Straordinari il Quartetto di Cremona e il Quartetto Goldberg per Schubert e Mendelssohn alla Società del Quartetto

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Una serata davvero speciale quella cui abbiamo assistito ieri sera in Conservatorio. Il concerto cameristico organizzato dalla Società del Quartetto ha ospitato due formazioni d’archi: il Quartetto di Cremona e il Quartetto Goldberg.

Il primo, il Quartetto di Cremona, è certamente la massima espressione cameristica del genere in Italia e una delle migliori a livello internazionale. Da venticinque anni solca il palcoscenico della Sala Verdi del Conservatorio.
La prima parte della serata era tutta per loro – Cristiano Gualco e Paolo Andreoli ai violini, Simone Gramaglia alla viola, Giovanni Scaglione al violoncello – impegnati in una delle vette assolute del repertorio quartettistico: il Quartetto in re minore D 810 “La morte e la fanciulla” di Franz Schubert. Nelle sue pagine più cupe e introspettive, l’opera mette a nudo la tensione tra disperazione e desiderio di consolazione, con il celebre Andante che varia il tema del Lied Der Tod und das Mädchen come un colloquio serrato tra la voce umana e la fatalità. Il Quartetto di Cremona, nella coesione perfetta dei quattro archi e con il suo equilibrio tra lucidità formale e intensità espressiva, si conferma interprete ideale di questa celebre partitura.
Timbriche raffinate, dinamiche chiarissime – tra suoni impercettibili e altri di grande ampiezza – hanno reso il capolavoro di Schubert, composto nel 1824, memorabile per sintesi discorsiva e chiarezza di dettaglio.
Dopo l’intervallo, il palco ha accolto anche i giovani musicisti del Quartetto GoldbergJingzhi Zhang e Giacomo Lucato ai violini, Matilde Simionato alla viola, Martino Simionato al violoncello – per l’Ottetto in mi bemolle maggiore op. 20 di Felix Mendelssohn. L’incontro tra le due formazioni ha trasformato la scrittura mendelssohniana in una vera conversazione d’insieme, esaltando la vitalità ritmica e la trasparenza delle otto voci intrecciate. Composto quando l’autore aveva appena sedici anni, l’Ottetto è un inno alla giovinezza, alla fiducia nel suono come spazio condiviso: un perfetto contrappunto alla densità schubertiana della prima parte.
La splendida partitura, che rivela le doti geniali del giovanissimo compositore – capace di interiorizzare la lezione bachiana, evidente nello straordinario Presto finale, in parte ripetuto come bis – ha trovato una discorsività estrema nell’insieme della formazione. Molto ben riconoscibili i momenti solistici nelle alternanze timbriche. Un vero super-gruppo per un capolavoro giovanile che ha raccolto, al termine, applausi calorosi e interminabili dal numerosissimo pubblico di appassionati presenti in Sala Verdi. Memorabili. (Foto centrale dall’Ufficio Stampa della Società del Quartetto)