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RECENSIONIDVDLIBRI
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DICEMBRE 2019
Il balletto acrobatico
KATAKLÒ al Teatro
Carcano
Una miscellanea musicale ben
articolata quella scelta dall'Athletic Dance
Theatre KATAKLÒ,
compagnia
della coreografa e direttrice artistica Giulia
Staccioli. Lo spettacolo Eureka è
strutturato in due parti ed oltre ad avere
cinque ballerini principali e altri che
intervengono in molti "quadri scenici" ,
utilizza anche cinque giovani partecipanti,
selezionate ed istruite poco prima dello
spettacolo che con maschere, travestimenti e
movimenti studiati di volta in volta, anticipano
la messinscena girando per la sala come a creare
un sistema unitario tra pubblico e scena. Lo
spettacolo, moderno ed accattivante, mi è
sembrato in crescendo con una seconda parte
nettamente superiore dal punto di vista della
creatività e dell'unità di svolgimento. Brani
classici, da Liszt a Vivaldi, di ottimo Jazz,
dei Beatles e di Celentano, disco anni
'80 e moltissimo ancora, ispirano gli ottimi
performer in movenze atletiche a volte
acrobatiche, molto aderenti allo spirito
musicale scelto. Alcune trovate sceniche con
luci ad hoc, cerchi, specchi e tessuti
avvolgenti, generano
coreografie
straordinarie, degne dei migliori spettacoli di
Broadway. Il Teatro Carcano ieri sera era
straboccante di spettatori, per un successo
pienamente meritato. Altamente consigliabile e
perfetto per un intrattenimento di queste
festività. Repliche fino al 6 gennaio 2020. Da
non perdere.
31 dicembre 2019 Cesare
Guzzardella
La pianista Irina
Zahharenkova in
Conservatorio per Serate Musicali
La pianista estone ,
di origine russa, Irina
Zahharenkova, per la prima volta in Sala Verdi
ha tenuto
un
valido concerto pianistico con un'originale
impaginazione. Nella prima parte Mozart e
Rameau, nella seconda Prokof'ev e
Čaikovskij.
La nota Fantasia in re minore K.397 ha
introdotto il recital seguita, senza
soluzione di continuità, dalla Suite
in la minore del francese, suite celebre
soprattutto per la Gavotta conclusiva con
le sue splendide variazioni. In Rameau, la
pianista , ha mostrato indubbie affinità
attraverso un'interpretazione molto dettagliata
e dal timbro clavicembalistico preciso e
accentuato. L'originalità della seconda parte
univa in una specie di "grande suite", le rare
"stagioni" di Prokof'ev tratte da
Cenerentola, ovvero l'Op.97 n.1,2,3,4
con le più note Stagioni op.37 a di
Čaikovskij,
in alternanza e in
un ordine
diverso dal consueto, partendo dal mese di marzo,
inizio della Fata
primavera
di Prokof'ev..
Un'interpretazione dove la sintesi discorsiva
sostenuta da una tecnica di primo livello,
precisa e dal carattere
improvvisatorio,
ha portato ad un risultato complessivo molto
interessante ed ammirevole. Splendido il bis
concesso con un entusiasmante Impromptus n.5 op.5 di Sibelius.
Un'ottima
pianista Irina, vincitrice di importanti
Concorsi internazionali tra i quali il "J.S.Bach"
di Lipsia (2006) e il "Casagrande" di Terni
(2006)
che merita
un riascolto attento, speriamo
presto.
Da ricordare.
24 dicembre 2019
Cesare
Guzzardella
Il balletto "Vivaldiana"
con lo Spellbound Contemporary Ballet
La spettacolo coreutico visto
ieri al Teatro Carcano di Milano s'intitolava
Vivaldiana, una selezione di rilevanti brani
di Antonio Vivaldi resi in danza dal coreografo
Mauro Astolfi per i ballerini del gruppo
Spellbound Contemporary Ballet.
Indubbiamente la grande musicalità del
compositore
veneziano,
giocata su una struggente componente di melodie
armonizzate all'interno di strutture ritmiche
spesso molto accentuate, favorisce la creatività
dei coreografi moderni. È proprio la modernità
della musica settecentesca vivaldiana - ripresa
nei primi del '900 nello stile di un Malipiero o
di un Respighi, poi parzialmente dai
minimalisti e negli anni '70 anche da molti
gruppi del rock progressivo per via delle
modalità compositive marcate e ben scandite -
che trova successo anche nel mondo della danza.
La valida operazione fatta da Astolfi è quella
di presentare i nove ballerini presenti in scena,
cinque donne e quattro uomini, in un gioco di
parti e di rapporti ben delineati e
sapientemente costruiti. La "massa umana" si
sviluppa in articolazioni ritmiche di assoluta
libertà nelle quali anche ogni singolo
ballerino d à
sfoggio di grandi capacità di
libero movimento corporeo.
Ma
è soprattutto la visione complessiva nei
movimenti volumetrici che interessa ad Astolfi
nei suoi numerosi lavori. La poca luce che
avvolge i corpi in movimento dà
una omogeneità
al tutto e ci fa concentrare maggiormente nelle
"architetture" complessive in un'interazione con
la parte musicale che risulta essenziale.
Certamente non è facile capire i contenuti delle
vicende umane nascoste nelle sensuali movenze
coreutiche, vicende che vorrebbero raccontare la
vita esuberante del grande musicista veneto. Il
racconto risulta oscuro e di non semplice
comprensione. Ma l'impatto scenico, anche se a
volte ripetitivo nella cifra stilistica, è
indubbiamente di efficace resa espressiva.
L'estetica
delle forme risulta appariscente
ed in consonanza con il geniale mondo musicale
vivaldiano. Valide
le luci nel contesto scenografico di Marco
Policastro ed i costumi di Mélanie Planchard.
Ricordiamo la collaborazione di Astolfi con
Les Théâtres
de la Ville de Luxembourg.
Unico
neo, a mio avviso, è la parte musicale
registrata, ben riprodotta, ma mancante della
suggestiva presenza live. Una reale
orchestra barocca avrebbe esaltato moltissimo la
resa complessiva dell'interessante lavoro di
Mauro Astolfi. Un balletto comunque abilmente
configurato e di grande qualità stilistica!
23 dicembre 2019 Cesare
Guzzardella
The King 's
Singers in Auditorium per il Concerto di
Natale
È tornato a Milano il celebre
gruppo vocale The King's Singers per due
concerti organizzati dalla Sinfonica Verdi. Per
l'occasione l'orchestra era diretta da Jaume
Santonja. Ieri sera, alla replica, l'impaginato,
ampio e articolato, ci ha immerso in
un'atmosfera natalizia con numerosi canti tipici
del
Natale ma anche con brani di diverso
carattere. Lo straordinario gruppo "a cappella"
ha oltre cinquant'anni di storia e nel corso dei
decenni ha cambiato numerosi controtenori,
tenori, baritoni e bassi. Oltre venti cantori
per arrivare alla formazione attuale, formazione
che ha mantenuto uno status di livello artistico
straordinario. La varietà del programma proposto,
con canti che spaziano in un periodo storico di
oltre cinquecento anni e che incontrano stili
diversificati - dalla tradizione sacra al
gospel, al contemporaneo - ci ha rivelato ancora
una volta le eccellenti timbriche sia solistiche
che di gruppo dei sei cantanti. Un'unità
d'intenti e
di voci che probabilmente non ha
uguali al mondo. La scuola classica di canto
inglese, nella sua antica e preziosa tradizione,
emerge in tutti i brani, sia quelli dove i sei
hanno dato sfoggio da soli "a cappella" , sia
nei numerosi nei quali sono stati splendidamente
accompagnati dalla Sinfonica Verdi, ottimamente
diretta da Santonja. L'orchestra ha avuto anche
un momento di esternazione musicale senza
cantori, con un intermezzo musicale nel quale ha
eseguito energicamente l' Ouverture da Guglielmo
Tell di Gioachino Rossini. Citiamo la formazione
attuale formata da Christopher Bruerton, Edward
Burton, Patrick Dunachie, Nick Ashby, Jonathan
Howard e Julian Gregory e ricordiamo che molti
degli arrangiamenti ascoltati erano stati
scritti da membri passati
della formazione,
tutti di eccellente qualità. I sei, a rotazione,
hanno presentato in italiano, in modo ironico e
molto divertente i brani che di volta in volta
venivano eseguiti, rendendo la serata allegra e
ricca di umanità. Tre i bis concessi dai
cantanti che per l'occasione hanno indossato
scherzosamente il cappello di Babbo Natale. Tra
io numerosi brani non poteva certo mancare il
canto natalizio più famoso al mondo, Jingle
Bells nella straordinaria orchestrazione di
Gordon Langford e un Tu scendi dalle stelle
splendidamente cantato in italiano. Da ricordare
sempre!
21 dicembre 2019 C.G.
Un duo di ottima
qualità al Teatro
Gerolamo
La programmazione cameristica
della Sinfonica Verdi ha trovato un luogo ideale
per i suoi concerti nel Teatro Gerolamo.
Ristrutturato recentemente, il Gerolamo ha
disponibili poco più di duecento
posti
e un'acustica eccellente soprattutto sul
versante degli strumenti ad arco. Ieri sera,
ascoltando l'ottimo duo formato dal violinista
Luca Santaniello -spalla della Verdi - e dalla
pianista Carlotta Nicole Lusa - pianista della
medesima orchestra- ci siamo accorti che le
loro
indiscutibili qualità interpretative sono state
diffuse in un luogo speciale. Molto
interessante l'impaginato, con una scelta di
programma vario e formato da brevi brani, alcuni
molto noti, di Erich Korngold, Leonard
Bernstein, John Williams e George Gershwin. Rari,
significativi e ricchi di creatività i brani del
primo compositore americano Korngold; arcinoti
quasi tutti i brani degli altri tre compositori
statunitensi, eseguiti in mirabili trascrizioni
per violino e pianoforte ed estrapolati
rispettivamente da West Side
Story,
da Schindler's List e da Porgy end
Bess. Il duo cameristico ha rivelato una
splendida intesa, giocata su una sorprendente
melodicità del voluminoso violino di Santaniello
e su una rilevante resa armonica del brillante
pianoforte della Lusa, strumento calibrato
perfettamente nelle dinamiche e nell'uso
discreto del pedale di risonanza. Grande
espressività per i celebri Maria e
Tonight -solo per citarne alcuni- di
Bernstein, per il noto e "strappa-lacrime"
Tema di J.Williams e per le altrettanto
celebri arie di Gershwin dall' opera Porgy
end Bess - prima fra tutte Summertime-
trascritte splendidamente per violino e
pianoforte dal grande violinista Joshua Heifetz.
Ottimi i due bis concessi al termine con due
brani noti di Charlie Chaplin dai film "Luci
della città" e "Luci della ribalta". Una serata
da ricordare a lungo.
20 dicembre 2019 Cesare
Guzzardella
Beethoven e Ravel per la
Stuttgarter
Philharmoniker di Dan Ettinger
Un baritono, Beethoven e
molto Ravel per la Società dei Concerti.
Valido L'impaginato presentato ieri sera in Sala
Verdi dalla Stuttgarter Philharmoniker
diretta da Dan Ettinger. Sei rari lieder di
Beethoven,
hanno introdotto il concerto ed evidenziato
l'ottimo timbro baritonale di Andrè Schuen. I
Sei lieder op.98 "An die ferne Geliebte"
sono stati mirabilmente composti dal genio di
Bonn e resi con grazia e profondità da Schuen.
Ottimo l'equilibrio orchestrale di Ettinger e
perfetta l'integrazione solistica del baritono.
Il primo Ravel eseguito, il celebre La Valse,
ci ha portato in un'atmosfera vorticosa dove il
tempo di valzer viene variato in infiniti modi,
in un gioco di timbriche appariscenti, moderne
ed innovative per l'epoca di produzione. La
Valse è ricca di effetti di glissando e di
voluti accorgimenti sonori atti a creare una
rotazione degli interventi strumentali in un
moto circolare sempre più rapido e sconvolgente.
Di rilievo
l'interpretazione orchestrale. Seconda parte
della serata ancora con Ravel: prima con il
relativamente pacato Valses nobles et
sentimentales e poi con i Three songs
"Don Quichotte à Dulcinée", nei quali,
ancora una volta, il baritono Schuen ha reso
un'interpretazione profonda e delicata. A
conclusione della serata forse il brano più noto
del francese, il Boléro, ha trovato
un'eccellente orchestra per equilibrio delle
parti, per giusto peso dinamico in perfetto
crescendo e per ineccepibile qualità di tutti
gli interventi solistici. Livello espressivo-musicale
decisamente alto per un' orchestra, quella di
Stoccarda, con un direttore
decisamente
all'altezza che sa come ottenere il massimo da
tutti gli ottimi strumentisti. Splendida serata!
19 dicembre 2019 Cesare
Guzzardella
Ancora sold-out alla quarta
rappresentazione di
Tosca alla Scala
Il primo artefice di questo
indiscutibile successo per la nuova Tosca
scaligera è certamente Riccardo Chailly. Il
direttore milanese, esperto pucciniano, ha
infatti curato una concertazione di alto livello
musicale, coordinando
sapientemente ogni dettaglio e inserendo nel
tessuto orchestrale, con grande equilibrio
dinamico, le avvincenti timbriche dell'ottimo
cast vocale. Ricordiamo la scelta ardita di
Chailly, di cui si è gia parlato molto nella
scorsa settimana, di utilizzare la partitura
autentica della prima esecuzione romana del
1900, una partitura poi succesivamente
edulcorata di alcune parti- poche battute- che
si sono adesso rilevate relativamente importanti
per un cambiamento non determinante, ma
giustamente voluto per ragioni storiche, di
novità e di mercato editoriale. Musicalmente
cambia assai poco con quelle battute originarie
e sicuramente la consueta versione "classica"
continuerà ad imperversare nei maggiori teatri
del mondo. Se la componente musicale da vita a
Tosca e rende Puccini un grandissimo "sinfonista"
nella lirica, l'attenzione alla componente
melodica e alla qualità delle voci non può certo
venire meno, specie per gli appassionati della
grande lirica, sempre molto presenti al Teatro
alla Scala. Alla quarta replica di ieri sera si
sono dimostrati ancora una volta trionfatori di
Tosca i due protagonisti pricipali: Anna
Netrebko, una Tosca
particolarmente
incisiva per consistenza timbrica, e Luca Salsi,
un barone Scarpia altrettanto rilevante
per forza di emissione vocale.(foto di
Brescia-Amisano a cura dell'Archivio
Scala) Non c'è dubbio che la più applaudita al
termine della recita, Tosca, abbia
pienamente meritato il massimo successo,
scavalcando di poco l'ottimo Salsi che
probabilmente era risultato più graffiante nelle
recite precedenti. Si è parlato a lungo, nei
giorni scorsi, della versione cinematografica di
questa messinscena voluta dal valente regista
Davide Livermore , coadiuvato per le scene dallo
studio Giò Forma con video D-Wok, i costumi di
Gianluca Falaschi e le rilevanti luci di Antonio
Castro. Livermore ha utilizzato in toto i
potenziali della macchina scenica con un gioco
di livelli e un sali-scendi del palcoscenico che
inquadra situazioni, come il luogo di tortura di
Cavaradossi, che in genere risultano nascoste.
L'effetto cinema, rilevato sicuramente alla
prima vista su un ampio schermo televisivo, con
formidabili riprese dall'alto ed inquadrature
tipiche da grande schermo , non è così
importante da un palco del Teatro, dove la
posizione ferma
dello
spettatore non rileva più di tanto gli artifizi
visivi adatti allo schermo. Ieri, in teatro,
abbiamo assistito ad un' altra Tosca, più
naturale, sia nelle scene alquanto tradizionali,
che nelle voci, tutte di grande spessore
volumetrico. La splendida timbrica della
Netrebko, più naturale e addolcita rispetto le
prime rappresentazioni, ha trovato in Vissi
d'arte il momento clou della serata,
strappando ancora lunghi e meritati applausi.
Luca Salsi, ha di nuovo trionfato nel secondo
atto, con la sua presenza scenica e la sua
chiara e ed incisiva voce. Ottima rivelazione
della serata, soprattutto nel bellissimo terzo
atto, il tenore Otar Jokjikia che all'ultimo
minuto ha sostituito Francesco Meli nel ruolo di
Mario Cavaradossi. La sua prestazione,
non lontana per tipologia timbrica da quella di
Meli, ci è piaciuta assai e proprio nel terzo
atto, la sua pregnante voce ha mostrato anche
una splendida intesa con la Netrebko. Di
altissima qualità l'applauditissimo E lucean
le stelle. Non mi soffermo su tutti gli
altri bravissimi interpreti, dei quali si è
tanto parlato. Un plauso, come sempre, alla
componente corale preparata da Bruno Casoni. Le
prossime rappresentazioni, alcune probabilmente
già in sold-out, sono per il 19-22 dicembre e
2-5-8 gennaio. Da non perdere e da ricordare a
lungo.
17 dicembre 2019 Cesare
Guzzardella
CPSM - Corsi Popolari Serali
Musicali, in Conservatorio.
Una luce (tante luci) nella
notte!
Al Conservatorio di Milano
le luci si spengono solo a tarda sera, e non
solo per i concerti in programma in Sala Verdi.
Dal 1976, dal lunedì al giovedì un “esercito” di
amanti della musica che di giorno fanno mille
altri lavori e attività, si ritrovano nelle sue
aule a frequentare i corsi di strumenti e di
teoria musicale.
L’Associazione
nasce dall’idea di alcuni studenti del
Conservatorio di consentire anche a persone non
professioniste di poter studiare ed approfondire,
in ore serali e a prezzi contenuti, lo studio di
uno strumento e la propria cultura musicale.
Dalle 20 alle 22.45 ogni aula si anima di
appassionati e irriducibili, esperti e neofiti
che dedicano le ultime energie del giorno
all’arte sublime della musica.
Dal pianoforte al violino,
dal violoncello alla tromba, dal sassofono alla
chitarra classica, dalla storia della musica
alla guida all’ascolto, dai corsi di teoria
musicale al mandolino, solo per citare alcune
delle proposte che troverete ai CPSM.
Da
quest’anno importanti novità sono state
introdotte dalla Commissione Eventi in merito
all’ascolto della musica dal vivo e della
fruizione di convenzioni e opportunità culturali.
Anche chi non frequenta i corsi può associandosi
ai CPSM con € 20 e usufruire degli sconti attivi
per la Community. Crediamo fermamente che
l’esperienza dal vivo sia un bel modo di vivere
la musica, il teatro e la cultura in modo attivo.
Troverete le nostre proposte
sul sito, dove sono segnalati i posti ancora
disponibili per questo anno accademico 19/20. A
partire dal 1°gennaio 2020 le quote di
partecipazione ai corsi verranno ridotte di
circa un terzo.
Venite a trovarci!
www.cpsm.net/index2.html
Elena Siani Milano,
16/12/2019
SUOR ANGELICA E
CAVALLERIA
RUSTICANA AL COCCIA DI NOVARA
Oggi pomeriggio, domenica
15/12, abbiamo assistito alla replica del
secondo spettacolo della stagione lirica del
teatro Coccia di Novara, coprodotto dal Coccia,
dal Teatro Goldoni di Livorno e dal Teatro
Sociale di Rovigo. La prima ha avuto luogo ieri,
sabato 14, e la precisazione è indispensabile
perché tra le due rappresentazioni sono cambiati
gli interpreti di gran parte dei ruoli
protagonistici. Dunque, sono andate in scena due
opere tra le più significative di quella
complessa fase della storia musicale italiana,
tra fine ‘800 e inizio ‘900, che vede il
definitivo tramonto dell’”opera” ottocentesca e
l’affermarsi, prima col verismo (o preteso tale)
della ‘giovane scuola’ e
poi
con le opere di Puccini, di nuovi modelli d
teatro musicale: i due titoli sono, in ordine di
rappresentazione, “Suor Angelica” e “Cavalleria
rusticana”. L’esecuzione era affidata
all’Orchestra Filarmonica Pucciniana diretta dal
maestro Daniele Agiman e al Coro Ars Lyrica
diretto da Chiara Mariani. La regia era di
Gianmaria Aliverta, coadiuvato dallo scenografo
Francesco Bondi. Dei cantanti, ovviamente, si
dirà a suo tempo. Puccini e Mascagni: qual è il
filo che unisce queste loro due opere, in
apparenza così diverse e lontane non solo
cronologicamente (circa trent’anni di distanza
le separano)? Ci illumina il libretto di sala,
in cui si leggono le osservazioni di Agiman,
secondo il quale Cavalleria e Suor Angelica
sarebbero legate dalla scelta, da parte dei due
compositori, di collocare le rispettive vicende
in due luoghi (un convento e un villaggio ancora
immerso in costumi arcaici), in cui sono
impossibili relazioni autentiche fra gli
individui, non mascherate da una pervasiva
ipocrisia sociale, . Ribadisce, estremizzandolo,
il concetto il regista Aliverta: Suor Angelica e
Cavalleria sarebbero addirittura un’opera unica:
Cavalleria rusticana “svelerebbe” il peccato che
suor Angelica ha commesso (ma non è già
ampiamente svelato dall’opera stessa?), sullo
sfondo di una bigotta e ipocrita religiosità
cattolica. Questa cervellotica interpretazione
guida ovviamente le scelte registiche e
scenografiche. Suor Angelica presenta una messa
in scena accettabile, anche se abbastanza
scontata, cioè un ambiente conventuale,
inquadrato da due possenti pilastri con statue a
soggetto religioso, tra i quali è collocata una
grata, confine di separazione tra il mondo e il
convento, il cui spazio ha il suo riferimento
essenziale in una possente statua della Vergine
con bambino, in cui, al momento della morte
della protagonista, viene conficcato un coltello.
Già in Suor Angelica peraltro, qualche scelta
registica è piuttosto opinabile, anche se
secondaria: Angelica si suicida non solo col
veleno, come da partitura, ma anche col coltello,
prefigurando così il mondo della Cavalleria
Rusticana. Del resto lo spettatore è informato
dalle note di regia che S. Angelica è Lola (?) ,
come la zia di S.Angelica è mamma Lucia (????).
In Suor Angelica Aliverta ha modificato il
finale: Sparisce l’apparizione della Vergine che
“sospinge il figlio morto di Angelica verso la
madre moribonda”, resta solo il bambino che,
dall’altra parte della grata, contempla muto
l’agonia della madre. Si ammirano i costumi
delle suore, di un bianco abbagliante con
finssime decorazioni, opera della brava
costumista Sara Marcucci. Il vero scempio si
compie ai danni della Cavalleria rusticana.
Anche
la vicenda di quest’opera è collocata in un
ambiente ecclesiastico, una chiesa di opulento
sfarzo barocco, chiuso all’inizio da un telo,
una specie di secondo sipario, attraverso il
qualei mamma Lucia, Lola e Turiddu, entrano ed
escono, consumano i loro amori, come fosse anche
(ed è!) casa loro. D’accordo che la vicenda si
svolge nel giorno di Pasqua, ma il palcoscenico
è continuamente attraversato da processioni,
statue sacre (ricompare la Madonna trafitta di
Suor Angelica). Non solo, ma mamma Lucia, nella
versione di Aliverta, è fin dall’inizio
perfettamente al corrente della tresca tra suo
figlio Turiddu e Lola e li copre con la sua
complicità nascondendoli nella casa/chiesa, il
che rende poi incomprensibile l’atteggiamento di
pietà di Lucia nei confronti di Santuzza. Altri,
numerosi dettagli di questa per noi assurda
regia si potrebbero citare, ma a questo punto
sorvoliamo; ci limitiamo a segnalare una buffa
incongruenza: Alfio e Turiddu si affrontano con
il coltello già prima del fatale duello. Invece
di morsicare l’orecchio di Alfio, come da
libretto e da novella di Verga, Turiddu lo
ferisce al braccio: ma allora, si domanda
perplesso lo spettatore, perché rimandare il
duello e non farla finita subito? I cantanti
erano tutti giovani, perlopiù alle prime armi e
pressoché sconosciuti alle ribalte che contano.
Tuttavia alcuni se la sono cavata decisamente
bene, soprattutto le parti femminili: ci è
piaciuta Elena Memoli, sia nella parte di Suor
Angelica, sia in quella di Lola: dispone di
buone risorse vocali, di una voce sopranile da
soprano drammatico, con una estensione e un
colore scuro che le consentono anche parti di
mezzosoprano, come quella di Lola. Valida la sua
interpretazione delle scene finali di Suor
Angelica, sotto il profilo vocale e
drammaturgico. Promettente anche il soprano
Marika Franchino, una Santuzza molto espressiva,
con buon fraseggio, una valida tessitura vocale,
che tendeva talvolta a ‘gridare’ quando si
spingeva nelle zone sopracute. Del tutto fuori
ruolo, sia vocalmente, sia drammaturgicamente il
contralto Antonella Di Giacinto nella parte
della famigerata zia di Suor Angelica: non si
può essere la zia della sventurata suora e la
mamma di compare Turiddu, checché ne pensi
Aliverta. La Di Giacinto ha una vocalità poco
espressiva , piuttosto povera di sfumature,
lontanissima da ogni punto di vista da
quell’essere algido e spietato che è la zia
dell’opera pucciniana. Delle principali voci
maschili ci spiace dover bocciare senza appello
il Turiddu del tenore Rosolino Cardile: voce
inespressiva, scialba,” ingolata”, limitate
capacità drammaturgiche. Meglio di lui il
baritono coreano Matteo Jin, nella parte di
Alfio, che perlomeno può vantare un discreto
timbro e un fraseggio accettabile. Ci scuseranno
le numerose parti di fianco se non le citiamo,
ma sono troppe: diciamo che in generale hanno
svolto diligentemente la loro parte. Era la
prima volta che sentivamo suonare il maestro
Agiman e l’Orchestra Sinfonica Pucciniana e il
giudizio non può che essere positivo: Agiman ha
condotto molto bene l’orchestra, coordinando
efficacemente buca e palcoscenico. Ci è in
particolare piaciuto nella Suor Angelica, ove ha
saputo valorizzare la finissima timbrica di una
delle partiture musicalmente più belle di
Puccini, raggiungendo spesso esiti di ammaliante
acquarello sonoro. Impeccabile, ma convenzionale,
nella Cavalleria. Ottima infine la prestazione
del coro pisano (ci pare) Ars Lyrica, tra i
migliori mai ascoltati al Coccia. Una
rappresentazione che non collocheremmo tra
quelle indimenticabili, ma non priva di aspetti
positivi: sopra tutti, lo sforzo di lanciare
giovani sul palcoscenico, che è uno dei compiti
di un teatro di provincia.
15 dicembre 2019 Bruno Busca
A VERCELLI PROSEGUE LA
MARATONA BEETHOVENIANA DI F. GAMBA
Ieri sera, sabato 14 /12, al
Teatro civico di Vercelli la nuova stagione del
Viotti Festival proponeva un recital del
pianista Filippo Gamba, ulteriore tappa
dell’esecuzione integrale delle 32 sonate
pianistiche di Beethoven, che da qualche anno
Gamba va proponendo a Vercelli e in altre città
italiane. Ieri le sonate in programma erano tre,
con ordine cronologico invertito: l’immensa
Hammerklavier in Si bem. maggiore op.106,
l’op.90 in mi minore, “Les Adieux” in Mi bem.
maggiore
op.81. Si tratta di tre composizioni accomunate,
come avvertono le note del programma di sala,
vergate con la consueta bravura e competenza da
A. Piovano, dal carattere problematico che, a
titolo diverso, ciascuna delle tre presenta,
mettendo in discussione o decisamente superando,
la forma della sonata pianistica ‘classica’
haydniana e mozartiana. Da tempo ammiriamo le
qualità musicali di Gamba (foto grande di Giulio Fornasar) che, estraneo allo
star system dell’industria della musica,
appartato e quasi disdegnoso di apparire alla
ribalta, è tuttavia, senza ombra di dubbio, uno
dei migliori pianisti italiani d’oggi. Il suo
limpido suono, la sua tecnica digitale, il suo
fraseggio, il suo lavoro interpretativo ed
espressivo sulla partitura, rendono sempre le
sue esecuzioni un’esperienza stimolante per
l’ascoltatore. La cifra fondamentale della
personalità pianistica di Gamba è la tendenza
scavare e portare in primo piano i valori lirici
della partitura, con tempi mai troppo rapidi, un
tocco “posato” , che cesella sapientemente il
suono, più che sprigionarne l’energia. Eravamo
perciò particolarmente curiosi di ascoltare la ‘sua’
Hammerklavier, vera e propria “ esplosione di
energia”, come la definisce C. Rosen. Ebbene,
senza rinunciare a quelle che sono le sue virtù
più caratteristiche Gamba ha sfoderato per
l’occasione una potenza e una tensione del suono
che raramente avevamo ascoltato da lui in
precedenza, già alle prime battute dell’Allegro
iniziale, con quella fanfara in fortissimo, che
imprime da subito alla partitura quell’esplosiva
energia che ne caratterizzerà il percorso
successivo. Gamba stacca tempi adeguatamente
veloci, meno rapidi di quelli prescelti da altri
interpreti, ma senz’altro capaci di dare voce
alle sezioni dinamicamente più intense della
sonata, come lo sviluppo fugato del primo tempo,
con la sua singolare forma per terze discendenti.
Decisamente valida l’interpretazione della
grande fuga dell’ultimo tempo: in generale nel
quarto tempo, il magnifico fraseggio di Gamba
trova la misura dinamica e agogica giusta per
abbandonarsi alla libertà con cui Beethoven
evoca i frammenti del soggetto della fuga, con
una agitazione crescente, contenuta però da
Gamba sempre entro una misura di classico
equilibrio, che a
qualcuno
potrà far storcere il naso, ma che per noi resta
carattere imprescindibile anche del Beethoven
più ‘sperimentale’. Più in particolare, in
questa pagina eccezionale di musica, Gamba offre
il meglio di sé nelle sezioni in cui si richiede
un forte contrasto di tocco, dove, nelle ferrea
e vorticosa energia dello sviluppo del soggetto,
si aprono improvvisi squarci lirici e cantabili:
qui emerge la bravura di Gamba quale ‘concertatore’,
la sapienza nel tornire i suoni e
nell’articolare le dinamiche. E’ comunque ovvio
che per Gamba il tempo più adatto a realizzare
il maglio di sé sia il superbo Adagio sostenuto
in terza posizione. Partito con una sonorità
leggermente velata e contenuta, “a mezza voce”,
come indica Beethoven in partitura, Gamba
dispiega poi con ammaliante intensità espressiva
il cantilenante tema successivo, con un
crescendo di pathos che trova il suo culmine
nell’andamento sincopato della sezione
principale della coda, verso la fine, quando il
suono si fa pianto, un pianto sommesso e appena
udibile, sotto le dita di Gamba, e perciò tanto
più toccante. Dopo questa bellissima
Hammerklavier, che dire delle altre due sonate.?
Semplicemente che Gamba conferma di essere
primariamente un gran pianista “lirico “. La
sonata op.90 vede il pianista veronese eccellere
nella soffusa e delicata cantabilità
schubertiana del secondo e ultimo tempo, uno
strano Rondò, in cui a prevalere è un’ onda
avvolgente di canto puro che è tra le invenzioni
musicali che più si possono accostare ala magia
poetica dell’”Infinito” leopardiano, mentre più
convenzionale ci è parsa l’esecuzione del
nervoso e appassionato primo tempo. Tutta
apprezzabile l’esecuzione della sonata” Les
Adieux”, ove Gamba dà piena espressione,
nell’Allegro iniziale, al ritmo nervoso
dell’ansia del commiato, staccando un tempo
efficacemente rapido, con alternanza sapiente di
legato e staccato. Molto ben suonati anche i due
tempi successivi, ove Gamba dà piena voce
all’alternarsi di tristezza e speranza del
secondo e all’esplosione di gioia per il ritorno
dell’amico arciduca Rodolfo nel terzo. Insomma,
un bilancio alla fine del concerto ci suggerisce
l’immagine di Gamba come pianista dalla
tavolozza espressiva più ampia di quella
comunemente attribuitagli, pur nella dominante
lirico-cantabile della sua linea espressiva.
Agli applausi scroscianti del pubblico, Gamba ha
risposto con un bis, un Notturno di Chopin,
l’op.37 in sol min. Parlando con sincerità, ci è
piaciuto parecchio di più il Gamba interprete di
Beethoven. Un bellissimo concerto, ancora una
volta, questo offerto dalla Camerata ducale,
l’ultimo del 2019. Ma il 2020, promette di
essere anch’esso ricco di serate memorabili.
15 dicembre 2019 Bruno Busca
Gábor Boldoczki
per la Società dei
Concerti
Il variegato programma
proposto ieri sera dalla SWD Philharmonie
diretta da Ari Rasilainen
prevedeva
musiche del Settecento
barocco
di Händel, Haydn e Torelli e dell'Ottocento con
la celebre Sinfonia n.7 op.92 di
L.v.Beethoven. Nella parte settecentesca la
brillante tromba dell'ungherese Gábor Boldoczki
ha dato maggiormente prestigio alla serata. Il
brano introduttivo, il Concerto Grosso in sol
maggiore op.3 n.3 di Georg Friedrich Händel
ha trovato di fianco all'ottimo direttore una
giovane
e bravissima prima flautista che, con grazia e
delicato timbro, ha esaltato le qualità del
concerto. Nei brani successivi, prima il
Concerto per tromba in mi bem. maggiore di
Franz Joseph Haydn e poi il Concerto per
tromba in re maggiore di Giuseppe Torelli,
il protagonista Gábor Boldoczki ha rivelato le
sue raffinate qualità virtuosistiche
elargendo
timbriche chiarissime e molto "pulite" e
mettendo in risalto con le trombe, una per ogni
concerto, la lineare e pregnante componente
melodica. Splendida l'orchestrazione di
Rasilainen anche nel raro breve concerto di
Torelli composto nel 1698. Di rilievo il bis
concesso da Boldoczki e dall'orchestra con la
celebre Aria -Largo- dallo Xerxes di
Händel eseguita dal solista con raro nitore
espressivo. Di qualità l'interpretazione della
Settima Sinfonia di Beethoven e splendido il
secondo bis concesso dall'orchestra con il
celebre Valse Triste di Jean Sibelius. Da
ricordare.
12 dicembre 2019 Cesare
Guzzardella
Prossimamente una nuova
rassegna musicale: Pianisti di altri mondi
al Teatro Parenti
Tra gennaio e maggio del
prossimo anno inizia una nuova avventura
musicale organizzata al Teatro Parenti in
collaborazione con la Società del Quartetto.
È dedicata interamente al pianoforte. Otto
concerti
impegneranno pianisti in altrettante domeniche
mattine alle ore 11.00, per mostrare gli
sviluppi musicali di un repertorio legato al
jazz e alla musica contemporanea. Avremo
sfaccettature differenti provenienti da aree
geografiche molto diverse, intrise anche di
certo folclore legato alle radici territoriali
dei pianisti -molti compositori- partecipanti.
Questa mattina, l'ideatore della rassegna
Gianni
Morelenbaum Gualberto, assieme ad Andrée Ruth
Shammah, responsabile del Teatro Parenti e
Ilaria Borletti Buitoni, Presidente del "Quartetto"
, hanno ben spiegato gli scopi della nuova
iniziativa che prende il posto del
mattiniero Aperitivi in Concerto,
successo degli scorsi anni. La Shammah ha ben
sottolineato l'importanza della collaborazione
tra diverse istituzioni concertistiche e/o
teatrali per progetti unitari, come quello
presentato, per rendere
la nostra città ancor più in
sintonia
con le grandi metropoli mondiali dove
maggiormente si respira il senso della
creatività artistica. La Borletti ha quindi
ribadito il concetto di unione tra istituzioni
parlando di "viaggio musicale culturalmente
molto importante" per uscire dalle
tradizionali fruizioni classiche, andando verso
territori maggiormente creativi. L'organizzatore
e critico Gianni Morelenbaum Gualberto, già
artefice degli Aperitivi in concerto del
Teatro Manzoni, ha fatto un interessante
excursus sul mondo della musica del Novecento,
tra gli storicizzati Stockhausen o Cage, il jazz
classico degli Armstrong o dei Parker, o il
minimalismo americano,
sino
ad arrivare ai nuovi jazzisti-contemporanei ,
sempre più legati ai nuovi modi d'intendere la
musica, modi che non disdegnano affatto il
passato, ma che sono alla ricerca di ulteriori
novità. Ha ricordato alcuni dei protagonisti
della rassegna, a cominciare da Vijai Iyer,
pianista e compositore americano che inizierà la
programmazione il 19 gennaio; proseguendo con la
pianista Vanessa Wagner, che il 9 febbraio
proporrà un programma tra minimalismo e jazz,
arrivando poi al pianista Yonathan Avishai, che
il 23 febbraio proporrà un percorso articolato
tra musica cubana e brasiliana e il ragtime del
leggendario Scott Joplin. Lisa Moore, pianista
più orientata sul fronte contemporaneo di Glass,
Adams, Ligeti e Rzewski interverrà il 15 marzo.
Questi sono i primi quattro,
ma di rilevanza anche gli altri protagonisti
presenti in rassegna. Si consiglia vivamente la
partecipazione.
11 dicembre 2019 Cesare
Guzzardella
Stefan Milenkovic
al Festival
Cantelli di Novara
L’associazione Amici della
Musica “V. Cocito” dal 1946 promuove annualmente
a Novara una stagione di concerti, il Festival
Cantelli, che rappresenta da quegli anni ormai
remoti un momento imperdibile della vita
culturale della città e una ghiotta occasione di
ascolti di qualità per i locali musicofili. Ieri
sera, 10 dicembre, presso il Teatro Faraggiana,
il programma della stagione proponeva un
concerto impaginato su tre celebri composizioni
ottocentesche: di F. Mendelssohn
l’Ouverture
“La bella Melusina” op. 32 e la Sinfonia in la
min. op.56 “Scozzese”, che, nonostante rechi il
n.3, fu di fatto l’ultima delle cinque composte
dal grande musicista di Amburgo. Tra le due
opere mendelssohniane, il Concerto n.1 in sol
min. per violino e
orchestra, in assoluto il
più celebre e praticamente oggi l’unico eseguito
tra i concerti per violino di Max Bruch. A
eseguire il programma era una delle migliori
compagini balcaniche, la slovena Orchestra della
Radiotelevisione di Lubiana, per l’occasione
guidata dal maestro moldavo Mihail Agafita, cui
si accompagnava, per il concerto di Bruch, il
violinista serbo Stefan Milenkovich. Decisamente
apprezzabile la qualità esecutiva che ha
caratterizzato la serata. Agafita è un ottimo
direttore, capace, con il gesto sempre preciso
della sua bacchetta, di conferire il giusto
rilievo ai singoli dettagli della partitura,
valorizzandone le più sottili sfumature
timbriche, e plasmando una tessitura sonora
varia e ricca grazie a un controllo sapiente
delle dinamiche. L’orchestra slovena, guidata da
Agafita, è apparsa formazione di ottime risorse
in tutti i reparti, con particolare qualità dei
fiati, emersa fin da subito nella trasparente
leggerezza del loro dialogo con gli archi nella
“Bella Melusina”, evocativa di quella suggestiva
atmosfera di fiaba romantica che ispira l’intera
ouverture. Con piena coerenza interpretativa,
Agafita ha portato in primo piano i valori di
incantata musicalità del celebre tema iniziale
delle onde, ben lontano dall’aura di inquietante
mistero ctonio che avvolge l’apertura del
Rheingold wagneriano, che pure si dice
comunemente ispirata all’Ouverture di
Mendelssohn. Decisamente bella la “Scozzese”
proposta da Agafita e dall’orchestra di Lubiana.
La grande bellezza di questa sinfonia non sta
nella varietà dei temi o nella particolare
complessità dello sviluppo armonico, quanto
nell’affascinante, continuo mutamento di
atmosfere, a partire dal tema introduttivo, da
cui gran parte della sinfonia può dirsi dipenda.
E’ un’atmosfera che potremmo definire ‘paesaggistica’,
che in musica si traduce in suoni, colori
timbrici, dettagli e sfumature nelle voci dei
vari strumenti. Ed ecco che sin dall’apertura
quella capacità di Agafita e dell’orchestra a
lui affidata di far vibrare ogni particolare
della partitura affascina l’ascoltatore:
l’impasto incantevole delle viole, degli oboi,
dei clarinetti, dei corni subito dipinge una
delicata tessitura sonora in cui ogni ‘voce’ ha
la sua parte, nel flusso fascinoso di un suono
sempre morbido e limpido, e la melodia ne esce
con l’incanto di un flusso sonoro nitidamente
disegnato e melodicamente avvolgente.
Interessante l’interpretazione che il direttore
moldavo fornisce dell’Adagio, inusualmente
collocato da Mendelssohn in terza posizione:
Agafita fa suonare il secondo tema accentuandone
decisamente il carattere di cupa marcia funebre,
che spezza violentemente la serena cantabilità
del primo tema con cui si alterna: non solo
limpida luce nella musica di Mendelssohn, dunque,
ma anche inquietanti ombre, “vita che incanta…vita
che strazia”, per dirla con un verso di
Ungaretti.
Al centro della serata, si diceva, il
programma proponeva il Concerto per violino di
Bruch, e qui entra in scena il
violinista belgradese Stefan Milenkovic, già
noto al pubblico novarese. Milenkovic suona su
un Guadagnini del 1783, di cui il solista serbo
sa valorizzare al meglio il suono morbido, caldo,
quasi raccolto in una sua delicata intimità.
Milenkovic sa ‘lavorare’ perfettamente questo
suono, raggiungendo gli esiti più alti della sua
interpretazione nell’Adagio centrale, dove la
prima idea, per la sommessa, misteriosa
profondità di suono con cui è esposta dal
solista, dà all’ascoltatore la certezza di avere
un’anima e che qualcuno o qualcosa sta cercando
di comunicare con essa. Non accenniamo qui alle
capacità virtuosistiche di Milenkovic, che si
esaltano soprattutto nell’Allegro energico
finale. Diremo soltanto che ci hanno colpito due
peculiarità ‘tecniche’ del violinista serbo:
l’uso piuttosto parco di un vibrato che pare
appena accennato e la delicatezza dei
picchettati, con l’arco che sembra volare con la
levità di un angelo sulle quattro corde; su un
suono, si è detto, morbido e delicato di suo
dello strumento, questo stile esecutivo
contribuisce a dare la cifra caratteristica
dell’interpretazione di Milenkovic, sempre al di
là di ogni banale effettismo virtuosistico fine
a se stesso. Il solista ha ripagato il pubblico
plaudente con due bis, entrambi da J.S. Bach: la
Giga della Partita n.3 e l’Andante della Sonata
n. 2, naturalmente dalle Sonate e Partite per
violino solo, entrambe bellissime esecuzioni, in
particolare l’Andante. Un concerto così avrebbe
senz’altro meritato almeno il pieno in platea,
purtroppo con larghi vuoti. A parziale
consolazione va però citata la presenza
inusualmente consistente di giovani: accanto
alle prevalenti canizie, spiccava qualche “ricciolino”,
come osservava il maestro Ettore Borri,
direttore artistico degli Amici della musica,
nella presentazione della serata.
11 dicembre 2019 Bruno Busca
Martha Argerich
e la Franz Liszt Chamber Orchestra per Serate
Musicali
È tornata Martha Argerich in
Conservatorio per un concerto che ancora una
volta ha gremito Sala Verdi. Dopo la memorabile
recente serata con Evgeny Kissin, nell'arco di
pochi giorni abbiamo
assistito ad un altro
evento che rimarrà nella nostra memoria di
appassionati. Non solo l'Argerich, ma anche la
Franz Liszt Chamber Orchestra diretta da Gabor
Takacs-Nagy e un altro valido pianista quale
Eduardo Hubert, hanno contribuito attivamente al
successo del concerto. L'orchestra ungherese ha
introdotto la serata con la Sinfonia n.39 in
mi bem. maggiore K.543 "Swanengesang",
restituendo da subito una fluida cifra
stilistica di alto livello, cifra che
ritroveremo in tutto l'impaginato. Il direttore
ungherese Gabor Takács-Nagy, noto specialista del
repertorio ungherese, ha rivelato, attraverso un
gesto acceso ed estroverso, di gestire con
energia la sua orchestra anche nel sottile
e raffinato brano per soli archi di
Liszt "Angelus Prière aux anges gardiens"
, un Andante pietoso risultato profondo e di grande
rilevanza espressiva.
L'argentino Eduardo Hubert in duo insieme alla
concittadina Argerich - entrambi sono nati a
Buenes Aires- si è attivato in due brani
trascritti da Claude Debussy per due pianoforti.
Il primo di Schumann, Studien für den
Pedalflügen op.56, e il secondo dello stesso
francese, Prélude à l'apres-miei d'un faune,
celeberrimo capolavoro noto maggiormente nella
versione orchestrale. Esecuzioni di rilievo
giocate su esternazioni morbide, vellutate e
ricche di espressive e sottili dinamiche. Il
brano clou della serata era quello
conclusivo con il noto Concerto n.1 in do
maggiore op.15 di L.v. Beethoven, un cavallo
di battaglia della grande pianista. L'esecuzione,
di altissimo livello, ha trovato una splendida
intesa con la compagine
orchestrale e un'
esternazione solistica che ha pochi uguali nella
storia di questo capolavoro. L'Argerich ha
rivelato, ancora una volta, tutte le sue
migliori qualità interpretative nella lettura
sicura, articolata e dettagliata del brano.
L'impressionante articolazione digitale delle
mani, che sanno essere robuste e morbide
all'occorrenza, sono tipiche della grande
pianista. Una gamma di timbriche vastissime -
caratteristica di pochi grandi interpreti- che
sanno pesare il suono in questo modo, hanno
permesso il raggiungimento di una vetta
interpretativa unica. Applausi fragorosi e
interminabili al termine e la concessione di un
solo bis con l'eccelsa Gavotta I e II
dalla Suite Inglese n.3 di J S.Bach. Da
ricordare sempre!
10 dicembre 2019 Cesare
Guzzardella
Prossimi concerti a Vercelli
Segnaliamo due concerti
prossimamente a Vercelli. Il primo per la
rassegna "Green Ties -aperitivo in concerto"
vedrà il 15 dicembre alle ore 11.00 nella Sala
Parlamentino Ovest-Sesia il violinista Alessio
Scarano e il pianista Francesco Maccarone
impegnati in musiche di Mozart,
Beethoven,Saint-Saens,Dvorak, Monti, ecc. Un
concerto praticamente gratuito al prezzo di 5
euro compreso aperitivo. Il secondo al Teatro
Civico vedrà impegnato il 14 dicembre alle ore
21 in via Monte di Pietà al civico 15 il
pianitsa Filippo Gamba in un tutto Beethoven con
le oper e 106, 90 e 81a. Tre
sonate celeberrime per un ottimo interprete . Da
non perdere
8 dicembre 2019 dalla
redazione
Evgeny Kissin nel
"Concerto per Antonio"
con tutto Beethoven
Era dedicato ad Antonio
Mormone il concerto di ieri sera in
Conservatorio con il grande Evgeny Kissin. Il
programma, tutto beethoveniano, sarebbe
certamente piaciuto al fondatore e Presidente
della
Società dei Concerti. Kissin venne scoperto in
età giovanile da Mormone e da allora ha tenuto
numerosi concerti, l'ultimo nel novembre 2013
dove esegui Schubert, Scrjabin e tra i bis, la
Siciliana di Bach rivisitata da W.Kempff e la
Polacca op.53 di Chopin. Per questa nuova
occasione di ascolto, Sala Verdi era sold-out
da parecchi giorni e l'insolito affollamento,
divenuto ultimamente cosa rara, indica un
interesse particolare per il grande pianista ,
con la presenza di un pubblico mediamente più
giovane del consueto. Splendido l'impaginato,
con brani tra i più popolari del genio tedesco.
Di grande notorietà le sonate scelte con la "Patetica",
la "Tempesta" e la "Waldstein"
inframezzate dalle celebri Variazione su un
tema dell'Eroica. Gli accordi iniziali
della
la Sonata n.8 in do Minore OP.13 "Patetica",
hanno rivelato da subito le modalità
stilistiche di Kissin, modalità piene di energia
ritrovata in tutte le Sonate e anche nelle
Variazioni. Kissin ha un approccio totalizzante
con il pianoforte, giocato su una carica
espressiva ricca di tensione. I tempi, spesso
rapidi, esprimo musica di una chiarezza
esemplare. La robusta mano sinistra evidenzia
sorprendenti toni bassi che potenziano il
mirabile canto della mano destra. Chiari i
dettagli e scultorea la resa espressiva nei
movimenti più concitati con una scansione
ritmica sorprendente. L'arte delle variazioni,
ed in questo Beethoven era Maestro, l'abbiamo
trovata nelle Variazioni sull'Eroica Op.35
ma anche nell'etereo finale della Sonata
n. 21 op. 53 "Waldstein" e nei
tre
bis proposti. Le parti più luminose e meditate
come l'Adagio contabile della "Patetica"
o l'Adagio della Sonata n. 17 op. 31
n. 2 "La tempesta" hanno rivelato la
capacità di Kissin di opporre riflessione al
flusso di evidente presenza energetica che
pervade i movimenti laterali
dei brani. Ovazioni per il grande pianista e tre
i bis concessi con l'Andante grazioso,
prima delle Sette Bagatelle op.33, l'Allegro
ma non troppo, quinta delle medesime
Bagatelle op.33 e la scandita Marcia alla
turca da "Le rovine di Atene". Un Beethoven
meraviglioso da ricordare sempre!
5 dicembre 2019 Cesare
Guzzardella
Matthias Goerne
e Leif Ove Andsnes alla Scala
È iniziata molto bene questa
sera la Stagione 2019-2020 dedicata ai
Recital di Canto del Teatro alla Scala. Un
fuoriclasse quale il baritono tedesco Matthias
Goerne e un pianista esemplare quale il
norvegese
Leif Ove Andsnes hanno proposto un capolavoro
assoluto di Schubert: Winterreise. Il
programma, deciso da tempo, prevedeva in verità
un tutto Schumann con una ampia serie di lieder.
L'improvviso cambio con i celebri ventiquattro
canti che compongono l' Op.89 D 911, i
celebri Viaggi d'inverno, non ha portato
a rimpianti. Siamo rimasti stupefatti
dell'interpretazione elargita con un rigore
tecnico-espressivo altissimo. Un'integrazione
perfetta tra canto e pianoforte, con mille
sfumature rivelate in un volume complessivo
contenuto, ha dimostrato la cifra interpretativa
di Goerne, ma anche di Andsnes. Il baritono pesa
il canto partendo da pianissimi quasi
impercettibili, per arrivare a robuste
esternazioni vocali nel giusto momento. In
perfetta simbiosi, anche il norvegese medita con
profondità le sonorità del suo strumento
trovando impercettibili cambiamenti volumetrici
nel preciso appoggio alle note del canto. La
perfetta unità stilistica, in tutti i
ventiquattro lieder, ha creato un lavoro
complessivo
unitario
che non dovrebbe mai essere spezzato in parziali
esecuzioni. Un'ora e quindici minuti di sublime
equilibrio dal celebre iniziale Gute Nacht-
Buona notte- , al meditato e conclusivo Dar
Leiermann - L'uomo dell'organetto - hanno
reso la serata memorabile. Applausi scroscianti
e nessun bis, ma dopo quel "conclusivo" finale
forse era necessario non ci fossero. Da
ricordare sempre.
3 dicembre 2019 Cesare
Guzzardella
Steven Isserlis e Stephen
Hough in
Conservatorio per Serate Musicali
È tornato in Conservatorio
per Serate Musicali il violoncellista
inglese Steven Isserlis. In questi anni la sua
costante presenza in Sala Verdi ha portato
sempre un'alta qualità musicale, con programmi
variegati particolarmente riusciti. Ieri sera,
insieme al cellista, abbiamo trovato al
pianoforte un altro
importante
interprete quale Stephen Hough. Pianista
londinese di chiara fama, oltre ad essere
eccellente strumentista, è anche un valido
compositore. Il programma variegato prevedeva
una sua inusuale Sonata per la mano sinistra
per violoncello e pianoforte. Il brano
introduttivo di Antonín Dvořák,
Waldesruhe op.68 n.5, e i due seguenti di
Josef Suk, la Ballata op.3 n.1 e la
Serenata op.3 n.2, hanno rivelato la
straordinaria intesa dei due interpreti e le
peculiari doti melodiche del violoncellista.
Dopo queste rarità, due celebri Sonate per
violoncello e pianoforte di Brahms, la n.1
op.38 e la n.2 op.99, sono state
inframezzate dalla Sonata di Hough. In
Brahms, perfetta l'intesa del duo: una linea di
canto del violoncello sempre incisiva ma nel
contempo dolce e ricca di contrasti, ed un
pianoforte delicato, equilibrato e molto attento
allo strumento del compagno. Nella fondamentale
ed armonicamente emergente componente pianistica
brahmsiana, Hough mostra in modo evidente una
qualità musicale che nasce sia da una grande
sensibilità
che da una consolidata esperienza. Nell'op.99
è stato raggiunto un vertice interpretativo
di assoluta bellezza in un equilibrio delle
parti ineguagliabile. Originale ed efficace la
Sonata di Hough: un unico ampio movimento con
momenti di pacato sviluppo definito da
semplici note con entrambi gli strumenti che si
rincorrono. I temi condotti dalla mano sinistra
di Hough sono stati cadenzati dalle sicure mani
di Isserlis in un arabesco di suoni di grande
respiro spesso dal sapore molto nordico.
Perfetto e corale l'accordo con il violoncello
con modalità tonali di originale resa estetica,
rivelatrice anche delle ottime qualità
compositrice di Hough. Applausi calorosi in una
Sala Verdi purtroppo non al completo, come
invece meritava di essere. Delizioso il bis
concesso con un brano di Schumann, l' op.56
n.4 dai Sei Studi per organo,
trascritti splendidamente per i due strumenti.
Da ricordare a lungo!
2 dicembre 2019 Cesare
Guzzardella
Concerto straordinario per
Antonio con Evgeny Kissin il 4 dicembre 2019
Dopo
sei anni dall’ultimo recital milanese, uno dei
pi ù
amati pianisti contemporanei ritorna in Sala
Verdi per la terza edizione del “Concerto per
Antonio” con un programma interamente dedicato a
Ludwig van Beethoven, anticipazione delle
celebrazioni del 2020. Beniamino del pubblico
milanese che lo segue dal lontano 1988 quando
debuttò diciassettenne in Sala Verdi, Evgeny
Kissin (foto a cura della Società dei
Concerti) è anche Presidente onorario
del Premio Internazionale Antonio Mormone. Ex
enfant prodige, di lui colpiscono la profonda
musicalità, lo straordinario virtuosismo, la
vastità del repertorio nonché il prestigio dei
musicisti con cui ha collaborato nel corso della
sua intensa carriera.Evgeny Kissin e Beethoven
per un omaggio ad Antonio Mormone che riscontra
il tutto esaurito al box office. Programma: L.
van Beethoven, Sonata n.8 in do min. op.13 “Patetica”;Variazioni
e Fuga in mi bem. magg. op.35 “Eroica
Variations”;Sonata n.17 in re min. op. 31 n. 2 “Tempesta”;
Sonata n.21 in do magg. op.53 “Waldstein”
a cura della redazione 1
dicembre 2019
Concerto al Conservatorio di
Novara
Oggi pomeriggio, sabato 30
novembre, il Conservatorio G. Cantelli di Novara
ha offerto a un numeroso pubblico il quarto
concerto della stagione, che vedeva protagonisti
alcuni dei suoi migliori allievi del momento o
ex allievi ormai laureati, testimonianza di una
realtà formativa in campo musicale di qualità
davvero notevole. Il concerto era diviso
nettamente in due parti. La prima vedeva
protagonista il giovane chitarrista Fabio
Bussola, che presentava, come primo pezzo del
suo programma, il I movimento della Sonata III
del compositore messicano del primo ‘900 Manuel
Ponce. Si tratta di un pezzo di non facile
esecuzione, per il frequente ricorso ad accordi
complessi di tre o quattro voci, che danno vita
ad un robusto tessuto polifonico, entro
un’intelaiatura improntata al più classico
tonalismo. Bussola ha scelto un colore timbrico
particolarmente efficace per la resa di questa
composizione, un suono trasparente e delicato,
che conferiva risalto alla complessità
strutturale del brano. Molto lontano il mondo
sonoro del secondo brano, l’”Introduzione e
Capriccio” del compositore ottocentesco italiano
Giulio Regondi, oggi noto solo a pochi intimi
cultori della chitarra classica, ma ai suoi
tempi celebre
fanciullo
prodigio delle sei corde. Improntata ad effuso
lirismo gran parte dell’Introduzione, trascinato
da ritmi incalzanti, ripidi salti di corda e
altri virtuosismi acrobatici il Capriccio, che
ha il suo ovvio modello in Paganini. Anche in
questo pezzo il bravissimo Bussola se l’è cavata
egregiamente, dando prova tanto di già matura
capacità espressiva, senza scadere in eccessivi
languori romantici, quanto di un ferreo dominio
tecnico dello strumento. Infine, a mo’ di
trionfale conclusione del suo personale recital,
la trascrizione per chitarra della famosissima
Ciaccona dalla Partita per violino n.2 BWV 1004
di J.S. Bach. Qui le capacità tecniche ed
espressive del giovanissimo Bussola hanno
toccato il loro vertice, consegnandoci
un’esecuzione dal suono sempre preciso e
rigorosamente campito, in una intelaiatura
polifonica suonata pensosamente come una
ieratica meditazione. Grandi applausi da parte
di un pubblico decisamente conquistato.La
seconda parte del concerto vedeva invece
protagonista non più un singolo solista, ma un
trio: il flauto di Ilaria Torricelli, il
violoncello di Davide Cocito e il pianoforte
della giapponese Eri Hamakawa. Bellissimo il
primo pezzo proposto, uno dei gioielli del
camerismo protoromantico, il Trio per flauto,
violoncello e pianoforte di von Weber, in
quattro movimenti. I nostri tre giovanissimi
esecutori hanno quasi sempre suonato questo non
facile capolavoro, superando le difficoltà
interpretative ed esecutive che esso pone: ci
sono in particolare piaciuti nelle brillanti
figurazioni che dominano gran parte del primo
tempo, e che vedono protagonisti soprattutto il
violoncello e il pianoforte e nel vivace dialogo
tra flauto e violoncello del Finale, dove il
suono limpido e brillante dello strumento a
fiato s’intrecciava suggestivamente al colore
caldo e vellutato del violoncello di Cocito. Il
secondo trio era opera di quel Philippe Gaubert,
virtuoso del flauto e vera auctoritas del mondo
musicale parigino tra le due guerre mondiali. E’
una composizione in un solo movimento, che in
una cornice accademica innesta evidenti
influenze del mondo musicale di Debussy,
soprattutto per la ricerca di un suono sfumato e
“impressionistico”. I tre giovani virgulti della
scuola novarese hanno reso al meglio questa
cifra della partitura di Gaubert, ottenendo
un’ottima esecuzione, anche grazie al perfetto
equilibrio dei piani sonori e alla finezza nel
trattamento della struttura agogica e dinamica
del pezzo. Alla fine, grandi applausi ai tre
giovanissimi interpreti, protagonisti, col
chitarrista Bussola, di un bel pomeriggio di
musica.
1 dicembre 2019 Bruno Busca
NOVEMBRE 2019
Beatrice Rana
in Conservatorio per la
Società dei Concerti
È certamente una grande
pianista Beatrice Rana! Una Sala Verdi del
Conservatorio al completo ha accolto la giovane
interprete per un'impaginazione di brani che
prevedeva Chopin con i 12 Studi op.25,
Albéniz con Iberia III° volume e
Stravinskij con Trois Mouvements de Petruška.
È uno
Chopin
molto personale quello della Rana, interprete
coerente nel comporre la seconda serie di Studi
con un'unità stilistica che rende uniforme
l'esecuzione complessiva quasi da sembrare il
tutto una grande suite. La Rana, con un
uso accentuato del pedale, ha inventato uno
Chopin particolarmente armonioso
e ricco di timbriche. La sua mirabile
tecnica, al sevizio della migliore espressività,
ha segnato con sicurezza e grande determinazione
i relativamente brevi lavori del genio polacco.
La forza manuale e anche scultorea degli Studi
più agguerriti, come gli ultimi, fanno sembrare
la pianista una combattente musicale che sa
pienamente il fatto suo nel raggiungimento di un
traguardo prestigioso. La sua incisiva
personalità ha reso questi studi lontani dalla
tradizione dei pianisti entrati nella storia
come un Rubinstein o un
Pollini, ma di sicuro interesse per originalità.
Con Iberia di I. Manuel Albéniz siamo
entrati in un mondo
completamente diverso ma altrettanto importante.
Il sapore
mediterraneo
dei tre ampi lavori che compongono il terzo
volume, ben si addice alla cultura solare della
giovane interprete pugliese.
Il
taglio netto, preciso e ben scandito da lei
fornito, per una resa efficace e ancora di
rilevante espressività, ci ha permesso di
evidenziare la sintonia della Rana con la musica
del primo Novecento. La modernità dei tre brani
di Albéniz è stata resa in modo straordinario
anticipando poi il gran finale con il lavoro
successivo di Igor Stravinsky. I tre celebri
Movimenti da Petruška,
rappresentano infatti un cavallo di battaglia
per i migliori virtuosi, soprattutto per la
varietà delle timbriche sempre in
cambiamento nel definire la storia della nota
marionetta russa. Gli elementi
ritmici e spesso percussivi, presenti nel corso
dei quindici minuti del geniale lavoro, hanno
trovato nella Rana una precisa e scrupolosa
interprete. Con un uso del polso che sembra
snodare le mani sui tasti casualmente, ottiene
dinamiche diversificate nei diversi piani sonori
che sprigionano ricchi e suggestivi colori.
Un'interpretazione eccellente. Di qualità anche
i bis regalati al pubblico. Prima Ravel con
Oiseax tristes da Miroirs poi la nota
Giga dalla Partita n.1 di J.S.Bach
e al termine un breve Preludio (n.13)di
Chopin. Fragorosi gli applausi. Da ricordare
sempre!
28 novembre 2019 Cesare
Guzzardella
Jan Lisiecki
per la Società del Quartetto
Da alcuni anni il
ventiquattrenne pianista canadese, figlio di
polacchi, Jan Lisiecki viene in Conservatorio.
Ieri lo abbiamo ancora una volta ascoltato in un
programma variegato ma, a parte Bach, improntato
su autori prevalentemente romantici. Insieme al
grande tedesco ha interpretato
Mendelssohn,
Chopin e Anton Rubinstein, inserendo all'interno
della successione irregolare anche Beethoven. Il
Capriccio sopra la lontananza del suo
fratello BWV 992 di J.S.Bach ha introdotto
il concerto molto bene. Ottima l'interpretazione
elargita da mani forti e sicure in una chiarezza
espressiva esemplare. Anche i numerosi
Mendelssohn proposti in modo alternato tra gli
altri lavori, con i sei Lieder ohne Worte
op.67, il Rondò capriccioso op.14 e
le Variations sérieuse op.54, ci hanno
rivelato un eccellente capacità interpretativa.
Lisiecki è apparso un valente interprete in
tutti i frangenti dove l'elemento virtuosistico
risulta più appariscente. Con grande facilità ed
efficacia risolve i passaggi più complessi,
riservando chiarezza espressiva nei differenti
piani sonori con un uso
corretto delle dinamiche
e del pedale. Ottimo anche il Beethoven del
Rondò a capriccio in sol magg. Op.129 e il
raro Valse- Caprice in mi bem. maggiore
di A. Rubinstein. Dove ci è apparso meno
convincente , a mio avviso, è stato su Chopin.
Ha scelti brani particolarmente meditati quali i
Due notturni op.27, i Due notturni
op.62 e nel finale la Ballata n.4 in fa
minore op.52. Gli andamenti, poco
contrastati nelle dinamiche hanno reso,
specie nei Notturni ,
in modo minore rispetto l'ottima elargizione
degli altri autori. Molto efficace invece il
breve bis con ancora Mendelssohn e la splendida
Gondola Song op.19 n.6. Segnaliamo
certamente le splendide doti emerse nei brani
più riusciti e auspichiamo programmi con autori
anche più vicini ai nostri giorni. Lo scorso
anno ci era piaciuto moltissimo in Gaspard de
la Nuit di Ravel. Un Bartók, un Prokof'ev e
altri del Novecento troverebbero probabilmente
in Liesiecki un interprete di grandissimo valore.
Meritato successo in una Sala Verdi con molto
pubblico. Da ricordare.
27 novembre 2019 Cesare
Guzzardella
Gabriele Pieranunzi e Massimo
Giuseppe Bianchi a Pettinengo (Biella)
Domenica
1 Dicembre 2019, ore 17, si terrà il Concerto di
Chiusura della nona edizione di Villa Piazzo
in Musica, stagione musicale di Pacefuturo
Onlus. Verranno eseguite musiche di Beethoven,
Ravel, Brahms con Gabriele Pieranunzi al violino
e Massimo Giuseppe Bianchi al pianoforte- I
biglietti saranno in vendita a Villa Piazzo, via
G.B. Maggia 2, Pettinengo (Biella). Da non
perdere.
26 novembre 2019 dalla
redazione
Vincenzo Mariozzi e
Freddy Kempf diretti da
Androsov in Conservatorio
Un concerto diversificato
quello ascoltato ieri sera in Conservatorio per
Serate Musicali, con la Voronezh Symphony
Orchestra diretta da Iurii Androsov. La
compagine russa è stata fondata da
Androsov
nel 2004 e da allora tiene concerti in tutto il
mondo. L'impaginato prevedeva nella prima parte
musiche di Mendelssohn e C.M.v.Weber e nella
seconda tutto Chopin. Dopo l'introduzione con la
rara Ouverture da Concerto in fa magg. Op.32
di Mendelssohn eseguita egregiamente
dall'orchestra, è salito sul palcoscenico il
veterano Vincenzo Mariozzi con il suo clarinetto
per un'altra rarità quale il Concerto per
Clarinetto ed Orchestra in mi bem. magg. Op.74
n.2 di Carl Maria con Weber. Weber è
particolarmente noto per la sua cospicua
produzione per lo strumento ad ancia, sempre
trattato con
versatilità
e spesso con virtuosismo. Mariozzi ha mostrato
fluide e sicure abilità nel sostenere questo
lavoro, risolvendo splendidamente anche il più
esuberante e virtuoso movimento finale
denominato Alla polacca. Dopo il breve
intervallo, un altro virtuoso quale il pianista
londinese Freddy Kempf ha proposto due noti
brani chopiniani: prima il Concerto n.2 in fa
minore op.21 e poi l'Andante spianato e
Grande Polacca brillante op.22. Conosciamo
molto bene le abilità di Kempf, avendolo
ascoltato molte volte in questi anni,
sempre nei concerti di Serate Musicali.
Il suo evidente virtuosismo, supporto
fondamentale
nella resa estetica del suo ampio repertorio,
con Chopin ha mostrato di non offuscare il lato
più poetico ed intimo del grande musicista
polacco. Il controllo delle dinamiche ed un
tocco delicato, uniti ad una perfezione tecnica
di primo livello, hanno portato ad un'esecuzione
di qualità sia nel Concerto che nella Grande
Polacca. Ottimo il contributo orchestrale nei
due lavori. Peccato la mancanza di bis. Da
ricordare
26 novembre 2019 Cesare
Guzzardella
Un grande Roberto Bolle
per Boléro al Teatro alla Scala
Ancora una volta il Teatro
alla Scala ha riproposto un trittico di balletti
noti e di grande impatto coreografico .Uno
spettacolo relativamente breve ma intenso quello
che in questi giorni sta riempiendo il teatro.
Certo, con Bolle protagonista del Boléro di
Ravel-Bejart il successo è
meritatamente
assicurato. Ma anche i due balletti che hanno
anticipato il pezzo clou della splendida
serata erano notevoli. Prima un classico di
Balanchine su musiche di Bizet, poi il moderno
Kylián con Petite Mort e per finire lo
stravolgente Bėjart
con il celebre Boléro. Come ho scritto lo
scorso anno, è significativo come la forza della
migliore musica possa essere potenziata e
raccontata dalla danza in un tutt'uno che, a
questi livelli, determina autentici capolavori.
La Symphony in C di Georges Bizet non
gode certo di grande popolarità, pur essendo un
capolavoro musicale. È perfetta per il balletto.
Il russo Georges Balanchine ha costruito uno
straordinario connubbio classico tra le
scorrevoli note dei quattro movimenti che
compongono la Sinfonia e i passi coordinati
nello splendore simmetrico dei numerosi
ballerini partecipanti. Un lavoro estremamente
classico che rivela la bravura di tutto il corpo
di ballo scaligero e degli otto protagonisti (foto di Brescia e Amisano-Archivio Scala)tra
i quali vorrei citare almeno quelli femminili
con Martina Arduino, della quala ricordiamo
l'eccellente Boléro dello scorso anno, con
Nicoletta Manni, Gaia Andreano e Maria Celeste
Losa. In Petit e Mort costruito da Jirì
Kylián sui movimenti centrali di concerti
mozartiano - l'Adagio del K.488 e l'Andante
del K. 467- il contrasto tra lo stile
classico di Mozart e la moderna coreografia
risulta evidente.
Si passa da un'introduzione
silenziosa ad un classicismo modernizzato tenuto
in vita dai dodici protagonisti tra i quali
citiamo, nella quarta rappresentazione di ieri,
almeno Marta Gerani, Agnese Di Clemente, Daniele
Lucchetti ed Antonino Sutera, ma sono eccellenti
anche i non citati. Con lo scultoreo Boléro di
Ravel-Bejart e la presenza dello statuario e
canoviano Roberto Bolle, abbiamo raggiunto un
vertice di originalità e di immortale bellezza.
Bolle nel celebre Cerchio Rosso, si muove con
sensualità in una ripetizione gestuale in
concordanza col noto ritmo ripetitivo del Boléro.
Attorno alla pedana una schiera infinita di
ballerini, con simmetria perfetta, ripetono le
sue movenze avvicinandosi sempre più al cerchio
sino a coprirlo. Inutile sottolineare
l'entusiasmo finale ed i fragorosi applausi del
pubblico tributato sia a Bolle che a tutti i
protagonisti tra i quali citiamo almeno Marco
Agostino, Edoardo Caporaletti, Christian Gabetti
e Nicola del Freo. Ottima la direzione
orchestrale di Felix Korobov ed eccellente il
solista al pianoforte Takahiro Yoshikawa in
Mozart. Prossime repliche previste per il 27 e
30 novembre. Da ricordare sempre!
23 novembre 2019 Cesare
Guzzardella
Fazil Say e Nicolas Altstaedt
in Conservatorio
Un'impaginato impegnativo ma
di grande impatto sonoro, quello interpretato
dal pianista turco Fazil Say e dal
violoncellista tedesco Nicolas Altstaedt. Say è
ospite da moltissimi anni della Fondazione La
Società dei Concerti e nel programma
inserisce sempre una sua originale composizione.
Infatti
tra Debussy, Janàček
e Šostakovič, il brano più
caratterizzante dell'ottimo concerto di ieri
sera è stato la sua Sonata "Four Cities".
La serata introdotta da un brano di Claude
Debussy quale la Sonata in Re minore ha
rivelato da subito la valida sintesi discorsiva
dei due interpreti, giocata sull'esasperazione
dei contrasti melodico- ritmici e su una
particolare intesa nel concepire l'essenza della
breve ma efficace sonata del francese. L'ottima
sintonia di Say e Altstaedt si è ancor più
rivelata nel successivo brano del
compositore-pianista dedicato alla sua nazione.
Il linguaggio musicale del turco, molto
personale, è noto a tutti noi per il modo
contrastato di elargire sia le originali e
malinconiche melodie, che per le sonorità aspre,
invasive e ricche d'effetto, anche percussivo.
Il brano, in quattro parti, ha nel violoncello
un ruolo certamente privilegiato ma è
controllato dal fondamentale impegno pianistico,
volto a sottolineare ogni frangente del
sostenuto lavoro. Il giovane cellista è stato un
interprete ideale in Four Cities entrando
quasi in simbiosi con la dirompente musica del
compagno compositore. Say lavorando sulla
cordiera per i suoi tipici suoni
metallo-percussivo, ci ha fatto entrare in un
mondo musicale tra oriente ed occidente non
disdegnando anche il jazz, suo caro amore,
comparso improvvisamente nell'ultimo contrastato
movimento denominato Bodrum.
Ottima ed efficace l'interpretazione complessiva.
Dopo l'intervallo, sulla stessa linea
interpretativa, abbiamo ascoltato prima Il
melodico Pohádka di Leoš
Janáček
e quindi la Sonata in re minore op.40 di
Dmitri Šostakovič, entrambe eseguite con
efficace espressività. Grande successo in
Sala Verdi e due i bis concessi prima con la
celebre Morte del cigno di Camille
Saint-Saëns e poi con la ripetizione del
dinamico e ritmico Bodrum, quarto
movimento della Sonata di Say. Segnaliamo la
presenza di un pubblico particolarmente giovane
in una sala che generalmente trova una media
d'età piuttosto alta. Da ricordare.
21 novembre 2019 Cesare
Guzzardella
Die Ägyptische Helena
al Teatro alla Scala
Per la prima volta al Teatro
alla Scala, Die Ägyptische Helena di
Richard Strauss sta ottenendo un meritato
successo. Anche nella quarta rappresentazione,
vista ieri, un numeroso pubblico ha tributato
sinceri applausi a quest'opera non facile, che
trova nella scintillante musica del
compositore-direttore
tedesco, una forza
persuasiva nell'intricata vicenda del libretto
di Hofmannsthal, ricca di simbologie, spesso non
facili da interpretare. Il Teatro alla Scala ha
fatto una scelta coraggiosa per un
lavoro poco noto che adesso può vantare un
inserimento dovuto insieme a Salome, Elektra, Der
Rosenkavalier o Ariadne auf Naxos, solo per
citare le più celebri opere. Ancora una volta, la
riuscita della messinscena la ritroviamo nella
somma delle varie ed efficaci parti che la
compongono. La musica, ottimamente diretta da
Franz Welser- Möst- direttore specialista in
Strauss e da poco sentito alla Scala anche
nell'Ariadne - è struttura portante, nella
valida regia di Sven-Eric Bechtolf, nelle
originali scene di Julian Crouch completate dai
video di Josh Higgason, nei costumi di Mark
Bouman e soprattutto dall'ottimo cast vocale
presente, insieme naturalmente all'eccellente
coro preparato da Bruno Casoni. Una musica,
quella di Strauss, che riassume
nell suo
infinito sviluppo uno stile tipico e personale,
che sintetizza l'esperienza consolidata nelle
precedenti opere in una sorta di grande mestiere
con momenti di importante creatività. Ottima
l'idea di Bechtolf, realizzata da Crouch, di
occupare quasi interamente la scena con
un'enorme radio a valvole anni '20, grande
contenitore apribile che ospita la voce di Etra,
principessa e oracolo egizio che dovrà indicare
soluzioni nel difficile rapporto conflittuoso/amoroso
tra Elena e Menelao. Senza entrare ulteriormente
nella vicenda segnaliamo (foto di
Brescia e Amisano- Archivio Scala) il
prestigioso cast vocale: primi fra tutti
Elena nella corposa ed efficace voce di
Ricarda Merbeth e Menelao, intenso e
chiaro Andreas Schager. Di primo livello anche
Etra, principessa e maga, nella voce di
Eva Mei e ottimo Altair nella persuasiva
voce di Thomas Hampson. Validi Da-ud,
figlio di Altair, nella voce di Attilio Glaser e
Die allwissende Muschel , Claudia Huckle.
Segnaliamo anche Hermione, Caterina Maria
Sala e bravi tutti gli altri. Le prossime
repliche saranno il 17, il 20 e il 23 novembre.
Assolutamente da non perdere.
16 novembre 2019 Cesare
Guzzardella
Le Stagioni di
Vivaldi-Richter e Piazzolla con I Virtuosi
Italiani
Molto interessante
l'impaginato ascoltato ieri sera al Dal Verme
che prevedeva riferimenti ad Antonio Vivaldi, in
realtà due lavori molto personalizzati di Max
Richter e di Astor Piazzolla. Le Quattro
Stagioni di Vivaldi-Richter, sono
i dodici
noti movimenti rivisitati in chiave minimalista
dei celebri Concerti per violino ed archi
del grande veneziano. I principali temi di ogni
stagione vengono riferiti e poi modificati negli
accenti e spesso armonicamente dal compositore
tedesco (naturalizzato inglese), classe 1966, da
sembrare più scarni ed essenziali, con anche
atmosfere New Age, ma indubbiamente di ottima
qualità costruttiva ed espressiva. Una sorta di
Settecento dei giorni nostri che rimanda in
continuazione al grandissimo Antonio Vivaldi.
Ricordiamo la presenza oltre che degli archi ,
di un ottimo clavicembalo ed dell'importante
arpa di Giulia Rettore. Splendida l'operazione,
interpretata molto bene da I Virtuosi Italiani
diretti da Alberto Martini dalla sua posizione
di primo violino, e con un ottimo violino
solista quale Markus Placci. Dopo il breve
intervallo, Vivaldi rimane solo un lieve
riferimento per le geniali Cuatro Estaciones
Porteñas di Astor Piazzolla nello splendido
arrangiamento del russo Leonid Desyatnikov. Le
Stagioni di Piazzolla, anche nel lavoro
trascrittivo fatto dal russo, sono tra le cose
più popolari ed eseguite al mondo. Recentemente
si erano sentite dagli inarrivabili Archi dei
Berliner Philharmoniker in Auditorium. Anche I
Virtuosi Italiani e il violinista Placci hanno
eccelso in qualità espressiva con
un'interpretazione certamente fluida e ben
accentuata. Bravissimi tutti ed in particolare
oltre al violinista Placci, perfetto nelle
intonazioni, anche il primo violoncello Leonardo
Sapere, con ruolo preponderante e rilevante
cantabilità in alcune stagioni. Splendido il
concerto e bis con ripetizione di movimenti dai
due lavori. Da ricordare a lungo.Replica per sabato
alle ore 17.00.
15 novembre 2019 Cesare
Guzzardella
Milano Musica alla Scala
per Luca Francesconi
Il concerto scaligero di ieri
sera, organizzato da Milano Musica e in
replica a quelli della torinese Stagione
dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai,
presentava il brano di Luca Francesconi del 2015
Macchine in echo. Dopo il breve
intervallo, erano in programma due classici di
primo
Novecento
quali la Suite Sinfonica op.33bis da
L'amore dalle tre melarance di Prokof'ev e
L'Oiseau de feu di Stravinskij. La
complessa composizione di Francesconi di circa
trenta minuti, ha come protagonisti due
pianoforti che in contrasto o in complemento con
l'orchestra trovano ispirazione da gruppi di
note sottili e repentine. La lunga introduzione
riservata alle sole mani di Emanuele Arciuli e
di Andrea Rebaudengo, due noti specialisti del
vasto repertorio contemporaneo, detta la cifra
stilistica dell'intero complesso lavoro dove la
componente orchestrale, nell' ottima direzione
di Juraj Valcuha, diventa un completamento
strutturale di più robusto spessore. Il brano,
certamente di notevole suggestione timbrica,
utilizza tecniche anche provenienti dalla musica
concreta del secondo Novecento ed è ricco di
elementi d'effetto con anche timbriche stridenti
nei sovracuti dei violini e con sonorità a volte
di grande impatto volumetrico.
I pianoforti, utilizzati spesso in contrasto tra
le note percussive della parte bassa della
tastiera e quelle chiare e trasparenti della
zona alta, creano infiniti effetti di simmetria
di architettonica luminosità. La battute
conclusive, distese e risolutive sono affidate
alle sonorità delle arpe, che nelle timbriche,
meno sonore ma sicure, ci portano al silenzio.
Fragorosi gli applausi agli ottimi protagonisti
ed anche a Francesconi salito poi sul
palcoscenico. I due noti lavori del primo '900,
hanno rivelato ancora una volta le qualità della
Sinfonica Rai nel repertorio più vicino ai
nostri tempi. La bacchetta precisa di Valcuha e
la sua discreta ma produttiva gestualità hanno
prodotto due esecuzioni di alto livello, molto
apprezzate dal numerosissimo pubblico presente
in un teatro con molti giovani, con ascoltatori
specialisti ed appassionati di musica
contemporanea. Da ricordare.
12 novembre 2019 Cesare
Guzzardella
Giuseppe
Albanese diretto da
Pier Carlo Orizio in Conservatorio
Avevo ascoltato il pianista
Giuseppe Albanese in musiche di Franz Liszt nel
2017, per la prima volta ospite della Società
dei Concerti. Poi lo scorso anno al Dal
Verme in Malédiction, sempre del
virtuoso
compositore ungherese. Ieri sera, ancora per la
Società dei Concerti, è tornato in Sala
Verdi con un programma con orchestra che nella
prima parte prevedeva ancora Liszt, quello dei
due concerti per pianoforte ed orchestra.
L'impaginato trovava nella seconda parte anche
la Quarta Sinfonia di Schumann. L'ottima
compagine orchestrale era la Filarmonica del
Festival Pianistico Internazionale di Brescia e
Bergamo diretta da Pier Carlo Orizio. Il
quarantenne pianista calabrese ha ancora una
volta dimostrato sicure affinità con il
virtuosismo di Liszt. In entrambi i concerti -
particolarmente importanti nella produzione
lisztiana anche se eseguiti poco - Albanese ha
rivelato una completa interiorizzazione di ogni
componente
musicale,
padroneggiando la tastiera e restituendo
dettagli timbrici con chiara demarcazione
espressiva. Rilevante la sinergia con i giovani
e preparatissimi Filarmonici. L'ottima direzione
di Orizio ha messo in risalto ogni esternazione
virtuosistica della compagine orchestrale, in
perfetta armonia con i timbri del solista. Il
Concerto n.2 in La maggiore S 125 ,
probabilmente più popolare del n.1 in Mi
bemolle maggiore, ha trovato momenti magici
nella parte finale dove Albanese con maestria
coloristica ha evidenziato sonorità precise e
raffinate nei registri più alti della tastiera.
Fragorosi gli applausi del pubblico intervenuto
in Conservatorio e due i bis solistici concessi
dal
virtuoso.
Prima un profondo Scrjabin con il Notturno
per la mano sinistra op.9 n.2 e poi un
rarissimo e delicatissimo Perpetuum Mobile
Op.24.di Carl Maria von Weber dalla relativa
Sonata in Do maggiore. Di qualità la
Sinfonia n.4 in Re minore op.120 di Robert
Schumann eseguita dopo l'intervallo. Pier Carlo
Orizio e la Filarmonica hanno espresso una
robusta ed espressiva sintesi discorsiva in
tutti i quattro movimenti dell' ultima sinfonia
del grande compositore tedesco. Da ricordare.
7 ottobre 2019 Cesare
Guzzardella
OTTOBRE 2019
La violoncellista Alisa
Weilerstein ha
debuttato a Milano
Il debutto milanese della
violoncellista statunitense Alisa Weilerstein ha
lasciato un segno positivo ieri in Conservatorio
nalla serata organizzata dalla Società dei
Concerti Accompagnata dal pianista
israeliano
Inon Barnatan , ha eseguito brani di Brahms e di
Šostakovič
con grande passione e calda discorsività.
Come spesso accade per molti violoncellisti, la
scelta delle trascrizioni di brani originali per
strumenti affini risulta soddisfacente. Nell'
Op.78 di Brahms, la sostituzione del violino
solista col timbro ricco di calore del
violoncello ( trascr. Klengel)
è
particolarmente diffuso con resa estetica
simile. La Sonata in re maggiore è stata
interpretata ottimamente dal duo e la
Weilerstein ha sottolineato con incisività
plastica ogni peculiarità dei tre movimenti.
Anche nei due, meno celebrati ma di analoga
qualità, brani di
Šostakovič,
il duo ha espresso alta qualità. La
Sonata in re minore op.40 e la Sonata
Op.147, due lavori di ampio sviluppo, hanno
lo stile tipico del grande russo, caratterizzato
da continui contrasti e da ritmiche molto
accentuate. Sono stati composti a distanza di
circa quarant'anni l'uno dall'altro. Nel primo
prevale maggiormente la componente romantica.
Nel secondo, noto soprattutto nell'esecuzione
originaria per viola -splendidamente trascritto
dal
violoncellista Daniel Shafran - la rarefazione
timbrica del tessuto melodico-armonico raggiunge
l'apice nel profondo ed espressivo Adagio
finale. La Sonata op.147 è stata composta
nell'ultimo anno di vita del compositore, il
1975. Pregnante l'interpretazione dei due
interpreti in entrambi i lavori. Di grande
fluidità e melodicità i Sei lieder
brahmsiani proposti prima della sconvolgente
sonata del russo e arrangiati da Weilerstein e
da Barnatan. Qui il canto della cellista,
pregnante e profondo, ha raggiunto traguardi
decisamente alti. Successo di pubblico e lunghi
applausi. Intenso bis concesso con la
ripetizione del lied
In Waldeseinsamkeit. Da ricordare.
31 ottobre 2019 Cesare
Guzzardella
Bacchetti, Alogna e
l'Orchestra da Camera fiorentina in
Conservatorio
Conosciamo bene le qualità di
Andrea Bacchetti, pianista genovese che da anni
ascoltiamo in Sala Verdi e del quale apprezziamo
le doti interpretative, soprattutto nel
repertorio del '700. Ieri insieme a
lui, la
presenza di un giovane violinista quale Davide
Alogna ha reso vario e maggiormente interessante
un programma interamente dedicato a Mozart.
Accompagnati dall'Orchestra da Camera Fiorentina
diretta da Giuseppe Lanzetta, li abbiamo
ascoltati alle Serate Musicali in tre
lavori "galanti" mozartiani, da soli e insieme.
Il Concerto n.8 per pianoforte e
orchestra in do maggiore K.246 ha visto prima
solo Bacchetti, il Concerto per violino,
pianoforte e orchestra in re maggiore K.315f
ha visto entrambi i solisti e il Concerto per
violino e orchestra n.3 in sol maggiore K.201
solo Alogna. Bacchetti ha un suono eccellente,
luminoso e preciso nella forma. Ha trovato una
buona orchestra, con timbriche molto italiane , a
delineare i tre tempi del primo concerto,
caratterizzati da una freschezza giovanile di un
Mozart ventenne.
Di qualità l'interpretazione.
Il Concerto per violino, pianoforte ed
orchestra, rimasto incompiuto da Mozart, è stato
completato con i due ultimi movimenti della
Sonata K.306 , e ci ha rivelato le valide
sinergie dei due principali interpreti. Alogna,
dotato di una rilevante qualità timbrica, ha
eseguito con chiarezza espressiva, con il suo
prezioso violino Carlo
Antonio Testore del 1712,
la parte melodica che è risultata ben integrata
con quella pianistica. I due strumentisti hanno
poi eseguito come bis il Rondò della Sonata
in Do maggiore K.296 di Mozart, dimostrando
ancor più un'ottima resa interpretativa. Il
terzo concerto della serata ha proposto uno dei
migliori capolavori di Mozart. Il n.3 per
violino ed orchestra detto anche "Strassburger
Konzert", è celebre per la raffinata
scrittura solistica e la bellezza delle sue
melodie. Valida l'esecuzione fornita da
Alogna, ricca di fluidità e di colori
mediterranei. A conclusione della serata abbiamo
ascoltato una piacevole Sinfonia n.29 in la
maggiore K.201. Applausi al direttore
Lanzetta e agli Orchestrali dalla platea non al
completo di Sala Verdi.
30 ottobre 2019 Cesare
Guzzardella
Grande successo in
Conservatorio per il
ciclo brahmsiano della LaFil
diretta da Daniele Gatti
Si è conclusa con un tripudio
di interminabili applausi la rassegna musicale
dedicata a Johannes Brahms. Una Sala Verdi
affollatissima con moltissimi appassionati
che
in
piedi hanno applaudito per
circa
dieci minuti la Filarmonica di Milano -
LaFil diretta da Daniele Gatti. Il
direttore milanese, al termine, ha ringraziato
Luca Formenton, sostenitore di questa splendida
operazione musicale che ha portato giovani
strumentisti di altissimo livello, provenienti
dalle migliori orchestre europee in questa
formidabile formazione, un gruppo di
strumentisti che probabilmente nel rapporto
età-qualità non ha uguali al mondo.
Un'esecuzione strepitosa, forse la migliore
ascoltata in questi due giorni, è stata quella
della Quarta Sinfonia, a conclusione del
ciclo di quattro concerti. Riassumendo: oltre le
quattro sinfonie brahmsiane, tra il pomeriggio e
la sera di sabato e di domenica, abbiamo
ascoltato la Tragica Ouverture op.81,
le
Haydn Variazioni op.56a e il Trio per
violino, corno e pianoforte op.40. In
aggiunta ai lavori brahmsiani non dimentichiamo
il celebre Concerto per violino op.61 di
Beethoven e il meno eseguito Concerto per
violoncello op.129 di Schumann. Una tale
quantità di brani che hanno rivelato ogni
peculiarità dei giovani orchestrali e la
determinazione progettuale dell'instancabile
direttore a raggiungere obiettivi di primo
livello. Il lavoro introduttivo proposto sabato,
il Trio per violino, corno e pianoforte,
si è avvalso del talento del cornista Natalino
Ricciardo, della classe del violinista Frank
Peter Zimmermann e delle indiscusse doti
pianistiche del riminese Enrico Pace, per una
resa interpretativa eccellente. Il raro brano è
stato l'unico cameristico della r assegna.
Zimmermann e il suo Stradivari del 1711, sono
tornati alla sera
per un'interpretazione memorabile del
Concerto in re maggiore di Beethoven. La
dolcezza del violino del virtuoso tedesco,
unitamente alla capacità di penetrare con
sicurezza ed espressività ogni particolare,
hanno contribuito a rendere di altissima qualità
la resa complessiva.
Ottima
la direzione di Gatti e ovazione finale da parte
del numeroso pubblico serale. Evidente la
soddisfazione di Zimmermann che ha concesso un
bellissimo bis con Melodia di Béla Bartòk.
Decisamente di valore anche il Concerto in la
minore op.129 di Schumann proposto domenica
pomeriggio. Il violoncellista Jan Vogler ha
rivelato grande classe attraverso sonorità
cristalline nel evidenziare la melodicità del
lavoro schumanniano. Il concerto è un unico
movimento che riassume le classiche tre parti.
Il solista risulta dominante ed è spesso
potenziato da interventi orchestrali
splendidamente gestiti dalla LaFil.
Grande successo al termine in una sala non al
completo. Tutta l'opera orchestrale di Brahms
proposta da Gatti ha raggiunto livelli alti, con
momenti esaltanti nei frangenti di maggior
voluminosità.
Il
gesto deciso di Gatti, ben assorbito dagli
strumentisti, ha esaltato l'equilibrio
architettonico del sinfonismo brahmsiano. I
contrasti dinamici ben evidenziati nella
complessa tessitura armonica e i momenti di
grande impatto sonoro dei monumentali finali,
hanno trovato in Gatti una direzione ideale,
molto nordica e dalla linee molto marcate, ben
in risalto nei differenti piani sonori. La
Quarta Sinfonia op.98 è a mio avviso quella
che ha rivelato il maggior equilibrio tra i
momenti di pacata esternazione, delineati
benissimo da morbidi chiaro-scuri, e quelli di
aggressiva volumetria nel quale Gatti ha
mostrato di essere grande Maestro. Un ciclo
splendido che rimarrà nella memoria di tutti gli
appassionati intervenuti e che rende Milano
ancor più importante nel panorama musicale
mondiale. Da ricordare sempre!
28 ottobre 2019 Cesare
Guzzardella
La nuova Stagione
cameristica della Verdi al Teatro Gerolamo
È iniziata la Stagione
cameristica de LaVerdi, questa volta al Teatro
Gerolamo, piccolo, raccolto e raffinato teatro
storico milanese di Piazza Beccaria 8. Domenico
Nordio, primo violino, insieme ai
Solisti
della Verdi, Luca Santaniello, secondo
violino, Gabriele Mugnai, viola e Tobia
Scarpolini, violoncello, hanno formato un
ottimo quartetto d'archi che ha presentato due
brani importanti quali il Quartetto in Sol
minore op. 10 L85 di Claude Debussy e il
Quartetto in Fa maggiore di Maurice Ravel.
Entrambi eseguiti in mattinata con energia e
rigorosità, i due lavori dei primi anni del '900
rappresentano un momento di partenza per la
nuova musica che cambierà le modalità
compositive del nuovo secolo. Decisamente in
sinergia, i quartettisti, con un equilibrio
formale
ottimale che è stato ben messo in risalto
dall'acustica della piccola sala adatta agli
archi hanno rivelato un timbro complessivo
avvincente. Il concerto interrotto dalla rottura
di una corda nel violino di Nordio durante
l'ultimo movimento del
quartetto di Debussy, è
quindi subito ripreso. Due i bis, con una
trascrizione da un classico di Faurè e ancora il
finale del quartetto di Ravel. Applausi calorosi!
La bellissima stagione di musica da camera
continuerà domenica prossima alle ore 11.00 con
una pianista, Irina Kravchenko che interpreterà
Beethoven, Schumann e
Čaikovskij.
Da non perdere!
27 ottobre 2019
C.G.
Due russi per il direttore
Stanislav Kochanovsky
Kochanovsky, giovane
direttore di San Pietroburgo, ha diretto con
particolare dedizione l'Orchestra Sinfonica
Verdi di Milano proponendo due lavori ricchi di
significato quali il Concerto per violino e
orchestra
n.2 in sol min. Op.63 di Sergej Prokof'ev e
la rara Suite n.3 in sol magg. Op.55 di
P.I.Čaikovskij.
Nel primo brano la violinista tedesca, di
Monaco, Carolin Widmann ha sostenuto con
eccellente prestazione il ruolo violinistico. Il
bellissimo concerto di Prokof'ev, del 1934-35,
è tutto giocato sulla grande melodicità
della parte violinistica che entra da subito
come protagonista. La scrittura tonale del
lavoro ha una linea melodica ricca di continui e
vari cambiamenti tali da rendere il brano ricco
di significati. Il concerto ha un momento di
ancor più intenso lirismo nello straordinario
Adagio assai. La Widmann ha sostenuto
splendidamente il ruolo solistico con una
lettura precisa e ricca di espressività,
mostrando di sentire con profondità l'anima
russa
che il concerto rivela. La perfetta intonazione
e la sicurezza dimostrata, nella raffinata
esecuzione, la pongono tra le migliori
interpreti di questo capolavoro. Ottima la
lettura di Kochanovsky che ha messo ben in
risalto la parte solistica con equilibrate e
corrette timbriche. Valido il bis concesso dalla
Windmann con la più nota Sarabanda di J.S
Bach. La Sinfonica Verdi ha ancora una volta
dimostrato attitudini di primo livello per i
compositori russi, prima con questo lavoro e poi
con la lettura data alla Suite n.3 di
Čaikovskij.
Il brano del 1884 è di mirabile fattura
ma poco eseguito. In quattro parti, presenta un
ultimo movimento, Tema con variazioni, di
lunghe proporzioni in cui dodici variazioni di
un classico tema ben delineato, terminano con un
tutto orchestrale di grande impatto sonosro
nella tipicità coloristica del russo.
Kochanovsky ha sostenuto benissimo gli equilibri
coloristici dell'orchestra con un dosaggio
dinamico minuzioso e raffinato. Grande successo
e fragorosi applausi per entrambi i lavori.
Domenica alle ore 16.00 la replica. Da ricordare.
26 ottobre 2019 Cesare
Guzzardella
Denis Matsuev
per la Società dei Concerti
Il recital tenuto in
Conservatorio dal quarantaquattrenne pianista
siberiano Denis Matsuev è tra quelli che
lasciano un segno indelebile. Per la prima volta
ospite della Società dei Concerti,
Matsuev proviene da una scuola russa che ha nei
grandissimi interpreti del passato come
Horowitz, Richter o Gilels, esemplari
riferimenti. Ascoltandolo live per la
prima volta, debbo riconoscere la sua singolare
personalità,
dove una tecnica dirompente e completamente
interiorizzata si sovrappone ad un controllo
delle dinamiche sorprendente, per una resa
qualitativa molto alta. L'impaginato prevedeva
due grandissimi della musica quali Liszt e
Čaikovskij,
con due monumenti come la Sonata in
si
minore
e la
Grande Sonata in sol
maggiore,
uniti rispettivamente a Mephisto Valzer,
eseguito dopo la sonata
e Dumka op.59, eseguita prima della
grande
sonata
del
russo.
Matsuev, alto oltre un metro e novanta e
particolarmente robusto ed atletico, è un
pianista di forza. L'impatto fisico, dai più
tenui Sol ripetuti del Lento assai
a quelli scultorei dell'Allegro energico
- ottava battuta nella Sonata lisztiana- ha da
subito dato idea della sua personale cifra
espressiva. È un pianista che trova nella forza
delle mani il mezzo per produrre volumetrie di
grande impatto sonoro ma, all'occorrenza, sa
essere estremamente misurato. Eccellente l'uso
dei pedali, per delle chiare timbriche definite
da
un corretto equilibrio delle dinamiche.
L'impressionante scorrevolezza delle dita in una
postura perfetta, con mani aderenti alla
tastiera, ci ricorda- come detto- l'inarrivabile
scuola russa che ha permesso a Matsuev di
vincere il prestigioso Concorso
Čaikovskij
nel 1998, premio che ha dato inizio a carriere
importanti ad altri celebri pianisti russi
viventi quali
Lugansky o Trifonov. Decisamente rilevante anche
il celebre Mephisto Valzer, lavoro di
trascendentale virtuosismo che ha concluso la
prima parte. Il più romantico
Čaikovskij
della Grande Sonata, anticipata da una
ottima e folclorica
Dumka,
ha trovato ancora un valente interprete in
Matsuev e la smisurata velocizzazione dei due
ultimi movimenti, lo Scherzo ed il
Finale. Allegro vivace, nella perfetta
chiarezza coloristica, ha reso questo lavoro,
durato solo
ventisette minuti, più breve del previsto.
Successo di pubblico con fragorosi meritati
applausi e ben quattro i bis concessi dal
generoso
Matsuev:
prima il prezioso e
delicato
Anatoly Lyadov di The Music Box op.32,
poi Jean Sibelius con l'altrettanto tenue
Etude dai 13 Pezzi op.76, quindi di
Edvard Grieg /Ginzburg ed il prorompente In
the Hall of the Mountain King dal Peer
Gynt, per finire con una splendida
improvvisazione jazz su Take the A Train
di Duke Ellington che ricordava nello stile
l'insuperabile Oscar Peterson. Da ricordare.
24 ottobre 2019 Cesare
Guzzardella
I Virtuosi dei Berliner
a favore di VIDAS
Un'occasione imperdibile
quella di ieri sera in Auditorium. Il concerto
straordinario a favore di VIDAS,
prevedeva infatti la presenza de I Virtuosi
dei Berliner, un gruppo di dodici archi,
prime
parti
della gloriosa orchestra Berliner
Philharmoniker che, capeggiati da Laurentius
Dinca, dal 1993 portano in giro per il mondo
programmi splendidi come quello ascoltato ieri.
La serata, presentata da Ferruccio de Bortoli,
Presidente VIDAS, prevedeva brani di Johan
Strauss, Gioacchino Rossini, Béla Bartók, Arturo
Cardelús e Astor Piazzolla. Tutti lavori
particolarmente melodici e di grande impatto
musicale adatti al grande pubblico. L'Ouverture
da "Il Pipistrello" di J. Strauss ha
introdotto il concerto, subito seguita dalla
Sonata n.6 in Re maggiore del musicista
pesarese Rossini. Entrambi i lavori ci hanno
portato in una luminosa atmosfera lirica di
orecchiabili melodie eseguite mirabilmente. È
con le Danze popolari rumene di Bartók
che abbiamo iniziato a
comprendere
la qualità eccelsa di questo gruppo cameristico.
I raffinati brevi brani folcloristici del
compositore ungherese, trascritti per i dodici
archi, hanno rivelato le qualità di ogni
componente il gruppo, prime fra tutte quelle del
violinista rumeno Dinca - nato a Bucarest- ma
anche quelle del primo violoncello, spesso
presente con rilevanti interventi solistici.
Nella seconda parte della serata, il brano
introduttivo del giovane compositore spagnolo
Cardelús, Call me Francis Suite, era
perfetto per anticipare il genio di Astor
Piazzolla, splendidamente rappresentato con
Tango de Ballet e Le Quattro Stagioni
mirabilmente arrangiare da Desyatnikov. In
queste, Dinca, posizionatosi in piedi in una
posizione centrale, ha condotto Piazzolla in
momenti di esaltante pura raffinatezza
strumentale. Eccellenti anche le cadenze
solistiche.
Applausi
fragorosi al termine e un bellissimo bis con un
brano molto bello del compositore trentino
Roberto Di Marino (1956). Ricordiamo per chi
volesse sostenere VIDAS, che da poco ha
realizzato la Casa Sollievo Bimbi, hospice
pediatrico lombardo, (foto) e di telefonare al
numero 02 72511203 oppure di fare un versamento
c/c postale n. 23128200 intestato a VIDAS
- Volontari Italiani Domiciliari
per l'Assistenza ai Sofferenti Onlus.
Serata da ricordare.
23 ottobre 2019 Cesare
Guzzardella
Una rarità di Antonín Dvorak per Fiorenzo
Pascalucci
L'impaginato di ieri sera
prevedeva un brano di raro ascolto e
particolarmente interessante quale il
Concerto per Pianoforte ed Orchestra in sol
minore Op.33 di Antonín Dvorak. Un
composizione
del
1876 che non gode di popolarità come l'Op.104
per violoncello e orchestra, ma che presenta
spunti melodici particolarmente rilevanti. La
No rth
Czech Philharmonic Orchestra Teplice diretta
con cura da Alfonso Scarano presentava al
pianoforte Fiorenzo Pascalucci, interprete di
ottimo livello che ha affrontato in modo
determinato ogni difficoltà di questo lavoro,
impegnativo e particolarmente virtuosistico. La
buona sinergia con la
compagine
orchestrale ha prodotto un valido risultato
complessivo specie nell'Andante sostenuto
centrale, di raffinata liricità e nel terzo ed
ultimo movimento, Allegro con fuoco. Qui
Pascalucci ha espletato con maggiore rigore ed
espressività il contrastato e vivace tessuto
armonico-melodico ricco d'inventiva. Di qualità
il bis concesso dal solista con un noto brano di
Claude Debussy, l'Isle Joyeuse
interpretato con sicurezza, e luminosa
espressività. Dopo il breve intervallo valide
l'esecuzioni della Sinfonia n.38 in re
maggiore "Praga" di W. A. Mozart e la
Suite ceca op.39, ancora di Antonin Dvorak.
Peccato la bassa affluenza di pubblico,
probabilmente anche a causa della pioggia.
22 ottobre 2019 Cesare
Guzzardella
Un Beethoven
strepitoso con Jordi Savall e Le Concert des
Nations
È da molti anni che non
ascoltavo un Beethoven così grande. C'è voluto
il direttore spagnolo Jordi Savall e Le
Concert des Nations ha farmi ritrovare la
genialità assoluta del grande compositore
tedesco. Il programma ascoltato ieri in Sala
Verdi, per la Società del Quartetto,
prevedeva due pilastri musicali quali la
Terza e la Quinta Sinfonia. Siamo
stati abituati alla frequentazione di Savall al
Conservatorio milanese nel repertorio di musica
antica o del '700, anche per l'uso costante di
strumenti d'epoca. Questi strumenti, soprattutto
nella sezione dei legni e degli ottoni, sono
stati utilizzati anche per Beethoven: due
capolavori più raccolti nei momenti cameristici
alternati da una prorompente estroversione nei
frangenti
più voluminosi. La bellezza delle
timbriche, la chiarezza dei singoli strumenti,
tutti riconoscibili e perfettamente inseriti,
gli equilibrati piani sonori, hanno reso le due
interpretazioni di un livello di assoluta
qualità estetica, che ha fatto emergere le
profondità di pensiero del genio di Bonn. Il
pubblico, al termine della Sinfonia n.3 "Eroica"
op.55 e quindi al termine della Quinta
op.67, ha mostrato di aver compreso
perfettamente di trovarsi di fronte ad
interpretazioni uniche, tributando applausi
interminabili. Savall, al termine del concerto
ha voluto ricordare l'avv. Antonio Magnocavallo,
presidente per molti anni della prestigiosa
Società del Quartetto. Una serata da
ricordare, sempre!
19 ottobre 2019 Cesare
Guzzardella
Benedetto Lupo
e la
Dortmunder Philharmoniker per la Società dei
Concerti
L'impaginato ascoltato ieri
sera prevedeva due lavori particolarmente noti e
impegnativi, con carattere musicale spesso
profondamente serio, definito da grandi sviluppi
sinfonici. Stiamo
parlando del Concerto n.1
in re minore op.15 per pianoforte di Brahms
e della Sinfonia n.6 in si minore Op.74 "Patetica"
di
Čaikovskij. Anche nel concerto
pianistico dell'amburghese,
la presenza di una grande orchestra,
ricca di timbriche, rende molto
sinfonico
un lavoro dove anche il pianoforte è
sovente trattato orchestralmente. In questo brano di
particolare difficoltà tecnica, la presenza di
un ottimo pianista quale Benedetto Lupo ha
favorito la valida resa interpretativa.
L'Orchestra tedesca Dortmunder Philharmoniker
e il suo direttore Gabriel Feltz, sono una
presenza costante nelle serate della nota
società concertistica milanese. Lupo, vincitore
nel 1989 -primo italiano - al prestigioso
Concorso Internazionale Van Cliburn, ha espresso
doti di primo livello attraverso un'esecuzione
sicura e ben evidenziata in ogni frangente.
Momenti di nitore espressivo melodico sono stati
quelli dell'Adagio centrale, mentre
grande energia dinamica e fluidità molto
accentuata sono emerse nel Rondò finale.
Ottima la sinergia con Feltz e gli orchestrali.
Lupo ha inoltre concesso un valido bis con un
Intermezzo brahmsiano. La forza energetica
della Sinfonia "Patetica", ascoltata dopo
l'intervallo, è nota a tutti e
conclude un ciclo
musicale
fondamentale per il grande russo.
L'alternanza di pacati momenti melodici a
fragorosi timbriche orchestrali ha messo in
risalto l'ottimo livello esecutivo di questi
ottimi strumentisti ben forgiati dal direttore
Feltz. L'atmosfera rarefatta, riflessiva e
sconvolgente delle ultime battute di questo
capolavoro, sintetizza la grandiosità del genio
russo ben evidenziate dalle qualità espressive
della compagine orchestrale. L'ottima qualità
espressiva fornita in entrambi i lavori ha
portato a fragorosi applausi a prestazioni
concluse, con continue uscite sul palcoscenico
dei protagonisti. Da ricordare.
17 ottobre 2019 Cesare
Guzzardella
Yevgeny Sudbin
alle Serate Musicali
Il trentanovenne pianista di
San Pietroburgo Yevgeny Sudbin viene da molti
anni in Conservatorio per Serate Musicali.
Ieri sera il suo impaginato era come sempre
diversificato, con il suo classico
Scarlatti
che anticipava
Čaikovskij,
Scr iabin,
per concludere con Ravel. Conosciamo il suo
virtuosismo e la sua capacità di
trascrittore-rielaboratore, come nel brano
ascoltato, l'Ouverture-Fantasia da Romeo e
Giulietta di
Čaikovskij.
Le Quattro Sonate di Domenico Scarlatti
da lui scelte -
K.197-K.9-K.159, K.27,
cui si aggiunge una quinta eseguita come bis-
K.466- eseguita
al termine
del concerto, erano tra le più note e,
dimenticando la Mayer, i Michelangeli o gli
Horowitz, che le avevano in repertorio, ci sono
apparse curate, corrette ma non tali da
rappresentare elementi di novità interpretativa.
Più interessante il suo
Čaikovskij, soprattutto quello
della Ouverture-Fantasia, eseguita
con
impeto ed abilità costruttiva. Dopo
l'intervallo ai due Notturni
dalle
op.10 e op.19 ,sempre del grande
russo ed eseguiti con pacata riflessività, è
seguito il Notturno per la mano sinistra
di
Scriabin,
un brano particolarmente riuscito, certamente
non facile, che ha ulteriormente esaltato il
bisogno riflessivo dell'interprete. Il
conclusivo Ravel con il celebre Gaspard de la
Nuit, ha, secondo me, alzato di parecchio il
livello complessivo della serata. È da molto
tempo che riscontriamo in Sudbin, come spesso
accade per i giovani interpreti, maggiori
qualità nel repertorio del '900. Nel 2017
avevamo ascoltato un eccellente Medtner con la
Sonata tragica ora, dopo il bellissimo
Notturno di Scriabin, con Gaspare de la
Nuit Sudbin ha trovato qualità di alto
livello interpretativo. Validi tutti e tre i
noti "Poemi" , sia Ondine che Le Gibet,
che Scarbo, con ancor più originalità
negli ultimi due. Fragorosi gli applausi dal
pubblico presente in Sala Verdi.
15 ottobre 2019 Cesare
Guzzardella
Brani di
raro ascolto alle
Serate Musicali
Ieri sera in Sala Verdi
abbiamo ascoltato un valido concerto con
l'Orchestra Antonio Vivaldi diretta da Luca
Ballabio. Il programma prevedeva oltre la
celebre Quinta Sinfonia di Beethoven
eseguita
![](aprile%202011/pompili1%202019.jpg) dopo l'intervallo, una prima parte con
due rarità quali il Piccolo Concerto per
Muriel Couvreux per pianoforte e orchestra da
camera di Luigi Dallapiccola e la
Sinfonia Concertante per mandolino, tromba,
contrabbasso e pianoforte di Leopold Antonín
Kożeluh.
Il pianoforte di Enrico Pompili, solista in
tutti e due i brani, ha avuto il sostegno di
Carlo Aonzo, mandolino, di Alex Elia,
tromba e di Matteo Zabadneh,
contrabbasso viennese,
nel brano
di Koźeluh. Valide tutte le interpretazioni con
la giovanissima
![](aprile%202011/pompili2%202019.jpg) Orchestra Vivaldi
supportata
molto bene dalla direzione di Ballabio.
L'interessante concerto di Dallapiccola (1904-
1975) e stato composto negli anni '39-'41,
dedicato alla giovanissima figlia di un'amica
-Muriel di sette anni-,
ha caratteristiche serene e una scrittura neo-classica
che attinge a Stravinsky e ad una altri
musicisti di primo Novecento pur presentando una
scrittura personale e molto varia nella quale la
parte solistica, sostenuta dall'ottimo Pampili,
ha un ruolo importante, unitamente alla
variegate timbriche del complesso cameristico.
La rara Sinfonia Concertante di Koźeluh
(1747-1818), contemporaneo di Haydn e di Mozart,
presenta altrettanta vivacità coloristica
e vede alternarsi le sonorità dei quattro
strumenti solisti -mandolino, tromba,
contrabbasso e pianoforte- per un tripudio
di variazioni su un tema che rivelano l'efficace
piacevolezza di questo unico , nel genere,
lavoro musicale. Ottime le parti solistiche e la
resa coloristica dell'orchestra. Valida dopo
l'intervallo la Quinta di Beethoven.
Applausi dal pubblico in una Sala Verdi con
molti posti liberi. Da ricordare.
14 ottobre 2019 Cesare
Guzzardella
Quartett: l'opera
di Luca Francesconi ritorna al Teatro alla Scala
Sono passati otto anni dalla
prima messinscena scaligera di Quartett. L'opera
in un atto del compositore milanese in questi
anni ha trovato successo in molti palcoscenici
europei. Adesso la ripresa del tagliente lavoro
di Francesconi s'inserisce anche nel contesto di
un festival di musica
contemporanea organizzato
da Milano Musica ed a lui dedicato. Come
già scrissi nel 2011, "Quartett" è ispirata
dall'omonima pièce teatrale di Heiner Müller ed
è liberamente tratta da Le relazioni
pericolose di Choderlos de Laclos. La
messinscena del regista Alex Ollè-La Fura dels
Baus- ripresa da Patrizia Frini- è indubbiamente
valida ed è dettata da una ricercata modernità
che unisce sapientemente più ambiti espressivi
in eccellenti sinergie, creando un'ambientazione
che calza bene le non facili ma incisive
timbriche musicali di Francesconi. Centro della
rappresentazione è una camera-scatola posta in
una parte centrale ed alta del palcoscenico,
circondata in tutti i lati da uno schermo nel
quale vengono proiettate immagini che hanno un
ruolo di completamento visivo. I due cantanti
protagonisti della messinscena, sono ancora oggi
Alliso n Cook, la Marquise de Merteuil e
Robin Adams, il Vicomte
de Valmont. Ancora una volta i due cantanti
hanno mostrato ottime qualità vocali ed attoriali ed hanno
definito
il testo in inglese con rilevante
teatralità inserendo vocalità e recitazione in
perfetta concordanza con la suggestiva
componente sonora. La parte musicale è sostenuta
da due formazioni orchestrali, una nella buca ed
una seconda nascosta insieme al coro. La
direzione musicale è stata in modo eccellente
interpretata da Maxime Pascal. La direzione
musicale è completata da una parte sonora
elettronica curata da Serge Lemouton. Le scene ( foto di Amisano e Brescia dall’archivio Scala) di Alfons
Flores sono spesso un tutt'uno con i rilevanti
video di Frac Aleu, mentre i costumi sono di
Lluc Castells e le luci di Marco Filibeck. Il
complesso e variegato linguaggio del musicista
milanese riassume in modo completo le esperienze
musicali del Secondo Novecento: musica concreta
ed elettronica insieme a modalità compositive
che devono molto alle frequentazioni del
compositore con Berio, Stockhausen e Boulez.
Certamente non è facile esprimere con sicurezza
un'opinione completamente positiva, soprattutto
per un soggetto, quello dominante per tutti gli
ottanta minuti della pièce, che da un'
idea della sessualità orientata solamente al
mondo irrazionale dell'essere umano. Le capacità
di Francesconi - autore anche del libretto- di
costruire le complesse e variegate timbriche
sulle parole dei due bravissimi protagonisti,
esprimono indubbie qualità. Gli applausi
abbastanza calorosi e di media durata del
pubblico presente alla seconda rappresentazione,
sembrano confermare la difficoltà per molti di
accettare con passione un linguaggio non
semplice e difficilmente memorizzabile. Prossime
repliche per il 14-17-19 e 22 ottobre.
12 ottobre 2019 Cesare
Guzzardella
Una serata importante a
Milano per il Premio del Conservatorio 201 9
Il concerto ascoltato ieri
sera in Sala Verdi ci ha rivelato le qualità che
il Conservatorio milanese offre come Istituzione
Musicale alla formazione culturale italiana. In
occasione del Premio del Conservatorio 2019,
abbiamo assistito alla premiazione dei migliori
studenti dell'istituto nei vari
settori
d'appartenenza ( solisti, complessi cameristici
sia classici che jazz, voci, composizione,
giovani talenti, ecc.) con un premio finale per
il miglior strumentista del 2019 scelto tra i
premiati dei vari settori. La serata ha visto la
partecipazione anche del Presidente del Conservatorio Raffaello Vignali e dal direttore
Cristina Frosini. Un concerto
eseguito dall'Orchestra Sinfonica del
Conservatorio diretta da Alessandro Bombonati ha
reso la serata ancor più interessante e
piacevole. Il programma prevedeva musiche di
Wagner con l' Ouverture da I Maestri
cantori di Norimberga, una composizione di
Rachel Beja ( 1984) denominata Sui viali che
noi camminiamo....per Sassofono e Orchestra,
con la partecipazione del sassofonista Simone
Moschitz ( Premio Assoluto Conservatorio 2018),
quindi il Concerto n.2 op.40 di F.
Mendelssohn con
un giovane pianista quale
Vittorio Maggioli ( premio Conservatorio 2019
nella categoria Giovani talenti), per
finire con le Danze Polovesiane di A.
Borodin. L'ottima resa orchestrale della
giovanissima orchestra sinfonica, formata da
studenti dell'istituzione milanese integrata da
altri del Conservatorio Verdi di Torino, ha
messo in risalto l'eccellente preparazione
musicale dei bravi strumentisti, ottimamente
coordinati da Bombonati. Tutte valide le
interpretazioni ,
con un particolare merito per il
brano della compositrice Rachel Beja, lavoro dal
carattere suggestivo e "cosmico" che integra
molto bene le sonorità del bellissimo sassofono
di Simone Moschitz con le timbriche ricercate e
meditate dei vari settori orchestrali. Questo,
come molti altri brani contemporanei,
testimoniano l'affinità e la preparazione dei
giovani strumentisti, rispetto al mondo musicale
dei nostri giorni. Eccellente la direzione di
Bombonati per
questo lavoro che speriamo presto
di risentire. Segnaliamo l'ottima
interpretazione del
quattordicenne pianista
Vittorio Maggioli (foto C.G. ) nel Concerto
n.2 in re minore di Mendelssohn. Coadiuvato
ottimamente dall'orchestra,
Maggioli ha messo in risalto
con giusto equilibrio dinamico e con leggerezza
di tocco ogni frangente del brano, dimostrando
profonda sensibilità musicale. Segnaliamo infine,
il vincitore assoluto del Premio Conservatorio
2019 assegnato al pianista Diego Petrella, il
premio prevvede
anche un vasto numero di
concerti da espletare nei prossimi anni. La
splendida serata è stata organizzata a sostegno
della Onlus denominata Cena dell'Amicizia,
un'associazione di volontariato di Milano che
dal 1968 accoglie ed inserisce nella società
persone in grave condizioni di emarginazione
sociale. Oltre 100 volontari si adoperano per
questa importante iniziativa. Nel 2018 Cena
dell'Amicizia ha ricevuto l'Ambrogino d'oro
dal Comune di Milano per i 50 anni di attività.
Chi volesse sostenere l'Onlus può telefonare al
numero 02-33220600 o fare un versamento postale
intestato all'Aasociazione Cena dell'Amicizia
C/CP n. 58528209. Una serata da ricordare.
11 ottobre 2019 Cesare
Guzzardella
Inaugurata la nuova
stagione
musicale della Società dei concerti
È iniziata ieri sera in
Conservatorio la Stagione 2019-2020 della
Fondazione La Società dei Concerti,
una
delle più importanti istituzioni concertistiche
milanesi. Quest'anno, come anticipato
dalla
Presidente Enrica Ciccarelli all'inizio della
serata, la programmazione sarà particolarmente
ricca con una presenza massiccia di grandi
interpreti e di numerose orchestre. In Sala
Verdi, ieri il palcoscenico era occupato dalla
rinomata Stuttgarter Philharmoniker diretta da
Marcus Bosch in brani di Schumann e Bartók :
dal romanticismo della
Manfred Ouverture e della Sinfonia n.3
Op.97 "Renana" del tedesco eseguita dopo
l'intervallo, al ritmico ma ache melodico
Concerto n.3 SZ 119 del grande compositore
ungherese. L'orchestra ben diretta da Bosch ha
espresso sonorità decise e ben delineate in
tutti i brani. La resa migliore, a nostro avviso,
l'abbiamo ascoltata nel bellissimo concerto
bartókiano, grazie anche alla presenza di un
fuoriclasse quale il pianista ucraino Konstantin
Lifschitz che con un controllo perfetto delle
ritmiche e delle dinamiche, ha messo in risalto
ogni dettaglio del bellissimo lavoro del grande
ungherese. Brano valorizzato ancor più
dall'espressivo ed
etereo
Adagio religioso, movimento centrale dal
carattere meditativo che con una serie
suggestiva di accordi pianistici iniziali ci
pone in una dimensione di luminosa introspezione.
La rapida successione delle note nelle ritmiche
melodie sviluppate poi, è molto caratterizzante
dello stile di Bartók legato alla tradizione
folcloristica ungherese, ed anticipa il
passaggio al particolare dinamismo dell'ultimo
movimento, l'Allegro vivace. Splendida
interpretazione quella di Lifschitz e della
Stuttgarter Philharmoniker. Ancora Bartók nel
bis solistico concesso da Lifschitz con un
pregnante motivo bulgaro. Lunghi applausi al
termine dal numeroso pubblico intervenuto. Da
ricordare.
10 ottobre 2019 Cesare
Guzzardella
Prossimamente a Milano al
Parco di Famagosta il Concerto dei due
continenti
Il
19 ottobre alle ore 16 il Parco di Famagosta a
Milano ospiterà una serata di musica di
altissima qualità organizzata da Parkmi in
collaborazione con Gianfranco Messina: il "Concerto
dei due continenti", che vedrà impegnato il
M° Domenico Calia clarinettista con il Quartetto
Milano Virtuosa, dal nome della
Stagione 2019-2020 diretta da Messina e Calia a
Porta Romana. Il programma propone un viaggio
musicale nel panorama contemporaneo da
Guzzardella a Maiullari, da Mangani a Messina:
un'occasione per apprezzare le notevolissime
doti interpretative di un raffinato solista. Il
percorso ci pone a confronto con stili musicali
(e conseguenti necessità interpretative)
profondamente diversi. Info a
eventi2018g@libero.it oppure +39/3494406315
dalla redazione
9 ottobre
2019
La nuova stagione
concertistica di Serate Musicali inizia
con Andras Schiff
Meritato successo ieri sera
in Sala Verdi per il pianista-direttore Andras
Schiff. Insieme alla Chamber Orchestra of
Europe, l'interprete ungherese ha tenuto un
concerto particolarmente
indovinato
nell'impaginato che prevedeva musiche di Haydn e
Mendelssohn. Ha alternato, con ottima resa
interpretativa, la direzione orchestrale alla
tastiera pianistica. Alla direzione con l'Ouverture
dall'Isola disabitata e la Sinfonia n.88 in
sol maggiore di F.J. Haydn, quindi la
celebre Sinfonia n.4 in la magg.op.90 "Italiana"
di F. Mendelssohn; al pianoforte col noto
Concerto in re maggiore dell'austriaco e il
raro Concerto n.1 in sol minore op.25 del
tedesco. Un programma quindi particolarmente
ricco, con piu di due ore di musica di
eccellente qualità. Siamo rimasti meravigliati
della qualità espressiva di questa orchestra
nata nel 1981 e denominata COE,
formata
prevalentemente da giovani strumentisti
provenienti da altre affermate orchestre europee.
Seguita nei primi anni da Claudio Abbado, nel
corso del tempo la COE ha trovato alla direzione
prestigiosi direttori come Haitink, Nézet-Séguin,
Pappano, Ticciati e anche solisti di fama come
Aimard, Kavakos e Znaider. L'ottima direzione di
Schiff è emersa in tutti i brani, eseguiti con
decise e dettagliate coloristiche, in ogni
sezione. Particolarmente robusto l'Haydn
dell'Ouverture e della Sinfonia, ma notevole
anche l'Italiana mendelssohniana, di rara
luminosità. Nei concerti pianistici,
contemporaneamente alla loro direzione, Schiff
ha dato sfoggio di tutte le sue
rilevanti
qualità, prime fra tutta la bellezza del suono,
con un privilegio per i chiari colori melodici.
Strepitoso il successo in Sala Verdi con
fragorosi applausi al termine. Da ricordare.
8 ottobre 2019 Cesare
Guzzardella
La Lucerne
Festival Orchestra diretta da Chailly a favore
della Croce Rossa di Milano
Il concerto straordinario
ascoltato ieri sera al Teatro alla Scala era a
sostegno della Croce Rossa di Milano, per i suoi
progetti d'aiuto delle persone vulnerabili.
Riccardo Chailly ha diretto la
Lucerne
Festival Orchestra
in un programma interamente
dedicato a Sergej Rachmaninov. Due i brani in
programma, uno celebre, il Concerto n.3 in re
minore op.30, uno di raro ascolto, la
Sinfonia n.3 in la maggiore op.44. Nel noto
Rach3 in palcoscenico il giovanissimo
pianista russo Alexander Malofeev ha dato
sfoggio delle sue enormi qualità virtuosistiche.
Siamo certamente rimasti stupiti delle qualità
coloristiche offerte dall'Orchestra che
ricordiamo essere stata fondata nel 2003 da
Claudio Abbado selezionando i migliori
strumentisti presenti in altre celebri compagini
orchestrali,
tra cui anche la nostra Filarmonica scaligera.
Fino al 2014, anno della sua scomparsa, il
celebre direttore ha diretto la Lucerne
Festival Orchestra in concerti memorabili.
Il subentro, nel 2014 di un altro direttore
milanese quale Riccardo Chailly ha dato
continuità all'eccellente compagine orchestrale.
Ieri, nelle mirabili esecuzioni dei due brani,
sono emerse le qualità coloristiche di ogni
sezione orchestrale delineate
dalla precisa e dettagliata direzione di
Riccardo Chailly. Ottima l'interpretazione
sicura e decisa del diciottenne Malofeev,
pianista che stupisce per la determinazione e la
carica di energia che impone al pianoforte nei
passaggi più impervi del celebre
concerto.
Avevamo ascoltato il giovane, allora non
diciottenne, in un concerto solistico nel
febbraio di quest'anno
-
www.corrierebit.com/musica.htm#malofeev2019
-
in Conservatorio ed eravamo rimasti stupiti
per le enormi qualità tecniche,
intravvedendo
potenziali espressivi che certamente potrà nel
tempo sviluppare. Ottima la sua interpretazione
e molto bello il bis solistico concesso:
Ottobre, canzone d'autunno dalle celebri
Stagioni di
Čaikovskij.
Dopo il breve intervallo, di rilevante resa
espressiva la Sinfonia n.3 e al termine
uno straordinario bis,
la Morte di Tebaldo da Romeo e
Giulietta di Sergej Prokof'ev,
ha
esaltato
ancor più
le
eccellenti qualità espressive della
Lucerne Festival Orchestra. Applausi
fragorosi in un teatro colmo di pubblico. Chi
volesse sostenere la Croce Rossa di Milano può
accedere al sito
www.crimilano.it
7 ottobre 2019 Cesare
Guzzardella
Luca Francesconi
per la nuova stagione di
Milano Musica
all'Auditorium con la Sinfonica Verdi
Ieri sera Milano Musica
ha trovato un grande riscontro di pubblico
nel primo concerto stagionale dedicato al
compositire milanese Luca Francesconi. Grazie
anche all'organizzazione dell'Orchestra
Sinfonica
di Milano G.Verdi, abbiamo assistito
all'Auditorium di largo Mahler ad un concerto
decisamente di qualità, in una sala stracolma di
appassionati. L'impaginato prevedeva brani di
Gustav Mahler e di Luca Francesconi.
Lateralmente Blumine e dai Rückert lieder
"Ich bin der Welt abhanden gekommen";
eseguito a conclusione; di Francesconi, Das
Ding singt ed
Etymo II. La Sinfonica Verdi era diretta da
Michele Gamba, recentemente ascoltato alla
direzione dell'orchestra scaligera. Le tipiche
melodie ed armonie mahleriane sia di Blumine,
splendido brano giovanile scelto correttamente
ad introduzione della serata, che del bellissimo
lieder - interpretato ottimamente dal baritono
Martin Hassler-. hanno rivelato il rilevante
spessore interpretativo del giovane direttore
Gamba. Dopo Blumine, in prima esecuzione
italiana c'era Das Ding singt, un
concerto per violoncello e
orchestra datato 2017. Sul palcoscenico insieme
all'orchestra il giovanissimo e talentuoso
violoncellista statunitense Jay Campbell. I
circa venti minuti del brano iniziano con una
lunga nota del violoncello che viene ripetuta
con infinite trasformazioni timbriche in
sinergia con l'orchestra e soprattutto con gli
altri violoncelli. L'influenza di variegati
mondi musicali - anche del primo rock di J.
Hendrix per la tendenza improvvisatoria nel
variare le timbriche dello strumento ad arco -
si fanno sentire in questo suggestivo ed
avvincente lavoro. Una parte centrale
armonicamente più "tradizionale" ci porta
all'energico finale conclusivo. Bravissimo
Campbell nel rilevare con sicurezza l'importante
parte solistica e applauditissimo dal pubblico
insieme a Francesconi salito sul palcoscenico.
Dopo il breve intervallo, il brano per soprano,
elettronica e grande orchestra denominato
Etymo II, ha reso la serata ancor più
interessante. La complessità di questo lavoro,
eseguito per la prima volta nel 1994 a Parigi
dall'Ensemble InterContemporain, è dovuta anche
alla
sostanziosa componente elettronica, preparata in
laboratorio ed integrata nell'orchestra da una
importante regia, organizzata dai bravissimi
Michele Tadini e Massimo Marchi. Nella versione
ascoltata ieri, l'originale orchestra da camera
era sostituita dalla grande orchestra, scelta
dal compositore nella versione del 2005, per
riequilibrare con maggior vigore l'esuberante
componente elettronica. La voce femminile,
quella della bravissima ed intonatissima Juliet
Fraser, ammorbidisce e rende maggiormente
intelligibile l'originale lavoro di Francesconi.
I testi di Baudelaire sono tratti da Le Voyage e
da L'Arbatros e sono cantati e recitati dal
soprano in modo da integrarsi perfettamente con
le sonorità elettroniche e con le suggestive e
pregnanti timbriche orchestrali. La potenza
espressiva di questo lavoro di Francesconi- di
grande successo europeo- , è rafforzata dalle
sconvolgenti parole del celebre poeta francese.
Applausi ripetuti all'Orchestra Verdi, al
direttore Gamba, al soprano Fraser e al
compositore Francesconi, ancora una volta salito
sul palcoscenico. Da ricordare.
4 ottobre 2019 Cezare
Guzzardella
Inaugurata
la nuova stagione
musicale della Società del Quartetto
È iniziata molto bene la
nuova Stagione del "Quartetto". Ieri sera in
Conservatorio, in una Sala Verdi colma di
abbonati e non solo, abbiamo ascoltato una
quartetto di qualità come quello
composto da
Krystian Zimerman al pianoforte e da Marysia
Nowak, Katarzyna Budnik e Yuka Okamoto,
rispettivamente al violino, alla viola e al
violoncello. Le esecuzioni sono state anticipate
dall'intervento del Presidente della Società
Ilaria Borletti Buitoni, che oltre a introdurre
la nutrita Stagione 2019-2020 ha sottolineato la
presenza in sala della senatrice Liliana Segre, molto
applaudita. L'impaginato della serata,
incentrato sulla musica cameristica di Johannes
Brahms, ha permesso l'ascolto di due suoi
Quartetti con pianoforte: il n.3 Op.60 in do
minore e il n.2 op.26 in la maggiore.
L'energia espressa dal drammatico ultimo
quartetto denominato anche "Werther",
lavoro terminato dopo lunghi ripensamenti nel
1875, si è contrapposta alla più pacata e di
ampie proporzioni Op.26, quartetto terminato nel
1861.
Le ottime interpretazioni di entrambi i
quartetti hanno rivelato la regia e la fluida e
delicata perfezione formale di Zimerman, non
mancante di incisiva resa espressiva, specie
nelle più robuste armonie dell'Op.60. In
contrapposizione alla perfetta struttura
armonica del pianoforte, l'efficace componente
degli archi ha trovato determinazione e sinergia
nei tre eccellenti strumentisti: dalle timbriche
sottili della Nowak, all'incisività della
violista Budnik, ai suoni rotondi e calibrati
del cellista giapponese Okamoto. Tutti
bravissimi e un Zimerman visibilmente
soddisfatto al termine del concerto. Fragorosi
gli applausi del pubblico. Da ricordare.
2 ottobre 2019 Cesare
Guzzardella
Prossimamente alla Scala un concerto benefico
per la Croce Rossa Italiana
–
con la
Lucerne Festival Orchestra
Sarà
Riccardo Chailly, direttore musicale del Teatro
alla Scala, a dirigere il Concerto benefico in
favore del Comitato di Milano della Croce Rossa
Italiana. L’appuntamento è per domenica 6
ottobre
alle ore 20.00 presso il Teatro alla Scala di
Milano. Giunto alla sua 23° edizione, l’evento
solidale porta sul palco del Piermarini la
Lucerne Festival Orchestra, di cui Chailly è
direttore musicale dal 2016, ad un anno dal suo
ultimo concerto alla Scala. La serata prevede
inoltre la partecipazione del giovane pianista
Alexander Malofeev. In programma due brani del
compositore russo Sergej Rachmaninov, il
Concerto n. 3 in re min. op. 30 per pianoforte e
orchestra e la Sinfonia n. 3 in la min. op. 44.
La serata milanese sarà la prima tappa, unica in
Europa, di un tour internazionale della Lucerne
Festival Orchestra con il M° Chailly, a cui
seguiranno Shanghai, Pechino e Shenzhen.
L’intero ricavato dell’evento sarà devoluto a
sostegno delle attività di Croce Rossa sul
territorio di Milano in aiuto delle persone più
fragili ed emarginate. In particolare, i fondi
raccolti verranno destinati a tre progetti di
carattere sanitario e sociale: l’Unità di Strada,
che offre supporto alle persone senza dimora,
con assistenza medica, psicologica ed educativa;
Il Sorriso, un’opportunità per chi non può
accedere alle cure odontoiatriche e, senza
queste, uscire dall’emarginazione; la Filiera
della solidarietà, ovvero la distribuzione di
beni alimentari a cui si affianca l’offerta di
un percorso per uscire dall’indigenza.I
biglietti sono disponibili con prenotazione
chiamando il numero 02 3883210 (lun-ven ore
10-13, 14-17) o presso i circuiti di prevendita
esterna
www.geticket.it,
www.ticketone.it
e
www.vivaticket.it.
Il prezzo del biglietto varia da 20 a 200 euro (prevendita
esclusa). Per ulteriori informazioni scrivere a
concertoscala@crimilano.it.
1 ottobre 2019 dalla
redazione
SETTEMBRE 2019
Riccardo Chailly
e la
Filarmonica della Scala per Beethoven e Mahler
È iniziata la nuova Stagione
Sinfonica della Filarmonica della Scala con un
pregevole concerto diretto da Riccardo Chailly.
Il direttore milanese ha in programma
l'esecuzione di tutte le sinfonie
beethoveniane
e nella prima replica ascoltata ieri la partenza è stata ottima con una
preziosa Sinfonia n.4 del genio tedesco.
Insieme a questa abbiamo ascoltato un'efficace
interpretazione della Quarta di Mahler,
musicista caro a Chailly del quale ha diretto in
questi anni alla Scala altri celebri lavori
sinfonici. La qualità dell'esecuzione della
sinfonia di Beethoven, brano meno celebrato
rispetto alle più blasonate sinfonie n.3 o n.5,
è comunque rivelat rice di
un modo di ricerca piuttosto personale che ci ha
soddisfatto e che ci pone in attesa delle
ulteriori prestazioni di Chailly sul grande di
Bonn. Nella Quarta di Beethoven
è
stato rilevante l'equilibrio delle parti con
perfetto dosaggio dinamico in una costante
ricerca riflessiva. La Filarmonica della Scala
ha risposto con vigore all'idea beethoveniana di
Chailly che nasce da una profonda conoscenza
delle interpretazioni storiche. In Mahler la
qualità interpretativa è stata in linea con le
ottime interpretazioni delle recenti sinfonie
scaligere. Mirabile il terzo movimento, un
Adagio in cui il grado di riflessiva resa
coloristica dei violoncelli si è moltiplicato
nelle altre sezioni degli archi e quindi
in tutta l'ottima orchestra. Grande successo di
pubblico alla prima replica. Questa sera la
seconda e ultima replica. Da non perdere.
29 settembre 2019 Cesare
Guzzardella
Meritato
successo per L'elisir d'amore al Teatro
alla Scala
Una messinscena all'insegna
della tradizione quella pensata nel 1998 da
Tullio Pericoli autore delle colorate, naïf e
fiabesche scene, con i relativi costumi
perfettamente in sintonia. Da allora ad oggi,
con la regia rivisitata di Grischa Asagaroff e
le luci di Hans-Rudolf Kunz riprese da Marco
Filibeck, l'Elisir è andato in scena alla
Scala per oltre quaranta repliche, sempre con
rinnovato successo. Ieri sera, alla quinta
rappresentazione, i fragorosi applausi finali
sono ancora stati confermati. Piace al pubblico
scaligero questo Donizetti, per la luminosità
delle scene, la facilità del racconto ricco di
sentimento e la bellezza della musica che trova
il momento musicalmente più rilevante nella
celebre romanza Una furtiva lacrima. La
valida direzione del giovane Michele Gamba, ha
trovato sostegno nell'ottimo cast vocale -
foto di Brescia e Amisano, Archivio Scala-
dove gli intonatissimi Rosa Feola,
una perfetta
Adina con timbro puro ed eccellenti acuti,
René Barbera, un innamoratissimo e trasparente
Nemorino, applauditissimo nella romanza,
ed Ambrogio Maestri, giocoso ed autorevole
Dottor Dulcamara, hanno completato le
illuminate e prospettiche scene, con padronanza
anche attoriale. Bravissimi anche Massimo
Cavalletti, Belcore e Francesca Pia
Vitale, Giannetta. Un plauso, come sempre,
al Coro preparato da Bruno Casoni. Prossime
rappresentazioni per il 27 settembre e 1-4-7 e
10 ottobre. In ottobre Vittorio Grigolo sarà
Nemorino. Da non perdere.
26 settembre 2019 C. G.
Prossimamente alla Scala
![](aprile%202011/locandina%20lucerna.jpg)
Domenica 6 ottobre alle ore
20.00 si terrà al Teatro alla Scala di Milano il
concerto benefico a favore del Comitato di
Milano della Croce Rossa Italiana. Sul podio, il
M° Riccardo Chailly a dirigere la Lucerne
Festival Orchestra in una serata dedicata a
Rachmaninov, con la partecipazione del giovane
Alexander Malofeev al pianoforte. Con questa
prima tappa, unica in Europa, si inaugura il
tour internazionale della Lucerne Festival
Orchestra con il M° Chailly.L’intero ricavato
dell’evento sarà devoluto a sostegno delle
attività di Croce Rossa sul territorio di Milano
in aiuto delle persone più fragili ed emarginate.
dalla redazione
Concerto per chitarra, voce e flauto al Museo
del '900
Non capita spesso di
ascoltare concerti nei quali la chitarra sia
strumento protagonista. Ieri, in un concerto
pomeridiano al Museo del '900 organizzato anche
dalla Società del Quartetto, la chitarra di
Andrea Monarda si è resa protagonista di un
programma diversificato e soprattutto
contemporaneo,
coadiuvata in alcuni brani dell'intensa voce del
giovane soprano Ludmila Ignatova e dell'ottimo
flauto di Antonella Bini. Brani di Gaslini,
Malipiero, Morricone, Mannucci, Clementi,
Taccani e De Falla, hanno espresso situazioni
musicali differenti, alcune di non facile e
immediata recezione, e altre, specie quelle con
la componente vocale, di più evidente
comprensione. Giorgio Gaslini, conosciuto
soprattutto come grande jazzista, ha avuto
esperienze "totali" in ogni genere musicale e
nei Sei interludi per voce e chitarra, in
prima esecuzione assoluta, abbiamo riscoperto le
sue esperienze legate alla "nuova musica"
derivanti dalla scuola dodecafonica e atonale
del primo Novecento. Anche nel Riccardo
Malipiero delle Variazioni sulla Follia,
i linguaggi non facilmente
memorizzabili,
legati a quelle esperienze novecentesche , sono
emersi nelle discrete note della sola chitarra.
Più convincenti, sempre di Malipiero, le Due
ballate per voce e chitarra e soprattutto
Liebeslied per flauto e chitarra, dove le
bellissime e fluide sonorità del flauto di
Antonella Bini sono emerse rendendo giustizia al
brano non facile nelle armonizzazioni
chitarristiche. La chitarra solista è tornata
protagonista nel brano Auguri per il proprio
compleanno di Andrea Mannucci e nelle
Otto variazioni di Aldo Clementi, mentre la
voluminosa voce di Ludmila
Ignatova
è stata, unitamente alla chitarra, protagonista
del brano di Giorgio Taccani, presente in sala,
denominato Ali per voce e chitarra.
Un breve lavoro dove la parte strumentale era
cadenzata dalle note vocali decise e calzanti di
Ludmila. Applausi anche al compositore. Una
conclusione più tradizionale ed immediata è
stata resa possibile dai brevi e splendidi
lavori per voce e chitarra di Manuel De Falla
con El paño Moruno, Seguidilla
Murciana, Jota e Polo. Ottime
le interpretazioni: bravissima Ludmila nel
penetrare in modo limpido i virtuosismi
raffinati dell'ottima chitarra di Andrea Monarda.
Successo di pubblico e ripetizione con fragorosi
e meritati applausi dell'ultimo brano di De
Falla.
25 settembre Cesare
Guzzardella
John Axelrod
e l'Orchestra Nazionale della Rai concludono
MiTo 2019
Con un bellissimo concerto
dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
diretta dal texano John Axelrod si è conclusa
l'edizione 2019 di MiTo, il Festival musicale
torinese e milanese che per quindici giorni ha
portato in numerosi palcoscenici delle
due
città concerti di ogni genere. Ieri
sera,
al Teatro dal Verme, in una sala colma di
appassionati, la celebre Quarta Sinfonia
di Gustav Mahler è stata preceduta da due
interessanti lavori. Il primo era una ottima
trascrizione orchestrale di Bernardino Molinari
dell'Isle Joyeuse di Claude Debussy,
mentre il secondo brano era del compositore
cinese Qigang Chen (1951) e denominato Joie
éternelle per tromba ed orchestra. Alla
tromba la norvevese Tine Thing Helseth ha
sottolineato con chiarezza espressiva la
melodicità nella felice scrittura orchestrale
che il compositore ha pensato per unire il mondo
occidentale con quello orientale. Una semplice
melodia viene variata in
continuazione
dalla tromba e resa in rilievo dalle precise e
mutevoli sonorità orchestrali. Successo caloroso
per questo brano e un breve bis solistico per la
bravissima trombettista. Axerold, da molti anni
presente nei palcoscenici milanesi, ha mostrato,
come sempre, qualità direttoriali di primo
livello in tutti e tre i brani esaltando con i
suoi gesti essenziali le splendide timbriche
dell'ottima compagine orchestrale. Queste sono
emerse in modo eccellente anche nella
Sinfonia n.4 in Sol maggiore di Mahler,
probabilmente il suo lavoro più celebre che
porta sul palcoscenico anche una voce da
soprano. Nell'ultimo movimento infatti è
arrivata in palcoscenico la svizzera Rachel
Harnisch che ha intonato in modo avvincente gli
ultimi minuti della celebre sinfonia. La resa
espressiva perfetta e di gran ricchezza
volumetrica ha portato splendidamente a termine
la serata. Applausi meritati alla trombettista,
al soprano, al direttore e all'ottima orchestra.
Da ricordare
19 settembre Cesare
Guzzardella
Meritato successo per il
Rigoletto di Nucci e la Kamani alla Scala
Ho ascoltato non so quante
volte in questi anni Rigoletto ,
per la regia di Gilbert Deflo, le scene di Ezio
Frigerio, i costumi di Franca Squarciapino e le
luci di Marco Filibeck.
Devo dire che ogni volta entro
alla Scala con un certo distacco per uno
spettacolo tradizionale e privo di novità ed
esco invece soddisfatto per l'efficacia della
messinscena. Una tradizione che si ripete e
che
ieri sera, grazie all'ottima orchestrazione di
Daniel Oren e alla bontà dei bravissimi solisti
,
si auspica abbia ancora seguito
nel tempo. La prima ragione del successo è
dovuta alla presenza dell'inossidabile Leo Nucci
che con i suoi settantasette anni riesce ancora
a dominare la scena attraverso una recitazione
che non ha uguali, e una voce che, anche se
parzialmente in calo volumetrico, ha trovato un
secondo atto splendido, per non dire memorabile.
Il tripudio di applausi a lui tributato ha avuto
l'appoggio di una splendida Gilda nella voce
dell'albanese Enkeleda Kamani (foto di
Amisano-Brescia dall'Archivio Scala). Anche
la rappresentazione vista ieri sera rimarrà
nella storia di questo grande Rigoletto,
per via del secondo atto e del bis Si
vendetta, tremenda vendetta, concesso nella
parte finale con gli spettatori presenti in
piedi ad applaudire.
La Kamani ha voce di soprano e modo attoriale
perfetti per il ruolo di
Gilda. Apparentemente con poca volumetria ma
certamente
eccellente intonazione, da sfoggio
di bellezza timbrica e d'intensità vocale nei
registri acuti. Bravissima!! Il Progetto
Accademia con il Coro e l'Orchestra
dell'Accademia del Teatro alla Scala ci ha
riservato anche altre sorprese come l'ottima
voce tenorile del cinese Chuan Wang, il
Duca di Mantova, anche lui di perfetta
intonazione e buone volumetrie e bravissimo nel
terzo atto specie nel celebre quartetto Bella
figlia dell'amore. Bravissime anche Caterina
Piva, un'intensa Maddalena e Valeria
Girardello, Giavanna. Più che buone le
prestazioni di Toni Nezič,
Sparafucile, Giorgi Lomiseli,
Monterone, Ramiro Maturana, Marullo,
Hun Kim, Matteo Borsa, Lasha Sesitashili,
il Conte di Ceprano, Marica Spadafino, la
Contessa di Ceprano
e gli
altri. Daniel Oren ha ottenuto
un
notevole successo personale decisamente
meritato. Prossime repliche per il 18-20-22
settembre. Da non perdere!!
17 settembre 2019
Cesare
Guzzardella
L'Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo
diretta da Ion Marin per MiTo
Doveva esserci Yuri
Temirkanov alla direzione della Filarmonica di
San Pietroburgo ieri sera in Sala Verdi. Il
famoso direttore russo, che abbiamo ascoltato
più volte alla Scala ed in Conservatorio in
memorabili interpretazioni, soprattutto di
Čaikovskij,
non
è potuto esserci per
problemi
di salute. Ion Marin, direttore di livello
internazionale, ha sostituito all'ultimo momento
il grande russo mantenendo inalterato il
programma che prevedeva prima un lavoro recente
del compositore scozzese James MacMillan,
Larghetto per Orchestra (2017) e poi la
celebre Sinfonia n.1 "Titano" di Gustav
Mahler. All'inizio del concerto l'Assessore alla
Cultura Filippo Del Corno, per nome del Sindaco
di Milano Beppe Sala, ha donato il Sigillo della
città di Milano a MacMillan per motivi
artistici. Il suo Larghetto per Orchestra
ha trovato un'ottima interpretazione da parte di
Marin e della Filarmonica. Nello stile interiore
e pacato tipico del compositore, il brano è
definito da una
scrittura
tonale facilmente comprensibile e trova una
valida orchestrazione degli elementi melodici in
una scrittura polifonica dal sapore antico,
ispirata anche dai celebri adagi di Mahler.
Decisamente lontano dai linguaggi piu attuali -
di grande creatività alcuni e di incomprensibile
resa estetica altri - il lavoro d'ispirazione
liturgica di MacMillan è piaciuto molto al
pubblico che ha tributato al termine - anche a
lui
salito sul palcoscenico- fragorosi applausi.
Dopo il breve intervallo, la Prima Sinfonia del
celebre compositore austriaco ha trovato
certamente gli splendidi colori della grande
orchestra di San Pietroburgo.
L'interpretazione, a mio avviso disomogenea, ha
avuto frangenti di efficace resa nei
movimenti
di maggiore esternazione volumetrica. Siamo
abituati molto bene a Milano avendo ascoltando
in passato il glorioso Mahler di Abbado, ora
quello splendido di Chailly e di recente quello
innovativo ed entusiasmante di Teodor
Currentzis. Ieri è mancata probabilmente
quell'elemento di genuinità della Sinfonia che
nel Lento e strascicato primo movimento o
nel Solenne e misurato terzo movimento
non ha trovato una più marcata resa espressiva.
I colori, in questi più raccolti ambiti, sono
apparsi poco appariscenti. Pubblico comunque
entusiasta al termine e fragorosi gli applausi
in una Sala Verdi stracolma. Decisamente valido
il bis concesso con una bellissima Danza
ungherese di Johannes Brahms.
15 settembre 2019 Cesare
Guzzardella
L'Orchestra UniMi diretta da Alessandro Crudele
con Alessandro Taverna per MITO
Anche l'Università agli Studi
di Milano ha contribuito al successo del
Festival MiTo con il concerto svoltosi nel
pomeriggio di ieri dall'Orchestra UniMi diretta
da Alessandro Crudele. Questo evento musicale si
è tenuto nell'Aula Magna dell'università, alla
presenza di un numeroso ed attento pubblico. Il
programma, denominato Africa, è stato
estremamente interessante e nelle
intenzioni
voleva stabilire una relazione con il grande
Continente del Sud- Mediterraneo. I lavori
introduttivi erano infatti di compositori
nigeriani, entrambi formatisi a Londra, come
Fela Sowande (1905-1987) e Samuel Akpabot
(1932-2000). Nelle loro musiche, African
Suite per orchestra d'archi e le Tre
danze nigeriane, si sente molto l'influenza
della cultura occidentale, con un occhio di
riguardo verso il Barocco ed il folclore
mediterraneo. Siamo rimasti soddisfatti delle
qualità compositive dei due autori, della
bellezza coloristica, tenue e solare delle loro
composizioni, oltretutto orchestrate benissimo.
Di grande rilievo l'orchestrazione dei lavori di
Sowande: Joiful Day, Nostalgia e
Akinla, una selezione dai cinque brani che
compongono la suite African. Gli orchestrali,
spesso
molto
giovani, sono stati bravissimi e la direzione di
Crudele - chiara e luminosa - aveva un giusto
dosaggio dinamico nelle timbriche delle varie
sezioni. La seconda parte dell'impaginato è
stata dedicata interamente alle musiche del
francese Camille Saint-Saëns e a due suoi lavori
dedicati al grande continente: Africa op.89,
fantasia per pianoforte e orchestra e
Suite algérienne op.60. Nell'op.89
l'intervento dell'affermato pianista italiano
Alessandro Taverna ha contribuito a rendere
ancor più prezioso questo concerto. La
Fantasia di Saint- Saëns, di raro ascolto,
trova un relativo rapporto con il grande
continente, ma certamente sia il mondo
mediterraneo che la natura folcloristica delle
belle melodie, ha contribuito ad orientare il
"clima musicale" in quella parte di mondo. Gli
interventi pianistici, decisamente
virtuosistici, sono stati sostenuti da
Taverna
con grande sicurezza, con correttezza ed
espressività, e un certo modo di fraseggiare e
di armonizzare ricordava- in alcuni frangenti-
le armonie di Franz Liszt. Notevole il bis
solistico concesso, dedicato a Clara Schumann.
Un suo Scherzo è stato eseguito in
occasione del compleanno della grande
concertista- compositrice tedesca, ma anche,
come rivelato dal pianista, nel giorno del
compleanno dell'interprete. A lui riserviamo
tanti Auguri. Il tardo pomeriggio si è concluso
con la Suite algérienne, un brano in
quattro parti ricco di fantasia e di eccellente
orchestrazione nella quale si sono rivelati
alcuni importanti momenti solistici come quello
toccante della prima viola in Rêverie du soir
(a Blidah). Alcune sonorità marziali hanno
evidenziato l'eccellente sezioni degli strumenti
a fiato, soprattutto quella degli ottoni. Un
plauso anche al percussionista, perfetto nelle
volumetrie. Grandissimo successo con applausi
fragorosi al termine. Da ricordare.
14 settembre 2019 Cesare
Guzzardella
La
Filarmonica della Scala diretta da Chung per
MITO
Una serata importante quella
di ieri sera agli Arcimboldi per il Festival
MiTo. La Filarmonica della Scala diretta da
Myung-Whun Chung ha eseguito due celebri brani
in un contesto musicale denominato Russie.
Del primo russo, Sergei Rachmaninov, è stato
eseguito il Concerto per
pianoforte
e orchestra n.3 in re minore op.30; del
secondo russo, P.I.
Čaikovskij, la Sinfonia n.6 in si minore
op.74 "Patetica".
Al pianoforte per il Rack 3 il
trentacinquenne pianista ucraino Alexander
Romanovsky. Di estrema
qualità
entrambe le esecuzioni. Il celebre concerto,
popolare soprattutto per i momenti di più pacata
melodicità, rappresenta un punto d'arrivo per
ogni grande pianista in quanto unisce la
semplicità delle prime note dell'Allegro ma
non tanto a situazioni melodiche ed
armoniche di esuberante e difficile virtuosismo.
Romanovsky, pianista di consolidata esperienza
internazionale, ha sistenuto la
fondamentale
e sempre presente parte solistica con una
articolata, fluida e robusta timbrica. Il suono
chiaro e le note ben delineate nei piani sonori
hanno trovato in lui un eccellente interprete di
Rachmaninov. La parte orchestrale, di rilievo in
alcuni frangenti - anche se l'incidenza
pianistica risulta primeggiante- ha visto in
Chung e nella Filarmonica della Scala ottimi
alleati nel sostenere ottimamente questa
interpretazione. Splendidi i bis solistici
concessi da Romanovsky con un determinato
Preludio di Rachmaninov, l'Op.23 n.5, e
un noto brano di Bach, Badinerie, dall'Ouverture
in si minore BWV 1067, nella
splendida
trascrizione di Yushkevitch. Esecuzione
quest'ultima eccellente. Dopo l'intervallo un
capolavoro come la Sinfonia "Patetica" ha
concluso in modo stupefacente la serata. La
profondità di analisi del direttore sud-Coreano
è stata ben espressa nelle chiare e dettagliate
timbriche della Filarmonica scaligera.
L'interpretazione, complessivamente di alto
livello, ha trovato nel geniale Finale Adagio
lamentoso un frangente di autentica immensa
arte. Le ultime soffuse note terminano con una
pausa finale che meritava un silenzio più lungo
e profondo, ma c'è sempre qualcuno che ha fretta
d'applaudire e non sa che anche
quel silenzio è musica. Fragorosi gli
applausi del numerosissimo pubblico intervenuto.
Da ricordare a lungo.
12 settembre 2019 Cesare
Guzzardella
Due concerti brahmsiani per il Festival MITO
Due concerti dedicati a
Johannes Brahms si sono svolti nelle sere di
lunedì e di martedì per il
MITO.
Il primo cameristico ,
al Piccolo Teatro Grassi con due ottimi
strumentisti quali Daniel Müller-Schott al
violoncello e Olli Mustonen al pianoforte; il
secondo al Teatro Dal Verme con l'Orchestra del
Teatro Regio di Torino diretta dalla newyorkese
Marin Alsop. Due programmi diversi che ci hanno
dato un'idea precisa del vasto mondo musicale
del grande amburghese: quello intimistico delle
Sonate per Violoncello e pianoforte n.1 e n.2,
alle quali si è aggiunta un'ottima trascrizione
della Sonata per violino in re maggiore op.78,
resa molto bene con lo strumento ad arco piu
grave; quello estroverso e legato ancor più alla
tradizione mitteleuropea delle Danze
ungheresi ( n.1-3-5), delle Variazioni su
un tema di Haydn op.56a e
della
ancor più celebre Sinfonia n.4 in mi minore
Op.98. Nel primo concerto, le qualità
rilevanti del violoncellista tedesco e del
pianista finlandese sono emerse in una unione
d'intenti che ha portato ad interpretazioni
precise, dettagliate e non solo formalmente
rilevanti. Specie nella Sonata n.2 in fa
maggiore op.99, l'originalità interpretativa
è stata dettata soprattutto dal modo creativo
d'intendere la musica
dell'interprete-compositore Mustonen,
enfatizzato dal bellissimo colore del
violoncello di Müller-Schott che nei momenti di
grande melodicità ha esaltato la splendida
sonata con arcate chiare e intensamente
espressive. Nella serata sinfonica del Dal Verme
abbiamo trovato una decisa e precisa resa
stilistica attraverso la direzione
della
bravissima Marin Alsop, direttore stabile
dell'orchestra statunitense di Baltimora.
L'Orchestra del Teatro Regio di Torino ha
mostrato unità coloristica ed espressività anche
negli interventi delle singole sezioni
orchestrali. Ottimamente eseguiti tutti tre i
lavori con un finale splendido nell'Allegro
energico ed appassionato della Sinfonia
n.4 e nel bis concesso con la ripetizione
dell'estroversa e toccante più celebre danza
ungherese. Successo di pubblico in entrambi i
concerti che ricordiamo essere stati denominati
Terre Brahmsiane e Mitteleuropa ed
essere stati introdotti con chiarezza
rispettivamente da Gaia Varon, giornalista e
musicologa, e da Nicola Campogrande, compositore
e direttore artistico del Festival Mito. Da
ricordare.
11 settembre 2019 Cesare
Guzzardella
Presentato al Teatro
alla Scala il Festival
Milano Musica
La
presentazione di questa mattina alla Scala del
prossimo Festival di musica Contemporanea
Milano Musica ha visto come ospite di
riguardo il compositore milanese Luca
Francesconi, artista al quale il Festival di
quest'anno è dedicato. Dal 2 ottobre al 25
novembre, 24 appuntamenti in dodici sedi
differenti intratterranno gli appassionati della
musica piu vicina a noi con programmi
diversificati, dove insieme alle numerose
composizioni di Francesconi troveranno
ospitalità altri importanti compositori quali
Stockhausen, Berio, Lachenman, Donatoni,
Castiglioni e moltissimi altri. Tra le numerosi
sedi, oltre il Teatro alla Scala, l'Auditorium,
il Conservatorio,
troveranno
sede di concerti sedi minori ma comunque
importanti come il Civico Planetario, le
Gallerie d'Italia e altre ancora. Gli interventi
dell'Assessore alla Cultura del Comune di Milano
Filippo Del Corno, del direttore di Milano
Musica Cecilia Balestra e del Consulente
artistico di Milano Musica Marco Mazzolini,
hanno trovato conclusione con l'interessante
intervento di Luca Francesconi che dopo una
breve ed esaustiva conferenza sul mondo musicale
attuale al termine ha presentato un suo brano
del 1985-86 denominato Mambo
eseguito ottimamente dal pianista Andrea
Rebaudengo.
10 settembre 2019 C.G.
Katia e
Marielle Labèque al Dal Verme per
MITO
Il Festival musicale MITO
ci ha riservato ancora una volta la possibilità
di assistere ad un ottimo concerto attraverso la
presenza di due straordinarie pianiste quali
Katia e Marielle Labèque. Ieri al Teatro Dal
Verme, nel tardo pomeriggio, l'orchestra de I
Pomeriggi Musicali era diretta da
Alessandro
Cadario per un impaginato variegato introdotto
da un brano in prima esecuzione italiana di
Régis Campo (1968) denominato Ouverture en
forme d'étoiles. Campo è un compositore
francese
pressochè sconosciuto in Italia ma affermato
all'estero con vasta produzione musicale.
La sua Ouverture ritrova una tendenza
oramai particolarmente diffusa nel mondo
contemporaneo di ritorno all'uso della tonalità
e alla chiarezza espressiva. Il brano, nel quale
gli archi sono elementi dominanti, suggerisce
una piacevole suggestiva diffusione di sonorità
ripetute con effetti di riverbero ridondanti.
Ricorda certa musica minimalista potenziata da
un'ottima orchestrazione esaltata dai bravissimi
strumentisti de I Pomeriggi e dalla
valida direzione di Cadario. L'ingresso di Katia
e Marielle Labéque ha indirizzato il concerto ad
una
composizione
particolarmente celebre quale il Concerto per
due pianoforti ed orchestra di Francis
Poulenc. Tre movimenti in stile neo-classico
pieni di dinamicità e positività resi benissimo
nella energica, fluida e precisa esecuzione
delle sorelle coadiuvate da un'eccellente
direzione di Cadario e dalla conseguente
splendida resa coloristica dell'orchestra. Dopo
l'intervallo ancora un celebre piccolo
capolavoro quale Le carnaval des animaux
di Camille Saint-Saëns. Oltre alle due valenti
pianiste, anche i singoli e pochi strumentisti
presenti nell'orchestra cameristica hanno messo
in risalto le loro qualità strumentali in un
lavoro destinato anche alla didattica musicale
ma con momenti come
Aquarium,
Le Cygne e il Finale destinati
all'immortalità. Grandissimo successo con uscite
in palcoscenico ripetute di tutti i
protagonisti. Da ricordare.
8 settembre 2019 Cesare Guzzardella
CLARINETTI AMERICANI
PER MITO
Tra i numerosi concerti che
in questi giorni hanno trovato una numerosa
partecipazione di pubblico nella rassegna
musicale MITO di Milano e di Torino, abbiamo
ascoltato ieri sera, presso il Piccolo Teatro
Grassi ,
un trio di clarinetti particolarmete rilevante
accompagnato
dall'ottimo
pianoforte
di Monaldo Branconi. Il noto clarinettista
Alessandro Carbonare, partecipe pressochè di
tutti i variegati brani presentati, ha trovato
il sostegno di Perla Cormani e di Luca Cipriano-
al clarinetto basso- per un
impaginato originale e diversificato
denominato "Clarinetti americani" dove brani del
Novecento di Poulenc, Gershwin, Bernstein, Corea
e autori del sud-america, sono stati eseguiti
con modalità stilistiche tra il classico e il
jazz. I lavori proposti hanno sottolineato
qualità evidenti grazie alle profonde e
penetranti timbriche degli strumenti ad ancia.
La nota Sonata per clarinetto e pianoforte
del francese Francis Poulenc, eseguita da
Carbonare ad introduzione della serata, aveva
avuto negli Stati Uniti la sua prima esecuzione.
È certamente un brano che mette in risalto
eleganti e profonde modalità compositive del
geniale musicista parigino. Precisa e fluida
l'ottima esecuzione fornita da Carbonare.
Con
i noti Tre Preludi di George Gershwin,
nella riuscita trascrizione per tre clarinetti
di Luca Cipriano, siamo passati alle audaci
timbriche jazz che il grande musicista ha reso
celebri in tutto il mondo. L' evidente
formazione classica di Gershwin è emersa anche
nella suite proposta dal trio su temi tratti da
Rapsodie in blu,
Someone to Watch over Me e I Got Rhythm.
La Sonata per clarinetto e pianoforte di
Leonard Bernstein ha trovato ancora
un'impeccabile esecuzione di Carbonare e ha rivelato
un lavoro di rara esecuzione che meriterebbe una
maggiore frequentazione. I brani di Chick Corea
nella Jazz Suite per tre clarinetti hanno
fatto emergere le qualità improvvisative dei tre
strumentisti. La vivace musica del Sud-America è
stato poi proposta con i divertenti e
virtuosistici Brazilian Tales
di Nazareth, Pascoal e Gismonti nelle
esaustive trascrizioni di Cipriano. Non
dimentichiamo l'ottimo brano pianistico di
Braconi con Malambo n.7 di Alberto
Ginastera e il divertente bis finale con un
folclorico brano della tradizione Klezmer.
Bravissimi tutti. Fragorosi gli applausi del
pubblico. Da ricordare.
7 settembre 2019 Cesare
Guzzardella
Prossimamente a
Milano il Quartetto Armonium
Il
9 settembre il Quartetto Armonium terrà
un concerto presso la chiesa di San Giovanni in
Laterano di piazza Bernini a Milano. In
programma musiche di Haydn, Dvorak, Gerswhin, e
del giovane compositore Gianfranco Messina.
Violino primo del Quartetto Armonium Fatlinda
Thaci, spalla dell'orchestra "I Pomeriggi
Musicali". E' prevista la partecipazione del
clarinettista Domenico Calia. Da non perdere.
2 settembre 2019
dalla redazione
LUGLIO 2019
Musica al
Dal Verme e al Planetario
Due manifestazioni musicali
di pregio ieri a Milano. La prima, svoltasi nel
tardo pomeriggio, ha visto al Dal Verme
l'orchestra de I Pomeriggi Musicali
diretta da Yusuke Kumehara in una rarità di
Respighi, quale il Concerto all'antica in la
minore per violino ed orchestra. A seguire,
un brano assai frequentato, quale la Sinfonia
n.1 in re maggiore "Classica" di S.
Prokof'ev.
Entrambi
i lavori in stile
neoclassico
mostrano il ritorno a modi espressivi legati a
secoli più lontani rispetto al primo Novecento,
periodo compositivo dei due brani. Il Concerto
all'antica di Ottorino Respighi è del 1908 ed
anticipa di una decina d'anni la Sinfonia
"Classica" del grande russo. Modalità
compositive del Settecento e dell'Ottocento
emergono e vengono sottolineate dalla bellissima
voce, tutta italiana, del violino. Ottima
l'esecuzione di Fatlinda Thaci, solista
protagonista. Specie nei movimenti laterali,
Allegro e Scherzo vivace, la Thaci ha
rivelato determinazione ed incisività attraverso
un timbro legato, sciolto e particolarmente
luminoso. Bravi gli orchestrali e valida la
direzione di Kumehara in entrambi i lavori.
La
seconda manifestazione, svoltasi alla sera, era
dedicata al cinquantenario
dell'allunaggio. La sede del Planetario milanese
ha accolto, a sala esaurita, un folto pubblico
per una serata di astronomia, letture e musica,
ricca e articolata, che ha ricordato la missione
dell'Apollo 11 nella memorabile giornata del 20
luglio 1969. Intelligente la diversificazione
operata da Riccardo Vittorietti, che ha
presentato e guidato la serata dal punto di
vista storico- scientifico, con proiezioni sulla
cupola, da Stefania Origoni, voce recitante, che
ha letto brani scelti da Jules Verne, Ungaretti,
Rodari e altri; dal pianista Luca Schieppati e
dal mezzosoprano Külli Tomingas . Si è
realizzato un interessantissimo
incontro-spettacolo nel quale elementi di
ascolto raccontati e recitati, di proiezioni
visive e di esecuzioni musicali aventi come tema
la Luna, hanno reso avvincente la serata
nell'affascinante cornice del Planetario. Valide
sotto ogni profilo le esecuzioni dei brani "ad
hoc" tra i quali ricordiamo l'Adagio
sostenuto della celeberrima Sonata "Al
chiaro di luna" di Beethoven e l'altrettanto
noto Clair de lune di Claude Debussy,
entrambi eseguiti ottimamente da Schieppati.
Pregnante la voce della Tomingas che ha cantato
in numerosi brani, quali per esempio Vaga
luna che inargenti di Vincenzo Bellini,
Clair de lune di Gabriel Fauré e la
Canzone alla luna di Dvorak. Segnaliamo
inoltre il brano dal sapore "futurista" Danza
dell'inquieto planetario del compositore
Carlo Galante, presente ed applaudito in sala.
Meritati e prolungati applausi al termine e un
simpatico gadget "lunare" a tutti i
partecipanti. Da ricordare!
21 luglio 2019 Cesare
Guzzardella
Prossimamente il Festival
Beethoven a Varallo
![](aprile%202011/festivalbeethoven2.jpg) Segnaliamo
il prestigioso Festival Beethoven che si
terrà a Varallo in val Sesia nella Biblioteca
Civica Farinone Centa dal primo al quattro
agosto. Organizzato dal Maestro Massimo
Giuseppe Bianchi, affermato pianista e
direttore artistico della rassegna, e dall'Associazione
Culturale "Musica con le
Ali" , questa manifestazione
musicale vedrà la presenza di numerosi giovani
talenti, molti dei quali già particolarmente
affermati. Tra questi ricordiamo i violini di
Gaia Trionfera, Ferdinando Trematore, Sara
Dionisia Zeneli; le viole di Benedetta Bucci,
Martina Santarone; i violoncelli di Ludovica
Rana, Giulia Attili, Giacomo Cardelli ed flauto
di Bianca Fiorito. Al pianoforte naturalmente
Massimo Giuseppe Bianchi offrirà le sue rinomate
qualità d'interprete. Da
non perdere!
19 luglio 2019 dalla
redazione
The
Kabuki al Teatro
alla Scala
Non conoscevo The Kabuki,
il balletto terminato e rappresentato nel 1986
da Maurice Béjart (1927-
2007) sulle musiche di Thoshiro
Mayuzumi(1929-1997). Mi è piaciuto
particolarmente per la sua variet à
espressiva, sia coreografica
che musicale. È un balletto sostanzialmente
moderno che ricalca una tradizione antica
giapponese: la
Chunsigura
è della metà del '700
e
racconta le vicende di 47 samurai orfani del
loro padrone che allo stato di ronin, si
fanno harakiri
dopo il suicidio del loro capo.( prime
due foto di Kiyonori Hasegawa-Archivio
Scala) Il Prologo
dura pochi minuti ed è ambientato nella moderna
Tokio, è particolarmente dinamico e si
contrappone alle altre scene mostrando i
"samurai" alle prese con un ballo da discoteca
molto vivace. Qui la parte musicale di Mayuzumi
riprende un certo stile musicale occidentale
alla "rock progressivo" degli anni '70,
particolarmente ritmico e coinvolgente. I
numerosi cambi di scena ci porteranno poi in
situazioni diverse, a ritroso nel tempo, con
scene
anche
molto tradizionali, anticipate anche dalle
antiche voci di tayu e samisen. La
varietà musicale di Mayuzumi attraversa stili
differenti con stilemi occidentali presi dalla
musica classica novecentesca - il richiamo allo
Shostakovich della Sinfonia n.5 in una
scena centrale è evidente - ma anche alla musica
progressiva degli anni 70 e poi alla tradizione
orientale kabuki. C'è anche un utilizzo
di una sua precedente composizione sinfonica,
l'ultimo movimento della Nehan Symphony,
nella scena finale. L'immensa creatività del
marsigliese Maurice Béjart ha trovato
ispirazione, come sempre in lui accade, dalla
ritmiche e dai colori della musica, in un
perfetto adattamento coreografico nel prologo
e nelle nove scene che compongono il
lavoro. La validità di The Kabuki è
proprio in queste differenze di stile e di
linguaggi che si susseguono creando contrasti in
situazioni
temporali differenti. Splendido il finale con le
numerose danze dei samurai che si susseguono
celermente fino alla geometrica scena, un
perfetto triangolo, dell'harakiri. Il
Tokio Ballet, nella replica vista domenica e due
giorni dopo il mirabile trittico con i balletti
di Balanchine, Kilyan e Béjart, ancora una volta
con The Kabuki di Béjart-Mayuzumi, ha
dimostrato le proprie
eccellenti qualità espressive. Dei
numerosi splendidi ballerini in scena citiamo
almeno il più presente: Yasuomi Akimoto nel
ruolo principale di Yuranosuke. Ottime le
scene e i costumi di Nuno Côrte-Real. Musica
registrata ma ottimamente definita. Da ricordare
a lungo!!Successo di pubblico, applausi ed
omaggi dei ballerini alla platea.
16 luglio 2019 Cesare
Guzzardella
The
Tokyo Ballet
al Teatro alla Scala
Una serata diversa dal
consueto ha accolto al Teatro alla Scala il
corpo di ballo del Tokyo Ballet per tre
balletti molto frequentati quali Serenade
per la corografia di George Balanchine e la
musica di
Čaikovskij , Dreamtime per la coreografia
di Jîrí Kylián e la musica di Töru
Takemitsu e Le Sacre du printemps per
Maurice Bêjart e la straordinaria
composizione
di Igor Stravinskij. L'Orchestra dell'Accademia
del Teatro alla Scala ha trovato sul podio
l'ottimo Paul Murphy. Noi, abituati all'eccellenza
dei ballerini scaligeri, dobbiamo ammettere che
anche in altri importanti teatri del mondo
coltivano questa fondamentale forma d'arte, ad
un livello espressivo altissimo. Il Tokyo
Ballet è certamente un esempio di
consolidata qualità da oltre cinquant'anni.
Tutti e tre i balletti sono la prova tangibile
di come la migliore musica possa esprimersi in
modo paritario e sinergico con le architetture
coreutiche nelle quali ogni movimento, sia esso
singolo che di gruppo, è in perfetta sintonia
con i ritmi e i colori musicali. La bellezza
melodica della Serenata per archi di
Čaikovskij
ha avuto risposta nella leggerezza del numeroso
e soprattutto femminile corpo di ballo
giapponese, con infinita grazia nella creatività
di George Balanchine. L'iper-classicismo di
questo balletto romantico trova espressività
attraverso una delicatezza ed una leggerezza che
stupisce e che traspare in modo evidente dagli
esili corpi delle ballerine. L'orchestra d'archi
in Serenade esprime
un'omogeneità
timbrica che viene rivisitata in termini di
movenze sciolte e disinvolte dagli oltre venti
ballerini presenti in scena. Ricordiamo almeno
Mamiko Kawashima in Waltz e Mizuka Ueno
in Angel. Ottimi i costumi di Karinska e
le luci di Mark Stanley. Il secondo balletto
proposto, Dreamtime di Kylián è sulla
bellissima omonima musica composta nel 1981 da
Toru Takemitsu. Purtroppo non ha avuto
un'esecuzione live ma comunque un'ottima
riproduzione sonora ha raggiunto l'obiettivo di
qualità espressiva utile al balletto. Sono solo
cinque i danzatori sulla scena, tre femminili e
due maschili. Anche qui il rapporto musica-danza
ha raggiunto livelli altissimi con movenze
discrete e sensuali plasmate dalle sonorità
suggestive di Takemitsu. Di grande efficacia le
scene ed i costumi di John Macfarlane e
fondamentale il gioco di luci di Kylián. Citiamo
i cinque prestigiosi interpreti, tutti
eccellenti: N.Kishimoto, H.Kaneko, K.Oki,
J.Okazaki e A.Miyagawa. Con l'ultimo balletto di
Maurice Bejart, sul celebre Sacre du
printemps di Stravinskij, abbiamo raggiunto
una
vetta assoluta. L'incredibile fantasia del
grande coreografo francese ha delineato movenze
scultoree, piene di forza espressiva attraverso
i passi dei numero
ballerini che espletano movenze sicure e ricche
di sensualità. Di straordinaria bellezza le
avvincenti geometrie che attraverso gli intensi
timbri musicali sprigionano energia positiva
nella danza tribale collettiva. Citiamo almeno i
superlativi ballerini Yuki Higuchi, L'Elu
e Akimi Denda, L'Elue. Ottima la
direzione di Paul Murphy nei due lavori
orchestrali e bravissimi gli Accademici
scaligeri. Questa sera e domani alla Scala
ancora The Tokio Ballet con The Kabuki:
splendide coreografie di Bejart sulla musica di
Toshiro Mayuzumi. Da non perdere. Tutti
splendido!
13 luglio 2019 Cesare Guzzardella
Presso Fazioli a Milano
Francesca Dego ha presentato il Premio "Daniele
Gay"
La violinista italiana
Francesca Dego e l'Associazione Musica con le
Ali presieduta da Carlo Hruby hanno promosso
presso
lo showroom Fazioli di via
Conservatorio
17 in Milano il Premio "Daniele Gay",
dedicato al noto violinista e didatta,
insegnante per trentasei anni al Conservatorio
milanese. Il premio ogni anno verrà offerto da
Francesca Dego per ricordare il suo più
importante maestro di violino, purtroppo mancato
nel settembre del 2018. Alla presentazione del
Premio erano presenti anche Luisa Gay, moglie di
Daniele e Fabiola Tedesco, la ventiduenne
virtuosa vincitrice di questo primo premio. La
Dego ha ricordato con parole particolarmente
sentite la figura del suo Maestro, mentre Carlo
Hruby ha elencato le finalità della sua
associazione che trovano nell'aiuto ai giovani
strumentisti in cerca di miglioramento e di
inserimento il punto di forza. Scopo dell'Associazione
Musica con le ali sarà oltre che alla
valorizzazione
e promozione
di
giovani interpreti della musica classica anche
la realizzazione di incontri e concerti
cameristici insieme a già affermati protagonisti
come la Dego. I concerti avverranno sempre in
luoghi di rinomata qualità. La signora Gay ha
ricordato, con piacevoli aneddoti, la completa
dedizione del marito alla sua attività
d'insegnante e violinista. Infine la giovane
vincitrice Fabiola Tedesco ha raccontato il
periodo di formazione iniziato all'età di nove
anni sino al diploma ed ai perfezionamenti che
in seguito l'hanno portata a raggiungere
importanti traguardi, cui si aggiunge adesso
anche la vittoria di questo premio. La
premiazione ufficiale avverrà al Teatro La
Fenice (Sale Apollinee) di Venezia il 23
settembre alle ore 18.00 in una "serata dedicata
a Daniele Gay" nella quale Fabiola Tedesco,
Francesca Dego e la pianista Francesca Leonardi
eseguiranno brani di
Beethoven, Prokofiev e Shostakovich. Un assaggio
dei Cinque pezzi per due violini e pianoforte
di Shostakovih è stato eseguito dal trio a
conclusione del piacevole incontro: prima il
Preludio e poi la Gavotta.
Bravissime! Lunghi applausi al termine.
12
luglio 2019 C.G.
I mille volti
della musica
contemporanea a Villa Litta
Una serata da ricordare
quella organizzata dal compositore-pianista
(anche violinista) Gianfranco Messina a Villa
Litta di Affori. Nella bellissima sala
affrescata, davanti un selezionato pubblico, si
sono alternati i soprano Angela Lisciandra
e
Yoko Kawamoto, la compositrice-pianista Elena
Maiullari ed il compositore-pianista Gianfranco
Messina per l'esecuzione di brani di Gershwin,
Bernstein, Donizetti e Verdi seguiti da brani
contemporanei di Guzzardella e degli
stessi Maiullari e Messina. Messina ha anche
presentato in modo divertente la serata ed
accompagnato prima la Lisciandra in
Summertime e
Tonight e poi la Kawamoto in O mio Fernando
dalla donizettiana "La Favorita" e in O don
fatale dal verdiano "Don Carlo". Bravissime
le interpreti: entrambe
con voci particolarmente
voluminose e con ottima intonazione hanno
mostrato sensibilità non indifferente in queste
liriche particolarmente note. La compositrice
Elena Maiullari si è prima cimentata in tre
lavori di Guzzardella quali
Dolcemente Anna, Echi e Segni nel
tempo.
Particolari
i suoi lavori sperimentali, gestuali-atonali
quali Onde, Pulsar e Riflessi nel
quale l'uso completo del pianoforte, sia nella
cordiera preparata che nella cassa di risonanza
e nella tastiera, determina suggestive
sensazioni. Abbiamo apprezzato soprattutto
Onde per le sonorità quasi
clavicembalistiche dal sapore antico. Gianfranco
Messina ha concluso la serata prima come
interprete e poi come compositore-interprete. I
due brani di Guzzardella
Aiguablava
e MiReMiReMi - grazie Ludwig- sono stati
eseguiti con profondità di pensiero entrando in
sintonia con le intenzioni dell'autore in quelle
modalità riflessive che i lavori, specie in
Aiguablava, richiedono. Messina ha
evidenziato già nella presentazione l'ironia
insita nella composizione
MiReMiReMi dove viene fatta la giocosa
parodia sulle prime note del celebre Per Elisa
del genio tedesco. A conclusione,
i tre lavori di Messina, Risonanze,
Attesa e Valzer, hanno sottolineato
le peculiari caratteristiche del compositore
milanese, che utilizzando
un linguaggio tra il tonale e l'atonale,
crea situazioni dinamiche di ampio e
diversificato respiro sonoro,
caratterizzato da una ricchezza di contrasti
timbrici saldamente legati alla tradizione
europea di primo Novecento. Certo Ravel è
riconoscibile, a mio avviso, nell'originale
brano conclusivo Valzer. Applausi sentiti
dal pubblico intervenuto.
11 luglio 2019 Cesare
Guzzardella
Prossimamente a Villa
Litta in via Affori a Milano musiche di Messina,
Guzzardella e Majullari
Mercoledì
10 luglio nella milanese Villa Litta di via
Affori 21 si terrà un concerto tenuto dal
compositore-pianista Gianfranco Messina intorno
alla musica contemporanea secondo molteplici
possibilità d'espressione. Verranno eseguiti
brani di Gianfranco Messina, Cesare Guzzardella
ed Elena Majullari. Tre modi diversi d'intendere
la musica moderna, dalla tonalità più evidente
di Guzzardella con influssi suggeriti dal primo
Novecento e dal Minimalismo americano, alle
esperienze progressiste di Messina tra il tonale
e l'atonale, alla matrice più agguerrita ,
atonale e sperimentale della Majullari. Non
mancheranno esecuzioni di
brani classici di Gershwin e di
Bernstein grazie alla voce del soprano
Angela Lisciandra. Un concerto che va visto ed
ascoltato con attenzione.
9 luglio 2019
dalla redazione
Alla Scala
successo per il
Gianni Schicchi di Woody Allen
Il successo meritato ottenuto
dai Solisti e dall'Orchestra dell'Accademia
Teatro alla Scala, per il dittico composto dal
divertimento teatrale di Antonio Salieri
Prima la musica e poi le parole e dall'opera
in un solo atto di Giacomo Puccini Gianni
Schicchi, lo si deve certamente alla bravura
dei giovani interpreti accademici ma anche al
supporto fondamentale della direzione
orchestrale di Ádám Fischer, alla superlativa
voce di Ambrogio Maestri - protagonista in
entrambi
i lavori- e alla riuscita regia di Woody Allen
per quanto concerne Gianni Schicchi. L'operetta
a quattro voci di Salieri ci è parsa divertente
ma certamente contrastante in qualità con il
capolavoro pucciniano. La valida messinscena di
Grischa Asagaroff, con le riuscite scene e i
costumi di Luigi Perego, ha ben inquadrato
l'azione scenica dove il
Maestro di cappella Ambrogio Maestri ed il
Poeta Ramiro Maturana si muovevano tra
enormi strumenti musicali: violini e violoncelli
insieme ad una grande tromba ed un altrettanto
immenso clarinetto. Il bisogno di costruire in
breve tempo un dramma musicale spingerà il
poeta, autore del libretto, ed il compositore
Maestro di Cappella a continue discussioni
legate alla realizzazione del lavoro. La parte
recitata è assai lunga in questo unico atto
dalla durata di poco più di un'ora. L'ingresso
in scena di Anna-Doris Capitelli, Donna
Eleonora cantante di opera seria e di
Enkeleda Kamani, Tonina cantante di opera
buffa, rende vivo lo sviluppo del divertimento
tra bisticci e ravvedimenti. ( Foto di
Brescia-Amisano -Archivio Teatro alla Scala)
Il finale è lieto in un contesto di complessiva
eleganza estetica. Ottime le quattro voci con un
valore aggiunto per Anna-Doris Capitelli,
una
Donna Eleonora dalla timbrica calda e
decisa. Dopo l'intervallo, particolarmente
attesa era l'opera pucciniana per via della
regia di Woody Allen, che esordì come regista di
opere liriche nel 2008 a Los Angeles proprio per
Gianni Schicchi, senza peraltro più cimentarsi
in altri lavori del genere. Siamo rimasti
pienamente convinti della sua messinscena dal
sapore filmico con eccellente equilibrio nei
rapporti di dialogo tra i numerosi protagonisti.
Bellissima l'unica scena e i costumi in ambito
tradizionale di Santo Loquasto, un'ambientazione
che sa molto di America anni '20. La scena è
stata splendidamente valorizzata dai quindici
interpreti che costantemente si muovono, entrano
ed escono dal quadro scenico. Certo, l'ingresso
in palcoscenico a metà opera di Ambrogio Maestri
- un Gianni Schicchi ideale - ha potenziato in
termini sia di qualità timbrica che di presenza
scenica attoriale l'entusiasmante capolavoro
pucciniano. Ma anche le altre interpretazioni
sono apparse ottime. Tra le numerose voci della
prima replica di ieri sera ricordiamo almeno la
bravissima ed efficace Francesca Manzo, un'
ottima Lauretta con un esaustivo O
babbino caro; di grande spessore la voce di
Daria Cherny, una Zita voluminosa,
precisa ed incisiva; valido Chuan Wang, un
delicato e ottimamente impostato Rinuccio;
robusto Eugenio di Lieto, Simone. Bravi
anche Hun Kim, Gherardo, Francesca Pia
Vitale, Nella e il piccolo Benjamin Di
Falco, Gerardino. Bravi gli altri.
Ricordiamo che la regia di Allen è stata ripresa
da Kathleen Smith Belcher e le eccellenti luci
di York Kennedy riprese da Marco Filibeck.
Successo di pubblico e lunghi applausi a tutti i
protagonisti. Prossime repliche per il
10-15-17-19 e 21 luglio. Da ricordare. Da non
perdere le prossime repliche!
9 luglio 2019 Cesare
Guzzardella
Porgy
and Bess
al Teatro Regio di Torino
A Broadway nel 1935 ci fu la
prima esecuzione dell'opera di George Gershwin
Porgy and Bess, una "folk-opera", così
definit a
da Gershwin stesso per via dell' immensa
quantità di melodie -prima fra tutte
Summertime- che nel corso dei quattro atti
vengono cantate con quello stile popolare ricco
di spirituals, gospel, blues, worksong, che
hanno reso questo
capolavoro
musicale celebre in tutto il mondo. (Foto di
Luciano Romano a cura del Teatro Regio) Ci
furono allora anche giudizi negativi da parte di
quei critici che trovavano elementi leggeri
tipici dell'operetta d'intrattenimento. È invece
proprio nelle splendide melodie che abbiamo
ascoltato ieri pomeriggio al Teatro Regio di
Torino, interpretate dalla compagnia del New
York Harlem Theatre con un cast vocale
d'insieme eccellente e con gli splendidi
intrecci orchestrali, esaltati ieri
dall'Orchestra del Teatro Regio, che ritroviamo
un autentico capolavoro. L'orchestra era diretta
con grinta ed eleganza da William Barkhymer,
direttore artistico e musicale della Compagnia
americana. Dal punto di vista del "folclore"
troviamo una corrispondenza con l'ancor più
celebre francese Carmen. Anche nel lavoro di
Bizet le melodie presenti sono "popolari",
derivano dalla "canzone" e danno lustro
all'opera probabilmente più rappresentata al
mondo. In ambito statunitense
Porgy
and Bess precede per contenuti ed
ambientazione popolare West side story di
Leonard Bernstein e può essere considerata la
prima grande opera autenticamente americana.
L'unione tra la cultura europea e quella degli
spirituals, dei gospel e
del jazz ha trovato in Gershwin una sintesi
perfetta con un nuovo straordinario linguaggio
che riassume le sofferenza del popolo di colore
all'epoca decisamente sottomesso al potere del
mondo bianco. Abbiamo trovato valida la regia di
Baayork Lee nello splendido rapporto tra gli
elementi scenici di Michael Scott ed i costumi
di Christina Giannini. La forza di quest'opera è
soprattutto nella coralità espressiva di tutti i
partecipanti oltre agli straordinari interventi
solistici che hanno esaltato le splendide
melodie inventate dal grande musicista.
Ricordiamo le voci di Morenike Fadayomi, una
coinvolgente Bess, di Alvi Powell, un
misurato ed intenso Porgy, di Simone
Paulwell, un'espressiva Serena, di
Chauncey Packer, un
sicuro e deciso Sporting Life, di Doren
Stokes, un robusto Crown, di Alteouise De
Vaughn, un'ottima Maria, di Meroë Khalia
Adeeb, bravissima Clara e tutti gli
altri. Valide le luci di Reinhard Traub e la
preparazione e direzione corale di Richard
Cordova. Uno spettacolo di qualità che ha
pienamente meritato il successo ottenuto. Ultima
replica prevista per oggi alle ore 15.00 Da non
perdere!!
7 luglio 2019 Cesare
Guzzardella
Il
Quartetto Armonium in
concerto per brani di Haydn, Mozart e Messina
L'interessante concerto
cameristico svoltosi ieri sera a Milano nella
Chiesa di San Giovanni in Laterano di piazza
Lorenzo Bernini ha visto un'ottima formazione
cameristica quale il Quartetto Armonium,
un quartetto d'archi formato
dalla
violinista Fatlinda Thaci, spalla de "I
Pomeriggi musicali", dal secondo violino
Tetyana Fedevych, dalla viola di Emilio
Eria e dal violoncello di L.Rotondi.
Quattro ottimi strumentisti che hanno eseguito
brani di Mozart, Haydn e del giovane compositore
milanese Gianfranco Messina. Messina, anche
organizzatore della serata, ha presentato il
concerto soffermandosi sull'arte dei due geni
musicali, Haydn e Mozart che, come da lui detto,
riescono a fare emergere nella loro arte una
sorta di "complessità nella leggerezza". Ha
introdotto, dopo i classici,il suo breve ed
intenso lavoro. Siamo rimasti soddisfatti di
questa iniziativa sponsorizzata dal Lions
Milano Club Scala e dall'Associazione
Ritorno all'Opera in questa cornice
particolare di luogo sacro che con l'acustica
tipica delle chiese riverbera il suono in uno
spazio che sa d'infinito e lontano. I suoni dei
quattro archi sono risultati ben amalgamati
nella
chiarezza
delle timbriche classiche prima in Mozart con
alcuni Divertimenti e poi in Haydn e
un suo Quartetto
dall'op.64 e ci
sono sembrati piuttosto chiari gli elementi
musicali malgrado il riverbero che in queste
situazioni non sempre favorisce la bellezza
delle timbriche di molti strumenti. Le qualità
degli ottimi musicisti sono emerse in toto in
tutte le esecuzioni dei classici, con una
fluidità e trasparenza decisamente di alto
livello. La sorpresa finale è stata
rappresentata dal breve ma luminoso brano di
Gianfranco Messina, un quartetto d'archi in un
unico movimento di circa cinque minuti eseguito
splendidamente dalla formazione cameristica che
è riuscita a fare emergere contrasti delicati in
ambito tonale all'interno di un'evoluzione
melodico-armonica particolarmente varia,
diversificata ma con un'unità stilistica
personale che rimanda molto alla tradizione
cameristica italiana e che ben si è trovata in
sintonia con i brani classici precedenti. Ottimo
lavoro. Lunghi applausi dal numeroso pubblico
intervenuto. Da ricordare.
6 luglio 2019 Cesare
Guzzardella
Paolo Fresu
e la
Norma in jazz in
Conservatorio
Due dei dischi che spesso
ascoltavo da giovane erano la versione di Gil
Evans e Miles Devis del noto Porgy and Bess
di George Gershwin e il Concerto di
Aranjuez di Rodrigo sempre nella versione di
Evans-Davis. Rielaborazioni in
chiave
jazzistica di brani come il celebre
Summertime, dove i caldi colori orchestrali
si fondevano con la splendida timbrica di Davis
non possono essere dimenticati. Paolo Silvestri,
noto direttore classico-jazz, probabilmente
partendo da quelle storiche incisioni ha pensato
di rielaborare alcune tra le più celebri arie
della Norma di Vincenzo Bellini
attraverso la corposa big-band dell'Orchestra
Nazionale Jazz dei Conservatori ed il bellissimo
timbro della tromba di Paolo Fresu.
L'operazione, tra il classico e il jazz, ha
portato alla realizzazione di sette momenti
musicali di ampio respiro dove la rielaborazione
in chiave jazzistica delle melodie belliniane
ha
avuto momenti di autentico splendore con grandi
brani come Casta diva, Mira o Norma,
Oh rimembranza!, ecc. In questa riuscita
operazione l'intervento dell' ottima e giovane
compagine strumentale ha avuto un ruolo
essenziale. Gli impasti sonori caldi negli
ottimi arrangiamenti di Silvestri hanno
preservato la bellezza melodica di alcuni
momenti topici e da brivido che solo il genio
del grande compositore catanese poteva
realizzare. Fresu ha esternato il meglio
cogliendo l'essenza delle sublimi melodie e
diffondendo nella grande Sala Verdi del
Conservatorio milanese il timbro più caldo del
filicorno o quello altrettanto
raffinato della tromba. Momenti di sana
improvvisazione in
una
struttura assolutamente prestabilita e ben delineata
non sono mancati, ed anche singoli strumentisti
hanno dato sfoggio alle loro ottime abilità
solistiche con interventi
rilevanti dei sax, del trombone e del flauto.
Abbiamo trovato quindi validi gli arrangiamenti
di Silvestri con momenti di sobria e raffinata
classicità alternati ad altri di più concitata
esternazione al limite di una musicalità dal
sapore free. I timbri caldi, specie nel
filicorno di Fresu, hanno trovato compiutezza
estetica anche nei soffici accompagnamenti
dell'ottimo pianoforte e del
contrabbasso,
entrambi molto rispettosi degli interventi dei
compagni. Sala Verdi era colma di pubblico
malgrado il diluvio torrenziale milanese che ha
preceduto il concerto, concerto iniziato
leggermente in ritardo per consentire l'accesso
di chi si era trovato a disagio per
l'interminabile pioggia.
Fragorosi
gli applausi al termine del programma ufficiale
e ancora la bellissima Casta diva come
bis. Bravissimi!
4 luglio 2019 Cesare
Guzzardella
Successo
alla Scala
per
I Masnadieri
all'insegna della
tradizione
Ultime repliche alla Scala
per I Masnadieri, un'opera verdiana che
mancava dal teatro milanese da oltre
quarant'anni. Ieri alla quinta rappresentazione
il buon successo per questo lavoro relativamente
giovanile di Verdi è stato esternato da un
pubblico soddisfatto soprattutto per
l'avvincente direzione di Michele Mariotti
e per l'equilibrio complessivo del cast vocale (foto
di Brescia-Amisano Archivio Scala) con una
Lisette Oropesa, Amalia - per la prima
volta sul palco
della
Scala- che ha sfoggiato eccellenti qualità con
timbrica personale, precisa ed esaustiva in ogni
situazione. I Masnadieri venne
rappresentato per la prima volta a Londra nel
luglio del 1847 con soggetto tratto da Die
Räuber di Friedrich Schiller e su libretto
di Andrea Maffei. Certo, la messinscena di David
McVicar, per le scene di Charles Edwards, i
costumi di Brigitte Reiffenstuel e le luci di
Adam Silverman, risponde al bisogno di una
tradizione lirica che sa di antico e datato, ma
probabilmente è in sintonia con i bisogni di un
pubblico spesso tradizionale e non sempre alla
ricerca di novità lirico-teatrali. I movimenti
coreografici di Jo Meredith hanno in parte
trasgredito alle scelte più tradizionali con
ingressi di rottura parzialmente
riusciti. Complessivamente il lavoro di nuova
produzione
scaligera
risulta valido. Mariotti
si è dimostrato un ottimo direttore verdiano
attraverso una concertazione di spessore, decisa
e controllata che ha messo in rilievo tutta la
musicalità del grande operista di Busseto. Tra
le altre notevoli voci sono emerse oltre alla
migliore Oropesa, quelle di Michele Pertusi,
Massimiliano, e di Fabio Sartori, Carlo.
Valide complessivamente anche le timbriche di
Massimo Cavalletti, Francesco, Francesco
Pittari, Arminio, Alessandro Spina,
Moser e Matteo Desole, Rolla. Sempre
di alta qualità il Coro
preparato da Bruno Casoni, molto presente e
spesso unito a numerosi partecipanti mimi.
Segnaliamo l'eccellente parte strumentale del
violoncello di Massimo Polidori, splendido primo
cellista scaligero. Ultime repliche previste per
il 4 e il 7 luglio. Da non perdere.
2 luglio 2019 C. G.
Carlo Tenan
ed Emanuele Arciuli per la stagione
estiva della Sinfonica Verdi
La stagione estiva della
Sinfonica Verdi ha visto ieri sera un concerto
sinfonico diretto da Carlo Tenan per brani di
Gershwin, Einaudi e Ginastera. Il direttore ha
ottimamente interpretato tutti i lavori proposti
rivelando una versatilità
analoga
a quella dei bravissimi strumentisti dell'
Orchestra Sinfonica Verdi. Le sue scelte
musicali diversificate hanno un occhio di
riguardo per la musica del Novecento, per il
jazz e per i minimalisti di cui Ludovico Einaudi
può considerarsi un epigono tutto italiano. I
due brani dello statunitense George Gershwin,
Cuban Ouverture e Catfish Row, suite
dalla celebre opera Porgy and Bess, sono
stati inframmezzati da Domino, il
concerto per pianoforte e orchestra di Einaudi.
Un contrasto netto tra la semplicità strutturale
del compositore torinese che gioca su semplici e
facili temi proposti con varianti continue ben
accostate dai colori di una valida orchestra
d'archi (più arpa) e la complessità strutturale
e ritmica, unita alla bellezza melodica del
genio statunitense che prima nella ricchezza dei
ritmi cubani dell'ouverture e poi
nell'altrettanto geniale orchestrazione della
suite Catfish Row fa faville. Superlativi
i momenti celeberrimi d'impronta jazz-blues e le
note meravigliose del celebre Summertime
introdotte splendidamente dalla sezione dei
violini.
Il valido brano di Ludovico Einaudi ha avuto
come eccellente interprete Emanuele Arciuli,
pianista poliedrico, affascinato dalla musica
statunitense novecentesca e da certo
minimalismo. La professionalità evidente nel
definire benissimo le note della partitura di
Einaudi ha elevato ad un rango di classicità con
resa espressiva di valore il lavoro del noto
compositore torinese. Domino risale al
2016 e ritrova le caratteristiche tipiche di
Einaudi giocate su una iniziale facilità d'
ascolto che acquista valore nello sviluppo
complessivo dell'esecuzione dal carattere
meditativo. Notevoli i contrasti tra i tre
movimenti con il secondo ben compensato dai
chiari colori orchestrali. Il pubblico ha molto
apprezzato l'interpretazione tributando calorosi
applausi all'interprete,
all'orchestra ed alla direzione e Arciuli
ha proposto un bis ancora all'insegna della
semplicità con poche e geniali note di un
Beethoven probabilmente giovane
con la Bagatella
op.33 n.3. Il concerto è terminato con
Estancia,
quattro
danze di Alberto Ginastera che dimostrano la
genialità d'orchestrazione del grande
compositore argentino con un finale nel
Malambo che trova nella splendida
fragorosità delle ultime note ripetute ad
oltranza l'essenza della cultura musicale
positiva sudamericana. Splendidi i colori
orchestrali ed eccellente la direzione di Carlo
Tenan. Da ricordare.
1 luglio 2019 Cesare
Guzzardella
GIUGNO 2019
SERATA CONCLUSIVA DELLA STAGIONE DEL
FESTIVAL VIOTTI A VERCELLI
Ieri sera, domenica 23
Giugno, al Teatro Civico di Vercelli si è chiusa
la XXI stagione del Festival intitolato al
grande violinista Giovanni Battista Viotti: per
qualità delle proposte e livello degli
interpreti, si è trattato a parer nostro di una
delle migliori stagioni da quando (più di dieci
anni) seguiamo il Festival, che ormai si è
conquistato più che meritatamente un posto
significativo nella vita musicale non solo
piemontese: la settimana passata la Camerata
Ducale, l’orchestra stabile del Festival,
fondata e diretta dal violinista Guido Rimonda,
è stata invitata ad Amsterdam e ormai
alterna
i concerti a Vercelli con frequenti tournée in
Italia e all’estero. L’ultima serata della
stagione è stata consacrata a quella
straordinaria età dell’oro della storia delle
musica che fu il classicismo viennese di Haydn e
di Mozart, un tesoro dell’immenso patrimonio
della storia musicale che possiamo considerare
tra quelli in cui eccellono Guido Rimonda e la
Camerata Ducale. Un’eccellenza dovuta alla
qualità dell’interpretazione, fatta di un suono,
trasparente e di delicata dolcezza negli impasti
timbrici, di perfetto aplomb di classico
equilibrio nello stacco dei tempi, di sapiente
chiaroscuro nelle dinamiche, con un fraseggio
sempre fluido e capace di cogliere tanto le zone
di più serena solarità, quanto le repentine,
inquietanti zone d’ombra che affiorano,
soprattutto in Mozart, nella limpidezza della
partitura. Tali risorse esecutive sono uscite
confermate, se mai ce ne fosse stato bisogno,
dal programma di ieri sera, che proponeva al
folto pubblico presente il Concerto di Haydn per
violino e orchestra d’archi in Do maggiore n.1
(sarebbe previsto anche il basso continuo, ma
ieri sera non era contemplato
dall’orchestrazione di Rimonda) Hob.VIIa 1, il
Concerto n. 3 per violino e orchestra KV 216 in
Sol maggiore di Mozart, e , trionfale
conclusione in Do maggiore, la mozartiana
Sinfonia n.41 Juppiter. Solista e direttore,
naturalmente, Guido Rimonda. E già l’attacco del
concerto haydniano pare scritto apposta per
mettere in luce quelle caratteristiche dello
stile esecutivo della “Ducale” e del
suo
direttore/solista, con quell’energico attacco
del violino su doppie corde e l’improvviso
cambio di colore con una virata sul modo minore,
il tutto eseguito con la cavata ricca e piena
del magnifico “Noir” di Rimonda, sostenuta da
un’orchestra capace di accompagnare al meglio
queste sottili variegature di colori e di modi.
Bellissimo l’Adagio, in cui il solista si è
abbandonato al puro canto prevalentemente sul
registro acuto, mentre l’orchestra ne esaltava
la tensione espressiva con pizzicati che erano,
più che suoni, sospiri. Non potendo scendere nei
dettagli, sceglieremmo altri due momenti
veramente emozionanti di questa serata: ancora
un Adagio, quello del Concerto KV 216, in cui
sia l’orchestra, con i sordini dei violini e
delle viole e le tenere sonorità dei flauti, sia
il violino solista hanno dato piena voce a quel
che di trasognato ed estatico è presente in
questa pagina stupenda di Mozart. E,
naturalmente, la Juppiter, di cui
l’interpretazione di Rimonda fa un vero
monumento del classicismo viennese; con tempi
non esageratamente veloci, come si ascoltano
talora negli stretti di fuga dell’ultimo
movimento, e facendo emergere dalla partitura
una solennità non esteriore e marmorea, ma
animata da una delicata tensione espressiva che
la percorre dall’inizio alla fine e che ha il
suo registro di fondo in una luminosa serenità.
Quella luminosa serenità che Mozart ha voluto
apporre come sigla già nel primo tempo, con quel
delizioso terzo tema di schietto sapore
popolare, facendone l’idea centrale dello
sviluppo e che dà luce e respiro anche alle
possenti architetture fugate del gran Finale. Da
ricordare doverosamente il bis concesso da
Rimonda dopo l’esecuzione del Concerto di
Mozart: una composizione del “suo” Viotti, il
Souvenir de violon n. 19, ove alle acrobazie
‘paganiniane’ si unisce la cantabilità italiana
del Maestro di Fontanetto. Un lungo applauso ha
salutato il Maestro e l’Orchestra, mentre
l’impareggiabile Direttore Artistico Cristina
Canzani annunciava nuove mirabilie per la
prossima stagione.
24 giugno 2019 Bruno Busca
Gennaro
Cardaropoli
diretto da Fabrizio Ventura per
I Pomeriggi musicali
Avevo già ascoltato il
violinista salernitano Gennaro Cardaropoli nel
2016 e nel 2017. Prima in Auditorium nel celebre
Concerto op.35 di
Čaikovskij
e poi in duo con l'ottimo pianista Alberto Ferro
in Conservatorio dove ricordo una splendida
Sonata a Kreutzer. Ieri, il ventunenne
virtuoso è tornato a Milano in occasione
dei concerti estivi de I
Pomeriggi
Musicali, concerti che in genere si tengono
a Palazzo delle Stelline. La giornata piovosa
del mattino e il rischio di brutto tempo nel
tardo pomeriggio hanno spostato il concerto
nella sede consueta del Teatro dal Verme.
L'impaginato prevedeva il celebre Concerto in
mi minore op.64 di Mendelssohn seguito dalla
Sinfonia n.1 op.21 di Beethoven per la
direzione di Fabrizio Ventura. Avevo appena
ascoltato - tre sere prima- il noto concerto da
un eccelso violinista quale Pavel Berman insieme
ad una ottima orchestra tedesca e la curiosità
per un ulteriore ascolto col giovane solista
italiano mi hanno reso disponibile ad assistere
alla nuova interpretazione. Senza nulla togliere
allo splendore esecutivo di Berman, devo
constatare che le qualità già emerse negli anni
passati di questo ancora giovanissimo
violinista, sono confermate e mi trovano ancora
pienamente
soddisfatto. L'approccio fluido e preciso nei
dettagli e soprattutto le timbriche del violino
di Cardaropoli, per l'occasione ben coadiuvato
dall'Orchestra de I Pomeriggi e
dall'ottima direzione di Ventura, son sembrate
perfette per un concerto, quello di Mendelssohn,
che ha uno spirito molto "italiano" per
positività e solare bellezza melodica. Non per
nulla Mendelssohn stesso ha prodotto la celebre
Sinfonia n.4 denominata "Italiana". L'aspetto
soddisfatto di Cardaropoli nel corso
dell'esecuzione è giustificato da una facilità
esecutiva dovuta ad un assorbimento totale della
virtuosistica tecnica che il brano impone.
L'ottima scansione degli accenti e la delicata
ed insieme robusta cifra stilistica data al
concerto hanno prodotto un' eccellente resa che
si pone poco al di sotto di quella ascoltata dal
grande Berman. Ottimo il bis concesso con il
virtuosistico Paganini di Nel cor più non mi
sento,
nel quale Cardaropoli ha dato ancora più saggio
del suo virtuosismo. Decisamente ben diretta da
Fabrizio Ventura la Sinfonia n.1 op.21 in do
maggiore del genio di Bonn. Questo lavoro
giovanile di Beethoven dal sapore haydniano
trova un'eccellenza
espressiva nel raffinato Allegro molto e
vivace finale eseguito splendidamente
dall'Orchestra de I Pomeriggi. Fragorosi gli
applausi del numeroso pubblico intervenuto. Da
ricordare.
23 giugno 2019 Cesare
Guzzardella
Pavel
Berman per la
Società dei Concerti
L'ultimo concerto della
stagione della Fondazione La Società dei
Concerti di Milano
prevedeva
la presenza della Nürnberger Symphoniker
diretta da Kahchun Wong e del noto violinista
Pavel Berman. Il programma è stato introdotto
da
una rarità di Giacomo Puccini con il Preludio
sinfonico in la maggiore, eseguito
ottimamente dall'orchestra tedesca mettendo in
risalto specificità coloristiche tipicamente
italiane. Quindi è salito sul palcoscenico di
Sala Verdi il virtuoso violinista Pavel Berman
per uno dei brani più noti e rappresentativi del
repertorio per violino e orchestra il
Concerto in mi min. op 64 di F. Mendelssohn.
Siamo abituati alla costante presenza milanese
di questo splendido virtuoso che in questi
ultimi anni ha eseguito mirabili concerti
passando da quello di Sibelius (op.47) a
quello di
Šostakovič (n.2) sino ad interessanti repertori
cameristici e a ruoli direttoriali come nel
bellissimo Concerto di Brahms eseguito da
Marco Rizzi e da lui
diretto nel 2016. Ieri con Mendelssohn ha
raggiunto ancora una vetta interpretativa.
Coadiuvato benissimo
dall'orchestra tedesca
ha espresso
elegantemente ogni
frangente
del lavoro
evidenziando la
componente melodica dei tre movimenti - riuniti
senza interruzioni - con una timbrica ricca di
sentimento e con eccellente vibrato, chiaro e
raffinato. Indubbiamente tra le migliori
esecuzioni del concerto di Mendelssohn ascoltate
in questi ultimi anni. Splendidi i due bis
solistici, prima con il Capriccio n.13 di
Paganini e poi con una
Sarabanda dalla Partita n.1 per violino
solo di J.S.Bach.
Nella seconda parte del concerto ottima
l'interpretazione di
Kahchun Wong
della Sinfonia n. 5 in mi min. op.64
di
P.I. Čaikovskij
per un'orchestra di qualità rilevante in ogni
sezione strumentale. Due i bis concessi con
Salut d'Amour di Elgar e il
Valzer dalla Bella addormentata di
Caikovskij. Splendidi.
Da ricordare.
20
giugno 2019
Cesare
Guzzardella
Prossimamente a
Milano
Il prossimo 05/07/2019 alle
ore 21 presso la Chiesa di San Giovanni in
Laterano in Via Pinturicchio 35 a Milano, si
terrà
un concerto cameristico che vedrà impegnati il
Primo Violino dei Pomeriggi Musicali, M°
Fatlinda Thaci all'interno del Quartetto
Armonium. Il programma propone un viaggio
musicale dai Divertimenti di W.A. Mozart ai
Quartetti di Haydn: un'occasione per apprezzare
le notevolissime doti interpretative di un
raffinato solista, che si trova alla guida di
una delle migliori realtà orchestrali milanesi,
e del Quartetto Armonium, già attivo presso il
Municipio 9 di Milano. Il percorso ci pone a
confronto con due personalita' profondamente
diverse, seppure entrambe afferenti allo stesso
mondo, riguardo ai riferimenti cronologici così
come geografici. Si tratta di un viaggio nel
Settecento che si conclude con un omaggio del
compositore Gianfranco Messina (nella
foto), attento alle nuove tecniche esecutive
unite ad uno studio sulla psiche
dell'ascoltatore e dell'esecutore: quest'ultimo
presenta un tempo di quartetto basato su stilemi
degli adagi delle sinfonie mozartiane rilette
secondo la sua personale sensibilità e senza
cedere alla tentazione della citazione melodica.
Da non perdere
20 giugno 2019 dalla
redazione
Giovanni
Sollima nel Concerto per violoncello di Dvorak
con la Sinfonica Verdi
L'ultimo concerto per la
Stagione 2018-19 dell'Orchestra Sinfonica di
Milano G.Verdi prevedeva due celebri brani quali
Il Concerto per Violoncello ed Orchestra
op.104 di A. Dvorak e la Sagra della
Primavera di I. Stravinskij. La direzione
era affidata ad Hannu Lintu e protagonista del
noto concerto è stato il
violoncellista-compositore Giovanni Sollima.
Nella replica domenicale di ieri pomeriggio, la
grande affluenza di pubblico con spettatori
anche particolarmente giovani testimonia
la
notorietà di questo interprete-compositore
siciliano, conosciuto per la sua trasversalità
di genere che spazia dalla musica antica alla
classica più tradizionale, al mondo
contemporaneo, con un occhio di riguardo per la
musica rock degli anni '70 e soprattutto per il
linguaggio personale dei suoi lavori
compositivi. Sollima, coadiuvato da una
direzione ottima, ha sostenuto benissimo la
fondamentale parte solistica, con un grado di
libertà esecutiva, rilevata anche dalla sua nota
libera gestualità, finalizzata a rendere
pregnante di significati la sua interpretazione.
L'esecuzione ha trovato un evidente colpo di
scena nell'improvvisa rottura dell'archetto alla
fine dell'Allegro iniziale, dovuto ad un
violento urto contro il leggio della spalla
della Verdi, che ha portato ad un "volo"
dell'arco
e
ad una ricaduta del medesimo tale da provocare
la rottura della punta, che ha causato il
distacco completo del crine. Un danno di
rilievo, perchè si trattava di un archetto
François Lotte (1889-1970) difficilmente
riparabile. Fortunatamente la splendida
esecuzione non ha avuto evidenti conseguenze
grazie all'abilità del solista nel reperire
l'archetto del primo violoncello, che a sua
volta otteneva quello dei compagni di sezione
più lontani. Dopo un evidente adattamento al
"nuovo archetto", Sollima stabilizzava
l'esecuzione ad alti livelli con una resa
esemplare specie nel Finale, Allegro moderato.
Fragorosi gli applausi al termine e ben tre bis
concessi da Sollima: prima un brano
folcloristico scozzese mediato dalla cultura
mediterranea siciliana nell'intensa
interpretazione del
cellista;
quindi una splendida Ciaccona di Francesco
Corbetta, rivisitata da Sollima attraverso le
sue abilità anche improvvisatorie e trasversali
e resa in modo straordinariamente espressivo con
il suo archetto barocco. Quindi l'ultimo brano
concesso e improvvisato, che ha trovato
l'appoggio de LaVerdi con un "tappeto" di poche
note e una intensa esecuzione nel classico stile
mediterraneo-arabeggiante cui siamo abituati.
Bravissimo!!. Altrettanto bravi nella seconda
parte del tardo pomeriggio gli orchestrali ed il
direttore Hannu Lintu in una chiarissima
esecuzione del celebre Sacre du printemps
stravinskijano , brano storico fondamentale che
preannuncia le innovazioni timbriche del
Novecento. Esecuzione di grande qualità per
l'eccellente direttore con una sezione d'ottoni
e una sezione di percussioni al top! Applausi
fragorosi al termine. Da ricordare!
17 giugno 2019 Cesare
Guzzardella
Grande successo per
Die Tote Stadt
alla Scala
Die Tote Stadt -La Città
morta- op.12 di Erich Wolfgang Korngold
ha ottenuto un caloroso successo per molteplici
motivi che si riassumono in uno solo:
l'eccellente sinergia tra le splendide musiche
di
Korngold,
l'ottima regia di Grahm Vick, la scintillante
direzione di Alan Gilbert e le splendide voci di
tutti con una preferenza su Asmik Grigorian, una
Marietta splendida anche attorialmente,
su Klaus Florian Vogt, bravissimo in Paul,
per la governante Brigitta una
chiarissima Cristina Damian e per Markus Werba
nel doppio ruolo di Frank e Fritz.(foto
di Brescia-Amisano-Archivio Scala)
La musica del musicista austriaco Erich
Wolfgang Korngold integra in modo straordinario
l'originale vicenda tratta dal romanzo di
Georges Rodenbach Bruges - la - morte ed
esalta le voci, tutte con un ruolo
particolarmente difficile. Le timbriche
strumentali, ricche di colori, godono di una
superba orchestrazione, resa nei dettagli da
Gilbert e ricordano i linguaggi di Puccini per
la ricchezza di melodicità e naturalmente di
Richard Strauss per l'evoluto approccio
sinfonico. Di qualità e ben integrata è la
componente "luminosa" definita da un
significativo schermo video e da numerosi punti
video che all'occorrenza evidenziano
simbolicamente immagini suggestive. Bravo quindi
Stuart Nun per le scene e i costumi e Giuseppe
Di Iorio per le luci. Bella la parte
coreografica di Ron Howell che, soprattutto ma
non solo, nel secondo quadro ci porta in
un'atmosfera da musical spinto con palco
affollato ricco di movimento. Un'ottima
produzione scaligera che contribuisce a
"modernizzare" la programmazione di quest'anno.
Fragorosi applausi per tutti nella sesta
replica. Ultima replica prevista per il 17
giugno. Da non perdere e da ricordare.
15 giugno 2019 Cesare
Guzzardella
Marc-André Hamelin e
la Stuttgarter Philharmoniker per la
Società dei Concerti
Marc-André Hamelin è tornato
in Conservatorio per un concerto organizzato
dalla Società dei Concerti insieme alla
Stuttgarter Philharmoniker diretta da Dan
Ettinger. L'ho avevo ascoltato nella
medesima
Sala Verdi l'ultima volta nel 2013 in un
concerto solistico nel quale aveva eseguito
splendidi Medtner, Alkan e Debussy. Il programma
di ieri sera prevedeva prima il Concerto per
la mano sinistra in re maggiore di M. Ravel
e poi la Sinfonia n.9 in do maggiore D944 "La
grande" di F. Schubert. Sono note le
difficoltà tecniche di questo concerto raveliano
nel quale la mano sinistra del solista deve
coprire tutti i settori della tastiera con
movimenti ed articolazioni digitali atti a
sostituire l'uso di entrambe le mani. Il
concerto infatti era stato pensato da Ravel nel
1929 per il noto pianista austriaco Paul
Wittgenstein - fratello del filosofo Ludwig- che
aveva perso il braccio destro nel corso della
prima guerra mondiale. Solo virtuosi del calibro
del canadese Hamelin riescono a sostenere questa
difficile parte. Il breve lavoro del grande
compositore
francese, ispirato anche dalla musica jazz per
quella componente ritmica molto presente, trova
momenti di grande melodicità nella splendida
cadenza solistica di fine brano. Hamelin con
un'articolazione perfetta mediata da forza e
leggerezza insieme, ha raggiunto un obiettivo
molto alto, coadiuvato anche dall'ottima
direzione di Ettinger e dai splendidi colori
orchestrali di intensa presenza in molti
frangenti avendo il concerto anche una rilevanza
"sinfonica" che si alterna ai momenti di
indiscutibile splendore del pianoforte. Dopo i
meritati
applausi del numeroso pubblico intervenuto,
Hamelin ha eseguito tre brani a sorpresa: due di
Claude Debussy, il primo Reflets dans l'eau
e poi il Preludio n.6 "General Lavin-
eccentric", quindi un suo brano estremamente
ricco d'invenzioni armoniche denominato
Toccata on L'Homme armé. Fragorosi applausi.
Nella seconda parte della serata la nota
Sinfonia n.9 "La Grande" di Schubert è stata
sostenuta con grande espressività
dall'Orchestra di Stoccarda per l'occasione
particolarmente numerosa e avvincente in ogni
sezione. Grande successo anche per la direzione
di Dan Ettinger. Da ricordare.
13 giugno 2019 Cesare
Guzzardella
Evgeni Bozhanov alle
Serate Musicali
È per la quarta volta ospite
delle Serate Musicali il pianista bulgaro
Evgeni Bozhanov. Ieri sera ha tenuto un concerto
interpretando musiche di Scarlatti e Liszt. A
trentaquattro anni, virtuoso della
tastiera,
Evgeni ha vinto numerosi concorsi internazionali
ed è stato uno dei favoriti al Concorso Chopin
di Varsavia: nel 2010 non vinse e si piazzò
"solo" al quarto posto destando critiche da
parte di chi lo voleva vincitore. È un pianista
"creativo" e molto personale. L'estro e il
bisogno di innovazione emergono dalla sua
tecnica sicura e virtuosistica. Come detto in
passato, Bozhanov seduto in un seggiolino molto
basso - vi ricordate Gould- riesce con una
postura regolare e mani aderenti alla tastiera a
calibrare le dinamiche in modo evidente con
giusti contrasti e senza
mai
esagerare. Ottime le Sonate di Scarlatti
eseguite di filato: undici, alcune molto
conosciute come la K 466 eseguita al termine e
la maggior parte di raro ascolto. Alterna
momenti di grande riflessività con timbriche
meditate e
soffuse
ad altri con voluta esasperata articolazione per
un suono robusto ma trasparente e dinamicamente
variato. Splendido poi il "suo" Liszt con la
celebre Sonata in Si minore.
L'ineguagliabile articolazione unita ad un
fraseggio chiaro ed espressivo, con piani sonori
ben definiti ed accentuazioni di particolare
rilievo di alcuni momenti di rara espressività
hanno portato ad un'esecuzione di alto livello
che è tra le migliori ascoltate in questi ultimi
anni. Bellissimo il bis chopiniano concesso al
termine del programma ufficiale con una rara
Polonaise postuma: l'Op.71 n.2 eseguita
con perfetta calibrazione di dinamiche ed
accenti e colori splendidi. Successo evidente in
una Sala Verdi con numeroso pubblico entusiasta.
Splendido concerto per un grande pianista! . Da
ricordare.
11 giugno 2019 Cesare
Guzzardella
Tre validi
e recenti concerti organizzati da
LaVerdi a Milano
Numerose sono le attività de
LaVerdi, un'organizzazione musicale che
pur avendo al centro delle iniziative l'ottima
"Orchestra Sinfonica G. Verdi" sviluppa numerose
altre occasioni musicali, da quelle cameristiche
del M.A.C. - recente elegante spazio a
poche centinaia di metri dall'Auditorium di l.go
Mahler- a quella con valenza soprattutto
didattica dell' oramai celebre "Coro degli
Stonati". Nell'arco di poco più
di ventiquattro ore ho avuto
l'opportunità di partecipare a tre iniziative de
LaVerdi:
la prima, sabato sera, presso la Chiesa di San
Michele e Santa Rita in una zona un po' defilata
di Milano in zona Corvetto con il Coro degli
Stonati, gruppo vocale preparato e diretto
da Maria Teresa Tramontin; quindi domenica
mattina al M.A.C. con l' ottimo duo formato dal
virtuoso del sax Jacopo Taddei e dal bravissimo
fisarmonicista Samuele Telari. Per finire,
domenica sera con la Sinfonica Verdi diretta da
Francesco Bossaglia ed il "Border Trio" di
Giovanni Falzone. Il Coro degli Stonati ha
eseguito arie di variegati compositori tra cui
Rossini, Mozart,e soprattutto molto Verdi,
interpretando anche il celebre "O Fortuna"
di Carl Orff dai Carmina Burana e,
del grande di Busseto, l'ancora più noto "Va
Pensiero". La chiesa, per l'occasione
stracolma di pubblico, ha il difetto non da poco
di un eccessivo riverbero che amplifica e
uniforma un po' troppo la resa vocale. Siamo
comunque riusciti a comprendere lo sforzo dei
numerosi coristi per un'apprezzabile resa
interpretativa, soprattutto nei due brani
citati, il primo- O Fortuna- riproposto anche
come bis. Bravissima la Tramontin e bravo anche
il pianista -per l'occasione tastierista- Pietro
Cavedon. Fragorosi gli applausi al termine.
Ieri, in tarda mattinata, al M.A.C. di Piazza
Tito Lucrezio Caro per
un
concerto denominato "Il sorprendente mondo del
Sax", Jacopo Taddei, giovane virtuoso del sax
contralto e soprano, e Samuele Telari,
altrettanto valido fisarmonicista, hanno
intrattenuto il pubblico - peccato non numeroso-
per una quindicina di brani, particolarmente
interessanti e vari ma con un'unico
denominatore: il jazz e la musica sudamericana.
Musiche di autori del primo Novecento come
Iturralde, Piazzolla e Damase, si sono alternate
a quelle di altri nati dal 1950 in poi, a
partire dal noto francese Richard Galliano
(1950), sino a Philippe Geiss (1961), Diego M.
Pujol ( 1957) e Javier Girotto ( 1965). L'unico
nato nell' Ottocento, Ernesto Nazareth ( 1863 -
1934) ha visto a conclusione
del
programma ufficiale l'esecuzione del bellissimo
Covaquinho. I due ottimi interpreti hanno
evidenziato prima a parole e poi con rilevanti
esecuzioni il rapporto tra ritmo di stampo
jazzistico e folclore melodico sudamericano che
a partire dal più conosciuto e geniale
virtuoso-compositore Astor Piazzolla, trova
proseliti ancor oggi con autori come quelli
citati che si ispirano a lui. Eccellente la
fluidità con la quale Taddei - recentemente
ascoltato in Conservatorio in trio con violino e
pianoforte - esegue le partiture di questi
intensi e melodici brani. Altrettanto rilevante
il fisarmonicista Telari, ottimo accompagnatore
con momenti di avvincente virtuosismo solistico.
Peccato nell'elegante sala l'infelice acustica!
Terminiamo con un luogo, l'Auditorium di l.go
Mahler, dove l'acustica è più che adeguata. Ieri
sera la sala era al completo. L'Orchestra Verdi
ha iniziato con la Sinfonia n.4 "Heroes"
di Philip Glass, lavoro dedicato a David Bowie.
È in sei parti dove emerge luminosità timbrica
nel classico stile "minimalista" di Glass, con
momenti di intensa creatività messi ottimamente
in risalto dalla Sinfonica Verdi ben diretta da
Bossaglia. Le buone e spesso valide intenzioni
di Glass sono però mancanti, a mio avviso, di
una strutturata unità formale nella quale i sei
movimenti stabiliscano relazioni interdipendenti
ricchi di varietà. Una maggiore sintesi tra le
valide e spesso splendide componenti
melodico-armoniche avrebbe giovato. Dopo il
breve intervallo, il trombettista Giovanni
Falzone ha presentato il suo trio formato anche
da Gianluca
Di
Ienno alla tastiera ed elettronica e
Alessandro Rossi alla batteria ed elettronica.
Il "Border Trio" ben inserito nell'Orchestra
Verdi ha eseguito la Black Star Suite,
lavoro pensato da Falzone partendo dai brani
tratti dall'omonimo ultimo disco di David Bowie.
Il risultato, nel classico stile
jazz-elettronico, ha esaltato le indubbie
qualità strumentali del trombettista, qualità
unite ad una vasta e, a mio avviso, eccessiva
effettistica elettronica parzialmente integrata
nelle esuberanti sonorità orchestrali. E'
evidente il riferimento
al mondo jazzistico del Miles Davis più
"elettronico", quello dell'ultimo
periodo
e di tutta quella vasta corrente legata a lui,
anche se i risultati del lavoro di Falzone - con
innovazione stilistica parziale nella fragorosa
e abbastanza chiara resa
musicale complessiva- non ci convince del tutto.
Le volumetrie sonore dell'orchestra e
l'amplificazione dei tre strumenti del trio
jazz hanno spesso reso poco
trasparenti le componenti musicali più
sottili non evidenziando bene
i diversi piani sonori e le
valide intenzioni. Piacevole il brano
concesso come bis dal Trio. Fragorosi gli
applausi del numeroso pubblico mediamente più
giovane del consueto: un pubblico tra il
classico e il jazz. Ottime tutte e tre le
iniziative!
10 giugno 2019 Cesare
Guzzardella
Ultime repliche per
Idomeneo alla Scala
Ieri sera penultima replica
dell'Idomeneo di W.A.Mozart. Dopo un
modesto successo con tenui applausi alla fine
dei due primi atti, l'entusiasmo del pubblico
scaligero si è concentrato al termine del terzo
ed ultimo atto. In effetti lo
svolgimento di questo capolavoro mozartiano
firmato da Matthias
Hartmann
con le scene di Volker Hintermeier e i costumi
di Malte Lübben, ha visto nel terzo atto un
frangente di evidente splendore. L'avvincente
direzione di Diego Fasolis, precisa e risoluta
in tutta l'opera, a partire dal meraviglioso
quartetto vocale di Andrò ramingo e solo,
ha plasmato il giusto equilibrio complessivo di
tutte le componenti in scena, col valore
aggiunto poi della strepitosa parte corale
preparata da Bruno Casoni. Le voci ( foto di
Amisano-Brescia,Archivio Scala) di Michèle
Losier, Idamante, Bernard Richter,
Idomeneo, Federica Lombardi, Elettra,
Julia Kleiter, Ilia, hanno mostrato una
valida resa ed espressività soprattutto in
quest'ultimo atto con costante equilibrio invece
in tutta l'opera per la Lombardi, la voce più
voluminosa e ben calibrata in ogni registro e la
Losier, voce dalla splendida e raffinata
timbrica. Bernard Richter è stato un Idomeneo
più che adeguato dalla rotonda e luminosa
timbrica. Più che buona la prestazione di
Giorgio Misseri, Arbace ed eccellente
Krešimir
Špicer, il Gran Sacerdote. La scenografia
ha trovato nella continuata rotazione scenica
una valida soluzione dei problemi, ben
inquadrando tutti gli elementi arcaici presenti
a partire dalla grande testa di Minotauro. Le
luci di Mathias Märker sono risultate ben
calibrate in scena ma a volte troppi accecanti
in sala. Un ruolo importante è stato quello del
Corpo di ballo con rilevanza nell'Ouverture
iniziale e nella lunga cadenza nel finale
d'opera. Per concludere: un capolavoro, quello
di Mozart, che convince nell'allestimento non
del tutto, ma con frangenti d'intenso splendore.
Ultima replica per domani, 6 giugno. Da vedere.
5 giugno 2019 Cesare
Guzzardella
Zlata
Chochieva in Conservatorio per
Serate Musicali
Ho ascoltato la pianista
russa Zlata Chochieva più volte in questi ultimi
anni, sempre in programmi variegati con scelte
ragionate e spesso di rara esecuzione. Ieri
sera, sempre per Serate Musicali, la
composizione
dell'impaginato si è rivelata ancor più di
qualità: il brano introduttivo con il noto
Bach-Friedman di Schafe können sicher weide,
n.9 da BWV 208, la ha introdotto
degnamente il concerto. Quindi l'ottima scelta
di alternare tre Mazurche di Chopin ( op.30
n.1, B.82 e op.posth.S2 n.5) a tre
Mazurche di Skrjabin (op.3 n.2 op.25 n.1
e op. 25 n.7) ha messo in rilievo le
affinità dei due grandi compositori dove il
secondo specie, nei primi numeri d'opera, ha
attinto moltissimo dal genio polacco,
proseguendo poi nel suo linguaggio personale e
anticipatore del migliore '900. Il Liszt di
Valse oubliée n.2 S215/2 e del raro
Mephisto Waltz n.2 S 515, ci ha portato in
un territorio ancor più virtuosistico e la rara
Sonata
n.1 in re minore op.28 nella
sconfinata
produzione di una musica di ancor più viscerale
tecnicismo ma di ottima qualità. La giovane
Chochieva ancora una volta ha rivelato le sue
notevoli qualità attraverso un' eloquente
discorsività mediata da sicurezza esecutiva ed
elevato controllo delle dinamiche. In questi
ultimi anni risulta evidente un maggior rilievo
della sua complessiva resa espressiva unita ad
una qualità tecnico-virtuosistica di alto
livello che proviene da una scuola russa - è
stata allieva anche di Pletnev- che si colloca
probabilmente al primo posto nel mondo. Successo
di pubblico e due eccellenti e rari bis con
ancora Rachmaninov tra cui il giovanile
Preludio in Fa maggiore. Da ricordare.
4 marzo 2019 Cesare
Guzzardella
Daniele
Gatti con Schumann
inaugura la
LaFil-Filarmonica di Milano
al Palazzo delle Scintille
Ieri
sera abbiamo assistito al concerto
d'inaugurazione della LaFil- Filarmonica di
Milano, orchestra voluta soprattutto dal
noto direttore milanese Daniele Gatti. È una
formazione dove artisti di fama provenienti
dalle migliori orchestre italiane come quella
del Teatro alla Scala, dell'Accademia Nazionale
di Santa Cecilia, del Teatro Comunale di
Bologna, del Teatro la Fenice, del Teatro Regio
di Torino, dell'Orchestra Sinfonica della Rai,
de I Pomeriggi Musicali di Milano, del Maggio
Musicale fiorentino e dell'Orchestra della
Svizzera Italiana, suonano insieme a giovani
talenti provenienti da tutta Italia. Il luogo
preposto per i concerti, il Palazzo delle
Scintille, a City life, ha accolto ieri un
vastissimo pubblico per la Sinfonia n.1 op.38
" Primavera" e per la Sinfonia n.3 op.97
"Renana" di Robert Schumann cui seguirà
domenica, alle ore 18.00,
la
conclusione della serie con la Sinfonia n.2
op.61 e n.4 op.120. Decisamente di rilevante
qualità le esecuzioni ascoltate nelle quali la
fluidità discorsiva e le sonorità raffinate si
sono sviluppate in un luogo dall'acustica
leggermente riverberata dove emerge
un'impressione di rarefazione e diffusione nello
spazio. L'impatto acustico riesce ad avere un
suo particolare fascino e i contrasti dinamici
sono attenuati nei registri medio-alti. Applausi
fragorosi al termine per i bravissimi
filarmonici, alcuni particolarmente giovani, e
per il loro direttore. Daniele Gatti, esperto
nel sinfonismo tedesco, porterà in questo
piacevole luogo tra ottobre e novembre anche le
Quattro Sinfonie di Brahms, il Concerto per
Violino e Orchestra op.61 di Beethoven ed il
Concerto per Violoncello e Orchestra op.129 di
Schumann con solisti di fama quali Franz Peter
Zimmermann e Jan Vogler. La serata ad ingresso
gratuito, come per tutte le prossime
manifestazioni, ha visto in platea personalità
di spicco del mondo culturale e musicale di
Milano. Ottima iniziativa.
1 giugno 2019 Cesare
Guzzardella
MAGGIO
2019
Francesca
Bonaita al Teatro Gerolamo
Il bel concerto di ieri sera
al piccolo ed elegante Teatro Gerolamo ha messo
in risalto le ottime qualità di Francesca
Bonaita, accompagnata per l'occasione dal
pianista Roberto Paruzzo. Il
programma,
replica della
sera
precedente, prevedeva anche due capisaldi della
letteratura violinistica quali la Sonata a
Kreutzer op.47 di L.v. Beethoven e la
Sonata in la maggiore di C. Franck, lavori
celebrati da tutti i grandi virtuosi. Le qualità
degli interpreti sono state parzialmente
offuscate da un certo disequilibrio tra le
volumetrie dei due strumenti in un contesto
generale di secchezza acustica: il pianoforte,
importante come il violino o forse più nel
celebre lavoro beethoveniano, non ha forse dato
lo spazio dovuto allo strumento ad arco, anche
per la corposità delle timbriche nette e
stravolgenti del bravo pianista esasperate da
un'acustica che tende ad amplificare il suono in
un luogo con soli 200 posti a sedere. Ci è
apparso di maggior pregio, nell'equilibrio delle
parti, il Presto finale dove spesso la
giovane violinista ha avuto una maggiore
penetrazione nelle sonorità complessive. Di
buona qualità la resa estetica della splendida
sonata ciclica di Franck con frangenti di
pregnante resa espressiva per Francesca. Il
programma si è concluso con una splendida rarità
esecutiva: Tre Capricci di Paganini
per
violino e pianoforte op.40 (1918) di Karol
Szymanowski, rivisitazione del connazionale
polacco di tre celebri capricci del grande
genovese. I brani, di eccellente qualità
musicale, esaltano tutta la tecnica e l'arte
paganiniana in un contesto armonico nel quale
emerge il genuino e personale linguaggio del
secondo polacco. Qui la Bonaita, accompagnata
ottimamente da Paruzzo, ha messo in risalto
tutte le sue rilevanti qualità esaltate oltre
che da una tecnica eccellente, da una evidente
profondità di pensiero. Bravissima! Splendido il
bis concesso con Valse sentimentale di
Čaikovskij.
Da ricordare.
31 maggio 2019 Cesare
Guzzardella
PICCOLI MAESTRI CRESCONO GRAN
SUCCESSO AL COCCIA DELL’ORCHESTRA GIOVANILE DEL
CONSERVATORIO DI NOVARA
Una trionfale ovazione del
pubblico, da tutto esaurito, è esplosa ieri sera
giovedì 30/05 al Teatro Coccia di Novara, quando
si è spenta l’ultima nota della versione
orchestrale di Ravel dei musorgskijani “Quadri
di un’esposizione”. Con questo celebre
capolavoro si concludeva il concerto
dell’Orchestra Sinfonica del Conservatorio G.
Cantelli, formata da una rigorosa selezione dei
migliori e più promettenti allievi e ‘plasmata’
e diretta da Nicola Paszkowski, esperto mentore
di orchestre giovanili, dopo il rodaggio
ravennate con la Cherubini, a fianco di Muti. E
i risultati dell’intervento di Paszkowski,
diciamolo subito, si vedono tutti, con il
miglioramento costante, , di recital in recital,
di questa compagine di giovani musicisti. Oltre
ai “Quadri” il programma della serata proponeva
due composizioni per strumento solista e
orchestra: di Debussy la “Rapsodia per
clarinetto e orchestra” L124a, trascrizione
d’autore dall’originale (e forse più nota)
versione per clarinetto e pianoforte, con una
promessa del Cantelli Gabriele Mercandelli, come
solista, e il
“Concerto
per pianoforte e orchestra in mi bem. Maggiore
n.5”, noto universalmente come l’”Imperatore”,
in cui la non semplice parte solistica era
affidata a Ludovica De Bernardo, che vanta già
un buon curriculum di apprezzate esibizioni in
varie sale da concerto italiane, anche di
notevole prestigio. Avevamo già ascoltato
recentemente Mercandelli in un concerto
cameristico al Cantelli, ammirandolo per il
controllo tecnico dello strumento e la sapienza
interpretativa. La sua esecuzione della Rapsodia
di Debussy ha pienamente confermato quel primo
giudizio: dal clarinetto di Mercandelli fin da
subito è uscito “il” suono di Debussy, quel
suono sfumato fino al flou, morbido, sottilmente
incantatorio, e capace al tempo stesso di dare a
ogni singola nota il suo sensuoso rilievo:
insomma il suono del “ Prélude a l’aprés-midi
d’un faune”. Suono raffinato ed elegante sempre,
quello di Mercandelli, tecnicamente esatto (gli
è ampiamente perdonato qualche armonico non
precisissimo), anche nelle sezioni ritmicamente
più vivaci, che non mancano in questo breve
pezzo, quasi gesti musicali di sottile ironia
nei confronti dei momenti di più intimistico
abbandono. In generale un’arte esecutiva, quella
del giovane Mercandelli, già matura
nell’esaltare il colore dello strumento in tutta
la sua variegata tavolozza e nel pieno controllo
delle dinamiche, dal pianissimo delle prime
battute ai forti delle sezioni agogicamente più
veloci. L’orchestra guidata dal gesto ampio e
autorevole di Paszkowski, ha accompagnato molto
bene lo strumento solista, in particolare nel
magico esordio, dove ‘ i ragazzi del Cantelli’
hanno saputo trovare una miracolosa trasparenza
di suono negli archi, che poi ci è sembrata sia
andata un po’ persa, con un impoverimento
nell’intensità e nelle sfumature dei diversi
registri timbrici. E veniamo all’”Imperatore” e
dunque, anzitutto alla De Bernardo. La giovane
pianista ha subito aggredito la tastiera, con
l’impeto baldanzoso di una fresca energia
giovanile ben adatta a dare rilievo alla
componente ‘eroico-militare’ che domina gran
parte del primo tempo del concerto: un suono
energico, con cui la solista dimostra bravamente
la sua agilità nello sfruttare tutta ‘la potenza
di fuoco’ delle lunghe sequenze in ottave,
doppie ottave spezzate, ottave “a due mani”, con
cui Beethoven ottenne , a suo tempo,
quell’inaudita proiezione di suono
caratteristica di questo capolavoro . Ma non c’è
solo l’energia del suono tra le risorse
esecutive della De Bernardo: la giovane pianista
può contare anche su un tocco di cristallina
nettezza, che si esalta in particolare nelle
scale e nei trilli nelle zone acute della
tastiera (uno splendido Bosendorfer) ove le
singole note sembrano sgranarsi come perle di
nitido lucore. La De Bernardo sa anche trovare
la giusta soluzione interpretativa ad uno dei
passaggi di più travolgente bellezza dell’intero
concerto: il magico pianissimo, affidato al
pianoforte, del finale del tempo lento centrale,
che accenna al tema del Rondò finale in fluida
continuità tra i due movimenti. Non sempre,
tuttavia, De Bernardo ha dato l’impressione di
questo perfetto controllo delle dinamiche:
talora, specie nelle zone basse della tastiera,
il suo fraseggio è apparso un po’ ‘piatto’ e
incolore, donde una resa non sempre
entusiasmante del liricissimo notturno
dell’Adagio centrale. E’ questo un aspetto della
sua personalità d’interprete che certamente la
bravissima pianista napoletana (classe 1993)
saprà migliorare, con l’esperienza e sotto la
guida dei suoi validi maestri. Anche in questo
secondo concerto l’orchestra, seguendo la
bacchetta del suo Direttore, ha saputo dialogare
efficacemente con lo strumento solista, anche
nei passaggi strutturalmente più complessi, come
la transizione che prepara l’entrata del secondo
tema nel primo tempo, ove le combinazioni tra le
varie sezioni dell’orchestra e il solista
coinvolge lo spettatore in una variegata
fantasmagoria di timbri e di registri sonori che
accompagnano i percorsi modulanti. Peccato che
l’acustica del Coccia, un punto debole del
teatro novarese, non rendesse piena giustizia a
ottoni e timpani, ottundendone talvolta il
suono. Salutata dagli applausi del pubblico , la
De Bernardo si è congedata suonando un bis da
Rachmaninov, un Rachmaninov inusuale,
dall’ispirazione fortemente skrjabiniana.
Decisamente di buon livello l’esecuzione dei
“Quadri di un’esposizione” di Ravel/Musorgskij,
in cui la direzione di Paszkowski ha saputo
dispiegare al meglio l’infinita e suggestiva
poliedricità coloristica di questo capolavoro.
Dal greve e cupo Bydlo, al curioso squillante
acuto del Ballet des poussins, alle acide tinte
sonore del misterioso “Cum mortuis in lingua
mortua”, al trionfale “corale” della finale
“Grande porte de Kiev”: tutto è stato ben
suonato, con un’ orchestra di giovani che con la
loro bravura e il loro impegno trasmettevano al
pubblico il piacere del fare e dell’ascoltare
musica. Anche questo piacere si è espresso nel
lungo applauso che ha salutato la fine di questo
bel concerto.
31 maggio 2019 Bruno Busca
Il grande
Grigory Sokolov per
la Società dei Concerti
Ancora al completo Sala Verdi
in Conservatorio per il concerto di Grigory
Sokolov. Il "tutto esaurito" avvenuto da molti
giorni per ascoltare questo grande interprete è
giustificato dal fatto di trovarci, come già
ribadito in altre recensioni "di fronte ad un
colosso musicale che trova unicità
d'espressione
all'interno di un processo ri-creativo
certamente di alto valore estetico, anche se con
risultati formali spesso diversi dalle
interpretazioni entrate nella storia". Ieri sera
l'impaginato era incentrato su due grandi autori
quali Beethoven e Brahms. Del primo era in
programma la giovanile Sonata n.3 in do
maggiore op.2 n.3 e le rare Undici nuove
Bagatelle op.119 e del secondo, dopo
l'intervallo i Klavierstucke op.118 e
op.119, per un totale di dieci brani
eseguiti senza soluzione di continuità. Come
accade da sempre si rimane stupiti dalla
chiarezza dei dettagli e dalla bellezza
cristallina dei timbri che rendono semplici le
strutture complesse del lavoro, cosa che è
prerogativa solo dei grandi. Ma anche la
capacità di scavare in profondità come nelle più
semplici strutture di brani "facili" come le
rare Nuove Bagatelle beethoveniane, per renderle
ricche di profondità ed espressività. Come già
detto: "la capacità riflessiva e le abilità
tecnico-costruttive ineguagliabili sono gli
elementi principali che nelle mani di Sokolov
determinano la sua unica cifra d'interprete".
In
Beethoven siamo rimasti stupiti della perfezione
formale nella personale scelta interpretativa
avvenuta con grande scioltezza e controllo delle
dinamiche. I timbri spesso vellutati e discreti
alternati ad altri di intensa presenza
volumetrica hanno efficacemente dato valore
all'interpretazione. Più entusiasmante, a mio
avviso, il suo Brahms, con i noti sei brani
dell'op.118 uniti ai quattro dell'op.119 in un
unicum di grande vitalità architettonica
dove i mezzi manuali del russo determinano
contrasti melodici, ritmici, armonici e dinamici
di assoluta bellezza. Interminabili gli applausi
al termine del programma
ufficiale e -come siamo abituati da molti anni-
sei rilevanti bis con: F. Schubert e l'Impromptu
in la bem. magg. op.142 n.2; J. P. Rameau e
Les Sauveges; ancora J. Brahms con l'
Intermezzo in si bem. min. op.117 n.2; S.
Rachmaninov e il Preludio in sol diesis min.
op.32 n.12; C. Debussy e Des pas sur la
neige dal primo libro dei preludi, per
finire col sommo J. S. Bach e "Ich ruf' zu
dir, Herr Jesu Christ" dal Corale in fa
min. BWV 639. Un concerto nel concerto con
sei brani di raro splendore! Da ricordare
sempre!
30 maggio 2019 Cesare
Guzzardella
Il
pianista russo Mikhail Lidsky alle
Serate Musicali per
Skrjabin e Chopin
È
tornato per Serate Musicali il pianista
russo Mikhail Lidsky è ha intrattenuto per circa
un'ora e trenta minuti il pubblico non numeroso
di Sala Verdi al Conservatorio milanese. Dopo il
bellissimo
concerto
tutto dedicato a Sergej Rachmaninov dello scorso
anno, questa volta l'impaginato si articolava in
grandi musicisti quali Skrjabin e Chopin. Anche
questa volta i numerosi brani scelti, alcuni di
raro ascolto, ci hanno rilevato lo spessore
compositivo del grande russo e del grande
polacco ma anche le qualità di indubbia
rilevanza del pianista cinquantunenne venuto
ieri da Mosca per sostituire la collega e grande
pianista Elisso Virsaladze, assente per motivi
di salute. Lidsky ha nelle sue corde sia la
musica di Skrjabin che quella di Chopin. La
lettura approfondita e calibrata nei colori di
entrambi è emersa in modo chiaro. I numerosi
brani del russo, e precisamente 2 Mazurche
op.40, 4 Preludi op.48, la Sonata n.5 op.53
e la
Sonata n.8 op.66, sono stati accorpati
senza soluzione di continuità in un unicum
da sembrare una lunga suite. La capacità
di sintetizzare le timbriche, pur esaltando ogni
particolare frangente melodico con colori nitidi
nei diversi piani sonori, ha reso di valore la
sua interpretazione. Bello e personale il suo
Chopin, con la Polacca op.26 n.1, il raro
e splendido Allegro da Concerto op.46, il
Preludio op.45, tre Mazurche (
op.24 n.3, op.33 n.1 e op.67 n.2) ed infine la
Ballata n.3 op.47. La chiarezza
espressiva è stata declinata con modalità
interpretative in questo caso riflessive,
lontane da esecuzioni di celebri interpreti,
specie polacchi, ma con un rigore formale
coerente e timbricamente di alto livello
musicale. Eccellenti le
Mazurche, di
mirabile rilevanza estetica.
Applausi meritati al termine.
28 maggio 2019 Cesare
Guzzardella
SALIERI E MOZART A
CONFRONTO A VERCELLI
Un programma come sempre
intelligente e raffinato, tale da stuzzicare la
curiosità degli amanti della musica (senza
aggettivi) è stato quello proposto dal Festival
Viotti di Vercelli nel penultimo concerto della
stagione, ieri sera, Sabato 25/05, sul consueto
palcoscenico del Teatro Civico. Tre composizioni
per pianoforte e orchestra e tutte e tre nella
medesima tonalità, quel Si bemolle maggiore che
il Charpentier, nelle sue secentesche “Regles de
la composition” definiva ‘magnifica e gioiosa’.
Aperta dal Concerto per pianoforte e orchestra
di A. Salieri, di raro ascolto, la serata è
stata conclusa dall’ultimo dei ventisette
concerti per pianoforte e orchestra di W. A.
Mozart, quel K 595 che è una dei suoi
indiscutibili capolavori. Inutile sottolineare
la suggestione che nasce dall’accostamento dei
due protagonisti della più
fosca
quanto assurda leggenda della storia della
musica, quella dell’avvelenamento ‘per invidia’,
del genio di Salisburgo ad opera del “mediocre e
malvagio” compositore italiano. Il vero
interesse musicale di questo confronto risiede
piuttosto nella possibilità, che esso offre, di
capire la differenza tra un dignitoso prodotto
di un solido, ma convenzionale ‘mestiere’ e il
capolavoro del genio. Tra i due Concerti, un
pezzo ‘fuori catalogo’ di Beethoven, il Rondò
WoO 6, probabile finale originario, poi
sostituito, del Concerto per pianoforte in Si
bem maggiore op. 19. Accompagnato dall’Orchestra
Camerata ducale, diretta da G. Rimonda, la parte
solistica era affidata al pianista Benedetto
Lupo, uno dei pochi italiani a vantare,
ricordiamolo, un’affermazione al prestigioso
concorso internazionale Van Cliburn. Il concerto
di ieri sera è stata per noi la prima occasione
di ascoltare una composizione strumentale di
Salieri. Opera giovanile, risalente al 1773,
quando un diciassettenne Mozart metteva in
cantiere le sue prime composizioni
significative, il Concerto di Salieri rientra
perfettamente, come sottolinea con la consueta
puntualità il programma di sala curato da A.
Piovano, in quello ‘stile galante’ allora
imperante e che aveva in Johann Christian Bach
il suo nume riconosciuto. Questo concerto è
esemplare delle virtù (poche) e dei difetti
(molti) del compositore di Legnago. Non si può
dire che a Salieri manchino le idee: il secondo
tema dell’Allegro moderato iniziale e,
soprattutto, alcuni momenti di dolce abbandono
melodico nell’Adagio centrale, venato di
suggestive modulazioni in minore, sono degni di
nota. Il limite di Salieri emerge quando si
tratta di elaborare il materiale musicale, di
sfruttarlo, traendone tutte le possibili
implicazioni costruttive: qui Salieri cade e il
confronto con Mozart si farebbe impietoso. In
sostanza il compositore italiano si limita a
girare intorno ai temi, con uno stile ripetitivo
e prolisso, ornato di trilli ed arpeggi, senza
che mai spicchi il volo l’invenzione, quel colpo
d’ala che è il segreto della musica davvero
grande. Alla fine del Concerto,
tagliato
nei tradizionali (allora) tre tempi,
l’ascoltatore ha la netta impressione che esso
sia stato troppo lungo per quello che l’autore
aveva da dire. Ieri sera il Concerto di Salieri
ha avuto il privilegio di essere eseguito da
quell’eccellente pianista che è Lupo, il cui
stile interpretativo spicca per un perfetto
equilibrio tra incisiva nettezza del suono e
dolcezza delicatamente sfumata del tocco. Armato
di queste virtù, Lupo ha subito messo in luce un
fraseggio ricco di chiaroscuri e di varietà
nelle dinamiche, con una timbrica di cristallina
trasparenza, anche nelle parti ritmicamente più
veloci, e un esemplare controllo dei piani
sonori nel bilanciamento tra l’acuto e il basso,
sostenuto da un sobrio uso del pedale. E’ grazie
a questa cifra interpretativa che Lupo ha tratto
dalla partitura di Salieri il meglio che essa
potesse dare ,soprattutto nel tempo meglio
scritto, l’Adagio centrale, dove l’effuso e
patetico melodismo dello stile galante si è
venato di una dolcezza che in alcuni momenti ha
sfiorato l’incanto. Decisamente coinvolgente
l’esecuzione del K595: qui il tocco di Lupo ha
potuto dare il meglio di sé, evocando con
dolcezza, sempre misurata ed elegante, e varietà
di sfumature, l’altissimo spirito
lirico-contemplativo da cui sorge questo
testamento spirituale di Mozart. In questo caso
è stato soprattutto il primo tempo, ‘Allegro’,
quello in cui Lupo ha raggiunto, a nostro
avviso, i vertici delle sue capacità
interpretative: ci riferiamo in particolare alla
riesposizione del materiale tematico ad opera
del solista e al successivo sviluppo, sezioni
ove la ricchezza e la straordinaria intensità di
passaggi cromatici e di modulazioni sempre più
remote dalla tonica e perciò più cariche di
sottili risonanze, hanno offerto al solista il
materiale sonoro per un colloquio intimo,
profondo, con un mondo spirituale in cui la
distesa
serenità dell’insieme non celava brividi
improvvisi di inquietudine nei frequenti
chiaroscuri (di cui, diciamocelo, Lupo è maestro
impareggiabile). Se questi sono stati i momenti
più alti del concerto, non sono certo mancati
anche i momenti di più accentuato virtuosismo,
nei quali Lupo ha dato prova, se mai ce ne fosse
stato bisogno, del suo perfetto controllo della
tastiera. Dovere di completezza ci impone un
accenno al Rondò beethoveniano, pezzo in verità
poco significativo musicalmente, di cui Lupo ha
giustamente portato in primo piano, più che il
carattere ‘grazioso’ dei temi, la fisionomia
concertistica, grazie ad una scelta
interpretativa, che, lungi dal privilegiare la
linea melodica della mano destra, dava anche il
giusto spazio alla potente energia affidata alle
zone più scure della tastiera. Accanto al
solista, meritano un caldo plauso la Camerata
ducale e la direzione di Rimonda, come sempre
perfettamente a suo agio con partiture
settecentesco-classicistiche. Esemplare la
direzione del K595, non solo per il perfetto
dialogo con il solista, su un tono delicatamente
sommesso, ma anche per la capacità di dare vita
a incantevoli momenti ‘cameristici’, in cui
l’orchestra si rivela non semplice
accompagnamento, ma coprotagonista del
capolavoro mozartiano, grazie ad un lavoro di
grande pulizia e sottigliezza formale sul suono.
Un meritatissimo applauso a tutti, solista,
Direttore, orchestra, per un'altra serata ben
pensata e ben riuscita del Festival Viotti,
conclusa dal bis dell’Adagio del Concerto di
Salieri. Ci si consenta un’ultima nota di
cronaca: tra i motivi salienti della serata, la
presenza in sala di un folto gruppo di bambini
di una scuola elementare, guidati dalla loro
maestra. Hanno seguito il concerto in religioso
silenzio, meglio di tanti adulti: se nutriamo
speranze sul futuro del nostro Paese e della sua
civiltà musicale, lo dobbiamo anche a bambini e
a maestri come questi.
26 maggio 2019 Bruno Busca
Eccellente Francesca Dego diretta da Jader
Bignamini
Mi ricordo ancora nel lontano
2006 l'allora sedicenne violinista Francesca
Dego in Conservatorio alle prese con un'ottima
beethoveniana Sonata a Kreutzer
accompagnata dall'amica Francesca Leonardi.
Son
passati ben tredici anni e Francesca ha percorso
una strada sempre in salita divenendo presto
un'eccellente interprete richiesta in ogni parte
del mondo. Ieri sera all'Auditorium milanese di
largo Mahler, insieme ad un ottimo mix di
Orchestra Sinfonica Verdi e di Filarmonica
Arturo Toscanini diretta da Jader Bignamini,
Francesca ha eseguito mirabilmente il
Concerto n.1 in La minore op.77 di Dmitri
Šostakovič, uno dei capolavori della letteratura
violinistica di ogni tempo. Il voluminoso e
caldo violino della Dego è entrato subito
all'opera con il
Notturno.Moderato,
primo movimento, dalle tinte scure e
dall'andamento riflessivo, che introduce il
lavoro composto dal grande russo negli anni '50.
Rimane particolarmente impressa la struttura di
questo concerto dalle caratteristiche molto
sinfoniche per la complessa e articolata parte
orchestrale. La parte solistica è comunque quasi
sempre in primo piano con i timbri profondamente
coinvolgenti del violino. Jader Begnamini ha
condotto la "duplice" ottima orchestra in modo
splendido esaltando ogni dettaglio del c ontrastato
concerto. La melodicità della parte solistica ha
trovato nella Dego ottime peculiarità nello
scavare in profondità le timbriche del
voluminoso strumento ad arco: note spesso
isolate, dai colori scuri e ricche di calore.
Anche nei momenti più concitati e virtuosistici
come nello Scherzo del secondo movimento
o nella Burlesca del quarto, la virtuosa
ha esaltato con tecnica fluida e scintillante
ogni fraseggio. Bellissima poi la lunga Coda
che porta alla Burlesca nel finale. Successo
caloroso tributato alla visibilmente soddisfatta
interprete dal numeroso pubblico intervenuto e
ben tre bis solistici concessi tra cui una
fluida Obsession e una introspettiva
Melanconi a dalla
Sonata n.2 per violino solo di Eugène Ysaye.
Purtroppo non ho potuto assistere alla seconda
parte del concerto che prevedeva la nota
Sinfonia delle Alpi di R. Strauss, a detta di
amici resa molto bene dalla Verdi. Si replica
Domenica alle ore 16.00. Da non perdere.
25 maggio 2019 Cesare
Guzzardella
MUSICA CONTEMPORANEA
AL CANTELLI DI NOVARA
Quell’inesauribile fucina di
iniziative musicali che è ormai diventato il
Conservatorio G. Cantelli di Novara, grazie
all’intelligente intraprendenza dei suoi
dirigenti e docenti e alla qualità dei suoi
allievi, sta proponendo per tutta questa
settimana una serie di concerti dedicati alla
musica contemporanea. Oggi pomeriggio alle 17
abbiamo assistito a quello che è stato
probabilmente il concerto di maggior rilievo
dell’intera serie. Il bellissimo impaginato,
dall’immaginoso titolo “Ad astra per aspera”,
per il ricorrente riferimento al firmamento
stellare in alcuni dei brani in programma, era
aperto da uno dei tanti gioielli di quel grande
compositore francese, ancor troppo ignorato in
Italia, che fu André Jolivet:” Suite en
concerte” per flauto e percussioni (1966).
Composizione in quattro tempi, emana il fascino
tipico della musica di questo
sodale
di Messiaen ai tempi della ‘Jeune France’, vale
a dire come un’eco remota di una sacralità
originaria dell’alba dell’umanità, ove il suono
vibra di misteriose risonanze, contatto tra
l’umano e un’arcana realtà che lo trascende.
L’uso talora incantatorio, talora barbarico
delle percussioni (retaggio degli studi con
Varése , di cui Jolivet fu l’unico allievo
europeo) e il timbro vellutato e rarefatto del
flauto, in una tessitura armonica ove la
tonalità era sospesa, ma non drasticamente
abolita, davano a questa musica un raro potere
fascinatorio. I “ragazzi del Cantelli” hanno
eseguito lodevolmente questo complesso brano:
precise nelle entrate e nel tocco le
percussioni, brava la flautista Giuditta
Cavazzana, nel trovare il giusto valore timbrico
del suo strumento in un dialogo non facile colle
percussioni. Seguivano due composizioni,
particolarmente rappresentative di quella
reazione al rigido strutturalismo darmstadtiano
che fu l’alea. La prima è uno dei capolavori più
noti di Bruno Maderna, la “Serenata per un
satellite” (1969). Come ogni composizione
“aleatoria”, anche questa propriamente è
realizzata in forma inevitabilmente diversa ad
ogni esecuzione, poiché sta agli esecutori
scegliere che cosa suonare e in quale ordine. Lo
stesso organico è abbastanza libero, pur avendo
l’autore lasciato alcune indicazioni di massima.
La ‘ versione ‘ ascoltata oggi a Novara
prevedeva un
ensemble
formato da pianoforte, flauto contralto,
violino, viola, violoncello, clarinetto basso,
marimba. Ci è parso che la modalità esecutiva
scelta da tale ensemble privilegiasse
nettamente, tra quelle possibili, la
valorizzazione dei contrasti timbrici e la
creazione di ricorrenze ritmico-melodiche,
piuttosto che la frammentazione “cellulare” del
brano, come pure sarebbe lecito. Scelta più che
legittima, realizzata con ottima abilità
esecutiva ed efficace gestione dei piani sonori.
Nell’elenco degli esecutori, tutti meritevoli di
lode, segnaleremmo in particolari i due fiati,
Ilaria Torricelli (flauto) e Ivan Corona
(clarinetto basso, dall’ottima proiezione ed
energia di suono). Il secondo esempio di musica
aleatoria anni’60/’70 sono stati i sei “Segni”
proposti, dei dodici della serie completa, dello
Zodiaco (“Tierkreis”) di Stockhausen. Vale lo
stesso discorso che si è fatto per il brano di
Maderna: i vari strumenti impiegati in questa
esecuzione, tromba, due saxofoni, flauto,
pianoforte e ben tre chitarre, di cui una
elettrica, hanno dato vita ad un’avventura
timbrica di notevole suggestione, in cui il
pizzicato delle chitarre, il luminoso suono
della tromba, la malinconica e ironica vena dei
sax, la sottile e melodica voce del flauto, sul
tappeto sonoro di un pianoforte che alternava
momenti di puro ritmo a zone di più effuso
melodismo (se questo termine si può utilizzare
per una siffatta composizione) hanno creato un
universo sonoro, che, nel suo impianto atonale,
ricreava nel dialogo strumentale un mondo sonoro
piuttosto compatto, plasmato su un’atmosfera
sottilmente onirica, a tratti allucinatoria, che
davvero sembrava proiettare l’ascoltatore ‘ad
astra’. Tutti bravi, ancora una volta, i giovani
esecutori, tra i quali osiamo indicare
soprattutto Michele Tarabbia, ottima tromba e
Sonia Candellone, pianista dal suono potente e
dal ritmo incisivo. La conclusione, infine, è
toccata al brano di un compositore ancora ben
attivo ai nostri giorni, l’americano Lowell
Liebermann (1961). E’ stata eseguita una delle
sue opere più note, la Sonata op.23 per flauto e
pianoforte, in due tempi, in cui il secondo, un
Presto energico, richiede vere acrobazie
all’interprete, nell’occasione l’eccellente
Benedetta Ballardini, una delle ‘promesse’ del
Cantelli, che ha dato fondo a tutte le sue
energie e alla sua abilità già matura di
diteggiatura, per eseguire l’arduo passo. Un bel
pomeriggio di musica, salutato dai caldi
applausi del pubblico presente.
23 maggio 2019 Bruno Busca
Il
pianista sud-coreano Seong-Jin Cho per la
Società del Quartetto
Di significativo valore il
ritorno in Sala Verdi del pianista sud-coreano
Seong-Jin Cho. L'ho ascoltato nel 2017, sempre
in Conservatorio, per un'altra società
concertistica. Ieri sera è tornato nel
recital
organizzato
dalla Società del Quartetto ottenendo un
caloroso successo. Sala Verdi era al completo e
oltre ai numerosi abbonati, anche alcune
centinaia di appassionati sud-coreani - molti
giovanissimi- hanno seguito le sicure timbriche
del loro connazionale. L'impaginato variegato
prevedeva brani di Schubert, Debussy e
Musorgskij, tre musicisti decisamente diversi
per modalità espressive. Siamo abituati oramai
alla presenza di una scuola pianistica orientale
cinese e sud-coreana che ha preparato star
internazionali quali Lang Lang o Yuja Wang.
Seong-Jin Cho ha in comune con i due più
celebrati pianisti la tecnica
super-virtuosistica che non concede errori di
note o
momenti
d'insicurezza. Ma questa super-tecnica spesso
potrebbe non risolvere problemi interpretativi
che dipendono soprattutto da modalità espressive
legate ad affinità culturali più ampie. Il
venticinquenne Seong-Jin Cho venendo da
importanti vittorie di concorsi internazionali -
certamente il più importante Concorso Chopin
di Varsavia nel 2015- ha tutte le carte in
regola per cimentarsi in ogni grande autore. Ha
incominciato la serata proponendo la nota
Wanderer Fantasia D 760
di Franz Schubert, eseguendola certamente bene,
con approccio sicuro, da virtuoso e con
precisione tecnica. A mio avviso, nella valida
resa estetica, l'uso eccessivo del pedale ha
parzialmente omoegenizzato i contrasti sottili
dei diversi piani sonori per un risultato non
risolto completamente nelle dinamiche. Di più
efficace resa i brani presentati di Claude
Debussy: le tre Images dal Libro I e dei
Preludes
(libro I) il n.3, il n.8, il
n.6 e il n. 7. Esecuzioni con frangenti di
indubbio valore interpretativo. Originale e
timbricamente molto contrastato, in un contesto
tecnico superlativo, i celebri Quadri di
un'esposizione di Modest Musorgskij. Due i
bis concessi con brani dall'Op 118 di J.
Brahms: la Romance in fa magg. op.118 n.5
e l'Intermezzo in la maggiore op.118 n.2.
Applausi scroscianti e numerose salite sul
palcoscenico. Da ricordare e riascoltare!
22 maggio 2019 Cesare
Guzzardella
Prossimi concerti a
Novara
Al Conservatorio "Cantelli"
di Novara (Auditorium
f.lli Olivieri) sabato 1°
giugno 2019 ore 17 si terrà un Concerto
Straordinario in occasione della cerimonia di
consegna delle Borse di Studio "Clotilde Galli".
In programma musiche di Liebermann, Arutunian,
Bach, Schnittke, Liszt, Busoni, Prokof'ev
eseguite da Benedetta Ballardini e Sonia
Candellone (flauto e pianoforte) Erika Patrucco
e Roberta Menegotto (tromba e pianoforte) Davide
Agamennone, violino, Cecilia Apostolo,
pianoforte , Ilaria Torricelli e Francesca
Leonardi (flauto e pianoforte). Alla sera alle
21.00 a Bellinzago presso la Chiesa di
Sant'Anna, il Concerto Orchestra Junior del
Conservatorio "Cantelli" con Gianni Biocotino,
direttore . In programma musiche di Charpentier,
Vivaldi, Haendel, Morricone, Schuloff
22 maggio 2019 dalla
Redazione
Steven Isserlis per
Serate Musicali
in Conservatorio
È tornato ieri sera in Sala
Verdi per i concerti di Serate Musicali
il violoncellista Steven Isserlis accompagnato
dall' eccellente fortepianista Robert Levin,
specialista di questo strumento e presente
sul
palcoscenico con ancora il fortepiano a coda
Johann Schantz realizzato a Vienna nel 1810 e
appartenente alla collezione di Fernanda
Giuliani. Il programma prevedeva la seconda
parte dell'integrale di un "tutto Beethoven" con
le 7 Variazioni su Bei Männer , welcher Liebe
fühlen op. 46 dal Flauto magico di Mozart e
tre Sonate per violoncello e pianoforte e
precisamente l'op.5 n.2, l'Op.102
n.1 e l'102 n.2. Come scritto recensendo
il concerto dello scorso anno "ascoltare
Beethoven con il fortepiano è un' esperienza
interessante ed entusiasmante per quel sapore di
antico che traspare dalle timbriche non
voluminose ma nette e precise della tastiera che
nel duo con violoncello esaltano maggiormente lo
strumento ad arco pur mantenendo una specificità
della componente fortepianistica che specie
nelle sonate beethoveniane risulta essere
determinante".
Isserlis
con il suo Stradivari del 1726 e Levin, con il
raffinato fortepiano, hanno rivelato eccellenti
qualità che raramente si ascoltano in questo
particolare duo. Le modalità interpretative, con
l'aspetto gestuale "improvvisatorio" di Isserlis
e la perfetta tecnica di Levin, fanno trapelare
una musicalità di altissimo livello estetico che
emerge ancor più nei momenti di grande
melodicità beethoveniana. La perfezione
nell'integrarsi sui differenti piani sonori -
pur nelle specificità delle timbriche- ha
segnato in modo indelebile queste ottime
interpretazioni. Fragorosi gli applausi
tributati al termine ai due grandi interpreti e
al termine del programma ufficiale ancora il
luminoso bis eseguito nel novembre dello scorso
anno con Ich ruf' su Dir, Herr Jesu Christ,
BWV 639 di J.S.Bach. Da ricordare.
Bravissimi!
21 maggio 2019 Cesare
Guzzardella
Prossimamente Laura
Marzadori e Olaf Laneri a Villa Litta
E' denominato “Sonate nel
tempo, tempi di Sonate” il concerto che avrà
luogo nella milanese Villa
Litta
di via Affori 21. La violinista scaligera Laura
Marzadori ed il pianista Olaf Laneri terranno
infatti un concerto il 27 maggio alle ore 20.45
con musiche di Beethoven, Grieg, Brahms e
Messina. Il Concerto spazia dalla classica e
celebre "Sonata a Kreutzer", culmine
delle Sonate per violino e
pianoforte
di Beethoven, ai ritmi e alle melodie popolari
norvegesi di Grieg, per rivolgersi poi a due
tempi di Sonate: il celeberrimo Scherzo
della triplice Sonata FAE, di Brahms, e
un Tempo di Sonata di Gianfranco Messina,
tecnicamente sperimentale ma basato su sequenze
armoniche di Debussy. Laura Marzadori giovane
trentenne Violino di Spalla dell'orchestra del
Teatro alla Scala, riesce anche a tenere
numerosi concerti in formazioni cameristiche
eseguendo spesso brani di autori contemporanei
come quello del promettente giovane compositore
trentenne Gianfranco Messina, allievo, tra gli
altri, dell'affermato Fabio Vacchi. Da non
perdere.
20 maggio 2019 dalla
redazione
A NOVARA IL
CONSERVATORIO G. CANTELLI RICORDA IL
BICENTENARIO DI CLARA WIECK SCHUMANN
Decisamente degna di encomio
l’iniziativa promossa dal Conservatorio novarese
di ricordare i duecento anni della nascita di
Clara Wieck, la cui attività di compositrice,
soprattutto di musica per pianoforte, è stata
sino ad anni recenti totalmente oscurata
dall’ingombrante nome del grande e infelice
marito, Robert Schumann. Tutt’al più veniva
ricordata per la sua attività, eccezionalmente
lunga e intensa, di pianista di straordinario
livello, tra le più grandi di tutti i tempi,
Solo da qualche tempo, grazie anche
all’iniziativa di alcune case discografiche
particolarmente intraprendenti, come la Naxos, e
a siti digitali come Youtube, si comincia
finalmente a conoscere qualcosa della Clara
Wieck Schumann compositrice. Il Conservatorio G.
Cantelli di Novara ha dunque dedicato a questa
affascinante figura una “due giorni” ,
intitolata in tedesco “Geliebte Clara “ (“Amata
Clara”), snodatasi, sotto la guida di un
comitato presieduto da Luca Schieppati, tra
ieri,
Venerdì 17 /05 e oggi, Sabato 18, e articolata
in conferenze, concerti e altro. Personalmente
abbiamo assistito, oggi pomeriggio, Sabato 18,
alla parte conclusiva delle celebrazioni, che si
divideva in tre momenti nettamente distinti:
un’interessantissima e stimolante conferenza del
Maestro Luca Ciammarughi , “Clara come didatta”
che ha illuminato un altro aspetto fondamentale
della figura di questa donna straordinaria,
quello di insegnante di pianoforte, svoltasi a
partire dagli anni ’80 del XIX sec., quando,
abbandonata l’attività concertistica, entrò come
docente di pianoforte al Conservatorio di
Francoforte. Ciammarughi ha proposto l’ascolto
commentato di interviste ed esecuzioni delle tre
allieve più importanti di Clara Fanny Davies,
Ilona Ebenschutz e Adelina de Lara . E’ seguita
la proiezione di un raro film girato in
Germania, nel 1944(!) dal regista e
sceneggiatore Harald Braun, “Traumerei”: e’
stata decisamente la fase meno interessante del
pomeriggio di ‘Geliebte Clara’, perché, a parte
la rarità del film, si tratta di un pesante
sottoprodotto romanticheggiante, infarcito di
imprecisioni storiche vistose, che nulla
aggiunge a quanto già non si sapesse della vita
della musicista: faceva una certa impressione
pensare che quella Germania ottocentesca
mostrata nel film allo spettatore tedesco era
già stata in gran parte sbriciolata dai
terrificanti bombardamenti
anglo-americani…Infine, come doveroso, la parte
musicale del pomeriggio. Essa proponeva tre
composizioni: una di Clara Schumann, i primi tre
dei sei Lieder op.13, le altre due dei due
compositori che più hanno contato, da vari punti
di vista, non solo musicali, nella vita di
Clara, cioè J. Brahms, con le “Variazioni su un
tema di Schumann op.9” e ovviamente R. Schumann
con le tre Phantasiestucke per clarinetto e
pianoforte op. 73. I tre Lieder, su testi E.
Geibel, non sfiguravano accanto ai Lieder ben
più celebri di Schumann, distinguendosene forse
per una scrittura pianistica più semplice sotto
il profilo armonico. Di questi il più bello,
poeticamente e musicalmente, ci è parso il terzo
“Liebeszauber” (Incantesimo d’amore), ricco di
chiaroscuri e di variegati piani sonori, resi
adeguatamente dal soprano Tiziana Ravetti, brava
nel fraseggio e intensa negli acuti, e dalla
pianista Gigliola Granziera, in perfetta
sintonia con la cantante e dal tocco morbido ed
energico a un tempo, sia nell’acuto, sia nel
basso. Valida anche l’esecuzione delle
variazioni brahmsiane da parte del giovane
pianista milanese Federico Costa: buona
padronanza tecnica della tastiera, apprezzabile
capacità di cogliere le valenze espressive di
queste variazioni, in particolare nel finale,
ove Costa ha fraseggiato dando il giusto risalto
al tono struggente dell’omaggio a Schumann della
variazione n.15 e nella sedicesima, conclusiva,
ha interpretato con misurata pensosità il basso
da ciaccona del tema. Un plauso, infine, si
meritano, per i Phantasiestucke schumanniani
Gabriele Mercandelli, uno dei migliori giovani
clarinettisti del Cantelli e la pianista Cecilia
Apostolo, che hanno dato voce alla festosa
leggerezza di questa composizione schumanniana,
una tipica Hausmusik che ne fa una delle poche
composizioni del catalogo schumanniano di tono
leggero e cordiale. Bella occasione di incontro
con la musica, questa offerta dal Cantelli, cui
purtroppo hanno aderito in pochi: l’auditorium
era semivuoto. Sarà stato per la giornataccia di
pioggia che non invitava ad uscire di casa?
18 maggio 2019
Bruno Busca
Il
Cuarteto Casals per
la Società del Quartetto
Ieri sera il Cuarteto
Casals ha continuato la serie dei concerti
dedicati a Beethoven e a Bartók in Conservatorio
interpretando prima il Quartetto n.1 op.7 SZ
40 dell'ungherese e poi il Quartetto n.14
op.131
del genio di Bonn. Per la terza volta ospiti
della Società del Quartetto, la
prestigiosa formazione formata da Vera Martinez
Mehner al
violino,
Abel Tomàs al violino, Jobathan Brown
alla viola e Arnau Tomàs al
violoncello, hanno mostrato talento con
esecuzioni di mirabile fattura. Il quartetto
bartókiano composto quando l'autore aveva solo
26 anni nel 1907 è già
decisamente evoluto e rappresenta un netto
superamento della visione tardo romantica ancora
presente in molti compositori contemporanei
all'ungherese. Lo splendido equilibrio timbrico
ottenuto dai quattro cameristi ha evidenziato
una perfetta padronanza delle dinamiche rese
benissimo anche nei volumi quasi impercettibili
nei momenti più profondi. Il magnifico impasto
timbrico degli interpreti ha rivelato una
qualità esecutiva
omogenea
e di alto livello per ogni esecutore. Passando,
nella seconda parte della serata, al
Quartetto in do diesis minore di Beethoven,
terz'ultimo del
compositore, abbiamo riscontrato
medesime qualità interpretative in tutti quattro
i movimenti che compongono il celebre lavoro.
Con maestria e sicurezza tecnica superlativa, i
quattro hanno evidenziato ogni frangente della
composizione eseguendo i movimenti senza
soluzione di continuità. Applausi fragorosi al
termine e splendido il bis concesso con un
movimento da un quartetto di Mendelssohn. Da
ricordare.
15 maggio 2019 Cesare
Guzzardella
Carlo Levi Minzi per
il Concerto n.2 di Brahms alle Serate Musicali
Dopo il valido concerto
dell'11 marzo scorso è tornato sul palcoscenico
di Sala Verdi il pianista Carlo Levi Minzi
ancora diretto da Giorgio Rodolfi Marini ma
questa volta con l'Orchestra del
Teatro
Carlo Coccia di Novara. Anche ieri sera per
Serate Musicali ho potuto ascoltare solo la
prima parte dell'impaginato che prevedeva il
Concerto n.2 op.83 di Brahms. Devo in parte
ripetere le impressioni avute con il Concerto
brahmsiano n.1 del mese di marzo.
"L'interpretazione particolare di
Levi Minzi, affermato
pianista e noto didatta milanese, ha trovato un
andamento rilassato, con movimenti in cui la
struttura melodico-armonica è definita in modo
analitico con dettagli particolareggiati. Punto
di forza nell'inusuale interpretazione di
Levi Minzi è la
chiarezza coloristica attenta e precisa, con
frangenti di eccellente risalto estetico" .
Chiaramente il volere intraprendere questa
andatura analitica è oramai una scelta sicura di
Levi
Minzi e Marini per raggiungere
obiettivi chiari, forse non apprezzabili da
tutti, ma certamente coerenti e piacevoli per la
chiarezza espressiva di molti frangenti. Anche
il bis concesso da Levi Minzi
con un Intermezzo
brahmsiano ha raggiunto una vetta di ampia
riflessione musicale. Nella seconda parte della
serata la celebre Sinfonia dal Nuovo Mondo
di Dvorak, a detta di amici, eseguita molto
bene da un orchestra che certamente gode da
parecchio tempo di ottimo prestigio.
14 maggio
2019 Cesare Guzzardella
Tra jazz e classica con Enrico Pieranunzi e
Paolo Silvestri
Esiste un punto d'incontro
naturale tra generi musicali apparentemente
differenti quale il jazz e la musica classica.
Alla fine degli anni 50' si definiva con
Third Stream un modo per descrivere un
genere musicale che era una sintesi fra la
musica classica, precisa nella trascrizione in
partitura, e il jazz, stile che ha
nell'improvvisazione l'elemento più evidente.
Nacquero allora formazioni jazz dalle timbriche
classiche come il celebre Modern Jazz
Quartet,
che cercavano di unire modalità espressive
nate
in modi differenti per prodotti artistici che
trovassero un nuovo e più allargato pubblico.
Musicisti soprattutto classici come Gulda o jazz
come Loussier, Gaslini, Corea, Jarrett, Cicero,
Camilo, Caine, solo per citare i più noti, si
dedicarono anche ad entrambi i generi e
incontrarono spesso il classicismo del sommo
J.S.Bach. Non dimentichiamo in passato le
incursioni jazz di musicisti quali Stravinskij,
Shostakovič
o Ravel. In Italia, tra i più apprezzati
pianisti di successo che cercano e trovano con
valida sintesi una soluzione tra i due mondi
musicali abbiamo Enrico Piranunzi: ottimo
interprete classico ed eccellente jazzista.
Questa mattina al Dal Verme, insieme
all'orchestra de "I Pomeriggi" e al direttore,
arrangiatore e compositore Paolo Silvestri,
abbiamo ascoltato per la serie "I Matinée" un
riuscito esempio di sovrapposizone di generi per
un linguaggio unitario. Domenico Scarlatti, J.S.
Bach, Ennio Morricone, Enrico Pieranunzi e Paolo
Conte, sono i compositori trasformati dal
pianista e dal direttore Silvestri - eccellente
arrangiatore - per risultati a volte
apprezzabili,
a volte eccellenti. Ha iniziato da solo
Pieranunzi con alcune Sonate di Domenico
Scarlatti ( K9, K239, K206, K260) trasformate in
corso d'opera in brani tra il classico e il
jazz, con parti improvvisate, ritmate,
accentuate ecc. per un risultato certamente di
qualità. Entrando in scena l'ottima Orchestra
de I Pomeriggi siamo passati ad una
trascrizione-rielaborazione di Silvestri - con
cadenze improvvisate di Pieranunzi- del
Concerto n.5 in fa minore BWV 1056 di
J.S.Bach. La fedeltà nella scrittura di alcune
parti e la valida ri-orchestrazione,
insieme all'ottima esecuzione di Pieranunzi,
pianista dai colori morbidi e raffinati, hanno
portato ad un nuovo Bach . Bellissimo il
Largo centrale anche per le raffinate
sonorità degli archi. Di valore l'orchestrazione
operata da Silvestri anche nel brano successivo
di Ennio Morricone tratto da Nuovo Cinema
Paradiso. Gli impasti sonori tra le
timbriche del pianoforte con i chiaro-scuri
orchestrali mi sono sembrati
di gran pregio. A seguire i due brani di
Pieranunzi, Les amants e Una piccola
chiave dorata, ancora arrangiati da
Silvestri hanno trovato momenti certamente
felici alternati ad altri meno convincenti nei
quali gli impasti sonori tra pianoforte e
orchestra sono risultati un po' disequilibrati
con una prevalenza delle dinamiche orchestrali.
Divertente il brano Azzurro di Paolo
Conte trasformato in un ibrido jazz dalla coppia
Sivestri- Pieranunzi. Ottimi i bis proposti da
Pieranunzi. Per concludere: ottimo concerto che
ha trovato momenti di felice riuscita artistica
sia grazie alle indubbie qualità creative del
raffinato pianista che dall'ottimo
orchestratore-direttore. Bravissimi gli
orchestrali! Da ricordare.
12 maggio 2019 Cesare
Guzzardella
ADAMS E MESSIAEN
CONCLUDONO LA STAGIONE CAMERISTICA DEL
CONSERVATORIO G. CANTELLI DI NOVARA.
All’insegna di una proposta
di ascolto originale la conclusione, oggi sabato
11 maggio, della stagione cameristica del
Conservatorio novarese intitolato al grande
direttore d’orchestra G. Cantelli: due esempi di
musica novecentesca a tema religioso, per duo
pianistico: l’uno, celeberrimo, la Vision de
l’Amen di O. Messiaen, un secondo, forse meno
noto e più recente (1998), l’Hallelujah Junction
di J. Adams. A eseguire i due pezzi in programma
due giovani pianisti, che vantano già entrambi
un qualificato curriculum di studi, di concorsi
e di recital, vale a dire Monica Cattarossi,
docente presso il Cantelli, e Filippo Farinelli.
Invertendo l’ordine cronologico di composizione,
il concerto si è aperto col pezzo di Adams,
il
cui titolo, in realtà, non rimanda ad
un’ispirazione direttamente religiosa:
Hallelujah Junction è infatti una fermata
d’autobus nei pressi di una residenza del
compositore, ma è proprio quella parola così
carica di tradizione religiosa e sacrale ad
avere spinto Adams a scrivere il pezzo. Di
chiara concezione minimalista, Hallelujah
Junction si caratterizza per l’iterazione di
ampi segmenti musicali, lungo un percorso che ha
inizio con tre note , corrispondenti alle tre
sillabe “-lle-lu-ja”, che i due pianoforti
sembrano rimpallarsi l’un l’altro, secondo
armonie modali e con una lieve sfasatura tra
primo e secondo pianoforte. Il fascino di questa
composizione consiste nella varietà di colori
timbrici e di ritmi, nel passaggio da una
sezione all’altra del continuum musicale, sempre
più intensi, , che culminano nello sfrenato
boogie finale, in cui, come spiega Adams stesso,
i due pianisti sembrano “andare in tilt”, come
impazziti. Bellissima, oseremmo dire perfetta e
coinvolgente, l’esecuzione di Cattarossi (primo
pianoforte) e di Farinelli (secondo pianoforte),
che hanno espresso come meglio non si potrebbe
la varietà dinamica e agogica della complessa
partitura, ma soprattutto, hanno dato vita a un
affascinante dialogo tra le due tastiere,
facendo affiorare, in ciò che appariva come
acusticamente identico, il lieve scarto ritmico,
o il dettaglio timbrico, con cui il compositore
statunitense ha costruito un originalissimo e
geniale mondo sonoro. La bravura dei due
bravissimi interpreti è stata ulteriormente
esaltata dal capolavoro di Messiaen. Cattarossi
e Farinelli hanno saputo individuare, per
ciascuna delle sette parti in cui questo
straordinario monumento del’900 musicale è
articolato, un’identità sonora, un colore, un
fraseggio. Senza poter entrare negli infiniti
dettagli proposti da una partitura come questa,
diremo che l’ascoltatore è stato catturato fin
dall’Amen della Creazione, il primo della serie.
Veramente
affascinante il misterioso pianissimo,
paragonabile per suggestione e funzione
compositiva all’incipit del wagneriano” Oro del
Reno”, sorta di emergere dell’Universo dal nulla
originario, che poi cede ad un incantevole
dialogo tra le due tastiere, tra i delicati
arabeschi ripetuti a carillon del pianoforte 1 e
gli accordi grandiosi con cui il pianoforte 2
evoca il mistero della Creazione: il tocco
delicato e quasi evanescente di Cattarossi e
quello energico e possente di Farinelli, a
rispondersi l’un l’altro, trasformando due
strumenti in un’orchestra, cosa possibile,
crediamo, solo al pianoforte. Ma veramente tutta
l’infinita gamma delle soluzioni musicali e dei
registri timbrici profusi dal compositore
francese hanno trovato la loro voce sotto le
dita dei due interpreti: tra tutti citiamo,
quali vertici di qualità assoluta, la tenerezza
struggente del primo tema dell’Amen del
desiderio e il finale trasumanante dell’ultimo
Amen, quello della Consumazione, ove il luminoso
La maggiore del Paradiso, in un crescente
scintillio di ritmi di danza sempre più
appassionati, ha davvero innalzato per alcuni
minuti interpreti e pubblico ad un’esperienza
spirituale al di sopra della normale
quotidianità. Il pubblico, allo spegnersi
dell’ultima eco dell’ultima nota, ha salutato i
due interpreti con un applauso che era, prima di
tutto, di gratitudine: un concerto così non si
dimentica facilmente.
11 maggio 2019 Bruno Busca
Presentata la Stagione 2019-2020 della
Fondazione la Società dei
Concerti
Non poteva andare meglio il
concerto organizzato in occasione della
presentazione della prossima Stagione della
Società dei Concerti. La Presidente e
Direttore artistico della nota organizzazione
concertistica
fondata da Antonio Mormone, Enrica Ciccarelli
Mormone, ha introdotto la
serata anticipando il programma della Stagione
2019-2020 che prevede la partecipazione di
interpreti straordinari quali Kissin, Matsuev,
Buchbinder, Wang, Volodos, Lewis, Accardo, Rana,
Tifu ecc.,solo per citarne alcuni, ed
introducendo quindi il concerto e i suoi giovani
interpreti. Quattro artisti di cui tre validi
strumentisti ed un compositore, hanno
contribuito con la loro musica ha riempire di
ottime sonorità la grande ed affollata Sala
Verdi del Conservatorio milanese. Il pianista
Antonino Fiumara, la violinista Emma Arizza e il
saxofonista Jacopo Taddei, unitamente al
compositore Vittorio Montalti che ha scritto un
trio per l'occasione - tutti e quattro sono
Artisti in Residence della società
concertistica- hanno rivelato
le
loro qualità eseguendo numerosi brani. Fiumara
ha introdotto la serata con una valida
esecuzione della Polacca Fantasia op. 61
di Chopin, quindi con un cambio totale di
registro siamo passati ad un brano per saxofono
e pianoforte del giapponese Takashi Yoshimatsu
denominato Fuzzy Bird Sonata , brano
degli anni '50 che inizia ad avere una certa
notorietà anche qui in Italia. Straordinaria
l'interpretazione di Taddei in questo lavoro in
tre parti che unisce stilemi occidentali a
timbriche del migliore jazz. L'uso di ogni
effettistica del sax contralto, quasi
completamente
scritta in partitura, è stata definita in modo
efficace in tutta la voluminosa emissione dello
strumento a fiato dall'eccellente ventitreenne
musicista, coadiuvato dall'ottimo pianista che
spesso unitamente al sax eseguiva parti
solistiche all'unisono. Strepitosi gli applausi
accordati al duo e ripetuti fragorosamente anche
nel divertente e coinvolgente secondo brano di
Jean Matitia denominato The Davil's Rag,
un esempio di virtuosistico ragtime nel quale
sia il sassofono che il pianoforte fanno cose
strabilianti. Dopo il breve intervallo il
violino della giovane Emma Arizza accompagnata
da un impeccabile
Fiumara
ha introdotto il duo per violino e pianoforte di
H. Wieniawski Variazioni su un tema originale
op.15. Molto brava la violinista nel mettere
in risalto ogni dettaglio virtuosistico con
perfetta intonazione e giusto equilibrio. Salito
sul palcoscenico, il compositore
Montalti
ha presentato il lavoro appositamente scritto
per i tre interpreti ed intitolato The Image
Maze: una sequenza di immagini timbriche, da
quelle pregnanti intonate dal sax a quelle più
tenui del violino, si sono succedute nel
definire la sua valida composizione.
Passando
ad Astor Piazzolla con due noti lavori quali
Primavera Portena e Otono Porteno
nella trascrizione per sax, violino e
pianoforte, siamo tornati a quelle immediate
coloristiche che caratterizzano la sconfinata
produzione del noto compositore argentino.
Splendide le parti solistiche del sax ma anche i
colori pregnanti e caldi del violino
dell'Arizza. Applausi fragorosi ai protagonisti
ed eccellenti i bis concessi e tra questi
l'avvincente
Humoresque di Antonin Dvora k
e per finire il Tango pour Claude di
Richard Galiano. Da ricordare.
11 maggio 2019 Cesare
Guzzardella
Il
pianista
polacco Szczepan
Kończal
in Sala Puccini per Serate
Musicali
É un ottimo interprete
chopiniano Szczepan Kończal,
il pianista polacco nato nel 1985 a Katowice e
vincitore
di numerosi concorsi dedicati al grande
compositore connazionale. Lo abbiamo ascoltato
ieri sera nella Sala Puccini del Conservatorio
milanese insieme purtroppo ad un esiguo pubblico
di poche decine di spettatori. Le sue valide
interpretazioni di Notturni ( op.48 n.1 e
n.2) della Polacca op.40 n.1, della
Mazurca op.24 n.4 per concludere con due
mirabili brani quali la Ballata op.47 e
la Berceuse op.57 sono state precedute da
brani di un noto pianista- compositore quale
Ignacy Paderewski (1860-1941) divenuto nel 1919
Primo ministro e Ministro degli esteri di una
Polonia da poco indipendente. Interessanti e ben
eseguiti i nove brani scelti da Końzal, a
cominciare dal celebre
Minuetto
op.14 n.1, continuando con le melodie dell'Op.16
n.1 e n.2, con le Danze Polacche op.9,
col Notturno op.16 n.4, con il Chant
du vayageur op.8 n.3 , per concludere con
Cracovienne fantastique op.14 n.6. Brani che
risentono molto dell'influenza di Chopin e sono
intrisi di caratteri folclorici polacchi. Ottimo
il bis con ancora una Mazurca di Chopin.
Ricordiamo che il concerto era organizzato dagli
Amici di Serate Musicali ed è stato
inserito nel Centenario dei rapporti
Italia-Polonia alla presenza di autorità
consolari polacche.
10 maggio 2019 Cesare
Guzzardella
Benjamin Grosvenor
in Conservatorio per la
Società dei Concerti
Il pianista londinese
Benjamin Grosvenor ha tenuto un recital
per la Società dei Concerti in
Conservatorio davanti ad un appassionato
pubblico anche se purtroppo ridotto dalla
pioggia milanese. Lo avevamo ascoltato nel 2016,
sia in Conservatorio - sempre per la prestigiosa
società
concertistica-
sia al Teatro alla Scala in un eccellente
Concerto n.1 di Liszt. Allora in Sala Verdi
aveva eseguito Mendelssohn, Chopin, Ravel e
Liszt; ieri sera ancora in un programma
variegato che prevedeva Schumann, Janáček,
Prokof'ev e sempre Liszt. Come detto in altri
articoli, anche ieri siamo rimasti stupefatti
della precisa costruzione geometrico-
architettonica offerta dal virtuoso. I dettagli
sono chiari e non perde una nota il pianista,
dimostrando uno studio minuzioso di ogni
elemento musicale. Padroneggia la tastiera con
una composta sicurezza e con un' appropriata
gestualità. Di Schumann ha eseguito prima
il breve Blumenstuke op.19 e poi la
corposa Kreisleriana op.16 che ha
completato la prima parte del concerto. Valide
le interpretazioni: certamente delicate, precise
ma prive di quella estemporanea discorsività che
gioverebbe alla componente più romantica tipica
delle grandi interpretazioni del passato.
Splendida e di valore
la
seconda parte del concerto. Come spesso accade
nei pianisti di nuova generazione, l'attitudine
alla musica di tardo Ottocento o ancor più del
Novecento è decisamente più marcata, mentre
raramente si trovano novità interpretative nei
brani romantici di primo Ottocento. Ha iniziato
con Leos Janáček
e la sua innovativa Sonata 1-X- 1905, per
poi procedere con Visions Fugitives di
Sergej Prokof'ev. Delle due ottime
interpretazioni la seconda ci è apparsa
migliore ed esteticamente rilevante per gli
eccellenti equilibri timbrici e dinamici
distribuiti nei numerosi brani che compongono
queste straordinarie brevi Visioni. Con Franz
Liszt e Réminiscences de Norma, Grosvenor
ha raggiunto una meravigliosa vetta
interpretativa. Superando ogni difficoltà
tecnica di questo sorprendente e iper- virtuosistico
lavoro, il giovane pianista ha ancora una volta
mostrato perfetta sintonia con il mondo
lisztiano padroneggiando ogni sonorità e
inquadrando ogni frase in contesti di equilibri
volumetrici esemplari. Il taglio netto ed il
giusto peso impresso dalle sicure mani al
fraseggio, hanno evidenziato anche i frangenti
più complessi dove spesso i temi belliniani si
sovrappongono. Mirabile l'interpretazione. Due i
bis concessi prima con un breve ed adeguato
Grieg e poi con un meraviglioso Ginastera di
Argentinia dance n.3 all'insegna di un
raffinato ed esemplare virtuosismo. Da
ricordare.
9 maggio 2019 Cesare
Guzzardella
Rafal Blechacz per la
Società del Quartetto
È tornato in Conservatorio il
pianista polacco Rafal Blechacz per la
Società del quartetto presentando un
impaginato diversificato ma classico, come è sua
abitudine. Il trentaquattrenne
ha iniziato la sua intensa carriera
concertistica vincendo il prestigioso Concorso
Chopin di Varsavia nel
2005.
Da allora brani del grande musicista polacco
vengono sempre inseriti nei suoi programmi,
costruiti rispettando una fondamentale
cronologia d'esecuzione e con un senso logico
preciso nella successione. Ieri sera Blechacz ha
iniziato con Mozart eseguendo prima il Rondò
in la minore K. 511 e poi la Sonata
in la minore K. 310; concludendo la prima
parte della serata con Beethoven e la Sonata
n.28 in la maggiore Op 101. La classicità
esecutiva del pianista è emersa in ogni
dettaglio attraverso una precisione di tocco, un
corretto uso dei pedali
e un valido potenziamento dagli elementi
drammatici dei brani; q uesti
hanno rivelato ancora una volta l'ottimo livello
interpretativo di Blechacz nel repertorio più
classico. Il passaggio al repertorio romantico
del dopo intervallo ha spostato in modo evidente
il modo interpretativo di Rafal in un territorio
dove l'interprete è Maestro, mi riferisco
soprattutto al suo mirabile Chopin eseguito dopo
una estemporanea e significativa esecuzione
della Sonata n.2 in sol minore op.22 di
Schumann. Proprio in Schumann, l'impatto del
cambio di registro esecutivo ha rivelato un
Blechacz diverso dal solito, un pianista che osa
e rischia di più accelerando
i tempi esecutivi e aumentando l'elemento
"improvvisatorio" nei movimenti più turbolenti.
Decisamente valida e
innovativa
questa esecuzione. Con Chopin al termine e le
sue Quattro Mazurche op.24 seguite dalla
celebre Polacca in la bemolle maggiore op.53,
Blechacz è tornato al suo prediletto polacco.
Siamo rimasti mirabilmente sbalorditi delle
Mazurche eseguite con maestria, con varietà
timbrica e dinamica per fare emergere dettagli
nascosti di sorprendente
raffinatezza; specie nella n.2 Do maggiore
ha raggiunto livelli interpretativi
ineguagliabili. Ottima la Polacca e bene il bis
concesso con il celebre
Valzer op.64 n.2. Fragorosi gli applausi al
termine e visibile la soddisfazione di Blechacz
per la riuscita della splendida serata. Da
ricordare.
8 maggio 2019 Cesare
Guzzardella
Sa Chen per
le
Serate Musicali del
Conservatorio
Da alcuni anni la pianista
cinese Sa Chen è ospite di Serate Musicali.
L'ultima volta nell'aprile dello scorso anno
dove in Sala Verdi aveva impaginato un
interessante programna con gli Studi di
Debussy
e con quattro Improvvisi di Schubert. Ieri sera
ha rinnovato le sue ottime qualità con un
impaginato diversificato che prevedeva prima
alcuni Notturni di Chopin e poi, dopo il
breve intervallo, brani di Franck e di Messiaen.
Come detto in passato, ancora una volta abbiamo
riscontrato come la sensibilità di questa
giovane interprete sia molto vicina al mondo
occidentale e come le sue elevate capacità siano
maggiormente significative nei repertori del
secolo scorso o contemporaneo. Chiarezza
espositiva, sicurezza tecnica e notevole
interiorizzazione musicale hanno contribuito a
rendere valida la serata. Certo, i Notturni di
Chopin avevano poco di polacco, ma l'esposizione
analitica e dettagliata, definita da tempi
particolarmente dilatati, ha mostrato una
bellezza coloristica elevata e nel complesso i
Notturni
presentati - due postumi e le opere 37
n.2, 15 n.3, 32 n.1 e 2 - ci sono sembrati
esaustivi e nettamente superiori a quelli di
molti giovani che imitano i grandi interpreti
elaborando sintesi discorsive con molto pedale e
di scarso valore. Decisamente migliori e
sorprendenti le interpretazioni del belga Franck
e del francese Messiaen. Del primo il noto
Preludio, Corale e Fuga ha trovato delle
ottime mani in Sa Cheng. La chiarezza espositiva
della giovane interprete unitamente ad una
fluida esecuzione senza minime sbavature, hanno
evidenziato un eccellente colore nel fraseggio
rendendo ottimo il risultato complessivo.
Avvincente Olivier Messiaen con il
Prelude n.7 "Calme Plainte" eseguito
quasi senza soluzione di continuità con
Regard de l'esprit de jouie, il n.10
dei Vingt Regards sur l'enfant-Jésus. Qui
la Chen ha espresso una netta
vicinanza
interpretativa con il mondo sonoro del francese,
calibrando le timbriche in modo perfetto, anche
nei momenti più virtuosistici del complesso
lavoro. Un brano ricco di dissonanze
perfettamente inserite nel contesto formale che
rimanda anche alla coloristica di Claude Debussy
e che trova nel linguaggio personale e
innovativo di Messiaen un valore aggiunto.
Splendida l'esecuzione e valido il bis concesso
con uno Studio di Debussy. Applausi
meritati per la bravissima interprete. Da
ricordare.
7 maggio 2019 Cesare
Guzzardella
Un grande Zubin Mehta con la Filarmonica
della Scala in Bruckner
Grande successo alla prima
replica dell'Ottava Sinfonia di Anton
Bruckner con Zubin Mehta ( foto di
Brescia-Amisano-Archivio
Scala) alla guida della Filarmonica
della Scala. Il direttore, dall'aspetto
ancora
molto giovanile malgrado quell' ingannevole
bastone con il quale ha guadagnato il podio,
attraverso movenze delicate ma comunicanti
energia ha splendidamente diretto i bravissimi
filarmonici per oltre ottanta minuti di musica.
La versione del 1890 della Sinfonia in do
minore ascoltata ieri
sera, prevede anche un maggiore uso delle arpe.
Si dinapa nei classici quattro movimenti con lo
Scherzo
come secondo. L'inconfondibile stile di Bruckner
è giocato su una simmetrica e geometrica
ripetitività tematica modulare. Continui
varianti cromatiche dei temi esposti hanno uno
stile ereditato da Wagner sebbene usato in modo
personale da un compositore che era anche
eccellente organista. Le timbriche
caratterizzanti la sinfonia sono state
ottimamente evidenziate da tutte le sezioni
orchestrali e mediate da una direzione, quella
di Mehta, attenta ad ogni dettaglio e ricca di
espressività. Alcuni frangenti sinfonici, come
il tema iniziale dell'Adagio o la forza
dirompente di parte del Finale, sono
sublimi. Il pubblico, in un teatro al completo
ha apprezzato l'esecuzione tributando al termine
fragorosi applausi all'orchestra e al direttore
tornato più volte sul palcoscenico. Ricordiamo
l'ultima replica prevista per l'11 maggio. Da
ricordare!
5
maggio 2019 Cesare Guzzardella
UN PRODIGIOSO
DODICENNE AL FESTIVAL VIOTTI DI VERCELLI
Sembra uscito da un ritratto
di Joshua Reynolds il dodicenne violoncellista
franco-tedesco Maxime Grizard, protagonista del
recital tenutosi ieri sera, Sabato 5 maggio, al
Teatro Civico di Vercelli, organizzato dal
Viotti Festival. Grizard, già vincitore di vari
concorsi in Francia, ha acquistato fama di
enfant prodige vincendo un concorso televisivo
qualche tempo fa. Si noti che il fanciullo in
questione studia il violoncello da soli quattro
anni, dopo aver iniziato lo studio del
pianoforte, che tuttora coltiva. Confessiamo di
nutrire un’istintiva diffidenza verso la
definizione stessa di “bambino prodigio”, specie
se riferita alla musica, diffidenza
accresciutasi smisuratamente all’apprendere che
il mito del giovanissimo Maxime è nato
in
televisione, ad uso e consumo del cosiddetto
grande pubblico: sospettiamo sempre la ‘bolla
mediatica’, destinata a sgonfiarsi nel volgere
di breve tempo. Nel caso di Grizard, dopo averlo
ascoltato, dobbiamo però esclamare con re
Edoardo III: “Honi soit qui mal y pense”: il
giovanissimo violoncellista d’oltralpe non è
affatto un’invenzione dei media e dell’industria
culturale, ma è dotato di qualità di interprete
già straordinariamente mature e raffinate. Nel
recital di ieri sera, accompagnato
dall’eccellente pianista russo Roustem
Saitkoulov, il pianista preferito da Vengerov
come suo accompagnatore, presentava un programma
vario e tecnicamente impegnativo, per
violoncello e pianoforte: la Phantasiestucke op.
73 di Schumann, due delle ‘Tre antiche danze
viennesi’ di Kreisler, due pezzi di Rachmaninov,
Vocalise op.34 n.14 e il terzo tempo Andante
della sonata op.19 , il ‘Pezzo capriccioso’ op.
62 di Ciajkovskij e, dopo l’intervallo, la
Sonata in re minore op. 40 di Sciostakovic.
Partiamo proprio da quest’ultima composizione,
come banco di prova delle qualità interpretative
di Grizard, per la varietà di registri
stilistici che essa presenta, tra tardo
romanticismo, neoclassicismo e slanci di più
aperto ‘modernismo’. E’ dunque una composizione
che richiede al violoncellista (e naturalmente
al pianista), oltre a raffinata sapienza
tecnica, anche una matura duttilità espressiva.
Ebbene, l’esecuzione di Grizard è stata davvero
di ottimo livello: dal punto di vista puramente
tecnico, con le ineccepibili rapidissime volate
di suoni armonici del secondo tempo, i numerosi
pizzicati e staccati e picchettati e arpeggi
sparsi un po’ ovunque nei tempi veloci; dal
punto di vista espressivo il violoncello del
giovanissimo interprete ha fatto vibrare le
corde dell’emozione nel rabbrividente pianissimo
che chiude il primo tempo, frammento inquietante
di bartòkiana musica della notte, e soprattutto
nel lugubre Largo, impostato benissimo
dall’esecutore su un melodismo scuro, di un
malinconico senza facili patetismi, asciutto e
severo. Pochi esempi di un modo di eseguire che
rifiuta, smentendo la nostra diffidenza, ogni
facile concessione all’esibizionismo
pirotecnico, ma punta tutto sull’esplorazione
delle sfumature del suono, sullo scavo nei
registri timbrici, con un modo di suonare che
unisce perfetto controllo dello strumento a un
che di misurato e quasi riservato nel ‘porgere’
il suono.
Suono,
quello di Grizard, decisamente bello: caldo e
avvolgente, di notevole energia, quasi
naturalmente portato a un canto sottilmente
effuso, impregnato di un lirismo delicato,
preciso nell’intonazione, con un ottimo
fraseggio di cui sfrutta con abilità tutte le
risorse tecniche. . Insomma: questo non è un
fanciullo prodigio, è una bella realtà, già
straordinariamente matura, di interprete
raffinato e intelligente, capace di eseguire
all’altezza dei migliori interpreti, un pezzo
impegnativo come la Sonata di Sciostakovic.
Degli altri brani in programma citeremo in
particolare la Phantasiestucke schumanniana (la
cui versione più diffusa è per clarinetto e
pianoforte), per la cura precisa dei dettagli
con cui Grizard esaltava la scrittura
miniaturistica del pezzo, e il ‘Capriccioso’ di
Ciajkovskij, amabile piccolo gioiello del grande
Russo, per la sottile sapienza con cui il
giovanissimo solista ha saputo diversificare le
dinamiche nello scatenato moto perpetuo che
nella seconda parte del pezzo percorre tutta
l’estensione dello strumento. Qualche parola va
naturalmente spesa per Saitkoulov: pianista di
eccellenti risorse, che vanta un ormai ampia
carriera come solista, ha accompagnato
splendidamente Grizard, intensificando le calde
volute sonore del violoncello con un tocco sulla
tastiera sempre preciso e al tempo stesso
delicatamente sfumato, specie negli arpeggi.
Splendido il dialogo tra i due strumenti
nell’Andante dalla sonata di Rachmaninov,
culminante nel duetto modulante tra i due temi
principali, tra le gemme del Rachmaninov
cameristico. Un bellissimo concerto, seguito da
tre bis, il primo dei quali ha visto Grizard
lasciare il violoncello per il pianoforte, in
una Danza ungherese di Liszt (se non andiamo
errati) a quattro mani. Ovazioni, più che
applausi, del numeroso pubblico presente,
auspicio di un futuro di luminoso successo che
certamente attende Maxime Grizard.
5 maggio 2019 Bruno Busca
Prossimamente Monica
Cattarossi e Filippo Farinelli ai Concerti del
Cantelli
Prossimamente i due pianisti
Monica Cattarossi e Filippo Farinelli terranno
un concerto a Novara denominato Visioni del
sacro con musiche di J. Adams con
Hallelujah Junction e O. Messiaen con
Visions de l'Amen. Appuntamento davvero
spettacolare, con la fascinosa e irresistibile
formazione di due pianoforti, quello in
calendario per il pomeriggio di sabato 11 maggio
2019 - ore 17,00 - a conclusione della stagione
dei Concerti del 'Cantelli', posto a suggellare
un cartellone oltremodo variegato e ricco;
concerto che molto opportunamente 'cade' altresì
in chiusura dell'Open Day che si svolgerà in
quella stessa giornata a partire dalle ore 11
alle 16,30. Un'opportunità in più per chi vorrà
coronare la giornata intera trascorsa al
'Cantelli' con un concerto di alta qualità.
dalla redazione 5 maggio 2019
La Traviata
chiude la stagione lirica del Coccia di Novara
E’ stato questo, crediamo, un
anno tra i più difficili della più che secolare
storia del Teatro Coccia di Novara, tra debiti
che sembrano diventare una voragine incolmabile,
convulse e tragicomiche vicende del Consiglio di
amministrazione, infine sciolto d’imperio, e
sostituito, ma con scadenza del nuovo Consiglio
al 26 di questo mese (poi nessuno è in grado di
dire cosa accadrà: forse il commissariamento),
strane e mai spiegate dimissioni della
Direttrice della Fondazione e infine, finale
mazzata di una sorte inclemente, l’imminente
dichiarazione d’inagibilità, ai sensi delle
norme UE sull’altezza delle balaustre dei palchi
e della galleria con cui il Coccia rischia di
vedere dimezzata per la prossima stagione la
capienza di posti. Ebbene, nonostante queste
traversie senza precedenti, il Coccia è riuscito
a realizzare una delle sue
stagioni
più ricche degli ultimi anni per numero di opere
in programma, e per qualità complessiva delle
proposte. Chapeau allo staff che dirige la
fragile navicella del teatro novarese, con la
speranza che non si tratti di un canto del
cigno, viste le dense nubi che avvolgono, con
queste premesse, il futuro: confidiamo nella
professionalità e nelle capacità di chi ha il
delicato compito di garantire almeno una
sopravvivenza dignitosa a un teatro che ha una
sua non disprezzabile storia, per inaugurare la
quale si mosse lo stesso Toscanini. Iniziata col
Rigoletto, la stagione si chiude con la
Traviata: il Coccia ha tenuto pienamente fede
alla sua “mission” di ‘teatro di tradizione’,
che però, crediamo, non impedirebbe di portare
ogni tanto sul palcoscenico qualche titolo un
po’ meno scontato, magari, osiamo fantasticare,,
del ‘900, che per il teatro novarese finisce
rigorosamente con Puccini…Ci spiace
profondamente non poter celebrare la conclusione
di questa stagione del Coccia con un elogio
pieno e convinto di uno spettacolo prodotto
dallo stesso teatro novarese: la Traviata vista
ieri sera, Venerdì 3 maggio, nonostante il
tripudiante successo di un pubblico straripante,
ci è parsa uno spettacolo con molte ombre e
poche luci. Anzitutto, la regia: affidata al
novarese Renato Bonajuto, che tra l’altro
nell’organigramma del Coccia ricopre il ruolo di
segretario artistico/Casting Manager, riprendeva
un allestimento già realizzato per il Goldoni di
Livorno nel 2015. Con la scenografia di Sergio
Seghettini (di per sé bella) e i bei costumi di
Matteo Zambito, la scena della Traviata è
collocata negli anni ’60 del ‘900, gli anni,
viene spiegato nelle note di regia del programma
di sala, della “liberazione sessuale”: non ci è
ben chiaro che cosa abbia a che vedere la
vicenda della Traviata con la liberazione
sessuale del tardo ‘900 e più in generale come
si possa immaginare una vicenda simile in quegli
anni: giudichi da sé l’eventuale lettore. Ecco
dunque che il primo atto si svolge in un ampio
appartamento ammobiliato nello stile del tempo,
con i cantanti ovviamente vestiti alla moda
elegante di allora, il secondo atto si svolge su
un bordo piscina, il terzo atto, nella prima
parte, conduce lo spettatore ad un interno
volgarotto, ove ha luogo un festino da
felliniana “dolce vita” , con quasi-spogliarelli
e altri numeri di contorno, con ampi pannelli
pendenti dal soffitto vagamente allusivi, almeno
così è parso a noi, alla pittura astratta
anch’essa in piena affermazione a quell’epoca
(in uno dei pannelli ci è sembrato di
riconoscere una citazione di Capogrossi). La
parte migliore dell’allestimento e della regia è
senz’altro il finale dell’opera.
Qui,
venuto meno ogni riferimento più o meno
realistico ad una determinata epoca, il
palcoscenico è immerso nel buio più profondo, da
cui affiora solo, illuminato da un efficace
gioco di luci, il letto di morte su cui giace
l’agonizzante Violetta, mentre le altre presenze
(Annina, Grenvil, ovviamente Alfredo) si
aggirano evanescenti nell’ombra, come fantasmi
di un incubo o di un’allucinazione, accompagnati
dalla musica fuoriscena del carnevale di Parigi.
Ma non è tutto: perché la Parigi della vicenda
non è Parigi, ma… Novara. Proprio così: tu senti
i cantanti dire “Parigi”, ma nel primo e terzo
atto vedi Novara: nel primo atto, la grande
finestra del salotto si affaccia sul Teatro
Coccia, alla fine, mentre Violetta muore, sullo
sfondo tenebroso si staccano i profili
architettonici ancora del Coccia e dei suoi
immediati dintorni, , Piazza Martiri della
libertà e il Castello (per i non novaresi: il
cuore della città). Nell’originario allestimento
livornese, ci siamo documentati, i riferimenti
erano ovviamente alla città toscana. Perché
questa scelta che sfiora il ridicolo? Ci spiega
Bonajuto che si è trattato di “un omaggio al
teatro, alle maestranze che ci lavorano etc
etc.”. Ci auguriamo solo che questa balzana
trovata di una scenografia come omaggio al
teatro sede dello spettacolo resti un unicum,
sennò in futuro ne vedremo delle belle…Ma la
parte più discutibile della regia di Bonajuto è
il finale: Violetta Valèry muore…e non muore.
Bonajuto fa concludere il finale III sulle
ultime parole di Violetta “Ah! Io ritorno a
vivere!..Oh gioia” (per poi stramazzare a terra
priva di vita) e taglia le ultime cinque
battute, in cui si annuncia ufficialmente da
parte del dottor Grenvil la morte della Traviata
(“E’ Spenta”). Ancora una volta: perché? Cediamo
la parola a Bonajuto stesso: “Alla fine il suo
(ovviamente di Violetta) morire è un non morire:
la vedremo tornare al Teatro Coccia, alla sua
(?) città e quindi alla vita e all’arte, come in
un gioco metateatrale dove tutto riparte da dove
è iniziato, in maniera circolare”. Forse non
riusciamo a capire, ma a noi queste sembrano
parole in libertà allo stato puro, con la solita
formuletta del metateatro che ricorre quando si
è a corto di idee. Venendo alla parte musicale,
anche i due protagonisti ci hanno suscitato più
di una perplessità. Anzitutto Violetta: a
interpretare la parte Klàra Kolonits, soprano
ungherese che, a giudicare dalle note
biografiche fornite dal programma di sala,
cantava per la prima volta ieri sera fuori dei
confini del suo Paese. Kolonits è presentata
come un soprano lirico di coloratura e in
effetti ha una bella voce calda e rotonda, un
acuto energico, una buona morbidezza, non priva
di sensualità nei registri più bassi
dell’estensione, agilità nei salti di ottava.
Quello che proprio non va nella Kolonits è il
fraseggio nelle tessiture acute: qui, forse per
problemi nel controllo del fiato, il fraseggio
si fa incerto, prevale il puro volume sonoro a
danno delle parole e dell’ espressione. Meno
agilità sull’acuto le sono richieste, meglio
canta: il suo momento migliore, dal punto di
vista musicale, è stato il lungo duetto fatale
con Germont padre nel secondo atto. Una dote
possiede indubbiamente questo soprano ungherese:
è un’ottima attrice: la scena della morte-non
morte finale è stata interpretata superbamente.
Alfredo, secondo il programma , doveva toccare a
un giovane tenore peruviano di cui si dice un
gran bene, già rodato da alcune delle migliori
sale al mondo, a cominciare dalla Scala: Ivan
Ayon Rivas. A conferma dell’annata no del Coccia
, Ayon Rivas ha dato all’ultimo forfait ed è
stato sostituito dal milanese Danilo Formaggia.
Formaggia presenta virtù i difetti specularmente
opposti a quelli della Kolonits: curato nel
fraseggio, ha però una voce poco espressiva,
povera di sfumature, cui tenta di supplire con
un’enfasi non sempre appropriata, e, soprattutto
fragile nelle zone acute, che risultano incolori
e del tutto carenti di armonici. Oltretutto
Formaggia è anche ‘vittima’ innocente di
incomprensibili scelte della regia, come quella
di una colluttazione col padre nel secondo atto,
con finale sganassone che si abbatte sul povero
Alfredo: scena cervellotica, in cui lo scatto da
energumeno del vecchio Germont e’ in netto
contrasto con le parole colme d’affetto, sia pur
ipocrita, nei confronti del figlio: cantare “No,
non udrai rimproveri;/...l’amor che m’ha
guidato/sa tutto perdonar” e colpire intanto con
un poderoso ceffone il destinatario di queste
parole non pare molto logico. Si vede che a
Bonajuto Alfredo sta particolarmente antipatico,
visto che gli infligge un secondo e più violento
sganassone ad opera del Barone Douphol nel terzo
atto…Dei ruoli protagonistici, il migliore è
risultato senz’altro il Germont padre, del
baritono Alessandro Luongo: ha un suono un po’
asciutto e secco, del resto adatto alla parte,
ma una linea di canto molto solida, con il pieno
controllo di tutto l’arco dell’estensione e
ottimi centri. Hanno sbrigato decorosamente la
loro parte i ruoli secondari,, a cominciare
dalla Annina del soprano Marta Calcaterra e
dalla Flora del mezzosoprano Carlotta Vichi fino
al bravo Gastone del tenore Blagoj Nacoski, voce
calda e potente, e al dottor Grenvil, affidato
al basso Rocco Cavalluzzi. Sul podio era Matteo
Beltrami, attuale direttore musicale del Coccia,
a dirigere l’Orchestra del Teatro Coccia,
integrata da elementi dell’Orchestra del
Conservatorio Cantelli di Novara. La sua è stata
una direzione senza infamia e senza lode: ha
fatto suonare al meglio l’orchestra, ha ben
tenuto i rapporti palcoscenico-buca (salvo
qualche episodio isolato di sfasatura nei tempi)
ma non ricordiamo momenti di particolare
intensità, quel guizzo particolare che t’incide
nella memoria quelle battute, quell’episodio.
Migliora di prestazione in prestazione il Coro
San Gregorio Magno, sotto la direzione del
Maestro Mauro Rolfi: molto ben cantato il
celebre baccanale dell’atto III, tra euforia
carnevalesca e sottile ironia. Si replica
domani, domenica 5 Maggio, con cast parzialmente
alternativo. Segnaliamo, in particolare, nella
parte di Alfredo l’ottimo Angelo Fiore.
4 maggio 2019 Bruno Busca
Ariadne auf Naxos alla Scala
Successo alla Scala alla
quinta rappresentazione di Ariadne auf Naxos,
opera di Richard Strauss in due parti: il
lungo Prologo anticipa infatti l'unico atto
dell'Opera. Certamente di grande validità il
cast vocale ottimamente evidenziato dalle
sonorità della non numerosa orchestra, circa
trentacinque elementi diretti molto bene da
Franz Welser-Möst. L'operato del regista
Frederic Wake-Walker e
dello
scenografo Jamie Vartan con il supporto dalle
fondamentali luci di Marco Filibek e dalle
proiezioni video di Luczak e Milanowska, ha
trovato in questi giorni recensioni
contrastanti. Personalmente ho visto
particolarmente originale la messinscena in
questa nuova produzione del Teatro alla Scala.
La scena del disordinato e semplice prologo era
in netto contrasto con quella dell'Opera,
un'isola rappresentata da un'unica immagine con
al centro un rifugio-caverna circolare bianco
latte con chiusura a conchiglia. Gli elementi di
proiezione luminosa ottenuta dall'intreccio di
luci e video discretamente appariscenti danno
una visione idealizzata e suggestiva dove
soprattutto l'ottima Krassimira Stoyanova,
Ariadne, l'altrettanto valente Michael
Koenig, Bacchus e una straordinaria
Sabine Devieilhe, Zerbinetta, mettono in
evidenza le loro incisive vocalità ( foto di
Brescia e Amisano dall'Archivio Scala). La
prima parte
della
messinscena, il Prologo - un intreccio di
recitazione e canto sostenuto dai vari
personaggi - ha un rilevante intervento
recitativo del bravissimo Maggiordomo, nella
persona del Sovrintendente scaligero Alexander
Pereira. Di qualità la sua recitazione. Validi
anche gli interventi del Maestro di musica,
il bravissimo Markus Werba, del Compositore,
l'ottima Daniela Sindram e di tutti gli altri
personaggi in gioco. Questi hanno dato varietà e
movimento al contesto "popolare" quasi da strada
della scena iniziale. Il drastico cambiamento
nella seconda parte, con una fondamentale
staticità dei personaggi nel suggestivo contesto
luminoso dell'Opera, rende maggiormente
polarizzante l'attenzione alle voci dei
protagonisti. Applausi convinti a tutti i
cantanti e anche al direttore d'orchestra . Le
prossime repliche sono prevviste per il 5 maggio
e per il 19 e 22 giugno. Da ricordare.
3 maggio 2019 Cesare
Guzzardella
APRILE 2019
Un trio
d'eccezione alle Serate
Musicali
Sorprende la qualità musicale
espressa ieri sera in Conservatorio dal trio
formato da Sergey e Lusine Khachatryan e dal
violoncellista Narek Hakhnazaryan. Avevamo
ascoltato lo scorso anno i fratelli Khachatryan
nel duo violino e pianoforte, ed eravamo stati
affascinati dalla loro musicalità
nell'esprimere
i brani di Mozart, Prokif'ev e Franck. Ieri
sera, in compagnia dell'eccellente cellista,
siamo rimasti ancor più soddisfatti. Ottima
l'idea di dividere l'impaginato in due parti
distinte, con la prima riservata a compositori
celebrati quali Beethoven e Rachmaninov e la
seconda con rarità armene di Komitas ed
Babadjanian. Il Trio in re maggiore Op. 70 n.1
del genio di Bonn ha introdotto la serata
seguito dal Trio élégiague n.1 in sol minore
del grande russo eseguito prima del breve
intervallo. In entrambi i brani i tre
strumentisti, in un perfetto equilibrio delle
parti, hanno sostenuto ogni frase musicale dei
rispettivi movimenti con padronanza tecnica
assoluta al servizio di
un'espressività
di alto livello. Eccelle la voce dello
straordinario violoncello di Hakhnazaryan e
stupisce anche il dolce canto del violino di
Sergey Khachatryan. La parte pianistica
dell'ottima sorella Lusine è stata rispettosa
degli interventi solistici degli archi
attraverso sonorità precise e discrete nelle
volumetrie. Nella seconda parte, prima un fuori
programma con alcune brevi ed accentuate danze
di Komitas tratte da Six danses for piano
eseguite benissimo dalla pianista e poi ancora
la formazione cameristica al completo con un
brano dell'armeno Bebadjanian. Il suo Trio in
do diesis minore è stato composto nel 1952,
parte da presupposti musicali a noi noti con
riferimenti a Brahms, Rachmaninov e anche
Prokof'ev, per introdurre sapori folcloristici
legati alla cultura orientale
armena
definita da dinamiche molto ritmiche e da un
taglio netto e preciso. Splendido, nella sua
immediatezza, l'ultimo movimento, un Allegro
vivace dove la presenza di numerosi stacchi
e le significative pause enfatizzano ogni
suggestiva timbrica. Ogni dettaglio del brano è
stato ben delineato da ogni strumentista con
rigore tecnico ed espressivo. Calorosi gli
applausi al termine del programma ufficiale e
due i bis concessi: prima un esemplare
Vocalise di Rachmaninov che ha evidenziato
ancora la straordinaria voce del violoncellista,
strumentista che ricordiamo avere vinto il Primo
premio del prestigioso Concorso
Čaikovskij
nel 2011; quindi un mirabile secondo bis con un
melodico ed elegiaco brano di Komitas denominato
The Sky Is Cloudy. Al termine applausi
fragorosi per i tre superlativi interpreti. Da
ricordare a lungo.
30 aprile 2019
Cesare
Guzzardella
PAVEL BERMAN AL
FESTIVAL VIOTTI DI VERCELLI
Dopo lo stellare Kavakos un
altro dei più celebri violinisti del nostro
tempo, Pavel Berman, è stato protagonista della
nuova serata di una delle stagioni più intense
del Festival Viotti, ieri sera, sabato 27
aprile, al Teatro Civico di Vercelli. Già la
passata stagione Berman si era fatto conoscere e
apprezzare dal pubblico del Viotti per una
splendida esecuzione dei Capricci di Paganini.
Ieri le quattro corde del suo prezioso
Stradivari ‘Conte de Fontana’ 1702, già
appartenuto a D. Oistrakh, erano chiamate ad
affrontare un altro monumento trascendentale
della musica per violino solo, le
Sonate
e Partite di J. S. Bach. Per la precisione,
l’impaginato proponeva le tre Partite BWV
1002,1004,1006, come primo tassello di un
programma che prevede (immaginiamo nella
prossima stagione) il suo completamento con le
tre Sonate. Questo capolavoro bachiano pone
l’esecutore di fronte ad un compito tra i più
ardui della sua arte: le difficoltà tecniche
talora immani della partitura non possono
esaurirsi in sé, nell’acrobazia funambolica del
puro gioco virtuosistico, come per i Capricci di
Paganini, ma devono mettere in luce la sapiente
architettura della composizione e al tempo
stesso dare voce alle sottili sfumature
espressive che i movimenti di danza delle
Partite suggeriscono, dalla gaia leggiadria
delle Correnti, alla gravità venata di
malinconia delle Sarabande. Insomma, nelle
Sonate e Partite bachiane occorre penetrare più
in profondità rispetto all’agilità delle dita
sulle corde. Il banco di prova di un solista che
si misuri con questo corpus bachiano è
ovviamente la grandiosa Ciaccona che chiude la
Partita n. 2 in re minore. Qui, al di là degli
infiniti dettagli tecnici in cui non possiamo
entrare, Berman ha perfettamente centrato, ci
pare, l’essenza di questa straordinaria
cattedrale di suoni, accompagnando l’incantato
ascoltatore, con un suono di olimpico nitore e
di sublime eleganza, attraverso le diverse
atmosfere tonali (e spirituali) di questa
composizione senza eguali, che si snoda come un
viaggio fascinoso dal re minore al re maggiore,
per tornare alla tonalità d’impianto nella
conclusione.
Con
raffinatissima tecnica, affidata in particolare
agli arpeggi, ai legati e ai portati, il
violinista russo ha fatto di questi stacchi
tonali un magico viaggio dell’anima, dagli
arpeggi rarefatti dell’inizio alla religiosità
sublime del re maggiore, culminante in un
corale, dove Berman riesce perfettamente, come
voleva Bach, a far suonate uno strumento solo
come un’intera orchestra. Ma il suono di Berman
non conosce soltanto l’austera maestosità del
sublime: sa anche aprirsi alla grazia
inarrivabile della Gavotta della Partita n.3 in
mi maggiore, come al sognante abbandono alle
dolcezze armoniche della Loure, sempre della
Partita n. 3. Una duttilità espressiva, quella
di Berman, che, accompagnata da supremo
controllo tecnico dello strumento, trova il
denominatore comune delle sue variegate
espressioni in una straordinaria eleganza di
suono, anche fisicamente rappresentata dalla
statuaria compostezza con cui questo maestro
esegue i pezzi. Trionfale il successo,
testimoniato dai lunghissimi applausi con cui il
pubblico, come sempre numerosissimo, ha più
volte richiamato Berman sul palcoscenico,
ottenendo infine un bis, anch’esso da Bach.
Prima di concludere il resoconto di quest’altra
serata memorabile offerta dal Festival Viotti,
ci sembra doveroso ricordare l’annuncio, fatto
da Cristina Canziani e Guido Rimonda ad inizio
di serata: il prossimo sabato, 4 maggio, si
terrà un concerto fuori programma, che avrà per
protagonista l’enfante prodige del violoncello,
il giovanissimo francese Maxime Grizard,
accompagnato al pianoforte dal maestro russo
Roustem Saitkoulov (che, tra l’altro, è
l’accompagnatore preferito del grande Vengerov):
in programma musiche di Schumann, Kreisler,
Rachmaninov, Cajkovskij, Schostakovic.
28 aprile 2019
Bruno Busca
Il
Jas Art Ballet
di Sabrina Brazzo e Andrea Volpintesta al Teatro
Carcano
Un ottimo spettacolo quello
visto ieri sera al Teatro Carcano con i noti
ballerini scaligeri Sabrina Brazzo e Andrea
Volpintesta, fondatori alcuni anni fa di una
talentuosa compagnia danzante quale il Jas
Art Ballet. La performance, di circa
due ore, è volutamente diversificata, con
momenti di danza moderna di altissimo livello in
alternanza a sola musica, a canto e mimica. Ha
introdotto lo spettacolo un bravo pianista quale
Stefano Salvatori che da solo, o accompagnando
la giovane e
brava
violinista Anastasiya Gonzalez e le voci liriche
del tenore Ramtin Ghazavi, del soprano Rachael
Birthisel e del mezzosoprano Marta Leung Kwing
Chung, torna in continuazione in scena e cuce lo
spettacolo alle splendide coreografie realizzate
da Volpini, Ventriglia, Azzone, Di Stefano e
Massignani. Spesso una coinvolgente musica
orchestrale registrata è inserita in questo
"collage" che, alternando Verdi a Puccini,
Mozart a Bizet, Scarlatti a Saint-Saens, Vivaldi
a Rossini, rende più variegato il tutto
indirizzandolo ad un pubblico eterogeneo: da
quello meno
esigente
a quello più pretenzioso. È forse proprio
questo, a mio avviso, l'unico limite: la
mancanza di un'unità artistica ed estetica. Le
trovate di grande impatto musicale quali
l'esecuzione di celebri arie verdiane dalla
Traviata, o di brani pucciniani da Bohème,
Butterfly e Turandot come ad esempio il
Nessun dorma, convincono certo il pubblico
meno esigente, non quello più pretenzioso.
Indubbiamente, alcuni brani come quelli della
giovane violinista Gonzales nell' esecuzione di
Bach per violino solo, sono pienamente
convincenti. Abbastanza valide le voci
femminili, tra ottime intonazioni ma anche
errori evidenti e non accettabili, come quelli
sulle note più alte della mozartiana Aria
della Regina della notte del Flauto magico,
inserite in una scena mimata e grottesca che
pare divertire molto il pubblico. L'alta qualità
invece arriva
costantemente
con i ballerini in scena e con le raffinate
movenze di Sabrina Brazzo e Andrea Volpintesta,
e nelle rispettive coreografie quasi sempre di
grande originalità. Tutto questo ha reso lo
spettacolo assolutamente piacevole e
interessante. Un'operazione, quella di
Brazzo-Volpintesta, che va davvero elogiata e
che ci fa uscire per una volta dal sacro tempio
del balletto del Teatro alla Scala. Bravissimo
tutto il corpo di ballo, anche i più giovani,
talentuosi e spesso straordinari!.... e bravi
gli altri. Fragorosi e meritati gli applausi.
19 aprile 2019
Cesare
Guzzardella
Il
Quartetto di Cremona per la
Società del Quartetto
Ieri sera per la "Società del
Quartetto" il Quartetto di Cremona ha eseguito
un programma che
nell'impaginato
prevedeva due Quartetti di Beethoven ed uno di
Bartòk. Come detto più volte è eccellente
l'equilibrio dei quattro solisti che senza un
momento di cedimento riescono a trovare un'
interpretazione sempre di altissimo livello.
Hanno introdotto la serata col Quartetto n.11
in fa minore op.95 "Serioso" di Beethoven
per poi eseguire il
Quartetto n.5 SZ 102 di Bartòk e
allegerire la seconda parte del concerto col più
solare e giovanile Quartetto n.2 in sol
maggiore op.18 n.2. L'eccellenti esecuzioni
sono opera di Cristiano Gualco e Paolo Andreoli
ai
violini,
di Simone Gramaglia alla viola e di Giovanni
Scaglione al violoncello. I quattro
quartettisti, sempre più bravi nel corso degli
anni, hanno deciso di cambiare postura
d'esecuzione: tre di essi in piedi e
naturalmente il violoncellista seduto.
L'efficace equilibrio dinamico del gruppo, la
sintesi discorsiva con ottima chiarezza delle
esposizioni melodico-armoniche dei quattro archi
hanno ancora una volta strappato lunghi applausi
al termine in Sala Verdi . Splendido il bis
concesso al con l' Adagio dal
Quartetto K.499 "Hoffmeister" di Mozart. Da
ricordare.
17 aprile 2019 C.G.
Pavel Berman
prossimamente a Vercelli
Per la 21° stagione del
Viotti Festival avrà luogo sabato 27 aprile 2019
alle ore 21 presso il Teatro Civico di Vercelli
un concerto per violino solo di Pavel
Berman. Da non perdere
17-04 2019 dalla redazione
Gli
Strumentisti della Scala e Andrea Bacchetti alle
Serate Musicali
Gli strumentisti del Teatro
alla Scala insieme al pianista Andrea Bacchetti
si sono esibiti in Sala Verdi per interpretare
Mozart, Mayr, Rossini e Bottesini. Ha introdotto
il concerto Bacchetti con la Sonata
in
re maggiore K 576 eseguita con scorrevole
fluidità, leggerezza di tocco e marcata
sensibilità dinamica. La perfezione formale,
caricata di notevole espressività, si è rivelata
anche negli altri due brani cui Bacchetti ha
partecipato: prima l'inedito Concerto n.2 in
do maggiore di Johann Simon Mayr (1763-
1845) e poi nel Concerto in do magg. K.503
di Mozart nella trascrizione cameristica
di
Lachner. In entrambi i concerti - anche nel
primo che risente la notevole influenza del
genio salisburghese- l'apporto dei cinque
strumentisti scaligeri è stato di grande
appoggio al solismo di Bacchetti. Siamo rimasti
stupefatti della qualità musicale di questi
"scaligeri" che ricordiamo essere: Agnese
Ferraro, violino, Joel Imperial (in
sostituzione dell'indisposta Elena Faccani),
violino, Duccio Beluffi, viola,
Gianluca Muzzolon, violoncello e Roberto
Parretti al contrabbasso. Ottime entrambe
le esecuzioni con un calibrato equilibrio tra il
pianoforte e gli archi. Applausi ripetuti per i
sei strumentisti al termine della prima parte.
Nella seconda parte della serata abbiamo testato
ancor più le notevoli qualità degli archi: prima
con un inusuale quartetto per due violini,
violoncello e contrabbasso nella
Sonata
a quattro n.1 in Sol maggiore di G. Rossini(
1792- 1868); poi in quel capolavoro di
equilibrio strumentale rappresentato dal
Grande Quintetto in do min. per due violini,
viola, cello e contrabbasso op.99 di
Giovanni Bottesini. L'estro melodico tipico
rossiniano è stato
evidenziato nel primo lavoro mentre la bellezza
degli impasti timbrici e la perfezione formale
assoluta è risultata nello stupendo lavoro di
Bottesini (1821-1889). La bellissima voce
violinistica di Agnese Ferraro e del violoncello
di Muzzolon, unitamente agli ottimi altri tre
strumentisti hanno definito in modo dettagliato
e con alta espressività
tutti i movimenti del Gran Quintetto del
quale ricordiamo il sublime Adagio
eseguito con vibrati eccellenti. Un concerto
stupefacente! Da ricordare.
16 aprile 2019 Cesare
Guzzardella
WOOLF WORKS
ALLA SCALA CON ALESSANDRA FERRI
Pienamente meritato il
successo per i balletti di Woolf Work che
in questi giorni riempiono di pubblico il Teatro
alla Scala. Sono tre, per la regia e la
coreografia di Wayne McGregor e le musiche di
Max Richter. La produzione londinese del Royal
Ballet Coven Garden è del 2015 e allora aveva
come protagonisti Alessandra Ferri e Federico
Bonelli. La Ferri dopo un periodo di assenza
italiana
ha
deciso di tornare nel nostro teatro e ha ripreso
con questa splendida messinscena coreografica la
frequentazione del Teatro alla Scala. Nati su
testi di Virginia Woolf, i tre balletti dalla
durata di circa trenta minuti ognuno, sono
denominati: I Now, i Then; Becomings
e per ultimo Tuesday. Nel primo e nel
terzo eccellenti protagonisti sono appunto la
Ferri e Bonelli. Nascono da tre composizioni
scritte per l'occasione dal tedesco Max Richter,
autore noto nella musica contemporanea per il
suo legame con il minimalismo americano e la
musica progressiva inglese. La fusione di
stilemi differenti dove si fa uso di musica
preregistrata, tastiere elettroniche e una
grande orchestra, tutti coadiuvati da una
console di regia musicale, ha prodotto tre
validi lavori, adeguati e certamente ottimi per
i balletti proposti. La valida direzione di Koen
Kessels e la bravura degli strumentisti
scaligeri ha influito non poco alla resa
musicale dove anche l'elemento ambientale e
suggestivo dei numerosi effetti sonori gioca
ruolo importante.
Le
valide scene di Cigué, We Not I e dello stesso
Mac Gregor, completate dai costumi di Moritz
Junge, sono state esaltate dalle splendide luci
di Lucy Carter, spesso fondamentali. Essenziali
le scene: nella prima, quella di I Now, I
Then, il posizionamento di tre grandi
cornici lignee rettangolari movibili fanno da
sfondo al movimento dei due protagonisti (
foto di Brescia e Amisano- Archivio
Scala) e di altri sei principali
ballerini. Nel secondo, Becomings, una
nebbia diffusa sovrasta il palcoscenico e
spazializza le movenze di ben dodici ballerini
tra cui citiamo almeno Nicoletta Manni e
Virginia Toppi. Qui ruolo fondamentale è dato
dagli effetti luminosi sia con coni di luce che
di volta in volta inquadrano i personaggi, sia
con figure
geometriche
definite da raggi colorati proiettati in scena e
pure nelle cornici dei palchi del teatro. Nel
terzo, Tuesday, il ritorno in scena della
Ferri e di Bonelli, coadiuvati dalla bravissima
Virna Toppi, presenta anche il corpo di ballo al
completo in una scena spoglia dove ancora una
volta gli effetti di luce hanno ruolo
importante. Sulle qualità coreutiche e anche
mimiche della Ferri non si discute, è eccellente
sotto ogni aspetto. Così pure eccellente è
Federico Bonelli e ottimi tutti gli altri tra
cui citiamo almeno Mick Zeni, Caterina Bianchi,
Martina Arduino, Agnese Di Clemente, Gabriele
Corrado, ecc, ecc. Uno spettacolo splendido e
raffinato ancora in replica per il 20 aprile. Da
non perdere.
15 aprile 2019 Cesare
Guzzardella
Il
Tirol Concerto di
Philipp Glass con Arciuli, Boccadoro e
l'Orchestra de I Pomeriggi
Musicali
L'Orchestra de I Pomeriggi
Musicali ha il grande merito d'inserire
spesso nei suoi programmi brani di musica
contemporanea in alternanza a quelli classici.
Ieri, nella replica domenicale, sono riuscito
per motivi personali ad ascoltare solo la prima
parte dell'impaginato che prevedeva musiche di
Stravinskij e Glass. Nella seconda parte era in
programma la Sesta Sinfonia di Schubert.
Alla
direzione
dell'orchestra Carlo Boccadoro- direttore e
compositore ( a volte pianista)
molto
attivo in repertori recenti - ha ottimamente
svolto il suo compito. L'originale brano
introduttivo Dumbarton Oaks è un
Concerto in mi bemolle maggiore per soli 15
orchestrali di Igor Stravinskij, genio eclettico
del Novecento che ha contribuito alla
realizzazione di tipologie musicali innovative e
diversificate partendo dalla tradizione russa di
fine Ottocento e modificando nel tempo la sua
visione musicale. Il neo-classicismo di
Dumbarton Oaks è in stile bachiano, appartiene
infatti ad un altro versante musicale dopo il
grande ciclo legato ai Balletti Russi di cui fa
parte la rivoluzionaria Sagra della primavera.
Composto alla fine degli anni '30 è stato con
efficacia eseguito dagli orchestrali de I
Pomeriggi, molto bravi anche nei numerosi
interventi solistici. Grande apprezzamento anche
dal numeroso pubblico presente al Dal Verme.
Ottima la scelta d'inserire come secondo brano
il raro
Concerto
per pianoforte e orchestra n.1 "Tirol Concerto"
dell'americano Philip Glass, compositore
"minimalista"
vivente che, a mio avviso, deve molto anche al
neo-classicismo stravinskijano. Composto
nell'anno 2000, prevede oltre al pianoforte
solista un' ampia orchestra di soli archi. Al
pianoforte, uno dei maggiori interpreti
specialisti del repertorio contemporaneo e
soprattutto statunitense quale Emanuele Arciuli,
ha reso in modo eccellente l'interessante lavoro
di Glass (1937). Il brano è in tre parti,
Movimento I-II e III, dalla durata
complessiva di circa trenta minuti e trova un
linguaggio tipico e riconoscibile del noto
compositore. Semplici temi sono evidenziati con
sottili ed efficaci varianti ritmiche, armoniche
e timbriche. L'abilità dell'interprete, in un
lavoro tonale apparentemente di facile ascolto,
sta nel mantenere uno status anche fisico
idoneo durante la trasformazione e la
progressione del materiale sonoro. Di grande
impatto musicale l'ultima parte, il Movimento
III, nel quale la rilevante sequenza
melodica, ben articolata e sviluppata anche
dagli archi, è sostenuta dalla mano sinistra del
pianoforte con un ritmo accentuato in stile
boogie woogie.
Questo rende ancor più fresco e divertente
il piacevolissimo brano. Il pubblico ha
apprezzato moltissimo l'ottima interpretazione
di Arciuli, di Boccadoro e del'orchestra de I
Pomeriggi esprimendo al termine fragorosi
applausi. Molto bello il bis solistico concesso
da Arciuli con il breve preludio di Claude
Debussy denominato "Minstrels" . Da
ricordare
14 aprile 2019 Cesare
Guzzardella
Grandi
interpretazioni per Vasily Petrenko e Kristine
Opolais e i giovani europei della EUYO
Una direzione splendida
quella di questa sera con
Vasily Petrenko e la
giovanissima EUYO- European
Union Youth Orchestra. Dopo l'Ouverture da
Russlan e Ludmilla di Glinka è salita sul
palco di Sala Verdi in Conservatorio il soprano
Kristine Opolais per la romanza Com'è bello
questo pozzo di Rachmaninov. La sua voce
ricca di volume, chiara ed espressiva riempiva
la sala seguita ottimamente dai giovani della
EUYO. Seguiva la Polacca e scena della
lettera di Tatiana da Eugene Onegin
di Caikovskij con una Opolais ancora eccellente.
Notevole il bis concesso con O mio babbino
caro dal Gianni Schicchi di
Puccini.
Applausi fragorosi e omaggi floreali. Dopo
l'intervallo una chiarissima ed espressiva
Sinfonia n.4 di Anton Bruckner concludeva
una serata di grande classe che meritava il
tutto esaurito invece dei circa tre-quattrocento
spettatori presenti. Fragorosi applausi dai
fortunati presenti.
12 aprile 2019 Cesare
Guzzardella
Un trio di qualità alle
Serate Musicali
Non è la prima volte che mi
capita di assistere ad un concerto di alto
valore musicale in una sala con poco pubblico. È
accaduto ieri sera con il trio del violinista
Pinchas Zukerman completato dalle
eccellenti
Amanda Forsyth al violoncello e Angela Cheng al
pianoforte. Forse la pioggia milanese o la
presenza nella nostra città di molte
manifestazioni serali legate al Salone del
Mobile - in svolgimenti in questi giorni- non
hanno favorito la presenza di spettatori in Sala
Verdi, una sala che a mio avviso doveva
straripare di pubblico. Certamente il programma,
cambiato all'ultimo momento ma decisamente
interessante, non era tra quelli più idonei per
riempire una capiente sala: prima Zoltàn Kodály
con il Duo per violino e violoncello op.7,
poi Anton Arenskij con il Trio n.1 in re
min.op.32 e per finire il più noto Brahms
con il Trio n.2 in do magg. Op.87.
L'impatto iniziale con la rara Op.7 di
Kodàly ci ha rivelato ancora una volta le
qualità dei due strumentisti ad arco: sia
Zukerman che la Forsyth hanno espresso
incisività discorsiva in brani molto
folcloristici ricchi di cambiamenti ritmici ed
armonici. Il magnifico timbro dei due strumenti
ha esaltato, nel perfetto e continuato cambio di
ruolo, la bellissima composizione giovanile di
Kodàly, musicista celebre insieme a Bartòk, per
la sua vasta ricerca di melodie popolari. La
bellezza timbrica
del violoncello è stata evidenziata dalla sicura
ed energica Forsyth. Sempre nella prima parte ho
apprezzato molto un lavoro di raro ascolto come
il Trio n.1 op.32 di Arenskij ( 1861-
1906), compositore russo ultimamente piuttosto
eseguito nel repertorio concertistico e
sinfonico. Di grande qualità tutti i quattro
movimenti con un valore aggiunto per la sublime
Elegia, breve capolavoro in un ottimo
contesto di contrastati movimenti. Arenskij,
musicista morto in giovane età, ha ereditato dai
grandi romantici, Cajkovskij e Brahms prima di
tutti, grandi capacità costruttive
melodico-armoniche che hanno
dato vigore e varietà a questo valido
lavoro. Questo brano, efficace sotto ogni
profilo, andrebbe eseguito spesso anche per
l'immediatezza della sua comprensione. Ottima
anche l'esecuzione finale del Trio Op.87
di Brahms brano che ha esaltato ancora la
stupefacente integrazione dei tre grandi
strumentisti. Fragorosi gli applausi da parte
del fortunato pubblico presente. Nessun bis. Da
ricordare.
12 aprile 2019
Cesare Guzzardella
La violinista giapponese Sayaka Shoji per la
Società dei Concerti
Un gran bel concerto quello
di ieri sera in Conservatorio per la Società
dei Concerti. Per la prima volta in Sala
Verdi la violinista giapponese Sayaka Shoji ed
il pianista Iddo Bar-Shaï hanno tenuto un
concerto
alternando Mozart a Schumann
e, dopo l'intervallo, Janáček
a Brahms. L'equilibrio classico della Sonata
in sol maggiore K 301 del salisburghese
è stato sostenuto con perfetta
forma ed alta espressività dal duo in
un'integrazione delle parti ottimale e con
particolare grazia nella componente
violinistica. Maggiori le volumetrie e
l'incisività nella successiva Sonata n.2 in
re min. Op.121 di Robert Schumann. Qui
la Shoji ha messo in risalto l'ottimo voluminoso
Stradivari utilizzato attraverso
un'interpretazione particolareggiata dove anche
nei momenti più intimi ha rivelato una
dettagliata e rigorosa chiarezza espressiva.
Ricordiamo che la Shoji è
stata
la vincitrice del prestigioso
Concorso Internazionale Paganini di Genova nel
1999 e da allora è iniziata la sua rilevante
frequentazione delle più prestigiose sale da
concerto di tutto il mondo. Con le raffinate
escursioni dinamiche della poco eseguita ma
splendida Sonata n. 3 di Janáček,
il duo ha raggiunto una sicura vetta
interpretativa. I continui sbalzi d'umore che
pervadono la sonata, con cambiamenti repentini
tra il canto e il declamato e con riferimenti
alla migliore tradizione popolare slava, sono
stati rilevati in modo eccellente dalla Shoji
attraverso il
suo
tocco perfettamente intonato anche nelle note più
alte. Importante e ben integrata e definita
anche la parte pianistica dell'ottimo Bar-Shaï.
L'ultimo brano del programma ufficiale, la
Sonata n.2 in la maggiore op.100 di J.
Brahms, ci ha ancora immerso nell'atmosfera
romantica iniziata con Schumann. Ottima
l'interpretazione di tutti i movimenti.
Splendido il bis concesso a conclusione con una
Romanza del grande pianista e anche compositore
Alexis Weissenberg scritta quando la Shoji aveva
tredici anni. Successo di pubblico con fragorosi
applausi. Da ricordare a lungo.
11 aprile
2019 Cesare Guzzardella
Manon Lescaut al
Teatro alla Scala
Un teatro al completo ha
accolto ieri sera la quarta rappresentazione di
Manon Lescaut di Puccini diretta da Riccardo
Chailly per la regia di David Poutney e le scene
di Leslie Travers. La scelta di
Chailly
di mettere in scena la prima versione torinese,
quella che da parecchi decenni era stata
accantonata, ci è sembrata un elemento di novità
non inutile, anche perchè funzionale al recupero
di alcune parti fondamentali nella più completa
orchestrazione. Certamente quello che ha avuto
il maggior ruolo di protagonista in questa
messinscena è stato il direttore Chailly. La
musica folgorante e dal sapore molto sinfonico
ha messo in risalto le qualità d'orchestrazione
di un Puccini proiettato nel mondo musicale del
Novecento. L'ottima resa strumentale della
proposta del direttore ha forse messo in seconda
posizione la componente
vocale
a volte non in primo piano come la scintillante
orchestra in tutte le sue sezioni. Le
scenografie di Leslie Travers esaltate dalle
luci di Fabrice Kebou e integrate dagli adeguati
costumi di Marie-Jeanne Lecca ci sono piaciute
anche per aver ben inquadrato i protagonisti in
quel generale "contesto ferroviario" ben
ricostruito. Ieri abbiamo trovato voci in
crescendo nel corso degli atti. Di maggior
pregio Manon, con Maria José Siri protagonista
nell'allargato quarto atto, con voce determinata
nella sua ricchezza volumetrica.(Foto di
Brescia-Amisano Archivio Scala) Sempre
decisamente all'altezza il
Geronte di Carlo Lepore, corposo e
preciso in ogni dettaglio vocale. Valido Massimo
Cavalletti, un Lescaut efficace in ogni
situazione, e in crescendo, anche per problemi
vocali annunciati da Pereira prima dell'inizio,
Roberto Aronica nel ruolo di Des Grieux.
Ottimo come sempre il Coro di Bruno
Casoni. Al termine lunghi applausi non
fragorosi. Prossime repliche previste per il 13-
16- 19- 24 e 27 aprile. Da non perdere.
10 aprile 2019 C.G.
Angela Hewitt alle
Serate Musicali
Torna spesso a Milano la
pianista canadese Angela Hewitt. La ricordo
molto bene nei suoi concerti tenuti in Sala
Verdi dedicati a Bach, musicista di principale
riferimento. Nel 2008 venne per il primo
volume
del Clavicembalo ben temperato, nel 2012
per le prime tre Suite francesi e le
15 Invenzioni a due voci, nel 2013 per l'Arte
della fuga e nel 2017 per le celebri
Variazioni Goldberg. L'affascinante
pianista, anche ieri sera con un abito molto
elegante, ha dedicato la maggior parte dei suoi
studi alla conoscenza del grande tedesco
di
Eisenach approfondendo ogni aspetto inerente la
tecnica d'esecuzione. Ieri abbiamo avuto ancora
la fortuna di ascoltarla, questa volta nelle
sette Toccate dalla BWV 910 alla
BWV 916 e nella nota Fantasia
cromatica e Fuga in re minore BWV 903. La
Hewitt divenne nota al grande pubblico a metà
degli anni '80 dopo un'importante vittoria
ottenuta ad un concorso pianistico tenuto a
Toronto nel 1985 e dedicato a Bach, e grazie
anche all'uscita - per una prestigiosa casa
discografica- di uno splendido CD dedicato al
grande musicista tedesco. Come dicevo è nota
soprattutto per le sue qualità bachiane anche se
da parecchi anni si occupa di altri classici di
fine '700 e '800. L'ottima affluenza di pubblico
di ieri sera
in
Conservatorio testimonia la popolarità acquisita
da un'interprete che
comunque difficilmente esce dal repertorio
classico. Le rilevanti qualità stilistiche sono
dovute oltre che alla consolidata esperienza
maturata negli anni, anche alla perfezione
formale e alla bellezza del timbro. L'esecuzione
è risultata elegante e coloristicamente molto
bella con dinamiche ben equilibrate e variate e
sonorità controllate ma ricche di raffinate
sfumature evidenziate da un pianoforte Fazioli
con timbri asciutti molto ben delineati nei toni
bassi. Particolarmente attento il pubblico: non
un colpo di tosse, fortunatamente non uno
squillo di cellulare, applausi interminabili e
al termine la protagonista visibilmente
soddisfatta e sorridente. Da ricordare
9 aprile 2019 Cesare
Guzzardella
Un duo per violoncello e pianoforte al
M.A.C
di Milano
Un duo giovane quello dei
fratelli Guida. Lorenzo, vent'anni al
violoncello e Gianluca, ventottenne al
pianoforte.
Di Torino, hanno raggjunto il M.A.C. milanese
per i concerti cameristici organizzati dalla
Sinfonica Verdi in questo elegante spazio di
Piazza Tito Lucrezio Caro. Il programma del
mattino domenicale prevedeva brani di Prokof'ev,
Beethoven e Brahms, in ordine di esecuzione. La
rara Sonata in do maggiore op.119 del
russo ha messo subito a dura prova il duo per la
sua tecnica complessa. Prokof'ev raramente si è
cimentato in questa forma e lo ha fatto pensando
al grande Rostropovic. Ottima la resa musicale
complessiva anche se non favorita dall' acustica
riverberata troppo accentuata del luogo. Urge
provvedere! Più chiara e ancora ben eseguita la
Sonata n.4 in do magg. op.102 n.1 del
genio tedesco. Il bel timbro, luminoso ed
espressivo, del cello ha dato una buona idea
della qualità del più giovane strumentista.
A
conclusione un brano ottimamente studiato ed
eseguito dai Guida: la Sonata n.2 in fa magg.
op.99 del grande amburghese. Qui hanno con
più sicurezza e virtuosismo dato prova delle
loro ottime qualità interpretative. Molto bravo
anche Gianluca alla tastiera con la quale ha un
rapporto equilibrato nel suo tocco leggero,
chiaro ed espressivo. Melodico e valido il bis
con una trascrizione per duo del celebre brano
Traumerei di Robert Schumann. Lunghi e
fragorosi applausi.
8 aprile 2019 C. G.
Grande successo
alla Scala per l'ultima replica della rossiniana
La Cenerentola
È dal 2005 che non veniva
rappresentata alla Scala La Cenerentola
di Rossini. L'opera del compositore pesarese ha
trovato fortuna con la regia di Jean-Pierre
Ponnelle, anche scenografo e
costumista
( ripresa di G. Asagaroff). Il rinnovato
successo dell'ultima rappresentazione, quella
vista ieri sera e l'undicesima da fabbraio, lo
si deve al valore di tutte le componenti in
gioco. Dopo la già citata regia, le scene e i
costumi certamente di valido spessore, ottimo il
cast vocale con due voci sopra
di tutte, (foto
di Brescia,
Amisano, Archivio
Scala) quella di Marianne Crebassa,
Angelina/Cenerentola, dallo splendido timbro
bruno, vellutato, intensamente chiaro ed
espressivo e quello
corposo ed esperto di Carlos Chausson,
bravissimo anche attorialmente nel delineare
Don Magnifico. Queste due eccellenze erano
circondate dalle altre ottime valide voci: nel
comparto maschile quella dell'elegante Maxim
Mironov,
Don
Ramiro, quella più voluminosa e spontanea di
Mattia Olivieri, Dandini, e quella chiara
e precisa di Alessandro Spina, Alidoro, il
filosofo; nel comparto femminile bravissime
anche attorialmente Sara Rossini, Clorinda
e Anna-Doris Capitelli,Tisbe. Se
aggiungiamo anche il solito splendido Coro
preparato da Bruno Casoni e l'eccellente
direzione orchestrale di Ottavio Dantone, il
gioco è fatto: alta la qualità della messinscena
e meritati i fragorosi e continuati applausi al
termine. Dantone ha diretto benissimo
l'orchestra scaligera facendo risaltare la
componente vocale in un contesto orchestrale
dinamicamente perfetto e con raffinata resa per
ogni sezione. Tutto splendido e da ricordare.
Ricordiamo che è in corso Manon Lescaut di
Puccini per la direzione di
Riccardo Chailly. Nel mese di aprile
ancora sette repliche dopo le prime due
rappresentazioni già espletate. Da non perdere.
6 aprile 2019 Cesare
Guzzardella
Il
Divertimento Ensemble in Conservatorio omaggia
Donatoni con Hot
per saxofono e ensemble
L'avvincente serata di ieri
sera in Sala Puccini e anticipata da un
intervento della direttrice del
Conservatorio milanese Cristina Frosini, ha
visto la formazione cameristica di musica
contemporanea Divertimento Ensemble e il
suo fondatore-direttore Sandro Gorli in un
programma
incentrato
sul brano Hot (1989) di Franco Donatoni.
Donatoni, musicista fondamentale per la musica
del Secondo Novecento, insegnò anche al
Conservatorio milanese ed ebbe tra gli allievi
oltre che Sandro Gorli,
numerosi tra gli spettatori presenti in sala,
molti dei quali noti musicisti, a testimonianza
del valore di un compositore considerato un capo
scuola e anche un rilevante didatta. La serata è
incominciata con l'esecuzione di due brani in
prima esecuzione assoluta. Dovevano
essere
tre quelli nuovi in programma, ma la parziale
indisposizione del baritono Leoni non ha
permesso l'esecuzione del lavoro Lebos lobos
di Francesco Ciurlo. I tre brani selezionati
vincitori degli Incontri internazionali per
giovani compositori "Franco Donatoni"
avevano come tema d'ispirazione la "migrazione".
Dei due eseguiti, il primo era di Oren Boneh
(1991) denominato Ritorno di lontano per
soprano,
baritono
e ensemble, sul testo di Pier
Paolo Pasolini "Canto delle campane".
Ha un carattere particolarmente vivace, con
timbriche suggestive ispirate dai rumori
ambientali di vita all'aperto, tra il lavoro nei
campi, i versi di animali e le campane. La
componente "concreta", l'imitazione dei rumori
presenti in natura, il gracidio delle rane o il
frinire dei grilli, si sovrappongono a sonorità
molto free degli strumenti con timbriche
spesso voluminose, inframmezzate dal testo
pasoliniano alle voci ben interpretate dal
bravissimo soprano Laura Catrani e
dell'altrettanto valido baritono Maurizio Leoni.
Applausi meritati al compositore salito sul
palco al termine dell'esecuzione. Il secondo
brano, della
giapponese Yu Kuvabara(1984) denominato A
world under the world per baritono, voce
recitante giapponese e sette strumenti, sempre
su testi di Pasolini, è un lavoro altrettanto
suggestivo, ricco di volumetrie sonore tra il
discreto e l'intenso che si esplicano dopo gli
interventi narrativi in giapponese -
dall'originale italiano di Pasolini- , della
compositrice, qui anche voce recitante. Valido
il lavoro e applausi alla compositrice e ancora
al baritono Leoni. Particolarmente intensa la
parte finale della serata con Hot per
saxofono e ensemble di Donatoni
ripetuto
due volte e inframmezzato da una convincente e
chiara spiegazione di Gorli. Hot, brano
organizzato in chiave molto jazz che ricorda
esperienze free di gruppi come l'Art Ensemble of
Chicago o Mike Westbrook solo per citarne
alcuni, è invece scritto in modo millimetrico
sino all'ultima nota. Gorli raccontando della
celebre composizione ha anche fatto ascoltare i
momenti salienti del brano mettendo in risalto
le sue timbriche e la creatività eccelsa di
Donatoni nel dare a fraseggi simili nella
componente melodico-armonica, varietà, per mezzo
dei colori e delle dinamiche degli strumenti. Un
plauso al saxofonista Marzi per l'efficacia del
suo intervento solistico. Gran bella serata da
ricordare a lungo!
4 aprile 2019
Cesare Guzzardella
Bacchetti,
Nova e Boffa in trio alle
Serate Musicali del
Conservatorio
È da un po' di tempo che non
ascoltavo in concerto Andrea Bacchetti, pianista
al quale ho dedicato numerosi articoli in
passato. Ieri sera un "doppio concerto" mi ha
dato la possibilità di riascoltarlo sia
come
solista che insieme ad altri eccellenti
strumentisti: il flautista Giuseppe Nova ed il
contrabbassista Giorgio Boffa. Nella prima parte
Bacchetti ha affrontato il suo amatissimo Bach
con l'Ouverture francese in si minore BWV 831,
la Fantasia cromatica e Fuga in re minore BWV
903, e i Quattro Duetto BWV 802-805.
Il noto pianista è da molto tempo uno dei
migliori interpreti bachiani italiani e ieri ha
confermato le sue eccellenti qualità con
un'interpretazione che mi è sembrata diversa, e
in meglio, da quelle cui ero abituato. Una
maggiore creatività espressa da tocco ancora più
sicuro, maggiore sintesi discorsiva e migliori
contrasti dinamici hanno portato ad un'
eccellente esecuzione anche nella più difficile
Fantasia e Fuga. Cambio di registro nella
seconda parte con un validissimo trio in cui la
figura dell'esperto flautista
Giuseppe
Nova è stata centrale in esecuzioni dove anche
gli strumentisti laterali, Bacchetti e Boffa,
hanno avuto ruolo importante. Il primo corposo
ed interessante brano è di Claude Bolling,
classe 1930, con la Suite n.1 per flauto,
pianoforte e contrabbasso. È un lavoro degli
anni '70 dedicato al celebre flautista J.P.
Rampal che unisce in modo classico, il jazz, il
neo barocco di ascendenza bachiana e un modo di
melodiare alla francese. È musica raffinata
nella costruzione melodica ed armonica che
rimanda a più generi pur avendo piena dignità
musicale e freschezze d'idee. Eccellente
l'interpretazione ascoltata, con Nova preciso,
dettagliato e con timbrica chiara e luminosa,
coadiuvato da un Bacchetti preciso al
millimetro
nella lettura della partitura molto jazz ma
priva d'improvvisazione, ricca di contro-canti o
unisono col flauto. Ottima, sotto ogni profilo,
la parte sostenuta dal contrabbasso con
timbriche piene e precise di Boffa che con i
profondi toni bassi ha completato timbricamente
le sonorità dei compagni. Valide le quattro
canzoni tratte dal celebre West Side Story
di Leonard Bernstein, con buone trascrizione
per trio di Maria, Tonight, I feel pretty
e America. Di qualità il bis concesso con
un bel arrangiamento jazzistico di Rino Vernizzi
del secondo movimento dal Concerto per
cembalo e archi in fa minore di J.S.Bach.
Fragorosi applausi. Da ricordare.
2 aprile 2019
Cesare Guzzardella
MARZO 2019
La violinista Liza
Ferschtman in Auditorium ed il pianista Yekwon
Sunwoo al Dal Verme
In questi ultimi giorni di
una densa settimana musicale milanese abbiamo
avuto l'opportunità di ascoltare due splendidi
interpreti per la prima volta a Milano pur
essendo affermati mondialmente: la
violinista
olandese Liza Ferschtman ed il pianista
sud-coreano Yekwon Sunwood. La prima è in questi
giorni in Auditorium con la Sinfonica Verdi per
la direzione di Claus Peter Flor alle prese con
il Concerto per violino e orchestra op.77
di J. Brahms, capolavoro della letteratura
musicale della seconda metà dell'Ottocento. Liza
Ferschtman ha sostenuto con determinazione la
parte solistica in un lavoro in tre movimenti
nel quale anche la componente orchestrale ha
ruolo fondamentale per una restituzione unitaria
particolarmente "sinfonica". L'ottima direzione
di Flor e l'efficace resa coloristica della
"Verdi" hanno esaltato le qualità della
violinista che specie nei movimenti laterali ha
mostrato arcate sicure, intonazioni precise
anche nelle note più alte ed energica
espressività. Valido il bis con un Andante
di J.S. Bach ed applausi fragorosi al termine.
Oggi,
domenica
alle ore 16.00 in l.go Mahler l'ultima replica
da non perdere. Ieri invece, l' Orchestra de I
Pomeriggi Musicali vedeva sul podio del Teatro
Dal Verme il direttore milanese Daniele
Callegari per il Concerto n.4 di L.v
Beethoven. Nel celebre Concerto in sol
maggiore op.58 , il pianista sud- coreano
Yekwon Sunwoo ha rivelato le sue straordinarie
qualità musicali esprimendosi con determinazione
e leggera ma autorevole discorsività per
un'interpretazione splendidamente articolata ed
evidenziata e sostenuta benissimo dalla
direzione di Callegari e dalle timbriche
dell'orchestra de I Pomeriggi.
La
vittoria di Sunwood al noto Concorso pianistico
Van Cliburn nel 2017 sta portando il giovane
interprete in giro per il mondo e speriamo di
poterlo ascoltare al più presto in un recital
solistico per conoscerlo in un più ampio
repertorio . Avvincente il bis solistico
concesso dal pianista con il celebre Preludio
op.23 n.5 di Rachmaninov eseguito con impeto
e stravolgente musicalità. Citiamo almeno i
brani conclusivi dei due concerti con la
Quarta Sinfonia di Bruckner per Flor e la
suite da Il Borghese gentiluomo di R.
Strauss per Callegari. Ottime le direzioni. Da
ricordare entrambi i concerti.
31 marzo 2019 Cesare
Guzzardella
RAFFINATI
DIALOGHI TIMBRICI AL CONSERVATORIO "G.CANTELLI"
DI NOVARA
Ogni volta di più apprezziamo
le proposte musicali del Conservatorio di
Novara, in particolare quelle dei concerti del
Sabato pomeriggio: impaginati raffinati e
intelligenti, musica spesso di raro ascolto,
molto aperta al ‘900. Oggi, sabato 30/03, il
programma era una vera chicca per melomani: sei
composizioni che rappresentano il meglio (e
quasi tutto) sia stato scritto per una
formazione rarissima nella storia della musica,
passata e recente: il duo viola-violoncello,
rappresentato
per l’occasione dai milanesi Maria (viola) e
Matteo Ronchini (violoncello), entrambi con un
corposo e significativo curriculum di esibizioni
in Italia e all’estero e docenti dei rispettivi
strumenti nei conservatori di Novara (lei) e di
Milano (lui). Il concerto era inaugurato dal duo
in do min. di Franz I. Danzi, compositore
tedesco vissuto nell’età dell’oro della musica,
tra Mozart e Beethoven. Il suo Duo,
classicamente diviso in tre tempi, mostrava
evidenti influenze mozartiane, nella dolce
cantabilità del secondo tema dell’Allegro
iniziale, ma anche robuste tracce del da lui
ammiratissimo Beethoven, a cominciare dalla
scelta della tonalità, oltre a certe particolari
soluzioni armoniche e tensioni agogiche, proprie
del Maestro di Bonn. Opera interessante,
ovviamente di un minore, ma degna di essere ogni
tanto riproposta nelle nostre sale da concerto.
I due interpreti rivelano fin da questo primo
brano la loro ottima capacità interpretativa,
che punta giustamente sulla valorizzazione di
tutte le potenzialità timbriche che il velluto
della viola e il suono caldo e morbido del
violoncello possono offrire. A questo va
aggiunta, soprattutto a proposito di Maria
Ronchini, una propensione alla cantabilità, che,
ottimamente sostenuta da un violoncellista di
eccellenti virtù nella gestione delle dinamiche
e nella delicatezza e limpidezza del fraseggio,
ha saputo affascinare un pubblico numeroso e
concentrato (vogliamo dimenticare un cellulare
lasciato
ostinatamente
acceso e ogni tanto squillante). Alle qualità
interpretative sopra menzionate, la seconda
composizione dell’impaginato, il duo del
novecentesco americano Walter H. Piston,
anch’esso in tre tempi, ha dato risalto alla
notevole energia di suono che si sprigiona dagli
archi del duo Ronchini. Composizione
armonicamente improntata ad una tonalità
allargata, lontana dai coevi sperimentalismi di
un Ives o di un Varèse, presenta il meglio nel
tempo centrale, un Andante sereno eseguito
magnificamente, con delicatezza di suono e
dinamiche e tempi
perfetti, ma propone due tempi estremi di
vorticosa energia sonora, espressa al meglio dai
due interpreti, con una cavata robusta e
brillante. Il terzo pezzo era il duo “Per due
occhiali obbligati” WoO 32 di Beethoven: il
titolo burlone si deve sia alla volontà
parodistica di Beethoven, rivolta alla pratica
barocca degli ‘strumenti obbligati’, sia alla
forte miopia del compositore e del dedicatario
dell’operina, il conte Zmeskall, entrambi
costretti a inforcare gli occhiali quando
suonavano…Non sintratta cero di una delle cose
più significative di Beethoven, ma è una cosetta
fresca e di scrittura abbastanza densa
armonicamente, che il duo Ronchini ha
interpretato con trasparente resa delle
architetture sonore. Tutta novecentesca la
seconda parte del concerto con Hindemith
(Duett), vero trionfo del principio del Grundton
caro al compositore tedesco, uno splendido
Lutoslawsky (Bucolics, composizione lontana
dalle avventure ‘seriali’ e ‘aleatorie’ del
compositore polacco negli anni ’60-’70, e invece
piuttosto legata ad un tonalismo appena
screziato di dissonanze no risolte e soprattutto
di lirica cantabilità)), e infine
i bellissimi
ventuno Duos di Bartòk
-dai 44 duos per due violini-,
rielaborazione, per una serie di brevi schegge
musicali, di materiale folklorico dell’Europa
centro-orientale, In realtà si tratta di una
trascrizione per viola e violoncello di Peter
Bartòk . Anche in queste non facili
composizioni, ardue sotto il profilo della
tecnica esecutiva per la rapidità dei tempi, i
frequenti salti di ottave, gli armonici e
quant’altro, il duo Ronchini ha espresso una capacità
interpretativa davvero superba, salutata da un
lungo e intenso applauso
degli ascoltatori, ricompensato
da due bis di brani già eseguiti in concerto:
uno da Danzi, l’altro da Bartok.
30 marzo 2019 Bruno Busca
Prossimamente a
Vercelli
Sabato 6 aprile 2019 alle ore
21 presso il Teatro Civico di Vercelli la
violinista Aiman Mussakhajayeva e l'Orchestra
Camerata Ducale di Guido Rimonda terranno un
concerto con musiche di Schubert, Saint-Saëns,
Sarasate. Da non perdere
30 marzo 2019 dalla redazione
Kostantin Lifschitz per la Società dei
Concerti
Ieri sera Kostantin Lifschitz
è tornato in Sala Verdi
nel nostro Conservatorio per un recital
organizzato dalla
Società dei Concerti. Era venuto per la
prima volta a Milano per la medesima
organizzazione
concertistica nel lontano 1992,
quando aveva solo quindici anni. Non avevo mai
ascoltato live il pianista ucraino,
classe 1976, mancando dalla nostra città da
parecchio tempo. Mi è piaciuto assai!
Nell'impaginato vario ed intelligente siamo
passati da un'antologica di Bach con molti
Preludi, Fantasie e spesso relativa Fughe-
ben dieci brani complessivi!-, ad un raro ed
autorevole Janá ček
con il Secondo
libro di Sul sentiero di rovi, a
Beethoven con la Sonata n.7 in re magg. op.10
n.3. Sono rimasto stupito dalla capacità
di adattamento di Lifschitz ai diversi autori.
Il suo Bach, corposo, incisivo e ben scandito,
spesso col pedale ridotto al minimo,
è senza dubbio coerente nella sua idea di
rappresentazione essenziale ed austera. Un Bach
personale ricavato da una cernita di brani più o
meno celebri, terminati con una Fantasia e
Fuga in re minore BWV 903 di raffinata
bellezza. Con Janáček
e i cinque movimenti che compongono il secondo
libro di Po zarostlém
chodničku,
abbiamo trovato un interprete ricco di
volumetrie che si esprime con dinamiche varie e
timbriche dettagliate. Un lavoro suggestivo
e profondo.
Di grande impatto sonoro il suo Beethoven. Il
Presto iniziale particolarmente
sostenuto nell'andamento era dettagliato e
luminoso.
Il contrasto con il Largo e mesto del
secondo movimento
è
stato sconvolgente, e notevole la profondità di
pensiero espressa con ricche e riflessive pausa
nella discorsività dilatata. I due movimenti
finali Minuetto e Rondò sono stati
affrontati con leggerezza discorsiva eccellente.
Un equilibrio complessivo di elevato valore
musicale per un pianista di alto livello. Tre i
bis concessi con ancora un breve Preludio
di Bach, Tango di Stravinskij e il
Capriccio in si minore op.76 di Brahms. Da
ricordare a lungo!
28 marzo 2019 Cesare
Guzzardella
Il Quartetto
Hermès e Gabriele Carcano per la Società del
Quartetto
È un quartetto d'archi
giovane quello ascoltato ieri sera in Sala
Verdi. Omar Bouchez, violino, Elise Liu,
violino, Yung-Hsin Chang, viola,
Anthony Kondo, violoncello, dal 2008
riuniti in gruppo a
Lione
nel loro Conservatorio di musica, hanno portato
l'arte musicale quartettistica in giro per il
mondo dopo la vittoria di prestigiosi concorsi
internazionali ( Lione, Ginevra, New York). Ieri
in due dei tre brani in programma, sono stati
coadiuvati dal pianista torinese Gabriele
Carcano per due noti Quintetti: quello N.1 in
re minore op.89 di Gabriel Fauré e quello
arcinoto in fa minore op.34 di Johannes
Brahms. Tra questi due lavori, è stato eseguito
uno tra i più conosciuti quartetti di Haydn
quello in mi bem. Maggiore op.33 n.2 "Lo
Scherzo". Haydn musicista tra i padri
fondatori di questa forma d'arte e autore di
oltre ottanta quartetti d'archi tra cui questo
capolavoro. L'avvincente interpretazione ci ha rivelato
la mirabile classicità dei quattro protagonisti
attraverso una
resa
formalmente perfetta e di grande espressività.
Il ruolo fondamentale della parte pianistica si
è rivelato invece nei due differenti quintetti
dove la qualità espressiva e conduttiva di
Carcano si è espressa in tutta l'eccellente resa
stilistica. Il primo
quintetto
è un esempio assoluto di freschezza
e leggerezza, tipica di quel periodo francese di
cui Fauré è uno dei migliori esponenti. Ottima
l'interpretazione ascoltata. La forza espressiva
del celebre quintetto brahmsiano, che ha
concluso la serata, è stata esaltata in tutti i
quattro movimenti del Quintetto Op.34. I
momenti di grande coralità sonora spesso
presente e i diversi contrasti dinamici hanno
ancor più messo in rilievo il prestigio degli
strumentisti accomunati da rigore e grande
rispetto delle rispettive timbriche. Applausi
fragorosi al termine.
27 marzo 2019 Cesare
Guzzardella
La ricerca musicale di Alexander Lonquich
Capita raramente di assistere
ad un concerto pianistico trovando un impaginato
vario ma nello stesso tempo unitario come quello
ascoltato ieri in Conservatorio. Alexander
Lonquich ha infatti costruito un programma
-nella prima parte del corposo recital-
formato da ben 18 brani, alcuni molto brevi ed
altri
meno, di ben quindici differenti compositori.
Un'attenta ricerca musicale di brani meno
conosciuti entrano nel suo repertorio a
dimostrazione dell' enorme varietà compositiva
esistente e del bisogno di novità. La scelta e
lo studio della successione dei brani deve avere
impegnato molto l'interprete. Rarità assolute
come l'Adagetto.Hommage a Bizet di T.W.
Adorno, Erinnerung di A. Bruckner,
Tango e Stehende Musik di Stefan
Wolpe, Malostransky Palác e L'anello
d'oro di Janá ček,
Humoresque di M. Reger erano
mescolati insieme
a
brani di
musicisti
sommi come Beethoven
con
il raro suo Praeludium in fa minore o
Schumann con il Präeludium
o il più noto Albumblatt. A questi si
aggiungono brani un po' più frequentati come
Circus Polka e Studio op.7 n.4 di
Stravinskij, Corcovado di D. Milhaud,
Abschied von meinem Silbermannischen Claviere in
einem Rondo di C.P.E.Bach, Valse op.72
n.16 di
Čaikovskij, un Preludio di Rachmaninov (op.23
n.7), uno Studio di Skrjabin (op.42
n.5) e
Suono
di campane di
E. Grieg.
L'interpretazione precisa, profonda, raffinata e
spesso molto virtuosistica di Lonquich
è emersa in uno stile unitario se
pur adattato alle differenti situazioni con
frangenti di alta espressività uniti ad altri
dove la dinamicità in
esecuzioni rapide e fortemente incisive
mettevano in risalto la sua tecnica esuberante,
ma sempre molto controllata. Due secoli di
musica messi al setaccio a dimostrazione della
varietà compositiva di autori uniti da valori
artistici diversi, profondi e senza tempo. Siamo
rimasti sbalorditi per le splendide esecuzione
dei due brani stravinskijani, per la luminosità
dei brani di Bruckner, Grieg e del filosofo
Adorno
e anche di Janáček
e per la funzionale e travolgente percussività
del misconosciuto Stefan Wolpe. Dopo il breve
intervallo un'ottima esecuzione delle
beethoveniane Variazioni in do minore su un
tema di Diabelli ha ancora rivelato il
valore di un pianista di primo livello che cerca
la perfezione mediando con la ragione e con la
tecnica ogni elemento
sonoro. Personale e ricercato il bis concesso
con l'Improvviso n.2 di Chopin. Grande
successo di pubblico alla presenza anche di
importanti musicisti, interpreti ed amici.
Numerose le uscite in palcoscenico del
superlativo Lonquich.
26 marzo 2019 Cesare
Guzzardella
Una serata
cinematografico-musicale al Conservatorio
di Giovanni Saccarello
La sera del 22 marzo
scorso la sala Puccini del Conservatorio di
Milano è stata promossa a cinematografo. Si sono
proiettati tre film del pioniere Georges Méliès
(1861-1938) con accompagnamento musicale dal
vivo del pianista Alfonso Alberti ed una
presentazione di Luca Scarlini. ...continua
25 marzo 2019
I capolavori di Georges Meliès interpretati
da Alfonso Alberti per i "50 anni dallo sbarco
sulla Luna"
Una serata particolarmente
interessante quella di ieri sera in Sala Puccini
nel Conservatorio milanese. In occasione dei 50
anni dallo sbarco sulla Luna, l'ottimo narratore
Luca Scarlini ed il pianista Alfonso Alberti
hanno avuto l'eccellente idea di raccontare e di
mettere in musica alcune tra le più fantasiose
opere di Georges Meliès ( 1861-1938), pioniere
del cinema
come
i fratelli Lumière, ma
dotato
di un incredibile senso artistico e poetico.
Infatti nei brevi film presentati, veri
capolavori ricchi di "effetti speciali" , primo
fra tutti il noto Le voyage dans la lune-
ma anche negli altri - emergono modalità
rappresentative che anticipano il surrealismo ed
altre forme artistiche di primo '900. La sintesi
creativa è di altissima qualità espressiva. Il
cinema muto di allora veniva spesso messo in
risalto da esecuzioni musicali "live"
eseguite nel corso della rappresentazione
filmica. Ieri, ottime versioni live per i
tre film di Meliès sono state quelle di Alfonso
Alberti.
Per
"Il viaggio sulla Luna" ha interpretato Philips
Glass
con
la sua originale Mad Rush ("Una fretta
indiavolata"). Gli altri due film, di pari
livello, sono stati The Astronomer's Dream
("Il sogno dell'astronomo" o anche "La Luna
a un metro"), ad introduzione della serata, e
Viaggio attraverso l'impossibile, al
termine. In The Astronomer's Dream,
l'omonimo brano di accompagnamento, eseguito
splendidamente da Alberti, è stato composto da
Ruggero Laganà, noto e validissimo compositore
milanese, ed è il primo di una serie di brani
che farà parte della sua prossima Suite
lunare. Applausi quindi anche a Laganà che,
salito sul palco, appariva visibilmente
soddisfatto.
L'ultimo filmato, una splendida versione
colorata di Viaggio attraverso l' impossibile,
riguardante una fantastica "spedizione" di
scienziati dell'Accademia di Geografia
Inconsistente all'interno niente meno del Sole,
ha trovato Alfonso Alberti in una serie di brani
di Eric Satie tratti da Sports e
divertissements e Gymnopédie (il
n.1). Inappuntabile anche in questo caso la resa
musico-filmica. E' da sottolineare la
dettagliata e piacevolissima presentazione di
Luca Scarlini - scrittore e "performance
artist", che con piglio tra il serio e il faceto
anticipava con abile chiarezza narrativa i tre
magici film di Meliès. Molti applausi dal
pubblico presente - purtroppo non numeroso-
intervenuto per uno spettacolo che doveva
certamente avere il tutto esaurito. Si auspicano
repliche anche in altre sale e.. perchè no?...
nelle scuole milanesi e non solo. Da ricordare.
23 marzo 2019 Cesare Guzzardella
Una serata
stellare al Viotti Festival di Vercelli con L.
Kavakos ed E. Pace
Talvolta i miracoli si
avverano e l’idea pura di perfetta bellezza
scende dal suo remoto iperuranio tra noi mortali
per assumere le forme reali di un’immagine o di
un suono. E’ quanto avvenuto ieri sera, venerdì
22 marzo, al Teatro Civico di Vercelli, nella
serata di turno del ciclo cameristico del Viotti
Festival, che presentava al pubblico uno dei più
grandi violinisti viventi, Leonidas Kavakos e il
pianista che da tempo è uno dei suoi
accompagnatori preferiti, l’eccellente Enrico
Pace. L’impaginato del concerto era di quelli
studiati con grande raffinatezza, per palati
fini, ma allo stesso tempo capace
di
catturare l’attenzione e l’interesse di un
pubblico più vasto, accorso come sempre
numerosissimo ieri sera al teatro vercellese.
Introdotto da uno dei capolavori di Brahms, la
Sonata n.3 in re min. op.108 per violino e
pianoforte, il recital proseguiva con una
composizione ignota ai più, La Petite Suite n.2
del greco Nikolaos Skalkottas, allievo di
Schonberg e considerato uno dei protagonisti
della musica ellenica del primo ‘900 e, dopo
l’intervallo, con la Rapsodia n.1 di Bartòk, per
chiudere con quella gemma musicale che è la
Sonata per violino e pianoforte n.3 in la min.
op.25 “Dans le caractère populaire roumain”, del
romeno George Enescu, un grande musicista
ingiustificatamente poco presente nelle nostre
sale da concerto. Dire qualcosa di nuovo sulla
straordinaria statura artistica di Kavakos è
veramente difficile, ma, partendo dalla nostra
personale esperienza di ascolto non esiteremmo a
parlare di un vero e proprio fascino
incantatorio, quasi magnetico, che il violinista
greco esercita, non solo con il suono del suo
Stradivari Willemotte 1734, ma persino con la
sua figura, impostata a quella “nobile
semplicità e calma grandezza” in cui il
Winckelmann ravvisava l’inequivocabile
manifestarsi di una superiore umanità . Superata
questa prima impressione e venendo a parlare più
propriamente dello stile interpretativo, in
generale, di Kavakos, diremmo che la sua qualità
più alta consista nella straordinaria ricchezza
di sfumature e di colori espressivi che il suo
archetto e le sue dita fanno scaturire dal suo
prodigioso Stradivari, già dotato di per sé di
un suono bellissimo, di morbidezza tenera e
luminosa. Si può dire che quasi ogni tocco di
corda, sul violino di Kavakos , assuma un timbro
particolare, che, unito ad una capacità più
unica che rara
di
produrre chiaroscuri dinamici e sottili
variazioni ritmico-agogiche, dona al fraseggio
una emozionante profondità espressiva. A sua
volta, la cavata, sempre distesa in una
vellutata sonorità che non teme confronti, fa
sbalzare dalle quattro corde, anche nella
massima tensione dei sovracuti, la forma
melodica e armonica del pezzo con una chiarezza
e trasparenza ‘architettonica’ di cristallina
purezza, nella quale il vibrato appare come una
sottile e sobria increspatura sulla superficie
di un suono campito con delicata lucidità. A
tutto questo si aggiunga l’uso sapiente, talora
ieratico, delle pause, nel cui silenzio il suono
sembra continuare a espandersi nello
spazio-tempo, acquistando ulteriore profondità.
E’ chiaro che per accompagnare un simile genio,
occorra un pianista di eccellenti risorse, e
Kavakos lo ha trovato, appunto, in Enrico Pace.
Kavakos e Pace non sono due musicisti che”
suonano insieme”, ma “interpretano” insieme, con
una sintonia assoluta e totale. Tutte le
composizioni proposte ieri sera presentano uno
stile concertante, prevedono dunque una parte
impegnativa anche per il pianista, che non è
certo semplice accompagnatore, ma deuteragonista
a pieno titolo, e Pace ha assolto al meglio
questo ruolo. Forse perché era la prima volta
che lo ascoltavamo, ma il pezzo che più ci ha
colpito ieri sera è stata la Sonata di Enescu: è
un’opera di estrema complessità strutturale, in
cui il carattere “popolare” indicato dal titolo
allude non tanto a citazioni testuali di
materiale musicale folklorico, quanto allo
spirito della musica dei lautari (menestrelli
girovaghi) romeni. Nei primi due tempi tale
spirito è evocato attraverso le melodie, dal
ritmo libero, spesso dispari o con
sovrapposizioni di più ritmi, con un continuo
avvicendamento di schemi melodici per brevi
incisi e frasi, ricchi di cromatismi e, per il
violino, di armonici e quarti di tono. Il tutto
su un tappeto pianistico di grande densità,
fatta di tumultuose successioni di accordi, di
note sincopate o doppie, di ritmi sfasati tra le
due mani, di tremoli. Una partitura difficile,
affascinante, che raggiunge i suoi momenti più
alti nelle rarefazioni estreme dei timbri, ai
limiti dell’evanescenza, di raccolta malinconia,
in cui Kavakos e Pace hanno raggiunto vertici
espressivi di potente suggestione. Il terzo
tempo della Sonata di Enescu, come la Rapsodia
di Bartòk, hanno invece messo in evidenza
l’energia e la vitalità di cui sono capaci
questi due interpreti, che peraltro hanno
evitato il percussivismo esasperato con cui si
martella in genere certa musica del grande
ungherese, stemperandolo in una più contenuta,
ma non meno trascinante, giocosità ritmica. Se
del pezzo di Skalkottas,( che pochissime
reminiscenze conservava del serialismo
dodecafonico del suo maestro Schonberg,
caratterizzandosi semmai per vaste zone di
‘tonalità allargata’ o politonali, con schemi
armonici alla Hindemith degli anni ’20), Kavakos
e Pace hanno scelto una linea interpretativa che
puntava tutto, giustamente su sonorità chiare e
sull’energia ritmica, non senza qualche barlume
d’ironia, il Brahms ascoltato ieri sera ha
rapito gli ascoltatori per la varietà dei colori
con cui i due interpreti hanno illuminato la
possente architettura tematica e
contrappuntistica di questo aureo capolavoro:
dal cupo e passionale primo tema dell’Allegro
iniziale, alla timbrica rarefatta dello strano
sviluppo, sempre nel primo tempo, col suo
interminabile pedale sulla dominante per la mano
sinistra del pianoforte, alla calda effusione
delle doppie corde del violino dell’Adagio, alla
limpida cantabilità della parte del violino del
secondo tema del Finale, ombreggiato dagli
accordi bruniti della tastiera. Abbiamo
ascoltato un Brahms nell’interpretazione che più
amiamo: solidità di struttura e suono morbido e
avvolgente. Veramente un concerto, quello di
ieri sera, che definire entusiasmante è ancora
dire poco, tra i più belli mai ascoltati qui a
Vercelli, che pure è città dove, grazie al
Viotti Festival, di eccellente musica se ne
sente spesso. Lunghissimi applausi di un
pubblico quasi in delirio e due bis hanno posto
fine a questo concerto che per noi resterà
indimenticabile.
23 marzo 2019 Bruno Busca
La
Wurttembergische Philharmonie
Reutlingen
per la Società dei Concerti
La Württembergische
Philharmonie Reutlingen diretta da Fawzi Haimor
ha tenuto ieri sera un concerto sinfonico nel
quale sono stati eseguiti prima il Concerto
n.1 in re minore di J.Brahms e poi
la
rara Sinfonia n.2 di C. Ives. Nel
concerto solistico al pianoforte Dejan Lazi ć,
musicista di Zagabria per la prima volta in
Conservatorio
a Milano.
La riproposta in Sala Verdi nell'arco di circa
dieci giorni,
del noto concerto brahmsiano - recentemente
l'avevamo ascoltato con C.L.Minzi al pianoforte-
dimostra l'efficacia di un lavoro complesso e di
non facile esecuzione che quando fu composto dal
musicista ungherese venne giudicato addirittura
ineseguibile e quindi trascurato per alcuni
decenni. Ora, le nuove generazioni di pianisti
particolarmente disponibili ad ogni repertorio,
lo mettono spesso nei programmi concertistici.
La valida interpretazione ascoltata ieri sera ha
rivelato le ottime qualità
della compagine orchestrale tedesca in un lavoro
dove la parte orchestrale è altrettanto
importante che quella solistica per i momenti di
grande
coralità
ed incisività che sostiene. Il giovane
interprete croato ha superato con valida resa
ogni difficoltà tecnica del brano. Il tocco del
pianista è stato improntato ad una eleganza
anche raffinata nel gestire la componente
melodica piuttosto che ad una risoluzione
timbrica maggiormente risoluta e ricca d' impeto
come il brano dovrebbe imporre. La scorrevolezza
del lavoro nei movimenti laterali e nel largo
centrale, è stata ben sostenuta e coadiuvata con
energia dall'ottima direzione di Fawzi Haimor
per una resa complessiva di ottimo livello.
Eccellente il bis solistico di Lazić
con la Sonata K 9 di Domenico Scarlatti.
Nella seconda parte della serata una rarità
di Charles Ives, compositore statunitense
vissuto a cavallo degli ultimi due secoli, ci ha
portato in un'atmosfera tra neo-classicismo e
modernità. La Seconda Sinfonia di Ives,
costitutiva di un linguaggio tipicamente
americano che ha esportato gli efficaci stilemi
europei, ha nella componente degli archi della
vasta orchestra, l'elemento rilevante. Le
timbriche settecentesche trovano uno
stravolgimento con i fiati e le percussioni in
momenti di
moderna
e originale creatività, anticipatoria dello
sviluppo musicale del Novecento. Il lavoro,
completato a cavallo tra fine Ottocento e
primissimo Novecento, è particolarmente
rilevante nell' eccellente orchestrazione di un
compositore che vedeva la musica collaterale
alla sua attività principale di assicuratore.
Ives, insieme a Varèse, è da considerarsi tra
gli anticipatore del Novecento musicale.
Decisamente di valore l'interpretazione della
Württembergische Philharmonie Reutlingen e
la direzione di Haimor, elegante e
stilisticamente rilevante. Bellissimo il bis
concesso con una Danza ungheresa (la n.7)
di j. Brahms che ha evidenziato ancor più gli
splendidi colori dell'orchestra tedesca. Da
ricordare.
21 marzo 2019 Cesare
Guzzardella
Il Quartetto
Emerson per la Società del Quartetto
Dopo alcuni anni di assenza è
tornato in Sala Verdi nel Conservatorio
milanese, il Quartetto
Emerson,
affermato gruppo cameristico costituito nel 1976
e vincitore di importanti premi discografici per
le molteplici e valide incisioni effettuate in
questi decenni di attività. Ieri l'impaginato
prevedeva un quartetto di Béla Bartók, il N.3
SZ 85, e uno di Beethoven, il N.15 in la
minore Op.132, ultimo dei quartetti del
genio di Bonn. Probabilmente la brevità del
lavoro dell'ungherese - circa 15 minuti per una
successione di quattro movimenti senza soluzione
di continuità- ha portato alla decisione di
eseguire il concerto rinunciando all'
intervallo. Questa scelta è stata utile per un
confronto più ravvicinato tra i linguaggi
musicali dei due grandi musicisti. Quello
essenziale, di sintesi discorsiva e tipicamente
novecentesco di Bartók e quello più sviluppato
nei suoi contrastati cinque movimenti di
Beethoven. Quest'ultimo quartetto, pur essendo
degli anni '20 dell'Ottocento, si proietta in un
futuro senza tempo e molto vicino a noi. Le
qualità espresse dalla formazione quartettistica
non si discutono. In entrambi i lavori l'unità
d'intenti dei quattro interpreti ha
evidenziato
un unico perfetto timbro ricco di sfumature sia
nelle parti melodiche, esaltate anche
singolarmente, che nel complesso armonico
controllato in modo preciso nelle dinamiche.
Splendidi i due bis con un omaggio a Verdi e un
meraviglioso Scherzo dal suo quartetto e
ancora Beethove n con lo
Scherzo dall'Op.130.
Un altro capolavoro. Fragorosi gli applausi al
termine. Da ricordare. Ricordiamo
ad inizio concerto la presenza sul
palcoscenico del nuovo Presidente della storica
Società del Quartetto: Ilaria Borletti
Buitoni sostituisce, certamente in continuità
d'intenti, l'avv. Antonio Magnocavallo
recentemente mancato.
20 marzo 2019 Cesare
Guzzardella
Lucas Debargue per le Serate Musicali
E' la terza volta che ascolto
il pianista francese Lucas Debargue in
Consevatorio e devo dire che in Sala Verdi, sin
dalla prima volta, mi è piaciuto per la sua
eccellente creatività sempre alla ricercà di un
nuovo modo d'intendere la musica del passato,
con un orecchio rivolto al presente e al futuro.
Ieri sera un programma impegnativo prevedeva
undici Sonate di Domenico Scarlatti seguite,
nella
seconda
parte, da un Bach con la Toccata in do minore
BWV 911 e la celebre ultima sonata di
Beethoven, la N.32 in do minore Op.111.
Scarlatti è il compositore che mi ha
maggiormente convinto nell'interpretazione del
francese. Il grande musicista napoletano che ha
nella sua produzione per tastiera oltre
cinquecento sonate, da la possibilità di ampia
scelta agli interpreti. I maggiori pianisti si
sono cimentati in passato con una cernita ben
definita di sonate poi passate alla storia.
Debargue ha voluto proporre, secondo una sua
libera accurata successione, molte tra le meno
eseguite sonate scarlattiane per un tutt'uno
unitario di eccellente composizione, come fosse
una grande suite in undici movimenti.
L'originalità della modalità stilistica del
francese ha portato ad un'interpretazione
edulcorata da ogni sapore romantico tipico di
alcuni celebri esecuzioni, ma legata a timbriche
dai colori tipicamente di primo Settecento con
spunti di modernità a volte quasi dal
sapore
jazzistico. Il tocco preciso di Dabergue
accentuato da contrasti dinamici netti in cui
passa dal forte al pianissimo in modo spesso
brusco, con ampia quantità
di note puntate e accentuazioni ritmiche, hanno
personalizzato molto l'interpretazione. Di
qualità anche la
Toccata in do minore bachiana eseguita con
modalità simili al suo Scarlatti. L' ultimo
lavoro proposto, il maturo Beethoven dell'
op.111, è generalmente
prerogativa di pianisti maturi consapevoli di
affrontare un punto d'arrivo assoluto, che
quando si propone è conclusivo del concerto.
Anche in questo caso la complessa e articolata
opera beethoveniana ha concluso la splendida
serata senza bis. Debargue, pur nella valida
interpretazione complessiva, ha mostrato grosse
potenzialità che a mio avviso vanno approfondite
per una futura migliore riorganizzazione del
materiale. Alcuni frangenti di alto livello non
sono forse ancora sufficienti per definire in
modo completo un capolavoro che abbisogna di
un'unità interpretativa che non è facile da
ottenere ai giovani interpreti. Permane una
certa discontinuità tra il forte segno reso con
forza nella prima parte della sonata e l'etereo
finale ricco di quelle sfumature coloristiche
elargite dalla celebre successione di trilli. Il
livello complessivo, decisamente alto per un
ancor giovane interprete, ci fa sperare per un
prossimo ascolto nel quale potremo ancora una
volta sbalordirci della sua splendida
creatività. Da ricordare.
19 marzo 2019 Cesare
Guzzardella
Krassimira Stoyanova alla Scala
Il variegato impaginato che
ha presentato il celebre soprano bulgaro
Krassimira Stoyanova trovava
noti
lieder di Schubert, tra cui i celebri
Gretchenam Spinnrade- Margherita
all'arcolaio- e l'Ave
Maria, meno noti i brani di Richard Strauss
- ben cinque tra cui Morgen op.27 n.4- e
rarità di W. Korngold e M. Musorgskij.
L'incisività timbrica della Stayonova, unita ad
una evidente volumetrica duttilità
interpretativa, insieme alle eccellenti capacità
attoriali emerse soprattutto nei corposi lieder
di Musorgskij, hanno reso di grande qualità la
serata scaligera. Prestigioso il pianoforte del
bulgaro Ludvil Angelov, attento a sottolineare
ogni momento interpretativo del canto.
L'elasticità dinamica della cantante si è
rivelata anche nei bis concessi con un omaggio
all'Italia, non presente nel programma
ufficiale, ma ben reso nello splendido Puccini.
Grande successo in una Scala con tanto pubblico
che al termine ha tributato alla cantante ed al
pianista fragorosi applausi. Da ricordare.
18 marzo 2019 C.G.
Straordianario successo per La Traviata
alla Scala con Angel Blue in Violetta
Il soprano californiano Angel
Blue di origine afro-americana, ieri sera al
Teatro alla Scala ha sostituito Sonya Yoncheva,
indisposta, nel ruolo principale
di Violetta e sarà
ancora
sul palcoscenico
nelle
prossime ultime due rappresentazioni del 14 e 17
marzo. Il successo di Traviata,
( Foto di Brescia e Amisano -Archivio Scala )
con quasi dieci minuti di applausi al termine e
un pubblico in piedi, ha sensibilmente commosso
in scena la Blue , che ricordiamo essere stata
in passato vincitrice di concorsi di bellezza a
Hollywood e in California. Anche il veterano
Placido Domingo nel ruolo di Giorgio Germont è
stato accolto da
applausi
fragorosi subito dopo l'aria del secondo atto
Di Provenza il mar, dimostrando ancora una
timbrica di sorprendente efficacia e adeguata al
ritrovato ruolo baritonale. E' dal 1990 che
torna sul palcoscenico scaligero La Traviata per
la riuscita regia di Liliana Cavani con le
ottime scenografie di Dante Ferretti, i classici
costumi di Gabriella Pescucci, le valide
coreografie di Micha Van Hoeche e le adeguate
luci di Marco Filibeck, e da allora il teatro è
sempre stato al completo. Di rilievo la voce di
Francesco Meli in Alfredo Germont e di
qualità Caterina Piva in Annina, Chiara
isotton in Flora Bervoix e le altre.
L'eccellenza del Coro preparato da Bruno Casoni
non si discute. Ottima la direzione di
Marco Armiliato che ha cercato, riuscendoci, di
mettere in risalto la componente vocale
attraverso una lettura precisa e discreta nei
volumi orchestrali. Una maggiore tensione
drammatica avrebbe probabilmente migliorato la
comunque equilibrata e valida orchestrazione.
Angel Blue, con volumetrica emissione vocale ha
trovato frangenti di resa eccellente sia nelle
estensioni centrali che alte. Nel terzo atto una
considerevole discrezione vocale ha
evidenziato anche
l'ottima resa attoriale del soprano, ottima con
Meli nel celebre Parigi o cara. Da non
perdere le ultime rappresentazioni.
13 marzo 2019 Cesare
Guzzardella
Un
valido Brahms con Carlo Levi Minzi e l'Orchestra
rumena di Arad
Per ragioni personali ho
potuto assistere solo alla prima parte del
concerto diretto da Giorgio Rodolfo
Marini
con l'Orchestra Filarmonica di Stato di Arad. In
programma il Concerto per pianoforte ed
orchestra n.1 in Re minore di J. Brahms. Al
pianoforte Carlo Levi Minzi. L'interpretazione
particolare di Minzi, affermato pianista e noto
didatta milanese, ha trovato un andamento
rilassato, con movimenti in cui la struttura
melodico-armonica è definita in modo analitico
con dettagli particolareggiati. Punto di forza
nell'inusuale interpretazione di Minzi è la
chiarezza coloristica attenta e precisa, con
frangenti di eccellente risalto estetico.
Certamente una maggiore sintesi discorsiva, più
tipica del romanticismo evoluto brahmsiano,
avrebbe destato maggiore unità al tutto, anche
se nel modo di esprimersi di Minzi, ben
coadiuvato
dalla
brava orchestra
rumena e dall'ottima direzione
di Marini, la coerenza non manca e la profondità
espressiva risulta evidente. Altrettanto in
sintonia con il concerto il bis solistico
concesso con ancora Brahms e la sua Ballata
op.10 n.2. Coerenza e bellezza coloristica
le principali caratteristiche.
Nella seconda parte della serata la celebre
Sinfonia "Patetica" di
Čaikovskij, ben eseguita, a detta di amici che
hanno potuto ascoltarla.
12 marzo 2019
Cesare
Guzzardella
Il duo Rabaglia-Miodini al
Conservatorio G. Cantelli di Novara
L’appuntamento con il
concerto del sabato pomeriggio alla Sala
Olivieri del Conservatorio di Novara, oggi,
sabato 9 marzo, era di quelli imperdibili: il
violinista Ivan Rabaglia (insegnante presso lo
stesso Conservatorio novarese) e il pianista
Alberto Miodini, cioè due elementi del
prestigioso Trio di Parma, presentavano un
programma da far gola a chi ami la musica
“forte” –
per usare un’espressione
cara al grande Quirino Principe: tre delle più
belle e celebri sonate per violino e pianoforte
della storia della musica: la K454 in Si bem.
Maggiore di Mozart, la Sonata in sol minore di
Debussy e infine, a coronare grandiosamente il
recital, la “Kreutzer” di Beethoven. Di fronte
ad una sala in cui dalle 16,30 non c’era più un
posto a sedere libero (il concerto cominciava
alle 17), il duo Rabaglia Miodini ha offerto una
splendida
interpretazione
di questi tre gioielli musicali. Anzitutto, ma
questa non è certo una sorpresa, visto che i due
suonano insieme da quasi trent’anni, è stato
perfetto il dialogo tra i due strumenti,
componente essenziale di tutte e tre le opere
eseguite, in cui la parte del pianoforte non è
mai di mero accompagnamento, ma anzi torreggia
talvolta allo stesso livello di importanza del
violino. Soprattutto Rabaglia e Miodini hanno
dato prova, se mai ce ne fosse stato bisogno, di
una lucida e profonda capacità di penetrare
nelle pieghe e nelle sfumature più sottili delle
partiture, illuminandole con una coinvolgente
intensità espressiva. Il Santo Serafino 1740 di
Rabaglia, di per sé, non ha un timbro
particolarmente dolce, eppure è stato di
straordinaria dolcezza il suono con cui il
solista di Parma ha dato voce all’Andante della
sonata mozartiana, particolarmente nella sezione
dello sviluppo, dove il si minore cui approdava
il complesso svolgimento armonico del movimento
pareva provenire da qualche remoto regno di
ideale bellezza. Sempre a proposito di questo
tempo lento della sonata mozartiana, uno dei
vertici della musica cameristica del
Salisburghese, è emersa un’altra particolarità
interpretativa dei due musicisti parmensi: la
capacità di arricchire l’atmosfera espressiva
con perfette vibrazioni chiaroscurali, grazie a
un gioco mosso e vario del piano dinamico e,
talora, anche agogico. E’ stato il caso della
splendida e inquietante sonata di Debussy, con
le sue sottili venature di angoscia che
affiorano talvolta dall’apparenza di movimento e
allegria che impronta questo capolavoro del
periodo tardo del compositore francese. Anche in
questo caso valga da esempio il tempo centrale,
Intermède: ci è parsa perfettamente nello
spirito di questa inafferrabile musica
l’esecuzione del duo emiliano, che dopo la
svagata atmosfera fatta di ritmi vagamente
spagnoleggianti, da bolero e di un’idea
secondaria leggera e brillante, suonata con
fraseggio sognante dal violino e dal pianoforte,
ripropone nel finale il tema principale del
bolero trasfigurandolo in un ‘morendo’ sommesso
e misterioso. In generale, per questa sonata
debussyana va riconosciuto un particolare
apprezzamento, oltre, s’intende a Rabaglia,
anche a Miodini, per la finezza con cui ha
eseguito i numerosi passaggi accordali del
pezzo, dandone di volta in volta colorature
diverse, ora lievi e allegre, ora più
ombreggiate e inquiete. Che dire, infine, della
Kreutzer di Rabaglia e Miodini? Diremmo questo:
abbiamo ascoltato una Kreutzer di perfetta
quadratura ‘classica’, con fraseggi torniti con
precisione e limpidezza senza eguali, anche
nelle sezioni di più febbrile tensione
drammatica, un limpido dialogo tra gli
strumenti, una resa perfetta dei vari piani
timbrici della partitura. Proprio per questa
dominante classicistica della scelta
interpretativa di Rabaglia e Miodini, la parte
più riuscita della sonata beethoveniana ci è
parso l’Andante con variazioni, stupendamente
cesellato con una fluente cantabilità:
indimenticabili per aerea levità le serie di
quartine di biscrome del violino nella seconda
variazione, o la trasparenza con cui Miodini ha
fatto cantare la complessa scrittura pianistica
a quattro parti reali nella terza variazione.
Questa impostazione classicistica ha però messo
un po’ ai margini quella componente ‘tellurica’,
ai limiti dell’allucinato e del demonico,
presente nei due tempi estremi della sonata, in
particolare il primo, così suggestivamente
descritti dal genio di Tolstoij. Si tratta
naturalmente di un nostro personale gusto, che
nulla toglie a un giudizio che non può che
essere di elogio e di ammirazione per i due
interpreti, che hanno regalato al pubblico, come
bis, il secondo tempo “Blues” della sonata n. 2
per violino e pianoforte di M. Ravel: bellissima
esecuzione anche in questo caso, sospesa fra
trasognata fantasia e dolce malinconia. Applausi
scroscianti e prolungati da parte del numeroso
pubblico, per uno dei più bei concerti in
assoluto ascoltati in questa stagione a Novara.
9 marzo
2019 Bruno Busca
Fazil Say e
l'Orchestra Sinfonica "G.
Verdi" all'Auditorium
di l.go Mahler
È la terza volta in
brevissimo tempo che il compositore-pianista
turco Fazil Say, classe 1970, torna a Milano per
interpretare grandi autori ma anche sue
composizioni. Prima in Conservatorio da solista,
poi alla Scala, accompagnando in
febbraio l'eccellente voce di
Marianne Crebassa e adesso in
Auditorium
con la Sinfonica Verdi, in veste anche di
direttore. Ci ha abituato soprattutto alla sua
musica, una giusta via di mezzo tra oriente ed
occidente, con melodie ed armonie
particolarmente caratterizzanti il suo
linguaggio: tonale, suggestivo, immediato ma non
semplice. Anche nel brano ascoltato ieri sera
all'Auditorium di l.go Mahler, accompagnato
dalla sezione d'Archi della Sinfonica Verdi, la
specificità del suo modo di far musica è emersa
in modo evidente e con apprezzamento generale
dei fedeli ascoltatori. Il brano, denominato
Yürüyen Kö şk,
"Il palazzo che cammina", op.72c, rivela i
tipici contrasti della musica di Fazil, dove
momenti di dolce melodia, quì
introdotta accompagnata da un suggestivo effetto
di timbriche ottenute dallo sfregamento delle
corde acute dei violini -ad imitazione del
cinguettio di uccellini- si alterna a momenti
aspri, volumetrici e percussivi dei registri
bassi della tastiera. Le varianti armoniche del
piacevole
lavoro di Say, oltre sedici minuti musicali in
un unico movimento, erano dedicate ad Atatürk,
generale e uomo politico turco che ebbe il
merito di avvicinare la Turchia alle tradizioni
più occidentali europee. Un lavoro immediato,
ben organizzato e con elementi dissonanti ma ben
inseriti nel contesto della riconoscibile
tonalità. Applausi meritatissimi. Il brano era
incastonato tra i grandi Mozart e Beethoven. Del
primo il raro Concerto n.1 per pianoforte ed
orchestra K.37, opera interessantissima di
un Mozart undicenne ma già
maturo, influenzato dallo stile galante del suo
tempo con i "Bach figli" d'esempio e soprattutto
il più anziano Haydn. Bravissimo Say nel
melodiare con semplicità e naturalezza le
geniali semplici note mozartiane e ottima la
Sinfonica Verdi. Dopo l'intervallo, un originale
Concerto n.3 in do minore op.37, celebre
brano di Beethoven, ha concluso il programma
ufficiale. L'interpretazione, che si potrebbe
definire "alla Say", prevedeva un'accentuazione
forse eccessiva ma efficace degli elementi
melodico-ritmici. La resa, poco beethoveniana,
avrà fatto rizzare i capelli ai puristi, specie
per quella invenzione e/o improvvisazione della
cadenza nell'Allegro con brio iniziale,
dove il pianista turco ha inserito molto se
stesso e poco Beethoven, dimostrando in questo
caso una sorta di primato della creatività del
compositore Say. Il pubblico ha apprezzato con
fragorosi applausi ed anche con esclamazioni di
consenso ad alta voce; alcuni tra il pubblico si
sono alzati in piedi in segno di omaggio.
Grandissimo successo dunque e un bis tutto di
Say con un melodico breve suo lavoro. Ultima
replica prevista per domani alle ore 16.00. Da
non perdere
9 marzo 2019 Cesare
Guzzardella
Prossimamente a
Vercelli terzo appuntamento di GREEN TIES 2019
A
Vercelli terzo appuntamento della rassegna GREEN
TIES 2019 - 5 concerti aperitivo- . Il prossimo
avrà luogo domenica 17 marzo 2019 alle ore 11
presso la Sala Parlamentino, Palazzo dell'Ovest
Sesia a Vercelli.Verrà eseguita la prima parte
dell' Integrale dei Quartetti di Beethoven. Sul
palcoscenico il noto Quartetto Adorno. Da non
perdere
9 marzo 2019 dalla redazione
Juana
Zayas alle Serate Musicali del
Conservatorio milanese
Non so quante volte ho
ascoltato in Sala Verdi Juana Zayas, pianista
cubana naturalizzata statunitense, sempre per
Serate Musicali. È una scoperta di Hans
Fazzari, storico organizzatore della nota
società concertistica, avvenuta alla fine degli
anni '90. L'impaginato della pianista, come
sempre molto tradizionale e variegato, ha
trovato musiche di Haydn, Beethoven e Chopin.
Ancora
una
volta devo dire che la Zayas è un'eccellente
pianista immeritatamente misconosciuta ai più. È
un peccato vedere una Sala Verdi con solo poche
centinaia
di ascoltatori quando per le qualità musicali
espresse , l'artista meritava una sala al
completo. Di grande rilevanza tutti i brani
scelti. Partendo da Haydn con le celebri
Variazioni in fa minore Hob XVII, eseguite
con sorprendente classicità e chiarezza
espositiva, siamo arrivati alla celebre
Sonata in fa minore Op.57 "Appassionata" di
L.v.Beethoven, capolavoro sonatistico dei primi
anni dell'800. La decisa ed articolata
esecuzione della Zayas si è focalizzata
qualitativamente nei movimenti laterali,
eseguiti con grande impeto e dettagliata resa
coloristica rivelando modalità tipiche della
pianista tout court, anche se
s'intravede nella gestualità delle mani uno
studio costante ed approfondito di ogni
dettaglio tecnico superato,per esperienza, con
estrema facilità. Dopo il breve intervallo un
tutto Chopin, anche nei tre bis concessi, ci
ha portato alla consolidata predilezione
della Zayas per il grande genio polacco. Prima
la nota Fantasia in fa minore op.49 -
interessante la scelta di questa tonalità in
tutti i brani del programma- quindi i l
breve Studio n.2 in fa min. Op.25 e poi
la Ballata n.4 in fa minore hanno
concluso l'impaginato ufficiale. Di qualità la
resa musicale sia nei più articolati brani
laterali che nello Studio centrale al quali si
aggiungono i tre bis. La Fantasia e la Ballata
n.4 hanno comuni caratteristiche di articolato
sviluppo melodico-armonico reso con grande
equilibrio formale ed espressivo
dall'interprete. I tre fuori programma erano lo
Studio postumo in fa minore, la
Mazurka op.17 n.4 e lo Studio op.10 n.12.
Questi insieme allo Studio n.2, hanno rivelato
corposa sintesi discorsiva, soprattutto riferita
ai due celebri Studi- e profonda introspezione
espressiva nella mirabile Mazurka e nello Studio
postumo. Il livello complessivo ascoltato pone
la Zayas tra le migliori pianiste viventi. Da
ricordare a lungo.
8 marzo 2019 Cesare
Guzzardella
Successo per Chovan ščina
al Teatro alla Scala
Rinnovato successo di
pubblico e interminabili applausi al Teatro alla
Scala per Chovanščina nella terza
rappresentazione di ieri sera. Ritornata dopo
vent 'anni
nel teatro milanese, sempre per la direzione di
Valery Gergiev, l'opera di Modest Musorgskij
completata nei finali del secondo e quinto atto
prima da Rimskij-Korsakov e, nella recente
versione,
orchestrata
da Dmitrij
Šhostakovich,
Chovanščina
rappresenta la migliore tradizione operistica
russa al pari di Boris Godunov. I punti di
maggior splendore della riuscita
rappresentazione
scaligera sono certamente la concertazione di
Gergiev che ha mirabilmente forgiato con
timbriche di grande espressività
le ottime qualità dell'orchestra scaligera e
l'inarrivabile parte corale preparata dal solito
bravissimo - e qui di più- Bruno Casoni. I
momenti corali rimarranno indelebili nella
memoria dei presenti in teatro anche per il
valido inserimento di questi nella riuscita
scenografia di Margherita Palli
(prime due foto di Brescia-Amisano-Archivio
Scala) Di grande qualità complessiva il
cast vocale con omogenee prestazioni dei
solisti, tutti all'altezza, tra i quali
ricordiamo Mikhail Petrenko, Principe Ivan,
Ekaterina Semenchuk, Marfa, Evgenia
Muraveva, Emma, Sergey
Skorokhodov,
Pricipe Andrej, Evgeny Akimov, Golicyn,
Maxim Paster, Scrivano, Alexey Markov,
Saklovityj, Irina Vashchenko, Susanna,
Stanislav Trofimov, Dosifej, ecc. La
regia di Mario Martone, apprezzabile nelle
intenzioni atemporali in cui inserisce una
vicenda che risulta non facilmente inquadrabile
nel periodo storico, ha trovato, a mio avviso,
forzature rappresentate dalle apparecchiature
tecnologiche inserite in un contesto sbagliato.
Per il bisogno di attualizzare la vicenda, la
presenza di smarphone, pc o macchine da ripresa
video che filmano lo sgozzamento di alcuni
Strel'cy, risultano inopportuni e troppo
contrastanti anche in rapporto con i validi e
appropriati costumi curati da Ursula Patzak Un
lavoro, a parte questo, che assolutamente merita
e di cui auspichiamo la presenza completa di
pubblico anche nelle prossime rappresentazioni
previste per il 13-19-24-29 marzo. Da non
perdere.
7 marzo 2019 Cesare
Guzzardella
Il
ritorno di Mitsuko Uchida in Conservatorio per
la Società del Quartetto
Grande successo in
Conservatorio, con pubblico entusiasta al
termine della serata, per la pianista nipponica
residente a Londra Mitsuko Uchida. Dopo circa
dodici anni di assenza da Milano, la Uchida è
tornata in Sala Verdi per un tutto Schubert di
alto livello interpretativo. Le Sonate D 537,
D 840 e D 960 sono state affrontate con una
chiarezza d'intenzione evidente mettendo in
risalto, in tutte e tre le note composizioni,
timbriche decise, sia nelle strutture armoniche
più ampie che nelle
note
isolate delle melodie più nascoste.
Alternando situazione di grande impatto sonoro,
definite da segni scultorei netti e pregnanti ed
altri di sublime rarefazione e riflessione, la
Uchid a ha trovato un nuovo
e profondo modo d'intendere Schubert, lontano da
quella discrezione e leggerezza spesso esaltata
da altri grandi interpreti. In lei maggiore
impeto e un'evidente volumetrica espressività si
esprime in un rapporto di dinamiche
assolutamente equilibrato se pur molto
contrastato nella diversa successione dei
movimenti. La bellezza del suono è elemento
essenziale nel modo di esprimersi dalla Uchida,
ma nello stesso tempo il controllo razionale
degli equilibri complessivi è altrettanto
importante per definire la bellezza e l'alto
valore musicale del mondo pianistico
schubertiano. L'impatto iniziale con l'Allegro
ma non troppo della Sonata in la minore
ha da subito definito la cifra decisa e
marcata dell'Uchida nei
movimenti laterali in netto contrasto con la
ricercata e pacata coloristica delle
semplici
note declinate nelle stupende armonie dell'Allegretto
quasi andantino centrale. Di estrema qualità
espressiva anche l'Allegro vivace dove le
decise e precise scale discendenti iniziali
danno l'avvio ad un articolato movimento ricco
di contrasti coloristici. La Sonata in do
maggiore D 840 denominata Reliquie ed
incompiuta, ha nei soli due movimenti,
Moderato ed Andante, un clima
completamente diverso: austero, rarefatto e di
profonda
meditazione.
Una discorsività dilatata quella voluta dalla
Uchida che si perde in una nebbia di grande
valore estetico. Dopo l'intervallo, la Sonata
in si bemolle maggiore D 960, capolavoro
assoluto della letteratura pianistica, ha
concluso l'impaginato previsto nella splendida
serata. L'eccellente equilibrio complessivo
della corposa ultima sonata è stato sostenuto
dall'Uchida con scelte più in linea con le
grandi tradizioni interpretative entrate nella
storia. Ottimamente equilibrato e normalmente
dilatato il Molto moderato iniziale
seguito da un Andante sostenuto di
struggente bellezza e di rara perfezione nella
lenta successione melodica. In netto contrasto i
due chiarissimi e perfetti movimenti conclusivi:
prima lo Scherzo, un Allegro vivace di
una scorrevolezza e delicatezza
disarmante e poi un
Allegro ma non troppo con quel Sol
campanello iniziale che introduce l'ultimo
movimento, un finale del mondo sonatistico schubertiano.
Bis capolavoro per l'Uchida con un Bach
stratosferico per chiarezza coloristica e
bellezza. Successo strepitoso per una grande
pianista. Da ricordare sempre.
6 marzo 2019 Cesare
Guzzardella
Ilya Gringolts e Peter Laul alle Serate
Musicali
Da parecchi anni il
violinista Ilya Gringolts è ospite regolare di
Serate Musicali. Ieri sera un impaginato
in parte ricercato, ha alternato musicisti noti
ad altri poco eseguiti. Prima Mozart e
Dvoràk
e poi un raro Korngold. La Sonata in la magg.
K.526 del salisburghese ha introdotto il
concerto. Un Mozart di grande equilibrio formale
che completò la sonata
ai
tempi del Don Giovanni, nel 1787, nella quale la
componente pianistica, resa con maestria e
morbida scorrevolezza dall' ottimo Peter Laul,
ha ruolo preponderante specie nel Molto
allegro
iniziale e nel Presto finale. Il
movimento centrale, l' Andante, è
dominato da momenti di grande espressività
emotiva degne del Mozart più profondo. Di
rilevanza estetica qui la parte violinistica
resa molto bene da Gringolts in ogni frangente.
La Sonatina in sol maggiore op.100 ci ha
portato ad un Dvoràk legato alla tradizione
popolare ceca. Ricca di semplici melodie variate
con andamenti di danza tipiche del mondo slavo,
la splendida sonata popolare in quattro
movimenti è stata resa con perfetta sintonia
d'intenti dai due validi strumentisti in un
equilibrio formale-espressivo perfettamente
unitario. Dopo l'intervallo la Sonata in sol
maggiore op.6 dell'austriaco Erich Wolfgang
Korngold ( 1897-1957) ha concluso il programma
ufficiale. Ricordiamo che Korngold, di origine
ebrea lasciò nel 1938 l'Europa per gli Stati
Uniti dove divenne celebre autore di colonne
sonore - vinse anche due Oscar-
e
valente compositore di opere liriche. La sua
Die tote Stadt verrà data a fine maggio al
Teatro alla Scala. La sua Sonata per violino e
pianoforte è un lavoro complesso, vario ed
eterogeneo, che partendo dal tardo romanticismo
ottocentesco trova riferimenti specie in Richard
Strauss per l'evoluzione armonica e
l'ampliamento dello tavolozza tonale. Composta
da un musicista precoce di soli quindici anni,
dopo un successo iniziale - anche perch è
dedicata ed eseguita dal mitico Artur Schnabel e
dal violinista Carl Flesch - la sonata è sparita
dalla circolazione. Anche per questo l'idea di
riportarla nelle sale da concerto è stata
certamente valida. Ottima l'esecuzione dei due
interpreti per un lavoro perfettamente
equilibrato nelle parti e con momenti di grande
virtuosismo reso con
chiara sintesi discorsiva sia da Gringolts che
da Laul. Bellissimo il bis concesso al termine
con un esemplare Stravinskij e il suo Scherzo
(1910). Da ricordare.
5 marzo 2019 Cesare
Guzzardella
Un importante
premio internazionale pianistico dedicato ad
Antonio Mormone
Milano in questi ultimi
decenni è stata sede di importanti concorsi o
premi internazionali pianistici. Tra questi
quelli dedicati a Dino Ciani e Umberto Micheli
hanno segnato maggiormente il bisogno di ricerca
di nuovi talenti del pianoforte. Dopo alcuni
anni di pausa sta per nascere un nuovo
importante premio internazionale pianistico,
quello dedicato ad un
personaggio
di spicco nell'organizzazione concertistica
milanese, mancato alcuni anni orsono, quale
Antonio Mormone. Questa mattina infatti, a
Palazzo Marino, in Sala Alessi, su iniziativa
della pianista e presidente della Fondazione La
Società dei Concerti, Enrica Ciccarelli Mormone
e alla presenza anche del Sindaco di Milano
Giuseppe Sala, dell'Assessore alla cultura
Filippo del Corno, del pianista e direttore
d'orchestra Matthieu Mantanus, del
Sovrintendente alla Scala Alexander Pereira, è
stato presentato il Premio Internazionale
Antonio Mormone. Come ha
esposto Enrica Ciccarelli di fronte al
numeroso pubblico intervenuto, il
Premio
attraverserà una prima
fase di selezione dove una prima giuria
selezionerà dieci tra i presumibili numerosi
pianisti partecipanti. Una seconda giuria,
diversa e più numerosa, valuterà i dieci
candidati ascoltandoli in performence pubbliche
che avverranno in più luoghi e
sale
da concerto della città.
Dopo
la seconda fase di selezione rimarranno solo tre
solisti, che dopo le esibizioni del 2 e 3 luglio
2020, tenute nella Sala Verdi del Conservatorio,
verranno ascoltati e valutati
dalla giuria finale presieduta dal
celebre pianista russo Evgeny Kissin e da altri
importanti musicisti quali Bruno Canino, Alexei
Volodin, Olga Kern, Paul Lewis, Menahem
Pressler, Ivan Fedele,
solo per citarne alcuni. I tre finalisti
parteciperanno poi alla serata conclusiva del 5
luglio al Teatro alla Scala. I premi saranno in
denaro, in ingaggi per concerti in Italia e
all'estero e una produzione discografica
importante. Come
ricordato dal
sovraintendente alla Scala Pereira, alla serata
finale i pianisti saranno accompagnati
dall'Orchestra dell'Accademia della Scala
diretta da un celebre direttore. Tra gli
interventi anche quello del Maestro Bruno
Canino, membro della giuria finale, e della
direttrice del Conservatorio milanese Cristina
Frosini. Da seguire con attenzione anche
attraverso il sito
www.antoniomormone.org
4 marzo 2019 Cesare
Guzzardella
I prossimi due
concerti al “Cantelli” di Novara
Venerdì 8 marzo (La chitarra)
e sabato 9 marzo (I concerti del sabato) si
terranno all'Auditorium Fratelli Olivieri alle
ore 21.00 i concerti con Leonardo De Marchi,
chitarra e chitarra decacorde e per La stagione
dei Concerti del Cantelli 2018/2019 sabato alle
ore 17.00 musiche di Mozart,Beethoven e Debussy
con Alberto Miodini, pianoforte e Ivan Rabaglia,
violino. Da non perdere.
3 marzo dalla redazione
Tre allievi del
“Cantelli” di Novara vincitori di un prestigioso
concorso internazionale
Non è certo la prima volta
che accade: da decenni infatti svariati allievi
del Conservatorio "G. Cantelli" di Novara si
sono affermati in rilevanti e prestigiosi
concorsi internazionali (pressoché in tutte le
discipline previste dagli ordinamenti). Ora è la
volta di ben tre chitarristi premiati in
occasione del III Concorso di chitarra “Gaetano
Marziali” indetto dall'Accademia musicale
Marziali di Seveso (MB) e svoltosi lo scorso 23
febbraio 2019, un vero e proprio en plein, una
vistosa tripletta come si direbbe in ambito
sportivo ( e si sa che suonare uono strumento è
anche una disciplina atletica) che inorgoglisce
il Conservatorio stesso ed il suo corpo
docente.Nella Categoria H dai 22 ai 25 anni
(ovvero la massima categoria) ecco i risultati
conseguiti dai 'nostri' tre allievi
(appartenenti alle due cattedre di chitarra del
Cantelli): Primo premio: FABIO BUSSOLA (triennio
seconda annualità) Secondo premio MARCO
CALZADUCCA (biennio prima annualità).Terzo
premio: MARGHERITA CHIESA (biennio seconda
annualità).
3 marzo dalla redazione
Il ‘900 al Conservatorio G.
Cantelli di Novara
Tutto incentrato sul ‘900
“storico” l’impaginato proposto dall’odierno
concerto pomeridiano del Conservatorio di
Novara, in una stagione che vede ormai il ‘tutto
esaurito’ della Sala Olivieri come regola, segno
di un diffuso e crescente consenso di pubblico
intorno ad una istituzione fondamentale della
vita musicale della città. Come di consuetudine,
il concerto era diviso in due parti nettamente
distinte: la prima vedeva l’esecuzione della
Sonata per violino e violoncello in la minore
M.73 di M. Ravel, affidata ad un duo russo
formato dalle due giovani sorelle Alfja e Alja
Bakjeva. La seconda parte era interamente
dedicata ad un quintetto di fiati, formato,
crediamo (non è stato distribuito un programma
di sala
con
notizie biografiche sugli esecutori e in giro
per il web non c’è molto sul loro conto) da
giovani promesse del Conservatorio novarese. Non
ce ne vogliano i giovani, bravissimi del
quintetto, ma il ‘pezzo forte’ del pomeriggio è
stata senz’altro la Sonata di Ravel, tra le
composizioni più singolari del grande
compositore francese, ricca com’è di dissonanze,
dovute soprattutto a bitonalità dei due
strumenti, a settime maggiori con risoluzione
armonica alla Webern, a modalismi che talora
sconfinavano nell’atonalità. Il tutto espresso
in un linguaggio asciutto, essenziale, che in
certi momenti poteva persino richiamare alla
mente certo Satie. Le due giovani interpreti
russe hanno dato di questo complesso gioiello
raveliano un’esecuzione davvero avvincente, a
cominciare dalla scelta di un suono scabro,
metallico, acidulo sugli acuti, con sfruttamento
eccellente delle dinamiche, sbalzate con
incisivo vigore chiaroscurale da entrambi gli
archi, ma, saggiamente, con una voce più
energica del violino e una più sommessa del
violoncello: è infatti il violino a dominare
gran parte di questa partitura, permettendo ad
Alfja Bakjeva di mettere in mostra un possesso
tecnico dello strumento di tutto rispetto: la
sua parte, ricca di salti di ottava, di
armonici, di strappate e accelerazioni
improvvise era tutt’altro che semplice, ma Alfja
se l’è cavata con una agilità di diteggiatura e
una precisione di fraseggio degne di
ammirazione. Ottima esecuzione, dunque ed
entusiastica ovazione del pubblico,
strameritata, per le due sorelle della lontana
Novosibirsk. Il quintetto di fiati, con Ilaria
Torricelli al flauto/ottavino, Kingsley Mandrino
all’oboe, Gabriele Mercandelli clarinetto,
Tommaso Ruspa corno e Marco Frigerio fagotto,
esordiva con la celebre Kleine Kammermusik op.
24 di P. Hindemith, che coincidenza vuole
composta nello stesso anno, il 1922, della
sonata di Ravel. Nello stile tipico del maturo
Hindemith, permette ai cinque fiati di dare voce
ad una vasta gamma di soluzioni musicali assai
varie, da certa grazia settecentesca a sonorità
tardoromantiche, in stimolante contrasto con
l’evidente influenza di Stravinsky e,
soprattutto nel ‘Vivacissimo’ finale, col
singhiozzante sincopato del jazz. Bravissimi i
cinque che hanno mostrato un’intesa e un
affiatamento di matura professionalità, a dare
voce ai diversi registri espressivi della
composizione, fornendone un’interpretazione
degna di encomio. Una bravura confermata nei due
successivi e ultimi pezzi in programma, i Trois
pièces brèves di Ibert, dalle geometrie limpide
d’impianto tonale e il meno interessante
Divertimento op.51 di Willy Hess, incline a
certi affettuosi toni bucolici, anch’esso
agganciato ferreamente al sistema tonale. Un
altro bel concerto di cui essere grati al
Conservatorio di Novara, in continua crescita di
qualità e intelligente fervore di attività.
2 marzo 2019 Bruno Busca
Prossimamente Sonig
Tchakerian e la Camerata Ducale Junior a
Vercelli
Sabato 9 marzo 2019 alle ore
21 presso la Basilica di Sant'Andrea di Vercelli
la Camerata Ducale Junior e Sonig Tchakerian,
maestro concertatore con Leonardo Taio, viola
solista terranno un concerto ad Ingresso libero.
Da non perdere
2 marzo dalla redazione
La Quinta di Mahler pe r
Chailly con due altre novità alla Scala
Dopo la splendida Terza
Sinfonia ascoltata lo scorso anno
e l'avvincente Sesta Sinfonia del
gennaio di quest'anno, è tornato Riccardo
Chailly alla direzione della Filarmonica della
Scala con un altro capolavoro di Gustav Mahler,
la Sinfonia n.5 in do diesis minore,
composta del 1902 a Maiernigg, sulle sponde del
lago Wörthersee di Carinzia, in Austria a
pochi
chilometri dal confine italiano. Probabilmente
la più celebre sinfonia mahleriana per via del
sempre atteso Adagietto posto come quarto
movimento e tanto amato da Luchino Visconti da
proporlo nel suo memorabile Morte a Venezia.
La Quinta, una delle sinfonie solo strumentali
di Mahler, è stata preceduta da due prime
esecuzioni italiane, sempre di Mahler: Nicht
zu schnell dal Quartetto con pianoforte in
la minore nell'orchestrazione di Colin Matthews
e Symphonisches Präludium nella
ricostruzione di Albrecht Gürsching. Entrambi i
lavori con temi melodici dai timbri scuri ed
ombreggiati, ben evidenziati e spesso ripetuti
-soprattutto nel primo
pregnante ed espressivo brano- nell' ottima
orchestrazione ben resa da Chailly e dai suoi
Filarmonici. Chiari i riferimenti saldamente
legati al tardo romanticismo di fine Ottocento.
Dopo il breve
intervallo la Quinta del compositore e direttore
austriaco ha trovato uno Chailly decisamente
all'altezza che ha evidenziato il giusto
equilibrio nei rapporti volumetrici, timbrici e
dinamici dei cinque movimenti che compongono la
sinfonia, eseguita con taglio netto e preciso
fin dalle prime note della bravissima tromba
solista. Il celebre
Adagietto, è sottotitolato in partitura
Sehr langsam ovvero Molto lento, ed è
affidato agli archi accompagnati da un
riconoscibile tappeto sonoro dell’arpa. Chailly,
di questo sublime
momento
musicale, ha scelto un'esecuzione relativamente
rapida, dalla durata di poco più di otto minuti
( 8.10), se pensiamo che mediamente altri grandi
direttori propongono o hanno proposto tempi
decisamente più lenti che vanno oltre i dieci,
undici o i "quasi e più" di dodici minuti di
Karajan e Bernstein. Chailly, assistente in
passato di Abbado, ha ridotto ancora di circa
trenta secondi la durata dell'Adagietto rispetto
a quella del compianto direttore milanese, con
una sintesi discorsiva probabilmente non
aderente al "Molto lento" richiesto, ma
certamente di avvincente equilibrio formale ed
espressivo. Un plauso a tutte le sezioni
orchestrali ricordando almeno la prima tromba e
il primo corno, ottoni chiarissimi e precisi.
Nella replica di ieri sera grande il successo di
pubblico e numerose le uscite sul palcoscenico
per Riccardo Chailly. Questa sera ultima
replica. Da non perdere.
2 marzo 2019 Cesare
Guzzardella
Prossimamente a Novara
Sabato 2 marzo 2019 alle ore
17, all'Auditorium Fratelli Olivieri per la
stagione dei Concerti del Cantelli 2018/2019
Quindicesimo concerto con Sperimentalismi in
Ravel e Kammermusik. Un programma per intero
intenzionalmente ‘sbilanciato’ sul Novecento,
quello del concerto odierno: con una prima parte
dedicata al sommo Ravel e volta
all’interpretazione di una delle sue pagine in
assoluto più avveniristiche; poi ecco una
seconda parte di natura cameristica che non
mancherà di affascinare e sedurre il nostro
fedele pubblico, con la varietà degli stili,
delle forme e della scrittura. Questo in
dettaglio il programma: Alfia Bakieva, violini
Aliya Bakieva, violoncello. M. Rave Sonata (Duo)
per violino e violoncello in la minore (M 73).
dalla redazione 1 marzo 2019
FEBBRAIO
2019
Il duo Faust-
Melnikov
per la Società del Quartetto
Un concerto all'insegna del
classicismo interpretativo quello ascoltato ieri
sera in Conservatorio dal duo formato dalla
violinista Isabelle Faust e dal pianista
Alexander Melnikov. Un duo per un "tutto
Beethoven"
che prevedeva tre Sonate per violino e
pianoforte: la N.4 in la minore op.23, la
N.5 in fa maggiore op.24 "Primavera" e la
N.10 in sol maggiore op.96. L'equilibrio
tra i due interpreti, nelle celebri sonate del
grande tedesco, spesso è orientato alla
prevalenza della parte pianistica, strumento che
Beethoven conosceva molto bene e prediligeva.
L'ottima Isabelle Faust ha trovato una linea
interpretativa molto interiore esprimendo
volumetrie sonore pacate in unione con un
pianoforte, per quanto contenuto nei volumi,
spesso più voluminoso. Non si discute
l'eccellenza di raffinatezza nell' esprimere
dettagli in sonorità raccolte che dalla prima
fila, dove avevo trovato un posto sentivo molto
bene, ma che probabilmente a distanza
risultavano poco percettibili. L'ottimo Melnikov
è pianista attento, scrupoloso e usa il pedale
benissimo per un tessuto melodico-armonico
asciutto e chiaro. Il timbro ricercato del bel
violino Stradivari "Bella Addormentata -1704"
della Faust in alcuni frangenti doveva
"osare di più" per far
emergere le timbriche sottili se pur raffinate.
Di spessore tutte tre le esecuzioni con alcuni
momenti finali di grintosa resa espressiva.
Successo di pubblico con fragorosi applausi e un
valido bis con ancora Beethoven e il finale
della Sonata op.12 n.3.
27 febbraio 2019 Cesare
Guzzardella
Yevgeny Sudbin per
Serate Musicali
Da molti anni il pianista
russo, di San Pietroburgo, Yevgeny Sudbin torna
in Conservatorio Come già riferito nell'ultima
recensione dell'ottobre del 2017, quando
impaginò un programma simile a
quello
ascoltato ieri sera,
come
spesso accade per questa generazione di
pianisti, l'attitudine al repertorio
novecentesco, con ottime rese interpretative,
supera le pur valide esecuzioni riferite a
periodi più lontani, dove il raffronto con
pianisti entrati nella storia risulta arduo.
Anche ieri infatti di fronte al programma
interessante ed articolato proposto per
Serate Musicali, con autori diversi quali
Scarlatti, Beethoven, Chopin, Camille
Saint-Saëns e Scriabin, è soprattutto con il
compositore russo che abbiamo trovato un
pianista adeguato, interessante e di alto
livello. Sia la Sonata n.5 in fa diesis
maggiore op.53 - già eseguita nel 2017- che
il Notturno per la mano sinistra op.9,
che la Mazurca op.25 n.3 sono risultati
di ottima
qualità.
La Sonata, un unico movimenti di circa dodici
minuti, di complessa difficoltà, è stata
affrontata
con
sicurezza, disinvoltura e precisione tecnica
infallibile. Splendido anche il Notturno per la
mano sinistra e la Mazurca che ha anticipato la
celebre Danse Macabre del compositore
francese, eseguita come ultimo brano del
programma ufficiale. Questa è stato rilevante
nella perfezione virtuosistica e nella resa
espressiva evidenziando ancora una volta le
qualità tecniche di alto livello di Sudbin che
supportano tutte le esecuzioni. Il bis concesso
con un terzo Scarlatti -
Sonata
K 466- come i primi due iniziali ( K 197
e K 455) è stato ben eseguito. Bene le
Sei Bagatelle op.126 di Beethoven e di
normale livello la Ballata n.3 di Chopin.
Lunghi applausi al termine.
26 febbraio 2019 Cesare
Guzzardella
Guido Rimonda la
Camerata Ducale prossimamente a Vercelli con il
duo Schiavo-Marchegiani
Sabato 2 marzo 2019 alle ore
21 presso il Teatro Civico di Vercelli
MASQUERADE. Protagonisti: Guido Rimonda, violino
solista e direttore e il Duo
Schiavo-Marchegiani, pianoforti. Orchestar
Camerata Ducale.
25 febbraio dalla redazione
La giovane pianista
Ludovica De Bernardo al Conservatorio Cantelli
di Novara
Oggi, sabato 23 febbraio,
abbiamo finalmente ascoltato dal vivo nella sala
Olivieri del Conservatorio G. Cantelli di
Novara,una giovane pianista napoletana, ma con
studi al Bonporti di Trento, di cui si comincia
a dire un gran bene, in particolare da quando ha
vinto il Concorso internazionale Martucci,
proprio qui a Novara: stiamo parlando di
Ludovica De Bernardo, che, nella seconda parte
del concerto, si è esibita nella Toccata in Sol
Maggiore BWV 916 di J.S. Bach e nella Sonata per
pianoforte n. 2 in sol minore op. 22 di R.
Schumann. In effetti l’ascolto non ha smentito
la fama: la De Bernardo è pianista di alta
perizia tecnica e ormai maturo dominio della
tastiera. Il suo suono unisce solida e lucida
quadratura del fraseggio e morbidezza raffinata
di tocco, di cui ha dato prova già nel primo
tempo della sonata schumanniana, in cui ha
ottimamente eseguito il vorticoso, febbrile So
rasch wie moglich Iil più Presto possibile), non
perdendosi
una nota, con una energia che aveva del
precipitoso (lo diciamo in senso positivo), ma
ha anche dato il colore giusto ai due brevi
momenti lirici del secondo tema, suonato con una
vibrazione patetica appena soffusa e
delicatamente fraseggiata. Ma il movimento più
difficile, non tanto dal punto di vista tecnico,
quanto interpretativo è il secondo, l’Andantino,
in cui il pianista è chiamato al miracolo di una
sintesi tra due opposti: la densità della
strumentazione e la trasparenza del disegno
melodico. Anche da questo banco di prova , la
brava pianista napoletana esce in modo
convincente, forse con tempi un po’ troppo
veloci, ma con buon controllo delle dinamiche e
degli snodi armonici della partitura. Della
Toccata bachiana, che aveva preceduto il
capolavoro schumanniano , la De Bernardo ci è
piaciuta soprattutto nella fuga finale, meno
nell’aggraziato Adagio centrale , la cui
delicatezza in stile prettamente italiano ci è
parsa un po’ oscurata dalla austera quadratura
del fraseggio. Comunque siamo di fronte a una
pianista che ha tutti numeri per raggiungere i
più prestigiosi traguardi: glielo auguriamo di
cuore. La prima parte del concerto vedeva
protagonisti due promettenti virgulti del
Conservatorio di Novara, il flautista Tommaso
Carzaniga e in funzione di accompagnatrice la
pianista Cecilia Apostolo, un altro bel frutto
di quella fucina di talentuosi giovani che è la
classe di Luca Schieppati, che abbiamo
riconosciuto tra i presenti al concerto. Il
pezzo più significativo dei tre proposti in
questa parte del concerto era senz’altro la
Sonata per Flauto e pianoforte di Ervin
Schuloff, il più famoso tra i numerosi
compositori di origine ebraica che caddero
vittima della follia nazista: composta nel 1927,
si caratterizza per uno stile che, non
disdegnando la politonalità, mescola spunti
jazzistici e di musica popolare: pezzo
delizioso, che ha i suoi vertici nel secondo
movimento, uno Scherzo dal ritmo simpaticamente
sghembo, col pianoforte che sembra rincorrere,
senza mai raggiungerlo, il flauto, e l’Adagio,
un’aria che sembra evocare, con struggente
malinconia un so che di remoto e misterioso. Un
bravo deciso ai due interpreti: Carzaniga è
flautista dotato, di ottima tecnica nella
gestione del fiato, dal suono di bel colore,
delicato e morbido. Ottima partner alla tastiera
la Apostolo, che nel primo tempo ha un ruolo di
quasi protagonista, con una sorta di moto
perpetuo pianistico, eseguito con bel suono,
sgranato da un tocco sempre preciso ed energico.
Meno significativi, dal punto di vista estetico
e storico-musicale, s’intende, non certo da
quello ‘tecnico, gli altri due pezzi proposti:
la Fantasia per flauto e pianoforte del
compositore francese del primo ‘900 G. Hue, un
libero alternarsi di passi di un melodismo tardo
romantico e altri di più spigliato e scherzoso
brio, e i Tre pezzi per flauto solo di un altro
francese P. O. Ferroud , contemporaneo di Hue,
anche lui legato a soluzioni riconducibili ad un
linguaggio tardo ottocentesco. Un bel concerto,
quello proposto dal Cantelli, che si conferma
sempre più punto di riferimento importante per
la Novara dei musicofili e, soprattutto, ottima
scuola nella preparazione dei giovani desiderosi
di percorrere quella che oggi è la strada assai
impervia di una carriera musicale.
23 febbraio 2019 Bruno Busca
A Vercelli
Filippo gamba prosegue la sua integrale delle
sonate pianistiche di Beethoven
“Qui tocca anche a noi poveri
la nostra parte di ricchezza”.
Questo verso di Montale ci tornava alla mente
uscendo ieri sera, 22/02 dal Teatro Civico di
Vercelli, dopo aver ascoltato il concerto del
pianista Filippo Gamba, impegnato da un paio di
stagioni a eseguire quel monumento ‘aere
perennius’ della musica di ogni tempo che sono
le trentadue sonate per pianoforte di Beethoven.
A noi “poveri” abitanti fra le risaie e i campi
tra Vercelli e Novara, per ascoltare buona
musica non è sempre necessario andare a Milano o
Torino: il “qui” montaliano è per noi non la
costa delle Cinque terre, ma Vercelli, da dove
s’irradia, tra gennaio e maggio, due volte al
mese, la luce di una musica di qualità, spesso
altissima, proposta con intelligente
programmazione, e scelte raffinate dal Festival
Viotti, organizzato dalla Camerata Ducale di
Guido. Rimonda e Cristina Canziani. Ieri era il
turno della serata cameristica, con
protagonista, appunto, il pianista veronese
Filippo Gamba, giunto, se non facciamo male i
conti, al suo terzo appuntamento con l’integrale
delle sonate
beethoveniane.
Per l’occasione l’impaginato prevedeva un
trittico di composizioni che si pongono al
vertice del c.d. ‘secondo stile’ del grande di
Bonn, tra 1803 e 1805: due celeberrime, la
Waldstein-Aurora op.53 in Do maggiore e
l?Appassionata op.57 in fa minore. La terza,
l’op.54 in Fa maggiore è un gioiello che,
stilisticamente lontano, almeno in apparenza,
dalle due precedenti, decisamente ‘strana’,
nella struttura, non gode della popolarità delle
due sorelle maggiori, per quanto, ci assicura il
come sempre impeccabile programma di sala a
firma di Attilio Piovano, amata da grandi
interpreti come Cortot. Intelligentemente,
alterando l’ordine cronologico di composizione e
la serie dei numeri d’opus, Gamba ha eseguito
per prima la sonata op. 54, proprio, pensiamo, a
sottolinearne l’enigmatica estraneità al clima
musicale che domina le altre due composizioni.
Di breve durata, in soli due tempi, si apre. del
tutto inusualmente con un Minuetto di
incomparabile grazia rococò e si chiude con un
‘moto perpetuum’ di impianto toccatistico.
Particolarmente singolare è il Trio del
minuetto, una specie di canone su ottave e
seste, che giustamente Rattalino definisce
ironico, quasi una parodia di un esercizio per
lo studio del pianoforte. Ora, come interpretare
questa composizione? Nella breve intervista
concessa ad Attilio Piovano prima di sedersi al
pianoforte, Gamba definisce questa sonata una
sorta di sintesi tra l’op. 53 e l’op 57. Il suo
tocco, asciutto e distillato con
pensoso
rigore, disegna l’amabile grazia del Minuetto
con limpidezza, ‘asciugando’ l’ornamentazione,
alla Carl Philipp Emanuel Bach, cioè l’essenza
del rococò, con cui si ripropone il minuetto ad
ogni sua ripetizione. Il secondo tempo, come ci
ricorda Rosen, reca sulla partitura
l’indicazione “dolce” per entrambe le mani:
Gamba privilegia piuttosto una lettura di questo
tempo come una sorta di anticipazione
sperimentale del terzo tempo dell’op.57,
pertanto l’espressività sentimentale richiesta
dall’autore si avverte poco e ne risulta un
pezzo un po’ algido. . In compenso, la
precisione e lucidità di tocco dell’interprete
puntano molto e con sicura efficacia sui
contrasti dinamici e tematici che innervano
sottilmente questo singolare tempo, soprattutto
nello sviluppo, ricco di cromatismi dei due
primi temi. Noi, come donna Prassede, siamo
affezionati alle nostre idee e ci piace vedere
in quest’op 54 una sorta di addio, un po’
affettuoso, un po’ ironico, di Beethoven a un
mondo musicale. Quello del’700 rococò, da cui la
sua musica si era congedata per sempre, aprendo
strade rivoluzionarie. Gamba, e i più sono con
lui, vede piuttosto in quest’opera una linea di
continuità sperimentale con i capolavori del
secondo stile e ne ha offerto un’interpretazione
perfettamente coerente, cui non possiamo che
inchinarci. Decisamente bella l’esecuzione della
Waldstein, non solo per la perfezione con cui
Gamba cesella le note anche nelle zone di più
impervia scrittura virtuosistica, ma soprattutto
per il suono che riesce a ottenere con un uso
raffinato del pedale di risonanza, che forse mai
prima Beethoven aveva scandagliato così a fondo
nelle sue risorse timbriche.: la misteriosa
sonorità dell’Adagio che introduce il Rondò
finale, ,l’”impressionismo” ante litteram di
alcune battute dello stesso rondò, soprattutto
il meraviglioso finale, come un suono remoto di
campane nella nebbia, sono state tra le cose più
belle che Gamba abbia donato ieri sera al suo
pubblico. Il suono asciutto fino all’austerità,
proprio di Gamba, lo mette poi nelle condizioni
ideali per interpretare al meglio l’attacco
dell’Appassionata, che sotto le dita del
pianista veronese si sente eseguito come sempre
dovrebbe: una sonorità che si affaccia dal
silenzio con discrezione, con un timbro quasi
secco, insomma un pianissimo che deve rasentare
i limiti della sobrietà assoluta e rendere
ancora più sorprendente e tragico l’esplodere
del seguente fortissimo. In generale, Gamba
propone un’Appassionata in cui l’indubbia
difficoltà tecnica non si fa mai gratuita
esibizione virtuosistica, ma è al servizio della
violenta passione che pervade questo capolavoro.
Se poi vogliamo indicare i dettagli che più ci
hanno colpito in questa esecuzione, per bellezza
e finezza interpretativa, segnaleremmo il finale
dell’Assai Allegro (Primo Tempo) con un
calibratissimo gioco di dinamiche della mano
sinistra sull’ottava bassa dal fortissimo al
diminuendo, accompagnato da tocchi di pedale che
lasciavano vibrare stupendamente il basso; e la
prima variazione dell’Adagio centrale, ove la
mano sinistra sul grave si scioglie in un
cantabile delicatissimo, dal perfetto legato,
mentre la destra suona note staccate, creando un
contrasto che rapisce i sensi. Trascinato dagli
applausi del numeroso pubblico presente, Gamba
ha concesso un bis: un Notturno di Chopin in Si
maggiore, eseguito con la consueta asciutta
sobrietà, senza alcuna concessione a
superficiali patetismi, di cui è troppo spesso
vittima il poeta polacco del pianoforte.
23 febbraio 2019 Bruno Busca
Jan Lisiecki alle
Serate Musicali
Da alcuni anni il pianista
canadese, di genitori polacchi, Jan Lisiecki
torna nel Conservatorio milanese impaginando
programmi nei quali la tradizione europea
dell'Ottocento e del primo Novecento è ben
rappresentata. Il programma di ieri prevedeva
Chopin, Schumann, Ravel e
Rachmaninov.
Del grande polacco una suddivisione in due
momenti musicali, iniziali e finali, ha reso
particolare la scaletta del concerto con i due
Notturni op.55 introduttivi e il
Notturno op.72 e lo Scherzo n.1 Op.20
eseguiti al termine del programma ufficiale.
Abbiamo ascoltato più volte Chopin negli
impaginati di Lisiecki in questi anni e debbo
dire che un salto di qualità si è rilevato
soprattutto nei Notturni, interpretati
con grande chiarezza espressiva e dosaggio delle
timbriche in andamenti molto riflessivi. Lo
Scherzo n.1 eseguito come ultimo brano, è
stato interessante per l'andamento del tema
iniziale - ripreso poi alla fine- eseguito con
incredibile rapidità nella chiara sintesi
discorsiva. Meno interessante, anche se ben
eseguito, lo Schumann dei Nachtstücke op.23,
quattro brani di rara esecuzione. Siamo rimasti
piacevolmente convinte di Ravel, con la resa
eccellente di Gaspard de la Nuit,
brano
ascoltato anche il giorno prima
dall'ottimo
Malofeev, ma reso ieri
sera con profonda e matura espressività.
Splendide le timbriche ottenute dalla tecnica
trascendentale del pianista che tra momenti di
flebile dosaggio e altri di voluminosa
esternazione sonora, ha rimarcato una tavolozza
coloristica varia e di esemplare nitore.
Certamente la cosa migliore della serata. Validi
i Cinq Morceaux de fantasie op.3 di
Sergei Rachmaninov specie nel Preludio in do
diesis minore e nel Pulcinella in fa
diesis minore, i brani più celebri della
raccolta. Di valore il pacato bis di
Mendelssohn, con Venetian gondola song op.19
n.6. Da ricordare.
22 febbraio 2019 Cesare
Guzzardella
Il giovane Alexander
Malofeev per la Società dei
Concerti
Per la prima volta a Milano
in Sala Verdi ma già recente interprete al
Teatro alla Scala diretto da Gergiev, il
pianista russo Alexander Malofeev, non ancora
diciottenne, ha impaginato un concerto
incredibilmente virtuosistico che in genere può
essere frequentato da pianisti con
molta esperienza
alle
spalle, cosa che a quell'età è raramente
possibile. Ma il coraggio dell'interprete,
unitamente alla sua fisicità di ragazzo, alto,
robusto e con grandi e forti mani, hanno
permesso d'affrontare prima un Beethoven maturo
come quello della Sonata op.57
"Appassionata", poi un Ravel estremo come
quello di Gaspar de la nuit, e, dopo
il breve intervallo, un difficile
Rachmaninov con la
Sonata n.2 op.36 , un
Čaikovskij
con Dumka op.59 ed infine, di ancor
maggiore virtuosismo e ridondanza, la Sonata
n.7 Op.83
di Sergej
Prokof'ev. Insomma, un programma dei Richter o
Gilels in età matura.
Siamo certamente rimasti meravigliati della
disinvoltura
di Alexander nel padroneggiare la tastiera senza
un attimo di tentennamento. La forza che ha
conferito al primo movimento dell'Appassionata,
ha da subito rilevato la sorprendente cifra
stilistica di un pianista con idee chiare, idee
che hanno bisogno certamente di riflessione e
maturazione, ma che nascondono ancora potenziali
elevati. Più che Beethoven, ben articolato e
chiaro nelle timbriche, che in Ravel, ricco di
energia ed equilibrio nelle parti ma mancante
forse di una più gentile sintesi discorsiva, ci
sono piaciuti i russi: dal complesso Rachmaninov
della Sonata n.2, passando per Dumka di
Čaikovskij
fino ad un musicista a mio avviso più
congeniale a Malofeev quale Prokof'ev, e quale
Prokof'ev!... quello dello stravolgente
Precipitato finale affrontato
dal giovane biondo
con maestria e potenza .
È
facile intravedere come l'enorme apporto tecnico
del pianista sia elemento determinante e
strutturale delle sue esecuzioni. I meno
volumetrici movimenti centrali delle Sonate, a
cominciare dall'Andante con moto dell'
Op.57 di Beethoven fino all'Andante
caloroso dell'
Op.83 di Prokov'ev abbisognano, a mio
avviso, di maggiore maturazione in ambito
riflessivo. Lo splendore dei bis concessi,
quattro per oltre venti minuti di musica in più,
di cui i primi tre
interiori e riflessivi, smentisce in parte
quanto detto: sono stati eseguiti ottimamente,
calibrando i pesi delle semplici note nei
diversi piani in modo mirabile. Sia in
Ottobre che in
Novembre da Le stagioni op.37 di
Čaikovskij ma anche nello strepitoso Andante
maestoso dallo Schiaccianoci
-
bellissima la
trascrizione di Pletnev-
Malofeev
ci ha convinto. Poi, nella percussiva celebre
Toccata di Prokof'ev, eseguita come ultimo
brano, ci ha fatto venir voglia di vederlo
presto di nuovo sul palcoscenico. Applausi
fragorosi ed abbondanti da un pubblico
entusiasta. Da
ricordare.
21 febbraio 2019 Cesare
Guzzardella
Due sinfonie di
Beethoven al Teatro Coccia di Novara
Ieri sera , 19/02, al Teatro
Coccia di Novara, nell’ambito della stagione
sinfonica 2019, è stata proposta ai musicofili
della città una serata interamente dedicata a
Beethoven: due sinfonie, la prima in Do maggiore
op.21 e la settima in La maggiore op.92. Sul
podio Matteo Beltrami il giovane direttore
musicale del teatro novarese, che per la prima
volta, per lo meno a Novara, è salito sul podio
per dirigere non un’opera, ma musica sinfonica.
L’orchestra affidatagli era quella, ottima, dei
Virtuosi italiani, in residence a Venezia, con
trent’anni esatti di esperienza in gran parte
delle più prestigiose sale da concerto d’Italia
e d’Europa. Curiosamente, I Virtuosi italiani
non hanno un loro direttore stabile, ma ne fa le
veci il konzertmeister Alberto Martini, che
parrebbe godere di un’autentica venerazione da
parte degli altri professori d’orchestra:
quando, alla fine del concerto, Beltrami, come
d’uso, ha invitato tutti gli orchestrali ad
alzarsi, questi sono rimasti immobili ai loro
posti, in quanto il direttore aveva commesso ai
loro occhi un’imperdonabile dimenticanza, non
avendo stretto la mano al loro konzertmeister.
Resosi conto della gaffe, Beltrami lo ha
abbracciato con effusione e solo
allora
l’orchestra si è alzata…Prima di entrare nel
merito del concerto, citiamo un altro fatto
curioso che caratterizza questa stagione
sinfonica del Coccia: il concerto è preceduto
dall’intervento di una personalità del mondo del
giornalismo e della cultura, in genere di chiara
fama, che “introduce” la serata musicale con una
concione che più o meno dovrebbe avere qualcosa
a che fare con le composizioni proposte dal
programma. Ieri sera è toccato al noto
giornalista della carta stampata e della tv
Gianluigi Nuzzi, autore una decina d’anni fa di
un libello che fece rumore, “Vaticano spa”.
Costui, partendo dal labilissimo pretesto della
passione dell’ex papa Benedetto XVI per la
musica e il pianoforte, ha intrattenuto il
pubblico con considerazioni varie sulla
situazione attuale del Vaticano, sulla figura di
Ratzinger , papa Francesco etc.etc. La domanda
che poniamo ai responsabili del Coccia è: non si
potrebbero evitare questi interventi, che nulla
hanno a che vedere con una serata musicale?
Passiamo senz’altro al concerto. Le due sinfonie
eseguite ieri sera si inseriscono in un
interessante “progetto Beethoven” che si propone
di ricostruire il percorso musicale del grande
compositore tedesco attraverso una serie di sue
opere sinfoniche e concertistiche. La due
sinfonie di ieri costituivano già un esempio di
due stagioni molto diverse e dunque di due stili
molto diversi del grande di Bonn. La prima
sinfonia è ancora sotto la marcata influenza del
linguaggio mozartiano-haydniano, ma già spiccano
i primi, inconfondibili tratti del Beethoven
maturo, in particolare nella vigorosa energia
del terzo tempo, ormai “Menuetto” più di nome
che di fatto. E qui entra in scena
l’interpretazione di Beltrami. Il direttore
genovese ha dimostrato una notevole duttilità
interpretativa nel valorizzare le diverse
sfaccettature di questa sinfonia beethoveniana
d’esordio, dando pieno risalto ai momenti
settecenteschi della partitura con uno stacco
dei tempi e una gestione delle dinamiche
improntata ad una sottile grazia e
‘leggerezza’di grande suggestione, che
conferivano maggior risalto ai ritmi potenti del
Menuetto. Soprattutto, emergeva già
dall’esecuzione di questo primo brano la cura
meticolosa del colore, dei piani timbrici, che
trovava perfetta risposta negli ottimi fiati,
soprattutto i legni, dei Virtuosi. Ovviamente,
il pezzo forte in programma era la settima.
Anche di fronte a questo capolavoro assoluto,
Beltrami ha mostrato notevoli qualità
direttoriali. Qui vogliamo sottolineare in
particolare il colore con cui ha interpretato il
celeberrimo Allegretto, un colore tutto
particolare, diremmo elegiaco-funebre, che ha
toccato vertici di toccante commozione. Un
ottimo concerto, insomma, con un bravo direttore
e una validissima compagine orchestrale. Grandi
applausi per tutti dal non numeroso pubblico
presente e un bis, l’ultimo tempo della settima.
Serata da ricordare.
20 febbraio 2019 Bruno Busca
Benedetto Lupo per la
Società del Quartetto
Il pianista pugliese
Benedetto Lupo ha tenuto un recital
pianistico in Sala Verdi impaginando un
programma di matrice romantica con Schumann e
Čaikovskij. Le note Kinderszenen op.15
hanno
introdotto
il concerto seguite dall'altrettanto celebre
Kreisleriana op.16. Dopo l'intervallo una
sonata splendida ma di raro ascolto come la
Grande sonata in sol maggiore op.37 del
russo ha concluso il programma ufficiale.
È certamente un ottimo pianista
Lupo, noto anche come didatta (tra gli
importanti allieve anche Beatrice Rana). Ci è
apparso non appariscente ma intimo in Schumann
con sonorità introspettive espresse con
dinamiche non voluminose ma sottili. Il suo
Schumann nelle Kinderszenen
è particolarmente vellutato ed abbastanza
contrastato nella sequenza dei brevi tredici
brani. Più coinvolgente la Kreisleriana
ma
sempre
in un contesto di introversa espressività. Con
la Grande sonata op.37 del grande russo,
Lupo, a nostro avviso, ha dato il meglio
rivelando una maggiore positiva estroversione
nelle sonorità dei
quattro
movimenti che la compongono. Splendido
l'equilibrio complessivo e lo stile dal sapore
improvvisatorio e corretta la scelta dei tempi
con un Finale. Allegro vivace di grande
impatto sonoro e timbrico. Interpretazione di
alto livello. Bellissimi i due bis concessi con
Dicembre dalle
Stagioni sempre di
Čaikovskij
e per ultimo ancora un bel Schumann con il primo
dei Pezzi fantastici op.12, A sera.
Grande successo di pubblico per un pianista
uscito più volte sul
palcoscenico visibilmente soddisfatto che
speriamo di tornare ad ascoltare presto. Da
ricordare.
20 febbraio 2019 Cesare
Guzzardella
Maxim Vengerov alle
Serate Musicali
del Conservatorio
Dopo il memorabile concerto
dello scorso anno al Teatro Dal Verme del 10
aprile, le Serate Musicali ieri sera
hanno riportato ancora una volta il celebre
violinista russo Maxim Vengerov su un
palcoscenico milanese, questa volta quello di
Sala Verdi in Conservatorio. Nel
duo lo scorso anno c'era
l'ottima
Polina Osetinskaya
mentre ieri al pianoforte abbiamo trovato
un altro rilevante pianista
franco-russo quale Roustem Saitkoulov in
un programma decisamente classico che prevedeva
nella prima parte Mozart e Schubert e
nella seconda, "tutto Brahms". Anche ieri il
posizionamento
del
violinista a fianco e
vicino al pianoforte ha sottolineato, come lo
scorso anno, il bisogno di estremo equilibrio
delle componenti timbriche dei due strumenti. Il
marcato classicismo del duo è emerso subito nel
brano introduttivo con la splendida Sonata in
si bem.maggiore K.454
del genio di Salisburgo. Misurate, discrete
ed eleganti, le timbriche dello Stradivari
Kreutzer del 1727 sono state completate con
altrettanta raffinatezza dai suoni puliti e
dettagliati del pianoforte Steinway di
Saitkoulov. Esecuzione ricca di contrasti
dinamici quella mozartiana come quella
successiva di Franz Schubert
nella
sublime Fantasia in do maggiore D.934,
lavoro di grande equilibrio formale
caratterizzato da una serie di splendide
variazioni nella parte conclusiva sostenute
prevalentemente dal pianoforte e rimarcate con
efficace resa dal violino. Un capolavoro di
equilibrio e unità stilistica tipica del genio
viennese. Nella seconda parte della serata il
contrasto stilistico del "tutto Brahms" è
iniziato con il celebre Scherzo in do minore
della nota Sonata F.A.E. composta
in età giovanile insieme a Robert
Schumann e ad Albert Dietrich.
Lo stile tipicamente brahmsiano di questo
Scherzo è stato rimarcato con incisività dal
robusto e voluminoso violino di Vengerov in un
equilibrio formale incisivo ma con volumetrie
non
eccessive
anche nella fondamentale parte pianistica. A
seguire la Sonata n.2 in la maggiore op.100
ha completato il ciclo iniziato nel concerto
dell'aprile 2018. Ottima l'esecuzione
dell'eccellente duo. Tre Danze ungheresi,
i numeri 1, 2 e 5, hanno concluso
e sottolineato virtuosisticamente il programma
ufficiale della serata tra applausi fragorosi e
ripetuti per ogni danza. Due i bis concessi da
Vangerov e Saitkoulov: prima l' Andante,
movimento centrale della rara ma eccellente
Sonata in re minore op.82 di Edward Elgar e
quindi il celebre Blues, Moderato dalla
Sonata in Sol di Maurice Ravel,
capolavoro di sintesi discorsiva che risente
l'influenza d'oltre oceano. Entrambi i brani
sono stati interpretati con sorprendente
eleganza e raffinatezza in uno stile unitario e
complementare dai due interpreti. Applausi
fragorosi. Da ricordare.
19 febbraio 2019
Cesare Guzzardella
Il DUO IANUS in
Conservatorio
Sono risultati vincitori del
Premio del Conservatorio 2018 nella sezione
cameristica Simone Moschitz
e
Antonio Losa rispettivamente sassofonista e
pianista del Duo Ianus. Per Musica
Maestri! abbiamo riascoltato in Sala Puccini
Moschitz in un programma splendido ieri nel
tardo pomeriggio, in compagnia dell'ottimo
pianista Losa. Il Duo ha eseguito brani di
Desenclos, Fitkin, Yoshimatsu, Albright e
Piazzolla. Simone Moschitz ha dimostrato ancora
una volta di essere
particolarmente
versatile e di eccellere in ogni frangente con
colori morbidi ed espressivi in alternanza a
momenti pungenti e pregnanti . I brani scritti
benissimo e definiti nei particolari in
partitura hanno sapori jazz di grande impatto
timbrico. Le volumetrie espresse dai corposi
sassofoni usati, unitamente alle timbriche
precise e dettagliate del chiarissimo pianoforte
di Losa sono state utili per una resa espressiva
ottimale. Tra i brani ricordiamo almeno il più
noto Fuzzy Bird di Yoshimatsu, Gate
di Graham Fitkin, il Prelude, cadence et
finale di Alfred Desenclos e la Sonata
di William Albright. Successo di pubblico in una
Sala Puccini stracolma. Bravissimi!
18 febbraio 2019
Cesare Guzzardella
Prossimamente all'
Auditorium Fratelli Olivieri di Novara
Giovedì 21 febbraio 2019 alle
ore 21 all'Auditorium Fratelli Olivieri "Il
mondo della chitarra 14° edizione" con Aniello
Desiderio alla chitarra . Il terzo appuntamento
per il cartellone de “Il mondo della chitarra”,
succulenta rassegna curata da Fabio Spruzzola,
Bruno Giuffredi e Luigi Biscaldi è giunta ormai
alla sua 14° edizione: un traguardo di tutto
rispetto. Aniello Desiderio, solista di vasta
esperienza e dal palmarès ricco di
riconoscimenti, propone un programma che mette a
confronto la Suite Española del seicentesco G.
Sanz (1640-1710) con quella novecentesca scritta
a più mani da I. Albeniz, M. Llobett, A. Ruiz
Pipó e D. Aguado. Si prosegue poi con il ‘900 di
De Falla (Homenaje pour le Tombeau de Debussy,
pagina celeberrima e timbricamente fascinosa),
quindi con l’Invocación y Danza di Rodrigo,
l’indimenticabile e geniale autore del Concierto
de Aranjuez; per finire il Rito del Los Orishas
del sudamericano Leo Brouwer.
dalla redazione 17 febbraio
2019
Le Nozze
di Figaro al Coccia di Novara
Il Teatro Coccia di Novara,
nel pieno di una crisi senza precedenti, tra
problemi finanziari e beghe insolubili in seno
al C.d A., che lo stanno portando verso un
commissariamento richiesto dal sindaco, risponde
a questa tempestosa situazione confermando di
disporre ancora di tutte le risorse per
programmare una stagione operistica di più che
dignitoso livello. E risponde con un
allestimento delle mozartiane Nozze di Figaro,
coprodotto della Fondazione Teatro Coccia e
della Fondazione Ravenna Festival, e la
partecipazione del Festival dei due mondi di
Spoleto. Abbiamo
assistito
alla ‘prima’ andata in scena ieri sera, venerdì
15 febbraio, cui seguirà una seconda
rappresentazione, domani, domenica 17 alle h.16.
La regia di queste Nozze era quella di Giorgio
Ferrara, ripresa per l’occasione da Patrizia
Frini. Si tratta di una regia che aderisce senza
strane invenzioni al testo e alla musica di
questo capolavoro, suggerendone
un’interpretazione sospesa fra teatralità e
sogno, ben realizzata dalla scenografia di Dante
Ferretti e Francesca Lo Schiavo: il
palcoscenico, dietro il sipario ‘vero’ esibiva
un vistoso e sontuoso sipario ‘finto’ a
sottolineare che quello cui gli
spettatori/ascoltatori stavano assistendo era
recita, teatro, rappresentazione di uno
spettacolo che è anche sogno, forse il sogno più
bello che l’uomo posa concepire, fatto di luci,
ombre, passioni destino, il tutto detto in
musica. Questo carattere onirico affiorava dalla
scenografia: elegante e sobria a un tempo ,che
riproduceva, nei primi tre atti, interni
settecenteschi come avvolti in un’aura di sogno,
rafforzata nel quarto atto, un ‘notturno’ in cui
i personaggi si muovevano come avvolti da
un’atmosfera magica e fantastica: insomma
l’arte, come la vita che vuole portare sulla
scena, è sogno. A eseguire la musica di queste
Nozze era chiamata la migliore orchestra
giovanile italiana del momento, la Cherubini di
Ravenna, mentre sul podio saliva, per la prima
volta a Novara, la giovane direttrice tedesca di
nascita Erina Yashima, ancora poco nota in
Italia, ma con una carriera in fulgida ascesa
nel suo Paese natale. Ha diretto bene, guidando
con sapienza i cantanti e ricavando
dall’orchestra un suono ‘leggero’, limpido, con
grande attenzione ai registri timbrici e alle
dinamiche, staccando tempi spesso abbastanza
lenti, traducendo bene in musica quel clima di
sospensione sognante che avvolgeva queste Nozze.
Il cast dei cantanti è stato in generale
all’altezza di uno spettacolo di buon livello.
Simone Del Savio, il giovane baritono interprete
del ruolo di Figaro, dispone di buona vocalità,
capace di ricordare Nucci, nell’intensità e
tornitura del fraseggio. Brillante nell’area
medio-bassa, sostiene bene messe di voce e fiati
lunghi anche nelle zone acute. Può (e deve)
migliorare il cantabile delle arie, che non
spiccano per intensità ‘lirica’.
Applauditissimo
dal pubblico da tutto esaurito di ieri sera, il
soprano milanese Lucrezia Drei, un’eccellente
Susanna. Già ascoltata recentemente a Novara, è
un ottimo soprano lirico-leggero di agilità, di
eccellenti colorature, davvero pregevoli nel
vibrato, con un bel fraseggio limpido e
battagliero che la fa emergere piacevolmente nei
numeri d’insieme. A queste virtù musicali, la
Drei aggiunge capacità attoriali non comuni, di
gaia e trascinante spavalderia, che te la rende
simpatica dal suo primo apparire sulla scena, di
cui è stata la vera instancabile animatrice.
Buone capacità attoriali ha esibito anche il
giovane baritono Vittorio Prato,un Almaviva dal
timbro chiaro e con un’emissione di voce di
buona proiezione e sempre ben controllata, resa
fluida dai limitati appoggi di petto, il che gli
consente un fraseggio sempre ben tornito ed
efficace. Non si può dire che bene anche di
Francesca Sassu, perfettamente a suo agio nel
ruolo della Contessa, soprano di ottima
vocalità, eccellente dizione, ricca nei timbri e
di rara sicurezza nei begli acuti, emessi con
una tecnica del filato sempre controllatissima :
il suo “ Porgi amor” è stato tra i migliori da
noi ascoltati di recente. Meno riuscita la
prestazione di Aurora Faggioli, un Cherubino con
qualche difficoltà di troppo nelle agilità e
talora stridulo negli acuti, dando l’impressione
di essere un mezzosoprano poco adatto alla
grazia della musica mozartiana. Valide, in
generale, le numerose parti di fianco, dalla
Marcellina di Isabel De Paoli, mezzosoprano
tecnicamente sicuro e di vocalità fresca e
limpida, al Bartolo di Ion Stancu, al Basilio Di
Jorge J. Morata, al Don Curzio di Riccardo
Benlodi, per finire con la Barbarina di Leonora
Tess, già buona Frasquita nella Carmen della
passata stagione del Coccia, dalla voce
sopranile bella squillante e di forte
proiezione. In generale, dunque, appaganti le
Nozze “celebrate” ieri sera al Coccia, un
auspicio per una rapida ed intelligente
soluzione dei problemi che affliggono questo
teatro, che merita di continuare a vivere e a
dare alla vita musicale piemontese, e non solo,
il suo apprezzabile contributo.
16 febbraio 2019
Bruno Busca
Aleksandar Madzar per la Società dei
Concerti
Il pianista serbo Aleksandar
Madzar viene da molti
anni in Conservatorio. Mi viene subito in mente
un eccellente " tutto Bach" di oltre due
ore ascoltato qualche anno fa nel quale Madzar
rivelava tutta
la
sua classicità espressiva.
Ora
con Mozart, Chopin e Ravel ha mostrato un'altra
angolazione del suo modo d'intendere la musica.
Quello che risalta immediatamente all'ascolto è
la chiarezza timbrica evidenziata in ogni
compositore eseguito. Il Mozart che ha
introdotto il concerto con l'Adagio in si
minore k.540, ci è apparso particolarmente
meditato e riflessivo e dilatato nella
ripetizione del tema, giocato su modalità
interpretative probabilmente lontane dal periodo
storico di riferimento ma comunque interessanti.
Siamo quindi arrivati
all'esecuzione
delle celebri Quattro Ballate di Chopin.
Come detto in passato, Madzar in Chopin mette in
rilievo una personale modalità interpretativa
giocata sulla bellezza del timbro calibrato e
preciso atto a sottolineare l'aspetto analitico,
elegante e raffinato della musica del polacco,
certamente differente dalle interpretazioni
entrate nella storia dove caratteristiche di
maggior sintesi discorsiva spesso sono elemento
essenziale. La seconda parte del concerto ci è
piaciuta maggiormente. Ravel con le deliziose
Miroirs e poi con La Valse, è stato
perfetto sotto ogni profilo. L'estremo
equilibrio dinamico di Madzar e i bellissimi
colori esternati hanno elevato questi
impareggiabili brani ad un livello decisamente
alto. L'equilibrio delle parti ha avuto un ruolo
determinante nella straordinaria resa
interpretativa. Lunghi applausi e stupendo il
bis concesso con una formidabile trascrizione di
Mikail Pletnev dell'Andante maestoso
dallo Schiaccianoci di
Čaikovskij
interpretato mirabilmente.
Fragorosi applausi al pianista apparso molto
soddisfatto.
Da
ricordare
14 febbraio 2019
Cesare
Guzzardella
Il duo Kavakos-Pace per la Società del
Quartetto
Da alcuni anni il violinista
greco Leonidas Kavakos ed il pianista riminese
Enrico Pace formano un duo di affermato
successo. Ieri sera in Conservarorio, un
impaginato particolarmente interessante ha
messo
insieme un brano celebre come la Sonata n.3
in Re minore op.108 di J. Brahms ad altri
tre di raro ascolto come la Petite suite n.1
e n.2 del greco Nikos Skalkottas (1904-1949)
e la Sonata n.3 in la minore op.25 del
rumeno George Enescu (1881-1955). Tutti lavori
legati ad
elementi
folcloristici di evidente influenza stilistica.
Dei due interpreti abbiamo sempre apprezzato
l'esemplare equilibrio di coppia nel gestire
questo genere cameristico. Ieri, ancora di più,
il preciso tocco del celebre violinista, mai
esagerato nei volumi sonori sempre tenuti sotto
controllo in un medio livello di forza, era
perfettamente in sintonia con lo stile composto,
chiaro e dettagliato di Pace, interprete
altrettanto
vario nelle dinamiche. I brani scelti, sia
Brahms che soprattutto quelli meno conosciuti,
erano perfetti per evidenziare l'equilibrio di
due strumenti utilizzati con pari importanza.
Non avevamo certo un violino accompagnato, ma un
apporto equilibrato con differenti timbriche in
un tutt'uno musicale. La celebre ultima sonata
brahmsiana ci è apparsa perfetta nei dettagli e
nell' equilibrio dei quattro movimenti che la
compone. Anche il celebre Presto agitato
finale molto dettagliato ed espressivo. Le due
Petite suite del greco Skalkottas - nato
a Calcide nell'isola di Eubea- ,eseguite in
ordine inverso, sono in realt à
brevi avvincenti Sonate che con modalità atonali
e dodecafoniche riflettono l'influenza del
principale suo maestro di composizione: Arnold
Schönberg. Traspare nell'equilibrio delle parti
una perfezione
formale
raffinata ed espressivamente di alto valore.
Certamente l'influenza della Seconda Scuola di
Vienna è mediata da elementi folclorici di
luoghi mediterranei e questi rendono più
immediata la comprensione dei due capolavori.
Splendido l'ultimo brano del programma
ufficiale: un brano di Enescu, compositore,
virtuoso di violino ma anche del pianoforte
trattato qui con raffinata maestria. La sonata è
costruita con momenti timbrici, discreti e
nascosti, di memorabile rilievo espressivo. I
due splendidi virtuosi hanno raggiunto in questa
esecuzione un alto traguardo interpretativo
ed il pubblico, con molti giovani in sala, ha
risposto tributando al termine interminabili
applausi. Due i bis concessi: prima, rimanendo
in tema, un bellissimo Bartok dalla Rapsodia
n.1 e poi - fuori dal contesto ma splendido-
un grande Beethoven con l'Adagio molto
espressivo dalla Sonata n.5 op.24.
Splendido concerto! Da ricordare a lungo.
13 febbraio 2019 Cesare
Guzzardella
Roman Lopatynskyi allo
Spazio Teatro 89
Lo Spazio Teatro 89 è luogo
di conoscenza di nuovi validi interpreti. Ieri
abbiamo avuto l'occasione di ascoltare il
pianista ucraino Roman Lopatynskyi, classe 1993,
con alle spalle la vittoria di numerosi concorsi
internazionali, un ottimo piazzamento al celebre
Concorso
F. Busoni
nel 2015 (Terzo classificato) e il recente Primo
premio al Concorso Internazionale
Luciano Luciani di
Cosenza.
Ha veramente impressionato la tecnica completa
espressa nell'interessante impaginato proposto
nel tardo pomeriggio di ieri in un programma
denominato Da Weimar a Parigi, via Mosca e
San Pietroburgo. Brani della prima metà del
Novecento con Stravinskij e i celebri Tre
Movimenti da Petruska
(1912), Prokof'ev con i cinque brani di
Sarcasmi op.17 (1912-1914), Paul Hindemith
con la rara Suite 1922 (1922) e la poco
nota ma importante compositrice sovietica
Galina
Ustvolskaya (1919-2006) e la sua Sonata n.2
(1949). Questo rilevante arco temporale è
stato anche inquadrato storicamente nel prezioso
intervento del sociologo-storico Giorgio Uberti
che in due brevi ma intensi momenti ha stimolato
il pubblico presente nel piccolo ed elegante
auditorium di via F.lli Zoia 89 con un escursus
storico-geografico di avvincente interesse.
Lopatynskyi ha mostrato una straordinaria
penetrazione musicale nel bellissimo e purtroppo
quasi mai eseguito Hindemith proposto come primo
brano. Le articolate dinamiche del complesso
ritmico
della
Suite 1922, in pratica una sonata in cinque
parti, sono emerse in modo preciso ed
estremamente chiaro dalle mani sicure del
giovane pianista. Anche nel lavoro successivo,
Sarcasmi di Prokof'ev il clima
particolarmente dinamico ed irrequieto
ha trovato un ottimo interprete che ha scavato
con intensa espressività il grande russo. La
sintonia con quel circoscritto periodo musicale
è continuato con la lettura
della
Sonata della Ustvolskaya, compositrice allieva
di
Šostakovic
e degna erede di simili cifre compositive. Con
un salto indietro nel
tempo,
il
1912 e con un grande e vario Stravinskij tra
neoclassicismo e nuovo secolo,
Lopatynskyi ha concluso degnamente il programma
ufficiale nella sua precisa sintesi discorsiva
degli infiniti momenti della suite. Dopo intensi
applausi del pubblico, purtroppo non numeroso ma
entusiasta, un brano distensivo come
il noto
Preludio in Si
minore di Bach-Siloti ha concluso
l'eccellente tardo pomeriggio musicale. Da
ricordare a lungo.
1 1 febbraio
2019
Cesare
Guzzardella
Guido e Giulia Rimonda in concerto a
Vercelli
Un vecchio adagio sostiene
che “il genio salta una generazione”: da padri
“grandi” nascono “piccoli” figli. Per fortuna
anche questa regola ammette le sue eccezioni e
una di queste è la famiglia Rimonda: Giulia, la
figlia di Guido, eccellente violinista nonché
fondatore e direttore dell’Orchestra Camerata
Ducale e della pianista e straordinaria
animatrice dell’Orchestra medesima Cristina
Canziani, a soli sedici anni non è più
solo‘figlia d’arte’, ma è artista del violino e
un’ artista che, se manterrà le promesse,
diverrà una delle migliori violiniste italiane
della sua generazione. Con un curriculum
di
studi di prim’ordine (è allieva di suo padre e
di Pavel Berman), Giulia Rimonda è stata
l’ammirata protagonista, ieri sera, 9/02, al
Teatro Civico di Vercelli, della terza serata
della stagione della Camerata Ducale: non è
stato certo questo il suo primo recital (ha
cominciato a suonare in pubblico a cinque
anni!), ma quello di ieri sera, e per la
difficoltà del pezzo eseguito e per
l’”ufficialità” della serata, ha segnato una
sorta di consacrazione definitiva di fronte al
grande pubblico. Il programma affidava a Giulia
Rimonda uno dei più celebri concerti per violino
e orchestra della storia della musica: quello di
Ciajkovskij. Celeberrimo, ma anche irto di
difficoltà tecniche, per la presenza di numerosi
passaggi di alto e temibile virtuosismo, che,
com’è noto, lo fecero giudicare ‘ineseguibile’ a
più di in solista dell’epoca. Il fatto che una
sedicenne decida di affrontare il pubblico con
un’opera simile è già prova di una virtù
indispensabile per la carriera che Giulia
Rimonda sta intraprendendo: il coraggio. Il
titolo della serata, ispirato a quello di uno
dei capolavori della narrativa russa, era “Padre
e figlia”: il padre-maestro sul podio, la figlia
nel ruolo di solista e si comincia subito
benissimo, coi tempi e le dinamiche giuste:
delicato e molto espressivo l’attacco
orchestrale, fremente il crescendo e infine
s’impone il violino. Fin da queste prime note si
riconoscono le qualità della giovanissima
interprete, che non si limita a eseguire la
partitura, ma cerca una ‘voce’, un ‘suono’
personale, che emerge chiaro all’apparire del
primo tema: un fraseggio incisivo, tornito con
una cavata non esteriormente brillante, ma
robusta e limpidamente disegnata, e al tempo
stesso, come del resto vuole la migliore
tradizione interpretativa, unita, in queste
prime battute, a un che di riservato e quasi
timoroso di dispiegarsi nel pieno canto
trionfale del Re maggiore. Già da un esordio
simile comprendiamo di trovarci di fronte a una
violinista che sa il fatto suo. Senza scendere
in una minuziosa analisi dei dettagli diremo di
altre due qualità dello stile interpretativo di
Giulia Rimonda che ci hanno sorpreso per la loro
precoce maturità in un’adolescente. Anzitutto la
sapiente gestione delle dinamiche,
particolarmente importante in un’opera come il
concerto per violino di Ciajkovskij, che è tutto
un saliscendi di fortissimi e di brusche
smorzature virate sul piano e il pianissimo, con
effetti chiaroscurali di potente suggestione:
banco di prova ne è soprattutto la sezione di
sviluppo del primo tempo, dove il Verné 1983
della Rimonda ha disegnato
in
modo diremmo perfetto quelle sottili trame di
luce e di ombra che ne sono il motivo
essenziale. La seconda osservazione riguarda il
possesso, anche in questo caso davvero
sorprendente, di una già notevole intensità
espressiva: ascoltando il canto dolente del
violino, che si leva al suo ingresso nella
Canzonetta centrale, si stentava a credere che a
eseguirlo fosse una giovane allieva di
conservatorio, per quella venatura di pathos
sottilmente malinconico che l’archetto
dell’interprete riusciva ad infondervi con
delicata sensibilità. Insomma,
un’interpretazione più che convincente e degna
di sincera ammirazione, sorretta da un possesso
già completo della tecnica violinistica, che ha
consentito a Giulia di superare le più impervie
pagine della partitura, con una disinvoltura che
traspariva dalla serenità concentrata e
imperturbabile del suo volto angelico; doppie
corde, armonici, colpi d’arco martellati e
picchettati in ritmi travolgenti, strappate
violente e rapinosi salti d’ottava, nulla
turbava la giovanissima interprete. Impeccabile
l’accompagnamento orchestrale con perfetti
sincronismi tra strumento solista e le varie
sezioni dell’orchestra (ove però ci è parso
talora un po’ debole il flauto). Alla fine del
concerto, uno tsunami di applausi del gran
pubblico presente in sala ha tributato il giusto
omaggio a Giulia Rimonda, che ha risposto con un
bis, la Sarabanda dalla Partita n. 2 per violino
solo di J. S. Bach. In vera serata di grazia, la
Camerata Ducale ha eseguito nella seconda parte
del concerto, un'altra composizione di
Ciajkovskij, La Suite dello Schiaccianoci: Si è
trattato di una bellissima esecuzione, guidata
da Rimonda (Guido) con leggerezza e grazia
mozartiane, capaci di ricreare quell’atmosfera
incantevole di favola che è la cifra della
meravigliosa musica per balletto del sommo
compositore russo. Raramente abbiamo ascoltato
numeri come la Danse de la Fée Dragée o la Danse
Arabe, suonate con così dolce leggerezza e lo
stesso fin troppo celebre Valzer dei fiori è
risuonato come trasfigurato da un’aerea levità,
in cui l’aspetto puramente “ballabile” che
rischia di renderlo volgarotto se prende il
sopravvento, si dissolveva nei lievi arabeschi
disegnati da una timbrica stupenda, con tutta la
sezione fiati in gran spolvero. I due bis
concessi dall’orchestra, il Pas de deux, sempre
dallo Schiaccianoci e la ripetizione del
Trepak-danza russa hanno coronato degnamente una
serata di musica destinata ad abitare a lungo la
casa dei nostri ricordi.
10 febbraio 2019 Bruno Busca
Il nuovo Concerto per
violino di Fabio Vacchi in Auditorium con
Nordio e Boccadoro
Il concerto ascoltato ieri
sera in Auditorium prevedeva oltre a due noti
lavori di Mendelssohn quali l'Ouverture
da Le Ebridi Op.26 e la Sinfonia n.3
Op.56 "Scozzese", il recente Concerto per
violino
del
compositore bolognese Fabio Vacchi. Il brano, da
alcuni mesi revisionato e ribattezzato col
titolo Natura naturans, era in prima
esecuzione italiana ma già eseguito
negli
ultimi mesi del 2018 a Budapest ed a New York.
Tre classici tempi hanno definito un lavoro dove
la componente solistica, sostenuta in modo
esemplare da Domenico Nordio, era
particolarmente presente e molto pregnante nel
marcato segno musicale. Il riferimento al
Concerto per violino di Berg, segnalato dallo
stesso Vacchi nelle note di sala, risulta
evidente in tutta l'atmosfera tardo-romantica ed
espressionista di cui il complesso brano è
impregnato. A mio avviso l'ottimo concerto di
Vacchi trasuda di un linguaggio personale che
riflette tutta l'evoluzione del genere
concertistico del secolo scorso, con una
componente
melodica ampliamente rimarcata ed evidenziata
dalle scultoree note di Nordio e dalle armonie
perfettamente sincronizzate degli ottimi
orchestrali della Sinfonica Verdi. Ottima la
direzione di Carlo Boccadoro che ha trovato pane
per i suoi denti nel contrastato brano dove la
componente più intensamente melodica dell'
Allegro moderato iniziale e soprattutto
dell' Andantino centrale, ha nel
terzo
ed ultimo movimento, Presto brillante,
motivi di contrasto ritmico e dinamico. Il
virtuosismo iniziale, sia orchestrale che
solistico, nella perfetta integrazione delle
componenti musicali, ha avuto timbriche chiare
ed espressive nel voluminoso violino di Nordio.
Nelle note finali il ritorno all'origine, con
una dilatazione musicale di maggior respiro
melodico, ha portato il lavoro in linea con le
prime battute. I riferimenti a certa musica
americana, con ritmiche particolarmente
coinvolgenti, sono risultati evidenti nel
movimento finale, in contrapposizione al mondo
più europeo- soprattutto germanico- dei primi
due. Grande successo al termine della riuscita
interpretazione con Fabio Vacchi e tutti i
protagonisti saliti più volte sul palcoscenico
dell'Auditorium. Domenica alle ore 16.00 si
replica. Da non perdere!
9 febbraio 2019 Cesare
Guzzardella
Prossimo appuntamento a
Vercelli
A Vercelli prossimamente il
secondo appuntamento della rassegna GREEN TIES
2019 avrà luogo domenica 10 febbraio 2019 alle
ore 11 presso la Sala Parlamentino, Palazzo
dell'Ovest Sesia a Vercelli. Cristian Lombardi
al flauto e Claudio Longobardi alla chitarra. In
programma musiche di Carulli, Piazzolla ecc.
8 febbraio 2019 dalla
redazione
Marianne Crebassa e Fazil Say
alla Scala
Dopo aver ascoltato il
pianista turco Fazil Say in Conservatorio
qualche sera prima, l'averlo potuto riascoltare
presso il Teatro alla Scala nel doppio ruolo di
accompagnatore del mezzosoprano Marianne
Crebassa e in brani solistici suoi e di autori
francesi ha reso ancor più importante la
conoscenza di questo compositore-interprete.
Domenica scorsa, (scusate il ritardo ma
l'influenza mi ha schiantato a letto) un
programma soprattutto francese ha unito le
ottime timbriche della
celebre
cantante di Montpellier alla sensibilità del
pianista che ha interpretato anche due suoi
lavori, il primo, in solitaria, la Sonata per
pianoforte op.52 denominata Gezi Park 2,
e il secondo con la rilevante e sostenuta voce
di Marienne, Gezi Park 3. Nella prima
parte della serata le Trois Mélodies di
Claude Debussy avevano introdotto il recital
mettendo in luce l'ottima timbrica della
Crebassa in sinergia con il pianismo di Say
molto adeguato al mondo francese di fine
Ottocento e di primo Novecento come già
recentemente detto. Bene la scelta di alternare
brani vocali con brani solo pianistici e valido
lo stacco col morbido e profondo Erik Satie del
quale Say ha eseguito le celebri Trois
Gnossiennes per poi incontrare sempre
autonomamente ancora Debussy con due Preludi
dal primo libro. Il rientro in scena della
Crebassa ci portava sul versante di Ravel con la
versione per voce e pianoforte di Shéhérezade
e di Vocalise-étude. Esecuzioni di
pregnante rilievo espressivo. Ancora vocali i
brani che si sono susseguiti prima con Fauré tra
cui Cygne sur l'eau e poi con il più raro
Henri
Duparc. La Sonata di Say, tre parti senza
interruzioni, ci ha mostrato ancora una volta
l'originale ed eclettico linguaggio di Say, che
come detto recentemente, accosta momenti di
melodicità tutti europei ad altri di intensa e
spesso tagliente espressività utilizzando la
tastiera in modo molto completo con effetti
amplificanti che rimandano a timbriche dai
sapori orchestrali. C'è una visione più ampia
nella musica di Say che spesso esce dalla sola
dimensione pianistica. Più intimo e decisamente
più "orientale" il suo brano Gezi Park 3
eseguito in modo deciso ed espressivo dalla
Crebassa. Questo lavoro uscendo dalle modalità
più gentili tipiche francesi ha trovato nella
strada mediterranea una ragione di rilevante
espressività estetica. Bravissimi i due e
fragorosi applausi con un bis di splendida
classicità: dalle Nozze di Figaro di
Mozart un sublime Voi che sapete. Da
ricordare!
2 febbraio 2019 Cesare
Guzzardella
Prossimamente
Padre e figlia
al Teatro Civico di Vercelli
Sabato
9 febbraio 2019 alle ore 21 presso il Teatro
Civico di Vercelli ci sarà il concerto
denominato PADRE E FIGLIA. Protagonisti:
Giulia Rimonda, violino solista, l'Orchestra
Camerata Ducale e il direttore Guido Rimonda. In
programma di Pëtr Il’i č
Čajkovskij Concerto per violino e orchestra op.
35 e Suite dallo Schiaccianoci op. 71a
2 febbraio 2019 dalla
redazione
GENNAIO 2019
Al Teatro Coccia di
Novara l' Orchestra del Conservatorio Cantelli
Ieri sera 30/01, sul
palcoscenico del Teatro Coccia di Novara, si
sono esibiti in concerto gli allievi del locale
Conservatorio, intitolato a uno dei più grandi
direttori d’orchestra italiani del ‘900, il
novarese Guido Cantelli, prematuramente
scomparso in un incidente aereo nell’ormai
lontano 1956. I giovani concertisti erano
guidati, di fronte al pubblico delle grandi
occasioni, dal loro docente preparatore, il
direttore orchestrale Nicola Paszkowski, che ha
proposto un programma impaginato su composizioni
di piacevole ascolto, ma tutt’altro che banali:
l’Ouverture del mozartiano Idomeneo re di Creta,
KV 366, il Concerto per violoncello e orchestra
in Do maggiore n.1 Hob VIIb:1 di F. J. Haydn, Le
creature di Prometeo op.43 di Beethoven e a
chiudere trionfalmente uno dei più celebri poemi
sinfonici lisztiani, Les Préludes. Graditissima
“ospite” la ventenne violoncellista romana Erica
Piccotti, solista nel concerto
haydniano.
Prima di commentare la serata, ci si consenta un
plauso sincero al Cantelli e ai suoi dirigenti e
docenti, per la lodevole iniziativa di educare i
loro giovani allievi, fin dagli studi di
Conservatorio, alla musica d’insieme, in
particolare a quella orchestrale, consentendo
loro un’esperienza di fondamentale importanza
per la loro formazione professionale e dunque
per il loro futuro. Dal concerto di ieri sera
siamo usciti con due convinzioni. La prima è che
questi giovani allievi del Cantelli sono ben
preparati, sia sotto il profilo della tecnica
individuale nel singolo specifico strumento, sia
nell’affiatamento in una formazione orchestrale.
Partita un po’ in sordina, con un Idomeneo dal
suono piuttosto piatto, cui sfuggivano le
complesse sfumature e la densità costruttiva di
questa non semplice partitura, sospesa sin
dall’inizio fra trionfale fanfara in Re maggiore
e dolente profilo motivico gravitante sul Sol
minore, la giovane orchestra, trascinata dalla
bravissima Piccotti, si è ripresa nel concerto
di Haydn, in cui i giovani del Cantelli hanno
dato ottima prova di sé: in particolare i i
fiati nel primo movimento, capaci di quelle
sfumature espressive che la partitura richiede e
gli archi nel terzo tempo, ove soprattutto i
primi violini hanno sfoggiato suono brillante e
ottime dinamiche, nel ritmo travolgente della
scrittura. I giovani maestri, sotto l’attenta
guida di un Paszkowsky dal gesto autorevole e
preciso nello stacco dei tempi e molto attento
all’evidenza timbrica dei piani sonori, hanno
dato il meglio anche nella composizione
beethoveniana e nel poema lisztiano,
efficacemente interpretato sia nelle sezioni più
solenni, sia in quelle di più disteso lirismo.
Qui si sono ben destreggiati gli ottoni, in
particolare i corni, dal bel suono romantico,
evocativo di misteriose, remote lontananze.
Certo, si tratta pur sempre di studenti, che
debbono ancora maturare pienamente sul piano
tecnico e interpretativo: qualche entrata non
sempre puntuale, un suono non sempre pulito
(specie tra gli ottoni gravi) si sono sentiti,
ma nel complesso i giovani del Cantelli hanno
offerto al pubblico una prova che definire
dignitosa è forse troppo poco. La seconda
convinzione, che è per noi anche una bella
scoperta, è che Erica Piccotti è già più di una
semplice promessa. Sotto le sue dita, le quattro
corde del violoncello Francesco Ruggeri 1692
hanno fornito un’eccellente interpretazione del
gioiello di Haydn: In possesso di una tecnica
già agguerrita, con cui domina disinvoltamente
passaggi difficili, come nei rapidissimi
spiccati del finale o nei vari salti di ottava,
brusche variazioni dinamiche e agogiche
disseminate nella partitura, la Piccotti si
distingue per un suono morbido e caldo, capace
di un intenso e coinvolgente lirismo nello
stupendo adagio centrale. Veramente brava, anche
nel bis: un pezzo molto bello per violoncello
solo del grande violoncellista e compositore
spagnolo del ‘900 Gaspar Cassadò. Dopo il bis
richiesto con insistenza da un pubblico
tripudiante (il finale de Les Préludes), la
giovane orchestra del Cantelli si è congedata,
con un arrivederci alla prossima esibizione il
20 maggio prossimo.
31 gennaio 2019 Bruno Busca
Lutto per la Società
del Quartetto
La
storica Società del Quartetto di Milano è in
lutto. L’avvocato Antonio Magnocavallo si è
spento Sabato 26 gennaio 2019, dopo una lunga
malattia combattuta con coraggio e tenacia.
Avrebbe compiuto 82 anni l’11 aprile. Presidente
della Società del Quartetto di Milano dal 2006,
nei decenni precedenti ne aveva retto le sorti
come vice presidente esecutivo. Ne era Socio fin
dall’infanzia. Aveva fatto parte del Consiglio
direttivo del Quartetto a partire dagli anni
Ottanta, significativi per la trasformazione del
Quartetto: Magnocavallo( foto di Vico Chamal) si
era battuto con tenacia e generosità per
riconquistare l’apertura della Società al
pubblico, non più ai soli Associati, in
continuità con i suoi originari scopi statutari
della fondazione nel 1864. “Il Quartetto” amava
sostenere “è un privilegio per tutti!” E’ del
2003 la fusione dei Concerti del Quartetto con
la Società del Quartetto che da allora è aperta
alla città. Il progetto di Antonio Magnocavallo
si era attuato.
26 gennaio 2019 dalla
redazione
Winterreise
coreografato da Angelin Preljocaj alla Scala
È stata un'eccellente idea
quella di Angelin Preljocaj di mettere in scena
i lieder di Franz Schubert
della celebre raccolta Winterreise in
questa nuova produzione scaligera. Il "doppio
spettacolo"',
quello
donato dal
basso-baritono
Thomas Tatzl e del pianista James Vaughan e
quello del Corpo di ballo del Teatro alla Scala,
ha rivelato un valore aggiunto dall'unione
musicale con le movenze intimiste e discrete
create ad hoc dal coreografo francese.
L'atmosfera cupa, non appariscente e con colori
uniformi molto vicini alla visione schubertiana
dei 24 lieder ha rivelato l'aspetto più nascosto
e sofferente della vita. Non per nulla l'ultimo
canto del ciclo, Der Leiermann - L'uomo
dell'organetto- con il lento schierarsi di tutti
i bravissimi 12 ballerini ( prime due foto di
Brescia-Amisano-Archivio Scala), riassume in
modo
perfetto il clima di profonda autenticità, con
tutti i dubbi e le domande senza risposta che
questo viaggio d'inverno vuole
evidenziare. Valida l' idea di fare entrare in
scena l'eccellente Thomas
Tatzl passando per il palcoscenico con il primo
celebre canto Gute Nacht sino a
raggiungere la sua postazione laterale e di
farlo tornare nel centro del palcoscenico
insieme ai danzatori a circa metà ciclo per poi
riprendere la sua posizione fissa. Quest'idea di
unione tra due forme d'arte, il canto e la danza
ha centrato l'obiettivo con uno spettacolo
raffinato che ha però bisogno di un pubblico,
come quello che ha assistito ieri sera in Scala,
disposto ad intraprendere un percorso
introspettivo. Un lavoro di straordinaria
autenticità quello di Preljocaj, nato
dall'ascolto delle impareggiabili note di
Schubert e dai mirabili testi di Wilhelm Müller.
Un plauso a tutti i ballerini: Albano, Vassallo,
Ballone, Di Clemente, Fiandra, Lunardi,
Montefiore, Agostino, Fagetti, Gavazzi, Messina,
Lepera, Risso. Assolutamente da vedere.
26 gennaio 2019 Cesare
Guzzardella
Monica Bacelli e il
Trio Metamorfosi prossimamente a Vercelli
Lunedì
28 gennaio 2019 alle ore 21 presso il TEATRO
CIVICO di Vercelli si terrà un concerto
protagonisti il Trio Metamorphosi e il
mezzosoprano Monica Bacelli. Verranno eseguiti
brani di Haydn e di Beethoven-
dalla redazione 25 gennaio
2019
Fazil Say per la
Società dei Concerti
E' da molti anni che il
pianista turco Fazil Say torna a Milano in
Conservatorio impaginando programmi variegati
nei quali la sua musica occupa uno spazio
preponderante. Say, anche compositore di
successo, è molto apprezzato nel suo paese
d'origine per le sue sonorità al confine
tra
oriente ed occidente. Ieri, tra Debussy e
Beethoven ha inserito nell'impaginato due suoi
lavori, uno di questi, Black Earth, è
oramai diventato un classico anche nelle sue
serate in Sala Verdi. Ha fatto bene Fazil ha
introdurre il concerto con sei Preludi di
Claude Debussy, musicista a lui congeniale per
sensibilità e per caratteristiche timbriche.
L'esecuzione dei Preludi è stata di
grande rilievo musicale. Say mostra di
riflettere su quello che sta eseguendo e questo
si riscontra anche osservando la sua gestualità
particolarmente accentuata, significativa e mai
gratuita. Le timbriche ottenute, da quelle più
delicate, molto presenti nel compositore
francese, a quelle più incisive, sono rilevate
da un sapiente uso delle pause spesso
evidenziate dal suo gesto a conclusione delle
frasi. Dopo i Preludi, tutti eccellenti nei
rapporti
dinamici,
l'inizio del suo primo brano ,Yürüen Kösk,
ha portato i numerosi ascoltatori di Sala Verdi
in un'atmosfera sonora simile, almeno nella
parte iniziale del brano. Il recente lavoro di
Fazil è un unico movimento articolato in più
sequenze contrastanti. Dalle situazioni più
melodiche ricche di riferimenti alla cultura
classica occidentale di primo Novecento - tutti
i francesi e anche gli chansonier- alla
tradizione folcloristica dei Bartòk o a certo
jazz per il ritmo e gli accenti che ad un certo
punto risultano contrastare le linee musicali
più intime. Ottimo lavoro! Il breve ma
significativo Black Earth lo conosciamo
bene, e sottolineamo
l'intelligente uso delle note più gravi con
effetto percussivo ottenuto toccando la tavola
armonica per un
risultato
timbrico complessivo di grande suggestione che
sottolinea la bella linea melodica
caratterizzante l'originale lavoro. Dopo
l'intervallo, Say ha affrontato con grande
personalizzazione una delle
pagine
più "evolute" di L.v.Beethoven, l'Op.106.
La Sonata in Si bem. Maggiore ha una
serie innumerevole d'interpretazioni entrate nella
storia e naturalmente nell'ascoltare la versione
del pianista quarantottenne di Ankara non
dobbiamo fare confronti impossibili, ma vedere
la sua visione di Beethoven mediata dalla sua
sensibilità di compositore. Quello che mi è
maggiormente piaciuto nella sua originale
reinvenzione è la coerenza legata al suo modo
d'intendere la musica, un divenire sonoro
trasformabile che è tipico dei
pianisti-compositori, quelli più creativi e meno
legati alla storia interpretativa. Due i bis
concessi: un eccellente Chopin con il celebre
Notturno in Do# minore postumo, splendido
anche perch é differente dal
consueto, ed il finale Rondò.Allegro
della Sonata Patetica di Beethoven eseguito con
energia e passione tutta "alla Say". Grande
musicalità per un grande artista!
24 gennaio 2019 Cesare
Guzzardella
Le percussioni di Simone Rubino per la
Società del Quartetto
Un concerto inconsueto ma
molto interessate quello di ieri sera in
Conservatorio organizzato dalla Società del
Quartetto. Sul palcoscenico di Sala Verdi il
percussionista torinese Simone Rubino ha
riempito il grande auditorio con ritmi frenetici
ma anche con soffici armonie da quattro diverse
postazioni
di strumenti a
percussione:
rullante, set percussivi, vibrafono, marimba e
un po' di elettronica si sono alternati per
l'esecuzione di brani di sei diversi compositori
tra i quali spiccano i più conosciuti Astor
Piazzolla con i celebri Libertango, Oblivion
e Verano Porteno eseguiti in lodevoli
trascrizioni per marimba, e il greco-francese
Iannis Xenakis, celebre compositore di musica
elettronica e concreta della seconda metà del
'900, con esperienze rilevanti nel mondo ritmico
percussivo. Suo il brano Rebond B per set
di percussioni magistralmente percosse dal
giovane interprete. Del
compositore
torinese Roberto Bocca, abbiamo ascoltato due
ottimi brani: Esegesi per vibrafono, sei
minuti col quale si avvicina al mondo del jazz,
genere che spesso utilizza il vibrafono sia per
i potenziali melodici che per quelli ritmici.
Rubino ne
ha
esaltato ogni potenzialità dinamica e ritmica.
Nel secondo brano Sintesi per percussioni
ed elettronica, il virtuosismo percussivo ha
alternato il vibrafono e la marimba in un lavoro
che ricorda certe sperimentazioni
del rock progressivo anni '70 alla Mike
Oldfield. Il concerto era iniziato con un brano
particolarmente ridondante ed efficace del
giapponese Maki Ishii con Thirteen drums
per set percussivo e nel corso del concerto due
interessanti lavori per solo rullante, il primo
di Alexej Gerassimez, Asventuras, e di
Wolfgang Reifeneder, Cross Over, hanno
esaltato le qualità percussive di questo
splendido percussionista che ha meritato al
termine tutti i fragorosi applausi ottenuti da
parte di un pubblico non numerosissimo ma
certamente intenditore. Particolarmente efficace
il bis gestuale concesso
nell'ambiente oscurato dove il corpo fermo di
Rubino e le sue mani muovevano lentamente e
velocemente una bacchetta colorata, rossa fluorescente
con movimenti sincroni alla musica concreta
preregistrata nobilitata da voci particolarmente
suggestive. Eccellente questa perfomance
che ha unito in modo intelligente il gesto con
il suono-rumore. Applausi sentiti e uscite
ripetute di Rubino con volto particolarmente
soddisfatto.
23 gennaio 2019 Cesare
Guzzardella
Chailly e la
Sesta
Sinfonia di Mahler alla
Scala
L'ultima replica scaligera
della Sesta Sinfonia di Gustav Mahler
ascoltata ieri sera ha avuto ancora
un
meritato successo di pubblico. La Filarmonica
della Scala e il suo direttore stabile Riccardo
Chailly hanno trovato il giusto equilibrio
espressivo in un lavoro, quello del compositore
boemo-austriaco, che fortunatamente abbonda
ancora di grandi direzioni ed esecuzioni in
tutto il mondo. La durata dell'interpretazione ,
88 minuti con le brevi pause - circa trenta
secondi tra i quattro movimenti - è nella media
delle durate più lunghe di questa monumentale
Sinfonia in la minore, composta per un
organico molto ampio, tipico delle grandi
orchestrazioni di fine Ottocento e primo
Novecento. Ci è piaciuto molto il taglio
interpretativo del direttore milanese, specie
nel celebre Allegro moderato finale ricco
di contrasti e
con
momenti qualitativi stravolgenti. Le sezioni
orchestrali - splendida quella delle percussioni
in generale- hanno trovato una valida intesa
anche se le timbriche emerse a volte un po'
secche- ma questo dipende anche dal palcoscenico
forse relativamente stretto per l'ampia
compagine orchestrale- hanno isolato
parzialmente i colori orchestrali delle sezioni
meno voluminose (archi) con contrasti non sempre
eccellenti. Qualche spigolatura del timbro -
primo corno- si è notata. Certamente di valore
l'interpretazione complessiva. Ricordiamo i
prossimi concerti di questa serie sinfonica con
una Nona di Bruckner prevista per il 13-14 e 17
febbraio per la direzione
di Dohnányi e una Quinta di Mahler per il 28
febbraio e 1-2 marzo sempre col Maestro Chailly.
Da ricordare.
20 gennaio
2019 Cesare Guzzardella
A Vercelli entra nel
vivo il 21° Viotti Festival
Dopo i sapidi aperitivi
prenatalizi, ieri sera, sabato 19/01,
nell’abituale sede del Teatro Civico ha avuto
ufficialmente inizio a Vercelli la stagione 2019
del Viotti Festival. E migliore inizio non
poteva esserci: a celebrare l’evento, dinanzi ad
un Civico vicino al tutto esaurito, quella vera
festa della Musica (sì: di quella con la
maiuscola!) che sono le composizioni di J. S.
Bach, a cominciare dai concerti, sintesi suprema
di geometrica razionalità e squisito gioco di
timbri, ritmi, linee melodiche:
un
mondo di ideale perfezione, calato nello stampo
storico del concerto grosso barocco.
Monograficamente bachiano, dunque, l’esordio del
Festival vercellese, impaginato su tre perle dei
quasi innumerevoli concerti di J. S. Bach: il
BWV 1044 in la minore per flauto, violino,
clavicembalo, archi e basso continuo, il BWV
1056 in fa minore per clavicembalo, archi e
basso continuo e infine quel capolavoro
originalissimo che è il quinto Concerto
Brandeburghese, il BWV 1050 in Re maggiore per
flauto, violino, clavicembalo, archi e basso
continuo. A eseguire il programma gli archi
della Camerata Ducale e tre solisti di grande
qualità e solida fama: Guido Rimonda al violino,
Massimo Mercelli al flauto e quel simpatico
hobbit della tastiera che è Ramin Bahrami al
pianoforte, in sostituzione del clavicembalo,
secondo una prassi ormai generalmente ammessa
(con qualche residuale resistenza). La
trasparenza del suono, la leggerezza dello stile
galante del miglior tardo-barocco, il fraseggio
nitido e al tempo stesso come sospinto da una
energia propulsiva incessante, l’eleganza
affettuosa del dialogo tra ripieno e concertino
e
dei solisti fra loro; queste le qualità del
mondo musicale evocato ieri sera a Vercelli, cui
sia gli archi della Ducale (sempre di ottimo
livello nel suono e nel fraseggio, nonostante i
frequenti cambiamenti nell’organico orchestrale:
ad ogni serata si vedono volti nuovi, in genere
giovani), sia i tre solisti hanno dato il loro
contributo: Rimonda con una cavata aggraziata e
dal fraseggio sempre perfettamente tornito e
limpido anche nei legati , Mercelli con il
timbro cristallino del suo flauto, che spruzzava
d’argento il fluido scorrere delle note, Bahrami
con un’infaticabile presenza dovuta al doppio
ruolo del clavicembalo/pianoforte nel BWV 1044 e
nel BWV 1050: basso continuo, ma anche un
rilievo strumentale inedito per i tempi, che ha
il suo culmine nella straordinaria, lunga
cadenza del primo tempo del BWV 1050. A questo
punto, qualche osservazione sullo stile
esecutivo di Bahrami s’impone: com’è noto il
Bach del maestro italo-iraniano ha molti devoti
cultori ( ed erano presenti in gran numero anche
ieri sera) e molti aspri detrattori. A noi di
Bahrami piace la cantabilità, il suono caldo e
leggero, tuttavia siamo disposti ad ammettere
che non tutto e sempre “funzioni” nelle
interpretazioni di Bahrami: la cadenza del BWV
1050 ascoltata ieri non ci ha convinti troppo:
il ritmo incalzante, unito ad un uso talora
eccessivo del pedale, ha creato un flusso
omogeneo e quasi indistinto, al limite della
confusione. Così, almeno, a noi è parso.
Comunque il pubblico è andato in visibilio,
ottenendo due bis: in ordine, il secondo e il
terzo tempo del BWV 1050. In generale un’altra
di una serie ormai lunga di bellissime serate di
musica che la Camerata Ducale ha donato al suo
numeroso e affezionato pubblico.
20 gennaio 2019 Bruno Busca
Prossimamente
all'Auditorium Fratelli Olivieri di Novara
Fulvio Luciani e Massimiliano Motterle
Domenica 27 gennaio 2019 alle
ore 17 all'Auditorium Fratelli Olivieri un
Concerto insolitamente di domenica per la
Giornata della Memoria per la stagione dei
Concerti del Cantelli 2018/2019. Decimo concerto
con l’esule Castelnuovo-Tedesco con
protagonisti: Fulvio Luciani, violino e
Massimiliano Motterle, pianoforte. Musiche di
Castelnuovo-Tedesco (incluse rielaborazioni da
Brahms e Chopin).
dalla redazione 20 gennaio
2019
Uto Ughi e I Filarmonici di Roma alle
Serate Musicali
Da anni lontani il violinista
bustocco Uto Ughi viene in Sala Verdi.
Ieri sera, accompagnato da I Filarmonici di
Roma ha impaginato un programma vario ma
tipico del suo più frequentato repertorio.
L'introduzione solo
orchestrale
de I Filarmonici, con Antiche Arie e Danze,
terza suite di Ottorino Respighi ha evidenziato
tutte le splendide q ualità
coloristiche di questa formazione cameristica,
qualità che sono tipiche del modo più italiano
d'espressione. Respighi, maestro
d'orchestrazione, ha concepito i movimenti di
questa Suite per un ritorno alla
tradizione antica della musica, con sequenze
melodiche mirabili per nitore espressivo. Col
Concerto per violino e orchestra BWV 1041 in la
min. di J.S.Bach è entrato in scena Ughi per
un'esecuzione valida in cui la perfetta
integrazione del violino con gli archi ha
migliorato l'esecuzione. Con Gaetano Pugnani e
il suo celebre Preludio e Allegro nella
trascrizione di Fritz Kreisler il violinista ha
giocato una delle sue carte vincenti. Il noto
brano di Pugnani, musicista vissuto
per tutta la seconda parte del '700, è altamente
melodico ed acquista in bellezza in questa
versione con orchestra d'archi. La seconda parte
del concerto, in crescendo qualitativamente, ha
visto inizialmente una rarità esecutiva come il
Concerto per violino e archi in re minore
di Mendelssohn. Il brano, in tre movimenti, è
nettamente meno eseguito dalla celebre
Op.64
ma certamente interessante e con momenti
topici come il delizioso Allegro finale
eseguito benissimo. Con
Pablo
De Sarasate il Maestro Ughi è tornato alla
classica riduzione strumentale dalla Carmen
di Bizet. De Sarasate con questa formidabile
trascrizione delle celebri arie d'opera ha
esaltato le qualità dello strumento ad arco e
Ughi ha sapientemente sottolineato
con speciale virtuosismo i dettagli del brano.
Il suo suono, altamente espressivo, ha trovato
momenti
di
lievi carenze d'intonazione che non hanno
comunque disturbato la sua classe interpretativa
resa tale dalla consolidata esperienza in questo
repertorio. Classe riconfermata nei numerosi
bis da lui concessi dopo i fragorosi
applausi tributati alla fine del programma
ufficiale. Prima uno splendido Astor Piazzolla
con il meraviglioso
Oblivion, quindi la classica e da lui
stra-eseguita Ridda dei folletti di
Bazzini ed infine, a luci completamente accese,
la melodica e profonda Humoresque di
Antonìn Dvoràk.
Grande successo con fragorosi e
meritati
applausi
e poi l'attesa
nel foyer per gli autografi sui Cd. Da
ricordare.
18 gennaio 2019
Cesare
Guzzardella
La musica russa di Olga Kern per la
Società dei Concerti
Da molti anni la pianista
russa, naturalizzata americana, Olga Kern è
ospite della Società dei Concerti ed è
come sempre attesa dal numeroso pubblico di
abbonati e non. Ieri sera un programma
interamente russo incentrato su Rachmaninov,
ma
con
altri
musicisti di contorno quali
Čaikovskij, Skrjabin, e nel fuori programma,
Liadov,
Mussorgsky, Prokof'ev, Balakirev, Rimsky-Korsakov,
ecc.,
ha messo in risalto il repertorio più
riuscito di questa bravissima e bella pianista.
La Kern cura molto sia l'estetica del linguaggio
musicale, ricco di virtuosismi sottolineati da
una solida e collaudata esperienza -specie nei
russi-, sia la sua estetica a dimostrazione
della quale il cambio dell'abito tra la prima e
la seconda parte del concerto è diventata cosa
attesa e gradita da tutti i fedeli ascoltatori.
Abiti sgargianti ma raffinati e splendidamente
indossati da un fisico alto e snello. Il primo,
color panna con inserti floreali neri a
contrasto, e il secondo: un bel rosso vermiglio
che ben si addice alla sua carnagione chiara. I
colori
dei
suoi abiti sono anche i colori della sua musica:
timbri forti, a volte viscerali, che trasudano
di intensità espressiva non disdegnando momenti
di pacato lirismo e di grazia. Ieri nel vario
programma dominato da Rachmaninov ma seguito da
una decina di brani di altri russi,
tra
programma e bis, la
bionda interprete
ha rivelato ancora una volta il suo pianismo
completamente interiorizzato, dalle
caratteristiche in apparenza improvvisatorie ma
legate in modo preciso alla notazione musicale.
La Kern è una pianista tout-court: vuole
divertirsi suonando e sente come il pubblico la
segue quando restituisce in modo intelligente e
funzionale la sua formidabile tecnica espressa
dalle sue forti e composte mani. Tra i numerosi
brani eseguiti segnaliamo certamente la
Sonata n.2 op.36 di Rachmaninov di intensa
espressività, i celebri Preludi Op.32 n. 5
e12 di estrema delicatezza, il Preludio
Op.23.n.5 cavallo di battaglia di grandi
pianisti ed eseguito con efficace grinta dalla
Kern, validi Cajkovskij con
Méditation op.72 n.5 e
gli Studi di Scriabin con l'Op.42 n.4 e 5;
di grande impatto sonoro Islamey, Fantasia
orientale di Balakirev. Notevoli i quattro
bis concessi con il delicato e incantevole
Music Box op.32
di Anatoly Liadov, il galoppante Gopak di
Mussorgsky-Rachmaninov, il
celeberrimo e rapidissimo Volo del calabrone
di Rimsky-Korsakov e lo Studio n.4 di
Prokofiev. Un concertone da ricordare.
17 gennaio 2019 Cesare
Guzzardella
L'Ottavo Concerto per
la Stagione dei Concerti del Cantelli a Novara
Sabato 19 gennaio 2019 alle
ore 17 presso l' Auditorium Fratelli Olivieri
per la stagione dei Concerti del Cantelli
2018/2019 si terrà l'Ottavo concerto con
Preziosismi cameristici e l’amalgama delle
percussioni. I protagonisti sono Benedetta
Ballardini, flauto, Sonia Candellone, pianoforte
e violoncello, Davide Broggini e Stefano
Ricchiuti, percussioni, Tiziana Ravetti, soprano
e Gigliola Granziera, pianoforte. Musiche di
Casella, Debussy, Dutilleux, Friedman, Samuels,
Knipple, Weill, Poulenc, Bernstein
17 gennaio dalla redazione.
Un quartetto musicale
inconsueto ed eccellente
Un programma diversificato e
valido quello offerto ieri sera in Conservatorio
da Alexander Lonquich et family. Sottotitolato "Convivium",
l'impaginato prevedeva brani di sei compositori
differenti, con un occhio di riguardo per il
'900 e una particolare
attenzione
per Igor Stravinskij di
cui abbiamo ascoltato, in posizione centrale nel
programma e con eccellente interpretazione, la
celebre Sagra della primavera nella
versione per pianoforte a quattro mani con,
oltre Lonquich, Cristina Barbuti. Il noto brano,
con la pianista nella parte sinistra/bassa della
tastira, era stato preceduto da una rarità
sempre del grande russo quale i Tre pezzi per
Quartetto d'archi nella versione anche
questa a quattro mani e ben eseguita dalla
coppia -anche nella vita- di pianisti. Altri due
strumenti erano in gioco nel concerto
organizzato da Serate Musicali: il flauto
di Irena Kavcic e il clarinetto di Tommaso
Lonquich. Due i lavori proposti di Claude
Debussy per clarinetto: il primo, Petite
Pièce per clarinetto, ha introdotto la
serata, quindi la
Prima
Rapsodia per clarinetto e pianoforte, con
padre e figlio in perfetta sintonia, ha concluso
le esecuzioni del celebre francese. Tommaso ha
da subito espresso ottime qualità musicali con
un dosaggio dinamico efficace e con colori
timbrici delicati ed espressivi. Il flauto è
entrato in gioco grazie a Camille Saint-Saëns e
alla sua Tarantella op.6, brano dal
sapore molto rossiniano, eseguito benissimo non
solo dalla flautista ma anche dai due Lonquich.
Irene Kavcic si è rilevata un'ottima interprete
pure nei lavori di André Jolivet
con
la Sonatina per flauto e clarinetto,
brano di mirabile virtuosismo, con Frank Martin
e la sua Ballade per flauto e pianoforte
e, a conclusione del programma ufficiale, con
una rarità contemporanea di certo Guillaume
Connesson (1970). Techno-Parade per flauto,
clarinetto e pianoforte è un brano
spettacolare nella diversificazione ritmica per
poche note espressive e accentate in ogni
combinazione, sottolineate splendidamente dal
flauto, dal clarinetto e dal pianoforte di
Lonquich padre. Grande regalo finale dei quattro
interpreti con un bis: una rilevante
trascrizione per piano a quattro mani, flauto e
clarinetto del noto Prelude a l'apres midì
d'un faune di Debussy. Bellissimo. Da
ricordare a lungo!
15 gennaio 2019 Cesare
Guzzardella
Un
violino e un pianoforte per una musica che
sconfina
Transiti - Musica che
sconfina, è il titolo scelto per il
pomeriggio musicale domenicale dello Spazio
Teatro89. L'accogliente auditorium
di via Fratelli Zoia 89 ha ospitato ieri il
duo formato dalla giovanissima violinista
Francesca Bonaita e dal pianista Andrea
Rebaudengo. Il programma,
interessante e diversificato, è stato pensato
dai due interpreti e da Luca Schieppati
-organizzatore della fortunata rassegna
pomeridiana - per essere trasversale ai generi
musicali, almeno in quei frangenti dove si
riconoscono elementi che hanno caratterizzato la
musica popolare del mondo zigano, del blues
americano
e della musica rock. L'esecuzione di due brani
di Maurice Ravel quali la Sonata per violino
e pianoforte, dove il secondo movimento e
titolato Blues e di Tzigane,
celebre brano "zigano" del compositore francese,
ci ricorda i primi due riferimenti, mentre per
il rock, nella fattispecie del celebre gruppo
dei Led Zeppelin e del loro brano Immigrant
Song, il riferimento è stato dato da una
nuova composizione di Giorgio Colombo Taccani,
commissionata per l'occasione da Schieppati per
la nuova stagione di concerti e titolato From
the land of the ice and snow. Dopo un breve
e non evidente riferimento alle celebri grida di
Robert Plant, il brano del compositire milanese
ha espresso un percorso ben diverso dal mondo
rock. A conclusione, di Sergej Prokof'ev sono
stati eseguiti Cinque melodie Op.35 bis e
la Sonata n.2 Op.94 bis. Ma veniamo ai
protagonisti: la milanese Francesca Bonaita,
classe
1997, ha rivelato splendide qualità musicali
attraverso una lettura intensa ed espressiva di
tutti e tre i lavori proposti. L'impaginato,
teoricamente di grande difficoltà
tecnico-espressiva, si è rivelato non solo alla
sua portata, ma ha trovato un'interprete precisa
nel tocco, perfetta nell'intonazione con timbro
scavato e netto, ed articolata e strutturata
nell' organizzazione complessiva delle parti.
Coadiuvata dal bravissimo Rebaudengo,
pianista di robusta e precisa espressività,
Francesca ha risposto al voluminoso pianoforte
con altrettanta voluminosità timbrica, per un
equilibrio corretto e vario nelle dinamiche e
con ottima successione delle scansioni melodico-
armoniche. Pregnante di
espressività
soprattutto nel Blues e in Tzigane di Ravel ed
ancora di altrettanto valore nella celebre
Sonata n.2 di Prokof'ev. Il brano del
compositore milanese Giorgio Colombo Taccani è
una sorta di dialogo tra il violino ed il
pianoforte nel quale la breve componente
tematica melodica del violino, sostenuta
ottimamente dalla Bonaita, si ripete più volte
nel corso dei circa sei minuti del lavoro. Brevi
pause mettono in risalto maggiormente
l'intervento solistico sostenuto con sicurezza e
compattezza dal valido pianoforte di Rebaudendo.
Un lavoro che rimanda, a mio avviso a certe
modalità espressioniste alla Berg, con una forte
incidenza espressiva personale del mondo
compositivo di Giorgio Colombo Taccani. Applausi
fragorosi al termine del concerto ai
protagonisti e applausi anche al compositore
salito sul palcoscenico. Da ricordare.
14 gennaio 2019 Cesare
Guzzardella
Alexandre Tharaud e la Sinfonica Verdi in Haydn,
Mozart e Schmidt
Non avevo ancora ascoltato
live il pianista francese Alexandre Tharaud
e devo dire che insieme all'Orchestra Sinfonica
di Milano diretta da Claus Peter Flor, in un
programma che prevedeva i celebri Concerti
n.11 di Haydn e il K.467 di Mozart,
mi è piaciuto assai. Tharaud è un pianista molto
conosciuto - spesso in Tv- ed apprezzato in
Francia,
soprattutto per le sue interpretazioni di
Couperin, Rameau, Scarlatti, Bach e dei francesi
Satie e Ravel. Ieri sera in un Auditorium con
moltissimo pubblico - ma ci attendiamo il
pienone per la replica di domenica - ha mostrato
sensibilità e raffinatezza nei classicissimi
Haydn e Mozart, mettendo in risalto ogni
frangente delle due partiture. Il suo tocco
deciso, asciutto e dinamicamente vario, con una
mano destra sempre in risalto nel definire la
linea melodica presente, ha evidenziato
in modo magistrale il Poco adagio di
Haydn e il celeberrimo Andante di Mozart
nei movimenti centrali ed il noto Rondò
all'ungherese che conclude il Concerto
n.11 in re maggiore del maestro di Rohrau e
l'altrettanto Allegro vivace assai del
Concerto n.21 in do
maggiore del genio di Salisburgo. Insomma
un'interpretazione scavata, ricercata, ricca di
accenti che ha avuto come corona un meraviglioso
bis solistico: la nota
Sonata K
141 scarlattiana eseguita con
maestria e con sintesi discorsiva estrema.
Tharaud stesso mi ha rivelato durante
l'intervallo che Scarlatti è un necessario
coronamento a Mozart. Applausi interminabili al
grande interprete coadiuvato dall'eccellente
direzione di Flor. Nella seconda parte della
splendida serata, tutta orchestrale, abbiamo
ascoltato una rarità del poco eseguito
compositore austriaco - nativo però di
Bratislava- Franz Schmidt (1874-1939). Vissuto a
cavallo
di due secoli, Schmidt fu allievo di Anton
Bruckner. La personale Sinfonia n.4 in do
maggiore, composta nel 1933, riassume le sue
indubbie qualità compositive che stilisticamente
rappresentano una mediazione tra tardo
romanticismo particolarmente cromatico alla Berg
e neo-classicismo. Il lavoro in quattro
movimenti senza soluzione di continuità ha
momenti d'importante lirismo a cominciare dalla
tromba solista iniziale e terminale, sino al
bellissimo solismo del violoncello e del
violino. Ottima l'interpretazione di Claus Peter
Flor che ha esaltato i dettagliati colori della
bravissima Orchestra Sinfonica Verdi. Da
ricordare. Replica, da non perdere, domenica
alle ore 16.00.
12 gennaio 2019
Cesare Guzzardella
Succede anche al
Conservatorio...
...che
si rompa una corda di violoncello mentre si sta
suonando un brano di Shostakovich.
E' capitato l'11 dicembre 2017 nella sala Verdi
del Conservatorio milanese. La scena è stata
ripresa e messa su youtube e sta diventando
virale anche grazie alla segnalazione di un noto
giornale di musica classica britannico, The
Strad. Steven Isserlis (Londra, 1958),
infatti, proviene proprio da quelle parti, e ha
commentato divertito su Twitter "non sapevo
di essere filmato e faccio fatica a ricordare
l'episodio. La corda G tende a rompersi sempre
quando si suona Shostakovich."
https://youtu.be/VyGlkLVHYeo
5 gennaio 2019 Alberto
Guzzardella
Ancora meritato successo per l'Attila del nuovo
anno al Teatro alla Scala
Col nuovo anno al Teatro alla
Scala ultime repliche dell' Attila verdiano.
Anche ieri sera l'ottima direzione di Riccardo
Chailly, la riuscita messinscena per la regia di
Davide Livermore, le scene curate da "Giò Forma"
con le luci
di
Antonio Castro, i
video
D-Wok e i costumi di Gianluca Falaschi, hanno
entusiasmato il pubblico presente in un teatro
al completo; pubblico che al termine della
rappresentazione, per circa dieci minuti ha
tributato
ripetuti
e fragorosi applausi a tutti i protagonisti,
compreso naturalmente il Maestro Bruno Casoni e
il suo splendido coro. Un successo quindi
eccellente per la prima opera in cartellone
nella Stagione 2018-19, dovuto soprattutto ad
uno straordinario lavoro di gruppo e alle ottime
voci soliste a cominciare da quella di Ildar
Abdrazakov, Attila re degli Unni . Di
questi era stato
annunciato,
prima dell'inizio, una forte costipazione con
raffreddore che a nostro avviso non ha influito
sulla sua straordinaria resa vocale. Ricordiamo
naturalmente ( prime due
foto di Brescia-Amisano-Archivio Scala) anche
Saioa Hernández, Odabella, George Petean,
Ezio, Fabio Sartori, Foresto,
Francesco Pittari, Uldino e Gianluca
Buratto, Leone, tutti bravi. Simpatici i corali
Auguri tributati al pubblico dal Maestro Chailly
e dai solisti. Un inizio d'anno ottimo che
speriamo sia di buon auspicio per il prosieguo.
Ultime repliche previste per il 5 e l'8 gennaio.
Da non perdere. Buon Anno a tutti i lettori!
3 gennaio 2018 Cesare
Guzzardella
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