
formato dal violonista Alexander Sitkovetsky,
dal violoncellista Isang Enders e dalla pianista
Wu Qian. È un gruppo di livello internazionale
affermato in tutto il
mondo.
Il programma serale, particolarmente corposo,
prevedeva musiche di Beethoven, Schumann e
Ravel. Il Trio in Sol maggiore Op.1 n.2,
del primo grande tedesco, ha introdotto la
serata rivelando l'ottimo equilibrio complessivo
della formazione cameristica. La classicità del
brano in quattro movimenti, composto da
Beethoven in giovane età è stata espressa
ottimamente dal gruppo. La rilevante componente
pianistica, centrale in questo trio, ha trovato
un'interprete precisa, attenta ad ogni dettaglio
e mai eccessiva nelle volumetrie perfettamente
calibrate e in ottima relazione con i due archi,
strumentisti altrettanto precisi ed espressivi.
Il Trio di Maurice Ravel, unico nel suo
genere,
composto nel 1914 da un compositore quasi
quarantenne, ha dato una svolta al clima
classico precedente, mostrando un lato
interpretativo della formazione differente. Il
dosaggio delle timbriche e l'impasto sinergico
nei colori dei tre interpreti, hanno rivelato
sottigliezze del grande compositore francese
proiettate nel secondo Novecento e
caratterizzate da bruschi cambiamenti di tempo e
da volumetrie contrastanti, come quelle degli
ultimi due movimenti: da una lenta e progressiva
Passacaglia ad un folcloristico Animé
finale, esuberante e ricco di accenti. Dopo
il breve intervallo, il Trio in re minore
op.63 di Robert Schumann, composto nel
1847-48, ha stravolto ancora la compagine
cameristica impegnata sul versante romantico,
con arditezze armoniche tipiche del secondo
compositore tedesco e decisamente innovative per
l'epoca. Ancora ottima l'intesa dei tre giovani
interpreti accomunati da un'energica e non
comune passione per il mondo musicale. Toccante
il bis delicato con un breve Beethoven in una
melodia tratta dal folclore ucraino. Applausi
del pubblico decisamente sostenuti e pienamente
meritati.
17 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Meritato successo
al Teatro alla
Scala anche all'ultima replica di Pikovaja
Dama
Sono passati diciassette anni
da quando vidi La Dama di Picche per il
Teatro alla Scala -allora agli Arcimboldi-
nell'insuperata direzione di Yuri Temirkanov.
Ieri in un teatro al completo, l'ultima recita
ha trovato ancora un meritato successo, con
applausi fragorosi protatti per lungo tempo. È
un mix di contributi, tutti validi, quelli che
hanno portato la più importante
opera
di
Čaikovskij
al successo milanese. Dopo la
prima
rappresentazione
con il
direttore russo Gergiev, tutte le replica hanno
decretato il trionfo per colui che l'ha
sostitito nelle quattro repliche previste,
Timur
Zanziev,
tra i più applauditi al
termine. I sette quadri, nei tre atti dell'opera
su libretto di Modest, fratello del più
celebrato compositore, tratte dall'omonimo
racconto di Puskin, sono tradizionali nella
messinscena, ma certamente tutti di riuscita e
spesso di spettacolare resa visiva. Hanno visto
l'ottima regia di Matthias Hartman, le
appariscenti scene di Volker Hintermeier,
illuminate a volte in modo luccicante dalle
valide luci di Mathias Märker e i bellissimi
costumi di Malte Lubben. Di grande pregio le
coreografie di Paul Blackman, che
in
questa messinscena giocano un ruolo fondamentale,
unitamente alla strepitosa parte corale
preparata da Alberto Malazzi. Per la componente
delle voci soliste non possiammo che essere
soddisfatti, vista la qualità complessiva a
partire dal sempre presente in scena Najmiddin
Mavlyanov ner ruolo del protagonista Hermann,
tenore significativamente valido in ogni settore
timbrico. Ottima l'incisività e la sua presenza
scenica. L'innamorata Liza ha trovato un
valido soprano in Elena Guseva, molto espressiva
e ancor di più nell'aria forse più bella del
terzo atto, con voce ricca di colori e perfetta
intonazione. Di decisa presenza scenica e
vocalità il
mezzosoprano
Julia Zerteva, la Contessa, e di
altrettanto spessore espressivo il baritono
Alexsey Markov, il principe Eleckij.
Citiamo almeno le altrettanto valide voci di:
Yevgeny Akimov in
Čekalinskij, Alexei Botnarciuc in Surin,
Sergey Radchenko in Čaplickij, Roman
Burdenko
nel
Conte
Tomskij, Matias Moncada in Nuramov,
Brayan Ávila Martínez nel
Maestro di cerimonie, Elena Maximova in
Polina e gli altri. Per concludere ottima
la direzione del già citato Zanziev, che oltre a
far emergere con evidenza la componente vocale,
ha
diretto benissimo i professori del Teatro alla
Scala definendo in modo dettagliato i colori
strepitosi di
Čaikovskij, che, come affermato precedentemente
nella lontana messinscena del 2005, mettono in
rilievo l’anima più russa
del compositore, unitamente alla sua passione
per Mozart con i riferimenti settecenteschi del
secondo atto e alla sfarzosità dell'opera
francese. Un lavoro che rimarrà a lungo nei
ricordi del fortunato pubblico presente alle
cinque rappresentazioni. (prime tre foto di
M.Brescia e Amisano a cura dell'Archivio del
Teatro alla Scala)
16 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Il pianista Yevgeny
Sudbin per "Serate
Musicali"
Serate Musicali
da molti anni porta in Sala
Verdi, nel Conservatorio milanese, il pianista
russo, nato a san Pietroburgo, Yevgeny Sudbin.
Ieri il programma, come sempre diversificato, ci
ha permesso di assistere ad una serie di brani
di ampia escursione temporale: da Haydn a Ravel,
passando per Beethoven e Chopin. Un programma
classico dove il brano più vicino ai
nostri
tempi era quel Gaspard de la nuit del
compositore francese che risale al 1908. Il
classicismo di Franz Joseph Haydn (1732-1809)
con la Sonata per pianoforte in si minore
Hob. XVI/32, ha trovato un ottimo interprete
in Sudbin, pianista sicuro e ben attrezzato per
un'ampia gradazione dinamica, espressa con
controllato equilibrio coloristico. Con Ludwig
van Beethoven (1770–1827)
e le Sei Bagatelle per pianoforte op.126,
abbiamo assaporato una valida esecuzione, anche
se forse non sempre omogenea nello spessore
espressivo. La seconda parte della serata, con
la Ballata per pianoforte n.4 in fa minore
op.52 di Fryderyc Chopin (1810-1849) e poi
il già citato Ravel (1875-19), ci è apparsa di
maggiore resa emotiva. La celebre ultima Ballata
del polacco, molto articolata, ricca di
contrasti - dall'intenso melodiare iniziale,
alle complesse
armonizzazioni
centrali- è stata ben intercettata
dall'interprete e la sua resa d'indubbia
espressività. Decisamente rilevante Sudbin
nell'ultimo lavoro, Gaspard de la nuit. I
tre corposi momenti, Ondine, Le gibet e
Scarbo, che formano una delle maggiori
opere pianistiche del primo decennio del '900,
hanno visto afficace resa nelle mani del russo,
che ha definito l'intreccio timbrico attraverso
ottimi parametri interpretativi, calibrando in
modo accurato le contrastanti dinamiche ed
esternando solido virtuosismo, nel rispetto
degli equilibri coloristici complessivi. Il
numeroso pubblico intervenuto ha apprezzato
l'interprete, elargendo al termine del programma
ufficiale, fragorosi applausi. Di notevole
qualità i due bis concessi con due Sonate
di Domenico Scarlatti tra le più celebri, di cui
la prima, quella in Fa minore K 466, di
splendido equilibrio estetico esternato con
matura riflessività. Ancora fragorosi gli
applausi.
15 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Il soprano Alexandra
Marcellier e il
direttore Giuseppe Grazioli in La voix
humaine di Francis Poulenc
È tornato alla direzione
dell'Orchestra Sinfonica di Milano "G.Verdi"
Giuseppe Grazioli,
direttore milanese che abbiamo molte volte
ascoltato in repertori a lui cari, come quelli
dedicati al compositore Nino Rota. Ieri sera due
compositori francesi hanno animato il
palcoscenico
dell'Auditoriun di Largo Mahler: prima George
Bizet con una selezione di suite da l'Arlésienne
(1872), poi Francis Poulenc con La voix
humaine( 1958),dal testo di Jean Cocteau che
ricordiamo essere stato il riferimento del
Gruppo dei Sei, di cui il compositore faceva
parte. Due lavori molto diversi, che hanno in
comune solo l'eleganza e la raffinatezza
musicale tipica dei francesi. Il voluminoso
impatto sonoro dell'Ouverture della prima
serie di Suite ha rivelato subito la splendida
musica di Bizet, giocata su un'evidente capacità
d'orchestrazione delle bellissime melodie
popolari che l'Arlésienne ritrova. La musica,
negli otto momenti scelti per le due serie di
suite, descrive con taglio deciso l’evoluzione
dei personaggi della popolare vicenda ambientata
in Camargue, nei pressi di Arles. Grazioli con
una direzione decisa, esuberante e
particolareggiata, ha plasmato ottimamente gli
splendidi orchestrali della Sinfonica Verdi,
rilevanti in ogni sezione dell'orchestra, una
compagine spesso fragorosa nell'insieme,
come
anche nella seducente Marcia finale di
Farandole, ma con momenti di pacato lirismo
cameristico come nell'Andantino e nel
Menuetto dalla seconda suite. Dopo
l'intervallo c'è stato un deciso cambio di
registro con la celebre piece per voce
recitante e orchestra del secondo parigino,
Poulenc. La semplice ed elegante messinscena era
curata dalla regista Louise Brun, mentre
protagonista in scena, il soprano francese
Alexandra Marcellier. Nell'unico atto, la donna,
raffinata ed elegante, è impegnata costantemente
in una telefonata amorosa che alterna momenti
affettuosi ad altri di crescenti contrasti,
ricchi di tensione, sino alle parole finali con
quell'affranto «Je t’aime» ripetuto più
volte. Poulenc ha in modo geniale espresso
musicalmente
l'originale testo di Cocteau, e l'integrazione
tra la voce, quasi sempre in recitazione ma con
frangenti di alto lirismo vocale, e le pregnanti
sonorità orchestrali, è emersa splendidamente
grazie all'avvincente direzione di Grazioli e
alle qualità attoriali e vocali della
Marcellier. Una voce, la sua, con timbrica
perfettamente adatta al ruolo de " La voix
humaine ". Applausi fragorosi al termine con
uscite ripetute dei protagonisti. Bravissimi.
Domenica, alle ore 16.00, l'ultima replica.
Assolutamente da non perdere.
12
marzo 2022 Cesare Guzzardella
Il giovane pianista Antonio
Alessandri diretto
da Valentina Peleggi al Dal Verme
Tre sono i validi motivi
d'interesse per il concerto de I Pomeriggi
Musicali ascoltato ieri sera e in replica
sabato alle ore 17.00: la presenza di un
direttore d'orchestra donna, cosa oramai
pittosto frequente, ma che ancora incuriosisce;
l'inserimento nell'impaginato di un brano di
una
compositrice che rarissimamente si ascolta; un
giovanissimo pianista per un concerto
mozartiano. Valentina Peleggi, che ricordiamo
essere Direttore Musicale della statunitense
Richmond Symphony Orchestra e Direttore Musicale
Ospite in Brasile del Theatro de Opera São
Pedro, ha infatti diretto l'Orchestra de
Pomeriggi Musicali in tre brani tra i quali
l'ultimo della francese Louise Farrenc (1804-
1875), con la sua
Sinfonia n.3 in sol minore op.39. La
Farrenc è stata all'epoca una celebre pianista
di livello internazionale e come compositrice,
autrice di brani pianistici, cameristici e di
tre sinfonie riscoperte solo negli ultimi
decenni. Il brano forse più atteso della serata
è stato probabilmente il secondo con il
Concerto n.13 per pianoforte e orchestra in do
minore K 415 di
W.A.Mozart
per via del giovanissimo pianista milanese
Antonio Alessandri, interprete quindicenne
allievo di Davide Cabassi. Ad introdurre il
concerto, l' Ouverture la Bella Melusina
di F. Mendelssohn ha rivelato la spigliatezza
del direttore nell'affrontare un brano tipico
del musicista tedesco per energia profusa e
naturale discorsività. L'ingresso sul
palcoscenico del Dal Verme di Antonio Alessandri
ha certamente destato interesse sia per la
giovene età dell'interprete che per la scelta di
un brano non facile del grande salisburghese.
Antonio ha affrontato i tre movimenti con
straordinaria disinvoltura, fornendo
un'interpretazione di ottimo livello, con valida
resa
stilistica,
tecnica fluida ben collaudata, sicurezza e
grande musicalità. Certamente un pianista che va
seguito nella sua evoluzione nei prossimi anni.
Energico il bis concesso con lo Studio n.8 in
fa maggiore op.10 di F. Chopin. La Sinfonia
n.3 della Farrenc ha
visto una valida interpretazione della
trentanovenne direttrice. È un lavoro che
risente molto dell'influenza beethoveniana con
uno sguardo nel romanticismo soprattutto
mendelssohniano. Notevole il terzo movimento,
Scherzo.Vivace, di incredibile energia
musicale e con una calibratissima resa dinamica.
Applausi convinti a tutti i protagonisti. Come
accennato, sabato la replica. Da non perdere.
11 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Roberto Prosseda
con l'Orchestra dell'Accademia del Teatro alla
Scala per la Società dei Concerti
L'Orchestra dell'Accademia
del Teatro alla Scala, diretta da Pietro
Mianiti, è stata ospite della Società dei
Concerti
per una splendida serata che prevedeva musiche
di Mozar t
e di Schubert. È una formazione di giovanissimi
strumentisti quella vista ed ascoltata in
Conservatorio per due brani di Mozart e uno di
Schubert. Prima il Divertimento per archi n.1
in re maggiore K 136 ed il Concerto per
pianoforte e orchestra n.27 in mi bem. maggiore
K.595; poi il celebre
Quartetto
D810 "La morte e la Fanciulla",
nella trascrizione per orchestra d'archi di
Gustav Mahler. Il Divertimento mozartiano ha
rivelato la fluidità discorsiva dell'Orchestra
dell'Accademia scaligera che, ottimamente
diretta da Mianiti, ha espresso molto bene la
leggerezza, in stile galante, del giovanile
brano che Mozart compose nel marzo del 1772, non
ancora sedicenne. Ben evidenziata la bellezza
melodica dei temi presenti nei classici tre
movimenti. Il terzo, un Presto ricco di
folclore scandito da un ritmo ben evidenziato
dagli archi, verrà poi ripetuto come bis al
termine del programma ufficiale. Il brano forse
più atteso, il Concerto K.595, ha visto
la presenza solistica del noto pianista Roberto
Prosseda. Nato a Latina nel 1975, nel corso
della sua brillante carriera si è specializzato
in Mozart, del quale ha inciso in Cd le Sonate e
molti concerti. Prosseda ha interpretato
con
profondità di pensiero e bellezza coloristica il
celebre lavoro che ha nella semplicità delle
melodie proposte un punto di forza. Il concerto
è stato scritto nell' ultimo
anno
di vita del compositore, il 1791, quasi a
simboleggiare di come la semplicità possa
racchiudere profondità di pensiero e rilevante
bellezza estetica. Il pianoforte ha scavato sino
in fondo, evidenziando le semplici note, come
quelle centellinate nel Larghetto
centrale, servite in un piatto dorato ricco di
delizie per le orecchie degli attenti
ascoltatori. Ottima la compagine orchestrale nel
sottolineare la fondamentale parte solistica.
Applausi sostenuti al termine. Due i bis
solistici concessi da Prosseda: prima il
movimento centrale Andante dalla
Sonata in do maggiore K330, interpretata
con
ancora intensa riflessione e profondità
espressiva; quindi, a conclusione, un omaggio ad
Ennio Morricone, dopo aver ricordato il ruolo
positivo della musica nel riappacificare gli
animi umani in questo difficile momento che
stiamo attraversando tra fine covid e vicina
guerra. Di alto spessore l'interpretazione della
versione originale pianistica del noto tema del
film La leggenda del pianista sull' oceano.
Dopo il breve intervallo ancora importante
musica con la schubertiana La Morte e la
Fanciulla. I giovanissimi orchestrali
diretti con maestria da Mianiti, hanno espresso
evidente musicalità nel proporre i quattro
corposi movimenti del noto Quartetto ben
trascritto da Mahler. Ancora più bravi ed
incisivi nel Presto finale, eseguito con
grinta ed energia decisamente matura.
Bravissimi! Applausi fragorosi a tutti i
protagonisti.
10 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Il pianista Paul Lewis
per la Società del Quartetto
Pianista affermato
internazionalmente, il quarantanovenne inglese
Paul Lewis ha scelto un impaginato diversificato
per il suo recital tenuto ieri sera in
Sala Verdi al Conservatorio
milanese.
La prevalenza di brani beethoveniani, con due
celebri sonate quali la Patetica (1799) e
l'Appassionata (1804-5), eseguite
all'inizio e alla fine del programma ufficiale,
rivela la passione per il genio di Bonn,
compositore prediletto nella sua imponente
discografia insieme a Schubert (non presente
nell'impaginato). Tra la Sonata n.8 in do
minore op.13 e la Sonata n.23 in fa
minore op.57 di Beethoven, brani di
Sibelius, Debussy e Chopin hanno messo in
risalto ulteriori qualità dell'interprete.
Valida l'interpretazione delle due sonate, con i
momenti migliori nell'Adagio cantabile e
nel Rondò nella Patetica e nell'Allegro
ma non troppo nell'Appassionata. Abbiamo
trovato rilevanti qualità
espressive
nelle rare Sei Bagatelle op.97 (1920) di
Jean Sibelius ed eccellenti nel successivo
Children's Corner (1906-8) di Claude
Debussy, sei brani destinati a giovani
interpreti di apparente facilità, resi da Lewis
con una raffinata esposizione coloristica e un
perfetto equilibrio costruttivo. Di buona
fattura il suo Chopin con la
Polonaise-Fantasie op.61 (1846). Due i bis
concessi con un ottimo Felix Mendelssohn dalle
Romanze senza parole, il n.1 op.19 e
il n.3 op.53 eseguiti con fluida e
raffinata discorsività. Applausi sostenuti dal
numeroso pubblico presente i sala. Prossimo
concerto il 15 marzo con il Quartetto Emerson.
9 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Freddy Kempf
in Conservatorio per "Serate Musicali"
Riascoltare il pianista
londinese Freddy Kempf, da più di vent'anni
ospite di "Serate Musicali", è sempre un
piacere. Il suo talento virtuosistico non è
soltanto complessa iper-tecnica digitale, ma
supporto per un linguaggio personale di qualità.
Il suo impaginato diversificato, prevedeva brani
di Bach, Chopin, Rachmaninov e
Čaikovskij
di breve e media
durata,
e due corpose composizioni con la Sonata
"Appassionata"
di Beethoven e Carnaval di Schumann.
Quello che ha unito brani molto differenti,
inseriti probabilmente per scelta dettata non da
ragioni storiche, ma di piacere personale,
è il modo di interpretare
di Kempf, pianista tout court, che trova
nel virtuosismo, spesso sostenuto con tempi
rapidi, un elemento espressivo del suo
particolare linguaggio certamente ricco di
pathos. Iniziando con un fulmineo Bach, con
il Preludio e fuga n.12 (1742) dal
secondo libro del Clavicembalo ben Temperato,
con il relativo preludio eseguito celermente ma
efficace nella quadratura temporale, Kempf ha
fatto poi un salto di parecchi decenni passando
allo Studio n.1 op.10 (1829-30) di
Chopin. Un'interpretazione brillante, ricca di
accenti e luminosissima. Con l'Allegro
moderato, il n.8 in re minore dagli
Etudes Tableaux op.39 (1916-17) di
Rachmaninov, il quarantacinquenne
pianista
si è spostato di molto nel tempo per poi tornare
indietro di trent'anni con la Dumka op.59 in
do minore (1886) di
Čaikovskij. Entrambi i brani sono stati eseguiti
molto bene, in piena sintonia col mondo russo.
Il primo brano corposo, la Sonata in fa
minore op.57 "Appassionata"
( 1804-05) del genio di Bonn, ha trovato un
virtuoso energico. L'estrema accelerazione dei
tempi laterali, Allegro assai e
Allegro ma non troppo, erano di una coerenza
esemplare nello stile di Kempf, forse lontani
dalla tradizione dei grandi del passato, ma
certamente di alto valore estetico. Anche con
l'ultimo brano in programma, Carnaval op.9
(1834-35), Kempf ha risolto energicamente i
ventidue brevi pezzi che compongono il
capolavoro di Schumann, con alcuni frangenti di
intensa meditazione espressiva, nei
momenti
più moderati. Ottima
interpretazione questa e tutte le altre per un
pianista che, in Italia, andrebbe considerato
maggiormente. Riflessivo e ben interpretato il
bis con il celebre Adagio cantabile dalla
Sonata "Patetica" (1798-99) di Beethoven.
Successo di pubblico e numerose uscite del
protagonista in palcoscenico.
8 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Un duo per tre
celebri brani allo
Spazio Teatro 89
Il concerto cameristico
ascoltato ieri pomeriggio allo Spazio Teatro
89 di Milano ha visto un ottimo duo sul
palcoscenico della piccola ma elegante sale
situata in via Fratelli Zoia 89.
Formato
da due concertisti di fama internazionale, quali
la violinista rumena Anca Vasile Caraman e dal
pianista siciliano Alberto Ferro, il duo ha
scelto tre lavori tra i più eseguiti al mondo
nel repertorio dei due strumenti. La Sonata
in la maggiore di César Franck, la Sonata
n.3 in sol minore di Claude Debussy e
l'ancor più celebre Rapsodia da concerto
Tzigane di Maurice Ravel. Questi lavori non
hanno certo bisogno di presentazioni, come ben
spiegato in apertura di concerto da Luca
Schieppati, pianista e organizzatore della
serata in collaborazione con "Serate musicali"
La sonata ciclica di Franck, del 1886,
con
quel bellissimo ritorno nei quattro movimenti
dei principali temi, è un esempio di grande e
unitaria costruzione del genio belga,
naturalizzato francese. La Sonata di Debussy,
del 1917, con quei rivoluzionari colori ritrova
il musicista francese proiettato nel futuro
della musica novecentesca; mentre la celeberrima
Tzigane, op.76 di Ravel, terminata nel 1924,
vede il trionfo del violino come strumento
virtuosistico e una ricerca timbrica, quella del
secondo francese, anch'essa particolarmente
moderna. Insomma, tre capolavori che nelle mani
dei due bravissimi interpreti hanno certamente
convinto i presenti in sala. Di rilievo la
chiarezza espressiva di entrambi gli
strumentisti. Ottima intesa tra
il
fraseggio dettagliato e ben calibrato nei volumi
di Ferro e il limpido timbro del voluminoso
violino della Vasile Caraman. Di qualità i due
bis concessi, che hanno maggiormente evidenziato
le abilità della violinista: prima un
Capriccio di Niccolò Paganini (Capriccio
n.1) nella trascrizione con pianoforte di
R.Schumann e poi un bellissimo Max Reger con la
rara ma pregnante Romanza in sol maggiore.
Bellissimo concerto per i fortunati e non
numerosi presenti.
7 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Alessandro Taverna
a Villa Necchi Campiglio
La Società del Quartetto, in
collaborazione con il FAI, ha portato alla
rassegna musicale di Villa Necchi Campiglio il
pianista veneziano Alessandra Taverna. Affermato
a livello
internazionale
dopo la vittoria del Concorso di Leed del 2009,
Taverna ha proposto nel suo impaginato due brani
di Chopin inframezzati da un lavoro di Alekandr
Skrjabin. Una scelta che mette in rilievo il
mondo romantico dalla prime note, quella dell'Andante
Spianato e Grande Polonaise brillante Op.22
del polacco, tipiche di un romanticismo melodico
di fase iniziale, sino ai momenti più evoluti
del Presto della Sonata-Fantasia n.2
op.19 del russo Ma già nell'incredibile
Presto della Sonata n.2 in Si bem. minore
op.35 del polacco, eseguito come ultimo
brano, si coglie già una stile compositivo che
si spinge verso nuovi orizzonti espressivi.
Taverna ha ben interpretato i tre lavori e
specie nella celebre Sonata della Marchè
funebre di Chopin ha trovato una valenza
interpretativa di alto spessore, definito da una
dettagliata chiarezza
espositiva
che esalta ogni peculiarità del corposo lavoro.
Ottima la sintesi discorsiva nella Sonata
centrale di Skrjabin. Applausi dal numeroso
pubblico intervenuto ed eccellente il bis
concesso con il
Valzer brillante op.34 n.1 di Fryderyk
Chopin. Il prossimo appuntamento della Società
del Quartetto è previsto per martedì 8 marzo
alle 20.30 in Conservatorio col pianista inglese
Paul Lewis, specialista di Beethoven e di
Schubert, eseguirà per l'occasione brani di
Beethoven, Sibelius, Debussy e Chopin. Da non
perdere!
6 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Un omaggio a
Paolo Castaldi al
Teatro dal Verme
L'Orchestra de I Pomeriggi
Musicali, dirett a da
James Feddeck, ha voluto ricordare il
compositore milanese Paolo Castaldi (1930-2021),
a un anno dalla sua scomparsa, eseguendo due
suoi lavori: il primo, più
breve, Refrains per
pianoforte e orchestra, era in prima
esecuzione assoluta e il secondo,
Seven Slogans per orchestra, era in due
ampie sezioni di cui
la
prima tripartita. Il compositore, anche saggista
e docente di Conservatorio, ha sin dagli anni
'50 partecipato al dibattito relativo ai nuovi
modi di comporre la musica, inserendonsi in quel
filone di musicisti che partendo da Stravinskij
trovava un linguaggio espressivo molto libero
pur essendo ancorato al mondo tonale. I due
brani proposti ieri sera, che troveranno una
replica sabato alle ore 17.00, sono stati
particolarmente significativi per evidenziare
l'originale stile compositivo di Castaldi che
con modalità assai personali, spesso unisce
frammenti discorsivi del passato in una sorta di
collage e di polistilismo. In Refrains
la parte solistica era affidata alla pianista
Antonella Moretti. Il breve lavoro, meno di nove
minuti la sua durata, era suddiviso in nove
brevissimi momenti musicali. Il pianoforte della
Moretti, ha segnato in modo determinato e
incisivo lo svolgimento di Refrains
(2000-2001) in cui spesso la sovrapposizione
di differenti piani sonori e il rapporto
dialettico con lo strumento solista determinano
brevi suggestive timbriche, spesso
improvvisamente interrotte.
Le
sonorità, molto cameristiche, dove anche i legni
e gli ottoni hanno un ruolo fondamentale, hanno
espresso bene questa sorta di neoclassicismo
molto stravinskijano mediato dall'origionale
linguaggo di Castaldi. Ottima la parte
pianistica della Moretti, anche con inserzioni
di brevissima durata. Nel secondo brano, con i
Seven Slogans, brano orchestrale composto
nel 1985-86, le modalità di scrittura hanno lo
stesso orientamento in stile neoclassico, ma
l'evolversi della composizione, più discorsiva e
meno segmentata, ritrova una chiarezza
espressiva ricca di contrasti in un contesto
sempre cameristico. Valida la direzione di
Feddeck e la restituzione dell'Orchestra de I
Pomeriggi. Il concerto è terminato con una
interessante interpretazione della Sinfonia
n.1 in re maggiore D 82 di un Franz Schubert
solo sedicenne. Ottima interpretazione. Applausi
sostenuti dal pubblico presente al Teatro Dal
Verme. Sabato, come già detto, si replica.
4 marzo 2022 Cesare
Guzzardella
Poesie della Merini
e musica al Museo
del Novecento
Dalla collaborazione tra il
Museo del Novecento, NoMus e la Società del
quartetto, è nata una rassegna musicale e
letteraria che ha visto ieri pomeriggio il primo
di una serie d'incontri che
si
terrano in questi mesi. L' "Omaggio ad Alda
Merini" è avvenuto con una lettura-concerto di
alcune pregnanti poesie della scrittrice
milanese e con l'esecuzione di brani dei primi
decenni del '900. Protagonisti di questa
riuscita iniziativa sono stati Elena Zegna, voce
recitante, e la pianista Eliana Grasso.
Alternando poesie ai brani pianistici di
Debussy,
Šostakoviç, Rachmaninov, Skrjabin,
Messiaen, Lutoslawski, Prokofiev, Bartók,
Boulanger e Casella, inseriti in quattro quadri
espositivi, si è venuta a creare ,
nel bellissimo spazio preposto al Museo del
Novecento, una situazione particolarmente
importante dovuta ai contrastanti testi poetici
della Merini, recitati
molto bene dalla Zegna, e dalle espressive e
diversificate composizioni interpretate con
intenso coinvolgimento emotivo dalla bravissima
Grasso.
Tra i brani eseguiti citiamo almeno quello
iniziale con il celebre Clair de lune di
Claude Debussy, il Preludio op.3 n.2 di
Sergej Rachmaninov, un selezione dalle Danze
fantastiche di Dmitri
Šostakoviç,
alcune Danze Fuggitive di Prokofiev,
alcuni brani di Skrjabin e il significativo
brano conclusivo con la rara ma efficace
Toccata in do dies.minore op.6 di A.Casella.
Una serie di brani ben accostati ai caratteri
spesso forti e taglienti di alcune poesie della
Merini, ma anche ad altre di più pacata
espressività. Citiamo tra le poesie almeno
Manicomio, Il dottore agguerrito nella notte,
Sono folle d'amore per la sera, Abbiamo le
nostre notti insonni, L'ora più solare per me,ecc.
Di qualità l'interpretazione pianistica della
Grasso che ha rivelato sicurezza e intensa
partecipazione emotiva in tutti i brani
proposti. Applausi intensi dal numeroso pubblico
intervenuto. Ottima iniziativa!
2 marzo 2022 Cesare Guzzardella
Prossimamente al Civico di Vercelli l'arpa di
Valerio Lisci
Sabato 5 marzo 2022 al Teatro
Civico di Vercelli , Via Monte di Pietà 15, ore
21 si terrà un concerto
dell'arpista Valerio Lisci. In programma N. Rota
- Sarabanda e Toccata; N.C. Bochsa - Rondeau sur
le trio Zitti zitti da Il barbiere di Siviglia
di G. Rossini;F. Mannino - Tre Canzoni;E. Parish
Alvars - Grande fantasie sur des motifs de Lucia
di Lammermoor op. 79;G. Caramiello - Rimembranza
di Napoli op. 6; V. Lisci - La Maschera; E.
Parish Alvars - Sérénade op. 83;W. Posse -
Variazioni su Il Carnevale di Venezia .
DALL'ITALIA VERSO IL MONDO:
AL CIVICO L'ARPA DI VALERIO LISCI
Oltre
a voler proporre al suo pubblico tutto ciò che
di meglio offre oggi la nuova generazione di
concertisti, il XXIV Viotti Festival vuole anche
ampliare gli orizzonti dello spettatore,
portandolo a incontrare repertori e strumenti
meno conosciuti. Due obiettivi ambiziosi che si
fondono in un unico concerto, quello in
programma sabato 5 marzo al Teatro Civico di
Vercelli (ore 21, concerto in abbonamento).
Ovvero, l'appuntamento che vedrà protagonista il
non ancora trentenne Valerio Lisci,
“ambasciatore” nel mondo di uno strumento non
comune ma di grandissimo fascino: l'arpa. Nel
corso della serata, Lisci non solo mostrerà con
accattivante virtuosismo tutta la sorprendente
capacità espressiva dell’arpa, ma proporrà anche
un programma “a tema”. Il concerto si intitola
infatti Italianeggiante, ed è un suggestivo
viaggio verso e attraverso il nostro Paese,
visto sia con gli “occhi musicali” di autori
italiani, sia con la sensibilità di compositori
stranieri che all'Italia si sono ispirati. Si
passerà così per pagine di autori che sono stati
anche grandi arpisti, come Bochsa, Alvars,
Caramiello, Posse e, non certo ultimo, lo stesso
Valerio Lisci che presenterà il suo La Maschera,
ma si scoprirà anche che due protagonisti della
musica scritta per il cinema quali Nino Rota e
Franco Mannino hanno composto per arpa, e con
risultati spettacolari. E poi si viaggerà per
l'Italia, da Napoli e Venezia, assaporando sia
temi popolari sia la musica più “colta”, e si
uscirà dal Civico stupiti che uno strumento
tanto difficile da padroneggiare
– la tecnica
arpistica è estremamente complessa
– possa
riservare così tante emozioni.
1 marzo 2022 dalla redazione
FEBBRAIO 2022
Lorenzo Viotti
dirige la Filarmonica della Scala in
Čaikovskij
e in
Rachmaninov
Il direttore Lorenzo Viotti
tra le repliche della bellissima Tha ïs,
da lui diretta, ha tenuto un concerto sinfonico,
replicato due volte, dirigendo la Filarmonica
della Scala in brani di
Čaikovskij
e Rachmaninov. Dei due compositori sono stati
eseguiti la Serenata in do
maggiore
per archi op.48, che P.I.Čaikovskij compose
nel 1880, e la Sinfonia n.2 in mi minore
op.27 che Sergej Rachmanonov concepì
nel 1907. La compattezza timbrica del lavoro
cameristico del primo russo ha trovato un'
eccellente interpretazione nel gesto asciutto,
essenziale e misurato del giovane direttore
svizzero. La celebre Serenata op.48 è
strutturata in quattro parti e presenta un tema
introduttivo dal carattere profondo e
celebrativo, tema che ritornerà ancora nel corso
del brano e anche alla sua conclusione.
L'atmosfera ricca di nostalgia e tristezza dell'Allegro
iniziale e dell' Elegia trova momenti
di estrema positività nel delizioso Valzer
centrale e nell'estroverso Allegro con
spirito finale, una danza popolare
divertente. Viotti ha trovato il giusto dosaggio
nel definire le sottili timbriche che
definiscono i contrastanti e repentini
cambiamenti del brano, mantenendo un equilibrio
perfetto nelle risoluzioni dinamiche. Bravissimi
gli archettisti della Filarmonica. Ben più
corposa, complessa e virtuosistica la rara
Sinfonia n.2 del secondo russo. L'ampio lavoro,
di quasi sessanta minuti di durate, presenta
situazioni melodiche tipiche del compositore e
frangenti di grandi volumetrie timbrica che
rivelano le alte capacità d'orchestrazione di
Rachmanimov, autore di un lavoro certamente
evoluto considerando il periodo di scrittura. La
Sinfonia, ricca di straordinari impasti
coloristici, è stata resa con maestria da Viotti
per una coinvolgente interpretazione dei
filarmonici scaligeri. Bravissimi in tutte le
sezioni orchestrali, gli strumentisti della
Filarmonica della Scala hanno trovato ancor più
una resa eccellente nell'Allegro vivace
conclusivo. L'Op.27 meriterebbe una più larga
diffusione. Applausi sostenuti in un teatro al
completo e numerose uscite in palcoscenici del
direttore.
28 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
ALEXANDRA DOVGAN
A VERCELLI - QUANDO LA MUSICA ILLUMINA
Ieri sera, sabato 26
febbraio, il Festival Viotti, nella nuova serata
della sua ventiquattresima stagione, vedeva il
debutto, al Teatro civico di Vercelli, della
giovanissima pianista russa Alexandra Dovgan,
quattordicenne che ha cominciato a segnalarsi da
qualche tempo nel firmamento del concertismo
internazionale, con numerose esibizioni anche in
Italia, e la cui comparsa sui palcoscenici si è
già meritata l’appellativo di ‘evento’,
“Lanciata” da autorevolissimi endorsements, come
quello del connazionale Grigorij Sokolov, che,
come si legge nel programma di sala, assicura
che Alexandra non è più classificabile come un
enfant prodige, ma ha già maturato una
personalità adulta, si è guadagnata la fama di
‘piccolo genio’ della musica, Il pezzo scelto
dalla Dovgan per il suo recital vercellese è
stato uno dei due concerti di Chopin,
precisamente quello indicato come n.2 benché,
come noto, sia stato il primo a essere composto
dal grande polacco: il Concerto in Fa minore
op. 21. Ci pare interessante rilevare che
secondo il programma del ViottiFestival diffuso
a inizio stagione, la Dovgan avrebbe dovuto
eseguire il concerto KV 491 di Mozart, un
concerto che ha il suo
valore
principale nella straordinaria e tragica
tensione espressiva, soprattutto nel primo
tempo. In un’intervista di qualche tempo fa, la
giovanissima pianista russa ha dichiarato di
essere sempre lei a scegliere i pezzi da
eseguire in concerto. Se è così, e non ne
dubitiamo, è evidente che qualcosa ha indotto la
Dovgan a preferire, ad un pezzo di grande
profondità espressiva e dunque di intenso
impegno interpretativo, un pezzo che porta in
primo piano il virtuosismo del solista, specie
nei due tempi esterni, affidando al tempo lento
centrale il compito di dar voce ad un più effuso
afflato espressivo. Insomma, una virata dal
pianismo ‘espressivo’, al ‘pianismo
spettacolare’. Francamente e sinceramente:
peccato! Il programma prevedeva poi l’esecuzione
di uno dei più celebri capolavori del sinfonismo
ottocentesco, la beethoveniana Sinfonia n.6 in
Fa maggiore op.68, universalmente nota come la
‘Pastorale’, L’orchestra era, come di consueto,
la Camerata Ducale, diretta da Guido Rimonda.
Fin dalle prime battute d’esordio del
pianoforte, dopo l’esposizione orchestrale, nel
concerto chopiniano, la Dovgan mettte in luce le
solidissime basi tecniche del suo pianismo: la
serie di quartine di semicrome in fortissimo con
cui il pianoforte irrompe sulla scena e il
successivo flusso, sempre di quartine di
sedicesimi, che introduce il secondo tema,
scorrevano sulla tastiera con un tocco elastico,
un perfetto equilibrio tra le due mani, un’
energia, capace di proiettare un adeguato volume
di suono, che si sgranava poi negli acuti degli
abbellimenti, in particolare dei trilli, con
cristallina limpidezza. Chi ascolta la Dovgan in
questi brani di alto virtuosismo, non ha però
l’impressione di trovarsi di fronte ad un
virtuosismo esibito e forzato, teso al massimo
della spettacolarità: c’è, nel fraseggio della
giovane russa, un che di sobrio, di genuinamente
spontaneo, che aderisce alla partitura senza
voler strafare: non è, insomma, per usare la
sprezzante espressione di Clara Wieck-Schumann,
“una pestona”. Un po’ piatta, a nostro modesto
parere, l’esecuzione dell’Allegro vivace finale,
in forma di Rondò, dove il fraseggio della
Dovgan, impeccabile nelle parti virtuosistiche,
non è riuscito a rendere pienamente la fresca
leggerezza popolaresca del ritornello né,
soprattutto, quella ambigua vaporosità del
secondo couplet, che è forse la parte più bella
del Finale. Ma la Dovgan ha mostrato cosa può
“diventare da grande” nell’interpretazione di
quello che è il ‘centro spirituale’ del concerto
n.2 di Chopin, cioè il centrale Larghetto. Con
intelligente scelta interpretativa, la solista
russa evita la tentazione peggiore di pezzi come
questi (e di molto Chopin), cioè l’abbandono ad
una languida sognante atmosfera di maniera,
puntando tutto sulla purezza e soprattutto sulla
dimensione interiore della melodia, grazie ad un
tocco che sa tornire suoni perlacei e delicati,
talvolta quasi sfiorati, anche nei numerosi
abbellimenti: quello che la Dovgan ci propone è
un meraviglioso brano musicale improntato ad
un’intimità avvolgente, guidata da un sapiente
controllo delle dinamiche, e che diventa davvero
cosa sublime nel dialogo con il controcanto del
fagotto, nella ripresa, dopo la contrastante
sezione centrale, più mossa e drammatica. Questa
è davvero musica che illumina chi ha il
privilegio di ascoltarla e in questo brano la
Dovgan ha mostrato di essere straordinariamente
adulta . Nei concerti chopiniani, ben si sa,
secondo il gusto Biedermeier dominante negli
anni ‘20-‘30 delll’800, l’orchestra non ha un
grande ruolo, limitandosi ad accompagnare il
protagonista assoluto, il solista. Però Rimonda
è stato bravissimo a guidare la Camerata Ducale
nel seguire, in questo splendido secondo tempo,
il fraseggio della solista, con una grande cura
dei dettagli timbrici, un giusto stacco dei
tempi, un chiaroscuro sottile e avvolgente delle
dinamiche. Davvero un’emozionante esperienza di
ascolto. E la bravura e la maturità ormai solida
di Rimonda come direttore d’orchestra hanno dato
ottima prova di sé nell’esecuzione della
Pastorale. Sotto la pluridecennale guida del suo
fondatore e direttore, la Camerata ducale ha
raggiunto una perfetta trasparenza di suono, che
Rimonda ha in questa occasione valorizzato al
massimo, curando con particolare finezza le
dinamiche e gli impasti timbrici, anzitutto
quelli, decisivi per la Pastorale, fra gli archi
e i fiati, ieri sera in forma strepitosa. Quasi
subito l’ascoltatore è stato colpito, al
comparire del secondo motivo dell’Allegro
iniziale, dal suo trascolorare meravigliosamente
reso, dai violini ai violoncelli, ai flauti: è
cosi cominciato il viaggio in un meraviglioso
mondo di suoni, che ha qualcosa dell’incantesimo
di una magia, sotto la guida della bacchetta di
Rimonda. Anche nei brani che troppe
interpretazioni di esecutori e di critici hanno
banalizzato a puri brani descrittivi di un
postdatato barocco, come la “scena al ruscello”,
l’interpretazione di Rimonda fa prevalere
nettamente le ragioni della musica, come quando
il tema di ‘barcarola’ in semicrome, più che “il
brusio delle mille voci della natura” per citare
il grande Mila, si presenta come una toccante,
tenera danza di una musica luminosa, tersa, che
avvolge nell’ebbrezza di una gioia senza limiti
l’ascoltatore, invitato a immergersi nel sereno
flusso della vita. Dicevamo della bravura dei
fiati ascoltati ieri sera: ci si conceda qui un
elogio particolare dell’oboe che, nel terzo
tempo, espone, con una tenerezza e dolcezza
straordinarie la terza idea del movimento,
accompagnato dall’”ostinato” dei violini. La
climax di questo viaggio nella magica fiaba
sonora della Pastorale veniva poi raggiunta in
quel momento di indicibile incanto, in cui
avviene il trapasso dal fragore della tempesta
allo splendido canto pastorale che domina il
finale, che nell’interpretazione di Rimonda
acquista una dolcezza e un sentimento di intima
felicità riconquistata, che è delle migliori
esecuzioni a noi note di questo capolavoro.
Applausi prolungati di un pubblico che è tornato
a riempire il Teatro Civico e che nella
splendida musica ascoltata ieri sera ha trovato
un po’ di conforto e forse di speranza, in un
periodo di peste e di guerra come quello che
stiamo vivendo. Serata che non dimenticheremo.
Bruno Busca 27 febbraio 2022
Continua il successo
per il Thaïs di Massenet al Teatro alla Scala
Le ultime repliche del
Thaïs alla Scala continuano ad avere un
meritatissimo successo. Anche alla quarta
rappresentazione, vista ieri sera, il pubblico,
in un teatro al completo, ha tributato ripetuti
applausi a tutti i protagonisti. Sono passati
ottant'anni dalle prime rappresentazioni
scaligere dell'opera di Jules Massenet. In piena
seconda guerra mondiale, nel febbraio e nel
marzo
del 1942, vennero date le uniche cinque
rappresentazioni dirette da Gino Marinuzzi.
Vedendo la riuscita messinscena di questi giorni
ci sembra evidente che questo capolavoro
musicale francese mancava da Milano da troppo.
L'apporto dell'originale e articolata musica di
Massenet, composta intorno al 1894, è elemento
strutturale per ogni messinscena. Nella versione
del 1898, quella proposta al Teatro alla Scala
dal direttore Lorenzo Viotti -svizzero di
origine italo-francese- , e dal regista teatrale
francese Olivier Py, il gioco di squadra è stato
esemplare. Le scene e i costumi di pregio di
Pierre-André Weitz hanno disegnato, con resa
efficace, la semplice storia tratta dal romanzo
di Anatole France e riportata nel libretto di
Louis Gallet. La fondamentale parte coreografica
di Ivo Bauchiero, sorretta dell'esemplare musica
del grande compositore francese e dalle adeguate
luci di Bertrand Killy, ha trovato un
inserimento perfetto nel contesto scenografico.
Ricordiamo l'ottimo intervento dei bravissimi
bellerini Beatrice Carbone e Gioacchino Starace
nel famoso intermezzo "Méditation",
tema
che conclude il primo quadro del secondo atto e
che verrà accennato o ripetuto più volte nel
corso dell'opera, anche nella toccante ultima
scena con le voci dei due principali
protagonisti. La componente vocale, di gran
pregio, ha trovato come prime voci e primi
attori, il soprano Marina Rebeka, una Thaïs
di grande spessore che affronta il difficile
ruolo con padronanza vocale esemplare, e il
baritono Lucas Meachem, un Athanaël
giovane cernobita, con timbro sicuro e ricco di
dettagli. Di qualità le altre voci. Segnaliamo
Giovanni Sala, un Nicias di grande
espressivita , Caterina Sala in
Crobyle, Anna Doris Capitelli in Myrtale,
Valentina Pluzhnikova in Albine,
Nicole Wacker La Charmeuse (in
sostituzione di Federica Guida indisposta),
Insung Sim in Palémon, ottimi
insieme agli altri. Naturalmente di grande
qualità il Coro preparato da Alberto
Malazzi. Ultima replica prevista per mercoledì 2
marzo. Da non perdere! (Foto di
Brescia- Amisano dall'Archivio del Teatro alla
Scala)
26 febbraio 2022 Cesare
guzzardella
Giuseppe Gibboni
con l' Orchestra dei
Pomeriggi Musicali per Paganini
Un'occasione da non perdere
quella offerta da I Pomeriggi Musicali
ieri sera. Giuseppe Gibboni, recente vincitore
del "Concorso Internazionale di violino
N.Paganini" di Genova,
uno
dei più prestigiosi al mondo, è venuto al Dal
Verme per eseguire il Concerto n.1 per
violino e orchestra op.6 di Paganini. L'Orchestra
de I Pomeriggi diretta da James Feddeck
aveva iniziato la serata con una valida
interpretazione dell' Ouverture e Scena di
danza da Arianna e Nasso di Richard Strauss.
La serata ha avuto una svolta con la salita sul
palcoscenico del ventenne violinista
salernitano. Proveniente da una famiglia di
musicisti, Gibboni suona da sempre il violino.
Esemplare la sua interpretazione del concerto,
forse il più noto del grande musicista e
virtuoso genovese. La celebre op.6, strutturata
in tre ampie parti, è un mirabile esempio della
cantabilità italiana legata al mondo lirico e a
quello strumentale. Paganini ha impreziosito le
sue bellissime arie con i suoi virtuosismi.
Nella
restituzione del lavoro, Gibboni ha sbalordito
per la bellezza del suo timbro. Una cantabilità
precisa e luminosa, arricchita con i noti
virtuosismi che con abilità esegue con resa
semplice, pur essendo di una complessità
inaudita. Ottima la componente orchestrale nella
direzione di Feddeck. Applausi spontanei dal
pubblico presente alla fine dell'Allegro
maestoso iniziale, e ancor più fragorosi al
termine del concerto. Due splendidi bis concessi
da Gibboni. Prima il Capriccio n.24
sempre del genovese e poi un luminosissimo Bach.
Dopo il breve intervallo, di qualità
l'esecuzione della neoclassica Suite dal
Pulcinella di Igor Stravinskij. Sabato alle
ore 17.00 si replica. Da non perdere!
25 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
La pianista Ying Li
per la
Società dei Concerti in Conservatorio
La Serie Rubino dei concerti
organizzati dalla "Fondazione la Società dei
Concerti" ha ritrovato ieri sera la pianista
cinese Ying Li per un recital variegato e ben
strutturato. Per l'occasione, in concomitanza
con la Settimana della moda milanese, la
pianista si è presentata indossando due eleganti
abiti della stilista Francesca Imperatore. Più
classico il primo, come
classici
erano i brani della prima parte del concerto,
più estroso e ricco di colori il secondo, in
sintonia con i lavori della seconda parte. Ying
Li è stata la vincitrice della prima edizione
del "Premio Internazionale Antonio Mormone",
terminato nel luglio dello scorso anno, ma ha
vinto anche altri importanti concorsi
internazionali, il più recente nell'ottobre del
2021 a New York. Certamente l'alto rilievo della
tecnica pianistica sta diventando una costante
per molti pianisti delle ultime generazioni.
Ying Li oltre ad un formidabile virtuosismo ha
una varietà di timbriche luminose e
dinamicamente ricche. La prima parte del
concerto era dedicata a J. S. Bach con la
Suite Francese n. 5 BWV 816 e a R.Schumann
con la Phantasiestücke op.12. Ottimo il
Bach ascoltato, ricco di luce e perfettamente
strutturato nella successione dei sette
movimenti, con la celebre Gigue finale
d'effetto per l'accentuata ed espressiva
ritmica. Rilevante Schumann con la nota Op.12
ben rilevata in ogni dettaglio, una
Phantasiestücke, però, non ancora pregna di
spirito romantico. Di particolare qualità la
seconda parte della serata. I brani ascoltati di
Bartók, Albeniz e Ginastera, tutti composti nei
primi decenni del '900, dimostrano
l'attitudine
di molti giovani pianisti ad esprimersi con
maggior rigore nei lavori meno lontani o nel
repertorio contemporaneo. Ying Li dopo aver
ottimamente interpretato la Suite op 14
di Bartók, quattro
movimenti
composti dal compositore ungherese nel 1916, ha
decisamente sbalordito in Albeniz con due brani
tratti da Iberia: prima con Triana
e poi con Fête Dieu à Seville. Con grande
sicurezza ha riempito di colori i contrastati
momenti delle due splendide composizioni. Le sue
qualità ritmiche si sono poi ancor più rivelate
a conclusione del programna ufficiale, con le
più recenti Danzas Argentinas op.2, opera
del compositore argentino Alberto Ginastera del
1937. La vivacità dei brani laterali - Danza
del viejo boyero
e Danza del gaucho matrero- hanno
entusiasmato per padronanza ritmico-percussiva,
mentre il meditato bellissimo brano centrale, la
Danza de la moza donosa, ha rivelato
l'intensa vena melodica dell'interprete.
Successo caloroso con applausi fragorosi dal
numeroso pubblico di Sala Verdi in
Conservatorio. Due i bis concessi dalla
bravissima Ying Li: prima un ottimo
virtuosistico Verdi-Liszt con la celebre
Parafrasi dal Rigoletto e poi un ritorno
alla pacatezza con un valido Mozart nell'
Andante cantabile dalla Sonata in si
bem. maggiore K.333. Qualche variante nelle
ultimissime battute, ma comunque di ottima
fattura. Bravissima!
24 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
PROSSIMAMENTE ALEXANDRA
DOVGAN A VERCELLI
Il
talento non ha età: si può riassumere così lo
spirito del concerto che il XXIV Viotti Festival
presenterà al suo pubblico sabato 26 febbraio al
Teatro Civico di Vercelli (ore 21, concerto in
abbonamento),
protagonisti la pianista Alexandra Dovgan e
l'Orchestra Camerata Ducale diretta da Guido
Rimonda. Non ha età perché la Dovgan, che vanta
un presente da solista internazionale
pluripremiata, ha appena 14 anni, una musicalità
purissima, una maturità sorprendente e una
spiccata insofferenza per la definizione di
“enfant prodige”. E la si può capire: la sua
presenza carismatica e la sua solidissima
capacità interpretativa non hanno proprio nulla
di adolescenziale. Ci si troverà dunque di
fronte a una solista a tutti gli effetti già nel
periodo “adulto” del suo percorso artistico, il
che conferma la caratteristica unica del
Festival vercellese, ovvero la capacità di
proporre al suo pubblico tutte le assolute
eccellenze delle nuove generazioni di
interpreti. La Dovgan proporrà il Concerto n. 2
op. 21 di Fryderyk Chopin, e Chopin, come è
risaputo, rappresenta l'apoteosi del pianoforte.
(Foto a cura dell'ufficio stampa di Vercelli).
23 febbraio dalla redazione
Gidon Kremer
in Conservatorio per i
concerti di Serate Musicali
Le "Serate Musicali" hanno
organizzato un concerto celebrativo per i 75
anni di Gidon Kremer ospitando, oltre al celebre
violinista lettone, la violoncellista Giedré
Dirvanausskaité - da anni strumentista della
Kremerata Baltica- e il più giovane pianista
Georgijs Osokins. L'impaginato diversificato,
con trii di Schumann e Rachmaninov, ha
visto anche due brani contemporanei:
il
primo di Igor Loboda ( 1956) un Requiem per
violino solo, dedicato al popolo
ucraino per le infinite sofferenze subite; il
secondo di Victoria Poleva (1962), un trio in un
unico movimento del 2022 in prima esecuzione
italiana. È una caratteristica di Kremer quella
di produrre programmi che spaziano tra
differenti periodi storici, inserendo sempre
brani del Novecento e di musicisti
contemporanei. Decine di compositori infatti,
hanno scritto musica per lui, violinista tra i
più riconosciuti del panorama mondiale. Il
corposo Trio con pianoforte n.3 in sol minore
op.110 di Robert Schumann ha introdotto la
serata, rivelando da subito la cifra qualitativa
del gruppo cameristico. Il brano eseguito per
ultimo di Serjei Rachmaninov, Trio elegiaco
in re minore op.9, opera giovanile del
grande russo, ha sbalordito per qualità prodotta
e sinergie degli interpreti. Tra loro, il
pianista Osokins si è distinto
per
sensibilità e sicurezza, sostenendo un ruolo
primario e dimostrando di penetrare in
profondità - come gli altri interpreti- nella
sofferta parte di questa elegia, opera
che trova momenti di grande riflessione e altri
di imponenti esternazioni volumetriche.
Esecuzione esemplare. Nella parte centrale del
concerto i due brani recenti, di relativamente
breve durata, hanno visto prima l'assolo di
Kremer col significativo
Requiem, opera del 2014 del compositore
georgiano Loboda. È un profondo e virtuosistico
lavoro il Requiem, costruito su una canzone
popolare ucraina, variata nelle complesse
ed espressive progressioni melodiche che si
concludono lentamente al ritmo di un
significativo pizzicato ottenuto col dito
mignolo. Il Trio dedicato a Kremer denominato "Amapola",
della compositrice russa Poleva, ha modalità
polistilistiche, con un impianto
melodico-armonico fondamentalnente tonale di
immediata comprensione. Le parti solistiche del
violino e del violoncello intervengono in un
tappeto sonoro pianistico dalle timbriche
luminose, efficacemente introdotte e sviluppate
dal bravissimo Osokins. Lavoro di evidente
qualità, Amapola ha trovato riscontro
favorevole dal numeroso pubblico intervenuto in
Conservatorio. Calorosi applausi al termine del
programma ufficiale, con ripetute uscite in
palcoscenico dei protagonisti. Splendido il bis
concesso con un adattamento strumentale per trio
del noto lied Du bist die Ruh' di Franz
Schubert eseguito con intensa espressività
melodica.
22 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
La violinista Carolin
Widmann diretta da Yoel Gamzou per il concerto
di Korngold
Ieri pomeriggio l'
Orchesrra Sinfonica di Milano "G. Verdi" ha
tenuto l'ultima replica del concerto diretto da
Yoel Gamzou per due lavori importanti quali il
Concerto per violino e orchestra in Re
maggiore op. 35 di Erich Wolfgang Korngold e
la Sinfonia n. 1 in Re
maggiore
"Il Titano" di Gustav Mahler. Sono riuscito
ad ascoltare- per sopraggiunti impegni- sola la
prima parte del concerto. Il lavoro del
compositore austriaco E. Wolfgang Korngold, nato
a Brno nel 1897 e morto negli Stati Uniti nel
1957, ha avuto una non breve gestazione che è
durata sino alla prima esecuzione che ebbe luogo
nel 1947 per la bacchetta di Vladimir Golshmann
e il prestigioso violino di Jasha Heifetz. Il
tardo-romanticismo, dal sapore molto nordico, di
questo splendido brano, strutturato nei classici
tre movimenti, ha trovato come protagonista la
violinista tedesca Carolin Widmann, solista di
livello internazionale. La Widmann ha dato una
lettura di altissimo livello coadiuvata
dall'ottima direzione di Yoel Gamzou e dalle
espressive timbriche di tutte le sezioni
orchestrali. Soprattutto il
coinvolgente
Moderato nobile iniziale, il movimento
più corposo, ha rivelato la valenza di un grande
musicista quale Korngold, un tempo noto
soprattutto per le numerose colonne sonore di
film americani, per le quali, per alcuni di essi
ottenne anche premi Oscar. L'incisività e la
discorsività, ricca di espressività, della
Widmann hanno esaltato la ricchezza
virtuosistica di un concerto che vanta anche
un'esemplare orchestrazione, degna di un G.
Mahler o di un R.Strauss. Applausi sostenuti al
termine ai protagonisti e ottimo il bis concesso
dalla violinista con la più nota Sarabanda
di J.S.Bach, interpretata benissimo.
21 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
L'ottimo duo di voce
e pianoforte di M.Eleonora Caminada e di Alfonso
Alberti all'Auditorium G.Di Vittorio
Un concerto di qualità quello
proposto dal Alfonso Alberti, pianista e
musicologo specializzato nella musica del '900 e
contemporanea. Sua l'originale idea di
articolare un programma che propone come
riferimento l'anno 1917: l'anno della
rivoluzione d'ottobre,
l'anno
centrale della Grande guerra, l'anno del primo
jazz-Dixieland. Ha trovato nove noti compositori
che avessero composto in quell'anno brani per
voce e pianoforte, o perlomeno brani che in
quell'anno avessero avuto una prima esecuzione.
Da questa idea, che rivela la varietà di musica
di quel lontano periodo- spesso pensata con
stili e linguaggi molto diversificati- è nato un
concerto che ha avuto come protagonista anche la
bravissima Maria Eleonora Caminada, voce di
soprano. La maggior parte dei brani, spesso
brevissimi, ma con normali tempi per alcuni,
erano di rarissimo ascolto. Lieder, song,
romanze, canti popolari, a partire dai Cinque
canti Op.27 di Sergej Prokofiev, hanno
rivelato l'ottima voce della Caminada e la sua
capacità di passare da un
genere
ad altro senza mai perdere un colpo in termini
qualitativi, insieme, naturalmente, alle
indubbie abilità pianistiche dell'Alberti che ha
trovato un momento centrale, in solitaria,
eseguendo benissimo il Menuet da Le
tombeau de Couperin di Maurice Ravel-
composizioni naturalmente terminate nel '17.
Tutti interessanti e ottimamente interpretati i
lavori presentati dallo stesso Alberti
all'Auditorium della Camera del lavoro G.Di
Vittorio. Segnaliamoli tutti, iniziando dal più
melodico e se vogliamo "tradizionale" Puccini da
La rondine con Ch' il bel sogno di Doretta,
con l'ottima intonazione della Caminada. Non
distante musicalmente da Puccini ancora un
italiano con il rarissimo Ottorino Respighi de
La fine, su testo
del poeta indiano di R. Tagore dalle Cinque
liriche, un canto raffinatissimo che
meriterebbe una
larghissima
diffusione. D'impronta popolare
e
- come per il Prokofiev iniziale- di provenienza
dall'est Europa, le Trois histoires pour
enfants
di Igor Stravinskij, fiabe quasi surreali del
musicista russo, e una selezione ( le prime
quattro) dalle Otto canzoni popolari di
Bela Bartók, tutti brevi lavori, anche ben
evidenziati dalla gestualità dalla Caminada. Di
straordinaria resa espressiva, per l'unicità di
linguaggio -un'atonalità spinta- i Quattro
Lieder op.12 di Anton Webern, dove
l'intreccio tra la complessa parte pianistica e
le acrobazie vocali del soprano hanno rivelato
un'eccellente integrazione dei due interpreti.
Dagli Stati Uniti terminiamo con il
melodicissimo George Gershwin di Beautiful
Bird, scritti da un giovanissimo compositore
diciannovenne, e a conclusione, He is There!
un raro Charles Ives a ritmo di marcia.
Lunghi applausi per i protagonisti e come bis di
nuovo "voliamo" con il bellissimo brano
Beautiful Bird di Gershwin. Bravissimi!!
20 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
L'ottima direzione di Diego
Fasolis con I
Pomeriggi Musicali
Un ottimo concerto sinfonico
quello ascoltato ieri sera al Dal Verme con l'
Orchestra de I Pomeriggi Musicali
impegnata in brani di Mozart e Beethoven. A
dirigere la compagine di
strumentisti
c'era Diego Fasolis, raffinato direttore, noto
per il repertorio più lontano nel tempo, spesso
eseguito con l'ausilio di strumenti originali.
Fasolis, modificando l'ordine dei brani in
programma, ha preferito dirigere prima tutto
Beethoven lasciando, dopo il breve intervallo,
la più celebre Sinfonia n. 41 in do maggiore
K 551 “Jupiter” (1788) di W.A.Mozart. La sua
energica modalità direttoriale, minuziosa e
attenta ai dettagli, ha esaltato le qualità dei
bravissimi orchestrali. Partendo con l'ouverture
Le Creature di Prometeo (1801) di
L.V.Beethoven, Fasolis ha dato grinta agli
strumentisti de I Pomeriggi per
un'interpretazione energica dove tutte le
sezioni orchestrali hanno reso in modo adeguato,
anche
nelle importanti sezioni di legni e di ottoni.
Anche i brani più corposi con la
Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 36 (1802)
di L.v Beethoven e quindi la "Juppiter"
di Mozart, hanno trovato energia e un equilibrio
stilistico di alto livello nella bacchetta di
Fasolis. Il direttore ha fatto emergere le
timbriche in modo chiaro ed incisivo di ogni
strumento o sezione strumentale. Di grande
rilievo espressivo il
Molto allegro, finale dell'ultima sinfonia
mozartiana che oltre a concludere mirabilmente
il ciclo sinfonico del salisburghese, ha posto
fine alla bellissima serata strappando fragorosi
applausi del numeroso pubblico intervenuto.
Ricordiamo la replica di sabato 19 febbraio alle
ore 17.00. Da non perdere.
18 febbraio Cesare
Guzzardella
Leonora Armellini
in Chopin per la
"Fondazione La Società dei Concerti"
Il programma del concerto
organizzato dalla Fondazione La Società dei
Concerti, ascoltato ieri sera in
Conservatorio, ha trovato sul palcoscenico di
Sala Verdi la Filarmonica del Festival
Pianistico di Brescia e Bergamo diretta da
Pier Carlo Orizio e, al pianoforte, Leonora
Armellini. Il celebre Concerto per pianoforte
e orchestra n.1 in mi minore op. 11 di F..
Chopin
ha rivelato un'eccellente interprete nella
Armellini, pianista che ricordiamo essere
entrata tra i finalisti del più recente e
prestigioso Concorso Internazionale "F Chopin",
conquistando e pienamente meritando, la quinta
posizione. L'interpretazione fornita dalla
Armellini, in piena sinergia con l'orchestra, ci
è apparsa d'eccellente qualità. Una cifra
stilistica, quella della ventinovenne padovana,
che ritrova la migliore tradizione
interpretativa del grande polacco. La sua
espressiva esecuzione ha
rivelato
un tocco brillante, perlato e ricco di sfumature
elargite con equilibrio, sottolineando ogni
dettaglio in modo luminoso. Il suo disinvolto
fraseggio è stato ben evidenziato e sostenuto
dai bravissimi orchestrali della Filarmonica
del Festival Pianistico di Brescia e Bergamo
grazie alla precisa direzione di Pier Carlo
Orizio. I fragorosi applausi - meriratissimi-
per questa esemplare interpretazione, sono
continuati anche dopo i tre bis concessi dalla
pianista. Ancora Chopin con lo Studio n.12
op.10, lo Studio n.1 op.25,
soprattutto il primo eseguito in modo esemplare
per compattezza e scorrevolezza, quindi una
rarità interpretativa
con
l'originale Tarantella del genio polacco
espressa in modo energico dalla pianista
visibilmente soddisfatta. Dopo il breve
intervallo, l'esecuzione della nota Sinfonia
n. 8 in si minore D 759 "Incompiuta"-
seguita dall' Entr’acte n.3 da
Rosamunde- di Franz Schubert, ha rivelato
ancora le sensibili qualità degli orchestrali e
del loro direttore Pier Carlo Orizio. Una
splendida serata.
17 ottobre 2022 Cesare
Guzzardella
Alexandre Kantorow
per la Società del Quartetto
Per la prima volta in
Conservatorio, il pianista francese Alexandre
Kantorow ha tenuto un recital,
organizzato dalla Società del Quartetto.
La sua avviata carriera internazionale deve
molto alla vittoria del prestigioso Concorso
Čaikovskij di Mosca nel 2019.
È un figlio d'arte, avendo come
padre il celebre direttore e violinista
Jean-Jacques Kantorow. L'impaginato
scelto,
con prevalenza di brani altamente virtuosistici,
prevedeva pagine di Schumann, Liszt e Skrjabin.
Il brano introduttivo era una parte tratta da
Weinen, Klagen Sorgen, Zagen di Liszt
dalla Cantata BWV 12 di J.S.Bach. Con la poco
eseguita Sonata n.1 in fa diesis minore op.11
di Robert Schumann , Kantorow ha espresso da
subito la sua elevata cifra stilistica, con
impalcatura tecnica solidissima, dove un tocco
leggero e preciso riesce all'occorrenza trovare
un'esternazione più estroversa e voluminosa.
Valida la sua interpretazione del complesso e
fantasioso brano del compositore tedesco. Di
maggior resa l'ancor più virtuosistica seconda
parte del concerto. Quì è risultato ben
individuato lo spessore musicale di questo
giovane interprete. Prima con il Liszt del
Sonetto 104 del Petrarca
da
Italia di ""Années de pèlerinage"",
quindi di
Abschied e di La lugubre gondola,
brani maturi dell'ultimo Liszt. Il breve e
visionario poema Verse la flamme op.72 di
Aleksandr Skrjabin, ha rivelato maggiormente
l'attitudine di Kantorow
alle
colorazioni scure, ben delineate dalla profonda
interiorizzazione del tessuto melodico-armonico
e ha evidenziato il suo marcato e preciso
virtuosismo, presente soprattutto nell'ultima
parte del breve lavoro. Con l'ultimo brano
dell'impaginato, il noto Après une lecture de
Dante: Fantasia quasi Sonata, il virtuosismo
lisztiano ha trovato ancora un degno interprete
in Kantorow. Di grande impatto il suo approccio
alla "Dante Sonata", con una visione complessiva
perfettamente calibrata nelle dinamiche e nelle
timbriche, e con una sicurezza nel definire
efficacemente ogni frase, anche quelle di
maggiore difficoltà tecnica. Il pubblico
presente in Sala Verdi è rimasto entusiasta,
tributando, al termine del programma ufficiale,
lunghi e fragorosi applausi. Due i bis concessi,
prima uno strepitoso luminosissimo finale dall'Uccello
di fuoco di Igor Stravinskij e poi un ottimo
Johannes Brahms con la Ballata Op.10 n.2 in
re maggiore. Da riascoltare al più presto.
16 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
L'Orchestra Cupiditas
di Pietro Veneri per un interessante Richard
Strauss
È tornata in Conservatorio,
ai concerti organizzati da Serate Musicali,
l' Orchestra Cupiditas e il suo direttore
Pietro Veneri. La compagine orchestrale, formata
prevalentemente da giovanissimi di età compresa
tra i quattordici e ventotto anni, ha questa
volta interpretato due brani certamente
impegnativi. Il primo, di straordinario
interesse, era una trascrizione per violoncello
e orchestra dell'originale Sonata in fa
maggiore per violoncello e pianoforte op.6
di Richard Strauss, lavoro giovanile del
compositore. La versione con orchestra è opera
di
Giovanni
Veneri, musicista che ha colto nella
trascrizione orchestrale la visione costruttiva
timbrica che si disvela nelle architetture
musicali del grande musicista tedesco. La parte
solistica era affidata alla violoncellista
Silvia Chiesa, più volte interprete
dell'originale op.6 col pianista Maurizio
Baglini. Il brano - in questa versione in prima
esecuzione mondiale-. ha trovato un valido
riscontro nella resa orchestrale, oltre
all'ottima esternazione del corposo violoncello
della Chiesa, strumentista di ottimo livello con
timbrice sicure, ricche di energia e
sapientemente dosate. L'interpretazione
è
andata via via in crescendo per qualità,
partendo dal più complesso e orchestralmente
meno immediato,
Allegro con brio e passando dall'intenso
Andante ma non troppo sino all'avvincente
Finale.Allegro vivo che ha rivelato ancor
più le ottime qualità della cellista e i
potenziali dei giovani orchestrali. Applausi
sinceri al termine del brano e salita sul
palcoscenico, tra gli applausi, di Giovanni
Veneri, che, come ha poi ricordato la Chiesa, ha
il merito di aver fatto una valida trascrizione
che potrà in seguito travare risonanza tra le
orchestra italiane e non solo. Eccellente il bis
solistico della violoncellista con la Bourrée
dalla Suite n.3 di J.S. Bach. Dopo la
brevissima sosta l'impegnativa Sinfonia n.1
in do minore op.68 di Brahms, ben diretta da
Pietro Veneri, ha avuto i momenti più felici nel
Un poco sostenuto.Allegro iniziale e nel
finale dell' Allegro non troppo, ma con brio.
Applausi a tutti i giovani protagonisti e al
direttore.
15 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
Anne-Sophie Mutter
e Lambert Orkis alla
Scala per Mozart, Beethoven e Franck
Un Teatro alla Scala così
pieno non si vedeva da un po' di tempo, e con un
pubblico
mediamente più giovane. La ghiotta occasione era
rappresentata dalla presenza della celebre
violinista tedesca Anne-Sophie Mutter,
accompagnata al pianoforte dall'ottimo Lambert
Orkis, pianista presente da anni in duo con la
brava e ancora bellissima solista. Un impaginato
classico con brani di Mozart, Beethoven e
Franck, ha trovato certamente il favore del
pubblico presente. I primi due lavori, la
Sonata n.27 in sol maggiore K 379 di
W.A.Mozart e la Sonata n.5 in fa magg. op.24
"La Primavera" di L.v.Beethoven hanno messo
in risalto, oltre alle
qualità
della solista, anche quelle -eccellenti- di
Orkis. Notoriamente nelle sonate di Mozart e
Beethoven la parte pianistica non è di
"accompagnamento", ma ha un ruolo pari e spesso
predominante a quello del violino, tanto che
originariamente, nel 1781, Mozart pubblicò un
gruppo di sei sonate, tra cui la K 379,
denominato "Sei sonate per clavicembalo e
pianoforte con accompagnamento di violino". Di
qualità l'equilibrio che si è creato tra la
timbrica delicata della Mutter e le
articolazioni, perfette nel fraseggio, nei pesi,
e nei ricchi timbri del pianista. Di maggior
presa violinistica la celebre sonata "La
primavera"
(1801) del genio di Bonn, con il noto
incipit iniziale del violino nel primo
movimento "Allegro". Dopo l'intervallo,
il cambio di registro dovuta alla strepitosa
Sonata in la maggiore (1886) di César
Franck, ha invece maggiormente esaltato le
eccellenti qualità interpretative di
Anne-Sophie. L'evidente incisività timbrica che
caratterizza la nota "sonata ciclica" di Franck,
ha trovato nella Mutter interprete ideale. Il
complesso sviluppo dell'ampio lavoro, con
quell'originale tema che ritorna in tutti i
movimenti, è stato espresso con timbriche chiare
e scavate della solista. La resa sonora precisa
e discorsiva della violinista, ha avuto
integrazione nelle ottime armonizzazioni di
Orkis e il risultato complessivo ha trovato un
evidente riscontro nel pubblico, tanto da
strappare applausi, cosa inconsueta, al termine
dell'Allegro iniziale. Di grande impatto
melodico i due bis concessi dall'eccellente duo.
Prima una pagina di John Williams di intensa
espressività melodica, e poi una profonda,
articolata ed incisiva esecuzione della celebre
Danza ungherese n.1 in sol minore di
Johannes Brahms nella trascrizione del grande
virtuoso violinista Joseph Joachim. Applausi
fragorosi e continue uscite in palcoscenico
degli interpreti visibilmente soddisfatti.
14 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
Prossimamente
a Vercelli Emmanuel Tjeknavorian e Kiron Atom
Tellian
Sabato
19 febbraio 2022 a Vercelli al Teatro Civico,
Via Monte di Pietà 15, alle ore 21 si terrà un
Concerto con Emmanuel Tjeknavorian, violino, e
Kiron Atom Tellian al pianoforte. In Programma:
J. Brahms - Scherzo in do minore WoO 2, A. von
Webern - Quattro Pezzi op. 7, J. Brahms - Sonata
n. 1 in sol maggiore op. 78, F. Poulenc - Sonata
Alla memoria di Federico Garcia Lorca FP119, F.
Schubert - Rondò in si minore op. 70, D 895.
Quando è stato annunciato che il XXIV Viotti
Festival avrebbe presentato il meglio dei
giovani artisti della scena internazionale, si è
fatta una promessa che, con il prossimo
concerto. sarà ancora una volta mantenuta.
Sabato 19 febbraio (ore 21, concerto in
abbonamento) le luci del Teatro Civico di
Vercelli si riaccendono per accogliere,
due
concertisti under 30 apprezzati in tutto il
mondo: Emmanuel Tjeknavorian e Kiron Atom
Tellian. Se per Tjeknavorian si tratta di un
graditissimo ritorno al Festival, dove è già
stato ospite e dove sarà ancora una volta
protagonista a maggio, quando dirigerà un altro
splendido talento emergente come Giulia Rimonda,
per Tellian si tratta del debutto a Vercelli.
Città che così aggiunge una nuova gemma al suo
tesoro di giovani, anzi giovanissimi (l'età
complessiva del duo non arriva a 50 anni)
interpreti di assoluto valore. Ormai il pubblico
del Festival sa bene che dire giovani non
significa soltanto entusiasmo e passione, ma
anche originalità nei programmi. E il concerto
di Tjeknavorian e Tellian lo conferma, con una
scelta di autori e brani capace di esaltare la
purezza del suono e di sottolineare la potenza
creativa della grande musica. Si andrà così da
due opere di Brahms molto diverse fra loro
– uno Scherzo
giovanile dedicato
al grande violinista Joachim e l'intensa Sonata
n.1 della piena maturità
–
all'ispirato e
potente Rondò di Schubert, dalla tesa e
incisiva Sonata di Poulenc alla memoria di
Garcìa Lorca alle atmosfere rarefatte dei
Quattro Pezzi di Webern. Scelte inusuali di due
interpreti coltissimi e di grande sensibilità,
capaci di dare vita a un concerto coerente ed
evocativo, sempre fluido nella sua rigorosa
compattezza. Per gli spettatori del Viotti
Festival è l'ennesimo appuntamento al quale non
mancare, ma è proprio vero che alla bellezza non
ci si abitua mai.
14 febbraio 2022 dalla
redazione
Davide Cabassi diretto
da Gábor Takács-Nagy per il concerto di
Schnittke
Un impaginato rilevante
quello proposto ieri dall'Orchestra de I
Pomeriggi Musicali per l'occasione diretta da
Gábor Takács-Nagy. Tre compositori russi
eseguiti in ordine inverso al periodo storico
d'appartenenza. Prima Alfred Schnittke
(1934-1998) con il Concerto per pianoforte ed
archi, poi Dmitrij
Šostakoviç
(1906-1975) con la Suite "Amleto" op.32a,
e per
ultimo
P.I.
Čaikovskij
(1840-1893) con la Suite n.4 in Sol minore
op.61 "Mozartiana". Tre lavori di
straordinario effetto musicale e d'immediata
presa emotiva. Nel concerto di Schnittke la
parte solistica è stata
sostenuta dal pianista milanese Davide Cabassi.
Schnittke, compositore eclettico, noto per il
suo approccio multi-stilistico derivante dalla
tradizione classica, ma influenzato da una serie
di riferimenti musicali che spaziano dalla
musica antica alla musica atonale, dal
neoclassicismo al minimalismo, a certo
spettralismo e anche al jazz, ha composto questo
interessantissimo Concerto per pianoforte e
archi nel 1979. È nei classici tre movimenti e
l'impiego solistico del pianoforte spazia da
momenti di semplice melodicità ad altri di
fragorose esternazioni timbriche che creano
situazioni di grande impatto sonoro.
La
componente orchestrale degli archi svolge un
ruolo sia di sottolineatura dei colori
pianistici, che di organica co-participazione
alla resa compositiva. Cabassi ha sostenuto
molto bene la non facile parte pianistica in un
lavoro dove continui cambiamenti dinamici,
timbrici e ritmici comportano difficoltà
d'approccio da lui felicemente superate. Ottima
la direzione di Gábor Takács-Nagy, direttore
specializzato nel repertorio contemporaneo ma
anche valente interprete della musica meno
recente, come dimostrato dalla resa degli altri
due avvincenti lavori. Successo per il lavoro
del primo russo e ottimo il bis concesso da
Cabassi. Dapo il breve intervallo, di rilevanza
estetica la Suite composta da
Šostakoviç
per le musiche di scena di Amleto, una
serie
di tredici brevi ed intensi brani che hanno
esaltato le ottime qualità degli orchestrali
nelle varie sezioni. Altrettanto rilevante il
delizioso lavoro di
Čaikovskij
costruito su celebri temi mozartiani e sulle
dieci variazioni su un tema di Gluck del brano K
455. La Suite n.4 denominata " Mozartiana" ha
infatto uniti i deliziosi temi del salisburghese
ad un'atmosfera coloristica tipica di
Čaikovskij. Fondamentali gli interventi
solistici degli orchestrali: dal flauto, al
clarinetto, dai precisi ottoni alle incisive
percussioni, e soprattutto nel mirabile corposo
intervento solistico del primo violino Fatlinda
Thaci che ha ottimamente definito una delle più
intense variazioni mozartiane riorchestrate dal
compositore russo. Bravissima! Splendida la
direzione ed eccellenti le timbriche
dell'Orchestra de I Pomeriggi Musicali.
Sabato 12 febbraio alle 17.00 si replica. Da non
perdere!
11 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
Arcadi Volodos
per la
Società dei concerti
È tornato in Conservatorio il
pianista russo Arcadi Volodos in un recital
organizzato dalla Società dei Concerti.
Un impaginato ricco, con
brani noti di Schubert e Schumann, che ha
pienamente soddisfatto il pubblico presente in
Sala Verdi. Il celebre pianista, nato a
Pietroburgo nel 1972, è tra i migliori
interpreti nel panorama internazionale, noto
anche per le sue significative rielaborazioni,
in senso virtuosistico, di molti celebri lavori.
La corposa
Sonata
in re maggiore D 850 di Franz Schubert ha
introdotto la serata. Un lavoro scritto in età
matura dal viennese, precisamente nel 1825. La
classicità della sonata si articola in quattro
movimenti ricalcando il sonatismo beethoveniano,
ma introducendo una varietà melodica tipica solo
del viennese. Volodos si è rivelato un
eccellente interprete schubertiano, capace di
una straordinaria discorsività mediata da un
peso delle dinamiche espresso in modo esemplare.
Passando da una leggerezza quasi impercettibile
dei pianissimo, sino alle robuste esternazioni
dei momenti più concitati. La chiarezza
espressiva è sembrata esemplare. Dopo il breve
intervallo ha affrontato un "tutto Schumann"
partendo dalle Kinderszenen op.15,
raccolta di 13 brani dedicati ai giovanissimi,
spesso brevi miniature di apparente facilità,
uniti nell'esecuzione, quasi senza soluzione di
continuità, alla celebre Fantasia in do
maggiore op.17.
Il
netto salto virtuosistico della fantasia
ha rivelato ancor più le abilità
tecnico-espressiva dell' interprete che ha
costruito un disegno preciso e raffinato nel
definire i tre grandi poemi che compongono lo
straordinario e maturo lavoro del compositore
tedesco. Esecuzione di alto profilo estetico
quella di Volodo s,
dove la sintesi discorsiva che ha origine da uno
studio accurato di ogni dettaglio, sembra
dispiegarsi in modo spontaneo, senza alcun
minimo cedimento per una restituzione
particolarmente espressiva. Applausi fragorosi
al termine del programma ufficiale e ben cinque
i bis offerti dal generoso pianista. Partendo
dal noto Vogel als Prophet dall'op.82 di
Schumann, poi i più rari Rachmaninov con
Melodie op.21 n.
e di Anatoly Lyadov il Preludio op.40 n.3 in
re minore. Quindi Scriabin. Splendido
concerto.
10 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
Andris Nelsons
dirige la Filarmonica della Scala
I concerti della Filarmonica
della Scala hanno visto ieri sul podio scaligero
il direttore lettone Andris Nelsons. Direttore
affermato internazionalmente, attualmente svolge
direzione stabile con la Boston Symphony
Orchestra e con la Gewandhausenorchester di
Lipsia. La scelta
tradizionale
dell'impaginato, ascoltato in un
teatro colmo di pubblico, prevedeva prima
Richard Wagner con il Preludio atto 1 dal
Lohengrin, introduzione all'opera del
1853, poi il Preludio e Incantesimo
del Venerdi Santo (dall'atto terzo) dal
Parsifal composti tra il 1878 e il 1882.
Dopo l'intervallo la Sinfonia n.7 in la
maggiore op.92 di L.v. Beethoven, lavoro del
1811, completava il programma. Il clima meditato
di Wagner ha trovato una valida direzione in
Nelsons che ha ottenuto ottime dinamiche, con
delicate e sottili escursioni volumetriche ben
rilevate dai Filarmonici. In seguito l'energia
discorsiva dei quattro movimenti della celebre
Settima Sinfonia beethoveniana ha quindi
portato gli eccellenti orchestrali ad esprimersi
meglio, con una definizione coloristica,
dinamica ed espressiva di alto livello, dal
Poco sostenuto. Vivace iniziale, sino al
rapido e ricco di energia Allegretto con brio
finale. Eccellente la resa direttoriale e la
complessiva restituzione in Beethoven e
fragorosi e meritati applausi al termine dal
pubblico presente. (Foto di G.Gori-
Uff.Stampa Filarmonica della Scala)
8 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
Recital di Ferruccio
Furlanetto alla
Scala
Un programma impegnativo e
particolarmente drammatico quello affrontato dal
friulano Ferruccio Furlanetto al Teatro alla
Scala. Sono passati oltre quarant'anni da quel
lontano 1979, quando il celebre basso affrontò
per la prima volta il palcoscenico scaligero nel
Macbeth verdiano, nel ruolo di Banco, diretto da
Abbado. Il recital di ieri sera lo ha
visto accanto alla pianista Natalia Sidorenko-
eccellente in tutti i lavori- per affrontare
brani di Brahms,
Musorgskij,
Rachmaninov, Mozart, Massenet e Verdi. Brani che
a parte alcuni mozartiani, hanno rappresentato
alta drammaticità resa splendidamente dalla voce
voluminosa ed espressiva del cantante. Ha
iniziato dai maturi Quattro canti seri op.121
di Joahnnes Brahms, lieder composti nel 1896
che concludono con raro senso di smarrimento e
tristezza la carriera del grande compositore
amburghese, deceduto l'anno successivo. Quindi i
quattro Canti e danze della morte,
composti da Modest Musorgskij intorno al 1877,
hanno ancora messo in risalto la pregnante e
profonda voce di Furlanetto, seguiti ancora da
due toccanti brani di Sergej Rachmaninov, tra
cui Nel silenzio della morte misteriosa op.4
n.3. Dopo il breve intervallo, il ritorno
sul
palcoscenico dei due interpreti ha trovato un
cambiamento di clima con tre brani di Mozart
tratti dal Flauto magico, dalle Nozze di Figaro
e dal Don Giovanni. Il carattere più dolce in
In diesen heil‘gen Hallen e quello più
spensierato in Non più andrai farfallone
amoroso e Madamina, il catalogo è questo,
hanno rivelato la duttilità del settantaduenne
cantante nel cambiare la sua timbrica vocale e
il suo stile espressivo, che trova sempre anche
una precisa ed adeguata resa attoriale rispetto
ai personaggi che interpreta. Il ritorno alla
drammaticità si è ripresentato con la Morte
di Don Chisciotte di Jules Massenet e ancor
più con la Morte di Boris, finale del
Boris Godunov di Musorgskij. Ancora drammatico
l'ultimo brano dell'impaginato con Ella
giammai m'amò dal Don Carlo verdiano.
Applausi sostenuti dal numeroso pubblico
intervenuto. Uno splendido bis concesso con
un'esemplare Cavatina di Aleko dall'opera
Aleko di Rachmaninov, intensamente espressiva.
Applausi meritatissimi per i due interpreti!
7 febbraio 2022 Cesare Guzzardella
Luca Buratto
a Villa Necchi Campiglio
I concerti organizzati dalla
Società del Quartetto di Milano
nell'ampio spazio coperto - ex tennis- di Villa
Necchi Campiglio hanno trovato ieri, nel tardo
pomeriggio, il pianista
milanese
Luca Buratto. Affermato nel panorama
concertistico internazionale, Buratto ha
impaginato un programma particolarmente vario
con Brani di Schumann, Debussy, Janá ček,
Adès, Crumb e Bartók.
Tredici lavori in un programma denominato "Nella
notte" studiato dal pianista in modo
intelligente, per un'esecuzione senza soluzione
di continuità, in modo da sembrare come una
grande suite dove i brani, pur essendo di
autori diversi e distanti nel tempo tra loro di
oltre 150
anni,
sono resi in stile unitario, con un clima
coloristico complessivo ben adeguato al clima
notturno. Cinque i brani di Schumann, quattro
quelli di Debussy, eseguiti in ordine sparso tra
gli autori di minore notorietà come Thomas Adès
(1971) e il suo Berceuse, da "The
Exterminating Angel o di George Crumb (1929) con
Dream Images da Mikrokosmos I, o di
compositori
eseguiti,
ma meno dei primi, come Janáček
e il suo Le nostre serate da "Sul
sentiero dei rovi o Bartók
con Musica notturna da "All'aria aperta".
Insomma un programma suggestivo che unifica
momenti compositivi differenti e che si è
concluso con lo splendido In der Nacht-Nella
notte dai Fantasiestüke op.12 di Schumann.
Applausi calorosi dopo il silenzio assoluto, in
uno spazio-tennis al completo. Generoso Buratto
nel concedere tre validi bis: Janáček
con Buonanotte, Debussy con Clair de
lune e l'amato Schumann con
l'ultimo dei
Canti dell'alba. Bravissimo!
6
febbraio 2022 Cesare Guzzardella
Roberto Cominati
per il concerto di Ildebrando Pizzetti
Un programma "
Controcorrente" quello proposto dall'Orchestra
Sinfonica di Milano "G.Verdi", che si ascolta
raramente e che è piaciuto molto al pubblico
presente in Auditorium
ieri
sera. Soprattutto il primo lavoro di Ildebrando
Pizzetti, col suo "Canti della stagione alta"
ovvero il Concerto per pianoforte e
orchestra, non viene mai proposto pur essendo di
indubbia qualità musicale. Composto nel 1930,
quando il musicista parmense aveva esattamente
cinquant'anni, il brano recupera quella
tradizione antica che veniva osteggiata dai
modernisti di quell'epoca. Le due parti del
lavoro, dove la seconda è in realtà formata da
un Adagio e da un Rondò, ha il
pianoforte come strumento centrale, ma anche
l'orchestra, per l'efficacia delle timbriche, ha
un ruolo importante. Il solista Roberto
Cominati, ottimo pianista cinquantaduenne
napoletano,
vincitore nel 1993 del Primo premio
all'importante "Concorso Ferruccio Busoni" di
Bolzano, ha aspresso chiarezza discorsiva e
solida penetrazione nell'esprimere la non facile
parte pianistica, che, come quella orchestrale
diretta molto bene da Oleg Caetani , presenta
continui cambiamenti nella linea
melodico-armonica. Originalissimo il lavoro di
Pizzetti che speriamo torni presto nelle sale
milanesi e italiane. Di qualità i bis solistici
concessi da Cominati, con il primo brano assai
virtuosistico con un arrangiamento su valzer
viennesi e il secondo, di pregnante epressività,
con il Minuetto in sol minore HWV 434 di
G.F. Händel
nell'intenso
arrangiamento di Wilhelm Kempff. Dopo il breve
intervallo, Oleg Caetani ha ottimamente diretto
la Sinfonica Verdi nella Sinfonia n.2 in do
minore di Anton Bruckner. Composta nel
1871-72, è nei classici quattro movimenti e
ritrova il compositore austriaco, dopo la prima
sinfonia ascoltata recentemente, a cimentarsi in
un brano di ancor più ampio respiro. Valida
l'interpretazione fornita, con un'orchestra
rilevante in tutte le sezioni, anche nei più
concitati e appariscenti ottoni certamente di
rilevante qualità timbrica. Applausi convinti.
Domenica alle ore 16.00 si replica. Da non
perdere.
5 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
Pietro De Maria
diretto da James Feddeck nel concerto di
Schumann
Il Concerto per pianoforte
e orchestra in La minore op.54 di Robert
Schumann, cavallo di battaglia di tutti i
migliori pianisti, ha trovato solista al
pianoforte Pietro De Maria, un interprete
affermato e conosciuto, soprattutto nel
repertorio classico e romantico. Il celebre
Concerto
in La minore venne completato e poi eseguito
a Desdra nel 1845 da Clara Wiech-Schumann.
Divenne da allora tra i più eseguiti "concerti
per pianoforte" e ancora oggi rimane
ineguagliato per brillantezza, tensione emotiva
ed equilibrio armonico. La non facile
esecuzione, che prevede un'importante
integrazione con la componente orchestrale,
tanto da formare una sorte di sinfonia con
solista, è stata affrontata con determinazione
ed espressività da De Maria. Molto bravo nei
frangenti di tensione volumetrica, è stato ancor
più convincente nei momenti di maggiore
interiorizzazione, dove i colori del pianoforte
assumono un aspetto più
intimamente romantico, come nella cadenza dell'Allegro
affettuoso o nell'intenso tema dell'Andantino
grazioso centrale. Di qualità la direzione
di Feddeck e la resa strumentale dell'Orchestra
de I Pomeriggi. Applausi fragorosi dal
numeroso pubblico del Dal Verme e due splendidi
bis solistici concessi da De Maria: prima un
pregnante brano di J.P. Rameau,
Les
Cyclopes, eseguito con impeccabile
precisione e chiarezza, e poi un delicato ed
intimo Schumann con
Eusebius da Carnaval op.9.
Bravissimo! Dopo la breve pausa, I Pomeriggi
hanno interpretato Mozart con la celebre
Sinfonia n.40 in Sol minore K 550. Valida la
visione complessiva di Feddeck che ha trovato il
giusto dosaggio coloristico nell'integrare i
diversi piani sonori che s'intrecciano
definendo con eleganza questo capolavoro del
grande salisburghese. Fragorosi gli applausi a
tutti i protagonisti. Sabato alle ore 17.00 si
replica. Da non perdere.
4 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
Il violoncello di Enrico
Dindo per la
Società dei Concerti
Il violoncello protagonista
del concerto di ieri sera, quello di Enrico
Dindo, ha trovato un valido compagno di viaggio
col pianoforte di Carlo Guaitoli. Dindo ha
iniziato la sua brillante carriera solistica con
la vittoria, nel 1997, del Concorso
"Rostropovich", acquisendo, via via,
notorietà
e diventando tra i migliori cellisti italiani ed
internazionali. Guaitoli, affermatosi in molti
concorsi internazionali, come il Casagrande di
Terni nel 1994 o il Busoni di Bolzano nel 1997,
ha trovato, oltre ad una brillante carriera
solistica nel repertorio classico, anche fama
tra i più giovani ascoltatori per via del
sodalizio musicale con Franco Battiato.
L'impaginato, interessante ed impegnativo, di
ieri sera, prevedeva musiche di Schumann, Brahms
e Miaskovsky. Dopo la frequentata
Phantasiestüke op.73 di Schumann e la
celeberrima Sonata n.1 in mi minore op.38
di Brahms, la rara Sonata n.2 in la minore
op.81 del compositore russo N.J.Miaskovsky (
1881-1950) ci ha permasso di conoscere un
artista poco eseguito, ma certamente di grande
raffinatezza musicale. Le qualità consolidate di
Dindo sono state espresse mirabilmente in tutti
tre
i
lavori, e la sinergia con il pianista Guatoli è
stata ottima. Strumentista di precisa e
sensibile visione musicale, Guaitoli ha un
approccio asciutto e sicuro con la tastiera e
una visione complessiva dei brani di alto
livello. Con Dindo ha trovato la giusta
espressività nel supportare le linee melodiche
del voluminoso violoncello e, in alcuni
frangenti, come nel sostenuto Allegro finale
della sonata brahmsiana, il pianoforte ha
avuto ruolo determinante. Decisamente valida
l'interpretazione della sonata di Miaskovsky. Un
lavoro di rara bellezza che trova riferimento
soprattutto in Rachmaninov, ma anche in certo
Šostakoviç, come
nell'energico Allegro con spirito finale.
Applausi sostenuti e un bellissimo bis concesso
con una deliziosa ed intensa melodia di César
Cui. Il suo Cantabile ha ancor più
evidenziato la dolcezza del penetrante
violoncello del grande interprete torinese.
Applausi fragorosi al termine.
3 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
Il Vision String Quartet
in Conservatorio per la Società del Quartetto
È un gruppo di talenti di
sicuro valore quello che forma il Vision
String Quartet. Il concerto ascoltato ieri,
organizzato dalla Società del Quartetto,
ha visto sul palcoscenico di Sala Verdi, nel
Conservatorio milanese, Florian Willeitner al
violino, Daniel Stoll al violino, Sander Stuart
alla viola e Leonard Disselhorst al violoncello.
Quattro giovani che a Berlino, nel 2012 hanno
avuto
la luminosa idea di mettersi in gioco in una
formazione quartettistica cha ha trovato in
breve tempo un meritato successo. Punto di
partenza anche la vincità del prestigioso
Concorso Internazionale Felix Mendelssohn di
Berlino nel 2016, seguito da molti altri primi
premi in altri importanti concorsi È una
formazione esemplare nell'eseguire il repertorio
tradizionale classico, ma che ha la
soddisfazione di dedicarsi anche ad \impaginati
più "moderni", che spaziano dal folk, al pop, al
funk e persino al jazz. Il programma del
concerto di ieri era però decisamente classico.
Prevedeva prima il Quartetto n.2 in la minore
op.13 di F. Mendelssohn e poi il
Quartetto n.13 in sol magg. op.106 di A.Dvo řak.
Due lavori importanti che hanno messo in rilievo
l'eccellente intesa dei quattro strumentisti.
Un
equilibrio che sia nel più
estroverso e melodico quartetto giovanile del
lipsiano, composto nel 1827 da uno straordinario
Mendelssohn diciottenne, che in quello più
maturo e interiorizzato composto da Dvořak
nel 1895, rivela le raffinate qualità
del gruppo cameristico. I quattro, con i violini
e la viola suonati in piedi, hanno eseguito,
cosa assai rara, il quartetto di Dvořak
completamente a memoria, senza spartiti. Ottima
la discorsività e la resa
espressiva di entrambi i lavori con un Dvořak
di ancor più intensa
espressività. Applausi fragorosi dal mumeroso
pubblico intervenuto e un divertente "moderno"
bis con un brano denominato "samba"
eseguito tenendo violini e viola a "modo di
chitarra", pizzicando le corde, per una resa
ritmica e dinamica sorprendente. Applausi ancora
più fragorosi, al termine dal pubblico
entusiasta. Aspettiamo al più presto il
Vision String Quartet in un programma con
brani recenti come quelli del loro recente album
"Spectrum" di cui Samba fa parte.
2 febbraio 2022 Cesare
Guzzardella
Prossimo appuntamento a
Vercelli con Timothy Ridout alla viola e Frank
Dupree al pianoforte
Il prossimo
appuntamento con la classica al XXIV Viotti
Festival, sabato 5 febbraio (ore 21, concerto in
abbonamento) al Teatro Civico di Vercelli sarà
ancora una volta con ospiti eccellenti. Si
tratta di un duo solidissimo, composto da
interpreti molto giovani ma già acclamati in
tutto il mondo: Timothy Ridout, già capace a 26
anni di portare la viola al centro
dell'attenzione a livello internazionale, e il
pianista Frank
Dupree,
30 anni e una carriera di successi anche come
direttore d’orchestra e jazzista. Due
protagonisti d'eccezione che brillano per
passione e originalità, qualità confermate dal
programma proposto al pubblico del Civico, nel
quale la scelta dei brani riesce a coniugare
singolarità e rispetto dei “classici”, premiando
sempre la ricerca dell'espressività. Si aprirà
con Die Laune Aiolos (L'umore di Eolo, eseguito
per la prima volta nel 2014), del compositore
svizzero Richard Dubugnon: un brano intenso ed
evocativo nel quale viola e pianoforte si
inseguono in tempestosi passaggi virtuosistici.
La parte centrale del concerto sarà poi musica
16 poesie di Heine, ma soprattutto una
struggente, pienamente “romantica” storia
d'amore, e poi con i Phantasiestücke (1849), tre
pezzi in forma di canzone che creano un
emozionante crescendo di tensione. La serata si
chiuderà quindi con una selezione di brani dal
balletto Romeo e Giulietta, qui proposti in
forma di suite per viola e pianoforte firmata da
Vadim Borisovskij: una scelta capace di esaltare
l'inventiva esuberante che contraddistingue il
capolavoro di Prokof’ev. Biglietti da 10 a 22 €
online sul sito
www.viottifestival.it o presso la
biglietteria “Viotti Club” via G. Ferraris 14,
Vercelli, dal lunedì al venerdì dalle 13 alle
18.50 –
Riduzioni per under 25, over 65, soci Coop.
Per informazioni
www.viottifestival.it
– email
biglietteria@viottifestival.it
– cell 329
1260732 l prossimo
appuntamento con il Viotti Festival è in
programma sabato 19 febbraio al Teatro Civico
(ore 21), con protagonisti Emmanuel Tjeknavorian
al violino e Kiron Atom Tellian al pianoforte.
1 febbraio 2022 dalla redazione
GENNAIO 2022
Due flauti e il pianoforte di
Bruno Canino alle "Serate Musicali"
Un concerto organizzato da
Serate Musicali
nell'elegante Sala
Puccini del Conservatorio milanese, ha visto un
pianista di classe quale Bruno Canino
accompagnare due flautisti di eccellente qualità
quali il danese -nativo di Budapest- Andras
Adorján e l' udinese
Luisa Sello.
Entrambi
noti in tutto il mondo, i due flautisti hanno
suonato insieme o in alternanza in brani di
Kuhlau, Mozart, Canino e Doppler. Il brillante
Trio in sol maggiore op .119 per due flauti e
pianoforte di Friedrich Kuhlau (1786-1832)
ha introdotto il concerto. Un brano che ha
subito rivelato le alte qualità dei flautisti e
l'abilità del pianista napoletano nel mettere in
rilievo le melodie flautistiche attraverso
timbriche luminose e perfettamente scandite.
Chiara e scorrevole la linea melodica e il
contrappunto dei due splendidi flauti. La più
nota Sonata per flauto e pianoforte in mi
bem. maggiore dal Quintetto KV 452 di
W.A.Mozart ha visto al flauto Adorján esprimersi
molto bene nei tre movimenti del classico brano,
coadiuvato ottimamente
da
Canino. Ricordiamo che Il Quintetto per
pianoforte e fiati è stato rielaborato dal
compositore L.W. Lachnith ( 1748-1820) e da
Adorján stesso. Una delle novità della serata è
stata la prima esecuzione di un lavoro di Bruno
Canino (1935). Nella veste di compositore e non
solo di pianista, Canino ha eseguito la sua
Sestina per flauto e pianoforte insieme a
Luisa Sello. Un brano di quasi sei minuti di
durata, particolarmente chiaro nell'enunciazioni
timbriche, dove l'importante parte pianistica è
unita alla fondamentale articolata timbrica del
flauto. Il brano è introdotto da una chiara
linea melodica dello strumento a fiato sorretto
dalle armonizzazioni
pianistiche,
per poi trovare una soluzione di dialogo tra le
parti in un gioco contrappuntistico ben scandito
da entrambi gli strumenti. Un lavoro di efficace
resa espressiva che sconfina in territorio
atonale e che si conclude con un'improvvisa
brusca nota finale accentuata dal pianoforte.
Deciso apprezzamento del pubblico presente in
sala. L'ultimo lavoro della serata, un'altrà
novità, era la Sonata per due flauti e
pianoforte di Franz Doppler ( 1821-1883),
flautista e compositore austriaco. In prima
esecuzione italiana, la Sonata di
Doppler si dipana in quattro movimenti ed è
caratterizzata da una ricca vena melodica
romantica di evidente estroversione. L'ottima
interpretazione dei tre protagonisti ha concluso
il programma ufficiale ma non la serata. Due
infatti i bis generosamente concessi, tra cui un'
eccellente trascrizione del toccante Andante
dalla Sonata K 448 per due pianoforti di
W.A. Mozart. Applausi meritati.
29 gennaio 2022 Cesare
Guzzardella
Il violoncello di
Quirine Viersen diretto da Claus Peter Flor e
una novit à di Bizet-Ščedrin
per "la Verdi"
Il concerto diretto da Claus
Peter Flor, sul podio dell'Orchestra Sinfonica
di Milano, ha portato due brani nell'ottimo
impaginato scelto. Il primo, piuttosto eseguito,
era il Concerto n.1 in do maggiore per
violoncello ed orchestra di F. J. Haydn e il
secondo, certamente di raro ascolto, la
Carmen Suite di G.Bizet nella rielaborazione
del compositore moscovita Rodion Ščedrin.
Per il
coinvolgente brano iniziale la violoncellista
Quirine Viersen ha
sostenuto
ottimamente il ruolo da protagonista. La
cinquantenne olandese, solista affermata
soprattutto nel nord-Europa,
ha trovato un giusto equilibrio per una
sinergica interazione con la Sinfonica Verdi,
ottimamente diretta da Flor. La sua dettagliata
interpretazione del concerto haydniano evidenzia
un'attitudine alla perfezione esecutiva che
abbiamo riscontrato in tutti i tre movimenti che
formano il classico concerto, dal Moderato
iniziale all'intenso Adagio centrale
interpretato magistralmente dalla Viersen, sino
all'estroverso Allegro finale. Scritto
da Haydn intorno al 1765, venne riscoperto
solamente nei primi anni '60 del secolo scorso
ed è un punto d'arrivo di
tutti i grandi violoncellisti. Valido il bis
concesso dalla bravissima Viersen con un ottimo
Bach particolarmente apprezzato dal pubblico.
Dopo il breve intervallo la rarità di Bizet-
Ščedrin ha rivelato le qualità
rielaborative del novantenne compositore russo
che ha saputo reinterpretari le celebri arie
tratte da Carmen utilizzando solo gli archi e le
percussioni. Quartanta minuti di musica quella
eseguita dagli eccellenti orchestrali, in grande
forma sia
nelle
sezioni degli archi che in quelle della ampie
percussioni. La direzione particolareggiata e
attenta di Claus Peter Flor ha sottolineato
tutti i tredici momenti musicali scelti da
Ščedrin
per definire il capolavoro lirico del francese,
momenti giocati sul contrasto, a volte tenue, a
volte incisivo, tra le melodiche dei violini,
delle viole, dei violoncelli e dei contrabbassi
e la ritmica percussiva spesso unita ai colori
melodici di marimbe, vibrafoni e glockenspiel.
Un lavoro di eccellente qualità
quello che
Ščedrin ha
dedicato alla moglie ballerina Majja Pliseckaja
nei primi anni '60, lavoro che meriterebbe di
entrare spesso nei repertori delle orchestre
italiane. Applausi sostenuti dal pubblico
presente in Auditorium. Prossime repliche
previste per questa sera, 28 gennaio e per
domenica 30 gennaio. Da non perdere!
28 gennaio 2022 Cesare
Guzzardella
Il duo
Hakhnazaryan-Tchaidze al Conservatorio milanese
Un programma romantico
particolarmente interessante quello di ieri sera
di Sala Verdi, organizzato nel Conservatorio
milanese da "Serate Musicali". Un duo di
ottima intesa formato dal violoncellista armeno
Narek Hakhnazaryan e dal pianista russo Georgy
Tchaidze. Hanno
impaginato
un programma con brani di Schumann, di Schubert
e di Mendelssohn. La Phantasienstücke op.73
(1849) , del primo tedesco, ha introdotto la
serata rivelando da subito la cifra stilistica
del duo. Un'intesa giocata su timbriche tenui,
di immediata discorsività, dove la fluidità
melodica del violoncellista si è ben inserita
nell'evoluto tessuto armonico pianistico di
Schumann. Di più coinvolgente emotività, per la
linearità dei temi, la Sonata in la
minore per arpeggione e pianoforte D.821
(1825) di Franz Schubert, nella più frequentata
trascrizione per violoncello. Particolarmente
conosciuta, la deliziosa sonata del viennese ha
trovato ancora
la
scioltezza del cellista e l'abilità
articolatoria del pianista per una efficace
fluida resa interpretativa. Dopo il breve
intervallo, la ingiustamente poco eseguita
Sonata n.2 in re maggiore per violoncello e
pianoforte op.58 di Felix Mendelsshon, ha
concluso il programma ufficiale. Il lavoro
composto nel 1843 dal musicista lipsiano è nel
classico stile brillante, con frangenti di
rapida esternazione, come avviene nel delizioso
Molto allegro e vivace finale. Le
repentine escursioni timbriche dei due
strumentisti hanno ancora messo in risalto
l'efficace intesa degli interpreti. Lunghi
applausi e due bis concessi: prima le
Variazioni sulla quarta corda da un tema di
Rossini tratto dal Mosè, di Niccolò
Paganini, eseguite virtuosisticamente da
Hakhnazaryan sulla corda più alta del
violoncello e poi l'Andante centrale
dalla Sonata per violoncello e pianoforte
di Sergej Rachmaninov. Applausi accorati dal
pubblico presente in Sala Verdi ed evidente
soddisfazione per gli interpreti.
25 gennaio 2022 Cesare
Guzzardella
I Capuleti
e i
Montecchi alla Scala
Continuano al Teatro alla
Scala le repliche dell'opera belliniana I
Capuleti e i Montecchi, lavoro del 1830 del
compositore catanese che non trovò mai grande
fortuna nelle rappresentazioni effettuate. Dalla
Scala mancava da quasi trentacinque anni e con
il nuovo allestimento di questi giorni, per la
direzione femminile della romana Speranza
Scappucci -
alla
sua prima direzione lirica scaligera- finalmente
si è arrivati ad un successo convinto. Il nuovo
allestimento del Teatro alla Scala, per la regia
di Adrian Noble, le scene di Tobias Hoheisel e i
costumi di Pertra Reinhardt, ha convinto il
numerosissimo pubblico presente in teatro nella
terza rappresentazione vista da me oggi,
domenica 23. Le ottime sinergie di tutte le
componenti presenti in scena, hanno trovato il
punto di forza nella sensibile direzione della
Scappucci deii bravissimi orchestrali scaligeri
e nel valido cast vocale. La Scappucci ha
trovato timbriche italianissime, delicate ed
espressive, per esprimere i colori sfumati di
Bellini e per esaltare le importanti voci
soliste. Cinque le voci in scena,
tre
maschili e due femminile. Le due principali
protagoniste, il soprano Lisette Oropesa,
Giulietta, e il mezzosoprano Marianne
Crebassa, Romeo (en travesti), sono state
poi determinanti per l'indiscusso successo del
non facile lavoro. ( prime foto a cura
di Brescia e Amisano - archivio della
Scala) La loro
presenza scenica, specie nel secondo e ultimo
atto, ha risolto problematiche storiche
riguardanti proprio quest'ultima parte
dell'opera, parte un tempo non apprezzata e solo
recentemente rivalutata nella versione originale
di Bellini. Ottime anche le tre voci maschili
con il basso Jongmin Park nel ruolo di
Capellio, il tenore Jinxu Xiahou in
Tebaldo
e l'inossidabile basso Michele Pertusi in
Lorenzo. Eccellenti quindi sia la
Giulietta di Lisette Oropesa che il
Romeo di Marianne Crebassa che oltre a
eccellere per coloristica e intonazione nelle
arie individuali, hanno trovato eccellenza nei
numerosi duetti presenti nell'opera, come nel
sofferto finale che vede la loro celebre morte.
Di alto livello, come sempre, il Coro del Teatro
alla Scala preparato da Alberto Marazzi.
Prossime repliche previste per il 30 gennaio e
il 2 febbraio. Assolutamente da non perdere.
23 gennaio 2022 Cesare
Guzzardella
Pietari Inkinen
dirige I Pomeriggi
Musicali in Bruckner
Un impaginato tutto dedicato
ad Anton Bruckner quello scelto dal direttore
quarantenne Pietari Inkinen alla guida dell'Orchestra
de I Pomeriggi Musicali. Ieri, nella replica
del pomeriggio di sabato, l' Ouverture in sol
minore prima, e la Sinfonia n. 1 in do
minore dopo,
hanno
riempito di note l'ampia sala del milanese
Teatro Dal Verme. Due brani di raro ascolto,
composti dal grande musicista e organista
austriaco pensando alla musica del tardo
romanticismo tedesco e a quella di Richard
Wagner. La produzione sinfonica di Bruckner ebbe
inizio in età matura, alla soglia dei
quarant'anni, è divenne copiosa fino a
raggiungere il numero "magico" di nove sinfonie
completate, la maggior parte di ampia
dilatazione musicale, come avvenne anche per il
suo collega Gustav Mahler. La delicata e più
tradizionale Ouverture in sol minore è
del 1862 e rappresenta uno dei primissimi lavori
sinfonici del viennese, già autore di molta
musica organistica, mentre la Sinfonia n.1 in
do minore ebbe un percorso compositivo più
travagliato e gli oltre cinquanta minuti di
musica, dipanati nei classici quattro movimenti,
sono da considerarsi tra le più brevi sinfonie
del compositore.
Composta
tra il 1865 e il 1866, spesso rimaneggiata,
contiene molte specificità tipiche dell'autore,
con frangenti di efficace linguaggio espressivo
tra situazioni di grande riflessività interiore
ed altri di grande estroversione timbrica ,
come nelle prime note dell'Allegro
iniziale. Il bravissimo direttore finlandese
Pietari Inkinen ha rivelato sicure attitudini
musicali verso la musica bruckneriana, dando una
prova significativa nella sua completa
esternazione musicale, ricca di dettagli e di
espressività. Bravissimi i numerosi strumentisti
dell'Orchestra de I Pomeriggi in ogni
sezione strumentale, dai numerosissimi archi ai
fragorosi ed efficaci ottoni, molto rilevanti
nella musica di Bruckner. Grande successo con
applausi fragorosi da parte del numerosissimo
pubblico presente in teatro. Un prova
decisamente valida!
23 gennaio 2022 Cesare
Guzzardella
Riccardo Chailly
e la
Filarmonica della Scala per Beethoven e Mahler.
Due Prime Sinfonie quelle
ascoltate ieri sera in replica al Teatro alla
Scala. Sul podio scaligero Riccardo Chailly ha
infatti proposto prima la Sinfonia n.1 in do
maggiore op.21 di L.v.Beethoven e poi la più
corposa Sinfonia n.1 in re maggiore "Titano"
di Gustav Mahler.
Due
lavori distanti tra loro circa 90 anni e
diventati entrambi classici del sinfonismo
musicale. L'orchestra beethoveniana, di medie
dimensioni, ha ereditato nel 1799-1800, anni
della realizzazione della sua "prima", le
esperienze della scuola classica hydniana e
mozartiana per un lavoro raffinato, ricco di
equilibrio e anche spensierato, come testimonia
il delizioso Allegro molto vivace che
conclude la sinfonia. Un'interpretazione di
grande equilibrio classico quella di Chailly,
con una restituzione orchestrale di eccellente
livello. Atmosfere più dilatate e contrastate
quelle della celebre prima mahleriana, un brano
di quasi sessanta minuti del 1888 che segna già
completamente
il
linguaggio del grande musicista viennese. C'è
già moltissimo Mahler nella prima sinfonia!
Modalità discorsive che partendo dal mondo
folcloristico austriaco, dal tardo romanticismo
tedesco e da quell'ampliamento delle timbriche
orchestrali sostenute dalla grandi orchestre
sinfoniche dall'ultimo romanticismo, portano
alla scrittura di capolavori divenuti dei
classici non da molti decenni. Riccardo Chailly
ha trovato il giusto equilibrio, senza eccessi
volumetrici, nel definire in modo chiaro ed
espressivo l'universo sonoro di Mahler. La
Filarmonica della Scala, splendida, in ogni
sezione strumentale, ha raggiunto pienamente gli
obiettivi prefissati dal
direttore milanese, con un traguardo di alta
qualità assai apprezzato dal numerosissimo
pubblico presente in teatro alla terza e ultima
esecuzione. Applausi scroscianti interminabili e
numerose uscite del Maestro.
21 gennaio 2022 Cesare
Guzzardella
Alvise Casellati e
Alessandro Taverna per
Mozart e Beethoven
La Fondazione La Società
dei Concerti ha portato in Sala Verdi
l'Orchestra Maderna, compagine nata a Forlì nel
1996 e diretta ieri sera
in Conservatorio da Alvise Casellati.
Protagonista
del primo brano in programma è stato il pianista
veneto Alessandro Taverna che ha sostenuto il
ruolo più importante nel Concerto n.9 in mi
bemolle maggiore K 271 "Jeunehomme" di
Mozart. È un brano nei classici tre movimenti
del salisburghese che segna una svolta di novità
e creatività nei lavori solistici del grande
compositore. Uscendo dal classico stile galante,
tipico di quel periodo storico, Mozart, in
questo noto lavoro del 1777, trova felici
momenti creativi nell'Allegro, nel
profondo Andantino centrale e soprattutto
nel Rondó.Presto finale, un movimento
particolarmente dilatato con all'interno un
improvvisato minuetto centrale.
Alessandro Taverna, coadiuvato con efficace resa
coloristica dalla giovanile Orchestra Maderna e
dall'ottima direzione, ha trovato un valido
equilibrio discorsivo, giocato su una delicata
ma sicura timbrica, ben articolata e
trasparente. La parte solistica, spesso in
evidenza senza accompagnamento,
ha
rivelato la rilevante cifra interpretativa del
pianista che ricordiamo aver iniziato la
carriera solistica a livello internazionale con
l'affermazione al Concorso Pianistico Leeds nel
2009. Sostenuti gli applausi del numeroso
pubblico intervenuto e valido il bis concesso da
Taverna con il delicato Cigno dal
Carnevale degli Animali di Camille
Saint-Saëns, eseguito con garbo coloristico e
rilevante espressività. Dopo il breve
intervallo, valida l'interpretazione della
Quinta Sinfonia di Beethoven, affrontata in
modo grintoso da Casellati, per una resa sicura,
chiara e ricca di energia specie nell'Allegro
finale. Fragorosi applausi al termine e come
bis ripetizione delle battute finali
dell'Allegro.
20 gennaio 2022 Cesare
Guzzardella
VIOTTI TEA
– L’APPUNTAMENTO
SETTIMANALE CON LA CLASSICA E I GIOVANI TALENTI
A VERCELLI
Nel Viotti Club, nuova sede
della Camerata Ducale, la tradizionale ora del t è
diventa l’ora della musica per ascoltare, in
pieno pomeriggio, i migliori talenti della nuova
generazione. In tempi di distanziamento, avere
l'occasione di assistere (naturalmente, nel
rispetto di tutte le norme di prevenzione) a un
concerto dal vivo in un luogo intimo e raccolto
come il Viotti Club di via Galileo Ferraris 14,
nel cuore di Vercelli, è
davvero
un lusso.E ci sono almeno due motivi per
apprezzarlo, se possibile, ancora di più. Il
primo è che quello di giovedì 20 gennaio (ore
17) è solo uno dei ben 11 concerti che il Viotti
Club proporrà da oggi fino alla fine di marzo.Un
cartellone fitto di giovani solisti già avviati
verso una prestigiosa carriera, ma anche una
rassegna settimanale pensata
– e realizzata pur
tra tante difficoltà
– per
portare davvero l'arte “vicino” allo spettatore:
il talento al servizio delle persone e della
difesa dei veri, fondamentali valori umani.Il
secondo motivo è che
giovedì 20 saranno di scena due solisti già ben
conosciuti al pubblico vercellese ed entrambi
molto amati. La violinistra Giulia Rimonda, 19
anni, figlia d’arte di Guido Rimonda e Cristina
Canziani, artista residente della Fondazione
Società dei Concerti di Milano, solista della
Camerata Ducale Junior, allieva di Salvatore
Accardo all'Accademia Chigiana e dell'Accademia
di Santa Cecilia. Josef Mossali, talentuoso
pianista, 21 anni, già ammirato lo scorso giugno
al Museo Leone nella rassegna Pianofortissimo e
acclamato “Giovane talento musicale
dell’anno”
in occasione del Festival Pianistico di Brescia
e Bergamo. Considerato che Rimonda e Mossali
proporranno brani di grande presa emotiva,
ovvero due Sonate di Franck e Prokofiev, il
pomeriggio al Viotti Club si annuncia come una
di quelle occasioni nelle quali sarà davvero
bello poter dire: io c'ero. Tanto più che
l'ingresso ha un costo estremamente contenuto,
ovvero 5 Euro. Tuttavia, visto il numero
limitato dei posti disponibili, è vivamente
consigliata la prenotazione, che si può
effettuare scrivendo a
biglietteria@viottifestival.it o telefonando al
329 1260732. Giovedì 20 gennaio 2022 Viotti Club
Via G. Ferraris, 14
– Vercelli Ore
17.00
Ingresso Euro 5 – capienza limitata
Giulia Rimonda violino
,
Josef Mossali pianoforte
Programma
C.
Franck- Sonata in la maggiore.
S.
Prokofiev - Sonata in re maggiore n. 2, op. 94
bis
Il prossimo
appuntamento con la rassegna VIOTTI TEA giovedì
27 gennaio (ore 17), Marco Carino pianoforte,
programma: L.van Beethoven Sonata n.2 in la
maggiore, op. 2 n. 2, J. Brahms Sonata n.2 in fa
diesis minore, op. 2, F.Liszt Leggenda di San
Francesco da Paola che cammina sulle onde, S.175
n.2 ufficio.stampa@camerataducale.it cell. 366
30 54 181
dalla redazione 19 gennaio
2020
Leonidas Kavakos
ed Enrico Pace per "Serate Musicali"
È tornato in Conservatorio,
ai concerti organizzati da "Serate Musicali",
un duo di altissima qualità. Quello formato
dal violinista greco Leonidas Kavakos e dal
pianista riminese Enrico Pace. Come già scritto
più volte in questi anni nelle pagine del
giornale,
un duo cameristico cha ha pochi
rivali nel panorama concertistico mondiale.
L'impaginato ascoltato ieri sera in
Sala
Verdi, prevedeva brani di Schubert, Schumann e
Beethoven. Tre lavori importanti tra cui uno
celeberrimo, la Sonata op.47 "A Kreutzer",
eseguita dopo il breve intervallo e due meno
noti, ma di altrettanto interesse: il tardo
classicismo di Franz Schubert con la Sonata
Duo n.4 in la maggiore D.574 (1817) e il
romanticismo più evoluto di Robert Schumann con
la Sonata n.2 in re minore Op.121"Grosse
Sonate" (1851), così denominata per via
della ingente dimensione. Le mirabili
interpretazioni dei due strumentisti, poggiano
su un equilibrio discorsivo e su un'accurata
divisione delle parti, in perfetta sinergia. Il
modo particolareggiato di scavare nelle
timbriche di entrambi i musicisti, ha nella
costante riflessione l'elemento centrale di
definizione per una cifra estetica di evidente
espressività. La discrezione sonora che
caratterizza entrambi è supportata dalla
consapevolezza di non voler mai esagerare con un
uso gratuito virtuosistico. Le timbriche erano
misurate ma con ampio spessore dinamico nella
più classica sonata di Schubert, sonata che
risente ancora dell'influenza mozartiana,
sebbene più sostanziosa delle
precedenti
tre "Sonatine". Nella corposa Sonata op.121
di Schumann il taglio timbrico è apparso
profondo, scavato e tormentato nelle melodie
violinistiche e nelle rielaborate armonizzazioni
pianistiche. Il risultato interpretativo è stato
sorprendente e quest'ultima sonata, certamente
tra le più complesse nell'esemplarità di tutti i
quattro movimenti, è stata
resa in modo comprensibile
dalla chiarezza analitica della
sua restituzione. A questo splendido lavoro si è
unito poi il capolavoro consolidato della
Sonata n.9 op.47 in la maggiore (1803). La
sua restituzione ha trovato ancora nella resa
analitica e dettagliata di Kavakos e di Pace il
punto di partenza per una esecuzione che ha nel
Finale.Presto il momento di più
estemporanea resa discorsiva. Peccato la brusca
interruzione nelle ultimissime battute - poi
ripetute- del Presto iniziale del primo
movimento, dovuta alla rottura di una corda del
violino di Kavakos. La ripresa è stata poi
compensata dal ritorno all'alta qualità
interpretativa. Applausi sostenuti dal numeroso
pubblico intervenuto e decisamente valido il bis
con una inserzione musicale ricca di folclore
tratta dalle rapsodie per violino e pianoforte
di Bela Bartok. Splendido concerto.
18 gennaio 2022 Cesare Guzzardella
Il direttore
Vincenzo Milletarì e la pianista Valentina
Lisitsa per le "Notti russe" dell' Auditorium
Il giovane direttore italiano
Vincenzo Milletarì è in questi giorni sul podio
dell'Auditorium di l.go Mahler per un programma
tutto russo che prevede musiche di
Čaikovskij, Stravinskij e
Šostakoviç.
Un impaginato eseguito partendo dal brano più
recente del terzo russo, e che arrivare a quello
più lontano nel tempo, il celebre Concerto
per Pianoforte e Orchestra n.1 i si bem. minore
op.23 di P.I.
Čaikovskij, brano composto nel 1874-75. La prima
parte della serata, con i primi due lavori, l'Ouverture
su temi popolari russi e circassi op.115
(1963) di Dmitri Šostakoviç e la Suite
"L'Uccello di fuoco" (1910 - 1919) di Igor
Stravinskij, hanno messo in risalto le qualità
direttoriali di Milletarì che ha ben espresso l'anima musicale russa alla testa dell'Orchestra
Sinfonica di Milano G.Verdi, compagine
strumentale ben collaudata in questo repertorio.
Protagonista della seconda parte della serata-
quella ascoltata ieri sera in replica- la
celebre pianista ucraina - naturalizzata
statunitense- Valentina Lisitsa. Il Concerto
op.23, forse il più eseguito tra i concerti
pianistici, è cavallo di battaglia di tutti i
grandi interpreti.
Unisce alla bellezza melodica dei temi, tra cui
il celeberrimo tema iniziale, momenti di
raffinato virtuosismo pianistico, spesso
dominante sulla componente orchestrale. La
Lisitsa, attraverso un' esecuzione
virtuosistica, scorrevole e d'immediato
impatto timbrico, ha trovato una corretta
sinergia con l'Orchestra Verdi e con la valida
direzione di Milletarì. Un'interpretazione che
ha meritato pienamente il successo tributato dal
numerosissimo pubblico intervenuto. Applausi
fragorosi per tutti e, a conclusione. bis
solistico della Lisitsa con un
iper-virtuosistico Grande Polonaise brillante
dall' Op.22 di Chopin. Un'esecuzione
estemporanea, ricca di energia, che ha strappato
al pubblico ancora fragorosi applausi. Domenica,
alle ore 16.00, ultima replica. Da non perdere.
15 gennaio 2022 Cesare
Guzzardella
Prossimamente a Vercelli il
Concerto della CAMERATA DUCALE JUNIOR con
Benedetto Lupo
Al XXIV Viotti
Festival inizia un'”altra stagione”. Proprio
così, perché il concerto che andrà in scena
sabato 15 gennaio (ore 21) al Teatro Civico di
Vercelli –
con ingresso gratuito per gli spettatori under
25, a titolo promozionale e per avvicinare i
giovani alla musica
– sarà il primo dei 3 appuntamenti della
rassegna della CDJ - Camerata Ducale Junior. Il
termine Junior non deve trarre in inganno: si
riferisce unicamente all'età degli interpreti,
giovanissimi talenti della classica, e non al
livello della performance ormai apprezzato in
tutta
Italia.
I Maestri preparatori dell’ensemble CDJ sono
affermati solisti di livello internazionale, che
quest’anno non soltanto guideranno le prove ma
si esibiranno anche in concerto con i giovani
interpreti, dimostrando tutta la dedizione e
l'inesauribile entusiasmo di chi fa davvero
della musica una ragione di vita. In questo
primo concerto, l'onere e l'onore toccherà a
Benedetto Lupo, uno dei pianisti che
rappresentano sul piano artistico e didattico un
punto di riferimento per i giovani
musicisti.Intorno a lui, la CDJ in veste di
quartetto d'archi, con Giulia Rimonda e Riccardo
Zamuner ai violini, Lorenzo Lombardo alla viola
e Luca Giovannini al violoncello, quattro
talenti provenienti dalle grandi Accademie
italiane, impegnati in due composizioni di
Schumann e Brahms di grande fascino e appeal.
C’è un altro motivo per non mancare: il concerto
è dedicato alla memoria del professor Francesco
Ottino, già docente, preside e “colonna” della
scuola vercellese, ma anche grande appassionato
di musica. Storico abbonato del Viotti Festival,
ha saputo coinvolgere e interessare tanti
giovani non solo nel mondo della scuola, ma
anche in quello dei concerti. I 3 concerti della
CDJ
– Camerata
Ducale Junior non fanno parte della stagione in
abbonamento del Viotti Festival. E’
previsto l’ingresso
unico a 10 Euro, gratuito per i giovani under
25. Acquisto dei biglietti online sul sito
www.viottifestival.it
Benedetto Lupo,
pianoforte, Camerata
Ducale Junior, Giulia
Rimonda –
Riccardo Zamuner violini,
Lorenzo Lombardo viola,
Luca Giovannini violoncello.
Programma: J.
Brahms - Quartetto per pianoforte e archi in do
minore n.3 op. 60 ; R.
Schumann - Quintetto per pianoforte e archi in
mi b maggiore op. 44.
dalla redazione 12 gennaio
2022
L'addio alla Scala
di Waltraud Meier
Il mezzosoprano Waltraud
Meier ha dato l'addio al Teatro alla Scala con
un ultimo recital proprio nel giorno del
suo compleanno. Dopo quarantasei anni di
carriera, onorata sia nel teatro milanese che
nei più prestigiosi palcoscenici mondiali, la
Meier ha deciso di lasciare le esibizioni entro
il 2022 o nei primi mesi del 2023. Era il 1987
quando la Meier varcava per la prima volta il
teatro scaligero, diretta da Sawallisch nel
Cardillac di Paul Hindemith. Ieri sera
un
numeroso pubblico ha accolto la celebre cantante
in palcoscenico con fragorosi e lunghi applausi.
In compagnia del basso austriaco Günther
Groissböck, entrambi accompagnati al pianoforte
dall'ottimo Joseph Breinl, ha impaginato un
programma corposo e vario che prevedeva brani di
Rott, Bruckner, Wolf e Mahler. Alternandosi o in
duo, entrambi hanno dato prova di grande
espressività vocale. La potenza timbrica del più
giovane Groissböck ha introdotto il recital con
i brani di Hans Rott, di Anton Bruckner e i
primi di Hugo Wolf. Una voce voluminosa, da
basso profondo, precisa, dettagliata e di
notevole espressività, ha trovato un appoggio
sicuro e perfettamente calibrato nelle mani di
Joseph Breinl. Pianista specializzato nel
settore dei lieder, Breinl ha animato la serata
con un pianismo che dire di accompagnamento è
certamente riduttivo. Le valenze
melodico-armoniche, specie nei brani di Mahler,
sono state determinanti per il valore
complessivo della resa musicale. In Mahler e non
solo, vere e proprie orchestrazioni hanno messo
in risalto timbriche complesse e articolate che
solo un pianista di eccellenti qualità può
evidenziare in modo chiaro e convincente.
La
voce intensamente espressiva della Meier, si è
rivelata con ancor più intensità proprio nei
brani mahleriani, oltre che nell'eccellente
Erlkönig di Schubert - applauditissimo dal
pubblico- eseguito come bis. Ancora una volta
sono state rivelate le straordinarie qualitá
gestuali-attoriali della cantante. Al termine
del concerto il Sovrintendente e Direttore
artistico scaligero Dominique Meyer è salito sul
palcoscenico per salutare e ricordare a tutti
gli intervenuti le straordinarie qualità
artistiche dell'artista, sia nei momenti delle
grandi Prime scaligere, specie wagneriane, sia
nelle recite di tutto il mondo. Uno splendido
omaggio floreale e un manifesto incorniciato con
una grande locandina di una non lontana prima
wagneriana, sono stati donati alla cantante. La
Meier è poi intervenuta, con evidente emozione,
per ringraziare il pubblico italiano della Scala
che tanto ha contribuito ai suoi straordinari
successi. Un breve, divertente ulteriore bis a
tre ha concluso la splendida serata con ovazione
finale per Waltraud Meier.
10 gennaio 2022 Cesare
Guzzardella
A VERCELLI IL FESTIVAL INIZIA
IL NUOVO ANNO NEL SEGNO DI GLORIA CAMPANER
Il concerto che sabato 8
gennaio (ore 21, concerto in abbonamento) andrà
in scena al Teatro Civico di Vercelli sarà il
primo del 2022 nel cartellone del XXIV Viotti
Festival. E sarà dunque un appuntamento
importante per
almeno
tre motivi: l'aspetto simbolico, i contenuti
musicali e la presenza di una straordinaria
pianista quale Gloria Campaner.Simbolicamente,
questo concerto apre un anno che si annuncia
ancora irto di difficoltà, ma che nel cuore di
tutti si spera possa finalmente segnare l'uscita
dall'emergenza pandemica e sappia consolare il
pubblico della recente delusione per
l’annullamento del concerto di San Silvestro E
il programma del concerto aiuterà a recuperare
una visione del mondo in qualche misura più
poetica e fiduciosa. Gloria Campaner eseguirà
infatti due capolavori assoluti del repertorio
pianistico, capaci di coinvolgere, affascinare,
commuovere. La Suite bergamasque di Claude
Debussy, opera di vibrante e struggente bellezza
che contiene, come un tesoro racchiuso in uno
scrigno prezioso, il Clair de lune, forse tra i
brani pianistici più amati e conosciuti di ogni
tempo, capace di attraversare le epoche finendo
addirittura per comparire nelle colonne sonore
di grandi film hollywoodiani. Poi sarà la volta
dei Preludi di Frederyk Chopin, omaggio al
Clavicembalo ben temperato di J. S. Bach nel
quale, in 24 brani
– uno per tonalità
– che a volte paiono quasi
dei frammenti, si compone un mondo di passioni
inquiete, sentimenti profondi, incessante
ricerca della bellezza.Una scelta musicale
esaltata dal valore dell'interprete. Gloria
Campaner, infatti, cammina da tempo con grazia e
bellezza sui palcoscenici internazionali
lasciando dietro di sé momenti unici.
Artista riconosciuta per i suoi molteplici
talenti, unisce al suo appassionato impegno
musicale un'incessante attività per la difesa
dei diritti umani.
Prossimi appuntamenti:
- sabato 15.1.2022, h. 21,
Teatro Civico di Vercelli, Benedetto Lupo,
pianoforte e la Camerata Ducale Junior
eseguiranno di Schumann Quintetto in mi b
maggiore, op. 44 e di Brahms il Quartetto in do
minore n.3 op. 60, concerto fuori abbonamento
3 gennaio 2022 dalla
redazione
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