Ieri sera, al Teatro alla Scala, Erwin Schrott ha incantato il pubblico con un recital di canto che ha confermato, ancora una volta, la sua doppia natura di interprete appassionato e di narratore.
Non sono mancate le parole del celebre baritono-basso per presentare l’impaginato con modalità anche divertenti, che hanno dato alla serata un taglio confidenziale e amichevole. Accompagnato al pianoforte, con equilibrio e discrezione, da Alessandro Amoretti, l’uruguaiano, vissuto molti anni in Italia, ha costruito un percorso sonoro che attraversava quattro secoli di musica, cantando Cesti, Caccini, Mozart, Liszt, Ibert e Tosti. Due i frammenti solo pianistici per Amoretti con il Wagner-Liszt di Isoldens Liebestod e con Rachmaninov per la Mélodie op. 3 n. 3, eseguiti con accuratezza ed espressione. L’apertura barocca, con Cesti da Orontea (Intorno all’idol mio) e Caccini con Amarilli mia bella, ha mostrato un canto attento alla parola nella dolcezza melodica; incisivo ed elegante il Mozart di Schrott con Per questa bella mano e Così dunque tradisci… Aspri rimorsi atroci, definite anche con gusto scenico naturale.
I Tre Sonetti di Petrarca, nella rara interpretazione per canto e pianoforte, hanno rivelato uno Schrott introspettivo e profondo. Due i musicisti scelti nella seconda parte del recital, con quattro Chanson de Don Quichotte di Jacques Ibert, ottimamente interpretate, e cinque arie di Francesco Paolo Tosti — Rosa, È morto Pulcinella, L’ultimo bacio, Ninna nanna, Vorrei morire — dove Schrott ha rivelato una capacità di penetrazione del canto italiano approfondita anche nella splendida recitazione.
Applausi calorosissimi in una Scala colma di pubblico e due eccellenti bis con Ella giammai m’amò dal Don Carlo verdiano e El Rojotango di Pablo Ziegler, entrambi super applauditi. (Foto di Brescia e Amisano dall’Archivio del Teatro alla Scala)