Film particolare questo del sessantaduenne Franck Dubosc, attore e comico francese, che ne ha curato la regia nel 2024: non è un giallo, perché si sa già tutto (o quasi) fin dall’inizio, né una vera commedia noir, né un film drammatico; si ride e si sorride spesso, perfino davanti a qualche scena pulp. Film surreale e grottesco, si potrebbe definire, e in ogni caso nasconde verità e spunti di riflessione inconsueti, per esempio sull’immoralità, o meglio amoralità, che si cela in ognuno di noi e si può manifestare nei modi più diversi davanti a situazioni inaspettate.

Dubosc ha insegnato in un corso di “espressione” per giovani avvocati ed è stato anche assistente del pluripremiato “mago” e illusionista Hugues Protat; ha lavorato in tv, sia a Londra che a Parigi, e ha recitato sia nei cabaret che nei grandi teatri, oltre che in una cinquantina di film. In questo lavoro – tratto da una storia falsa, come viene detto ironicamente nel sottotitolo – Dubosc è anche attore protagonista, e mette a frutto tutte le sue singolari esperienze passate. La vicenda si svolge in Francia, nel Giura, in un paesaggio montagnoso innevato, quasi da fiaba; il periodo è quello prenatalizio, caratterizzato da luci scintillanti, decorazioni, doni, preparazioni di feste e di cene della vigilia.

La scena iniziale vede un gruppo di uomini camminare a fatica sulla neve in un bosco di conifere; un orso compare improvvisamente, e le conseguenze sono tragiche per uno di loro. Lo stesso animale, poco dopo, attraversa la strada provocando un incidente e altre due vittime, in circostanze piuttosto inusuali. E inusuale è la presenza stessa dell’orso, visto che “non ci sono orsi nel Giura” (frase ripetuta più volte nel film e corrispondente alla realtà). Da questo momento in poi protagonista del film diventa la coppia costituita da Michel (il bravissimo Dubosc), che guidava l’auto uscita di strada a causa dell’orso, e la moglie Cathy (l’ottima Laure Calamy). Vivono in una fattoria isolata insieme al figlio Doudou (Timéo Mahaut), bimbo che sembra essere autistico ma che alla fine si rivelerà una sorta di deus ex machina risoluto e risolutivo, e campano indebitandosi e vendendo legna e abeti come alberi di Natale. Il loro rapporto è ormai logoro, quasi non si parlano più; ma Michel finisce per rivelare a Cathy quanto è successo poco prima – “Ho ammazzato due persone”, dice – e le loro vite cominciano a trasformarsi, in ogni senso.

Nel villaggio vicino, dove si conoscono tutti, c’è anche un piccolo commissariato di polizia, a capo del quale si trova il simpatico Roland (Benoît Poelvoorde), con la poliziotta Florence (Joséphine de Meaux) e l’assistente Samy (Mehdi Meskar). Spesso i personaggi sembrano assurdamente sciocchi, troppo ingenui, perfino ridicoli, alla meglio indifferenti o insofferenti, più interessati alle feste di Natale che a indagare e risolvere il caso misterioso dei tre cadaveri ritrovati, connesso – come poi si scoprirà – a un traffico di droga organizzato da un feroce gruppo criminale con base in Messico. Invece ognuno riesce, al momento giusto, a cogliere nessi e a dare risposte, anche quando i killer complici dei trafficanti arrivano in paese e i cadaveri diventano sette. Il denaro frutto del crimine, circa 2 milioni di euro trovati inizialmente in una borsa da Michel e Cathy, viene poi spartito in modi diversi, per acquisti, regali e beneficenza, pure dal parroco del paese e dal capo della gendarmeria.

Nel villaggio si trova anche un club di scambisti, il Cupidon, gestito dall’intraprendente Sabine (Emmanuelle Devos). È molto frequentato, e diventerà la cornice per la simbolica scena finale del film, con Michel e Cathy (trasformatasi da boscaiola trasandata in donna piacente ed elegante) che si sono riavvicinati, pure sessualmente, come in una specie di magia. E il tema del sesso, spogliato di inutili e ipocriti pudori, in qualche modo riesce a emergere nel film: memorabile la deposizione della figlia diciottenne del commissario Roland, Blanche (Kim Higelin), che si trova a descrivere a Florence, con estrema disinvoltura e semplicità, un rapporto avuto in auto – proprio l’automobile delle vittime coinvolte nell’incidente iniziale, trovata vuota – con il suo ragazzo.

“A volte la formica mangia la balena” è la conclusione, coerente con quanto narrato nel film: davvero originale, piacevole, da vedere.