Che il Conservatorio di Novara G. Cantelli abbia ormai acquisito notevole prestigio ed una fama che ha varcato i confini non solo della provincia, ma anche della Nazione, è provato dal numero crescente di allievi che a Novara vengono da vari Paesi del mondo, ma in particolare dall’Oriente asiatico, per studiare e perfezionarsi, in particolare, ci pare, in pianoforte. Nel concerto di ieri, 13/12, ben due pianiste giapponesi sono salite sul palcoscenico dell’Auditorium Olivieri, al Conservatorio, per il nuovo appuntamento dei Concerti del Sabato. Diviso, secondo la consueta formula, in due parti ben distinte, con interpreti diversi, il concerto vedeva protagonista della prima parte la ventenne pianista giapponese Koharu Tamura, segnalatasi in Italia negli ultimi anni per i premi ottenuti in alcuni concorsi. Il suo recital la vedeva impegnata con due composizioni non facili: i quattro pezzi della Suite Bergamasque di C. Debussy e lo Scherzo in Mi maggiore op.54 di F. Chopin. La Suite Bergamasque, pur essendo generalmente attribuita in blocco ad una presunta ‘prima fase ‘impressionistica’ di Debussy, presenta in realtà un carattere stilisticamente diversificato. Dei quattro pezzi di cui è composta, Prelude, Menuet e Passepied, cioè i primi due e il quarto, richiamano, nella loro ispirazione di fondo, la sonorità del clavicembalismo francese settecentesco. L’interpretazione della Tamura rende efficacemente questo mondo sonoro, con un tocco di nitida pulizia, brillante ed energico, capace di superare con disinvoltura le difficoltà virtuosistiche, accentuate da un’incalzante agogica, presenti in particolare in Menuet. Koharu Tamura si è rivelata davvero brava nell’eseguire questi pezzi con grande delicatezza e una calibratura preziosa delle dinamiche, suonando, in particolare, con soave agilità le scale e gli arpeggi del Preludio. Da questi tre pezzi si distingue nettamente il fin troppo celebre Clair de lune, dove, spenta l’eco di Couperin, Debussy spalanca alle orecchie dell’ascoltatore un mondo musicale, per i tempi (1891), di straordinaria novità, che spreme inediti succhi dalle esperienze più vitali del tardoromanticismo, da Liszt a Wagner, per farne cosa del tutto nuova. Il problema fondamentale che il pianista si trova di fronte nell’eseguire questo pezzo sta tutto nel fatto che più che a risolvere difficoltà tecniche (che pure non mancano), è chiamato a evocare atmosfere sonore e dunque la sfida si gioca immediatamente e tutta sul piano espressivo. La Tamura ha dimostrato di esserne ben consapevole e ha offerto al pubblico una interpretazione di questo capolavoro di Debussy decisamente di buon livello, che la mette in luce come una giovane pianista più che promettente. Ottima nella tecnica del pedale di risonanza, con cui ha creato vere e proprie ‘nuvole armoniche’, sfumando con finezza gli arpeggi, e mantenendo al tempo stesso una notevole ricchezza timbrica grazie ad un uso accorto del ‘mezzo pedale’, evitando il più possibile ogni meccanicità metronomica, Tamura ha proposto Clair de lune come un flusso delicato di suoni, sempre cangiante, in una varietà incessante di colori sfumati da una diteggiatura leggera, capace peraltro di sostenere la linea melodica con un eccellente legato del fraseggio e una pedalizzazione di perfetta risonanza: l’atmosfera ‘notturna’ del pezzo ne usciva carica di suggestione, come un velo armonico rarefatto e iridescente. Se non mancano momenti di alto virtuosismo nella Suite bergamasque, è ovviamente nello Scherzo n.4 di Chopin che esso domina la partitura, soprattutto nelle due sezioni estreme del pezzo, che è in forma tripartita. Qui La Tamura mostra tutta l’agilità delle sue dita e il perfetto controllo della tastiera, facendo scivolare senza sforzo il fluire delle continue figurazioni, che in funzione di abbellimento o di accompagnamento ritmico, con la loro agogica vertiginosa sfidano l’interprete a scalare le vette di un arduo virtuosismo. Ma la qualità esecutiva di questa pagina chopiniana da parte della Tamura non consiste solo in questa prova di agilità, ma si esprime soprattutto nel bel colore luminoso e caldo che il suo suono assume, pervadendo l’intero brano, incidendo con efficacia i diversi temi frizzanti che caratterizzano questo ultimo brillante Scherzo del grande polacco, dando così unità e coerenza, sul piano espressivo, a una pagina musicale che, a prima vista, appare frammentata in una miriade di temi principali e secondari. Degno di nota anche il suono morbido, intenso con il quale la pianista giapponese ha suonato la meditabonda melodia del Trio centrale. Ottimo recital, questo di Koharu Tamura, che ha riscosso un grande successo presso il pubblico, come sempre numeroso, che affollava l’Auditorium del Cantelli. La seconda parte del concerto vedeva in scena due giovani allieve del Cantelli già ascoltate in precedenti recital e recensite in articoli pubblicati anche recentemente su questo giornale: la violinista Michela Montanaro e la pianista giapponese Yura Okawa, chiamate a eseguire la Sonata per violino e pianoforte in mi minore op. 82 di E. Elgar.
Si tratta di un pezzo che, pur composto nel 1918, risente ancora, com’è tipico della musica britannica di questo inizio ‘900, dell’influenza del tardo romanticismo tedesco, in particolare di Brahms, per la solidità costruttiva contrappuntistica, che è uno dei caratteri salienti di questa, che è una delle composizioni cameristiche più note di Elgar. Nel complesso abbiamo ascoltato una valida esecuzione di questa non semplice sonata, di cui Montanaro e Okawa, con buon equilibrio e suggestiva intensità nel dialogo tra i due strumenti, hanno saputo dare voce sia alla ricchezza sonora, ‘orchestrale’ del brano, sia alla vena di malinconia e tristezza che spesso l’avvolge. Per questo secondo aspetto è soprattutto il violino ad assumere talora il ruolo di protagonista assoluto, come nella seconda sezione del movimento centrale, Romance, in cui le quattro corde della Montanaro disegnano un’ampia melodia, cui peraltro difettano un po’ la morbidezza e il vibrato richiesti da una pagina come questa, così come accade per il canto spianato del violino che apre il Finale Allegro ma non troppo, mentre impeccabile appariva il suono luminoso e terso caratteristico della talentuosa pianista nipponica Okawa. Comunque,un bel pezzo, che strappa una nuova ondata di meritati applausi all’indirizzo delle due giovani interpreti. Un concerto, questo, da collocare accanto ai migliori e più interessanti tra quelli da noi ascoltati in questa stagione dei Concerti del Cantelli. Non sono stati concessi fuori programma