Pianista concertista, compositrice, vincitrice di diversi concorsi internazionali, insegnante: parliamo di Yolande Kouznetzov, figlia di genitori russi, entrambi pianisti, ma ormai naturalizzata francese. Nell’ambito del Pianovara Festival terrà domani e dopo una masterclass e oggi, 15 Settembre, nell’Auditorium del Conservatorio novarese Cantelli ha offerto un recital solistico. Con 8 Preludi dell’op.28 di Chopin si alzava il sipario del concerto, cominciando dal Preludio n.7 in LA maggiore, tra i pezzi più brevi creati da Chopin, di una concisione aforistica che anticipa di un secolo la musica di Webern; con una cura attenta dei tempi, la pianista francese evita la lentezza eccessiva di molte esecuzioni, aderendo con efficacia al ritmo di mazurka proprio del pezzo. Nel tocco sensibile e delicato della Kouznetsov, il pezzo ricorda un dolce carillon infantile, con un che di incantevole. Dopo il n.7, la pianista francese ha eseguito i n. 1-11-12-13-14-15-24. Naturalmente non esamineremo uno per uno questi pezzi. Diciamo in generale che lo stile pianistico della Kouznetsov si distingue per la delicatezza e la chiarezza del tocco e per una tecnica di affondo del tasto dolcemente morbida, con grande attenzione alle dinamiche; quando è necessario, sfodera però un tocco di grande vigore e di alte capacità virtuosistiche ( p.es. nel Preludio 24). Grazie a queste risorse esecutive la pianista francese ha creato una linea espressiva di grande intensità lirica o drammatica, con una luminosa trasparenza dell’eccezionale sintesi formale e architettonica realizzata da Chopin. Non possiamo tuttavia esimerci dal citare con lode il Preludio n. 13 in FA diesis maggiore, che Kouznetsov ha suonato splendidamente, ricreando l’atmosfera musicale di un Notturno (quale di fatto è), con una sonorità vellutata, con una vena di languore misurata e come assorbita dall’energia un po’ secca dei bicordi ribattuti della sezione centrale, evitando di cadere nel sentimentalismo effusivo, che è uno dei grandi rischi di chi suona Chopin. Né, infine, ci sentiamo di passare sotto silenzio il Preludio successivo, n.14 in Mi bemolle minore: le mani rigorosamente parallele, senza concedere al fraseggio alcun respiro, alcuna cantabilità, creano un’atmosfera musicale di una tetra angoscia di grande impatto emotivo sull’ascoltatore. Da Chopin a Prokofiev. Del compositore russo la Kouznetzov ha dato una superba interpretazione della n.7, in Si bemolle minore op.83: i momenti più memorabili sono l’intero primo tempo, dove il contrasto tematico violento tra una tarantella tragica e una dolente ninna nanna, viene portato dalla solista a un vero grado d’incandescenza vicina all’urlo nello sviluppo; il fraseggio di grande intensità espressiva, di un lirismo emozionante nel secondo tempo e il Finale dove con una dinamica di tensione apocalittica la Kouznetzov dà voce ad un’ angoscia che diventa affanno. È stata una delle interpretazioni più coinvolgenti, per noi, di questa sonata, tra quelle ascoltate negli ultimi anni. Questo pezzo era stato preceduto, in verità, da un’altra composizione di Prokofiev, Lo Studio op.2 n.1 in Re maggiore: un pezzo di alto virtuosismo, com’è inevitabile che sia per una composizione pensata come esercizio su problemi tecnici della tastiera.

La Kouznetzov lo affronta da par suo, con tecnica agguerrita e capace di sgranare con nitida precisione quel velocissimo moto perpetuo in cui il brano consiste, che anticipa il ‘motorismo’ di tanto del Prokofiev successivo. Il concerto si conclude con tre pezzi di un originale e semisconosciuto compositore catalano, Federico Mompou (1893-1987). Tra i grandi pianisti, solo A. Benedetti Michelangeli lo ha inserito nel suo repertorio, incidendolo su disco. Per il resto, silenzio, o quasi. Uno di questi pezzi suonati dalla Kouznetov, quello conclusivo, si ricollega circolarmente all’inizio del concerto: si tratta delle fluviali “Variazioni su un tema di Chopin”, dove il tema è quello del Preludio n.7 op.28, con cui il concerto era cominciato. Si tratta di una composizione, eseguita con rigore dalla solista, che in verità è un’eccezione nell’opera complessiva per pianoforte di Mompou, perché l’imitazione della musica chopiniana nasconde il volto autentico della musica del compositore catalano. Questi tratti emergono più evidenti nei due pezzi precedenti “La fuente y la campana” e soprattutto “El lago”, tratti dalla raccolta “Pajsajes” (Paesaggi) composta nel 1941. La pianista francese ne ha dato un’interpretazione esemplare, aderente a quello che noi conosciamo, grazie a Benedetti Michelangeli, come lo spirito profondo della musica di Mompou: una forte tensione emotiva, concentrata e rarefatta in composizioni generalmente piuttosto brevi, quasi aforismatiche, in cui non scorrono melodie, ma aggregati sonori elementari, tra loro giustapposti senza chiari legami tematici o armonici, sospesi in tempi per lo più lenti o tutt’al più moderati, raramente più animati con predilezione per le zone centrali dello strumento. È un pianismo che Rattalino ha definito ‘primitivo’, e intendiamoci, intenzionalmente, diremmo, squisitamente primitivo. Mompou stesso definisce i suoi pezzi “impressioni intime, trascritte con la maggior semplicità possibile”. A questo spirito aderisce perfettamente, nella scelta dei tempi, dei ritmi, nell’uso delle pause, nella particolare ‘velatura’ del suono, l’interpretazione della Kouznetzov, che ci ha aperto il mondo primitivo e magico di questo singolare e affascinante pianista iberico, ahimé ancora troppo poco eseguito nelle nostre sale da concerto. Quello della bravissima pianista francese è stato un recital decisamente attraente e ricco di spunti interessanti, salutato con un convinto applauso dal pubblico. La Kouznetzov ha eseguito un fuoriprogramma: “Feeling” di Gershwin, a ricordarci, tra l’altro che è anche un’ottima pianista jazz. Concerto e solista memorabili, decisamente.