sabato, Giugno 28, 2025
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HIROSHIMA. IL SILENZIO E’ MEMORIA

di Alberto Guzzardella

Ho visitato Hiroshima con altri 3 amici nell’ambito di un viaggio di 18 giorni nel Giappone centro-meridionale, a cavallo dei mesi di aprile e di maggio. Siamo arrivati in città con un moderno Shinkansen proveniente da Kyoto, treno ad alta velocità (peraltro sempre puntualissimo) nella tarda mattinata del 30 aprile. Abbiamo subito avuto modo di constatare, sin dal primo ristorante in cui siamo andati, come ci sia una scarsa conoscenza della lingua inglese, differentemente da altre città dal respiro più internazionale (comeTokyo o Osaka, città in cui per altro in questo periodo è in corso l’EXPO –per informazioni www.expo2025.or.jp/en ). Hiroshima ci ha dato subito l’impressione
di essere una città totalmente moderna, per ovvi motivi, ma ancorata ad un Giappone all’apparenza più provinciale ed isolato.

Contribuisce a questa immagine il fatto che le principali attrattive siano legate all’immane tragedia che la città ha vissuto alle 8.15 del 6 agosto 1945, quando venne sganciata Little Boy, esplosa a circa 600 m di altezza nel pieno centro cittadino, esponendo l’intera area a temperature di circa 4000 °C, ponendo fine all’esistenza di 140.000 persone entro il 1945 e danneggiando irreversibilmente le vite di circa un milione di persone: i cosiddetti hibakusha, i sopravvissuti – tra lutti, malattie, traumi.

Sulle ceneri di quella che, al pari di Auschwitz, è il simbolo della più grande tragedia del ‘900, Hiroshima è stata completamente ricostruita e ripopolata, ma ha mantenuto quel velo di tragicità e storia che la rende un’attrattiva forse peculiarmente turistica.
Abbiamo trovato alloggio all’Hotel No Yado Aioi, piuttosto economico ( una quadrupla sotto i 16000 YEN /notte, circa 100 euro). L’albergo è esattamente davanti all’Atomic Bomb Dome, che altro non è che la sede della Prefettura di Hiroshima sopravvissuta al bombardamento atomico. Progettato nel 1915 dall’architetto ceco Jan Letzel, il palazzo è l’unico a essere rimasto, sia pur danneggiato, abbastanza preservato dopo il bombardamento. L’edificio è stato lasciato nello stesso stato in cui si è trovato appena dopo la bomba, diventando un immenso, silente, monumento per
la Pace, contornato da piante e fiori, persino da belle palme che con la loro tranquillità contrastano con le immagini di vittime e sopravvissuti. L’Atomic Bomb Dome dona alla città, col suo scheletro svuotato, la sua – tristemente bella –  identità.

Accanto, vi è il Parco della Pace. Progettato dall’architetto giapponese Kenzo Tange e aperto nel 1954 , al suo interno si trovano una serie di monumenti tra cui il Children’s Peace Monument – una statua dedicata ai bambini morti nella tragedia e il Cenotafio davanti a cui si osservano una serie di lapidi in diverse lingue a perenne memoria di quello che viene definito “il male assoluto della guerra”. La guerra è infatti un male olistico, che coinvolge tutte le parti in causa: sia la politica imperialista del Giappone nel secondo conflitto bellico sia la decisione criminale dell’America di Harry Truman per porre fine al conflitto sono da considerare responsabili.  Altri oggetti degni di nota all’interno del parco sono la fiaccola della pace – perennemente accesa almeno fino a quando ci saranno delle bombe atomiche a disposizione degli arsenali militari delle potenze globali – e la campana della pace, liberamente suonabile da qualsiasi visitatore di passaggio, e il cui rintocco viene sentito regolarmente passeggiando nel parco. A sud del Parco della Pace vi è l’Hiroshima Peace Memorial Museum, altra tappa obbligata in questo viaggio nella memoria che abbiamo percorso immersi in un silenzio carico di riflessione. Il museo, che ha dei tratti molto “esperienziali”,  tenta (a mio giudizio riuscendoci molto bene) di comunicare ai visitatori l’orrore del bombardamento atomico, anche da un punto di vista emozionale, senza alcun filtro. Le prime sale sono dedicate alle fotografie di Hiroshima per come appariva prima della guerra, alla sua storia, per arrivare a un’immensa sala circolare con al centro una sorta di grande oblò che contiene una ricostruzione visuale (dall’alto) dei secondi della caduta della bomba nel centro della città. Seguono le sale con le vedute di Hiroshima subito dopo il bombardamento
atomico. La parte centrale del museo illustra indubbiamente le storie, di vita e di morte che fanno da contorno alla grande tragedia. Ciò che sicuramente cattura l’occhio (oltre alle immagini dei corpi carbonizzati dei morti e quelle dei sopravvissuti) più di ogni altra cosa, è la vista del triciclo utilizzato quella mattina da un bambino morto la sera stessa del 6 agosto ’45;  commuovono le storie, a volte di abbandono e declino (dovuto anche all’insorgere di gravissime patologie mentali), altre volte di straordinaria resilienza dei sopravvissuti; e – per finire – alcuni quadri che descrivono artisticamente, con impatti estremamente vividi, quella situazione. Il quadro della donna assetata che beve la pioggia nera, radioattiva, dà un contrasto tra la ricerca di un rimedio alla sete provocata da una situazione senza precedenti nella storia, e la letalità della pioggia stessa radioattiva, nera come la morte, che uccide quello che è un debole tentativo di costruirsi una qualche speranza. E’ un’ immagine terribilmente realistica quanto spietata, che annulla qualsiasi speranza e ammutolisce ogni visitatore.


Ebbene, il trait d’union di questa esperienza nel centro della città è il silenzio. E silenzio è stato quello che ci ha accompagnato all’uscita dal museo, per diverse decine di minuti. Il silenzio di chi capisce l’incommensurabilità del dolore vissuto. Il silenzio di chi comprende a fondo la follia e la forza distruttrice dell’odio, che è sempre stato storicamente il motor mundi – in quanto paradossalmente più unificante tra le fazioni in guerra ed estremamente immediato piuttosto che l’amore, che richiede pazienza, resilienza e forse anche un pizzico di ingenuità. Il silenzio, soprattutto, di chi ha memoria e non deve dimenticare.

La giornata si è chiusa con una passeggiata serale, dopo il tramonto alle 19. Molto scenografica la vista del castello della città, costruito alla fine del XVI secolo e completamente ricostruito dopo la guerra. Ci siamo poi spostati a mangiare in un omakase di estrema qualità e con un valido prezzo (circa 90 euro a testa, incluse una serie di bottiglie di vino francese.  L’omakase , per chi non fosse pratico di cultura giapponese, è un’esperienza culinaria guidata, dove il cliente non sceglie dal menù (al limite comunica la presenza di determinate allergie), ma viene servito dallo chef che prepara differenti tipologie di sushi e altri piatti davanti al proprio tavolo. Viene dato, insieme ai piatti, un asciugamano riscaldato e pregno d’acqua per la pulizia delle mani.

La mattina successiva siamo partiti per Miyajima, isola nella baia di Hiroshima nonché Patrimonio Mondiale dell’UNESCO per i templi che sono presenti: l’isola è raggiungibile comodamente con i mezzi dal centro della città. Ma Hiroshima ci è rimasta nel cuore e nella mente.




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