

RECENSIONIDVDLIBRI
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LUGLIO 2022
UN VIAGGIO
NEL SOLE: NAPOLI
ED ISCHIA 2022
di Anna
Busca
Dieci giorni di vacanza
organizzati all’ultimo momento a metà luglio
possono dare grandi piaceri e soddisfazioni, se
le mete scelte consentono un magnifico mix di
arte, cultura, bellezze naturali, nuotate in
acque cristalline ed elioterapia dall’alba al
tramonto. Immergendoci in paesaggi incantevoli,
ammirando capolavori di pittura e scultura,
compiendo veri viaggi nel tempo antico, siamo
riusciti a caricarci di energie positive,
utilissime come non mai per affrontare i tempi
difficili che stiamo vivendo. Non un’evasione
dai problemi, quindi, ma una necessaria
rigenerazione personale.
NAPOLI
Il treno ad alta velocità
Italo ci ha consentito di raggiungere Napoli in
neppure quattro ore e mezza, partendo alle 10.26
da Milano Rogoredo e arrivando a Napoli Centrale
alle 14.53. Puntualità e grande comodità rendono
questo mezzo davvero validissimo, anche per il
risparmio di tempo e denaro rispetto ad
automobile e aereo. A piedi, con una bella
passeggiata da piazza Garibaldi fino a via dei
Tribunali (uno dei decumani, praticamente
parallelo a Spaccanapoli), abbiamo raggiunto
l’albergo dove avevamo prenotato tre notti (con
colazione inclusa): l’Hotel Neapolis in via
Francesco del Giudice 13 (tel.0814420815), nel
cuore del centro storico, al terzo piano di un
palazzo (c’è l’ascensore!) da cui si gode una
bella vista della città. La posizione eccellente
e l’ottimo rapporto qualità/prezzo connotano
questo indirizzo, davvero consigliabile per chi
desidera visitare i luoghi irrinunciabili di
Napoli senza usare mezzi pubblici, ma
semplicemente camminando. E le mete “irrinunciabili”
sono tante: ma se si resta a Napoli solo tre
giorni certamente occorre compiere una selezione,
anche in base agli orari di apertura di chiese e
musei. La nostra prima visita ha riguardato il
Museo di Arte contemporanea Donnaregina (MADRE),
in un bell’edificio di via Settembrini 79 (chiuso
il martedì). La collezione permanente include
opere di Mimmo Paladino, Jeff Koons, Rebecca
Horn, Lawrence Carroll; interessanti anche le
mostre, in particolare “Clement Cogitore,
Ferdinandea” (fino al 12 settembre) con lavori (anche
brevi filmati) ispirati alle vicende
dell’omonima isola vulcanica, emersa nel canale
di Sicilia nel 1831, fino a 65 m sopra il
livello del mare, e poi sprofondata sei mesi
dopo. In quel breve lasso di tempo fu contesa
dal Regno delle Due Sicilie, dalla Francia e
dalla Gran Bretagna, che intendevano
colonizzarla…
Vicino all’albergo, in via
dei Tribunali 253, ecco una meta st raordinaria:
il Pio Monte della Misericordia, istituzione
cattolica fondata nel 1602 da sette giovani
nobili napoletani che si dedicavano alla
beneficenza. Qui si visita una preziosa
Quadreria, che conserva molti dipinti di
Francesco De Mura e opere dal Cinquecento
all’Ottocento; la chiesa a pianta ottagonale ha
una bella cupola e diverse cappelle, con opere
eccellenti, come la “Deposizione di Cristo”
(1671) di Luca Giordano; nel presbiterio, dietro
un altare barocco, ecco il capolavoro di
Caravaggio “Sette opere di misericordia”
(1606-1607), la cui composizione dinamica e
drammatica, che emerge dall’oscurità, senza un
fulcro centrale, rappresentò un punto di svolta
per tutta la pittura dell’epoca (purtroppo una
croce dell’altare si sovrappone un po’ alla
grande tela).
Davanti al Pio Monte si trova
la Guglia di San Gennaro, opera seicentesca in
marmo, un ex voto offerto dai napoletani in
occasione dell’eruzione del Vesuvio del 1631; e
oltre si vede parte della fiancata laterale
destra del Duomo, dedicato a Maria Assunta, con
un ingresso secondario. Entrando nella grande
cattedrale ci si rende conto delle modifiche
subite nel corso dei secoli, fin dal periodo
della sua fondazione in epoca angioina (XIII-XIV
secolo). Un’ampia cappella (Santa Restituta),
che si apre nella navata sinistra, era in
origine una basilica paleocristiana, incorporata
nell’edificio; riccamente decorata nel XVII
secolo, ha un bellissimo mosaico trecentesco.
Sul lato destro, con ingresso a pagamento,
l’antico Battistero di san Giovanni in Fonte del
IV-V secolo rivela altri splendidi mosaici, per
lo più frammentati, dal colore blu predominante
. La cappella del Tesoro di san Gennaro, sulla
navata destra è meta di veri e propri
pellegrinaggi, perché conserva un
busto-reliquiario del santo, risalente al 1305-
a mille anni dalla sua decapitazione, risalente
appunto al 305 d.C. sotto Diocleziano - in oro e
argento, opera di tre maestri orafi provenzali
su commissione di Carlo II d’Angiò. La testa del
busto, con le fattezze dell’arcivescovo Domont,
all’epoca potentissimo, ha una calotta mobile, e
al suo interno si trovano alcune ossa craniche.
Nella cappella sono anche custodite due ampolle
sigillate, di cui una viene esposta dal vescovo
al pubblico di fedeli il 19 settembre, festa del
patrono, e portata in processione; il contenuto
è un miscuglio rossastro, da sempre considerato
“sangue coagulato di san Gennaro”, la cui “liquefazione
miracolosa” sarebbe segno di buoni auspici per
la città. Se invece tale fenomeno non avviene,
allora è interpretato come presagio di sventure...
Un vero invito, purtroppo, alla superstizione!
Occorre ricordare che un lavoro sperimentale di
alcuni ricercatori del CICAP, già trent’anni fa,
dimostrò che una semplice sospensione colloidale
di idrossido ferrico e ioni sodio e cloruro
(sale da cucina disciolto) ha colore, proprietà
e comportamento tissotropico analogo al
contenuto delle teche, passando da gel a sol e
viceversa, in base a movimenti subìti dal
contenitore…
Da ricordare che nel museo
adiacente, al n.149 di via Duomo
–
aperto al pubblico dal 2003 - è esposto il
preziosissimo tesoro di san Gennaro, dal valore
inestimabile, frutto di cospicue donazioni di
monarchi e famiglie aristocratiche: noi lo
ammireremo la prossima volta!
In via dei Tribunali 316 si
entra in San Lorenzo Maggiore, complesso
monumentale fatto erigere da Carlo I d’Angiò nel
1265; bellissima l’abside a nove cappelle
–
qui si ammirano il sepolcro di Caterina d’Austria,
del 1323 circa, e gli affreschi di un allievo di
Giotto . Magnifico anche il chiostro, che ha
accanto un’area
di scavi archeologici che hanno messo in luce
resti dell’antica
città greco-romana.
Abbiamo poi dedicato quasi
un’intera giornata alla Reggia-Museo e al Bosco
Reale di Capodimonte (chiusura: mercoledì),
percorrendo a piedi,
all’andata, un itinerario
di circa 2 km passando per via Santa Teresa degli Scalzi e corso Amedeo di Savoia, fino alla
scalinata che conduce in alto, alla Porta
Piccola, uno degli ingressi. Il Museo è un
bellissimo edificio color rosso-mattone )
costruito a partire dal 1738 per volere di Carlo
di Borbone,
che vi ospitò la collezione di opere
d’arte della madre Elisabetta Farnese; è
circondato da prati all’inglese e palme di
notevole altezza; da un belvedere si gode un
panorama impagabile della città. Il Bosco è un
parco immenso, di
più di 120 ettari, originariamente pensato come
luogo di caccia, oggi meta di famiglie e
runners. La visita alla pinacoteca del museo
deve prevedere alcune ore e sarebbe impossibile,
in un articolo come
questo, enumerare e
descrivere i meravigliosi capolavori che vi si
possono ammirare (sfuggiti alla devastante
spoliazione napoleonica della collezione, che
portò purtroppo molte opere al Louvre e al Museo
di Belle Arti di Lione, dove si trovano tuttora).
Basti ricordare, tra i dipinti esposti, “La
flagellazione di Cristo” (1607-1608) del
Caravaggio , “Ritratto di Papa Paolo III con i
nipoti Alessandro e Ottavio Farnese” (1546) di
Tiziano, “Vergine con Bambino e due
angeli” (1468-1469) di Botticelli.
Indimenticabili anche i dipinti
di Ribera (“Sileno ebbro”), di Guido Reni (“Atalanta
e Ippomene”), di Rosso Fiorentino (“Ritratto di
gentiluomo”), e moltissimi altri... Colpisce la
famosa tela di Andy Warhol, “Vesuvius” (1985),
con il vulcano in eruzione, dai
colori accesi,
che è
diventato una sorta di icona mondiale. La
mostra monografica dedicata a Battistello
Caracciolo (1578-1635), che resterà aperta fino
al 2 ottobre, ha
poi rivelato le opere più belle di questo
pittore napoletano, detto “il patriarca bronzeo
dei Caravaggeschi”. Imperdibile! Splendido anche
l’appartamento
reale, con sale riccamente ed
elegantemente decorate che nulla hanno da
invidiare a Versailles; una magnifica collezione
delle famose statuine di porcellana e di piatti
e ceramiche di grande bellezza lascia davvero
incantati .
Usciti a malincuore dalla
Reggia-Museo, lungo la strada in discesa ci
siamo fermati alle
Catacombe
di san Gennaro (ancora lui!). Sviluppatesi su
due livelli, soprattutto a partire dal III
secolo, accolsero le spoglie del primo patrono
della città
–
sant’Agrippino
–
e in seguito quelle di san Gennaro, di cui resta
quello che viene considerato come il suo più
antico ritratto, ossia un affresco del V secolo,
su una parete, tra due figure femminili. La
giovane guida parla di un Gennaro probabilmente
africano, dalla pelle scura (come appare
nell’affresco e anche in un celebre dipinto di
Mattia Preti avente come tema il suo martirio);
il nome stesso sarebbe in realtà un appellativo
derivato da Ianuarius, legato etimologicamente
al dio romano Ianus. La visita è davvero
interessante. Sulla via del
ritorno in albergo abbiamo avuto modo di
attraversare il famoso rione Sanità, una vera “città
nella città”, con la bella chiesa di Santa
Maria.
A due passi dall’hotel, non
potevamo mancare la Cappella Sansevero, voluta
dal principe Raimondo de Sangro (1710-1771),
figura incredibile di inventore geniale, massone,
dedito alla letteratura come all’alchimia, alla
filosofia come all’ingegneria idraulica,
all’architettura, alle arti militari. Fin dagli
ultimi anni del ‘500 esisteva una cappelletta
costruita su un luogo considerato miracoloso, e
la famiglia dei de Sangro, principi di Sansevero,
aveva cominciato, nel ‘600, modificandola, a
utilizzarla come tomba di famiglia: si trovava
infatti proprio adiacente al loro palazzo.
Raimondo, nel 1749, decise di ampliarla e di
renderla una sorta di tempio, con sculture e
decorazioni di grande pregio, che la rendono un
vero gioiello d’arte. Tra queste, il famosissimo
e straordinario Cristo velato di Giuseppe
Sammartino (1753), invidiato anche da Antonio
Canova. Meravigliose le statue della Pudicizia,
di Antonio Corradini, e del Disinganno, di
Francesco Queirolo.
Poco oltre, un’altra meta
imperdibile: il Complesso Monumentale di
Santa
Chiara, costituito da una chiesa e un grande
monastero, costruito nel 1310 per volontà di
Roberto d’Angiò e della moglie Sancia di Maiorca.
Purtroppo la chiesa
–
che era stato modificata nel
‘700
in forme barocche
–
fu distrutta da un bombardamento aereo
statunitense il 4 agosto 1943; fu poi
ricostruita nell’originario
stile gotico. Il chiostro, trasformato tra il
1739 e il 1742, è bellissimo: pilastri e sedili
maiolicati, con festoni vegetali e scene di vita
quotidiana, soprattutto di color giallo, verde,
azzurro, blu, sono disposti in ordine geometrico
nel giardino, circondato da un porticato che
presenta affreschi del ‘600. E’ un luogo davvero
stupendo .
Un altro complesso
monumentale da non mancare è Sant’Anna dei
Lombardi, in piazza Monteoliveto, nei pressi
della bella via Toledo. Qui i capolavori sono la
sagrestia, dipinta da Giorgio Vasari ,
e il “Compianto del Cristo morto”, opera
straordinaria in terracotta di Guido Mazzoni
(1492), con otto figure a grandezza naturale .
Un giro più ampio della città
ci ha portato a vedere San Gregorio Armeno , il Maschio Angioino (Castel Nuovo), ora in
fase di restauro, la vasta e splendida piazza
del Plebiscito, con la Basilica di San Francesco
di Paola e Palazzo Reale, la Galleria Umberto I, il Teatro San Carlo, piazza Dante. Abbiamo preso
la metropolitana alla stazione Toledo per
ammirarne la scenografica decorazione di William
Kentridge e Bob Wilson (2013): sembra di
immergersi nelle acque blu del golfo di Napoli!
Purtroppo la nostra necessaria selezione ha
escluso il Vomero, zona notevolissima per musei
e punti panoramici: torneremo senz’altro per
esplorarla.
 Una meta che abbiamo
considerato imperdibile è stata il Museo
Archeologico Nazionale, certamente uno dei più
importanti al mondo . Vi abbiamo
dedicato una mattina intera, ma in effetti
merita molte più visite, a settori, su diversi
giorni: troppo vasta e preziosa la sua
collezione di reperti per osservarla (e conservarla nella memoria) in un’unica occasione.
Incredibile l’esposizione degli affreschi e dei
mosaici di Pompei, insieme alla
famosa anfora vinaria in v etro-cammeo; e
altrettanto stupefacente la parte dedicata alla
scultura
greco-romana, con capolavori come il
Toro Farnese e l’Ercole Farnese ritrovati nelle Terme di Caracalla.
La nostra visita si è in
realtà conclusa il giorno del rientro a Milano,
quando siamo tornati, a piedi, dal porto alla
Stazione Centrale, passando per una piazza
storica, piazza del Mercato. La piazza è molto
ampia: noi l’abbiamo vista completamente deserta,
nella calura estiva, e questo forse ha
influenzato la nostra impressione, che è stata,
ahimè, negativa. Ci è parsa trascurata, con
rifiuti qua e là e chiese in fase di
ristrutturazione ma abbandonate; molti gli
edifici fatiscenti intorno. Insomma, il degrado
è evidente . E pensare che in questo
luogo si sono vissuti episodi importanti per i
napoletani: la decapitazione del giovanissimo
Corradino di Svevia, l’ultimo degli Hohenstaufen
regnanti, sconfitto dall’esercito angioino nella
battaglia di Tagliacozzo (1268), la rivolta di
Masaniello (1647), le esecuzioni capitali di
coloro
–
come il giurista Mario Pagano e la letterata
Eleonora Fonseca Pimentel - che avevano
sostenuto l’effimera
Repubblica Napoletana (1799), filofrancese e
antagonista dei Borbone; e nella vicina Basilica
del Carmine Maggiore, il cui campanile svetta
sulla piazza, si svolsero i funerali del mitico
e indimenticabile Totò, nel 1967.
ISCHIA
Dell’Arcipelago Campano, cui
appartengono Capri e Procida, Ischia è l’isola
maggiore, di circa 46 km2, con una popolazione
residente di 60.000 abitanti. E’ vulcanica,
dominata dal Monte Epomeo, alto 787 m, che è in
realtà ha origini anche tettoniche, in quanto
corrisponde al sollevamento di rocce vulcaniche
sotto la pressione del magma della camera
magmatica di un vulcano sottomarino quiescente.
Il monte si trova all’interno di una caldera,
quindi è un “blocco risorgente”, di
notevolissima altezza. L’ultima violenta
eruzione risale al febbraio del 1302 (eruzione
dell’Arso), ma la più imponente, responsabile
della formazione detta “Tufo Verde” e della
caldera, avvenne 55.000 anni fa. L’isola è
interessata da fenomeni sismici: nel 1883
Casamicciola fu distrutta da un terremoto di
magnitudo 5.8 che provocò 2000 vittime
–
vi perirono anche i genitori e la sorella del
filosofo Benedetto Croce
–
e nel 2017 la stessa località ha subìto un
evento di magnitudo 4.0.
Dal Molo Beverello di Napoli –
praticamente davanti al Maschio Angioino - con
un aliscafo dell’Alilauro,
siamo arrivati a Forìo, sulla costa occidentale
dell’isola, in poco più di un’ora, partendo alle
11.20 e sbarcando, dopo una bella traversata,
alle 12.35. Dal porticciolo, un autobus della
linea CS (Circolare Sinistra) ci ha poi portato
in una quindicina di minuti in prossimità
dell’hotel che avevamo prenotato, il
Parco Maria
Terme di Cuotto (info@parcomaria.it). Vi abbiamo
trascorso una settimana splendida, all’insegna
del relax: l’hotel è costituito da edifici
immersi in un grande parco molto curato; ha tre
ampie piscine termali, a diverse temperature, un
centro benessere, un ristorante all’aperto dove
si possono gustare ottimi piatti ( a scelta tra
quattro opzioni del menù). Consigliabile la
mezza pensione! La nostra camera, molto spaziosa,
si affacciava sulla Baia di Citara: la vista del
tramonto è impagabile .
Ogni giorno una
navetta gratuita porta gli ospiti alla spiaggia,
una delle più belle dell’isola. Si può anche
scendere a piedi percorrendo la strada
–
un po’
trafficata
–
in neppure 20 minuti, però la salita, al ritorno,
risulta certamente più faticosa. La spiaggia
sabbiosa ha una parte libera, un po’ in pendenza,
adiacente ai famosi Giardini Poseidon - un
complesso di una ventina di vasche termali
all’interno di un parco, con lido privato, dove
però non siamo entrati in quanto il costo del
biglietto d’ingresso, 40 euro a persona (45 ad
agosto), ci è parso troppo alto. Il mare è
bellissimo, abbiamo sempre trovato acque limpide,
di un bel colore verde-azzurro (meglio andare la
mattina per evitare l’affollamento).
Con l’abbonamento settimanale
alle linee di autobus ischitane (14.50 euro),
acquistato in tabaccheria, abbiamo potuto girare
l’isola con grande facilità e un notevole
risparmio. Una meta importante è stata il
Castello Aragonese, a Ischia Ponte, a pochi
minuti di autobus (linea 7) dalla piazza di
Ischia Porto che funge da capolinea.
Si tratta
di una fortezza costruita su un
isolotto, che fu collegato all’isola maggiore
nel XV secolo da un ponte di legno, poi
sostituito da uno in pietra. Le origini sono
antiche: la prima rocca risale addirittura al V
sec.a.C.: fu costruita dal greco siracusano
Gerone I accorso in difesa dei Cumani che
combattevano contro i Tirreni. Nei secoli
successivi fu utilizzata dai Romani e
continuamente rimaneggiata e ampliata; costituì
anche il rifugio di molti ischitani durante
l’eruzione del 1302, e servì loro anche per
proteggersi dagli attacchi dei pirati. Alla fine
del XVI secolo ospitava circa 2000 famiglie,
insieme al principe aragonese, con la sua
guarnigione, e molti religiosi in conventi,
chiese e abbazie. Nel ‘700 fu abbandonata dalla
maggior parte degli abitanti. Distrutta da un
bombardamento
inglese all’inizio dell’800, fu
poi trasformata in prigione. Venivano qui tenuti
segregati, in celle buie e malsane, gli
oppositori al regime borbonico. Fu Garibaldi,
nel 1860, a consentire la soppressione del
carcere politico; e l’anno successivo Ischia
entrò a far parte del Regno d’Italia.
Attraversata la galleria scavata nella roccia si
sale e si comincia la visita, che non può durare
meno di due ore. I percorsi e i luoghi
d’interesse sono ben segnalati: occorre comunque
avere calzature adeguate e scegliere ore non
assolate. I panorami che si godono
dal Sentiero del sole, tra splendida vegetazione
mediterranea, o dal Terrazzo degli ulivi e dal
Terrazzo dell’Immacolata, sono davvero
incantevoli Impressionante invece il
Cimitero delle monache: in un sotterraneo si
trovano ancora numerosi “scolatoi”, ossia
seggioloni in pietra in cui venivano collocati i
cadaveri delle religiose, che si decomponevano
rilasciando lentamente i liquidi in vasi
sottostanti. Gli scheletri poi venivano portati
nell’ossario. Era un luogo di preghiera: le
Clarisse vi si recavano regolarmente e dovevano
così ricordare l’inutilità del corpo, destinato
a corrompersi e disfarsi. Possiamo solo
immaginare l’orrendo lezzo che doveva connotare
questo luogo spaventoso, fonte sicura di
infezioni! Infatti spesso le povere monache
–
in genere sfortunate figlie primogenite di
famiglie nobili, chiuse in convento per motivi
ereditari
–
si ammalavano gravemente e raggiungevano presto
le consorelle.
Un ’altra
meta imperdibile di Ischia è senz’altro il
meraviglioso parco
denominato “Giardini La
Mortella”, poco a nord di Forìo (
https://visit.lamortella.org).
Qui vengono organizzate, in primavera-estate, rassegne di musica classica all’aperto (nel “Teatro
Greco”), in genere nel tardo pomeriggio, con
orchestre giovanili; nei week end si tengono, al
Museo, concerti di musica da camera. I giardini,
molto estesi e suddivisi in una parte “a valle”
e in una “in collina”, furono voluti nel 1956 da
Susana Gil Passo, di origine argentina, moglie
del compositore inglese William Walton; i
coniugi vissero a Ischia dal 1949 e le loro
ceneri sono custodite nel giardino, in luoghi
suggestivi dedicati alla loro memoria. I giardini inferiori furono progettati
dall’architetto paesaggista britannico Russell
Page, mentre quelli superiori devono la loro
struttura e composizione vegetale proprio a
Susana, vero genius loci, appassionata di
botanica, che introdusse molte piante tropicali.
Musica, arte e natura si fondono quindi in modo
armonioso, in uno scenario di grande bellezza,
tra fontane, piccole cascate, ruscelletti, nel
verde di palme, magnolie, papiri,
felci,
orchidee, strelitzie, punteggiato da colori
smaglianti di fiori disposti sapientemente lungo
il percorso. Serre e padiglioni,
come il Tempio del Sole, il Ninfeo, la Voliera,
arricchiscono la visita.
Tra i borghi visitati, ci ha
colpito in modo particolare Sant’Angelo, sia per
i
magnifici panorami sulla baia di Sorgeto e
sulle spiagge dei Maronti e delle Fumarole, che
per la piacevolissima ed elegante architettura
mediterranea del paese, con vicoli e piazzette
tra edifici bianchi
–
sembra di essere in Grecia - o colorati in modo
vivace. Ma i punti d’interesse
sono tanti: a Forìo, per esempio, è opportuno
salire
alla Chiesa di Santa Maria del Soccorso,
a picco sul mare . Anche se l’edificio
originale del XIV secolo è stato sostituito da
uno più recente (1864), resta l’incanto del
luogo. E si prova subito il
forte desiderio di
tornare al più presto in questa magica isola, il
cui nome forse deriva proprio dallo spagnolo “La
Isla”, storpiato dai napoletani in “Iscla” e
quindi trasformato nel più eufonico “Ischia”.
Oppure il nome ha una derivazione greca e
significa “forza”, “fortezza inespugnabile”. O
ancora è legato a un osso del bacino, l’ischio,
e al mito dei Titani in lotta contro gli Dei
dell’Olimpo…
10 agosto 2022,
Anna Busca
SETTEMBRE 2021
CAVALCATA
APPENNINICA 2021 (Terza parte) di Anna Busca
Da Campobasso a Calitri
(Molise- Campania)
Ci sono stati segnalati due
luoghi interessanti nei pressi di Campobasso,
raggiungibili in breve tempo con l’auto: uno è
Ferrazzano, borgo arroccato, con un bel castello
di origine normanna, più volte rimaneggiato, e
con la chiesa di Santa Maria Assunta,
dall’interessante portale duecentesco, insieme a
un magnifico pulpito della stessa epoca;
la seconda meta è stata la chiesa di Santa Maria
della Strada, su un colle vicino a Matrice,
isolata e splendida basilica longobarda. La
leggenda vuole che l’edificio fosse costruito in
una sola notte dal mitico Re Bove, aiutato dal
diavolo… In realtà le origini di quello che è
considerato un gioiello del Romanico molisano
sono un po’ misteriose: la fondazione è
collocabile tra l’XI e il XII secolo, ma forse
risale a prima dell’anno 1000. Bellissimi i
bassorilievi che raffigurano immagini e
simbologie bibliche, tra cui il cavaliere
dell’Apocalisse, la città santa di Gerusalemme
(come donna dalla chioma che forma un fiume
dalle dodici anse), Giona inghiottito dal mostro...Ai
lati del rosone due teste di bovini (forse
associati alla leggenda di Re Bove) sembrano
saltar fuori dalla facciata con le zampe
anteriori protese. L’interno, a tre navate, ha
dodici colonne possenti, con capitelli decorati.
I dintorni hanno un notevole fascino: prati,
campi, un antico tratturo che collega il Molise
alla Puglia, qualche albero, tanto silenzio.
Luogo perfetto per la meditazione!
Una
terza meta, che abbiamo raggiunto in seguito
lungo la strada che ci portava da Campobasso a
Benevento, è stato il sito archeologico di
Sepino (Saepinum). Gli scavi, cominciati
nell’800 nella zona, già nota ma poco studiata,
riguardano un’area molto ampia, di circa 12
ettari, racchiusa da una cinta muraria con torri
e quattro porte ad arco (la cui costruzione,
risalente al periodo 2 a.C.-4 d.C., fu
finanziata dall’imperatore Tiberio e dal
fratello Druso) e hanno messo in luce i resti
della città
sannitica,
conquistata dai Romani nel III sec.a.C. e ben
sviluppatasi grazie a un fiorente commercio di
lana, tessuti, pellami. Si cammina su strade
lastricate, si entra nel vasto Foro e nella
basilica forense, si passa davanti alla fontana
del Grifo, si ammira il bellissimo teatro… qua e
là, case ristrutturate, di origine medioevale (una
di queste è sede di un piccolo museo, l’unica
parte che prevede un biglietto d’ingresso). La
visita è senz’altro imperdibile!
Lasciata la struggente Sepino,
giungiamo a Benevento per la nostra ottava tappa
(B&B Le Streghe). Non eravamo mai stati in
questa città campana, e ne siamo rimasti davvero
favorevolmente colpiti.
Il centro storico è
stupendo, ricchissimo di monumenti ed edifici di
grande interesse storico-artistico. Il complesso
di Santa Sofia è longobardo (VIII sec.),
restaurato ma riportato alle forme originarie,
con un bel chiostro e il monastero trasformato
in Museo del Sannio, contenente preziose
collezioni di reperti e opere di varie epoche.
La chiesa di sant’Ilario a Port’Aurea è
anch’essa longobarda, in un prato vicino
all’Arco di Traiano, stupendo, eretto tra il 114
e il 117 per l’inaugurazione della nuova via
Traiana.
Nel Medioevo fu inserito nelle mura e
chiamato appunto “Porta Aurea”. Da visitare
assolutamente anche il Teatro romano, costruito
sotto Adriano (126) e poi ingrandito da
Caracalla. La Rocca dei Rettori, il castello,
segna l’inizio del percorso di visita, lungo
corso Garibaldi; si incontra il Museo Arcos, che
ospita mostre (abbiamo visto quella dedicata
alla dea Iside) ed è vicino all’Hortus
conclusus, l’ex orto del convento medioevale
dei Padri domenicani, adibito ora a spazio
espositivo permanente di interessanti opere di
Mimmo Paladino, originario di Benevento. Fontane
e obelischi sono disposti a decorazione del
centro città, e adiacente, ad esso, per una
sosta rinfrescante e davvero piacevole, si trova
l’elegante Parco di Villa Comunale. Se si
aggiunge l’estrema pulizia di strade e
marciapiedi, il quadro è completo!
Al numero 145 di corso
Garibaldi, nelle sale a pianterreno di un
palazzo nobiliare, ha sede “Janua- Museo delle
Streghe”. Il percorso, guidato con competenza,
porta il visitatore a
ripercorrere, con angoscia,
la tragica vicenda di tante donne vittime di
veri e propri crudelissimi femminicidi del
passato. Donne esperte di erboristeria, in grado
di curare malattie, di aiutare le partorienti:
donne, spesso sole, che riuscivano a
sopravvivere vendendo miscugli e preparati
vegetali che potevano servire a disinfettare
ferite, a bloccare emorragie, oppure, in molti
casi, a procurare aborti in donne sfiancate da
eccessive gravidanze o violentate. Queste donne
guaritrici dovevano essere punite: sotto tortura
confessavano le più orride nefandezze (anche la
morte in culla dei neonati veniva addebitata a
loro, oppure morti improvvise di uomini e donne,
incidenti, cattivi raccolti) e venivano
condannate al rogo come streghe, complici del
demonio, con il quale si accoppiavano in sabba
intorno a un albero di noce... Il testo che per
primo fu utilizzato, anche se non ufficialmente,
per questa persecuzione è il Malleus
Maleficarum (1487) del frate domenicano
Heinrich Kramer, scritto, su invito di papa
Innocenzo III, con lo scopo di combattere
l’eresia e il paganesimo in Germania. Misoginia,
ignoranza, sadismo, volontà di schiacciare le
donne e la loro intelligenza furono un mix
davvero diabolico che portò l’inquisizione
cattolica (e non solo!) a bruciare vive migliaia
di donne, e anche molte ragazzine sotto i dodici
anni. Si stima che il numero delle vittime possa
essere ben superiore a 100.000. A Benevento e
nelle zone meridionali in genere la strega era
chiamata “Januaria”: forse non solo perché in
grado di...passare sotto la porta per compiere i
suoi delitti, ma anche perché seguace di Diana (dianara).
Per impedire l’ingresso alla strega occorreva
mettere davanti alla porta una scopa: presa
dall’irresistibile desiderio di contare i fili
di saggina (sic!) la strega sarebbe stata colta
dalle luci dell’alba e sarebbe poi fuggita...Le
ultime esecuzioni risalgono al XVIII sec., ma
ancora adesso in India e in alcune zone
dell’Africa, purtroppo, alcune donne vengono
accusate di “magia nera” e uccise barbaramente.
Monumenti a queste donne dovrebbero sorgere un
po’ ovunque: e a Benevento, dove furono
torturate e condannate almeno duecento “streghe”,
perché non erigere un monumento a Teresa di
Pesco Sannita, arsa nel 1430, e a Faustina Orsi,
che seguì la stessa sorte nel 1552?
Partiti a malincuore da
Benevento, ci siamo diretti verso Calitri,
attraversando l’Irpinia. Una sosta allo
splendido lago di Laceno, in
un vasto altopiano
a 1050 m s.l.m. dove pascolano le mucche, in
mezzo ai Monti Picentini, ci ha consentito di
assaggiare un ottimo tagliere con eccellenti
formaggi (pecorino dop!) e salumi locali. Anche
Calitri (Hotel Ambasciatori, con magnifica
piscina per un tuffo rinfrescante), in provincia
di
Avellino, nostra nona tappa, è stata una
piacevole sorpresa: borgo arroccato, con case
colorate piuttosto scenografiche, e un bellissimo panorama. Qui abbiamo gustato una
cena indimenticabile, alla Locanda dell’Arco,
all’interno di una cavità tufacea: atmosfera
piacevolissima e squisita cucina irpina di alto
livello.
Da Calitri a Marina di Ginosa
(Campania, Basilicata, Puglia)
Il giorno seguente ci siamo
dedicati a un breve trekking alle cascate di San
Fele, più a sud, in provincia di Potenza e
quindi già in Basilicata. Si parcheggia lungo la
strada e si comincia un percorso di un paio
d’ore al massimo, su sentieri e scalette, tra la
vegetazione, seguendo il corso del torrente
Bradanello, che forma, per salti di quota,
piccole cascate e laghetti. Siamo nell’Appennino
Lucano, e la bella escursione richiama parecchi
turisti. L’unica pecca è che, se non si vuole
riprendere il sentiero in senso inverso, poiché
l’itinerario non è ad anello ma si conclude
sulla strada asfaltata dalla parte opposta,
occorre tornare all’auto a piedi per 2-3 km, non
essendo stato ripristinato il servizio navetta.
Prevedere quindi buone scarpe e magari una
borraccia... Da San Fele ci siamo poi spostati a
Melfi, ad ammirare soprattutto il magnifico
castello normanno, sede di un interessantissimo
museo (stupendi i sarcofagi provenienti dagli
scavi della vicina Rapolla); è considerato uno
dei castelli medioevali meglio conservati e
domina la città, circondata da mura fortificate.
Melfi è uno dei centri principali della zona, il
Vulture, ricca di storia e di bellezze naturali:
sulla strada del ritorno, alla fine della nostra
“cavalcata appenninica”, abbiamo deciso di
sostare a Rionero in Vulture, riuscendo così a
fare una stupenda passeggiata anche ai laghi
vulcanici di Monticchio e all’abbazia di San
Michele, mete davvero imperdibili. Attraversando
Venosa, patria di Orazio, e altri paesi dai nomi
evocativi,
siamo giunti alla fine al mare.
Marina di Ginosa, decima tappa (BnB Villa
Sant’Angelo) è in Puglia, in provincia di
Taranto: il profilo “industriale” del porto si
vede dalla spiaggia. E’ un centro turistico
piuttosto affollato, in posizione strategica per
muoversi e raggiungere rapidamente lidi costieri
dalla sabbia finissima, come quello di
Castellaneta Marina, dove si trovano vaste
pinete e riserve naturali, perfette per
respirare aria balsamica e immergersi in acque
cristalline. La scelta può pure cadere su mete
meno balneari: ci siamo recati a Metaponto, la “città
di Pitagora”, dove il Museo Archeologico
conserva tali e tanti reperti, affascinanti e
preziosissimi, risalenti anche al VII sec a.C.,
che ne basterebbero un paio da esporre al
Palazzo Reale di Milano per creare lunghissime
code di visitatori… Metaponto fu uno dei centri
più importanti della Magna Grecia; da visitare
il Parco Archeologico, immenso, con resti di
colonne e templi, e le Tavole Palatine, con
il
magnifico Tempio di Hera (entrambi i siti sono a
ingresso gratuito). La città è in provincia di
Matera, siamo quindi di nuovo in Basilicata: e
sulla strada del ritorno, la visita ai “sassi” e
alle chiese rupestri di questo Patrimonio
dell’Umanità è imprescindibile. Avevamo visitato
Matera una ventina d’anni fa e abbiamo trovato
adesso una città molto più viva e ben
organizzata: pur concedendosi a un turismo quasi
“di massa” ha saputo ben mantenere il fascino
dei suoi luoghi incantevoli, quasi
indescrivibili.
Il nostro viaggio finisce dunque
qui, con le parole di Carlo Levi: Per me, sia
che io vada a Matera, sia che ci ritorni con il
ricordo, o che qualche immagine me la rammenti,
essa mi pare, più di ogni altra, un luogo vero,
uno dei luoghi più veri del mondo (…). Qui
ritrovi la misura delle cose, la concretezza dei
pensieri e delle immagini.
5 settembre 2021 Anna Busca
CAVALCATA APPENNINICA 2021 (seconda
parte) di Anna Busca
Da
Matelica a L’Aquila (Marche-Umbria-Abruzzo)
Prima di lasciare Matelica
siamo passati dalla chiesa della Beata Mattia,
che conserva il corpo di suor Mattia Nazzarei,
vissuta tra il XIII e il il XIV secolo e fatta
oggetto di culto e venerazione: è adiacente all
‘antico monastero delle clarisse. L’impianto di
riscaldamento del convento, che ospitava le
monache di clausura in gelide celle, fu
generosamente donato da Enrico Mattei, che era
uso frequentare la chiesa, un vero simbolo per i
cattolici matelicesi. Lungo la strada, una breve
sosta al cimitero cittadino, dove è sepolto
Mattei, nella tomba di famiglia: una costruzione
sobria, con una parte vetrata che consente di
scorgere l’interno dove, su un piccolo altare,
spiccano diverse fotografie. Il bassorilievo
sull’ingresso riporta due pavoni, simboli
cristiani della resurrezione e dell’immortalità.
Il nostro percorso è
proseguito verso sud, costeggiando i Monti
Sibillini. Visso e altri paesi attraversati
portano ancora le ferite del terremoto del 26
ottobre 2016 (magnitudo 5.9): centro storico
semidistrutto,
edifici pericolanti, dai muri squarciati, zone
transennate con divieto di accesso. Si entra
quindi in Umbria, in Valnerina: valle fluviale
verdeggiante, in cui il corso del Nera, dalle
acque fredde e limpidissime, un tempo era in
parte seguito dalla ferrovia a scartamento
ridotto (950 mm) Spoleto-Norcia, lunga 51 km,
inaugurata nel 1926 e chiusa nel 1968;
smantellata, è ora trasformata in pista
ciclabile e sentiero escursionistico. La
ferrovia era considerata un vero gioiello
ingegneristico: vantava 19 gallerie, 24 ponti e
viadotti, tratti di linea elicoidali, pendenze
fino al 4,5% . Veniva chiamata “il Gottardo
dell’Umbria”. Un museo a Spoleto raccoglie, per
gli appassionati, cimeli, immagini, carte,
documenti. Abbiamo pernottato in un albergo
sulla statale: l’Hotel Ristorante Pizzeria
Umbria, a poca distanza dal meraviglioso borgo
medioevale di Vallo di Nera, da visitare
assolutamente. Stupenda la chiesa francescana di
santa Maria, con un ciclo di affreschi del
XIV-XV secolo sulle pareti e dietro l’altare. A
Cerreto di Spoleto spiccava un manifesto che ci
ha incuriosito: “Festival del Ciarlatano,
20-21-22 agosto”. Abbiamo quindi scoperto che
questo paesino arroccato ha una storia
particolare: è conosciuto, fin dal ‘600, come il
“paese dei Ciarlatani”, i cui abitanti erano usi
a spacciare unguenti o altre medicine, a cavar
denti, a fare giochi di prestigio, ottenendo
denaro in cambio. Tale denominazione
probabilmente traeva origine da invidia per le
buone condizioni economiche dei cerretani, che
in buona parte riuscivano ad ottenere appalti
per ospedali e opere pie, per i quali erano
ottimi questuanti! Un museo è dedicato a loro...
Anche Scheggino merita una visita: il borgo è
molto bello,
con viuzze acciottolate, e si può visitare la
chiesa di san Nicola, con il catino absidale
magnificamente affrescato intorno alla metà del
‘500. Una bella passeggiata nel verde lungo il
fiume è estremamente piacevole. Noi abbiamo
anche approfittato di un tuffo rinfrescante in
una bella piscina, in località Valcasana. Anche
Scheggino ha il suo museo: questa volta dedicato
al tartufo, prezioso prodotto del territorio. La
sera, una cena al “Bacco Felice”,nel bellissimo
centro di Spoleto, reso ancora più affascinante
dall’illuminazione notturna, ha concluso
degnamente la giornata.
Riprendendo il viaggio,
abbiamo sostato a Sant’Anatolia di Narco, che
possiede un curioso “Museo della Canapa”
– molto
coltivata in Valnerina per la produzione di
tessuti e cordami - ed è un bel borgo medioevale
ben conservato, con chiese romaniche
interessanti. Certo il binomio “Narco” e Canapa”
è ben bizzarro! Ma “Narco” in questo caso è
semplicemente il nome di un antico popolo o il
nome del Nera...La visita all’abbazia di san
Pietro in Valle (VII-XIII sec.), in provincia di
Terni, ci ha poi portato ad esplorare uno
splendido complesso, in gran parte- ahimé-
trasformato in un elegante resort per pochi
eletti. L’ex monastero benedettino è infatti
proprietà privata ed è adibito a residenza
alberghiera di lusso, mentre la chiesa è della
curia ed è visitabile. Spicca l’alta torre
campanaria; all’interno della chiesa, a navata
unica, affreschi medioevali e rinascimentali e
bellissime lastre d’altare d’epoca longobarda. A
Ferentillo ecco l’ultimo museo particolare,
quello delle Mummie.
Occupa gli spazi di una chiesa del XIII sec.,
usata poi come fondamenta di un altro edificio
religioso due secoli dopo (chiesa di S.Stefano).
Qui furono sepolti diversi corpi, fino al 1871,
e le particolari condizioni ambientali ne hanno
consentito la mummificazione. Si possono anche
osservare particolari dell’abbigliamento,
ciocche di capelli, tracce di autopsie e altro;
si riconoscono due soldati napoleonici, una
giovane sposa, una donna morta di parto, con il
suo bambino… Da Ferentillo abbiamo poi raggiunto
in poco tempo la cascata delle Marmore,
artificiale ma bellissima (visibile già dalla
strada), a tre salti di 165 m complessivi, in
mezzo a un parco naturale. Risulta dalla caduta
di parte delle acque del fiume Velino nel Nera,
regolata da paratoie, in quanto utilizzata per
ottenere energia idroelettrica. L’accesso è
possibile sia dal basso che dall’alto ed è a
pagamento. Le lunghe code alle biglietterie e
l’enorme affollamento ci hanno dissuaso: ci
siamo dunque limitati a una passeggiata nella
zona del belvedere superiore e a uno spuntino a
un tavolino all’aperto, in uno dei numerosi
chioschi. Seguendo una bella strada ai piedi del
Monte Terminillo, sfiorando Cittaducale,
Antrodoco e L’Aquila, ci siamo fermati a Poggio
Picenze, paese di 1000 abitanti appartenente
alla comunità montana di Campo Imperatore (Paneolio
Food and Drink B&B ). A circa 750 m di altezza,
ha il centro storico ancora distrutto dal sisma
del 6 aprile 2009, che provocò in questa zona
abruzzese più di 300 vittime (magnitudo 6.3);
gli edifici inagibili sono parecchi, e vi sono
ancora abitanti che vivono in casupole
d’emergenza.
Abbiamo
perfino trovato una parrucchiera che ha il “salone”
in un container! L’Aquila invece ha avuto in
questi dodici anni sicuramente maggiori
contributi statali e, pur avendo ancora diversi
edifici in fase di recupero, è ritornata ad
essere una città viva anche turisticamente,
ricca di splendidi monumenti. Abbiamo rivisto
con grande piacere il Castello cinquecentesco,
la fontana delle 99 cannelle, la Cattedrale, la
meravigliosa basilica di Santa Maria di
Collemaggio.
Da L’Aquila a Campobasso (Abruzzo-Lazio-Molise)
Dopo la visita alla città, il
viaggio è continuato verso sud, attraversando lo
stupendo altopiano delle Rocche, nel Parco
Sirente-Velino, dove una sosta a Rocca di Mezzo
ci ha anche consentito di gustare squisiti
arrosticini. La nostra sesta tappa è stata Sora,
in provincia di Frosinone, dove ci siamo fermati
due notti (Hotel del Sole). Lo scorso anno, nel
nostro tour della Ciociaria, non eravamo
riusciti a vedere la città: la scelta quindi è
andata anche a “chiudere” simbolicamente il giro
dell’estate 2020 (vedi “Tra Acropoli e Mura
ciclopiche”, sez Turismo corrierebit.com,
settembre 2020). Sora ci riserva piacevoli
sorprese: circondata da monti boscosi, è
attraversata dal corso sinuoso del Liri, che si
può valicare con diversi ponti che collegano le
due sponde alberate.
Ha
dunque il fascino di tutte le città sui fiumi.
Prima dei Volsci, poi dei Sanniti, fu
conquistata dai Romani nel IV sec. a.C. Qui
probabilmente nacque Cicerone- poi trasferitosi
nella vicina Arpino
– e sui resti di quella che fu la sua
casa natale fu costruita la bella abbazia
cistercense di San Domenico (XI sec.), con un
chiostro romanico e una cripta. Passeggiando nel
centro, ecco piazza Indipendenza con la
cattedrale e piazza Santa Restituta con la
chiesa omonima. Gli edifici religiosi sono stati
negli anni molto rimaneggiati e ricostruiti,
anche in seguito a terremoti come quello del
1915. Vale la pena salire per circa 409 gradini
fino alla Chiesa della Madonna delle Grazie, in
posizione dominante, da cui si gode un magnifico
panorama. A Sora nacque Vittorio De Sica, il 7
luglio 1901: all’epoca
la città era campana. Una lapide commemorativa
consente di riconosce la casa, che è da più di
un secolo di proprietà della
famiglia
Giannuzzi. Si trova in pieno centro, in via
Cittadella, una stradina piena di vita e di
fiori, dove si affacciano localini dai nomi che
ricordano il grandissimo attore e regista e dove
si può cenare o prendere un aperitivo. Sora è
anche il punto di partenza per visitare i
dintorni: non solo la Ciociaria, ma anche mete
storico-artistiche come l’Abbazia di
Montecassino o naturalistiche come il Lago di
Posta Fibreno, perfetto per una sosta di relax.
L’Abbazia, pur essendo stata quasi completamente
ricostruita dopo i terribili bombardamenti del
15 febbraio 1944 ad opera degli angloamericani,
ha una grandiosità e una ricchezza che la
rendono stupefacente e sempre meritevole di una
visita. Certo le preziose decorazioni e
l’aspetto di mausoleo non sembrano in sintonia
con le rigide e semplici regole monastiche del
fondatore S.Benedetto da Norcia, che qui giace
nel sepolcro, vicino alla sorella santa
Scolastica…
Da Sora abbiamo seguito
strade secondarie, ricche di tornanti, salite e
discese, che ci hanno consentito di attraversare
lo splendido Parco Nazionale d’Abruzzo-Lazio-Molise,
tra foreste di faggi, piccole cascate e scenari
incantevoli. Chi ha tempo e attrezzatura adatta
può entrare nella Riserva Naturale della
Camosciara, nel cuore del Parco, per escursioni
e trekking, per esempio sul sentiero G5. Come
suggerisce il nome, è possibile l’avvistamento
di camosci d’Abruzzo.
Il
lago di Barrea ci ha invogliato a una breve
passeggiata fino alle sue sponde; ad Alfedena
siamo entrati nel centro storico attraverso una
delle sue porte urbiche, per ritrovarci poi a
compiere un percorso pedonale molto interessante
lungo le rive del Rio Torto, che nasce dai Monti
della Meta a circa 1400 m s.l.m. e poi arriva a
entrare nell’abitato, tra fitta vegetazione, in
una stretta gola. Le acque sono cristalline e
l’ambiente circostante è quasi idilliaco. Il
fiume uscendo dal paese, confluisce nel Sangro;
la sua lunghezza complessiva è di circa 4 km.
Giunti a Isernia, ci siamo ritrovati nella
piazza principale, piazza Celestino V,
assolutamente deserta (complice certo la calda
giornata di Ferragosto), davanti
a
una bella fontana ad archetti, detta Fraterna,
che abbiamo scoperto essere il simbolo della
città: costituita da lastre di marmo con
epigrafi, provenienti da resti romani, e anche
da sarcofagi, è un prezioso quanto raro
assemblaggio di opere di periodi diversi. La
piazza, molto ampia, è stata in realtà ricavata
dallo spazio lasciato dalle case distrutte
durante i terribili bombardamenti alleati del
1943 e la fontana vi fu spostata da un’altra
piazzetta. La visita del centro storico, lungo e
stretto, in pendenza, è consistita semplicemente
nel seguire una via rettilinea che funge da vero
asse: corso Marcelli, l’antico decumanus maximus.
Interessante il duomo di S. Pietro, costruito
sui resti del tempio di Giove (visitabili);
palazzi nobiliari e torri di origine medioevale
si susseguono. Nonostante una prima impressione
non positiva (i quartieri periferici sono
piuttosto squallidi) dobbiamo riconoscere invece
a Isernia un notevole fascino, sensazione che
sarebbe probabilmente anche aumentata se fossimo
riusciti a visitare il Museo Nazionale del
Paleolitico, in località La Pineta. Qui, scavi
iniziati negli anni ‘70 hanno portato alla luce
resti ossei e manufatti dell’Homo
heidelbergensis vissuto nella zona circa 600.000
anni fa e soprannominato “L’Uomo di Isernia”. Il
sito è riconosciuto dall’UNESCO come uno dei più
importanti al mondo: sarà una meta della
prossima volta! Da Isernia, una strada piuttosto
veloce e senza traffico attraverso i colli
verdeggianti del Molise ci ha portato alla
nostra settima tappa appenninica: Campobasso. Ci
siamo fermati due notti: la prima all’Hotel
Rinascimento, fuori città, e la seconda in
prossimità del centro (Casa Angela B&B). La
città è stata una sorpresa: un bellissimo
castello (Castello Monforte), da
cui si gode un
grandioso panorama, magnifiche piazze, splendidi
palazzi, spazi verdi con fontane, un centro
storico arroccato con mille viuzze e scalette
che s’intrecciano, belle chiese; una statua in
bronzo di Fred Bongusto (poco somigliante a dire
il vero) ci ricorda che il cantante nacque
proprio qui. Strade e marciapiedi sono
pulitissimi: il che dimostra che non è
necessario trovarsi in Svizzera per incontrare
senso civico e rispetto dei luoghi!
4 settembre 2021 Anna Busca
CAVALCATA APPENNINICA 2021 (Prima
parte )
Scegliere per
l’agosto 2021 un itinerario di viaggio di una
ventina di giorni, tutto italiano, che
prevedesse fondamentalmente tappe mai da noi
toccate, non è stato facile: ma alla fine ci
siamo riusciti. E ne è risultato un percorso
tortuoso e a tratti impervio ma ricchissimo di
bellezza, sia artistica che paesaggistica, di
incontri, di storia. Indimenticabile.
Da Modena ad Arezzo (Emilia
Romagna-Toscana)
Partendo da Milano e seguendo
l’A1, ci siamo fermati a Modena per la
necessaria pausa pranzo. Una passeggiata in
centro, decisamente poco affollato, ci ha
consentito di rivedere capolavori come
l’imponente Palazzo Ducale, il magnifico Duomo
romanico, l’alta Torre Ghirlandina.
Vicino
a questa, una lapide ha attirato la nostra
attenzione: “AL TVAJOL ED FURMAJIN”, “Il
tovagliolo del Formaggino”. Scopriamo una storia
che ci era ignota. “Così chiese ai modenesi che
venisse chiamato il piccolo spazio che c’è fra
la Ghirlandina e il monumento al Tassoni Angelo
Fortunato Formiggini, accingendosi a
testimoniare con il suicidio l’assurdità delle
leggi razziali. Nel cinquantesimo anniversario
di quel tragico evento i modenesi, esaudendo il
desiderio del geniale editore concittadino, ne
accolgono il messaggio antirazzista e ricordano
alla coscienza civile degli Italiani l’infamia
del regime che promulgò le leggi razziali”.
L’editore Formiggini, di ricca famiglia ebrea,
coltissimo ideatore di collane di successo,
laureato in Giurisprudenza e in Filosofia, si
lanciò dalla torre il 29 novembre 1938 - pochi
giorni dopo l’ultimo regio decreto fascista “Provvedimenti
per la difesa della razza italiana”, che
riteneva tanto insensato e ingiusto da non
rendere più possibile la sua stessa
sopravvivenza - sfracellandosi nello spazio che,
con tragica ironia, aveva voluto battezzare in
quel modo. Aveva sessant’anni ed era uno
straordinario intellettuale, portatore di
altissimi valori morali: la sua figura è
senz’altro da ricordare e approfondire.
Lasciata Modena, abbiamo
raggiunto quella che era in realtà la vera prima
tappa della nostra “cavalcata appenninica”,
lungo la spina dorsale della nostra penisola:
Riolo Terme, in provincia di
Ravenna,
centro grazioso, con un grande parco e una bella
rocca sforzesca, visitabile e sede di mostre.
Famosa per le acque termali idrogeno-solforate (i
Bagni sono ora di una società privata), Riolo
richiama turisti anche perché è un bel punto di
partenza per visitare gli interessanti dintorni,
ricchi di boschi e sorgenti (pernottamento
all’Hotel Ciclamino). Ci siamo infatti recati a
vedere l’abbazia di San Giovanni Battista in
Valsenio, risalente al X secolo, e il borgo
medioevale di Brisighella, con la sua Rocca
manfrediana, trecentesca, bellissima (chiusa il
lunedì), e l’antica “Via degli Asini”, una lunga
strada lastricata, coperta e sopraelevata, che
serviva un tempo anche al trasporto del gesso,
dalle cave, su birocci trainati da asini. Tutta
la zona è infatti ricca di questa roccia
sedimentaria, originatasi per evaporazione di
acque marine e successiva precipitazione di
solfato di calcio, verificatesi soprattutto nel
Terziario.
Passando da Modigliana,
interessante per i resti della Rocca dei Conti
Guidi, per il cosiddetto Ponte “della Signora” (ricostruzione
settecentesca
di un ponte medioevale) e per la pinacoteca
comunale dedicata a Silvestro Lega che qui
nacque (aperta però solo la domenica pomeriggio),
ci siamo spostati a Tredozio (provincia di Forlì-Cesena),
nell’alta valle del Tramazzo, per poi dirigerci
verso il Monte Busca (767 m s.l.m.). Qui
l’attrazione turistica è rappresentata da quello
che viene erroneamente definito “il vulcano più
piccolo del mondo”: si tratta in realtà di una
bocca metanifera, alla sommità di un cono di
sassi, di dimensioni ridotte, da cui fuoriesce
il gas che brucia
sprigionando
fiamme anche piuttosto alte. Non è facilissimo
trovarlo perché si trova dietro un casolare
abbandonato, in uno spiazzo di terra battuta,
davanti a un magnifico panorama. E’ noto dal XVI
secolo: viene infatti citato dal frate
domenicano bolognese Leandro Alberti in una sua
opera del 1577 (Descrittione di tutta Italia), e
la località in cui si trova viene detta
“Inferno”. Fu sfruttato per breve tempo, in
epoca fascista, alla fine degli anni Trenta,
dalla Società Idrocarburi Metano; nel dopoguerra
suscitò l’interesse di una società statunitense,
la Macmillan Petroleum Corporation, ma il
giacimento fu poi definitivamente abbandonato
perché considerato di scarsa importanza
economica.
Proseguendo per strade e
stradine dell’appennino tosco-emiliano,
attraversando Bagno di Romagna, con la sua bella
chiesa romanica di S. Maria Assunta, e i fitti
boschi delle pendici del Monte Fumaiolo, ci
fermiamo nei pressi di Subbiano (provincia di
Arezzo), seconda sosta del nostro itinerario.
Abbiamo pernottato in un luogo davvero magico,
l’Albergo Ristorante La Gravenna, nei pressi di
un torrente, circondato dalla vegetazione, con
una vasca di acqua dolce: l’interno è una sorta
di “camera delle meraviglie” che lascia davvero
incantati. Pasolini era solito trascorrervi
lunghi periodi di quiete, e la lista di clienti
famosi è lunga… La tappa obbligata,la mattina
successiva, dopo un’eccellente colazione, è
sicuramente Arezzo, già visitata in passato ma
sempre meritevole di una passeggiata nel centro
storico.
In cima a un colle,
l’affascinante
città
toscana di origini etrusche, patria del Petrarca,
si esplora con vero piacere, a partire dalla
chiesa di San Domenico, che conserva al suo
interno lo straordinario Crocifisso ligneo di
Cimabue, fino alla piazza Grande, dalla
caratteristica pendenza, con le logge del
Vasari, alla Cattedrale dei santi Pietro e
Donato, con la meravigliosa arca trecentesca, le
terrecotte invetriate di Andrea della Robbia e
la stupenda Maddalena di Piero della Francesca,
al Palazzo dei Priori. Un’immersione nella
bellezza!
Da Arezzo a Matelica
(Toscana- Marche)
A una trentina di km il borgo
di Monterchi possiede un capolavoro di Piero: la
Madonna del Parto, affresco della metà del ‘400,
di cui
non
si conosce il committente. E’ stato spostato più
volte ed ora è possibile ammirarlo all’interno
di un piccolo museo civico (le donne incinte
entrano gratuitamente!), mentre fino all’inizio
degli anni ‘90 si trovava in una cappella. La
madre del grande pittore era nata a Monterchi, e
questo ha suscitato una serie di ipotesi circa
la scelta inusuale di rappresentare Maria in
stato di avanzata gravidanza, in una posa che la
assimila a una sorta di tabernacolo vivente.
Superata Monterchi, abbiamo
proseguito soprattutto per stradine secondarie,
seguendo fiduciosi il navigatore in quanto privi
di carte automobilistiche adeguate, tra paesaggi
agricoli e boschi, valicando l’appennino
umbro-marchigiano. Ed eccoci a Matelica (provincia
di Macerata), terza sosta, ospiti dello storico
hotel Fioriti, in pieno centro, che presenta
davanti al portone d’ingresso, protetto da una
grande teca di vetro, un bel pavimento musivo di
epoca romana trovato durante gli scavi
archeologici della città. Il nome “Matelica”ha
origini oscure, forse celtiche, e viene già
citato da Plinio il Vecchio. Qui nel 1919 si
trasferì con la famiglia, da Acqualagna dove era
nato nel 1906, Enrico Mattei, geniale
fondatore
dell’ENI e figura chiave dell’Italia del secondo
dopoguerra: la città gli ha dedicato una grande
piazza. Una nipote, Rosangela - figlia del
fratello Italo Mattei - dedica invece da anni
tutte le sue energie, con grande determinazione,
per tenerne viva la memoria e per cercare di
ottenere quella giustizia che da quasi
sessant’anni viene vergognosamente calpestata e
negata. Il 27 ottobre 1962, infatti, Enrico
Mattei, attirato in una vera e propria trappola,
fu vittima di un attentato insieme al pilota
Irnerio Bertuzzi e al giornalista statunitense
William McHale. Il piccolo aereo Morane Saulnier
su cui viaggiavano da Catania a Milano precipitò
a Bascapè, poco prima di atterrare all’aeroporto
di Linate. Menzogne e depistaggi tennero lontana
la verità e solo tra il 1994 e il 2003, grazie a
una riapertura dell’inchiesta, che era stata
chiusa troppo frettolosamente, si trovarono le
prove di quanto era avvenuto: non un malaugurato
incidente, come si era costantemente ripetuto,
bensì un’esplosione a bordo , dovuta a una
carica di Compound B collocata dietro il
cruscotto e innescata dal comando di discesa del
carrello. La scomparsa di Mattei, che stava
costruendo una proficua rete di rapporti
internazionali che avrebbe portato a un
cambiamento nella politica della gestione del
petrolio, a vantaggio dei Paesi produttori (e
dell’Italia) e a svantaggio dei profitti iniqui
delle Sette sorelle, le maggiori compagnie
soprattutto anglo-americane, riportò la
situazione allo stato precedente, favorendo
squilibri e neocolonialismi che, come purtroppo
sappiamo, sono stati poi la causa principale
delle “guerre del petrolio”. Restano tuttora non
ufficiali i nomi dei mandanti e degli esecutori
dell’attentato, anche se una rosa di nomi “eccellenti”
italiani- per lo più defunti- è già ben nota.
Rosangela Mattei si batterà fino all’ultimo
affinché sia fatta luce totale sul “caso Mattei”:
e si renderebbe così giustizia anche a tanti
altri morti, come il giornalista Mauro de Mauro,
sequestrato nel 1970 mentre stava indagando
sugli ultimi giorni di Mattei in Sicilia, per
conto del regista Rosi, e mai più ritrovato.
Rosangela ha inaugurato recentemente il Museo
Mattei di Matelica ( https://museo-enrico-mattei.business.site
), nel palazzo di via Umberto I, come luogo dei
ricordi e come “punto di partenza per sviluppare
l’opera e gli ideali di Mattei”. E’ qui che
gentilmente mi ha dato l’opportunità di un
incontro, di grande interesse per tutte le
informazioni che mi ha fornito e davvero
emozionante.
3 settembre
2021 Anna Busca
OTTOBRE 2020
Agosto:
12 giorni in Toscana e Umbria
di Giovanni
Saccarello
Niente
mete esotiche la scorsa estate; come la maggior
parte degli Italiani abbiamo dovuto giocare
in casa, per ragioni contingenti.
Quest'anno è andata un po' così, ma è bene
viaggiare ogni tanto in casa e fermarsi a
riflettere: forse ci fa bene constatare che
siamo seduti sopra una cassaforte che ogni altra
nazione al mondo si può solo sognare.
Ed è ovvio che si sono dovuti
far tagli: abbiamo escluso Firenze, Pisa,
Pistoia, Arezzo, Foligno (tutte situate in
un'afosa pianura anziché rialzate in collina),
Assisi, Spoleto, Orvieto ed una quantità di
cittadine minori, non certo per loro demeriti,
ma per riservarle ad altre occasioni. In
compenso abbiamo incluso Urbino e S. Leo -che a
rigore sono nelle Marche- per spezzare la tappa
di ritorno.
Naturalmente non tento
nemmeno di descrivere le città principali
visitate (Lucca, Siena, Perugia, Urbino) o i
centri minori più conosciuti (S. Gimignano,
Pienza, Montepulciano, Todi, Gubbio, ecc.) o
altri luoghi particolari (come l'abbazia di
Monte Oliveto): ciascuno di questi richiederebbe
da solo uno spazio enorme. Qui cercherò solo di
limitarmi ai particolari che mi hanno colpito,
alle riflessioni che mi hanno suggerito, ed a
qualche curiosità, magari scoperta per caso e
forse sconosciuta ai più.
Con la sola eccezione di
Chianciano Terme, tutti i centri visitati ci
sono apparsi ben tenuti, curati e puliti come è
lecito aspettarsi nei centri d'arte, ma come non
sempre succede da noi, abituati a maltrattare la
nostra cassaforte.
La prima parte di questo
viaggio, fra Lucca e Bagno Vignoni, si è svolta
approssimativamente lungo la via Francigena.
Ho indicato qui con “(Fra)” le località che
abbiamo toccato e che erano su quel percorso,
come risultano dal cosiddetto itinerario di
Sigerico, un arcivescovo di Canterbury che
nel 990 ha pensato bene di annotare tutte le
tappe del viaggio di ritorno da Roma nel suo
diario, che per fortuna ci è arrivato ed è
l'unico documento dettagliato sul tracciato. O
almeno di uno dei tracciati, visto che nel corso
dei tempi ci sono state tante varianti.
La zona fra le due regioni
presenta un paesaggio medio collinare, a linee
semplici e senza motivi spettacolari ma con un
effetto che trovo assolutamente riposante,
che ti mette in pace col mondo.
Purtroppo i cambiamenti
climatici ci hanno perseguitato, con temperature
sui 35° anche in quota; cosa che ci ha costretto
ad un ritmo più blando e a qualche taglio nei
programmi: se possibile, è meglio evitare la
piena estate per visitare borghi quasi
immancabilmente in cima ad un colle, dove si
lascia l'auto in basso e si sale a piedi.
Abbiamo iniziato da
Lucca (Fra), unica meta di pianura,
città che oltre ad una sfilza di tesori d'arte
ne ha uno particolare: i bastioni conservati
intatti ed interamente percorribili a piedi o in
bici per oltre 4 km. Oggi sono un unico polmone
verde circolare, ed una vera passerella
ombreggiata sulla città.
Ed il bello è che tutte le città fino all'inizio
del '900 avevano le loro mura; ma a differenza
di Lucca le hanno demolite in omaggio al dio
progresso e così hanno buttato via una
struttura che solo più tardi si sarebbe rivelata
una preziosa attrattiva. Le facciate del duomo e
di S. Michele sono capolavori di cesello; la
piazza del Mercato è singolare per la sua forma
ellittica, residuo dell'anfiteatro romano, cinta
da un unico blocco di case compatte: vi si entra
solo da androni. Volevo poi costeggiare a piedi
lo scenografico acquedotto Nottolini,
che colpisce chi percorre l'autostrada A11 ma
che non si vede dalla città perché si esaurisce
stranamente in periferia; però era inaccessibile
per lavori.
Sfiorando Pisa, abbiamo
puntato alla certosa di Calci alla quale avevamo
dovuto rinunciare in un'occasione precedente per
essere arrivati tardi. E ancora ci è andata
male: nella situazione sanitaria attuale le
visite sono contingentate e ci sarebbe stato da
aspettare oltre quattro ore; troppo per stare lì
e troppo poco per un giro alla vicina Pisa.
Avevamo consultato vari siti, e nessuno ne
parlava: o non erano aggiornati, o più
semplicemente mancavano di queste informazioni
che invece mi paiono le più importanti. A
saperlo, si telefonava e si poteva prenotare e
decidere i tempi.
E così abbiamo rimediato
visitando il vicino Vicopisano: uno dei tanti
piccoli borghi di solito ignorati eppure
grazioso per le sue torri e la posizione
lievemente rialzata a controllare la pianura.
Risalendo la val d'Elsa (Fra)
sulla strada per Siena il paesaggio si fa via
via più mosso: le colline si avvicinano
restringendo il piatto fondovalle finché ci si
trova definitivamente fra le alture.
A pochi chilometri da
Poggibonsi c'è una curiosità: sulla strada verso
Barberino Val d'Elsa e Firenze (la vecchia SS2,
cioè la Cassia), che corre sul crinale fra due
vallate, s'incontra una casa isolata in
posizione panoramica. Qui c'è il ristorante La
sosta del papa, con tanto di lapide che
spiega il perché del nome. Di qui passava il
papa Pio VII il 2 giugno 1813 diretto a Roma,
allorché urgenti e indifferibili necessità
fisiologiche lo hanno costretto a far tappa.
Succede a tutti; neanche i papi ne sono esentati.
La cosa notevole semmai è che qualcuno si sia
sentito in dovere di ricordar l'episodio con una
lapide stile “Garibaldi ha dormito qui”. C'è da
chiedersi cosa si dovrebbe fare negli autogrill
autostradali.
S. Gimignano
(Fra) è famosa per essere una fungaia di torri:
già fa un figurone con le sue 14 di oggi, quando
la si vede di lontano da certi punti nelle
strade circostanti (come venendo da Firenze
sulla superstrada, o da Monteriggioni);
figurarsi ai tempi di Dante, quando era arrivata
a 72! Le torri si costruivano per le rivalità
fra le famiglie: ciascuno voleva che la propria
superasse quella del vicino non solo per
prestigio, ma anche per meglio tiragli le pietre
in testa, perché le zuffe lì come dappertutto
erano all'ordine del giorno ed in fondo erano la
versione in miniatura delle guerre. Quante
nostre architetture e tesori d'arte hanno
origini così poco pacifiche? Torri, mura e
castelli non si facevano per il gusto del bello;
perfino i magnifici borghi fortificati che oggi
ci meravigliano erano la conseguenza della paura
che regnava dovunque. Vien da pensare all'amara
riflessione del protagonista del film il
terzo uomo: “In Italia (...) hanno avuto
guerre, terrore, assassinii, massacri e hanno
prodotto Michelangelo, Leonardo e il
Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore
fraterno, 500 anni di pace e democrazia e
cos'hanno prodotto? Gli orologi a cucù”.
La vicina Colle Val d'Elsa (Fra)
ha il centro storico quasi in bilico su uno
stretto e lungo sperone roccioso, come sempre
per sorvegliare le vallate circostanti e dare
difficoltà ai nemici.
Monteriggioni
è un bell'esempio di borgo
medievale
intatto, in cima alla sua brava collina e cinto
di mura integre e ben visibili da lontano.
Peccato che il reclamizzato giro delle mura si
riduca a due brevi segmenti alle opposte
estremità, se non altro visitabili con un solo
biglietto che comprende anche il piccolo museo.
A poca distanza verso ovest
troviamo la piccola Abbadia a Isola
(Fra),
classico esempio di convento fortificato, oggi
minuscolo abitato.
Siena (Fra)
presenta sempre delle vedute memorabili.
L'emozione arrivando nella piazza del Campo è la
stessa della prima volta; e dire che questa per
me è già la quarta. Certi scorci sono ancora una
sorpresa. Arrivati nei giorni del Palio, viene
in mente l'atmosfera vista anni fa in
quest'occasione, un misto di feste, sfilate,
allegria generale che si frantuma in infinite
curiosità e aneddoti. Fra questi, la sfilata dei
carabinieri conclusa da una scenografica uscita
dalla piazza al galoppo infilando una stradina,
con l'ufficiale che comanda la carica a sciabola
sguainata: solo che nella foga la sciabola
s'infilza in un palo e il carabiniere ne resta
appeso, mentre il suo cavallo e i suoi
commilitoni dietro escono di gran carriera; la
gente che me lo raccontava rideva ancora a
distanza di anni. Oppure le descrizioni lette
sulla mia storica guida TCI, che, parlando del
giorno della corsa, riporta che “verso le 14,
nella chiesa di ogni contrada che corre viene
portato il cavallo per essere benedetto e se
esso manca di rispetto al luogo sacro, ciò viene
tenuto di buon augurio”. Purtroppo quest'anno
niente Palio; i contradaioli, comprensibilmente
un po' abbacchiati, hanno tentato di sostituirlo
con qualche festicciola locale, oltre ad
addobbare le case con le bandiere della
rispettiva contrada: effetto cromatico notevole
ma forse un po' malinconico.
Una delle tante stranezze:
nella ripida Costa S. Antonio c'è un ristorante
che non rinuncia a mettere i tavoli all'aperto;
i tavoli hanno gambe di altezze diverse ed i
commensali devono sedersi da un solo lato perché
dall'altro non ce la farebbero neanche stando in
piedi.
Uscendo da Siena verso
sud-est, dopo Arbia si entra nel paesaggio un po'
allucinante delle crete senesi, e si vedono
calanchi uno più grigio dell'altro;
la
poca vegetazione è solo presso i ruscelli sul
fondovalle, mentre sulle alture, se ce n'è, si
riduce all'erba e a pochi cespugli. Qui si
incontrano autentici masochisti in bicicletta
che pedalano in quel paesaggio senza la minima
ombra, ma con salite in abbondanza, in modo da
soffrire al meglio sotto la calura. Verso
Asciano riprende la vegetazione, che poi diventa
sempre più fitta, tanto da nascondere l'abbazia
di Monte Oliveto Maggiore che
s'intravede fra gli alberi solo dalla strada che
sale da Buonconvento. L'abbazia è famosa per il
ciclo di affreschi su S. Benedetto nel chiostro
grande.
Affacciato sui bordi d'un
altipiano, Serre di Rapolano
ospita una grancia, una specie di
deposito-granaio fortificato entro un paese già
fortificato per conto suo; è una costruzione
analoga alla grangia piemontese, che
invece è più una fattoria isolata. Qui si
raccoglievano le coltivazioni dalle campagne
attorno, il tutto a beneficio dall'ospedale di
S. Maria della Scala di Siena, che possedeva
questa struttura ed altre simili nella provincia.
A Chianciano siamo riusciti
ad incontrarci con Anna Busca e famiglia, e con
loro abbiamo condiviso le tappe fino a Chiusi:
il suo resoconto di questa parte, da confrontare,
è nell'articolo “Andar per terme”.
Chianciano Terme
non ci è piaciuto. Vi abbiamo fatto tappa solo
perché era l'unico posto nella zona dove in
pieno agosto si trovava da dormire cercando
all'ultimo momento. Ma forse c'è un perché: è un
luogo senza carattere, popolato di alberghi e
casoni alti, dall'architettura essenziale ed
anonima, anni '60 e '70, che non stonerebbero in
una località di turismo intensivo tipo rivera
romagnola, ma stonano di maledetto nell'ambiente
pastorale di quelle colline. Per di più è anche
sgangherato: molti alberghi e negozi sono chiusi
e qualcuno è cadente e perfino in rovina; si
respira un'aria di crisi evidente, e il virus
non c'entra: è roba di anni, e le cause staranno
in un malgoverno di lunga data, forse nell'aver
creduto in un modello di sviluppo intensivo che
si è rivelato un disastro. Abbiamo pure trovato
due soli ristoranti aperti, con tempi
lunghissimi d'attesa. L'unica nota positiva è il
bel panorama che si apre ad est verso i laghetti
di Montepulciano e di Chiusi, su Città della
Pieve e tutte le colline circostanti.
Montepulciano
contiene almeno due cerchie concentriche di
epoche diverse,
medievale (la più interna) e rinascimentale, e
ciascuna è limitata da case fortificate.
Purtroppo abbiamo trovato la piazza principale
ingombra da un palco per spettacoli, che
intralciava la prospettiva del duomo e dei bei
palazzi attorno; ma questo è un rischio che va
messo in conto. La classica posizione in cima al
monte, alla rispettabile altezza di 600 m,
procura vasti panorami sulla val di Chiana ad
est, arrivando al Trasimeno, e sulla val d'Orcia
a ovest. Al ritorno abbiamo deviato su stradine
secondarie, parte in terra battuta (cosa che non
nuoce all'atmosfera), per raggiungere il
minuscolo e solitario fortilizio del
Castelluccio di Pienza,
anch'esso una
grancia dell'ospedale di Siena, e poco più
avanti La Foce, dove non si è potuta visitare la
villa Origo ed il bel parco, ma ci siamo
consolati col più classico dei paesaggi
toscani,che verso sud-ovest si spinge al monte
Amiata e verso sud alla rocca di Radicofani.
Pienza ha
preso il nome dal papa Pio II che ha voluto
trasformare il borgo di Corsignano, per dar
prestigio al suo luogo natale, seguendo le
teorie architettoniche e urbanistiche di Leon
Battista Alberti. Così un modello
quattrocentesco si è splendidamente innestato su
di una struttura medievale. Magnifico il
panorama dalla balconata verso l'Amiata sul lato
sud. I panorami continuano anche dalla strada,
che corre sul crinale.
Non abbiamo trascurato una
deviazione al solitario monastero di S. Anna in
Camprena, ma purtroppo era chiuso.
Poco a ovest merita una
visita anche S. Quirico d'Orcia
(Fra), che, pur meno spettacolare, mantiene il
carattere delle cittadine della zona. La strada
da Siena entra in città salendo con uno strano
viadotto in curva, alla cui fine c'è un
monumento a Nuvolari, e non è un caso: di qui
passava la Mille Miglia nelle sue prime 11
edizioni (1927-'37) diretta a Roma e nelle
ultime 7 ('51-'57) provenendone. Ma né il
Nìvola né gli altri badavano certo alla
bellezza dei luoghi.
Da S. Quirico si scende sul
fondovalle dell'Orcia e poco prima del fiume
s'incontra
il minuscolo e curiosissimo abitato di
Bagno Vignoni (Fra), costituito in
pratica da una gran vasca contornata di poche
case. L'acqua che la riempie sgorga da sorgenti
sotterranee a 52°, ed il luogo, come dice il
nome, era un centro termale, noto anche agli
etruschi. Fra i frequentatori storici c'è anche
S. Caterina, cui è dedicato il loggiato nel lato
sud. Oggi i bagni sono vietati, così come le
nuove costruzioni, e questo è un bene perché il
luogo ha mantenuto il suo aspetto dei tempi
andati, invece di ridursi ad una babilonia.
Con un lungo giro su e giù
per le colline abbiamo infine raggiunto la
pregevole abbazia di S. Antimo,
che risale ai tempi di Carlo Magno; sorge
isolata in una conca ed è circondata da un rado
uliveto.
Le tappe di questa giornata
una volta tanto non si trovano in cima ad
un'altura ma sono tutte comodamente
raggiungibili in piano o quasi.
Chiusi è il
paradiso per l'appassionato di arte e storia
etrusche. Anna ne ha fatto un resoconto completo.
Una curiosità appena fuori
Chiusi: sulle opposte rive del fiumicello-canale
presso cui passa ancora oggi il confine
tosco-umbro si fronteggiano le due Torri Béccati.
La torre toscana è piccola, ottagonale e
graziosa (si sente l'influenza senese); quella
umbra, su una piccola altura, è squadrata e
massiccia. Niente di che, ma la curiosità sta
nei loro nomi: Beccati Questo la
toscana, Beccati Quest'altro l'umbra,
tanto per rimarcare le doverose cortesie di buon
vicinato.
La zona del Trasimeno
presenta uno dei paesaggi più riposanti
dell'intero percorso.
Castiglione del Lago
occupa una penisola un po' in collina. Luogo
grazioso, con bei panorami sul lago, ma non
visitatelo di mercoledì, come noi: il mercato
impedisce l'accesso ai parcheggi più comodi e si
deve lasciar l'auto in basso.
Una sorpresa è stata
Panicale: paese in bella posizione con
panorami che arrivano al Trasimeno; il centro
storico -in pratica l'intero abitato- è un
gioiellino intatto e ben ristrutturato.
Perugia, pur
meno spettacolare di Siena, è forse la città che
mi è piaciuta di più in questo viaggio. Le altre
volte che l'avevo vista non avevo valutato con
la dovuta attenzione la sua posizione a cavallo
di vari speroni collinosi, che garantisce vasti
panorami da tutte le parti, ancor meglio che a
Siena. Una città che si sviluppa così in
verticale fornisce senz'altro ottime prospettive
un po' dovunque, ma ti cava anche il fiato. Così
per accedere al centro storico dai quartieri
meridionali più in basso ci sono le famose,
comodissime e preziosissime scale mobili (funzionano
come ascensori, e sono gratuite!), con le quali
si attraversano i curiosi ambienti sotterranei
della rocca Paolina, sotto i giardini
Carducci. Si tratta dei resti della fortezza
papalina (Perugia era nello stato della Chiesa
fino al 1860) costruita più per tener d'occhio i
riottosi perugini che per difendere la città,
perciò odiata e rasa al suolo con l'unità
d'Italia. Questi sotterranei, oggi in buona
parte accessibili anche se disadorni, sono tra
l'altro un fresco intermezzo nelle passeggiate
sotto il solleone.
Fa poi impressione
l'acquedotto che su un viadotto fra le case
raggiunge il centro in forte salita (!) dal lato
nord: l'idea stessa dell'acquedotto richiama la
linea orizzontale, e sembra impossibile vederne
uno con opposte pendenze così ripide; in effetti
era una condotta forzata, e di sette secoli
fa. Non è però un unicum: c'è
qualcosa di simile a Genova, dalle parti di
Staglieno, ma direi meno spettacolare. Oggi
l'acqua non vi scorre più e il ponte è un
percorso pedonale.
Spello
accoglie il turista con la porta Consolare
d'epoca romana, affiancata da una torre
medievale che ha degli alberi in cima; si era
già vista una torre così a Lucca. La cittadina è
ben curata e molti angoli sono pieni di fiori.
Nella chiesa di S. Maria Maggiore la Cappella
Baglioni contiene i magnifici affreschi del
Pinturicchio: erano anni che desideravo
rivederli. Anche questa visita è contingentata,
ma l'attesa è stata breve; è vietato fotografare,
e mi pare d'esser stato l'unico fra i visitatori
a farsi questo scrupolo.
Abbiamo barattato la visita
di Spoleto con l'escursione al Monteluco,
che coi suoi 800 m di quota è una bella
eccezione ai bollori del fondovalle. Si comincia
a salire presso il celebre ed impressionante
Ponte delle Torri; il primo tornante è
presso la sua estremità est. In cima si trova un
antico, minuscolo e solitario eremo (poco o
niente segnalato) che ancora funziona e si può
visitare in parte: oltre alla chiesa si vedono
le celle primitive dei monaci. La pace che vi
regna richiama quella che si avverte ai
Camaldoli.
Poco
fuori Perugia, Corciano è stata
un'altra sorpresa, un po' sul genere di Panicale.
Qualcosa del genere vale anche per
Gualdo Cattaneo e Giano
dell'Umbria, nelle dolci colline fra
Foligno e Todi, ma soprattutto per Vallo di Nera, nei più aspri dintorni di Spoleto: qui l'intero
complesso di case in pietra, molte turrite, è
magnificamente conservato ed oggi è
ufficialmente classificato fra i borghi
più
belli d'Italia. Se ne era parlato in una puntata
della trasmissione Bell'Italia appena
un mese prima.
Perfino in questi piccoli
abitati si riescono a vedere più cerchie
concentriche delimitate da case fortificate.
Sempre in posizione elevata e
sempre dotata di più cerchie, Todi ha una bella,
lunga e luminosa piazza che unisce il duomo, con
la gradinata davanti, al palazzo dei Priori. Ma
per il resto presenta stradine strette con case
alte che danno poca luce e di conseguenza
un'atmosfera un po' cupa.
A Gubbio ci
si trova a ridosso della catena dell'Appennino e
la montagna alle spalle della città è tutt'altro
che una dolce collina. La città coi suoi palazzi
turriti si arrampica a gradinate una volta tanto
non sulla cima ma sul fianco della montagna,
come Assisi. La bella piazza della Signoria,
compresa fra i palazzi Pretorio e dei Consoli,
si affaccia con una terrazza panoramica sui
quartieri bassi.
Ad Acqualagna abbiamo
lasciato la superstrada per continuare sulla
vecchia Flaminia e raggiungere la gola
del Furlo, una strettoia rocciosa e
selvaggia con lago artificiale. Qui già
nell'antichità era stata aperta una galleria per
far passare la via Flaminia in quel punto
difficile; il buco (“forulum”) nella montagna ha
dato il nome al luogo. Lo scavo è doppio: una
prima galleria, stretta e brevissima (8 m),
risale al 214 a. C.; nel 76 d. C. ne è stata
aperta una seconda, parallela, più lunga (38 m)
e più larga. Entrambe sono scavi diretti nella
roccia, privi di rivestimento tranne il portale
ovest relativamente moderno della seconda. Oggi
la galleria primitiva è visibile ma
inaccessibile, mentre si può ancora percorrere
la seconda, pur se a senso unico alternato, che
non è lontana dal compiere i duemila
anni di vita. Naturalmente la superstrada
attuale evita la zona con un ben più lungo
tunnel a nord.
La
massima attrattiva di Urbino è
l'enorme palazzo Ducale, con la facciata
racchiusa fra le strane torrette laterali e le
balconate nella parte centrale, a dominare da
una certa altezza la vasta piazza del mercato. È
anche uno scrigno di opere d'arte. Il resto
della città è bello ma non all'altezza di questo
complesso.
Abbiamo infine attraversato
il Montefeltro, passando per il valico sopra
Villagrande, sui mille m di quota, con vasto
panorama su S. Marino e il mare lontano. Nella
discesa appare di colpo S. Leo,
cui si arriva per una stradina che gira sotto
l'impressionante strapiombo della rocca. Questa
è il clou del minuscolo paese, che ha però anche
un paio di antiche chiese interessanti.
Tutt'attorno, il paesaggio è punteggiato di
spuntoni rocciosi che sbucano qua e là; S.
Marino e S. Leo sono solo i maggiori.
2 ottobre 2020
Giovanni
Saccarello
SETTEMBRE
2020
A TIVOLI, SUI PASSI DI
MARGUERITE
di Anna Busca
Marguerite Yourcenar visitò
Villa Adriana nel 1924, quasi cent'anni fa,
appena ventenne, e ne rimase folgorata. Il germe
della sua opera più famosa, Memorie di Adriano
(1951), nacque già allora nella sua mente.
E passeggiando tra i resti di quella che fu
un'immensa residenza imperiale - ma non solo, è
un incredibile museo e una sorta di libro antico
a cielo aperto - nei pressi di Roma, sembra di
immergersi in quelle meravigliose pagine che
fanno rivivere tempi e luoghi e danno un senso
di immortalità al lettore stesso. La villa si
estendeva per un'area di almeno 120 ettari, di
cui oggi è visitabile solo un terzo.
L'imperatore Adriano (76-138 d.C.), successore
di Traiano nel 117 d.C., la fece costruire a
partire dall'anno seguente a sud dell'antica
Tibur, oggi Tivoli (fu però terminata dal
successore Antonino Pio) immaginando di
riportare in un solo luogo edifici e paesaggi
legati alla cultura greco-alessandrina e ai suoi
viaggi, in modo che fosse una sorta di città "filosofica",
estremamente raffinata, ricca di simboli e
decorazioni preziose. Adriano, ammiratore della
civiltà greca, coltissimo, tanto da poter essere
considerato un letterato, ma anche un musicista,
e
perfino
un architetto, dotato di una personalità
complessa e tormentata, riuscì nel ventennio in
cui fu imperatore a consolidare le frontiere
dell'impero romano, che aveva raggiunto la sua
massima espansione, e a garantire un lungo
periodo di pace. Visitò Gallia, Germania,
Britannia (fu costruito dal 122 al 128 d.C. il
famoso Vallo fortificato che porta il suo nome),
Spagna, Mauritania, le province orientali (ben
conservata la Porta di Adriano ad Adalia, in
Turchia, del 130 d.C.), quelle africane,
lasciando
sempre tracce importanti, sotto forma sia di
riforme di tipo amministrativo che di edifici
pubblici monumentali, a volte da lui stesso
progettati. Seppe utilizzare le sue esperienze
militari - era stato tribunus militum in
Pannonia, Mesia, Germania, e ancora legatus
legionis in Germania - per organizzare al meglio
forze e risorse, non senza ricorrere, talvolta,
a metodi brutali di repressione, in particolare
all'inizio del suo principato. La sua politica
fu fondamentalmente tollerante e nel contempo in
grado di tutelare gli interessi dello Stato. Ed
è con questa immagine di Adriano, principe
illuminato,uno dei pochi imperatori romani a
morire di morte naturale e non assassinato in
qualche congiura, che
si può iniziare l'indimenticabile visita alla
Villa, dove le cure del corpo e dell'anima
trovavano la massima espressione artistica e
architettonica. Strutture residenziali, terme,
giardini,
ninfei, palestre, biblioteche si
susseguivano e si collegavano anche tramite una
rete viaria sotterranea carrabile e pedonale,
per i servizi. Il sito è circondato da una bella
campagna, e i tentativi di rovinare il paesaggio
intorno fino ad oggi sono stati respinti dalla
Soprintendenza Speciale di Roma e dal TAR del
Lazio; purtroppo qualcuno sta ancora cercando di
aprire una discarica a Corcolle (terreni
agricoli più
volte, in questi anni, sono stati bruciati, a
scopo intimidatorio nei confronti di chi
protesta!), a 700 m circa da Villa Adriana. Si
confida
che chi lavora per tutelare l'ambiente e
le opere d'arte persista nel difendere contro
attacchi di sicura matrice mafiosa questo
straordinario Patrimonio dell'Umanità.
Preservare i dintorni è fondamentale non solo
per ragioni di salute pubblica ma anche per
evitare che tanta bellezza perda splendore; e il
contraccolpo in termini di flussi turistici e di immagine dell'Italia sarebbe irreparabile. Un
vasto parcheggio, peraltro un po' nascosto da
muretti e vegetazione e quindi non
particolarmente invasivo (e d'altronde
necessario!), consente di lasciare l'auto al
costo accettabilissimo di 3 euro per poter
accedere alla biglietteria (intero 10 euro).
All'ingresso, in un casottino, si può osservare
un plastico della villa, un
modellino che consente di
avere un'ottima idea
della costruzione originaria. Osservandolo ci si
rende conto che la visita non può richiedere
meno di 3 ore... E chi desidera soffermarsi più
a lungo, trascorrerà buona parte della giornata
in un luogo assolutamente straordinario. Una
volta entrati ci si trova in un ampio spiazzo
erboso, rettangolare. Si tratta del Pécile,
lungo circa 250 m e largo 100 m, al centro del
quale si trova un'enorme vasca. Intorno, un
quadriportico. Non si tratta della ricostruzione
del portico di Atene, dove peraltro Adriano
soggiornò a lungo, bensì di una grande zona a
giardino, nel quale passeggiare in ogni stagione,
visto che poi ci si poteva facilmente riparare
dalla pioggia o dal sole cocente. Ci si sposta
quindi nel Ninfeo, per passare dalle Piccole e
Grandi Terme e giungere al Canopo. Il Ninfeo è
stato un tempo interpretato come stadio, viste
le sue dimensioni. In realtà doveva trattarsi di
uno spazio da utilizzare soprattutto in estate,
avendo diverse fontane e giochi d'acqua con
cascatelle, nonchè portici, pergolati,
padiglioni, fioriere e giardini, che garantivano
frescura e tranquillità. Nelle Piccole Terme si
trova una sala ellittica con vasche, che forse
costituivano il frigidarium, e diversi ambienti;
nelle Grandi Terme si trovano palestre, piscine,
alte colonne con capitelli ionici, decorazioni a
stucco. Il Canopo si trova in una specie di
valle artificiale ed è un lungo canale che
doveva rappresentare
il Nilo: un coccodrillo di
pietra su una sponda rivela infatti il suo
significato. Adriano si era recato in Egitto e
aveva navigato a lungo sul fiume, raggiungendo
anche i Colossi di Memnone; e il giovane Antinoo,
bellissimo greco originario della Bitinia, che
divenne appena adolescente l'amante favorito
dell'imperatore e lo seguì in numerosi viaggi,
annegò, neppure ventenne, proprio nel Nilo, nel
130 d.C. La morte di Antinoo forse non fu
accidentale: qualche storico ipotizza perfino un
sacrificio umano; altri suggeriscono che si
trattasse di un suicidio per amore, legato alla
credenza che la morte di un giovane amante
potesse prolungare la vita di un vecchio.
Adriano ne fu grandemente addolorato, tanto da
piangere spesso in pubblico, suscitando scandalo,
come riportano le cronache. Antinoo fu subito
divinizzato -caso unico nella storia romana, non
essendo un famigliare dell'imperatore - e il suo
culto si diffuse rapidamente; fu fondata la
città di Antinopoli, presso il luogo
dell'annegamento, e si inaugurarono giochi a lui
dedicati. Il dio Antinoo si sovrappose alla
divinità egizia di Osiride. Non stupisce quindi
che Adriano volesse omaggiare l'Egitto nella
villa con un'area
suggestiva, ricca di opere
d'arte, ispirata ai templi di culto egiziani.
Uno splendido busto nudo di Antinoo, in marmo,
un vero e proprio ritratto di un dio tra
l'apollineo e il dionisiaco, assimilabile per
bellezza ad Adone, fu ritrovato a Villa Adriana
durante scavi del XVIII secolo e ora si può
ammirare al Museo del Louvre (peccato che non
sia rimasto a Roma!). Un colonnato, di cui è
rimasta solo una parte insieme ad alcune statue
(calchi, in realtà), circondava il Canopo, che è
chiuso da un imponente Serapeo.
Si può salire una scala e ammirare dall'alto la
vista dell'acqua - curiosamente verdissima - e
dell'insieme monumentale. Tornando verso le
Terme si può passare dal Pretorio, un tempo
interpretato come palazzo delle guardie
pretoriane; invece dovevano essere semplici
magazzini. Il Palazzo dell'Imperatore occupa
un'area vastissima, ma purtroppo dell'antico
splendore resta poco. Tutta l'area fu purtroppo
devastata e depredata nei secoli successivi;
soprattutto nel Medioevo e nel Rinascimento si
ricavarono dalla villa pietre, colonne, marmi e
mosaici per costruire a Roma chiese o palazzi.
Si può comunque immaginare la grandiosità
dell'edificio camminando verso la Piazza d'Oro,
con un vasto peristilio di 60 colonne, un
vestibolo, un'ampia sala; si attraversano
cortili, atri, sale, biblioteche, porticati, che
in realtà sono immense rovine, di cui restano
parti di tetto, di arcate, di alte mura, di
pavimenti a mosaico. Per "ricostruire" il
palazzo, o per lo meno quanto è rimasto, si può
salire su una sorta di altura chiamata Terrazza
di Tempe, ombreggiata
da una bella vegetazione
abbastanza curata: si riesce ad avere una
visione d'insieme
molto interessante. Splendida è la Villa
dell'Isola: all'interno di una costruzione
circolare con un colonnato vi è un canale ad
anello, dove vivono pesci e tartarughe, che
circonda un'isoletta dove si trova una specie di
piccola villa, anch'essa con colonne.
Probabilmente era un luogo, di grande
raffinatezza, dove poteva essere rappresentato,
per gli ospiti o per l'imperatore, qualche
spettacolo che richiedesse un'ambientazione con
l'acqua. Oppure si ascoltavano poeti declamare
le loro poesie, o musici suonare i loro
strumenti. A lato, si può entrare nella sala
absidata detta "dei Filosofi". Procedendo verso
il Teatro greco - ricoperto d'erba e al momento
poco significativo - si passa davanti al
tempietto di Venere, in stile
dorico, circolare.
All'interno si trovava una statua di Afrodite,
copia dell'opera di Prassitele del IV sec.a.C.
detta "Afrodite Cnidia", andata perduta
nell'incendio di Costantinopoli del 475 d.C. La
statua era così meravigliosa che perfino Plinio
raccontava che un giovane se ne fosse
perdutamente innamorato. Non ne restano che
copie romane. Ed ecco, verso l'uscita, un
cartello che riporta un brano di Marguerite
Yourcenar tratto da Memorie di Adriano: "La pace s'instaurerà di nuovo tra le guerre; le parole
umanità, libertà, giustizia ritroveranno qua e
là il senso che noi abbiamo tentato d'infondervi.
Non tutti i nostri libri periranno; si
restaureranno le nostre statue infrante; vi
saranno uomini che penseranno, lavoreranno e
sentiranno come noi: oso contare su questi
continuatori che seguiranno a intervalli
irregolari lungo i secoli, su questa immortalità
intermittente".
settembre 2020, Anna
Busca
TRA ACROPOLI
E MURA CICLOPICHE
Anagni: siamo in Ciociaria,
ed è da questa città saturnia che è iniziata la
nostra esplorazione di un territorio laziale
davvero splendido - il cui nome deriva da ciocia,
calzatura rustica di antichissima origine -
tenendo come base Fiuggi (vedi Andar per terme).
Anagni evoca immediatamente un famoso schiaffo
di oltre 700 anni fa. Era infatti l'8 settembre
1303 quando il papa Bonifacio VIII - cui è
dedicata la fonte
principale di Fiuggi!- subì
qui un grave oltraggio, forse più morale che
realmente fisico, da Giacomo Colonna (detto
Sciarra, in volgare attaccabrighe) o, secondo
alcuni storici, da Guglielmo di Nogaret,
cancelliere del re di Francia Filippo IV di
Valois, detto il Bello. La storia si intreccia
con la leggenda: occorre comunque ricordare che
Bonifacio, della potente famiglia anagnese dei
Caetani, figura molto forte di papa-imperatore,
stava per promulgare un'ennesima bolla contro
Filippo, con la quale l'avrebbe scomunicato.
Chiesa e Stato si combattevano anche così, a
colpi di bolle e di schiaffi! Filippo, che
considerava suo diritto tassare e giudicare il
clero in Francia, aveva bruciato nel 1301 le
prime due bolle papali contro di lui e aveva
contraffatto la penultima, proibendo ai vescovi
francesi di partecipare al sinodo del 1302 a
Roma. Deciso a risolvere la questione una volta
per tutte, appoggiato dal Consiglio di Stato,
incaricò dunque il Consigliere per gli affari
religiosi Guglielmo di Nogaret di catturare
Bonifacio e di condurlo a Parigi perchè fosse
processato, con l'accusa pesantissima di essere
stato l'assassino del predecessore Celestino V,
nonché eretico, sodomita, simoniaco...Giunti ad
Anagni, il Nogaret e il Colonna arrestarono il
papa, forse dopo averlo colpito con un guanto di
ferro, e lo tennero prigioniero per tre giorni;
la città però si ribellò e riuscì a liberarlo.
Un mese dopo il settantasettenne Bonifacio,
afflitto da gotta e problemi renali, ma certo
anche provato dall'assalto, spirava a Roma. La
figura controversa di questo pontefice richiama
un periodo storico molto complesso che merita
senz'altro approfondimenti; e occorre citare
Dante, che nel XIX canto dell'Inferno prevede
l'arrivo di Bonifacio VIII (non ancora defunto,
il viaggio dantesco è collocato nel 1300! )
nella terza bolgia dell'ottavo cerchio, quella
dei simoniaci, ognuno a testa in giù dentro una
fossa, con i piedi bruciati dalle fiamme. "Se' tu già costì ritto,/se' tu già costì ritto,
Bonifazio?". Dante era un guelfo bianco;
essendoci forti contrasti a Firenze con i guelfi
neri, appoggiati dal papa, l'Alighieri, che
all'epoca ricopriva incarichi di governo, fu
inviato a Roma come ambasciatore nel 1302. Non
ottenne alcun accordo con Bonifacio, nonostante
una lunga anticamera; anzi, fu poi costretto
all'esilio perchè nel frattempo il nuovo podestà
di Firenze, Cantuccio Gabrielli, guelfo nero,
l'aveva condannato al rogo accusandolo di frode,
proventi illeciti, pederastia ... L'esilio fu
fecondo perchè la Divina Commedia fu scritta
proprio in quegli anni, ma Dante non riuscì più
a tornare a Firenze. La sua ostilità nei
confronti di Bonifacio VIII è dunque
giustificata! Tuttavia, nel XX canto del
Purgatorio (vv.85-93), Dante citerà lo schiaffo
di Anagni sotto forma di profezia post eventum,
condannando apertamente l'aggressione: Filippo
diventa il "novo Pilato sì crudele" che ha fatto
catturare il vicario di Cristo, in modo da "rinovellar
l'aceto e il fiele". La sede pontificia fu poi
trasferita ad Avignone, dal 1309 fino al 1377:
d'altronde, il papa Clemente V, eletto nel lungo
conclave del 1305, era, guarda caso, francese...
Il richiamo a queste vicende nasce visitando il
Palazzo di Bonifacio VIII, con la Sala delle
Oche e la bellissima Sala delle Scacchiere, dove
la
tradizione vuole che si consumasse
l'oltraggio. Una statua di Bonifacio campeggia
quasi trionfante, su una sorta di trono
sovrastato da un baldacchino di marmo, su un
lato dell'imponente cattedrale romanica di
S.Maria Annunziata,del XII secolo. Per visitare
la chiesa occorre acquistare il biglietto per il
Museo della Cattedrale (intero 9 euro). E si
inizia un itinerario artistico meraviglioso,
passando dalla Biblioteca - che conserva
incunaboli del XV secolo, risalenti agli albori
della tipografia - alle sagrestie con un tesoro
di preziosi oggetti sacri, alle tre navate dal
pavimento cosmatesco della cattedrale, per
giungere alla Cappella Caetani e all'Oratorio-
antico mitreo romano del I-II sec. d.C.-
dedicato a Thomas Becket, l'arcivescovo inglese
trucidato a Canterbury nel 1170 a causa di
dissidi con il re Enrico II, e fatto santo tre
anni dopo. Qui le pareti presentano splendide
pitture che rappresentano scene bibliche,
insieme alla vita e alla morte di Becket. Ma è
scendendo nella cripta di San Magno che si resta
davvero stupefatti: un ciclo di affreschi
perfettamente conservati, opere di maestri
anonimi vissuti tra il XII e il XIII secolo, che
porta chi osserva a entrare nella cosmologia
antica, nella filosofia di Platone e di
Aristotele, nell'Apocalisse, nei temi insomma
più profondi
toccati dalla cultura medioevale.
L'appellativo di "Cappella Sistina" del Medioevo
è pienamente meritato! Anagni occupa la parte
sommitale di una collina; a ridosso di questa,
lungo le circonvallazioni, si notano tratti di
cinta muraria, fortificazioni risalenti al
IV-III sec. a.C. che presentano veri propri
macigni di pietra calcarea. Furono gli
archeologi del '700 e dell''800 a soprannominare
queste mura "ciclopiche": e l'esempio più
impressionante si può osservare soprattutto ad
Alatri, anch'essa sopra
un colle a 500 m di
altezza. In questa città l'acropoli, del IV
sec.a.C, ha una grande cinta trapezoidale di
enormi blocchi poligonali incastrati a secco,
con due porte; un architrave monolitico, secondo
in Europa solo alla Porta dei Leoni di Micene,
sormonta la Porta di Civita o dell'Areopago,
superata la quale si salgono dodici gradini per
giungere nel vastissimo piazzale alberato da cui
si gode un magnifico panorama. Qui si trova la
concattedrale di San Paolo Apostolo, rifatta nel
XVIII sec., che conserva la reliquia medioevale
detta "Ostia incarnata", in un tabernacolo
dorato sorretto, in alto, da due mani di bronzo.
La vicenda coinvolge il papa Gregorio IX,
destinatario nel 1228 di una lettera del vescovo
di Alatri che lo informava di un "miracolo
eucaristico": un'ostia trattenuta in bocca, non
deglutita, e poi messa in un panno era diventata
un pezzo di carne sanguinolenta! Una "certa
giovane" aveva commesso il peccato su
sollecitazione di una "malefica donna", per poi
pentirsi visto quanto accaduto: forse voleva
preparare un filtro d'amore su ricetta di una
fattucchiera... Con una bolla (tanto per
cambiare) Gregorio gioisce per il miracolo e nel
contempo ordina punizioni per le due colpevoli:
non ci è dato sapere quali, ma dato il periodo
di caccia alle streghe, possiamo purtroppo
immaginare le sofferenze cui furono sottoposte.
Solo tre anni prima il Concilio Lateranense
aveva definito la dottrina della
Transustanziazione, quindi il dogma veniva così
rafforzato, anche se erano necessarie due povere
donne come vittime sacrificali. Lasciata
l'acropoli, eccoci davanti alla Chiesa di Santa
Maria Maggiore, romanico-gotica, con un
magnifico rosone. Tra Anagni e Alatri non
possono però mancare altre due visite importanti.
A Ferentino, antica città contesa da Ernici,
Volsci e Romani per la fertilità della sua terra
(da qui il nome), in cima a un colle che domina
la valle del Sacco, si sale una strada che porta
all'acropoli, passando davanti a un mercato
romano coperto, del I sec a.C., con cinque
botteghe ad arcate. Si raggiunge il bel Duomo
romanico (la concattedrale dei Santi Giovanni e
Paolo)con pavimento cosmatesco del XII sec.; dal
piazzale, una vista stupenda.Da vedere anche
l'abbazia di S.Maria Maggiore, una delle prime
in stile gotico-cistercense, di notevole
importanza; nei pressi, i resti del teatro
romano e la Porta Sanguinaria.La cinta delle
mura ciclopiche è ben conservata. Fumone
raggiunge quasi gli 800 m di altezza, in cima al
Monte omonimo, ed è un borgo medioevale
affascinante: deve il suo nome al fatto che da
qui - il panorama è vastissimo - partivano
segnali di fumo per avvisare i territori vicini
di eventuali invasioni normanne o saracene. Nel
castello di Fumone, nel 1295, fu imprigionato il
già nominato papa Celestino V, il predecessore
di Bonifacio VIII: aveva rinunciato al
pontificato (ma forse l'atto di rinuncia fu
stilato proprio dal cardinale Benedetto Caetani,
il futuro Bonifacio) e fu per questo
soprannominato "Il papa del Gran Rifiuto". Qui
morì l'anno dopo, forse fatto uccidere appunto
dal "papa dell'oltraggio di Anagni". Nel
castello vi è il Museo Celestino V, che conserva
molte reliquie del medesimo, tra cui un pezzo di
cuore e un dente, ma ci sono anche, giunti
ovviamente dalla Terra Santa, "un frammento
della croce", "resti di S.Pietro e S. Paolo",
etc etc. Purtroppo un'antenna della RAI alta 78
m, posta nel 1964 in cima al Monte Fumone, a
ridosso del centro storico, su terreno privato
di proprietà del Vaticano, deturpa sicuramente
il paesaggio. Sindaco e abitanti sperano in un
"Gran rifiuto" del traliccio, che impedisce a
questo borgo di essere dichiarato tra i più
belli d'Italia: ma a tutt'oggi, l'enorme e
fastidiosa antenna resta in un luogo che doveva
essere tutelato a ogni costo, e sarebbe quindi
un vero miracolo che di questa possa presto
restare solo il ricordo! Ritornando verso Fiuggi
abbiamo fatto una sosta sulle rive del Lago di
Canterno, di origine carsica: una riserva
naturale da preservare meglio, perchè ci ha dato
un'idea di trascuratezza e abbandono.
Un altro circuito sicuramente
suggestivo ha riguardato monasteri medioevali,
un tempo mete di pellegrinaggi importanti e
ricchi di storia. Siamo giunti al mattino a
Subiaco e, da qui, abbiamo preso la strada
alquanto tortuosa per il Sacro Speco, parcheggiando (con difficoltà) a qualche decina
di metri dall'ingresso. E' il bellissimo
Monastero di San Benedetto; il suo soprannome
prende origine dal fatto che al suo interno è
conservata la grotta (speco) dove Benedetto da
Norcia trascorse tre anni da eremita, all'inizio
del VI secolo, prima di diventare monaco. Il
Santuario, sorretto da nove arcate e
contrafforti, è incastonato nella roccia, su una
parete del Monte Taleo, e risale all'XI sec.
Domina la valle dell'Aniene, tra fitti boschi.
La visita, a gruppi, è guidata: si entra per una
piccola porta gotica in un corridoio con pitture
murali, si passa da una sala capitolare e si
giunge nella chiesa superiore, con cicli di
affreschi di scuola senese del XIII-XIV sec.,
dai colori ancora vivissimi, riguardanti la
Crocifissione di Cristo, storie della Passione,
la Resurrezione e la vita della Madonna; alcuni
episodi della vita di Benedetto ci informano del
fatto che era solito punire duramente, a
bastonate (!) i giovani che non si adattavano
alle rigide regole della vita monastica e che
magari venivano considerati "indemoniati". Fu
forse per questo suo comportamento non certo
amorevole che qualcuno tentò per ben due volte
di avvelenarlo, con una coppa di vino e con un
pezzo di pane! A causa delle restrizioni da
Covid la nostra visita purtroppo non ha potuto
interessare alcuni ambienti di dimensioni
ridotte: in uno di questi, una cappella, si
trova il più antico ritratto di san Francesco,
che era venuto al Sacro Speco tre anni prima
della sua morte. Si passa alla chiesa inferiore,
dove si può vedere l'anfratto roccioso venerato
dai pellegrini, ammirando nel contempo altri
straordinari affreschi, con Storie della vita di
S. Benedetto. Tra questi, uno lo raffigura
insieme al papa Innocenzo III, che nel 1202
concesse con una bolla privilegi speciali ai
monaci dello Speco. Scendendo la scala santa,
ecco il bellissimo affresco "L'eremita Macario
mostra a tre giovani le condizioni della morte".
Ritornati con l'auto verso valle, ci siamo
fermati al Monastero di Santa Scolastica,
l'unico, tra i dodici monasteri fondati da
S.Benedetto intorno a Subiaco, ad aver resistito
a terremoti e attacchi saraceni. Scolastica da
Norcia era la sorella gemella di Benedetto, e il
monastero le fu intitolato nel XIV sec.
Ristrutturato più volte, ha chiostri bellissimi:
uno rinascimentale (XVI sec.), un secondo gotico
(XIV sec.) e un terzo cosmatesco (XIII sec.),
purtroppo quest'ultimo non visitabile
attualmente. Qui, nel 1465, si inaugurò la prima
tipografia italiana, grazie a due chierici
tedeschi allievi di Gutenberg. Anche la vita di
Scolastica, che entrò in convento giovanissima e
fondò l'ordine delle suore benedettine, si
intreccia a numerose leggende, a storie di
miracoli e reliquie, e naturalmente, alle
vicende biografiche del fratello. Scendendo
ancora lungo la strada, nei pressi dei resti
archeologici (piuttosto trascurati) della "Villa
di Nerone", si può raggiungere un parcheggio a
pagamento che consente di iniziare un percorso a
piedi di circa mezz'ora, nel bosco e sulla riva
del torrente, molto piacevole.
L'ingresso è
attualmente contingentato, occorre mettersi in
coda perchè la meta è molto ambita, anche per
rinfrescarsi: si tratta del laghetto di
S.Benedetto, dalle acque trasparenti color
smeraldo, dove l'Aniene si getta con una bella
cascata. Siamo alla "porta d'ingresso" del Parco
Naturale dei Monti Simbruini, catena appenninica
al confine tra Lazio ed Abruzzo. Spostandosi poi
verso la Ciociaria orientale si incontra
un'altra abbazia importante, isolata, quella
gotico-cistercense di Casamari, il cui nome
significa "Casa di Mario": Caio (Gaio) Mario,
condottiero romano sette volte console e
avversario di Silla, nacque in questi luoghi (Cereatae)
nel 157 a.C, ed è ancora ricordato (la via Mària
è una strada importante della zona). Perfino il
nome Camargue sembra derivi da "Caii Mari Ager":
non dimentichiamo che Mario aveva conquistato la
Gallia transalpina. Fondata nel 1095, l'abbazia
passò nel 1151 dai benedettini ai cistercensi,
che la ricostruirono e la resero uno dei centri
monastici più importanti dell'epoca, fino alla
sua decadenza nel XVIII sec. Si visita il
chiostro (che presenta stupende colonnine dalle
forme inconsuete), da cui si accede alla bella
Sala Capitolare e poi alla chiesa, a tre navate,
gotica, con vetrate e rosoni in lastre di
alabastro, da cui penetra una meravigliosa luce
giallo-ocra, davvero suggestiva. A una decina di
km si raggiunge Véroli, in cima a un colle: ed
eccoci di nuovo davanti a resti di mura
ciclopiche e a un'acropoli con magnifico
panorama, nonchè a edifici e quartieri
medioevali ben conservati. Interessante la
chiesa di S.Maria di Sàlome, che conserva al suo
interno una "scala santa" di dodici gradini di
marmo, fatta costruire tra il 1715 e il 1740.
"Si sale in ginocchio" recita un biglietto.
Lasciando ai devoti la sofferenza correlata a
tale pratica di origine medioevale, associata
alle indulgenze, ci siamo spostati ad Arpino,
ultima città saturnia da noi
visitata, passando
da Isola del Liri, una cittadina molto graziosa,
nel cui centro storico si può ammirare lo
spettacolo di una cascata di 27 m. Il fiume Liri
si divide in due rami e fa qui un salto
imponente, la Cascata Grande, appunto, creando
uno scenario davvero unico, soggetto spesso
scelto dai pittori romantici europei. Arpino (il
cui nome forse deriva dal fatto che si estende
sui colli con una forma "ad arpa") è la "Città
di Cicerone": nel suo territorio infatti nacque,
nel 106 a.C., Marco Tullio Cicerone, non solo
politico, avvocato e pater patriae per aver
denunciato in senato la congiura di Catilina
contro la Repubblica, ma soprattutto scrittore
ed oratore - "principe dell'eloquenza" - tra i
più importanti di tutta l'età romana, modello,
per la sua prosa, della letteratura latina. Una
sua statua in bronzo (Ferruccio Vecchi, 1958)
campeggia nella bella piazza del Municipio,
davanti ai resti del lastricato del decumanus
maximus, e, poco distante, ecco la statua di
Caio Mario (1938). Una passeggiata a piedi porta
a un magnifico belvedere sulla valle del Liri,
mentre in auto si può percorrere una strada di
circa 3 km che sale ai 650 m dell'acropoli,
detta "Civitavecchia": e qui si possono ammirare
straordinarie mura ciclopiche dell'VIII-VI
sec.a.C .,nelle quali
si apre un arco a sesto
acuto (o meglio un arco a mensola) che evoca
paesaggi dell'antica Grecia, in particolare le
porte scee. Una torre medioevale, residuo di un
castello merlato, detta "Torre di Cicerone" si
erge solitaria nei pressi, su un pianoro erboso
da cui si gode una bel panorama. L'ultima meta
di enorme interesse che abbiamo raggiunto
partendo da Fiuggi, nel nostro tour ciociaro, è
stata Palestrina, l'antica Praeneste. E in
questo luogo ritroviamo tracce di Caio Mario,
perchè il figlio ventiseienne Gaio
Mario il
Giovane trovò qui la morte, forse per suicidio,
dopo la sconfitta contro Silla (82 a.C) nella
prima guerra civile romana. Silla fece poi
uccidere tutti gli abitanti maschi di Praeneste.
Ma troviamo anche le orme di Bonifacio VIII, che
nel 1299 fece radere al suolo Palestrina, città
dei principi Colonna, suoi acerrimi nemici; e si
comprende quindi anche il motivo per cui un
Colonna, il già citato Sciarra, fosse poi ad
Anagni: vendicava così la sua famiglia e la sua
città! In questa lunga storia di stragi e
distruzioni è comunque riuscito ad arrivare fino
a noi abbastanza integro, riscoperto con
importanti scavi archeologici, uno dei siti più
importanti dell'antichità: il Santuario della
Dea Fortuna Primigenia (II sec. a C.).
L'ingresso è dall'alto, davanti al Palazzo
Barberini-Colonna, la cui architettura è in
perfetta sintonia con l'emiciclo sottostante; si
può scendere e poi
risalire le scalinate, che
congiungono ben sei terrazze da cui ammirare il
magnifico panorama. E' il complesso più grande
del periodo romano tardo-repubblicano che sia
giunto a noi; ricorda costruzioni ellenistiche,
come il tempio di Atena Lindia a Rodi. Sorto su
un luogo di antichissimo culto, sulle pendici
del monte Ginestro, vi si venerava una dea che
era sia la figlia primogenita di Giove che sua
madre, quindi simbolo dualistico e archetipo
della fecondità e della nascita, associato alla
divinità egizia Iside; nel tempio inferiore un
oracolo importante, paragonabile a quello di
Delfi, forniva responsi ai devoti che lo
interpellavano, tramite il sorteggio di
tavolette di legno di quercia incise con una
lettera antica (sortes) da parte di un bambino
che
simboleggiava Iupiter Puer, invocato dalle
madri di Praeneste. Le sortes, che venivano poi
combinate in vario modo dai sacerdoti per dare
il responso, erano conservate in un'arca
costruita con il legno di un ulivo, albero sacro
del santuario, da cui sarebbe stillato miele
come segno prodigioso. Mura ciclopiche, colonne,
vasche, portici, nicchie, pozzi: tutto
testimonia una grandiosità solenne e incute un
senso di mistero. Del piccolo tempio circolare
in alto restano solo le fondazioni: la statua
della dea Fortuna, in bronzo dorato, era al suo
interno.
A noi è rimasta una grande testa in
marmo bianco rinvenuta durante gli scavi; e
immagini della dea Fortuna, con la cornucopia,
simbolo di abbondanza, sono piuttosto frequenti,
anche se di diverse epoche e luoghi. Cicerone
racconta le origini del culto prenestino nel De
divinatione (II, XLI, 85), associandole a sogni
di un certo Numerio Suffustio e criticando
fortemente, da intellettuale razionale qual era,
gli aspetti legati alla superstizione e alla
credulità del "popolino". Un'interessantissima
collezione di statue, terrecotte, corredi
funerari si può ammirare nel Museo Archeologico
Nazionale ospitato nel Palazzo Barberini-Colonna,
il cui biglietto d'ingresso comprende anche la
visita al Santuario. Il "pezzo forte" del museo
è un grande
mosaico del I sec.a.C, il "Mosaico
del Nilo", di autore sconosciuto, che
rappresenta un'inondazione del fiume ed è
considerato un capolavoro dell'arte musiva
ellenistica. Fu scoperto tra la fine del XVI
secolo e l'inizio del XVII sul pavimento della
cantina dell'allora Palazzo Vescovile, che altro
non era se non l'antica aula absidata del Foro
civile dell'antica Praeneste, dove si doveva
trovare una statua della dea Fortuna con in
grembo Giove e Giunone lattanti. Più volte
staccato e restaurato (vedere l'interessante
documentario "Restauro del mosaico del Nilo", di
Salvatore Aurigemma, 1954), viene interpretato
in modi differenti dai critici d'arte: per
alcuni è una sorta di carta geografica
dell'antico Egitto, per altri è una celebrazione
della sua conquista da parte di Ottaviano
Augusto, per altri ancora è un omaggio a Iside.
E questa lettura è più consona al luogo e alla
sua storia! La sala absidata del Foro è
visitabile: occorre arrivare in centro, nei
pressi del Duomo, e dalla piazza, in mezzo alla
quale si trova la statua del famoso compositore
e organista Pierluigi da Palestrina, che qui
nacque nel 1525, si varca un portone. Ci si
trova in ambienti immensi, con resti di statue e
colonne. Il custode, che molto gentilmente ci ha
consentito l'ingresso nonostante l'imminente
orario di chiusura, ci ha detto che tanto c'è
ancora da portare alla luce, scavando e sondando
il sottosuolo di Palestrina. E non si stenta a
crederlo. Il nostro Paese non è solo una
meraviglia da scoprire continuamente, è anche
uno scrigno di inestimabili tesori nascosti. E a
volte qualcosa emerge. Per fortuna.
Milano, settembre 2020 Anna
Busca
ANDAR PER
TERME
di Anna Busca
Al nostro itinerario della seconda metà di agosto
2020 abbiamo voluto dare un significato-simbolo
legato alla salute e al relax, optando per un
percorso nell'Italia centrale che avesse come
fil rouge località termali. Ma il nostro viaggio
in realtà non ha contemplato affatto
l'utilizzo
di terme o centri benessere: ci siamo
semplicemente goduti paesaggi meravigliosi,
luoghi ricchi di storia, capolavori artistici.
Un vero tuffo nella Bellezza del nostro Paese.
Il punto d'inizio è stato, ancora una volta,
Montecatini Terme: tre notti all'elegante Grand
Hotel Plaza & Locanda Maggiore di piazza del
Popolo, nel cuore della città - albergo storico
prediletto da Giuseppe Verdi che qui trascorse
molte estati, fino al 1900 - ci hanno consentito
di riposarci in una cornice stupenda, di
utilizzare la bella piscina del solarium e al
contempo di visitare le vicine Lucca e Pistoia,
già a noi note ma sempre piacevolissime da
riscoprire. Imperdibili le
passeggiate sulle
mura di Lucca - da cui scendere per entrare nel
bellissimo Duomo di San Martino, che conserva il
magnifico monumento funebre di Ilaria del
Carretto - e tra i vicoli e le piazze del centro
storico di Pistoia, dove non si può mancare il
Duomo dei Ss.Zeno e Jacopo, con il portale
centrale sormontato da maioliche e terrecotte
smaltate di Andrea della Robbia. Abbiamo anche
tentato di vedere, a Santomato, Villa Celle, che
possiede la collezione Gori, iniziata nel 1982 e
considerata una delle più preziose raccolte di
arte contemporanea "ambientale" in Europa. In un
parco all'inglese e nei terreni agricoli
circostanti, si trovano disseminate
installazioni e opere di noti artisti della Land
Art, fuse con il paesaggio stesso. Peccato che
la villa, privata, fosse chiusa! La visita è
solo su prenotazione (info@goricoll.it) e in
questo periodo è senz'altro più difficile
organizzarla... La tappa a Serravalle Pistoiese
invece, ci ha portato a scoprire un borgo
medioevale conteso nel XIII e XIV secolo tra
Lucca, Pistoia e Firenze, per la sua posizione
strategica. I resti di due fortezze testimoniano
il ruolo importante assunto da Serravalle; la
Rocca Nuova fu completata da Castruccio
Castracani, duca di Lucca, della famiglia
ghibellina bianca degli Antelminelli.
Esiliato a
Pisa nel 1300, visse a lungo in Inghilterra e in
Francia; ritornò nel 1314 come comandante delle
truppe ghibelline che sconfissero i guelfi di
Firenze nella battaglia di Montecatini del 29
agosto 1315. Tra battaglie vittoriose e azioni
di devastazione dei territori nemici (aveva
perfino progettato di deviare l'Arno per
allagare Firenze!), il condottiero Castruccio
condusse una "vita spericolata" alternando
acclamazioni, onori, scomuniche, condanne,
periodi di prigionia. Il suo motto era "Inexspugnabilis".
Fu un protozoo, il plasmodio della malaria, a
sconfiggerlo; una puntura di Anopheles nelle
campagne pistoiesi fu più letale di qualsiasi
arma! La visita alla Rocca, oltre a suscitare
curiosità e interesse per la sua storia, porta
anche alla salita in cima a una torre da cui si
può ammirare un bellissimo panorama. Prima di
raggiungere Chianciano, la seconda città termale
del nostro tour, ci siamo fermati una notte a
Prato (Hotel President, via A.Simintendi 20),
che deve il suo nome proprio ad una piana erbosa
situata tra la rocca e il mercato. L'imperatore
Federico II di Hohenstaufen fece qui erigere (a
partire dal 1240 circa) un castello a pianta
quadrata, che prese a modello le rocche
imperiali pugliesi.
E' il magnifico Castello
dell'Imperatore (si può entrare gratuitamente
nel cortile e salire a percorrere l'intero
camminamento sulle mura, con vista sulla città),
unico esempio di architettura sveva del
Nord-Centro Italia. La sera, illuminato da luci
colorate, risulta davvero suggestivo. Molto
interessante anche la cattedrale di S.Stefano,
che ha all'interno cappelle affrescate da
Filippo Lippi e Paolo Uccello; presenta una
bella facciata quattrocentesca in marmi bianchi
e verdi e un curioso pulpito esterno dal grande
baldacchino a ombrello, sulla destra, opera di
Michelozzo e Donatello nel decennio tra il 1428
e il 1438 (le formelle originali di Donatello
sono state però trasferite per precauzione al
museo del Duomo). Lo scopo di
tale costruzione è
legato a una reliquia, per la cui custodia era
già stata ideata alla fine del '300 una fastosa
cappella interna, affrescata da Agnolo Gaddi con
la Storia di Maria Vergine e della Cintola. Si
tratta appunto del cosiddetto "Sacro Cingolo":
una striscia lunga quasi 90 cm di lana caprina
color verde chiaro intessuta con fili d'oro,
conservata in una lunga teca di cristallo e
metalli preziosi, che viene mostrata su questo
pulpito dal vescovo ai fedeli, in giorni
particolari del calendario liturgico, come la
festa dell'Assunta del 15 agosto. E trovandoci
noi nella piazza semivuota proprio nel tardo
pomeriggio di Ferragosto, abbiamo potuto
assistere a questa cerimonia medioevale, con
tanto di trombettieri in costume blu e rosso,
ostensione solenne del cingolo (sul pulpito
c'era anche il sindaco di Prato), spargimento di
incenso... La leggenda vuole che fosse la
cintura della Madonna, da lei lasciata a san
Tommaso come prova della sua Assunzione e
successivamente passata di mano in mano, fino al
suo casuale ritrovamento a Gerusalemme da parte
di un mercante pratese, nel XII sec.
Costui la
donò al proposto della pieve di S.Stefano. E'
evidente che si tratti di uno dei tanti "falsi
medievali" (basti pensare al "prepuzio di
Cristo" o al "latte della Vergine", o alla
surreale doppia testa del Battista, di ragazzo e
di adulto) che all'epoca servivano come
strumenti di potere e diventavano simboli delle
città stesse, spesso associati a prodigi e
proprietà miracolose. Lo stesso Boccaccio
esprime in una novella del Decamerone (l'ultima
della sesta giornata) il suo pensiero irridente
sul proliferare delle false reliquie, spesso
spacciate come provenienti dalla Terra Santa,
raccontando la burla di cui è fatto oggetto il
personaggio di Frate Cipolla, che vuole
presentare ai fedeli creduloni una "piuma
dell'arcangelo Gabriele": in realtà, una penna
di uccello...Spostandoci nella vicina piazza del
Comune siamo poi entrati nel Museo civico di
Palazzo Pretorio: l'edificio è il risultato
dell'ampliamento di una costruzione romanica, in
mattoni, con una parte in stile gotico; e
materiali e stili diversi rendono riconoscibile
l'aggiunta ma al contempo si fondono molto bene.
La Galleria contiene splendide opere d'arte, in
particolare di artisti del Rinascimento quali
Luca Signorelli, Filippo Lippi, Donatello,
Andrea della Robbia. Di nuovo si incontra il
Sacro Cingolo, soggetto di una narrazione
pittorica risalente al 1337,
opera di Bernardo
Daddi; bellissima la sala delle sculture, con
capolavori del lituano Jacques Lipchitz, uno dei
maggiori esponenti della scultura cubista.
Abbiamo anche potuto visitare la mostra "Dopo
Caravaggio", prorogata fino al 6 gennaio 2021,
con magnifici dipinti di pittori della scuola
napoletana del '600, come il Battistello e
Jusepe de Ribera. Se si vuole poi dare
un'occhiata a un museo di arte contemporanea,
non si può certo mancare l'avveniristico Centro
Pecci, viale della Repubblica 277 ( www.centropecci.it),
aperto nel 1988 su progetto dell'architetto
razionalista Italo Gamberini (e ampliato
successivamente da Maurice Nio). Appare come una
sorta di isolata e gigantesca astronave dorata:
all'interno la superficie espositiva raggiunge i
3000 mq; si aggiungono un auditorium-cinema, una
biblioteca, un ristorante...La visita è davvero
di grande interesse per le mostre di alto
livello e per le collezioni esposte. Noi abbiamo
dedicato maggiore attenzione all' exhibition
"The Missing Planet" che ripercorre, tra
metafora e realtà, la storia della conquista
dello spazio da parte dell'URSS, insieme a
tessere di un mosaico complesso che comprende
film, testi, vicende umane e politiche del
Pianeta Rosso (e in questo caso non è Marte!).
Da Prato ci siamo dunque
spostati a Chianciano Terme (Park Hotel, via
Roncacci 30), seguendo una splendida strada tra
i colli toscani di San Gimignano, Siena,
Montalcino, che ha contemplato solo un paio di
tappe (potevano essere infinite, vista la
bellezza dei luoghi!!), ossia Poggibonsi, nel
Chianti, e Monteriggioni, affascinante borgo
fortificato del senese, citato da Dante nel XXXI
canto dell'Inferno - ..."su la cerchia tonda
Montereggion di torri si corona,..."-molto
frequentato dai turisti. Chianciano Terme ci ha
inaspettatamente deluso, soprattutto dal punto
di vista urbanistico. La città è distribuita a
forma di "S", lungo una sorta di costone su cui
si dipana una strada piuttosto lunga.
Innumerevoli alberghi si susseguono ai lati, e
molti di questi necessiterebbero di restauri;
parecchi sono chiusi (certamente il lockdown per
Covid ha avuto il suo peso) e alcuni addirittura
abbandonati al degrado, il che dà, in alcuni
punti, un'immagine di squallore che il luogo non
merita affatto, visto il bellissimo paesaggio
circostante e le sicure potenzialità turistiche.
Ad un'estremità si trova Chianciano Vecchia,
borgo medioevale che potrebbe essere
maggiormente valorizzato. All'estremità opposta
ecco le Piscine Termali Theia e le Terme
Sensoriali. I costi d'ingresso variano, così
come il tipo di utilizzo e i pacchetti offerti (da
35 a 45 euro i giornalieri). La grande Piazza
Italia funge da zona di ritrovo, soprattutto
serale. Un trenino su gomma, il "Chianciano
Express", percorre la strada su e giù, per i
bambini e per i visitatori che non si sentono di
camminare troppo: e in effetti spostarsi da una
parte all'altra a piedi risulta faticoso,
soprattutto in una calda giornata estiva. Il
verde non manca, e questo è certamente un pregio
di Chianciano. La posizione è senz'altro
strategica per visitare alcuni "tesori" della
provincia di Siena: e fermandoci tre notti siamo
riusciti a compiere brevi tour e visite che ci
hanno pienamente soddisfatto. Eravamo già stati
a Montepulciano e a Pienza, ma rivedere i loro
preziosi centri storici, veri e propri
capolavori di architettura rinascimentale (e
barocca) su un impianto squisitamente medioevale,
è stato comunque una riscoperta. Non potevamo
poi trascurare la collegiata romanica di San
Quirico d'Orcia e la magnifica abbazia
benedettina di S.Antimo, fondata forse da Carlo
Magno intorno all'800. Al suo interno,
dall'atmosfera suggestiva sia per la luce che
entra dalle finestre che per l'estrema
semplicità del luogo, si possono ammirare
straordinari capitelli, scolpiti dal maestro di
Cabestany. In Val d'Orcia una meta d'obbligo,
visto il filo conduttore del nostro viaggio, è
stata Bagno Vignoni. Già i
Romani conoscevano le
proprietà benefiche delle sue acque alcaline,
che provengono da oltre 1000 m di profondità e
scaturiscono alla temperatura di circa 52°C,
raccolte in una grande vasca termale di origine
cinquecentesca al centro del paese, dove però è
proibito immergersi. Per farlo gratuitamente
occorre recarsi al sottostante Parco dei Mulini:
le acque, allontanandosi dalle sorgenti, si
raffreddano, ma dovrebbero comunque dare
sollievo in caso di artrite e dolori muscolari.
Chi invece desidera comfort e può regalarsi
qualche lusso può alloggiare in un elegante
resort con centro benessere, piscine, palestre...Certo
in questo caso si è molto lontani dall'immagine
del pellegrino che, seguendo la via Francigena,
si fermava per rinfrancare corpo e spirito nelle
acque termali! L'ultima meta raggiunta da
Chianciano, in un quarto d'ora di automobile, è
stata Chiusi, città di antichissime origini, che
raggiunse il massimo splendore sotto gli
Etruschi (VII-V sec. a.C). Su una collina di
tufo della Valdichiana, al confine con l'Umbria
e in posizione strategica, Chiusi rimase una
città di notevole importanza fino al XVI secolo.
Nel bel centro storico abbiamo visitato,
associato all'interessante museo della
concattedrale di S.Secondiano, il cosiddetto "Labirinto
di Porsenna", così denominato perchè in una fase
iniziale degli scavi si riteneva che potesse
essere la tomba del leggendario lucumone etrusco
Lars Porsenna, che partecipò all'assedio di Roma
del 508-507 a.C. come sostenitore di Tarquinio
il Superbo. Fu Plinio il Vecchio che, citando
Terenzio Varrone, descrive nella sua Naturalis
Historia il sepolcro di Porsenna come un
gigantesco mausoleo scavato sotto la città di
Chiusi e protetto da un labirinto. Sarebbe stata
la scoperta archeologica del secolo! Anche
perchè la tradizione vuole che il corredo
funebre di Porsenna comprendesse un cocchio,
insieme a statue di cavalli, una chioccia e
cinquemila pulcini, tutto in oro massiccio... In
realtà si tratta più semplicemente di una serie
di cunicoli sotterranei, scavati
nell'arenaria,che appartenevano alla rete idrica
della città (progettata già in epoca etrusca),
collegati a pozzi e cisterne per la raccolta
d'acqua. Ci siamo poi recati al Museo Nazionale
Etrusco, museo archeologico fondato nel 1870, in
stile neoclassico, con la facciata che lo fa
assomigliare a un tempio. E lo è realmente: lo
si visita in silenzio, in uno stato di costante
ammirazione e stupore per i preziosissimi
reperti esposti. Dalle necropoli vicine sono
giunti corredi funerari, urne cinerarie,
maschere, statuine, vasi canopi, gioielli, cippi
con rilievi scolpiti e decorati. Una preziosa
testimonianza delle vette raggiunte dall'arte e
dalla cultura del popolo etrusco.
L'ultima tappa termale è stata Fiuggi, nel
Lazio, per noi piacevolissima sorpresa. In
provincia di Frosinone, a circa 600-700 m di
altezza sui rilievi dei Monti Ernici, la città
risulta suddivisa in una parte alta -
l'interessante centro storico - e una più bassa,
moderna e animata, distante dalla precedente.
Qui si trovano le terme e gli alberghi, spesso
edifici del primo Novecento ben conservati, come
il nostro Hotel Reale (via Prenestina 82)
circondati dal verde - molti platani, ma anche
castagni centenari!- e da vie con ristoranti e
negozi. Imperdibili gli squisiti amaretti della
storica Pasticceria Caponi (via Prenestina 16):
la bottega ha grande fascino, sembra di entrare
in una fiaba.
Davvero splendido il parco termale,
a pagamento (5-9 euro): è la "Fonte Bonifacio
VIII", citata anche da Michelangelo, dove si può
passeggiare tra una bellissima vegetazione e
sostare di quando in quando alle fontane per
bere l'ottima acqua, oligominerale fredda,
rinomata per la cura delle malattie renali (portarsi
un bicchiere!). Alla fine di una lunga discesa,
se si è entrati dall'ingresso "storico"del
periodo umbertino, in stile liberty, su piazza
Frascara (c'è anche un altro ingresso inferiore,
sulla strada), si raggiunge lo stabilimento per
la terapia idropinica, da cui si potrà poi
risalire all'ingresso con un comodo e veloce
tapis roulant. Ci si trova all'interno di un
grande
edificio di cemento con ampi spazi aperti,
protetti da un tetto molto esteso e costellati
di fontane: il grandioso progetto, realizzato
nel 1965, si deve all'architetto e critico
d'arte romano Luigi Moretti (1906-1973) che
lavorò per importanti edifici e piani regolatori
sia durante il fascismo che nel periodo
postbellico, ottenendo commesse e incarichi di
rilievo anche in Canada e Stati Uniti e vincendo
numerosi premi prestigiosi. Sue sono pure le
centinaia di sedie di metallo colorate
disseminate nel parco, dal design davvero
particolare.
L'immagine
di Moretti compare -un po' nascosta, a dire il
vero - in una sagoma di cartone in proporzioni
naturali all'esterno della cancellata; qua e là
sui marciapiedi si incontrano, per il
divertimento dei turisti che si fanno
fotografare insieme a loro, le sagome di Nino
Manfredi, Gina Lollobrigida, Marcello
Mastroianni, Vittorio De Sica, Sofia Loren,
Alberto Sordi. Il denominatore comune di questi
protagonisti del cinema italiano è certamente
Fiuggi, frequentata da tutti quanti; ma si
scopre anche che Nino Manfredi era nato a Castro
dei Volsci, la Lollo a Subiaco, Mastroianni a
Fontana Liri, De Sica a Sora... e Sofia Loren,
nata a Roma, interpretò nel 1960, diretta da De
Sica, il ruolo di Cesira ne "La ciociara". E'
proprio la Ciociaria, regione dai confini un po'
indefiniti, comprendente soprattutto la
provincia di Frosinone, il filo che li lega.
Fiuggi ne fa parte, insieme alle cinque
cosiddette "Città di Saturno", antichi centri la
cui fondazione è associata alla mitologia: il
dio Saturno, cacciato dall'Olimpo, si trasferì
qui, affascinato dalla bellezza del luogo. Il
nome delle città generalmente inizia con la
lettera "A": Anagni, Alatri, Arpino...mete di
straordinario interesse storico e
artistico,raggiungibili in poco tempo da Fiuggi.
E questa parte del nostro viaggio merita
senz'altro un articolo a sè: "Tra acropoli e
mura ciclopiche". Non in Grecia, ma nella nostra
italianissima terra ciociara.
10 settembre 2020, Anna Busca
AGOSTO 2020
E ORA, SCENDIAMO VERSO IL
MARE
di
Anna Busca
Abbiamo scelto l'ultima
settimana di luglio e la prima di agosto di
questa estate 2020 per tornare in Sardegna e
scoprire bellezze, monumenti e luoghi che ci
hanno nuovamente incantato. Con un traghetto
della Moby Lines siamo partiti da Piombino
intorno alle 15 per giungere ad Olbia verso le
20.30: biglietto AR con auto al seguito, per tre
adulti, al costo di poco più di 200 euro,
sfruttando le promozioni in offerta sul sito.
Viaggio perfetto, nonostante mascherine
obbligatorie e regole di distanziamento anti
Covid. Prima di partire occorreva compilare come
autocertificazione il modulo "Sardegna sicura" e
inviarlo online; la procedura era molto chiara e
non ci ha creato difficoltà. La vacanza è stata
itinerante, e siamo riusciti a compiere una
sorta di splendido "periplo sardo" ricco di
soddisfazioni. Abbiamo prenotato alberghi e b&b
sempre con Booking.com, senza problemi. Dopo un
pernottamento a Olbia (Your Bed & Breakfast, via
Padova 15) che avevamo già visitato nel viaggio
precedente, ci siamo diretti ad Alghero,
passando per Sassari. La statale 729, molto
scorrevole, attraversa un paesaggio interessante
e consente anche la visita a preziose chiese
romaniche,
quali Sant'Antioco di Bisarcio, la chiesa di
Santa Maria del Regno ad Ardara (edificata
all'inizio del XII secolo con blocchi di
trachite, roccia vulcanica scura che le dà un
aspetto davvero singolare) e SS. Trinità di
Saccargia, che apparteneva ad un'abbazia
camaldolese e sorge solitaria tra i campi. Ad
Ardara si può ammirare il retablo più grande
della Sardegna, un bellissimo polittico del 1515
di Giovanni Muru; e nella splendida chiesa di
Saccargia, in stile romanico pisano, con un
campanile alto 40 m, si resta stupefatti davanti
al magnifico ciclo di affreschi dell'abside
centrale, forse di un artista pisano della fine
del XII secolo. Ma anche Sassari merita
senz'altro una visita: noi ci siamo fermati per
il pranzo, riuscendo a dedicare un paio d'ore ad
una bella passeggiata nel centro storico. Molto
bello l'imponente Duomo, dalla facciata che ci
ha fatto ricordare le chiese di Salamanca, così
come la grande piazza d'Italia ci ha rammentato
una Plaza Mayor. Si respira proprio un'aria
spagnola, anche camminando tra vicoli e
scalinate. Torneremo nel prossimo viaggio per
visitare il Museo Sanna, che abbiamo trovato
purtroppo chiuso: possiede una ricca collezione
archeologica, una pinacoteca e una sezione
dedicata al folclore sardo.
Alghero
Il nostro soggiorno è stato
piacevolissimo: alloggiando vicino al centro (b&b
Khorakhanè, via Sassari 159) siamo riusciti a
cenare nei ristorantini all'aperto, a
passeggiare sui bastioni godendoci il tramonto,
ad ammirare torri e chiese - da non perdere il
complesso monumentale di San Francesco e la
cattedrale di Santa Maria - in un'atmosfera
davvero rilassante. E le spiagge facilmente
raggiungibili
ci hanno consentito nuotate in acque cristalline
e una vera immersione salutare nell'aria
profumata e pulita di questa costa. Siamo
arrivati in auto a Capo Caccia, tra panorami
suggestivi, senza però scendere i 600 gradini
per la Grotta di Nettuno, vista la coda di
visitatori e il caldo, che avrebbe reso troppo
faticosa la risalita. Bellissime la spiaggia di
Porto Ferro, quella di Maria Pia, di Mugoni,
delle Bombarde: la scelta è davvero molto ampia.
Una passeggiata nel verde può riguardare una
zona umida protetta, dove si trovano percorsi
guidati per il birdwatching: è la riserva del
Parco Regionale di Porto Conte, che si incontra
andando verso Capo Caccia; sulla stessa strada
si trova il bel complesso nuragico di Palmavera.
Abbiamo approfittato della nostra tappa ad
Alghero per recarci all'isola dell'Asinara,
Parco Nazionale dal 2002, preferendo partire con
un traghetto da Porto Torres (15 euro a persona
AR, un'ora e mezzo di navigazione, più la tassa
di sbarco di 2.50 euro) piuttosto che da
Stintino (20 euro + 2.50, per un tragitto molto
più breve!). L'arrivo da Porto Torres inoltre è
nel centro dell'isola, a Cala Reale, il che
consente visite ed escursioni più facili, mentre
da Stintino si arriva a Fornelli, sull'estremità
occidentale. Meglio
dunque
una visita autoorganizzata: molti operatori
turistici propongono pacchetti di una giornata,
in catamarano, ma hanno costi esorbitanti (almeno
80 euro a testa). Arrivati dunque a Cala Reale
verso le 13 con la motonave Sara D. della
Delcomar, partita alle 11.30, abbiamo preso un
pullmino (10 euro a testa AR) che ci ha portato
in pochi minuti a Cala D'Oliva. Da qui, un
meraviglioso sentiero a picco sul mare turchese
e smeraldo, in mezzo ai profumi della macchia
mediterranea, ci ha consentito di raggiungere
l'incantevole spiaggia di Punta Sabina. Nulla da
invidiare ai Caraibi! Un lungo bagno ristoratore,
in mezzo a saraghi e occhiate, circondati da uno
scenario naturale stupendo e dal silenzio rotto
solo dallo sciacquio delle onde, ci ha fatto
dimenticare che l'isola è stata nei secoli
teatro di sanguinose battaglie, per esempio tra
Aragonesi e Genovesi nel XV secolo, e di crudeli
scorrerie dei Mori, che portarono alla
costruzione delle numerose torri di avvistamento
sarde: all'Asinara ve ne sono tre ben conservate.
Fu anche terra di deportazione - dopo la guerra
di Abissinia del 1937 furono trasferiti qui
molti etiopi- e di prigionia. Negli anni '60 fu
istituito un carcere di massima sicurezza,
destinato soprattutto ad ospitare assassini
delle BR e dell'Anonima sequestri sarda, e
criminali mafiosi soggetti alla 41-bis; il
supercarcere, una sorta di Alcatraz italiana, fu
chiuso nel 1998. Il fatto che per più di un
secolo, dal 1885 al 1999, l'isola sia stata
interdetta al turismo ha permesso comunque una
straordinaria preservazione di fauna e flora.
Specie caratteristica è l'asinello bianco,
Equus
africanus asinus, albino (ma ne abbiamo visto
solo uno!). Sulla strada del ritorno ci siamo
fermati davanti a una casa, dipinta di rosso, a
Cala D' Oliva, su cui è affissa una lapide con
frasi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Qui i due coraggiosi magistrati, con le loro
famiglie, trascorsero il mese di agosto 1985,
durante la fase preliminare del maxiprocesso di
Palermo. Minacciati di morte da "Cosa nostra",
vi furono trasferiti in segreto, per concludere
in sicurezza la requisitoria che avrebbe poi
portato complessivamente i 460 imputati a 19
ergastoli e 2665 anni di reclusione.
Ripartiti alle 18 siamo
giunti a Porto Torres verso le 19.30, orario
comodissimo per tornare ad Alghero per la cena.
Inoltre, la mattina, poco prima di raggiungere
il porto d'imbarco eravamo riusciti a visitare
un capolavoro romanico, la basilica più grande
della Sardegna: quella di San Gavino, dal bel
portale laterale in stile catalano e
dall'immensa navata unica, molto suggestiva.
Da Alghero ad Oristano
Lasciata Alghero, ci siamo
diretti verso sud, lungo una splendida strada
panoramica che attraversa zone protette, dove si
trova l'unica colonia sarda di grifoni. A Bosa,
attraversata dal fiume Temo, con un
caratteristico borgo di graziose case colorate,
siamo saliti fino al Castello Malaspina, del XII
secolo,
da cui si gode un panorama incredibile. All'
interno delle sue mura si trova la piccola
chiesa di Nostra Signora de Sos Regnos Altos,
con un interessante ciclo di affreschi del XIV
secolo. A Cùglieri ci siamo fermati per la
Collegiata di Santa Maria della Neve, ampliata
nel XVII secolo e più volte restaurata: è in
alto, in una magnifica posizione per ammirare il
paesaggio circostante. Dopo un bel bagno nelle
acque limpidissime di S'Archittu, eccoci ad
Oristano, dove ci siamo fermati per due notti
(Mariano IV Palace Hotel, piazza Mariano 50). Il
centro della città sembra convergere su piazza
Roma, piuttosto animata, dove si erge l'alta
Torre di San Cristoforo o Porta Manna,
appartenente un tempo a una cinta fortificata
del XIII secolo. Negozi, caffè, ristoranti e
pizzerie si trovano soprattutto in via Mazzini,
via Garibaldi e via Tirso. Il Duomo e la chiesa
di San Francesco meritano una visita, ma
l'edificio religioso più interessante è la
romanica chiesa di Santa Giusta, a circa 3 km
sulla strada
per Cagliari. La statua di Eleonora
d'Arborea, nella piazza omonima, ricorda questa
giudicessa ed eroina del XIV-XV secolo, che
revisionò la Carta de Logu, la prima raccolta di
leggi per i Giudicati sardi, promulgata dal
padre Mariano IV. Da Oristano prendono il via
itinerari tra i più interessanti della Sardegna: imperdibile Tharros, fondata nell'VIII secolo
a.C. dai Fenici, trasformata dai Romani in una
città ricca di edifici pubblici, attraversata da
importanti strade lastricate in basalto,
modificata ancora in epoca paleocristiana e
infine abbandonata e ridotta a rovine. Si
percorrono i cardi e i decumani tra i resti di
questo sito archeologico, davanti al mare, con
la cinquecentesca Torre di San Giovanni sullo
sfondo, provando un senso di mistero e di legame
profondo con il passato. Nei pressi, una
costruzione isolata: è S.Giovanni in Sinis, del
V secolo, con la facciata in stile bizantino.
L'interno, semplice e spoglio, a tre navate, è
illuminato da bifore ed appare estremamente
suggestivo. A chiudere la visita, oltre
all'immancabile nuotata (le spiagge non mancano!
splendide Putzu Idu e Is Arutas ) è
consigliabile la visita al Museo Civico
Archeologico "Giovanni Marongiu" di Cabras:
piccolo ma ricco di collezioni preziose,
provenienti dagli scavi delle necropoli di
Tharros e da altri siti, come Cuccuru Is Arrius
e Sa Osa, e anche da una nave romana ("Relitto
di Mal di Ventre")affondata nel I sec. a. C. con
il suo carico di anfore, vasi e mille lingotti
di piombo che giungevano dalla Spagna. I pezzi "forti"
esposti sono i famosi "Giganti di Mont'e Prama",
statue maschili raffiguranti guerrieri,
pugilatori, arcieri, dalle notevoli proporzioni
e con particolari occhi a cerchi: furono
rinvenuti negli anni '70 in una necropoli
nuragica, al di sopra di tombe a pozzetto, e
sono tuttora oggetto di studi per comprenderne
appieno il loro significato.
Da Oristano a Iglesias
Il nostro tour è proseguito
ancora più a sud: meta Iglesias - nel cuore
della regione mineraria più importante della
Sardegna, l'Iglesiente, sede del cosiddetto "anello
metallifero" di rocce carbonatiche ricche di
piombo, argento e zinco - città il cui nome in
spagnolo significa "Chiese", evocatore del
dominio catalano-aragonese. Per raggiungerla
abbiamo seguito la statale 126 fino a Guspini,
per poi dirigerci verso le Dune di Piscinas.
Spiaggia incredibile, larghissima, chiusa da
dune ricoperte in parte da arbusti: sembra di
essere in Africa, o comunque in una regione
esotica. Il mare - è
necessario dirlo? - è
semplicemente meraviglioso. L'unica pecca è
stata la strada che abbiamo seguito: una specie
di lunga mulattiera di sabbia e sassi, che ci ha
costretto anche a superare due guadi un po'
pericolosi e ci ha fatto rimpiangere di avere
una Punto invece di una jeep... Passata poi
Fluminimaggiore, in un paesaggio montuoso
bellissimo, siamo arrivati alla Grotta di Su
Mannau. Avevamo prenotato telefonicamente la
visita ( www.sumannau.it,
tel.3475413624, biglietto a 10 euro) perchè
ovviamente ogni gruppo ha un numero massimo di
partecipanti e viene data la precedenza a chi
prenota. Una giovane e brava speleologa ci ha
guidati per circa un'ora lungo passerelle
metalliche sospese su grandi cavità ben
illuminate, ricchissime di concrezioni di
calcite e aragonite, con cristalli scintillanti,
tra laghetti e fiumi sotterranei, il Placido e
il Rapido. Resti archeologici, come piccole
lucerne votive, testimoniano l'antico utilizzo
della grotta come tempio ipogeo per il culto
dell'acqua, a partire dall'età nuragica. Una
visita stupenda, magica, da non perdere
assolutamente.
Vicino alla grotta, a pochi
minuti di auto, un'altra tappa irrinunciabile:
l'area archeologica di Antas. In mezzo a lecci e
querce da sughero centenarie si trova una
necropoli nuragica, accanto a un tempio punico
della fine del V sec. a. C. dedicato al dio
Babay (dio Padre, divinità delle acque) e a un
tempio romano del III sec.d.C per il culto del
Sardus Pater Babi, di cui restano le colonne del
pronao (ma questa costruzione sostituì quella
più antica del 38 a.C. voluta da Ottaviano
Augusto e andata in rovina). Il biglietto intero
costa 4 euro. Un sentiero di circa 7 km -segnato
come "Antica strada romana Antas-Su Mannau"- nel
bosco, collega il sito alla grotta e può essere
seguito per un trekking. I dintorni presentano
anche tracce di miniere ormai abbandonate ed
edifici con valore di archeologia industriale.
Iglesias ha un centro storico
affascinante, cinto parzialmente da mura e
raccolto intorno alla bella cattedrale di Santa
Chiara, del XIII secolo, su un'ampia piazza di
fronte al Municipio (qui si trova l'Ufficio del
turismo). Strettissime vie rendono davvero arduo
il transito automobilistico, limitato peraltro
ai residenti
o a chi possiede un pass temporaneo
in quanto ospite: il nostro b&b (L'Aquilino, via
Vescovo Rolfi 4), a lato della cattedrale, era
proprio nel cuore della città, posizione
eccellente per una visita. Ed eccoci davanti
alle chiese di San Domenico, della Purissima,
della Madonna delle Grazie, di San Francesco,
per citarne solo alcune; e poi in salita verso
il Castello di Salvaterra (bella vista
panoramica su Iglesias), e di nuovo alle mura
pisane di fronte alla Torre Guelfa. Il Museo
dell'Arte Mineraria e Mineralogico, non distante
dal centro storico, era chiuso. Da Iglesias ci
siamo spostati alla spiaggia di Masùa, a una
ventina di km, per poi recarci al vicinissimo
Porto Flavia. Davanti al faraglione detto "Pan
di Zucchero" si trova questa costruzione di
grande interesse, progettata dall'ingegnere
veneto Cesare Vecelli ("Flavia" era il nome di
sua figlia) negli anni '20 e inaugurata nel
1924. Restò attiva per circa 40 anni. Si tratta
di uno straordinario porto d'imbarco dei
minerali estratti dalle miniere, che qui
venivano trasportati e stoccati per essere poi
direttamente caricati sulle navi, ancorate
sotto. Il tutto richiedeva uno o due giorni al
massimo. Prima della realizzazione di
quest'opera il lavoro, estremamente faticoso e
pericoloso, durava almeno un mese, perchè i
materiali estratti dalle miniere dovevano essere
messi manualmente su piccole imbarcazioni a vela
che poi si dirigevano a Carloforte, sull'isola
di San Pietro, dove dovevano essere scaricati e
di nuovo caricati sulle navi da trasporto. La
visita guidata, emozionante, si svolge in un'ora
percorrendo la lunga galleria superiore, che
presenta ai lati profondi pozzi di stoccaggio,
per poi uscire su un terrazzino che consente di
ammirare il panorama della baia. Si viene dotati
di caschi di protezione e occorre un
abbigliamento adeguato (scarpe chiuse).
Biglietto intero a 10 euro ( www.visitiglesias.it).
Da Iglesias a Cagliari
Invece di seguire la strada
più veloce per arrivare al capoluogo dell'isola,
abbiamo optato per un itinerario che ci
consentisse di toccare luoghi d'interesse
storico e paesaggistico. Attraversando la zona
mineraria di Gonnesa ci siamo fermati a
Carbonia, fondata nel 1938, quando il fascismo,
negli anni dell'autarchia (imposta a seguito
delle sanzioni economiche della Società delle
Nazioni dopo
l'invasione dell'Etiopia del
1935-36), cercava di incentivare l'utilizzo
delle risorse del territorio: e la città fu
costruita per ospitare minatori, geologi e
ingegneri minerari che lavoravano nelle miniere
di carbone, in particolare in quella vicina di
Serbarìu (visitabile, associata al Museo del
Carbone), una delle più importanti del bacino
carbonifero del Sulcis. Il 18 dicembre 1938 lo
stesso Benito Mussolini tenne un discorso per
l'inaugurazione di Carbonia, parlando a una
folla di 35.000 persone da un balcone al primo
piano della Torre Littoria (tale balcone fu poi
eliminato durante la ristrutturazione),
nell'ampia piazza Roma. Trovarsi in questa
grande piazza dà la curiosa sensazione di essere
dentro un quadro di De Chirico, una vera "Piazza
d'Italia"! Vi si affacciano il Municipio, la
chiesa di San Ponziano, una sala polifunzionale,
una fontana con un anfiteatro vicino, e gli
edifici sono in perfetto stile del Ventennio. Da
Carbonia ci siamo diretti a Tratalìas, per
vedere un'altra chiesa romanica,
S. Maria, del
1213: abbiamo solo potuto ammirarne gli esterni
perchè era chiusa; e il paese è in realtà una
sorta di spettrale ghost-town perchè gli
abitanti si sono trasferiti altrove... La tappa
successiva è stata Sant'Antioco- l'antica Sulcis
romana- sull'isola omonima, collegata con un
ponte sulla statale 126. Attraversata la
cittadina, ci siamo spostati di una decina di km
sulla punta dell'isola, a Calasetta, paese
dall'atmosfera squisitamente mediterranea, con
basse case bianche che si stagliano contro il
cielo azzurro, interrotte dal colore viola o
porpora delle bougainville.Da qui si può
ammirare l'isola di San Pietro; una bella
spiaggia, per quanto ventosa, consente splendidi
bagni. Lasciata Sant'Antioco, ripromettendoci di
tornare per una vacanza più lunga, abbiamo
ripreso la strada per Cagliari passando per
Teulada, Domus de Maria, Pula (qui si trovano le
rovine di Nora), con numerosi scorci panoramici
davvero mozzafiato.
Cagliari
La città è chiamata la "Gerusalemme
della Sardegna" e solo dopo la seconda giornata
di visita abbiamo compreso meglio la definizione.
Al primo impatto infatti Cagliari ci era apparsa
un po'
"disordinata", una specie di strana
mescolanza di moderno e antico, spesso
fatiscente, senza una sua vera connotazione. Ma
ci eravamo sbagliati. Il centro storico è tutto
arroccato nella zona centrale: inizia dalla zona
di fronte al Porto passeggeri e culmina
nell'area intorno al Museo Archeologico (la cui
visita è assolutamente imperdibile). Come la
Città vecchia della capitale d'Israele, in
un'area ristretta raccoglie un vero tesoro
architettonico: torri trecentesche, mura
cinquecentesche, monumenti, chiese, resti romani.
Si percorre lentamente, usando scalinate e
vicoli; se si vuole evitare la salita a piedi da
piazza Costituzione al Bastione S. Remy, vasta
terrazza e straordinario punto panoramico, si
può usare un ascensore (un po' nascosto) nei
pressi di piazza San Giacomo. Splendido il
tramonto, da godere magari sorseggiando un
aperitivo in qualche locale di via S. Croce. Noi
abbiamo alloggiato a un centinaio di metri
dall'imponente Santuario di Bonaria, costruito
nel XVIII sec. sulla collina omonima, a lato
della chiesa del XIV sec., in posizione perfetta
(b&b Cerdena Rooms, via Milano 1/b) per
raggiungere a piedi il centro, passando davanti
all'antica Basilica di S. Saturnino e al
complesso di S.Lucifero. Pare che la capitale
argentina, Buenos Aires, derivi il suo nome
proprio dalla Madonna di Bonaria custodita nel
santuario: era un tempo oggetto di devozione in
quanto considerata protettrice dei marinai. In
pochi minuti di auto abbiamo raggiunto, per un
bagno in acque cristalline, la lunghissima
spiaggia del Poetto: si costeggiano anche le
saline, che ospitano una grande colonia di
fenicotteri rosa.
Da Cagliari ad Olbia
Abbiamo chiuso il nostro "periplo
sardo" risalendo verso Olbia lungo la statale
125; un viaggio di qualche ora che però ci ha
consentito alcune soste piacevoli, in
particolare nelle zone di Arbatax e di Budoni.
Il vento di scirocco però non ci ha consentito
di restare a lungo in spiaggia né di nuotare,
perchè le onde erano davvero alte, con una forte
risacca. Abbiamo pernottato nel bel centro di
Olbia (Amsicora 8, via Amsicora 8), per salire
poi sul traghetto delle 8.15 per Piombino. E
mentre la costa si allontanava, ritornavano alla
mente le parole di Elio Vittorini: "Infine,
scendiamo verso il mare. In Sardegna si sente
sempre, a cento e cento chilometri dalle coste,
che splende nell'aria da ogni lato. E' una vera
isola..." (da "Sardegna, come un'infanzia",
1932).
31 agosto 2020, Anna Busca
UNA SETTIMANA DI QUIETE
di Anna Busca
Desiderosi di una pausa di
relax per lasciarci alle spalle le fasi pesanti
della pandemia di Covid, abbiamo scelto, dopo
una lunga ricerca di possibili soluzioni che
conciliassero diverse esigenze di una famiglia
di quattro persone - genitori sessantenni e due
figli ventenni alle prese con esami universitari
online - la bella Montecatini Terme, a sole tre
ore di
autostrada da Milano. E mai scelta si è
rivelata più felice, complice anche un clima
ideale, con giornate sempre stupende, dal cielo
senza nubi. Grazie a Booking abbiamo trovato il
Grand Hotel Tamerici & Principe (viale IV
Novembre 2B, tel.0572 71041,
www.hoteltamerici.it, info@hoteltamerici.it
), in centro, con ottime recensioni e un
eccellente rapporto qualità/prezzo. Colazione
inclusa (ricca e varia), piscina in mezzo al
verde, elegante suite con camere comunicanti e
zona salotto, wi-fi senza problemi, pulizia
perfetta: tutto ha superato le nostre
aspettative. Grande tranquillità, direttamente
proporzionale agli spazi (enormi saloni arredati
con mobili antichi) e alla professionalità del
personale. Ci siamo trovati benissimo, e questo
ci ha consentito di organizzare al meglio, senza
nessuno stress, la nostra vacanza. Non abbiamo
utilizzato le Terme, da poco riaperte, né la Spa
dell'albergo, perchè le quotidiane nuotate in
piscina (con zona idromassaggio e cascata
tonificante) e il successivo riposo al sole
sulle sdraio ci hanno soddisfatto pienamente.
Abbiamo invece passeggiato nel magnifico Parco
Termale di Montecatini ,
ammirando altissimi
pini domestici, cedri, sequoie, palme, tra prati
curati e aiuole, e lungo la via dello shopping (corso
Roma, corso Matteotti) con numerosi negozi,
boutique di lusso, ristoranti e caffè. Certo la
crisi dovuta alla chiusura e alle restrizioni
antiCovid non ha consentito la riapertura di
diversi alberghi ed esercizi, ma si percepisce
comunque il grande coraggio di molti, unito alla
voglia di ricominciare con maggiore
determinazione e responsabilità. Si rispettano
certo i protocolli di sicurezza e al contempo si
respira un'atmosfera piacevole e distesa, in
sintonia con quell'ottimistico e confortante
"andrà tutto bene "
associato al simbolo
dell'arcobaleno... Montecatini, con le sue terme,
le colline, il mare a mezz'ora di autostrada, le
Alpi Apuane anch'esse vicine, circondata da
città d'arte come Pistoia, Lucca, Firenze, Pisa,
raggiungibili facilmente, tornerà senz'altro
presto ad essere una meta ambita e frequentata.
Utilizzando The Fork abbiamo
trovato numerose occasioni di pranzi e cene con
sconti interessanti, dove apprezzare la
gastronomia locale: la cucina toscana è
senz'altro tra le migliori in Italia, per sapori
e ingredienti. Qualche indirizzo validissimo,
che abbiamo sperimentato, come suggerimento:
Osteria del Grocco (via Pietro Grocco 49, tel.
3280882976); Ristorante La Mandragola (via
Gioberti 5, tel.057278820/3409220683,
www.ristorantelamandragola.it); A Montecatini Alto, Casa Gala (via
Talenti 2, 0572 766130); a Serravalle Pistoiese,
Il Ristorante (via Marlianese 55, tel.
3885858580); a Buggiano, Ristorante Sant'Elena
(via Gavine 29, tel.0572 30548) dal panorama
strepitoso sulla Valdinievole, brulicante di
luci e molto romantico la sera.
Ci siamo anche dedicati a
brevi gite d'interesse culturale. Da non mancare
Vinci, dove, nella vicina frazione di Anchiano,
abbiamo visitato la casa natale di Leonardo (prenotazione
tel.0571 933285, info@museoleonardiano.it). Qui
nacque il sommo genio del Rinascimento il 15
aprile 1452; la sua vita viene raccontata
da un
personaggio-ologramma a grandezza naturale,
proiettato in una stanza, e si può anche
ripercorrere la sua straordinaria produzione
artistica grazie a un dispositivo multimediale
interattivo che consente di scoprire i dettagli
dei capolavori ( il ritratto di Ginevra de'
Benci non avrà più segreti!).La casa di Leonardo
è stata meta di decine di migliaia di visitatori
lo scorso anno, ricorrendo il quinto centenario
della morte, avvenuta in Francia, ad Amboise, il
2 maggio 1519. Ci si sposta poi in una casa
colonica vicina, appartenente alla bella Villa
del Ferrale, dove, in una sala, si può ammirare
l'Ultima Cena, riproduzione digitale in scala
1:2, in alta definizione: in modalità gestuale
(o touch screen su un monitor) è possibile
ingrandire particolari ed analizzare l'opera,
anche dal punto di vista storico.
Una vera
meraviglia! anche per chi, come noi, ha già
potuto ammirare più volte la pittura murale
originale, nel refettorio del Cenacolo di Santa
Maria delle Grazie a Milano. Altrettanto
stupefacenti sono le riproduzioni esposte di
quadri di Leonardo, a grandezza naturale e in
alta risoluzione, nella mostra "Leonardo e la
pittura": la Vergine delle Rocce, la Dama con
l'ermellino, la Gioconda... sembra di essere
contemporaneamente al Museo del Louvre, agli
Uffizi, al Museo Nazionale di Cracovia! Un
volontario gentilissimo ed esperto, il signor
Bruno, ci ha illustrato con competenza le
tecniche di preparazione delle riproduzioni, e
anche la storia della villa. Abbiamo poi potuto
acquistare ottimo olio extravergine del frantoio
del Ferrale, citato in un documento trecentesco,
e anche una bottiglia di Chianti DOCG della
stessa tenuta (www.villadelferrale.it,
Frantoio tel.0571 56353/3346672055). I sapori e
i profumi di quest'angolo di Toscana ci
seguiranno anche a Milano... A Vinci la visita
dedicata a Leonardo può proseguire nel Museo
Leonardiano (controllare gli orari!
www.museoleonardiano.it ), dove sono esposti
modelli di opere d'ingegneria e disegni
anatomici, al Castello dei Conti Guidi. Davanti,
in prossimità delle mura, è stato collocato
l'Uomo di Vinci, scultura in legno lamellare e
sagomato di Mario Ceroli (1987), che interpreta
il famoso Uomo Vitruviano leonardesco. Piazza
dei Guidi è stata ridisegnata nel 2004 da Mimmo
Paladino, con geometrie simboliche dai riflessi
argentei e vitrei incise nella pietra serena.
Nelle vicinanze si può
raggiungere una meta di notevole interesse
storico-naturalistico: si tratta del Padule di
Fucecchio, una vastissima zona umida, di circa
1800 ettari, riserva naturale, caratterizzata da
un'elevata biodiversità. Attraversata dalla via
Francigena, conserva testimonianze di un passato
legato
al dominio dei Medici. Tra canneti e
piante palustri si possono osservare numerose
specie di uccelli (sono circa 200 quelle
presenti nel corso dell'anno, essendo il Padule
una tappa di rotte migratorie): nitticore,
garzette e aironi qui nidificano creando grandi
colonie, tra le più importanti in Italia. Ci
sono casotti-osservatori dove, dall'alto e con
un buon binocolo, ornitologi e semplici turisti
possono esercitarsi nel birdwatching. Più di
1000 specie di Coleotteri sono state
identificate dagli entomologi: anche la
microfauna è dunque ricchissima. Un suggerimento
prezioso: evitate di seguire i cartelli che
portano all'area La Monaca, perchè la strada (3
km) è sterrata e piena di buche, e soprattutto
l'ingresso non è accessibile. Un cancello
arrugginito si apre infatti su sterpaglie,
tronchi caduti, fitta vegetazione, dove è
impossibile proseguire. In più, una lavatrice
abbandonata testimonia la trascuratezza (imperdonabile)
in cui versa il luogo. Occorre invece entrare
dalla parte dell'area delle Morette. Dal sito
del Centro di Ricerca, Documentazione e
Promozione del Padule di Fucecchio (www.zoneumidetoscane.it
) si può scaricare il depliant della Riserva e
informarsi su visite guidate e itinerari.
A poca strada una tappa
sorprendente: a Ponte Buggianese, nella
Propositura
di San Michele Arcangelo, si può
ammirare un ciclo di affreschi che Pietro
Annigoni eseguì con i suoi allievi tra il 1967 e
il 1984, su incarico del parroco dell'epoca, don
Egisto Cortesi, per un compenso simbolico. La
"Deposizione e Resurrezione" è di grande potenza
evocativa, così come l' "Apocalisse" e la
bellissima "Ultima cena" nell'abside.
Passare per Altopascio -
borgo citato anche nel Decamerone del Boccaccio,
nella decima novella della sesta giornata - e
per Montecarlo, arroccato in splendida posizione,
consente di gustare piccoli e preziosi centri
storici di paesi collocati lungo la già citata
via Francigena (itinerario seguito fin dal
Medioevo dai pellegrini, che da Roma potevano,
attraversando poi la Francia, raggiungere
l'Inghilterra). Monumenti ed edifici
interessanti, chiese romaniche e fortezze si
possono incontrare un po' ovunque. Abbiamo
dedicato alcune ore alla bellissima San Miniato,
posta a metà strada tra Firenze e Pisa e quindi
a lungo contesa:
il nucleo storico si trova su
tre alture ed è ben preservato. Stupendo il
Seminario, eretto tra il XVII e il il XVIII
secolo, dalla facciata affrescata all'inizio del
Settecento dal pittore Francesco Chimenti, di
Fucecchio, con le Virtù, insieme a trenta motti
biblici e patristici in latino. Il Seminario
segue l'andamento delle mura e chiude la piazza
della Repubblica; essendo stato eretto su
fabbricati preesistenti, a piano terra sono
rimaste le tracce delle botteghe artigiane
trecentesche. Di fronte, il Palazzo Vescovile,
di origine medioevale e più volte soggetto a
rifacimenti, con doppio affaccio anche sul Duomo.
Questo è un edificio risalente al XII secolo,
dedicato a Santa Maria Assunta e a San Genesio.
La facciata in mattoni rossi presenta una
particolare decorazione, del 1250 circa, a
bacini ceramici di smalto bianco con disegni blu,
provenienti dalla Tunisia: gli originali (ne
sono rimasti 26) sono conservati nel Museo
diocesano (da visitare, espone anche un dipinto
del Tiepolo).
L'interno è neorinascimentale e
barocco,con affreschi ottocenteschi, ma il tutto
si fonde bene con l'arte romanica. Qui, il 22
luglio 1944, furono uccisi 55 sanminiatesi
dall'esplosione di una granata del 337°
battaglione di artiglieria dell'esercito
statunitense, che aveva come obiettivo, mancato,
le mitragliatrici dei tedeschi che avevano
occupato il paese, e che invece entrò nella
chiesa, dove era stata radunata molta gente,
attraverso un rosone della facciata. La
terribile strage fu imputata ai nazisti; solo
l'apertura del cosiddetto "armadio della
vergogna" nel 1994 e le successive indagini e
perizie consentirono di ricostruire la tragica
vicenda. Non tutti però si convinsero; nel 2015
il Comune deliberò
la rimozione di due lapidi in
contrasto tra loro (una, del 1954, ricordava la
strage come "eccidio perpetrato dai tedeschi";
l'altra, del 2008, affermava invece la "responsabilità
delle forze alleate" dimostrata dalla ricerca
storica), che suscitavano in città polemiche e
divisioni, e scelse di lasciare solo una lastra
commemorativa con i nomi delle vittime. Siamo
infine saliti in cima al campanile: vale
senz'altro la pena affrontare una faticosa
scalata - i gradini sono molto alti e alquanto
irregolari - per raggiungere il tetto di quella
che viene chiamata la "Torre di Matilde", per
una falsa leggenda legata a Matilde di Canossa.
Da lassù, dal tetto di quella che
originariamente era un sito di avvistamento
delle fortificazioni militari, poi incorporato
al Duomo, si gode una vista impagabile, in
particolare su un'altra torre poco lontana: è la
Rocca di Federico II, ricostruita nel 1958 dopo
la sua distruzione nella Seconda Guerra Mondiale,
ad opera dei tedeschi, il giorno seguente la
strage. E il soffermarsi sul vasto panorama
della piana dell'Arno, su un territorio così
ricco di storia, di arte, di vicende umane, fa
rammentare una frase di Leonardo, letta su un
cartello tra gli ulivi che circondano la sua
casa natale: "Come per tutti i viaggi, si può
imparare".
16 luglio 2020, Anna
Busca
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