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OTTOBRE 2024 Tornano le Serate Musicali del Conservatorio con la violinista Maria Solozobova La ripresa autunnale dei concerti di Serate Musicali ha trovato sul palcoscenico di Sala Verdi in Conservatorio la compagine d'archi L'Appassionata con il Maestro concertatore Lorenzo Gugole. È una formazione cameristica certamente di ottima qualità e nel sostanzioso impaginato che prevedeva musiche di J.S.Bach, del figlio Carl Philipp Emanuel e di F. Mendelssohn, è emersa la coesione degli archi in timbriche delicate, scorrevoli e all'occorrenza ricche d'ncisività. Partendo dalla nota Suite Orchestrale n.3 del genio tedesco, quella con la celebre Aria nel secondo movimento, la compagine ha rivelato tutto il suo spessore espressivo. Con il raro e ragguardevole Concerto in re minore per flauto, archi e basso continuo di Bach figlio, abbiamo ascoltato al flauto un solista di eccellente qualità, un virtuoso dello strumento quale Tommaso Benciolini, la cui bravura è emersa in maniera ancora più evidente nell'Allegro di molto finale, un andamento rapido efficacissimo dove sia il flauto solista che gli archi, in perfetta coesione, esternano una musica incalzante ricca di energia. Bravissimi! Con Mendelsshon siamo entrati in un altro mondo musicale, altrettanto splendido. Dalla breve e freschissima Sinfonia per Archi in si minore n.10 di un compositore dodicenne, un Adagio e Allegro già tipici del linguaggio mendelssohniano, siamo passati al pezzo clou della serata, il Concerto per Violino e Orchestra op.64, in una riduzione numerica strumentale per soli archi. Una solista di eccellenti qualità come la violinista Maria Solozobova ha reso memorabile la serata. La bellezza delle timbriche, la sicurezza delle cavate e soprattutto la superlativa espressività nel definire i tre movimenti del capolavoro di Mendelssohn hanno portato a meritatissimi fragorosi applausi dal pubblico- purtroppo non troppo numeroso- di Sala Verdi. Eccellente l'integrazione con il gruppo d'archi che, se pur senza gli strumenti a fiato, ha espletato una resa rilevante nella valida trascrizione. Peccato la mancanza di un bis solistico della Solozobova, in un concerto complessivamente splendido. Ottima quindi la ripartenza stagionale per Serate Musicali. Auspichiamo comunque più pubblico. Ieri sera la violinista e l'Orchestra meritavano una Sala Verdi al completo. Da ricordare. Lunedì 14 ottobre in Sala Verdi al pianoforte Zlata Chocheva. Da non perdere 8 ottobre 2024 Cesare Guzzardella Il Trio Kaufman a Palazzo Marino per Beethoven e Babadjanian Successo alla rassegna musicale organizzata a Palazzo Marino in una Sala Alessi al completo. Questa mattina è stata la volta del Trio Kaufman, con Valentina al pianoforte, Luca al violino e Chiara al violoncello, tre fratelli ormai celebri per le loro evidenti qualità interpretative. In programma il Trio in Re magg. op 70 n.1 “Gli spettri” per pianoforte, violino e violoncello di L.v. Beethoven (1770-1827) e il raro Trio in Fa diesis Minore di Arno Babadjanian (1921-1983). In entrambi i lavori cameristici i tre giovani musicisti hanno ancora una volta rivelato qualità di primo livello in termini di intesa complessiva, di carica espressiva e di definizione di dettaglio. La visione precisa dei due trii, quello celeberrimo beethoveniano, Gli spettri, composizione del 1808, e quello del musicista armeno Babadjanian, brano del 1952 che richiama la tradizione folcloristica con influenze che vanno da Bartòk a Šostakovic, ha impressionato per maturità interpretativa. La sicurezza delle armonie del pianoforte di Valentina e il nitore melodico dei due archi esternati con espressione dai due gemelli Luca e Chiara, hanno portato ad applausi fragorosi al termine delle rispettive interpretazioni. Bis splendido con un movimento dal celebre Trio n.4 in mi minore op.90 "Dumky" di Antonin Dvorak. Da ricordare. 6 ottobre 2024 Cesare Guzzardella Il pianista Emanuele Delucchi interpreta Ferruccio Busoni al MaMu milanese L'interessante incontro cui abbiamo assistito ieri, nel tardo pomeriggio, al MaMu - Magazzino Musica- di via Soave 3 a Milano, riguardava un compositore italiano, vissuto a lungo in Germania, quale Ferruccio Busoni (1866-1924). I cento anni dalla sua morte sono stati un valido motivo per riconoscere a questo grande pianista-compositore i meriti che gli spettano, essendo stato Busoni un grande innovatore di quella scuola pianistica che deriva direttamente da Franz Liszt. Emanuele Delucchi, virtuoso della tastiera, uno dei pochi interpreti che ha il merito di aver completato l'esecuzione in pubblico del ciclo di studi Chopin/Godowsky, ha presentato molto bene la figura di Busoni, facendo un valido confronto con il suo amato Leopold Godowsky, altro fondamentale compositore e innovatore-virtuoso. L'interpretazione al pianoforte, di fronte ad un numeroso pubblico di appassionati che gremiva il MaMu, di una serie di brani di Busoni, ha messo in risalto lo spessore compositivo-virtuosistico di questo grande, ma anche le qualità di Delucchi, pianista raffinato di mirabile resa estetica. Ricordiamo che la serata è stata organizzata in collaborazione con l'editore tedesco Breitkopf & Härtel - per la "casa editrice Busoni". Delucchi ha iniziato il concerto con due Elegie, la pacata N.7 e la vivace N.4 "Turandots Frauengemach", quindi la Toccata, Adagio e fuga BWV 564 dall'originale organistico di Bach trascritta mirabilmente per pianoforte dal musicista empolese e delineata benissimo da Delucchi nei colori organistici, e la moderna e innovativa Sonatina n.4. A conclusione della serata, il Corale e Preludio "Nun komm' der Heiden Heiland BWV 659" - Vieni ora Salvatore delle genti- di J.S.Bach nella celebre trascrizione busoniana. La resa estetica di Delucchi in tutti i brani, da quelli più tenui come l'Elegia n.7 o il Corale conclusivo, a quelli dove il virtuosismo tocca vette altissime, come la Turandots Frauengemach o la Toccata, ha rivelato le sue profonde qualità d'interprete: il suo è un pianismo approfondito da un costante studio e da una penetrazione espressiva nel carattere del compositore. Una tardo-pomeriggio ottimo, da ricordare a lungo. 6 ottobre 2024 Cesare Guzzardella Non poteva che essere il maestro Mario Coppola, a concludere, ieri 5/10, il festival pianistico Pianovara, organizzato dal Conservatorio Cantelli di Novara. Mario Coppola, napoletano, gode di grande prestigio, sia come insegnante di pianoforte attualmente al Cantelli, ove vanta un alto numero di allievi vincitori di vari concorsi in Italia e all’estero e apprezzati pianisti in varie sale da concerto e festival (abbiamo ascoltato due giorni fa, qui al Cantelli, la bravissima De Bernardo), sia come pianista, formatosi nell’ambito della scuola napoletana, avendo come insegnante uno dei massimi esponenti di quella scuola, quel Sergio Fiorentino che, secondo un noto aneddoto, Arturo Benedetti Michelangeli riconobbe come unico altro vero pianista al mondo, oltre, naturalmente, a lui stesso. Della scuola napoletana Coppola ha ereditato le due caratteristiche di fondo: il ‘tocco’, che per i maestri di quella scuola significa cantabilità, tecnica del legato e trasparenza polifonica, e la nitidezza ed equilibrio del suono in velocità, con una tecnica ferrata, che ci pare guardi anche ad un altro grande maestro napoletano, Vincenzo Vitale. Su tutto regnano sovrane una squisita eleganza e una finissima sensibilità espressiva per ritmi, dinamiche e timbri. Le Variazioni in Re maggiore KV 573 di Mozart, primo pezzo in programma, sono servite sostanzialmente a Coppola a ‘riscaldare i polsi’ e a dar prova di un suono brillante e capace di ricreare il gradevole gusto galante di un pezzo decisamente minore di Amadè. Il maestro napoletano, grazie ad una fraseggio morbido, quasi in sordina, ma caldo e avvolgente nella sua straordinaria finezza di tocco, ha saputo trasmettere al pubblico tutta l’intensa poeticità e la soffusa dolcezza, venata di malinconia’ slava., dei due bellissimi notturni di Cjaikovskij, il n.1 op.10 in Fa maggiore e il n.4 op.19 in do diesis minore e soprattutto della sublime Barcarola Giugno, dalle Stagioni del grande compositore russo, di esecuzione che non esitiamo a definire perfetta, per la cura finissima del dettaglio timbrico e dinamico .In ‘Funerailles’ di Liszt, che chiudeva la serata, Coppola mostrava tutta la varietà dei suoi registri espressivi, esprimendo al meglio il percorso ascensionale disegnato dal sublime pezzo, dalla morte, col suo cupo ostinato ribattuto con energia e come inciso nella tastiera dal pianista, all’inebriante danza trionfale della salvezza, che trovava la sua voce sonora nella spumeggiante luminosità di una marcia trionfale, con i suoi abbellimenti cesellati da Coppola con la sua caratteristica trasparenza. Ma il clou dell’impaginato era rappresentato dalla penultima sonata di Beethoven (finalmente in questo festival!), la n.31 in La bemolle maggiore op.110. L’interpretazione che ne ha offerto Coppola è stata all’insegna della più tersa cantabilità, con momenti di intenso intimismo, in un flusso delicato di idee musicali, fraseggiate con quell’ “amabilità” che Beethoven prescrive in partitura per il primo movimento e con una espressività che sa essere struggente nell’Arioso dolente, per poi farsi evento sonoro di incantevole luminosità nella Fuga finale. Il recital di Coppola è stato accolto da applausi scroscianti di un pubblico entusiasta, che ha ottenuto come bis un pezzo di Chopin e uno di Fiorentino, omaggio di un grande allievo a un grandissimo maestro. Davvero un concerto che ricorderemo! 6 ottobre 2024 Bruno Busca L'Ensemble Vocale Harmonia Cordis alla Primavera di Baggio La rassegna musicale La Privamera di Baggio, ha accolto nella Chiesa Vecchia l'Ensemble Vocale Harmonia Cordis per il "Vespro della Beata Vergine". Il Coro diretto da Giuditta Comerci ha miscelato, per la definizione del Vespro, momenti in canto ambrosiano con altri composti da personalità musicali illustri del '400, del '500 ma anche del Novecento. Compositori come Guillaume Dufay (1397-1474), Josquin Deprez (1450-1521), Gregor Aichinger (1564-1628), Tomás Luis De Victoria (1548-1611), Cristobal De Morales (1500-1553) e Igor Stravinskij (1882-1971), si sono alternati nel definire la straordinaria coralità espressa dal gruppo. Un Ensemble Vocale nato nel 2008 che predilige il repertorio polifonico rinascimentale e il canto gregoriano e ambrosiano. L'Ensemble, ieri sera presente solo nella componente corale, ha anche come complemento strumentisti - con strumenti originali- che esprimono un repertorio assai vasto. L'originalità della vocalità ottimamente riverberata all'interno della Chiesa di Baggio è stata accolta da applausi meritatissimi dal numeroso pubblico intervenuto. Questa sera alle ore 18.00, concerto pianistico di Diego Petrella sempre nella Chiesa Vecchia. 5 ottobre 2024 Cesare Guzzardella Emma Guercio ai concerti di Steinway & Sons Presso la Steinway & Sons di Milano continua la rassegna concertistica in collaborazione con il Conservatorio "G. Verdi". Ieri è stata la volta della sedicenne torinese Emma Guercio che ha impaginato un programma con brani di Mozart, Chopin, Schubert e Liszt. Dopo la valida, equilibrata e dettagliata Sonata K.333 di Mozart, già eseguita recentemente al Dal Verme, il contrastante Scherzo n.1 op.20 in si minore di F. Chopin ha evidenziato maggiormente il virtuosismo della giovanissima interprete. La successiva Sonata n.13 in la maggiore D 664 Di Franz Schubert, interpretata con equilibrio nei suoi tre movimenti e con evidente attenzione alla chiarezza di dettaglio , ha anticipato l'ultimo brano in programma, il Mephisto Waltz n.1 in la maggiore di Franz Liszt. Qui la Guercio ha dato il meglio, rivelando eccellenti qualità nel superare ogni difficoltà tecnica che il virtuosistico brano del grande compositore-pianista ungherese impone. Un'interpretazione di grande livello espressivo che ha esaltato i potenziali interpretativi della Guercio. Una pianista che ha tutti i requisiti per approfondire lo studio del pianoforte, per trovare una sua ancor più personale qualità espressiva. Applausi calorosi dal pubblico intervenuto nell'elegante spazio Steinway & Sons. Valido il bis concesso con un ottimo Studio n.5 dall'op.25 di Chopin dove la pianista ha evidenziato molto bene la parte melodica della mano sinistra. Brindisi finale. 4 ottobre 2024 Cesare Guzzardella Successo meritatissimo per L'Orontea di Cesti-Carsen Un'opera rara quale L'Orontea (1656) dell'aretino Antonio Cesti (1623-1669) ha trovato una rivitalizzazione in chiave moderna ottima dal regista Robert Carsen, una firma nel teatro d'opera celebre, con importanti successi nei massimi teatri lirici. Mancava da Milano dal 1961, quando venne rappresentata alla Piccola Scala per la direzione di Bruno Bartoletti e la regia di Luigi Squarzina. In questa nuova messinscena la dedica alla città di Milano risulta subito evidente dalla moderna scenografia di Gideon Davey, autore anche dei costumi. Un'ambientazione in una grande galleria d'arte che ha come sfondo i grattacieli di Porta Nuova oltre che una serie di dipinti contemporanei. Ottimamente illuminata da Peter Van Praet e da Carsen stesso, la valida scena e il respiro moderno dei bravissimi cantanti, anche eccellenti attori, racconta l'antica vicenda d'Egitto della regina Orontea nelle parole dei librettisti Giacinto Andrea Cicognini e Giovanni Filippo Apolloni. È un intreccio d'amore particolare quello che viene raccontato, che si risolve positivamente anche se nel percorso dei tre atti tutto può accadere, ma nel finale l'amore di due coppie trionfa: quello tra Orontea nella voce da soprano di Stéphanie D'Oustrac e di Alidoro, il controtenore Carlo Vistoli e quello tra Silandra, il soprano Francesca Pia Vitale e Corindo, il controtenore Hugh Cutting. Il dramma in musica di Cesti, tra i massimi operisti secenteschi che spesso si associa al contemporaneo Francesco Cavalli, ha nell'intreccio tra i recitativi di altissima qualità e le non numerose ma eccellenti arie un portato musicale importante, mediato dalle sonorità "antiche", definite in modo eccellente nella direzione di Giovanni Antonini - un esperto nel settore- e dagli strumentisti del Teatro alla Scala operanti su strumenti originali. Le timbriche d'epoca, che nascono dalla tradizione popolare delle danze in una definizione raffinatissima, in contrasto con la moderna scena rotante d'interni nella regia di Carsen non subiscono alcun danno, anzi la musica magicamente risulta più moderna nell'attualizzazione e ricca di espressività. Le basse volumetrie sonore complessive dovute ad un orchestra dai timbri cameristici, esaltano gli interventi vocali dei protagonisti, per l'occasione di alta qualità. Oltre ai nomi citati, aggiungiamo Mirco Palazzi in Creonte, Luca Tittoto in Gelone, Sara Blanch in Tibrino, Marcela Rahal, Aristea e Maria Nazarova in Giacinta, tutti bravissimi. Uno spettacolo di qualità musicale e teatrale, tra i migliori visti, giustamente molto apprezzato dal numerosissimo pubblico presente alla quarta rappresentazione. L'ultime replica è il 5 ottobre. Assolutamente da non perdere! ( foto di Vito Lorusso dall'Archivio del Teatro alla Scala) 3 ottobre 2024 Cesare Guzzardella LA PIANISTA LUDOVICA DE BERNARDO INCANTA IL PUBBLICO DI NOVARA Ieri, 2/10, siamo tornati volentieri ad un concerto della giovane e talentuosa pianista napoletana Ludovica De Bernardo, presso il Conservatorio di Novara, ove svolge attualmente attività d’insegnamento. Avevamo già ascoltato la De Bernardo tempo fa, in un concerto dall’impaginato novecentesco. Da allora ha intensificato la sua già ampia attività concertistica, approfondendo anche i grandi classici del Romanticismo ottocentesco, sotto la guida di quello che dal 2012 è il suo grande mentore, il Maestro Mario Coppola, esponente tra i più autorevoli oggi della c.d. ‘scuola napoletana’. E tutto ottocentesco, salvo un pezzo di Ravel, era il programma presentato ieri da De Bernardo: Chopin, Liszt, Brahms. La raffinatezza ed eleganza squisita del tocco, unita a chiarezza e solidità di gran pregio, già ascoltata in precedenza, ci è apparsa nel recital di ieri arricchita da una più sottile e profonda esplorazione delle sfumature espressive del suono, cavato da un tocco morbido, talora quasi felpato, con legati e rubati che danno elegante fluidità al fraseggio. Queste qualità interpretative della brava pianista napoletana emergono subito sin dal primo pezzo, lo Scherzo in mi bemolle min. op.4 di J. Brahms, ove alla tensione ritmica, eseguita con sicurezza ed energia, si accompagna, soprattutto nel secondo dei due Trii, un melodismo che il tocco della De Bernardo soffonde di quella vaghezza malinconica che poi sarà del maggior Brahms. L’ascoltatore avverte poi, nello Scherzo in Mi magg. op.54 di F. Chopin, affidato al talento di questa pianista, quella sonorità “pastello luminoso e chiaro” di cui parlava Rattalino, mentre, sempre del grande polacco, dell’Andante spianato e Grande Polacca brillante in Sol Magg. op.22, il pubblico, dopo essere stato rapito dalla dolce cantabilità dell’Andante introduttivo, ha potuto apprezzare il suono energico e perlaceo sgranato dalla De Bernardo anche nei momenti agogicamente più mossi, e la finezza di gusto con cui è stata eseguita la ricchissima ornamentazione che accompagna gran parte della Grande Polacca. Ma la De Bernardo è pianista davvero completa e lo ha dimostrato con la n.13 delle Rapsodie ungheresi di F. Liszt, ove ha sfoggiato un vero e proprio fuoco d’artificio sonoro, nel ritmo frenetico della danza tzigana, eseguito però sempre con sapiente gusto e solida e razionale misura e soprattutto con una rara capacità di valorizzarne la splendida orchestrazione, con i suoi variegati e trascoloranti contrasti timbrici. La De Bernardo, fuori della serie di pezzi ottocenteschi ha introdotto nel suo recital, come detto, la Suite di Ravel “Les Valses nobles et sentimental” che ha davvero incantato gli ascoltatori con un’esecuzione di suprema eleganza, che è sembrata accarezzare piuttosto che evidenziare le durezze armoniche e le raffinate angolosità del pezzo, rendendo soavi anche le dissonanze, sino al gioco di svaporanti sfumature in cui sembra sciogliersi questa danza, che il tocco pregevole dell’interprete ci ha presentato quasi come un sogno di un mondo perduto, ma ancora capace, così evocato, di diventare incantesimo sonoro. Grandissimo il successo di questo bellissimo concerto, accolto da grandi applausi del pubblico, che ha ottenuto un bis: un pezzo di bravura di Debussy, suonato con assoluta perfezione. Da ricordare! 3 ottobre 2024 Bruno Busca GRANDE SUCCESSO DEL CONCERTO PIANISTICO DI MARCO PASINI AL CONSERVATORIO DI NOVARA Ieri, 30/09, il Festival Pianovara ha avuto come protagonista, all’Auditorium Olivieri del Conservatorio, il pianista milanese Marco Pasini. Diplomatosi in pianoforte e organo al Conservatorio Verdi di Milano, ha ormai alle spalle una lunga attività concertistica, come solista e con orchestra, in Italia e nel mondo, sempre apprezzata da critica e pubblico, cui si affianca l’insegnamento, che attualmente lo vede docente di pratica organistica presso il Conservatorio Cantelli di Novara. Il programma presentato da Pasini era impaginato sui Sei Momenti Musicali op-16 di S.. Rachmaninov e sui Dodici studi trascendentali di F. Listz. Dunque un recital chiaramente all’insegna del più arduo virtuosismo. Fin dal primo numero del programma Pasini ha mostrato i caratteri fondamentali del suo pianismo: mezzi tecnici eccezionali, un’energia di suono sprigionata da una forza eccezionale del tocco e dei polsi: Pasini, propriamente, si avventa sulla tastiera e ne cava un mondo sonoro di fremente potenza. Tuttavia il suo tocco non è ignaro di eleganza e ricerca di sfumature, a partire dal timbro nitido e brillante, con una tecnica del legato e del rubato capace di dare al suo suono una significativa espressività. Insomma, non siamo di fronte a uno scintillante ‘pestone’, per usare un termine caro a Clara Schumann ma a un virtuoso eccezionale, capace, quasi sempre, di ricondurre il suo virtuosismo a una misura espressiva. Dei Momenti musicali di Rachmaninov, Pasini affronta impavido, suonandoli con precisione e trasparenza assolute, la densità di scrittura del Maestoso finale, come le enormi difficoltà esecutive del Momento n.4, di cui sa valorizzare con intensa espressività il carattere fortemente drammatico. Ma Pasini sa anche dare voce, con morbidezza e delicatezza di tono, al dolce cantabile del Momento n.3 , sfumandolo in un modo tutto particolare con un gioco di rubati e una finissima gestione delle dinamiche e del pedale, da grande pianista. Ovviamente questo altissimo livello esecutivo è stato pienamente confermato dagli Studi di Liszt di cui ci sono piaciuti in maniera particolare Vision, tutto suonato su un registro grave, valorizzato nella sua cupa drammaticità nell’interpretazione di Pasini, Wilde Jagd (Caccia selvaggia) in cui il suono del pianoforte diventa voce di un inquietante impulso selvaggio e un po’ barbarico con il continuo vorticare di scalette ascendenti e discendenti, in tutte le possibili forme, e Chasse Neige ( Scaccianeve), dove il Maestro ha animato il tremolo ostinato e le varie scale brevi di una espressività tutta particolare, che va al di là della banale riproduzione di una tempesta di neve, evocando come un’eco di lontano mistero, quasi un grido della Terra (magistrale qui l’uso del pedale).. Bellissimo concerto, senza dubbio, questo di Pasini, che ha riscosso il meritato successo del pubblico, con prolungati applausi. Costretti da un impegno, abbiamo lasciato la sala subito dopo gli Studi lisztiani e non sappiamo dunque se il Maestro Pasini abbia concesso dei bis. 1 ottobre 2024 Bruno Busca SETTEMBRE 2024 Il soprano Manuela Bisceglie in Conservatorio per Musica Maestri! Per la nona edizione di MUSICA MAESTRI! al Conservatorio milanese ieri abbiamo ascoltato il soprano Manuela Bisceglie e il pianista Stefano Giannini. Arie di canto celebri e pezzi pianistici di Bizet, Massenet e Puccini sono stati ottimamente interpretati. La parte di canto, preponderante, era intervallata da pezzi solistici per pianoforte, rarità dei tre compositori celebri per la loro produzione operistica. Dalla Carmen di Bizet, l'aria "C'est des contrebandiers... je dis, que rien ne m'épouvante" ha introdotto il tardo pomeriggio mettendo in risalto la voce intonata, chiara ed incisiva della Bisceglie. Del secondo grande francese, Jules Massenet, è stato proposto da Manon «Allons! Il le faut... adieu, notre petite table», con uguale nitore espressivo e ottima coesione del pianoforte di Giannini. Tre brani solo pianistici, sempre del secondo francese tratti da Improvisations premier livre, cioè il n. 2 Allegretto con grazia -Con moto, il n.3 Triste et très lent e il n. 4 Allegretto scherzando, hanno mostrato la chiarezza coloristica e la precisione di dettaglio dell'ottimo pianista. Quindi ancora musica operistica di Massenet con i validi: da Hérodiade: «ll est doux, il est bon" e da Thais: «Ah! Je suis seule enfin.. dis-moi que je suis belle». La seconda parte del programma è stata dedicata interamente a Giacomo Puccini, partendo da un brano pianistico quale Foglio d'Album che ha introdotto il celeberrimo "Si, mi chiamano Mimì" da Bohème dove la Bisceglie ha raggiunto un vertice interpretativo per bellezza timbrica e perfetta intonazione. Dopo l'Intermezzo pianistico da Manon Lescaut ancora canto con «ln quelle trine morbide», mentre il pianoforte solista ha poi delineato in modo raffinato il noto Coro a bocche chiuse e il Preludio orchestrale da Madama Butterfly in una eccellente trascrizione pianistica e quindi ancora canto con un eccellente "Un bel dì vedremo" . Il brano conclusivo da Turandot con "Tu che di gel sei cinta" ha completato le qualità della bravissima Bisceglie. Ottimo il bis concesso con "O mio babbino caro" da Gianni Schicchi. Applausi calorosi e continuati per i due bravissimi interpreti in una Sala Puccini colma di pubblico. 30 settembre 2024 Cesare Guzzardella LA RONDINE DI PUCCINI VOLA TRA GLI APPLAUSI AL COCCIA DI NOVARA Il Teatro Coccia di Novara prosegue le celebrazioni del centenario pucciniano della stagione 2024 con “La Rondine”, un’opera del grande Maestro lucchese che ha avuto il singolare destino di passare da titolo più trascurato del catalogo pucciniano fino a pochi decenni fa, disprezzata come ‘volgare’ operetta, a ‘capolavoro’ ingiustamente e ingiustificatamente trascurato, secondo il giudizio ormai acquisito negli ultimi anni. Infatti quest’anno parecchie Rondini hanno garrito nei teatri italiani, a cominciare dal più prestigioso, La Scala. Per Novara La Rondine rappresentata venerdì 27 e ieri domenica 29/09 era la prima assoluta, in coproduzione tra Teatro Coccia e Fondazione Arena di Verona. Ma per tutta la compagnia che ha costruito lo spettacolo, salvo il regista e il tenore Gaetano Salas, si è trattato di un debutto in quest’opera pucciniana. La regia, affidata a Stefano Vizioli, con le scene di Cristian Taraborrelli e i costumi, splendidi, di Angela Buscemi, sposta di un secolo l’ambientazione della vicenda, dalla metà dell’800 alla metà del ‘900. Scelta del tutto accettabile, stante una certa affinità tra la fatuità e superficialità di certi ambienti ‘borghesi’ e ‘demi-monde’ del Secondo Impero con quella dominante in sfere analoghe della società del pieno XX secolo. Degne di citazione anche le coreografie di Pierluigi Vanelli e le luci di Vincenzo Raponi, che hanno contribuito efficacemente all’evocazione dell’atmosfera voluta da Vizioli, quella del salotto di Magda del primo atto che diventa un sofisticato salotto mondano, mentre il Ritrovo notturno del secondo si colora di tinte esistenzialistiche (di dubbio gusto, e non chiaro simbolismo, peraltro, la grande testa sdraiata che a un certo punto scivola nella scena attestandosi alle spalle di Magda e Ruggero, seduti a dichiararsi il loro amore) e la Costa Azzurra del terzo è sostituita da una camera d’albergo dove Magda e Ruggero consumano la loro effimera storia d’amore lontani dal mondo. È una buona regia, in cui i vari dettagli si saldano in un bell’insieme coerente, regolato da un ritmo teatrale molto ben guidato da Vizioli, con un occhio alla Traviata, soprattutto con numerosi riferimenti nel primo e in parte nel secondo atto. La parte musicale era affidata alla direzione dello spagnolo Jordi Bernacer, alla guida dell’Orchestra Filarmonica Italiana, accompagnato dal Coro Sinfonico di Milano, diretto da Massimo Fiocchi Malaspina. La musicalità de La Rondine è molto particolare e in parte diversa rispetto a quella delle opere precedenti di Puccini, segnando una sorta di svolta nel suo stile: su una linea ritmica fondamentalmente di danza, che si trasforma continuamente da valzer in tango , in slow fox e altre danze del tempo, a creare l’atmosfera da operetta, propria dell’ambiente in cui la vicenda ha luogo, Puccini crea una musica di aerea leggerezza, in cui la linea melodica è frantumata in finissimi dettagli, armonici (con molte dissonanze non risolte e cromatismi), una timbrica spesso affascinante e dinamiche di grande efficacia. Su tutto, una trasparenza straordinaria di questo vario, miniaturistico tessuto musicale. Bernacer, dettando i tempi giusti e con una raffinata attenzione alle timbriche e alle dinamiche della partitura, realizza in modo adeguato queste peculiarità stilistiche de La Rondine, con una buona gestione del rapporto tra buca e palcoscenico, ben coadiuvato dal coro, ove eccellente si è dimostrata la direzione di Fiocchi Malaspina. Di buona qualità la parte vocale. Magda era il bravo soprano napoletano Valentina Varriale, vera protagonista dei tre atti col suo bel timbro, a un tempo pastoso e di luminosa trasparenza, che la sostiene efficacemente nella varietà del fraseggio leggero e brillante. La Varriale ha dato prova di un buon legato, soprattutto nei passaggi in mezzoforte e di una musicalità intensamente espressiva, con buone mezze voci, accompagnata da valide risorse di attrice, ben sfruttate da Vizioli. Bella la sua aria del primo atto “Il sogno di Doretta”, il clou lirico dell’opera, ove la Varriale fa sfoggio di un acuto morbido e caldo, venato di suggestiva sensualità, adattissimo alla parte. Buona l’interpretazione del tenore messicano-americano Galeano Salas, nei panni di Ruggero, dotato di uno strumento vocale morbido ed espressivo, che ha offerto il meglio di sé, anche dal punto di vista teatrale nel terzo atto, in cui raggiunge effetti davvero commoventi (No, rimani! Non lasciarmi solo!), dovendo cedere alla decisione di Magda di abbandonarlo (per tornare a Rambaldo? Non è poi detto...) Alla coppia principale Magda-Ruggero si affianca quella ‘minore’ di due personaggi quali la cameriera Lisette e il poeta Prunier. Lisette era il soprano Nofar Jacobi. Se sul piano teatrale ha recitato bene la parte del ‘mulinello’, tutta vorticoso movimento avanti e indietro sulla scena, dal punto di vista propriamente vocale ha mostrato evidente disagio nelle scene d’assieme, specie nel primo atto, ove la sua voce, un po’ debole e opaca nei centri e con un acuto talora strillato, si è spesso smarrita nello ‘stile di conversazione’ che domina gran parte de La Rondine. Un po’ meglio ha figurato nel terzo atto, ove l’assenza di scene d’assieme ha senz’altro giovato al suo canto. Decisamente apprezzabile il Prunier del tenore Enrico Casari, dal bel timbro profondo e caldo, con buona proiezione e di ottimo fraseggio, sostenuto da eccellenti risorse di attore, accortamente sfruttate dalla regia. Di buon livello anche il contorno a cominciare dal baritono Marcello Rosiello nella parte di Rambaldo, corretto nella parte vocale e in quella teatrale. All’altezza delle loro parti e particine anche Daniele Cusari (Périchaud), Sebastiano Cicciarella (Gobin), Giuseppe Serreli (Crébillon) Vittoria Licostini (Yvette), Francesca Mercuriali (Bianca) Caterina Dellaerei (Suzy). Grande successo di pubblico, con applausi scroscianti, durati una ventina di minuti per uno spettacolo davvero ben confezionato, sicuramente tra quelli da ricordare visti al Coccia. ( Foto Ufficio Stampa Teatro Coccia) 30 settembre 2024 Bruno Busca Il secondo concerto della stagione autunnale di Primavera di Baggio - iniziativa musicale organizzata da molti anni da Davide Cabassi - ha avuto come protagonista Luca Schieppati: pianista, organizzatore di concerti, divulgatore, oltre che docente di pianoforte al Conservatorio "G.Verdi" di Milano. Un ottimo programma quello ascoltato nella suggestiva Chiesa Vecchia di Baggio. Dedicato a Puccini, prevedeva cinque suoi brani, per un totale di quindici minuti circa di sua musica. Un impaginato scelto in modo intelligente da Schieppati, integrato con brani di Verdi-Liszt, Rachmaninov, Debussy, Busoni e Gershwin. Lavori di fine Ottocento o dei primi decenni del Novecento ben inseriti tra quelli pucciniani, tutti improntati su una melodicità rilevante che li accomunava nel non breve percorso sonoro. Schieppati oltre che a interpretarli in modo impeccabile per qualità espressiva, ha anche voluto raccontarli in modo adeguato, da esperto conoscitore della musica e dei relativi musicisti. Il brano iniziale, probabilmente il più virtuosistico, un Verdi rivisitato da Franz Liszt, le celebri Reminescenze da Aida, ha subito rivelato la cifra virtuosistica del pianista, giocata su una chiarezza espressiva non comune che tende ad evidenziare con profondità la componente melodica all'interno delle complesse strutture armoniche. I brevi brani pucciniani, i pochi composti da un musicista celebre per la sua produzione operistica, erano: Piccolo Valzer, Foglio d'Album, Calmo e molto lento, Piccolo tango e Scossa elettrica. Tutti evidenziati con passione ed eleganza da Schieppati ed intervallati dalla melodica Elegia op.3 n.1 di Sergej Rachmaninov, dall'esotica L'isle joyeuse di Claude Debussy, dal raro Turandots Frauengemach di Ferruccio Busoni e dai noti 3 Preludi di George Gershwin. Ottime tutte le interpretazioni, molto apprezzate, con applausi calorosi, dal numeroso pubblico presente. Di eccellente qualità il bis concesso: un'intensa trascrizione di un lied di Franz Schubert: An Die Musik. 29 -09-24 Cesare Guzzardella Carles Marín alla rassegna "Il pianoforte in Ateneo" dell'Università Cattolica milanese Sono iniziati gli ultimi concerti stagionali della rassegna pianistica "Il pianoforte in Ateneo" , organizzata dal Maestro Davide Cabassi e dal prof. Enrico Reggiani con la partecipazione di Kawai Pianos di Hamamatsu. Dopo una valida introduzione al concerto fatta da Reggiani partendo dal pensiero di Adorno, il pianista spagnolo Carles Marín ha proposto un impaginato articolato che prevedeva anche sue composizioni. Brani di Bach, Marín, Godowsky, Schumann e Scriabin si sono alternati rivelando le virtuosistiche qualità del pianista-compositore. È un virtuosismo, quello di Marín, che nasce dal bisogno di ricreare le importanti composizioni dei grandi del passato, attraverso un linguaggio personale, dove la sua creatività di "pianista-compositore" possa intervenire per trovare nuove soluzioni interpretative avendo come esempio i grandi virtuosi del passato come, ad esempio, Vladimir Horowitz. Introducendo l'impaginato con J.S.Bach, precisamente con l'Ouverture dalla Suite francese BWV 831, Marín ha rivelato la sua formazione classica di alto livello, rivelando un'ottima discorsività. Il brano successivo, il suo Studio n. 2 "Homenaje a Nelson Freire" - il grande pianista brasiliano recentemente scomparso- ha mostrato la sua capacità di modifica di materiali esistenti in un complesso compositivo dal gusto improvvisatorio ricco di contrasti. Quindi il successivo Godowsky, l'Etude after Chopin n. 13, per la sola mano sinistra, ha espresso sia la cifra virtuosistica del grande compositore virtuoso polacco-statunitense, che quella dell'interprete. Con la Sonata n. 2 op. 22 di Robert Schumann, capolavoro di armonie, Marín ha trovato una lettura efficace, attenta ai dettagli, molto virtuosistica ma anche di grande riflessività, come nell'intenso Andantino. Di particolare interesse i brani successivi, composti da lui, lo Studio n. 3 "Maiden' Wish Variations" e quello n.4 "Quasi perpetuum". La sua capacità di trasformazione di frangenti chopiniani per la realizzazione di uno studio, è certamente molto interessante e rivela una qualità costruttiva di alto livello. Una efficace Sonata n. 5 op. 53 di Scriabin, a conclusione del programma ufficiale, ha mostrato doti eccellenti di sintesi discorsiva nel prodotto del genio russo giocato su elementi simbolici di grande modernità per l'epoca compositiva. Applausi fragorisi nella splendida Aula Magna dell' Università Cattolica del Sacro Cuore milanese e due i bis concessi: prima uno Studio ancora di Marìn molto personale e di particolare espressività; poi un eccellente Bach-Siloti con un profondo Preludio in si minore. Applausi calorosissimi dal numeroso pubblico intervenuto. Prossimo appuntamento per giovedì 17 ottobre alle 20.45, con Davide Cabassi che interpreterà Beethoven. Da non perdere. 27 settembre 2024 Cesare Guzzardella Al Dal Verme un concerto per celebrare i caduti per mafia diretto da Alfonso Di Rosa Il concerto di lunedì scorso del Teatro Dal Verme, organizzato dalla Regione Lombardia con interventi introduttivi degli Assessori Caruso e La Russa, oltre che a quelli del direttore artistico de I Pomeriggi Musicali Maurizio Salerno e del Maestro Angelo Mantovani, era diretto da Alfonso Di Rosa ed è stato voluto per celebrare la memoria dei caduti per la lotta contro le mafie. Sono stati ricordati Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Carlo Alberto Dalla Chiesa, gli uomini delle scorte e tutti i deceduti per crimini mafios i. L'Orchestra "Il Clavicembalo Verde" di Milano era diretta per l'occasione dal direttore siciliano che ha impaginato un programma diversificato con brani di Di Rosa stesso, dedicati ai caduti, che anticipavano musiche di Mascagni e per la parte più preponderante, di Giacomo Puccini. I quattri brevi brani di Di Rosa, 57 giorni dopo, Sognare in fa, Acqua e L'Alba, hanno rivelato una scrittura tonale particolarmente semplice nella costruzione pianistica ben orchestrata dal direttore-compositore. Sono stati restituiti in modo piacevole, con una delicata leggerezza timbrica da due giovani pianiste - Elena Tirrito e Chiara Falcone- e dall'orchestra stessa. Una lettura, con una recitazione di ragguardevole espressività da parte di Corrado Calda, di brevi testi di Falcone e Borsellino riordinati da Giusy Càfari Panìco, è stata musicata al pianoforte dallo stesso Di Rosa. Il celebre Intermezzo dalla Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni ha anticipato il vasto programma pucciniano, anche ricordando i 100 anni dalla morte del compositore toscano. Il Mio babbino caro dall'opera Suor Angelica con la valida voce di Noemi Iacono ha anticipato l'esecuzione in forma di concerto del primo atto di Boĥème, con un cast di cantanti decisamente di qualità provenienti dall'Accademia scaligera o dal Conservatorio milanese. Ottime le voci di Flavio D'Ambra, Rodolfo, Raffaella D'Ascoli, Mimì, Paolo Ingrasciotta, Marcello, Alessandro Ceccarini in Colline e Benoit e Raffaele Facciolà in Schaunard. Valida la direzione e l'Orchestra "Il clavicembalo verde". A conclusione della serata il cast vocale insieme alla bravissima Hilary Aeschliman, nel ruolo di Musetta, hanno cantato l'aria Quando men vo. Applausi sostenuti dal numeroso pubblico intervenuto e a conclusione l'Inno di Mameli.25 settembre 2024 Cesare Guzzardella L’Univers fémin in, il concerto così titolato ascoltato nella Sala Puccini del Conservatorio milanese per la rassegna Musica Maestri!, proponeva brani soprattutto di compositrici quali Anna Bon (1738-1767), Anna Amalie von Preußen (1723-1787) e Élisabeth-Claude Jacquet de La Guerre (1666-1729), ma anche di Marin Marais (1656-1728) e di Georg Philipp Telemann (1681-1767). Donne erano Lucia Rizzello al flauto traversiere, Noelia Reverte Reche alla viola da gamba e Chiara Tiboni al clavicembalo, componenti del Trio L'Inconstante, per un repertorio di musica antica suggestivo, che ci fa tornare lontano nel tempo per le sonorità degli strumenti d'epoca come il clavicembalo ben utilizzato come basso continuo in quasi tutti i brani , ma come ruolo protagonista nella Suite III in la minore di Élisabeth-Claude Jacquet de La Guerre, un brano ricco di delicati movimenti elargiti con sicurezza dalla bravissima Chiara Tiboni. Timbri antichi e tenui sono emersi anche nella viola da gamba, strumento a sette corde antenato del violoncello, con sonorità discrete e sensuali nel Prelude, La mignone e La minaudiere di Marin Marais, elargiti con delicata precisione da Noelia Reverte Reche; mentre i dolci colori del flauto traversiere si sono ancor più rivelati nelle sonate di Anna Bon e di Anna Amalie von Preußen con l'ottima flautista Lucia Rizzello. Momento di grande qualità estetica quella con il più celebre compositore tedesco Georg Philipp Telemann e il suo delizioso Trio sonata in la minore TWV 42:a7 di cui dalle bravissime interpreti è stato poi ripetuto l'orecchiabilissimo Allegro, quarto movimento della discorsiva e splendida Sonata. Successo in una sala stracolma di appassionati.23 settembre 2024 Cesare Guzzardella Il pianista londinese Nicolas Hodges , classe 1970, è conosciuto soprattutto per le sue esecuzioni di musica contemporanea, pur essendo anche ottimo interprete della musica dei classici Bach, Beethoven, Brahms, ecc. Ieri sera al Teatro Munari ha impaginato un programma particolare, dove la maggior parte di compositori contemporanei o del Novecento venivano intervallati da brevi brani di Bach. Hodges ha voluto realizzare una sorta di suite unendo tutti i lavori ed eseguendoli senza soluzione di continuità per una durata complessiva di circa sessanta minuti. Alexsander Goehr (1932-2024), Anton Webern (1883-1945), Rebecca Saunders (1967), J.S.Bach(1685-1750), Wolfgang Rihm (1952-2024) e André Boucourechliev (1925-1977) sono stati riuniti in questo lavoro eseguito con determinazione da Hodges e con una adeguata gestualità. Il brano introduttivo, Surrounding Silences op.108 di Goehr, scomparso nel mese di agosto di quest'anno, era in Prima esecuzione assoluta. E' la sua ultima composizione pianistica e certamente rappresenta un sereno "schiaffo" alla tastiera per l'infinita serie di cluster che con diverse modalità di voluminosità, dalle leggere carezze dei tasti alla estrema percussività, coprono tutti i registri dello strumento per una definizione sonora di particolare suggestione timbrica. Le successive storiche Variazioni op.27 di Anton Webern, esempio tra i più rilevanti di dodecafonia, hanno interrotto il senso aleatorio del brano precedente per una costruzione ben articolata costruttivamente. Maggiore melodicità, pur nell'atonalità, per il brano To an Utterance, study, della Saunders, che ha portato poi al primo Bach con il Duetto n.1 in Mi minore BWV 802 eseguito con leggera discorsività in modo impeccabile. L'ordine architettonico della musica del grande genio tedesco ha trovato poi un contrasto evidente con il brano più corposo del concerto, Zwei Linien di Rihm. In Prima esecuzione italiana, il lungo lavoro del secondo compositore tedesco, recentemente scomparso, è stato certamente interessante per la varietà dei contrasti tra i frangenti più riflessivi e i repentini andamenti melodici. Il Duetto n.4 in La minore BWV 805 di Bach ha ancora una volta riportato razionalità e certezza al concerto che poi ha trovato conclusione con l'aleatorietà del brano Archipel 4 di Boucourechliev. La partitura grafica circolare del lavoro ha dato molto spazio all'interpretazione di Hodges per suggestioni che ricordavano il primo brano ascoltato, quello posteriore di Goehr, anche per un certo utilizzo di brevi cluster. Un'interpretazione complessiva certamente efficace quella di Hodges nella non semplice scelta d'impaginato. Applausi frarogosi dal numeroso pubblico presente in teatro. 22 settembre 2024 Cesare Guzzardella IL PIANOFORTE DEGLI ZOOMERS IL GIOVANE GABRIELE ANGLANI IN CONCERTO AL CONSERVATORIO DI NOVARA Ieri, 21/09, era di scena all’Auditorium del Conservatorio Cantelli di Novara, per il Festival PiaNovara, il giovane pianista pisano Gabriele Anglani, che sta attualmente perfezionando i propri studi musicali al Cantelli. Quello proposto da Anglani, più che un programma era una vera lenzuolata di autori, che si snodava da J.S. Bach fino a Skrjabin, attraverso l’800 romantico. Programma impegnativo, eseguito interamente a memoria, a testimoniare un’autorevolezza e capacità mnemonica già da pianista maturo. La sfida che un simile fluviale impaginato pone al solista è quella di trovare una varia e sempre diversa forma espressiva per mondi musicali così diversi e anche, in parte, lontani nel tempo. Una sfida che diremmo Anglani abbia superato con successo, dando prova non solo di ottime basi tecniche, ma anche di una sensibilità e di gusto e di comprensione del pezzo che ne fanno un promettente, giovane talento. Il tocco preciso e potente interpreta con solennità ieratica e cristallina trasparenza di suono le Cantate bachiane BWV 147 nell’arrangiamento pianistico di Myra Hess,e la BWV 208, arrangiata da Petri, con un ottimo controllo delle dinamiche e dei chiaroscuri timbrici, ma l’interpretazione più profonda nello scavo espressivo è quella del Corale “Jesus bleibet meine Freude”, suonato da Anglani con una linea espressiva di suggestiva intimità religiosa, colta nella sua purezza spirituale con grande finezza. Nell’Arabesque op.18 in DO Maggiore di Schumann, la purezza apollinea del pezzo è ben resa da un suono trasparente ed esatto, ma un po’ freddo e che sa ancora di scuola. Decisamente apprezzabile è invece l’interpretazione dell’Intermezzo op.118 n.2 in LA Maggiore di J. Brahms, dove il tocco delicato e sensibile di Anglani calibra perfettamente le dinamiche e le timbriche e con sapiente tecnica dei rubati e un uso finissimo del pedale dà voce a quella vena di autunnale malinconia, a quel suono brunito carico di suggestione che è caratteristico dell’ultimo Brahms. Nel vasto programma della serata seguivano due pezzi celebri di Chopin: lo Scherzo op.31 n.2 in Si bemolle minore e la Ballata op.23 n.1 in sol minore. Del primo, composizione sfuggente e indefinibile, Anglani sceglie la soluzione interpretativa più scontata, quella di fare della stupenda melodia del secondo tema la chiave di volta della composizione, e la realizza con grande purezza di suono e dolcezza timbrica davvero notevole. Del secondo, Anglani si mostra all’altezza delle incredibili arditezze disseminate nel brano, tra i più “selvaggi” di Chopin, secondo il giudizio di Schumann, sfoggiando un virtuosismo ed una potenza di suono di grande efficacia espressiva. Il gran finale vedeva protagonista lo Skrjabin della Sonata Fantasia n.2 op.19 in Sol diesis minore (1897). Diremmo che Anglani ci abbia dato un bell’esempio del suo valore e della sua sensibilità di interprete: ricorderemo di questo ‘suo’ Skrjabin il perfetto controllo dell’intreccio dei vari e mutevoli piani sonori, la calibratura sicura di un materiale tematico difficile da dominare per il suo carattere estremamente frammentario, la capacità di creare un’atmosfera evocativa e remota, che sviluppa in direzione decisamente simbolista un pianismo certamente già inventato dall’estremo Chopin. Grande il successo di questo concerto, che consacra Gabriele Anglani come una delle giovani promesse del pianoforte italiano. Anglani ha proposto un bis, un altro pezzo bachiano nella trascrizione di Siloti, ribadendo la limpida fluidità del suo fraseggio e la precisone assoluta del tocco. Un’altra bella serata di musica di cui siamo grati al Conservatorio Cantelli, che va imponendosi, ogni anno di più, come il più autorevole punto di riferimento e promozione della musica cameristica a Novara, com’è giusto che sia. Chiudiamo con un’osservazione: ci stupisce che, a quanto è dato constatare dalla brochure col programma, tra tutti i concerti del Festival, incentrati in gran parte sull’800, dobbiamo attendere l’ultimo, quello del Maestro Coppola, per ascoltare un pezzo di Beethoven; ce ne chiediamo il perché. 22 settembre 2024 Bruno Busca Successo alla rassegna pianistica del Festival MiTo Successo al Dal Verme per la rassegna organizzata da Davide Cabassi per il MiTo, dedicata a giovani talenti pianistici. Gli ultimi tre incontri delle ore 13.00 sono stati riservati alla musica del Novecento, oltre all'anticipo su Ravel di cui abbiamo già detto. Diego Petrella, già ascoltato in Chopin, Emanuele Scaramuzza e Michele Calia, si sono alternati negli ultimi incontri. Petrella ha proposto un'assoluta rarità quale la Sonata H.160 del compositore inglese Frank Bridge (1879-1941). Un brano complesso e corposo -oltre trenta minuti la durata- nei classici tre movimenti che riassume gli stilemi del tardo-romanticismo e soprattutto dell'espressionismo musicale in una sintesi esemplare e con un linguaggio personale che ha solo qualche riferimento con la musica inglese alla Elgar. L'interpretazione determinata e ricca di timbriche di Petrella, pianista molto impegnato nella musica novecentesca e contemporanea, ha trovato un'espressività di alto livello con una cura del dettaglio e una visione complessiva non indifferente nel mettere in rilievo contrasti diversi tra tonalità e atonalità. Una composizione quella di Bridge che dovrebbe rientrare nei repertori di tutti i migliori pianisti. Rimanendo nel medesimo periodo storico di primo Novecento, Emanuele Scaramuzza ha affrontato con sicurezza e riflessione prima la celebre Sonata Zulice 1.X.1905 di Leós Janà ček (1854-1928), compositore ceco poi, il giorno successivo, la corposa Sonata n.2 in si minore op.61 del russo Dmitri Šostakovic. Ha rivelato una notevole profondità di pensiero in entrambi i lavori, elargendo una tessitura timbrica riflessiva, trasparente e di ottima discorsività. Gli elementi tardo romantici ancora presenti nella splendida breve e profonda Sonata di Janaček tendono a sparire nella Sonata di Šostakovic (1906-1975), un lavoro più corposo del 1943, di oltre venticinque minuti e in tre movimenti, con una tessitura spesso semplice, con prevalenza melodica ben riempita di espressione da Scaramuzza. Michele Calia ha ben affrontato la nota Sonata SZ80 dell'ungherese Béla Bartók (1881-1945) . Sono tre movimenti colmi di riferimenti folcloristici definiti dalla tipica ritmica irregolare bartókiana ricca di contrasti. Un'interpretazione in crescendo qualitativamente per il giovane Calia, pianista ben orientato ad un'ottima carriera concertistica. Un grande successo di pubblico per una rassegna che speriamo trovi per MiTo un seguito il prossimo anno.21 settembre 2024 Cesare Guzzardella UN BEL CONCERTO DI FIORENZO PASCALUCCI AL PIANOVARA Nell’ambito del Pianovara, l’annuale festival pianistico organizzato dal Conservatorio G. Cantelli di Novara, era di scena ieri, 20/09, il pianista Fiorenzo Pascalucci. Molisano, trentasette anni, gode di una certa fama nelle sale da concerto nostrane e internazionali, oltre che per le sue qualità, anche per l’ampia messe di riconoscimenti in vari concorsi nazionali e internazionali, tra i quali è doveroso ricordare i Premi Venezia e Rina Sala Gallo. Nonostante parte cospicua della sua fama sia dovuta alla sua particolare competenza nella musica pianistica del primo ‘900, soprattutto italiana, Pascalucci ha scelto ieri, per il concerto novarese, tutt’altri autori e tutt’altro mondo musicale, impaginando un programma rigorosamente ancorato alla grande linea classico-romantica sette-ottocentesca di Mozart, con la Sonata KV 311 in RE Maggiore, Schubert, con la Sonata op.120 D 664 in LA Maggiore e infine Chopin, di cui il pianista molisano ha eseguito l’Andante Spianato et Grande Polonaise Brillante op.22. Si tratta di un programma in cui ad un dominante carattere di diffusa musicalità, si affiancano, specie in Chopin, momenti di agogica intensa e drammatico-eroica, che richiedono una buona dose di virtuosismo. Pascalucci ha dato voce adeguata ad entrambe le componenti di questo mondo musicale, grazie ad un tocco di morbida e duttile sensibilità, un fraseggio capace di catturare le più delicate sfumature dei timbri e delle dinamiche e d’altra parte un virtuosismo mai superficialmente spettacolare, ma guidato da precise ragioni espressive, dal suono intenso e ricco di spessore, con perfetto equilibrio tra le due mani e uso meditato del pedale e sempre sostenuto da rigorosa autorevolezza tecnica. Dunque se della sonata mozartiana Pascalucci dà risalto ad un’esuberante sonorità e alla brillante ricchezza di suono del Rondò finale (che lo stesso Mozart definiva “rumoroso”),con ineccepibile calibratura dei contrasti dinamici e agogici, è nell’op 22 di Chopin che convergono e si succedono i due momenti della dolcezza cantabile dell’Andante spianato, che il giovane interprete molisano suona con dinamiche a nostro avviso forse un po’ troppo alte, che gli impediscono di realizzare al meglio l’incantata dolcezza del pezzo. L’alta qualità tecnica dell’interprete rende invece addirittura elettrizzante la furente tensione agogica della Grande Polonaise, senza mai coprire peraltro con scelte dinamiche eccessive la fine ornamentazione che accompagna questo capolavoro dello stile brillante chopiniano, ma anzi valorizzando la varietà coloristica del pezzo: gli perdoniamo volentieri un gruppetto di note un po’ aggrovigliato nella sezione centrale del pezzo. Ma a nostro giudizio il meglio del concerto è stata la Sonata schubertiana, in cui la sensibilità del tocco e lo stile raffinato di Pascalucci hanno toccato il punto più alto. Sin dal primo tempo l’ascoltatore è stato avvolto da un mondo sonoro di ammaliante dolcezza con una ricchezza di sfumature dinamiche e timbriche staccate dalla tastiera con rara sapienza: in questo caso le dinamiche della mano sinistra, più alte rispetto alla prassi esecutiva a noi nota, ha prodotto un efficacissimo effetto di contrasto timbrico. Una dolcezza che Pascalucci ha poi velato, nel tempo lento centrale, di quella malinconia tipicamente schubertiana che ha progressivamente caricato, nel suo infinito espandersi, di sconsolata mestizia: un mondo sonoro davvero carico di tensione emotiva, pur nella precisione ‘tecnica’ assoluta del suono, che ci richiamava alla mente certe esecuzioni schubertiane di un Alfred Brendel. Trascinante l’ovazione del pubblico al termine del concerto, che Pascalucci ha ricambiato con un bis, un pezzo pianistico wagneriano dal Preludio del Tristan und Isolde, tra l’altro utilizzato, se la memoria non ci tradisce, da L.Visconti nel suo film Ludwig: pezzo di essenzialità e brevità assolute, che Pascalucci ha proposto con una purezza quasi weberniana. In questa bella serata novarese, Pascalucci si è confermato pianista di ottime qualità interpretative e di grande finezza espressiva. Speriamo di poterlo presto riascoltare in qualche futuro recital da questa parti. 21 settembre 2024 Bruno Busca Uno straordinario Antonio Alessandri al Festival MiTo Da alcuni anni ascolto in concerto il pianista milanese Antonio Alessandri, classe 2006. Ieri è stato più che presente al Festival MiTo eseguendo due volte l'impaginato del concerto - alle ore 17.00 e alle ore 19.00 - al Santuario San Giuseppe di via Verdi. Un programma completo il suo, di settanta minuti senza intervallo. Sono stati proposti brani di Chopin, di Capogrosso, di Ravel e di Stravinskij. Alessandri ha rivelato un controllo del materiale musicale unico, espresso con una tranquillità che solo chi ha memorizzato ogni dettaglio della partitura può avere. A parte il complesso brano contemporaneo di Capogrosso (1984), gli altri lavori, tutti celebri, sono stati naturalmente eseguiti a memoria. A cominciare dalla Sonata n.2 in si bem. Maggiore op.35 di Fryderyk Chopin che ha introdotto il pomeriggio rivelando l'alta cifra stilistica dell' interprete. Uno Chopin ricco di energia, sin dal movimento iniziale il Grave.Doppio movimento. L'ottimo Scherzo, con una parte centrale di grande riflessione, ha anticipato una Marche funèbre ricca di profondità espressiva, mentre il breve Finale.Presto, di rapidissima leggera esternazione - sembrava un brano contemporaneo- è stato eseguito con una chiarezza esemplare. Dottor Faust, Chapter XXV del perugino Fabio Massimo Capogrosso è un brano del 2016. Un lavoro decisamente pianistico che fa riferimento a molti musicisti del tardo romanticismo ma anche del primo e del secondo Novecento. Alessandri ne ha dato una lettura sicura, ricca di contrasti, cogliendo certamente, con straordinaria discorsività, l'essenza misteriosa del lavoro. Ottimo il Ravel dei Valse nobles et sentimentales, composizione del 1911 suddivisa in otto brevi parti approfondite con sicurezza ed eleganza dal diciottenne. Straordinario il brano conclusivo del programma. I Trois mouvementes de Petruška di Stravinskij hanno trovato una sintesi discorsiva stravolgente nella restituzione di Alessandri. Una chiarezza strutturale di altissimo livello, con dettagli evidenziati nell'andamento complessivamente rapido. I continui contrasti dei temi , intrisi di ritmiche definite con precisione dal pianista, hanno messo in risalto i tre movimenti della composizione legata al celebre balletto: Danse russe, Chez Petruška e La samaine grasse. Grandissima interpretazione. Applausi calorosissimi nel bellissimo santuario colmo di pubblico.20 settembre 2024 Cesare Guzzardella Ancora giovani pianisti al Dal Verme per una rassegna che sta ottenendo un grande successo di pubblico. Gli ultimi ascoltati, come sempre presentati da Davide Cabassi, noto pianista e organizzatore musicale, in conversazione con gli interpreti, hanno affrontato il periodo romantico della musica, arrivando poi anche al primo Novecento. Geograficamente abbiamo toccato la Polonia, la Norvegia, l'Italia e la Francia. Diego Petrella, pianista particolarmente attivo nel repertorio contemporaneo, ha eseguito con decisione la nota Sonata in si minore op.58, la terza del grande pianista e compositore polacco Fryderyk Chopin (1810-1848). È un lavoro di grande impatto virtuosistico che abbisogna di sicurezza, energia e visione complessiva adeguata per sostenere i quattro corposi movimenti che compongono la Sonata. Petrella ha avuto tutti i requisiti per un' ottima interpretazione, con un movimento finale, un Presto non tanto agitato, di eccellente qualità. Il pianista successivo, Gabriele Buccheri, si è impegnato nella straordinaria Sonata in mi minore op.7 del norvegese Edvard Grieg (1843-1907). È un brano di rara esecuzione che Buccheri ha affrontato con grande equilibrio e con sonorità trasparenti ben delineate. Lo stato febbrile in cui si trovavo non ha impedito di evidenziare le sue ottime qualità d'interprete. Ancora più rara, non essendoci video completi neanche in rete, la Sonata scelta dalla pianista cinese Qianyu Guo, riferita all'italiano Giuseppe Martucci. È un brano particolarmente virtuosistico l'Op.34, nella tonalità di Mi maggiore e nei classici quattro movimenti. La Guo ha espresso una cura del dettaglio con espressività trasparente del suo bel suono tondo. La pianista Volha Karmyzava è arrivata al Novecento francese con due Sonatine, quella di Maurice Ravel e quella di Darius Milhaud. Sonate a tutti gli effetti, in realtà sono entrambe caratterizzate da una maggiore brevità di durata e da una struttura in tre movimenti. La deliziosa Op.40 del primo francese è di un'eleganza raffinata e la pianista russa, naturalizzata italiana, ha delineato con straordinaria sicurezza e con massima interiorizzazione il linguaggio raveliano, per una restituzione di alto livello estetico. Ottimo anche il Milhaud dell'Op.354 nei tre movimenti L'aube, La matinée e Midì, ben contrastati e ancora delineati con dinamiche precise in ogni dettaglio. Pubblico molto partecipe nella sala minore del Dal Verme spesso al completo. 18 settembre 2024 Cesare Guzzardella GRANDE SUCCESSO DEL PIANISTA GABRIELE CARCANO AL FESTIVAL PIANOVARA Ieri, 17/09, l’Auditorium del Conservatorio Cantelli di Novara, nell’ambito del Festival PiaNovara, ha visto il recital del quarantenne pianista torinese Gabriele Carcano. Decennale e intensa carriera concertistica alle spalle, importanti premi in vari concorsi in Italia e all’estero, docenza di pianoforte principale all’Accademia della Musica di Pinerolo e al Cantelli di Novara, Carcano ha eseguito un programma impaginato con intelligenza e finezza: le 4 Ballate op. 10 di J. Brahms e i 4 Impromptu op.90 di F. Schubert. Una scelta, quella di Carcano, decisamente virata su una musica di cesellate sfumature, improntata ad una sottile vena di delicato e suggestivo intimismo. Carcano è pianista di fraseggio raffinato, fatto di un suono espressivamente ricco di sfumature e. a un tempo. Chiaro e trasparente. La Maestria del pianista torinese si esprime nel respiro della frase e in un tocco sensibile e timbricamente vario, unito ad una rigorosa autorevolezza interpretativa. Sono queste risorse che permettono a Carcano di esaltare la varietà dei registri timbrici e dinamici delle ballate brahmsiane, offrendo, in particolare un’interpretazione di livello altissimo della quarta in Si Maggiore, che il fine fraseggio del Maestro torinese, sostenuto da un uso del pedale ispirato da un gusto squisito, approfondisce nei suoi chiaroscuri quasi impressionistici e scava in una dimensione di intima e intensa meditazione poetica: siamo decisamente già nel clima dei Klavierstucke op.76, ed è chiaro che la magistrale interpretazione di Carcano guarda a quell’opera come imprescindibile riferimento per il pianismo brahmsiano. Quanto osservato a proposito delle Ballate di Brahms, non si potrebbe che ripetere per i quattro Impromptu di Schubert: anche per questi stupendi pezzi l’ascoltatore non può che restare davvero ammirato di fronte alla sensibilità di Carcano nell’interpretarne la varietà di timbri e chiaroscuri, sostenuta da un suono che, più che dalle dita, sembra davvero uscito dal cuore, senza mai un momento di monotona meccanicità. È soprattutto col terzo Impromptu in Sol bem. maggiore che il pianista torinese raggiunge i vertici d’intensità espressiva del suo recital: è davvero di meravigliosa bellezza il modo in cui Carcano suona la lunga melodia, tipicamente schubertiana nel suo espandersi in un alone sempre più ricco di sfumature, intensificandone progressivamente il clima emotivo di intimo raccoglimento, in una calma estatica, appena ombreggiata dall’atmosfera fremente e oscura della parte centrale. Un vero gioiello di interpretazione. Un tesoro di pezzi brevi di perfetta cesellatura tecnica ed emotiva: questo il recital di Carcano, che ha riscosso un meritato straordinario successo di pubblico, ricambiato col bis: uno dei Pezzi Lirici di Grieg, interpretato con tutta la garbata eleganza e ricchezza di valori timbrici di cui è capace questo Maestro del pianoforte. Un pianista, Carcano, che non ci si stancherebbe mai di ascoltare. 18 settembre 2024 Bruno Busca I Gurre-Lieder di Arnold Schönberg alla Scala diretti da Riccardo Chailly Nel 150° della nascita di Arnold Schönberg sono stati proposti al Teatro alla Scala i Gurre-Lieder, opera tonale di Arnold Schönberg per una compagine orchestrale e corale di inconsueta dimensione. A questa si aggiungono anche cinque voci soliste che si sono avvicendate nelle tre parti che compongono il grande lavoro del primissimo Novecento. Il direttore Riccardo Chailly alla guida dell'Orchestra della Scala era coadiuvato per il Coro del Teatro da Alberto Malazzi, mentre il Chor des Bayerischen Rindfinks, che completava la massa delle voci, era diretto da Peter Dijkstra. È un lavoro importante quello dei "Canti di Gurre". Composti da Schönberg in più momenti": la prima parte era già stata organizzata nel 1903, mentre i canti rimanenti terminarono nel 1911 per essere eseguiti in una versione completa nel 1913. È uno Schönberg più tradizionale quello di questa ampia composizione, non certo dodecafonico, ma legato alla tradizione wagneriana, dei tardoromantici e anche di Mahler. La prima parte del lavoro era nata in versione cameristica per due pianoforti a otto mani che accompagnavano un soprano e un tenore. La versione definitiva, con la grande orchestra, ha reso unitarie le tre parti, con quelle laterali più ampie, e quella centrale più breve. L'ottima direzione di Chailly ha messo in risalto l'orchestrazione di Schönberg, particolarmente articolata, con frangenti cameristici in alternanza ad altri di grande impatto orchestrale e corale che rivelano la straordinaria cultura strumentale del compositore austriaco. L'utilizzo del Coro, avvenuto nella terza parte del lavoro, ha aumentato ancor più la dimensione volumetrica e spaziale dell'esecuzione. Di qualità il cast vocale: Andreas Schager in Waldemar, Camilla Nylund in Tove, Okka von der Damerau in Waldtaube, Michael Volle in Bauer e Sprecher e Norbert Ernst in Klaus Narr. Applausi meritatissimi interminabili in una Scala colma di pubblico. Questa sera alle ore 20.00 l'ultima replica. Da non perdere 17 settembre 2024. Cesare Guzzardella A NOVARA E’ COMINCIATA LA SECONDA STAGIONE DEL FESTIVAL PIANOVARA Per il secondo anno consecutivo la lunga e articolata stagione di musica da camera proposta dal Conservatorio novarese G. Cantelli è stata aperta ieri, 16 settembre, dal Festival Pianovara, una vera ‘festa’ per i musicofili della città, che, tra master, convegni aperti al pubblico e concerti pianistici, si snoderà per un mese, sino alla metà di ottobre, con appuntamenti quasi quotidiani. Secondo il programma originario, il concerto inaugurale del Festival doveva vedere protagonista il Maestro ucraino Sajenko (1991), che ha purtroppo dato forfait per una indisposizione. Tale circostanza ha offerto l’occasione di ascoltare per la prima volta a Novara un giovanissimo pianista ‘emergente, il diciannovenne milanese Massimo Urban, che conta al suo attivo una nutrita serie di applauditi recital ed esibizioni, nonché un impressionante numero di premiazioni, tra assolute e speciali, in importanti concorsi nazionali e internazionali. Il programma con cui Urban si è esibito dinanzi al pubblico novarese era, soprattutto nei suoi due ultimi numeri, di notevole complessità tecnica: proponeva la Sonata n.12 in Fa maggiore op. 332 di Mozart, l’Uccello di Fuoco di Stravinsky, nella trascrizione per pianoforte solo di Guido Agosti (le ultime tre parti della versione 1919 della Suite), una delle poche composizioni rimaste ancor oggi in repertorio (Beatrice Rana, Daniil Trifonov) di questo grande pianista, allievo di Busoni, ingiustamente caduto nel dimenticatoio, per concludere con la Sonata in Si minore di Liszt. Ed è proprio questo il pezzo in cui, a nostro avviso, Urban ha dato il meglio di sé, con una esecuzione di alto livello, non solo sotto il profilo di un funambolico virtuosismo, ma anche sotto quello espressivo. Il diciannovenne milanese è dotato di un suono di grande volume e potenza, sostenuto da un tocco sempre preciso e ben tornito che nelle zone acute della tastiera sa attingere un bel nitore perlaceo. Con una scelta molto bel calibrata di tempi e ritmi, una sapiente gestione delle dinamiche e dei contrasti agogici e soprattutto un ricorso a pause di raffinata espressività, Urban ha saputo interpretare con intensa efficacia questa ‘cattedrale’ della musica, come lui stesso l’ha definita nella bella presentazione al pubblico. Sia le sezioni di più accesa e quasi convulsa tensione agogica, sia quella di più distesa e dolce melodicità, sono uscite, dal fraseggio eccellente di questo talentuoso ragazzo, come pagine capaci di grande impatto emotivo, e di ricchezza sonora ottimamente realizzata nella varietà delle sue sfumature. Nei precedenti due numeri del recital, abbiamo invece avuto l’impressione che Urban non sempre riuscisse a cogliere, con un fraseggio un po’ piatto e un suono poco duttile, la ricchezza di sfumature e la dolcezza tutta particolare della cantabilità mozartiana, soprattutto nel meraviglioso Adagio della KV 332, né desse voce adeguata a quella magica varietà di colori timbrici che caratterizza l’Uccello di fuoco, anche nella versione per pianoforte, molto ben adattata e orchestrata da G.Agosti. Urban ha ricambiato gli applausi prolungati ed entusiastici del pubblico con un fuori programma da Schubert, il n.3 dei Momenti musicali di F. Schubert, impostandolo in chiave di affabile cantabilità. Pur con qualcosa ancora da perfezionare, com’è ovvio a 19 anni, Massimo Urban è un pianista di notevole talento, pienamente provvisto delle basi per diventare nei prossimi anni un nome affermato nelle nostre sale da concerto. 17 settembre 2024 Bruno Busca L'Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia al Festival MiTo Successo straordinario nella Sala Verdi del Conservatorio milanese per Gianandrea Noseda e l'Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Il concerto organizzato dal Festival MiTo prevedeva tre lavori: il primo, Con brio, un brano contemporaneo, era di Jörg Widmann (1973). Un lavoro di oltre dieci minuti costruito in territorio tonale ma ricco di effetti sonori " concreti" ottenuti con tutti gli strumenti. Il brano orchestrale, realizzato ottimamente da Widman -compositore ma anche clarinettista- ha rivelato notevole creatività nell'integrare ogni sezione orchestrale in un discorso unitario di valida resa emotiva. Due brani celebri hanno continuato la serata: prima il Concerto per due pianoforti ed orchestra kV 365 di Mozart e, dopo l'intervallo, la Sonfonia n.5 op.67 di Beethoven. Solisti al pianoforte nel brano mozartiano due eccellenti interpreti quali Jan Lisiecki e Francesco Piemontesi. Il duo, in perfetta sincronia nella divisione delle parti solistiche, hanno trovato un'eccellente sinergia con l'Orchestra romana per una resa ottimale dei tre movimenti. Eccellente la decisa discorsività nella chiarezza espressiva del Rondò.Allegro finale. Due i bis concessi dal duo: prima un eccellente Dvorak a quattro mani e poi, accompagnando il primo violoncello dell'orchestra, un ottimo Cigno di Camille Saint-Saens. Applausi fragorosi. Di notevole qualità, a conclusione, la celebre Quinta Sinfonia beethoveniana, diretta con grinta e chiarezza da Noseda. Soprattutto nei movimenti laterali, l'Allegro con brio e l'Allegro-Presto finale la nota compagine di ottimi strumentisti ha mostrato una qualità di altissimo livello in ogni sezione dell'ampia orchestra. Applausi fragorosi in una sala stracolma di appassionati. 16 settembre 2024 Cesare Guzzardella Costanza Principe e il Catalogue d'oiseaux di Messiaen per il Festiva MiTo Un'impresa interpretativa non indifferente quella di eseguire l'intero Catalogues d'oiseaux di Olivier Messiaen. La pianista Costanza Principe, ascoltata più volte nel suo amatissimo Schumann, ha voluto spostarsi di un secolo per dedicarsi ai lavori di un importante musicista del Novecento, il francese Olivier Messiaen (1908-1992). È un ricercatore di sonorità Messiaen, oltre ad essere stato un appassionato studioso di ornitologia. Nella sua ampia opera Cataloguue d'oiseaux, 13 ampi brani dalla durata complessiva di quasi tre ore, titolati con nomi di uccelli, il grande musicista francese - anche eccellente organista e pianista- ha messo in perfetta sintonia le timbriche pianistiche con i cinguettii sottili e rapidi dell'usignolo, del rigolo, del passero, dell'allocco e di altri ancora. La Principe ha suddiviso la raccolta in tre momenti esecutivi: alle ore 9.00, alle 16.30 e alle 20.00, in un luogo all'aperto, il giardino della Rotonda della Besana, con il pianoforte localizzato sotto un grande albero. Un ambiente naturalistico che unisce perfettamente i due mondi sovrapposti con passione dal grande musicista d'Avignone. La monumentale opera gioca sul caratteristico linguaggio del francese, un linguaggio molto personale, ricco di colori, di ritmi e di effetti di rapida successione di note che, tra stratificazioni di accordi apparentemente dissonanti, e successione di veloci sequenze di frasi/cinguettii, ci immergono in un mondo naturale costruito da timbriche di efficace resa espressiva. La Principe, con una sicurezza inaudita, di chi ha studiato in modo approfondito il lavoro immergendosi con passione nella poetica del francese, ha superato questa straordinaria impresa eseguendo i brani senza un attimo di cedimento, anche quando nel concerto pomeridiano, un evidente disturbo di bimbi che giocavano nell'area giochi ha parzialmente compromesso la sua tensione emotiva. Nel concerto serale, a luci soffuse, la resa già ottima dell'interprete ha raggiunto situazioni d'eccellenza che dimostrano le qualità e la versatilità di un'artista che ha lasciato per alcune ore il mondo romantico, soprattutto schumanniano, per quello modale e naturalistico di Olivier Messiaen. Interpretazioni di alto livello per la bella e bravissima Principe, molto apprezzate dal numeroso pubblico intervenuto al Festival MiTo. 15 settembre 2024 Cesare Guzzardella L'Orchestre de l'Opéra de Lyon per il Festival MiTo Il Festival MiTo ha portato a Milano l'Orchestre de l'Opéra de Lyon e il suo attuale direttore musicale, il milanese Daniele Rustioni. L'impaginato proposto, con due importanti lavori, ha rivelato tutte le qualità di questa eccellente compagine strumentale e quelle del suo direttore. Prima una suite da Roméo et Juliette op.17 del francese Héctor Berlioz, quindi Pelleas und Melisande op.5 dell'austriaco Arnold Schönberg. Due brani particolarmente impegnativi per la complessità di scrittura nel territorio orchestrale, portato ad un virtuosismo esasperato in Berlioz e ad un confine con il mondo tonale con il poema sinfonico di Schönberg. Per Berlioz gli esempi virtuosistici strumentali sono Paganini e Liszt e l'esempio massimo di costruttore orchestrale è Beethoven; lui vuole riassumere il mondo virtuosistico e quello sinfonico realizzando una sintesi perfetta tra questi due mondi. Per Schönberg l'Op.5 rappresenta invece la fase finale dei riferimenti tonali del tardo romanticismo e del cromatismo con gli esempi prediletti di Brahms e di Wagner. Con il Pelléas in Schönberg iniziano a scorgersi i primi riferimenti al mondo atonale e a quello della dodecafonia del quale il musicista diventerà l'inventore. Ottime le interpretazioni fornite dall'orchestra francese. Rustioni ha rivelato una capacità di pesare anche le timbriche più discrete, dove i volumi sonori stentano quasi a rivelarsi. Energici molti frangenti della suite di Berlioz e ben approfondita e dettagliata la non facile opera di Schönberg, un lavoro che dimostra la solidità costruttiva del grande compositore viennese naturalizzato statunitense. Grande successo di pubblico al Dal Verme, con Rustioni che al temine ha voluto ricordare che ieri, 13 settembre, era il compleanno di Arnold Schönberg: avrebbe compiuto 150 anni! Serata splendida 14 settembre 2024 Cesare Guzzardella Alessandro Cadario e Anna Tifu per il Festival MiTo Al Teatro Dal Verme un programma novecentesco e contemporaneo ha visto sul podio dell'Orchestra "I Pomeriggi Musicali" Alessandro Cadario, direttore abituato alle novità, come quella del brano ideato dalla compositrice Roberta Vacca (1967) su commissione di MiTo ed eseguito in Prima Assoluta. È denominato P24 - 5 fotogrammi per orchestra - Omaggio a Puccini. Il lavoro, in cinque parti, precisamente Il toscano, La barca, La spingarda, La macchina e Le donne, vuole omaggiare il grande compositore toscano rivelando anche riconoscibili citazioni dalle sue opere. La Vacca ha trovato una relazione tra i cinque oggetti/affetti delle titolazione con le sonorità della sua musica. È un brano interessante per l'originalità del linguaggio, personale nelle timbriche velate, con volumi spesso sottili: restituzioni morbide rese molto bene dagli orchestrali, evidenziando i contrasti dinamici senza bisogno di accentuazioni volumetriche eccessive. Il lavoro orchestrale, di oltre venticinque minuti di durata, ha comunque momenti di estroversione ritmica e nell'ultimo fotogramma, "Le donne", le citazioni di celebri arie pucciniane, dalle opere più note, risultano evidenti. L'ottima composizione, presentata dalla stessa compositrice, è stata particolarmente applaudita dal numeroso pubblico presente in sala. Dopo il breve intervallo è salita sul palcoscenico la violinista Anna Tifu per una rarità quale il Concerto in re maggiore per violino e orchestra op.35 di Erich Wofgang Korngold. Questo brano, nei tre classici movimenti, è stato scritto dal compositore austriaco-statunutense nel 1945 e sta subendo da alcuni anni una certa attenzione per l'originalità delle timbriche neo-romantiche. La nota violinista sarda, mediata anche dall'ottima resa coloristica de "I Pomeriggi" e dalla precisa direzione di Cadario, ha trovato un'ottima resa discorsiva, con intonazione perfetta anche nei momenti di maggiore virtuosismo. Di spessore compositivo il Moderato mobile e la Romanza centrale, meno rilevante ma comunque interpretato altrettanto bene il movimento finale, un Allegro assai vivace molto folcloristico e "americano" che la Tifu ha risolto con scioltezza espressiva. Le qualità espressive della virtuosa si sono ancora rivelate nel bellissimo bis solistico concesso, con un ottimo Ysaye, quello delle Furies dalla Sonata n.2 per violino solo. Applausi fragorosi a tutti i protagonisti.13 settembre 2024 Cesare Guzzardella È una rassegna particolarmente interessante quella in corso per il Festival MiTo nella sala più piccola del Teatro Dal Verme. Giovani e preparatissimi pianisti si succedono alle ore 13.00 per un breve concerto dedicato al genere "Sonata". Trenta o al massimo quaranta minuti di musica sono anticipati da una breve presentazione di Davide Cabassi, noto pianista e organizzatore musicale, in conversazione con il rispettivo interprete. Noi abbiamo ascoltato il giorno 10 settembre Lorenzo Pusterla impegnato in quattro Sonate (R90-R21-R88-R117) dello spagnolo Padre Antonio Soler (1729-1783) e poi di Domenico Scarlatti (1685-1757) con altrettanto quattro Sonate, precisamente le K213-K119-K208 e K127. Il giorno successivo è stato il turno della giovanissima Emma Guercio impegnata in Sonate classiche di Franz Joseph Haydn (1732-1808) con la Sonata XVI: 36 e di Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) con la Sonata K 333. Interessante vedere il passaggio geografico-musicale, come sottolineato da Cabassi e dagli interpreti, tra il Barocco della scuola tastieristica italo-spagnola di Soler e di Scarlatti e il classicismo dei due austriaci. Valide le interpretazioni delle sonate di Soler e Scarlatti, quasi tutte di rara frequentazione. Pusterla ha rivelato una chiara espressività giocata su una costruzione particolarmente razionale. Di eccellente qualità l'interpretazione della Guercio dei classici Haydn e Mozart nelle due differenti sonate accomunate da un non indifferente sviluppo costruttivo. La pianista, a soli sedici anni, ha dimostrato di possedere un'evidente capacità di pesare le timbriche con una precisione di dettaglio estremamente sicura e di rara chiarezza coloristica. Applausi sostenuti ad entrambi gli interpreti in una sala sempre colma di appassionati. 12 settembre 2024 Cesare Guzzardella Successo alla Scala per Il cappello di paglia di Firenze di Nino Rota Il cappello di paglia di Firenze di Nino Rota, farsa musicale in quattro atti e cinque quadri, è tornato al Teatro alla Scala dopo ventisei anni. Nella terza rappresentazione vista ieri, in una serata dedicata ai giovani, la riuscita della divertente messinscena del regista Mario Acampa è risultata evidente, con applausi fragorosi per tutti i protagonisti. Conosciamo tutti Rota per le straordinarie colonne sonore, meno per la produzione cameristica e orchestrale anche se da alcuni decenni è in corso una doverosa rivalutazione; non lo conosciamo molto per la produzione lirica, oltre una decina di lavori, dove l'opera in scena in questi giorni certamente rimane la più frequentata. Nella farsa Il cappello di paglia di Firenze la facilità del musicista milanese di creare motivi orecchiabili è indubbia, la qualità d'orchestrazione, nella fattispecie curata molto bene da Donato Renzetti, è mirabile. Rimaniamo un po' perplessi sulla qualità musicale complessiva ritrovata nei quattro atti, mancante di unità stilistica, con frangenti leggeri ma per nulla profondi, momenti da avanspettacolo con altri più impegnati , riferibili stilisticamente a grandi compositori, specie i russi, ma inseriti come un collage. È nella realizzazione teatrale che questo rispettabile lavoro trae il suo successo. Nell'ottima messinscena di questi giorni dobbiamo sottolineare, oltre alla valida direzione di Renzetti e alla presenza corale curata ottimamente da Salvo Sgrò, la resa vocale dell'ottimo cast con molti allievi dell'Accademia di perfezionamento del Teatro alla Scala. Non dimentichiamo che l'ottima resa strumentale era quella dell'Orchestra e del Coro dell'Accademia del Teatro scaligero. I protagonisti, tutti all'altezza anche attorialmente alla terza rappresentazione erano: Pierluigi D'Aloia, Fadinard, Huanhong Li, Nonancourt, Vito Priante, Beaupertuis, Paolo Antonio Nevi, Lo zio Vézinet, William Allione, Emilio, Haiyang Guo, Felice, Laura Lolita Peršivana, Elena, Greta Doveri, Anaide, Marcella Rahal, la Baronessa di Champigny, Fan Zhou, La modista, Daniel Bossi, Minardi, Tianxuefei Sun, Achille di Rosalba e Wonjun Jo, Un Caporale delle guardie. Di qualità le scene rotanti di Riccardo Sgaramella, i costumi colorati di Chiara Almatea Sciarelli, le luci di Andrea Guretti e le coreografie di Anna Olkhovaya. Le prossime rappresentazioni sono il 14 e il 18 settembre. Da non perdere!( foto di Brescia e Amisano- Archivio Scala) 11 settembre 2024 Cesare Guzzardella Il Diavolo a tutto campo in prima assoluta per il Festival MiTo Da una collaborazione tra il musicista bolognese Fabio Vacchi (1949) e il video-artista Lorenzo Letizia (1980), su commissione del Festival MiTo, è nato "Il Diavolo a tutto campo" , un ampio lavoro per video, coro, orchestra e tromba concertante. L'idea di celebrare i 125 anni di nascita della squadra calcistica del Milan - situazione analoga verrà realizzata a Torino con la relativa squadra- ha generato questa particolare e, probabilmente, prima opera artistica, dove le suggestive timbriche dell'Orchestra Sinfonica e Coro Sinfonico di Milano, orchestra per l'occasione diretta magistralmente dal direttore ventisettenne Diego Ceretta, e il collage video-grafico di Lorenzo Letizia hanno portato ad un'interessante realizzazione artistica. La musica di Vacchi, di rilevante suggestione timbrica, ha messo in rilievo la tromba solista del bravissimo Alessandro Rosi. È un lavoro complesso, diviso in molte sezioni "Il Diavolo a tutto campo", che vuole evidenziare la ritualità del gioco del calcio senza sminuirne la portata culturale e sociale. Nella presentazione al brano, introdotto da Angelo Foletto, con il musicista, il video-artista e un rappresentante dell'AC Milan, Vacchi ha evidenziato la valenza democratica del calcio, gioco che unisce tutte le culture, tutte le etnie, senza distinzione di classe. La composizione, oltre settanta minuti d'intensa musica, è suddivisa in più sezioni e la tromba solista, spesso a distanza con il "tutto orchestrale", crea un'atmosfera di profondità discorsiva definita anche da pregnanti ed espressive timbriche orchestrali sovente ampliate dai colori dell'ampio Coro preparato da Massimo Fiocchi Malaspina. Gli impasti coloristici delineati da un linguaggio comprensibile, ben articolato nella solida impalcatura architettonica, generano situazioni inquiete ma di indubbia espressività con richiami alla tradizione migliore del Novecento europeo. Le immagini di Letizia scorrono rapidamente sullo schermo, in bianco e nero, a colori, con salti nel tempo, dai decenni più lontani, soprattutto riferiti agli anni '60 e '70, sino a quelli più vicini a noi mostrando anche intrecci tra passato e presente della città di Milano. Il montaggio molto libero, realizzato dal video-regista, ha una sua autonomia, e le sequenze filmiche sono spesso slegate dalla musica di Vacchi, musica che non vuole avere nessuna valenza descrittiva, ma, come dice il compositore, solo evocativa. Il numeroso pubblico intervenuto in Auditorium ha certamente apprezzato l'originale lavoro, tributando al termine fragorosi applausi al direttore, all'orchestra, al coro, alla tromba solista e anche al compositore e al video-artista saliti sul palcoscenico. Una suggestiva ed interessante serata pluridisciplinare. 10 settembre 2024 Cesare Guzzardella La Filarmonica della Scala e Riccardo Chailly inaugurano il Festival MiTo milanese È un omaggio al Novecento il concerto inaugurale del Festival MiTo di Milano. Il Teatro alla Scala, l'Orchestra Filarmonica del teatro e il suo direttore Riccardo Chailly hanno reso musicalmente pregnante il tardo pomeriggio di ieri con un impaginato che prevedeva brani di Luciano Berio, Wolfgang Rihm e Maurice Ravel. I quattro brevi brani sinfonici del musicista ligure, Quatre Dédicaces, hanno introdotto il concerto rivelando una forza espressiva di straordinario livello, giocata su un utilizzo di grande impatto volumetrico degli ottoni e dei legni. Fanfara, Entrata, Festum e Encore sono stati composti da Berio negli anni '80 e rivelano le qualità del compositore nel tessere in modo esaustivo chiare ed incisive timbriche, dove gli impasti delle sezioni orchestrali dei quattro brevi e raffinati brani trovano punti coloristici comuni per una prorompente forza discorsiva. L'ottima resa della Filarmonica ha trovato un attento e accurato direttore in Chailly, il quale ha dato una prova di ottima qualità. Di analoga o forse ancor più significativa resa espressiva il secondo brano in programma. Dis-Kontur di Rihm, musicista tedesco scomparso nel luglio di quest'anno, è un lavoro per grande orchestra composto nel 1974, all'età di ventidue anni. Era in prima esecuzione italiana. La complessità del brano, di quasi venticinque minuti di durata, trova come protagonista iniziale un percussionista che con 51 colpi di martello, mediati anche dai timpani, introduce timbriche definite da modalità compositive ricche di colori, suggestive e di grande pregnanza espressiva. La lucida è trasparente direzione di Chailly - direttore che ha voluto rendere omaggio al compositore scomparso con delle sentite parole introduttive all'esecuzione del coinvolgente lavoro- ha portato ad un'interpretazione di eccellente qualità per una resa sinergica di ogni sezione orchestrale. Il brano conclusivo, le note Suite n.1 e n.2 (1911-12) di Maurice Ravel dal balletto Daphinis et Chloé, hanno portato poi ad un clima incantato che ha rivelato tutte le qualità del raffinato musicista ed eccelso orchestratore francese. La resa interpretativa dell'ottima Filarmonica scaligera è stata all'altezza di questo capolavoro che trova nel movimento conclusivo della Suite n.2, la Danse générale, il frangente più affascinante. Applausi calorosi al termine, in un Teatro alla Scala al completo. 9 settembre 2024 Cesare Guzzardella La Serva Padrona di Pergolesi al MaMu milanese Ieri 5 settembre, presso il Magazzino Musica di via Soave 3 a Milano, sono stati festeggiati i nove anni di attività del MaMu. Una presenza sempre più interessante che ha trovato una partecipazione sostenuta e di maggiore frequenza in un luogo musicale che tra vendite di spartiti, strumenti e iniziative culturali , con concerti cameristici e incontri di presentazione di libri, trova sempre maggiore importanza nel mondo musicale di Milano. Ieri il MaMu Ensemble, diretto da Gianni De Rosa ha proposto il celebre Intermezzo buffo La Serva Padrona di Giovanni Battista Pergolesi, composto su libretto di Gennaro Antonio Federico nel 1733. La regia di Pierpaolo Martella e i costumi di Nicola Olivieri hanno ben delineato i protagonisti: Serpina nell'incisiva voce di Martina Saviano e Uberto in quella altrettanto incisiva di Pierpaolo Martella. L'ottima recitazione dei due divertenti personaggi ha trovato anche sinergia con la mimica di Nicola Olivieri, un ottimo Vespone. La riduzione cameristica dell'Ensemble, diretto in modo preciso e dettagliato da De Rosa, ha creato un'ambientazione ideale per il piccolo ma suggestivo ambiente del MaMu, per l'occasione stracolmo di pubblico. Applausi sostenuti al termine dei due brevi intermezzi che compongono il capolavoro di Pergolesi, e taglio della torta finale per una serata di musica e festa certamente da ricordare. 6 settembre 2024 Cesare Guzzardella AGOSTO 2024 Successo per L'equivoco stravagante di Rossini a Pesaro Un giovanissimo Giochino Rossini scrisse la sua terza opera a diciannove anni. L'equivoco stravagante, come sua seconda opera in scena, venne rappresentata a Bologna al Teatro del Corso il 26 ottobre del 1811 trovando da subito una contestazione, dopo tre rappresentazioni, e una decisa censura per il contenuto ambiguo che già il titolo delineava. Questo costrinse il librettista Gaetano Gasbarri a drastici cambiamenti nel testo del suo "dramma giocoso in due atti". L'opera, ripresa quest'anno, dopo il successo al Vitrifrigo Arena pesarese nel 2019, ha trovato un migliore adattamento ieri sera al Teatro Rossini, sempre nel convincente allestimento di Moshe Leiser e Patrice Caurier, ottenendo un rinnovato successo di pubblico nella quarta e ultima rappresentazione. L''eccellente direzione musicale del giovane Michele Spotti, l'ottima qualità complessiva del cast vocale, e la notevole regia di Leiser e Caurier, hanno determinato lo straordinario successo di un' opera di rara esecuzione, ma che rivela già le geniali qualità musicali del musicista pesarese. L'ottima acustica del delizioso Teatro Rossini ha permesso di valorizzare al massimo livello le voci soliste e la componente corale del Coro del Teatro della Fortuna di Fano, preparato in modo straordinario da Mirca Rosciani, nella miscelazione timbrica strumentale dell'ottima Filarmonica Gioachino Rossini. Tra le voci, tutte ottime, spicca quella di Nicola Alaimo, dettagliata e di rara potenza timbrica in Gamberotto, la voce più applaudita. Di ottimo e pari livello i timbri di Maria Barakova, bravissima Ernestina, ottima anche attorialmente, di Carles Pachon, un incisivo Buralicchio; altrettanto valido per incisività e bellezza coloristica, Pietro Adaini in Ermanno. Di valore Patricia Calvache, Rosalia e Matteo Macchioni, Frontino. Eccellenti i movimenti corali nell'unica scena di Christian Fenouillat ben illuminata da Christophe Forey con i riusciti costumi di Agostino Cavalca. Un successo strepitoso per una messinscena che verrà ricordata a lungo. 22 agosto 2024 Cesare Guzzardella Daniela Barcellona al Rossini Opera Festival IL ROF di Pesaro ha anche momenti di grande intensità lirica come quello del recital ascoltato ieri nel pomeriggio al Teatro Rossini, prima della serata operistica. Il mezzosoprano Daniela Barcellona ha deliziato il numerosissimo pubblico di appassionati al canto con una scelta di brani variegati che comprendevano arie di Manuel De Falla, Francesco Paolo Tosti, Gioachino Rossini, Ambroise Thomas e Gaetano Donizetti. Questi sono stati inframmezzati da due intermezzi eseguiti dal bravo pianista Alessandro Vitiello: due tra le più celebri Polacche di Chopin, l'Op.26 n.1 e l'Op.40 n.1, interpretate con valida comunicativa, specie la seconda, la nota Polacca "Militare". Ma è nella calda voce della Barcellona, partendo dalle splendide Sette canzoni popolari spagnole di De Falla, che il concerto ha trovato una resa certamente di evidente qualità. La voce corposa è scura della cantante triestina ben si è miscelate con le sonorità spagnole dei sette brani che compongono le Canciones popolares del grande compositore iberico. A seguire, quattro rarità di Tosti hanno trovato toni ancora profondi con le Quattro canzoni d'Amaranta. Quindi finalmente il dedicatario del festival, Rossini, con i tre brani da La regata siciliana da Péchés de vieillesse, vol.1. Sempre del pesarese dall'opera Tancredi il recitativo "O patria!" e la Cavatina "Di tanti palpiti" hanno ancor più rivelato le qualità recitative della Barcellona. Un delizioso Air de Mignon "Connais-tu le pays", dall'omonima opera Mignon di Ambroise Thomas, ha ancora evidenziato la bellezza timbrica del celebre mezzosoprano. A conclusione del programma ufficiale un ottimo Donizetti dalla Favorita con l'Aria di Leonora "O mon Fernand" ha portato ai fragorosi applausi del pubblico. Due i bis concessi: da Carmen di Georges Bizet " L'amour est un oiseau rebelle" e da Adriana Lecouvreur "Acerba voluttà, dolce tortura" di Francesco Cilea. Un pomeriggio musicale memorabile. Applausi continuati meritatissimi!! 22 agosto 2024 Cesare Guzzardella Il duo pianistico Ballista-Canino alla Milanesiana di Elisabetta Sgarbi Centosettantasei anni in due sono un traguardo importante per Antonio Ballista, classe 1936 e 88 anni compiuti da qualche mese, e Bruno Canino, classe 1935 e ancora 88enne. I due noti pianisti, il primo milanese, il secondo napoletano ma da sempre a Milano, hanno partecipato con un breve ma intenso concerto, dedicato al compositore torinese Alfredo Casella (1883-1947), all'ultima serata della Milanesiana, importante vetrina culturale, giunta alla 25ma edizione e intitolata "La timidezza (e i suoi contrari)". Organizzata dalla bravissima Elisabetta Sgarbi, la manifestazione coinvolge ogni settore disciplinare, intellettuale ed artistico. Il duo, nell' elegante cornice del Piccolo Teatro Grassi di via Rovello, è stato anticipato da un interessante incontro- ben introdotto dalla Sgarbi- con due noti scrittori, ossia la palestinese Adania Shibli (1974) e il romano Vincenzo Latronico (1984). Entrambi hanno voluto esaltare l'importanza del romanzo come elemento creativo, che vive in modo spesso autonomo dal mondo reale, ma che spesso viene osteggiato dal potere dei Paesi che vogliono "controllare la cultura" per convenienze politiche. L'ultimo romanzo della Shibli, tradotto in numerose lingue, "Dettaglio minore" (2020), ha trovato inizialmente una certa opposizione, anche in Germania. " Le perfezioni" di Latronico (2022), è in corso di traduzione in venti lingue. L'interessante dialogo si è legato alle più recenti e tragiche vicende della guerra in corso a Gaza. Si è poi trovato un momento di elevato spessore artistico con il concerto di Ballista e Canino che, a quattro mani, hanno eseguito brani di Alfredo Casella, perfettamente in tema: Pagine di Guerra e Pupazzetti, intervallati però da una riuscita trascrizione, sempre di Casella, di Schattenhafl dalla Sinfonia n.7 di Gustav Mahler. Il duo, coordinato in modo preciso, ha esaltato con espressività i momenti spesso drammatici di tutti i brani eseguiti, quelli di un grande compositore, Casella, che andrebbe incluso con maggiore frequenza nei programmi concertistici.Una serata molto valida quella di ieri sera, con applausi finali a tutti i protagonisti (anche dell'eccellente organizzazione), saliti sul palcoscenico. 1 agosto 2024 Cesare Guzzardella LUGLIO 2024 Beatrice Rana in concerto "Aspettando la Grande Brera" La pianista salentina Beatrice Rana, interprete di fama internazionale, è stata la protagonista del secondo concerto estivo tenuto presso il Cortile d'Onore della Pinacoteca di Brera. Queste serate musicali - nella prima ha suonato Nicola Piovani- anticipano quella che sarà l'inaugurazione prevista per il 7 dicembre 2024 della "Grande Brera", il progetto di ampliamento della Pinacoteca milanese. Come ha ben spiegato, introducendo la serata, il neo-direttore Angelo Crespi, tale progetto ha previsto il restauro, l’adeguamento e l’allestimento dell’attiguo Palazzo Citterio come spazio espositivo dove ospitare la collezione d’arte moderna del museo. Di fronte ad un pubblico numerosissimo, la Rana ha trovato altri tre ottimi musicisti per un impaginato cameristico vario, strutturato in modo intelligente, che prevedeva brani a quattro mani di Faurè e di Ravel, un brano di Debussy per solo pianoforte e un trio di Dvorak. Dolly, suite per pianoforte a quattro mani, op. 56 (1893-97) di Gabriel Faurè ha anticipato l'ottima intesa della Rana con il pianista e compagno Massimo Spada, un'intesa musicale di raffinata sinergia per un lavoro di apparente leggerezza ma ricco di straordinarie raffinatezze nei sei momenti musicali che compongono l'opera, espressa con chiara riflessività dal duo. Altrettanto valido, ma con caratteri completamente differenti, il brano successivo. La Rapsodie Espagnole di Maurice Ravel nella versione originale per pianoforte a quattro mani del 1907, ha ritrovato uno spessore espressivo intenso, meditato e ancora di straordinaria intesa per il duo Rana-Spada. Il successivo brano, sempre di un compositore francese, Claude Debussy, era L'Isle Joyeuse per pianoforte solo, brano del 1904. La Rana ha rivelato tutte le sue eccellenti qualità pianistiche, che hanno fatto emergere con profondità esternazione coloristica ogni frangente del celebre lavoro . A conclusione, si è ascoltato, del musicista ceco Antonin Dvořàk, il noto Trio per pianoforte n. 4 "Dumky"in mi minore, op. 90 (1891). Insieme a Beatrice, la sorella violoncellista Ludovica e la violinista Sayaka Shoji, hanno trovato un'intesa di alto livello nel delineare le caratteristiche folcloristiche boeme e slave di questo capolavoro di Dvorak. Un brano che oltre a rivelare le ottime armonizzazioni della pianista, ha individuato straordinarie melodicità per il violino della Shoji e per il violoncello di Ludovica Rana. Un lavoro molto apprezzato dal pubblico che gremiva il cortile, illuminato molto bene per l'occasione. Ancora applausi meritatissimi a tutti e quattro i protagonisti. 26 luglio 2024 Cesare Guzzardella Presentato a Milano il "MONDADIZZA MUSIC WEEK 2024" Lunedì 22 luglio alle ore 12:00 nella Sala del Gonfalone a Palazzo Pirelli è stato presentato "MONDADIZZA MUSIC WEEK 2024". L’iniziativa è patrocinata dal Consiglio Regionale di Lombardia, da ERSAF e del Comune di Sondalo; con il contributo di Fondazione ProValtellina, Comunità Montana Alta Valtellina, BIM e Provincia di Sondrio. Hanno partecipato alla presentazione della MMW anche il Presidente del Consiglio Regionale di Lombardia Federico Romani, il Consigliere Carlo Borghetti, il Sindaco di Sondalo Ilaria Peraldini e il Presidente della Comunità Montana Alta Valtellina Francesco Cossi. “La Mondadizza Music Week" nasce dall’idea di unire talento e territorio attraverso una sfida di contenuti che si basa sulla qualità delle idee e sull’innovazione. L’obiettivo è duplice. Da un lato promuovere e sostenere i giovani musicisti di talento, come avviene nella ‘cantera’ delle squadre di calcio, dall’altro far scoprire o riscoprire un territorio montano straordinario come l’Alta Valtellina. È questo il percorso su cui si sta muovendo con successo da ormai sei anni la Mondadizza Music Week che è una bellissima opportunità culturale, ma è anche una preziosa occasione per riappropriarsi di un territorio e per sentirsi comunità”. Con queste parole il Presidente del Consiglio regionale Federico Romani ha presentato questa mattina a Palazzo Pirelli la sesta edizione della Mondadizza Music Week (MMW), laboratorio musicale che si terrà dal 28 luglio al 4 agosto nella piccola frazione di Sondalo (SO) in Alta Valtellina La MMW unisce arte, talento, comunità locale e turisti: crea opportunità di crescita per i musicisti, diffonde la musica attraverso programmi coinvolgenti, valorizza il territorio, richiama la partecipazione attiva della comunità favorendo il rilancio della frazione sondalina. L'importanza della MMW risiede proprio nell'attenzione alla comunità, al territorio, al pubblico più decentrato e ai ragazzi, attraverso il coinvolgimento di giovani professionisti del mondo della musica. Il territorio sondalino si anima grazie alla musica, un connubio tra arte, storia, tradizione e paesaggio, in un'ottica di turismo sostenibile grazie alla cultura. Musica e Territorio hanno un legame intimo e antico: i suoni della natura sono essi stessi musica, gli strumenti musicali nascono dal legno e da parti di animali, la natura ha ispirato i compositori di ogni secolo. Uomo e natura sono profondamente interconnessi e fanno parte di un delicato ecosistema del quale spesso ci si dimentica” (Eleonora Volpato, coordinatrice della MMW). L'edizione 2024 prevede la presenza di giovani musicisti e di tutor di eccezione. I giovani sono tutti under 25 dall'indiscusso talento che prepareranno i programmi musicali con la supervisione del pianista Ramin Bahrami e del soprano Ivanna Speranza, due artisti di grande spessore internazionale. Vi sarà anche un focus su una grande artista legata al territorio valtellinese: la violinista Teresina Tua Quadrio, straordinaria musicista, antesignana delle concertiste di oggi, prima artista italiana a effettuare all'inizio del XX° secolo una tournée negli USA. “La musica ha il potere di rivitalizzare l’animo umano, favorire la condivisione, far vibrare di energia, far ascoltare il suono della felicità. Grazie a Mondadizza e ai suoi entusiasti abitanti, ai volontari e a tutti coloro che rendono possibile la Mondadizza Music Week 2024” dice Enrica Ciccarelli, Presidente della Società dei Concerti. ( foto Davide DiGiorgio dalla redazione) 23 luglio 2024 dalla redazione Terzo incontro-concerto per "Musica dissidente" alla "Fondazione Giangiacomo Feltrinelli" di Milano "Musica dissidente", a cura di Carlo Boccadoro, ha avuto la terza e ultima giornata d'incontro alla Fondazione "Giangiacomo Feltrinelli" di via Pasubio 5 a Milano. Boccadoro, compositore, pianista e direttore d'orchestra, ma anche saggista e organizzatore musicale, ha come sempre introdotto i brani in programma in un contesto tematico denominato "No justice, no peace! ". Sono stati eseguiti quattro brani dalla violinista milanese Francesca Bonaita, alcuni di questi con l'apporto del pianista Alessandro Commellato. Ancora una volta Boccadoro, attraverso la lettura di testi d'importanti scrittori americani come Toni Morrison, James Baldwin e George Jackson, ha voluto sottolineare il tema dell'oppressione del popolo americano nella storia, situazioni drammatiche del passato di discriminazione razziale, ma anche riferimenti al presente, situazioni che hanno a che fare con le violenze perpetrate a tutti i più deboli , a chi non ha il controllo economico e politico della società, mettendo in risalto la sudditanza delle classe sociali svantaggiate rispetto al potere del grande capitale che controlla, spesso in modo subdolo, la vita delle persone. La prima serie di brani, della compositrice americana Florence Price (1887-1953), Three Negro Spirituals - in realtà tre eccellenti trascrizioni per violino e pianoforte di tre noti spirituals - ha visto la violinista Bonaita, coadiuvata con altrettanto efficace espressività da Commellato, delineare con profonda interiorizzazione coloristica brani destinati al canto sofferto, per un'esternazione altrettanto ricca di spiritualità. I due brani successivi, per violino solo, erano di Giorgio Colombo Taccani, con il suo Alastor, e di Fabio Vacchi, con un lirico Respiri. L'efficace resa tecnico-espressiva della Bonaita, indicativa della sua indubbia capacità di affrontare con disinvoltura ogni repertorio del passato e del presente, ha fatto emergere le qualità dei due lavori: il primo, più aspro e ricco di contrasti ritmici, ha un virtuosismo solistico che ricorda certo Ysaye; il secondo giocato su una profonda tensione lirica ed emotiva, tipica del compositore bolognese, ha un'espressività che ricorda Alban Berg. Entrambi i brani, eseguiti con maestria dalla giovane interprete, hanno trovato i favori del numeroso pubblico intervenuto nell'elegante spazio della Fondazione Feltrinelli, e gli applausi fragorosi non sono mancati anche ai due noti compositori saliti in palcoscenico. L'ultimo brano in programma, quello della giovane compositrice di New York Jessei Montgomery (1981), con il suo Paece, per violino e pianoforte, ha voluto concludere in positivo il tardo pomeriggio, trascorso soprattutto tra la drammaticità delle letture scelte da Boccadoro e i brani riferiti a situazioni introspettive di indubbia sofferenza. Ottimo il brano della Montgomery, una compositrice non conosciuta in Itala ma particolarmente eseguita negli Stati Uniti. Ancora efficace la qualità espressiva nella restituzione dell'ottimo duo strumentale. Applausi meritatissimi a tutti i protagonisti. 17 luglio 2024 Cesare Guzzardella Il Quinteto Astor Piazzolla al Dal Verme per "Worm Up" L' appuntamento conclusivo del Festival Worm Up! del Teatro Dal Verme ha trovato ieri sera l' Orchestra de "I Pomeriggi Musicali" diretta da Alessandro Cadario insieme al "Quinteto Astor Piazzolla", una formazione cameristica che ha come figura centrale il bandoneon, lo strumento che ha reso celebre il grande compositore argentino Astor Piazzolla. L'impaginato scelto era imperniato sulle sue composizioni. Una carrellata di brani più o meno conosciuti è stata programmata nel lungo concerto iniziato prima con una serie di lavori per solo Quintetto con il bandoneon di Pablo Mainetti, il violino di Serdar Geldymuradov, la chitarra di Armando de la Vega, il pianoforte di Nicolás Guerschberg e il contrabbasso di Daniel Falasca. Poi la sola Orchestra dei Pomeriggi, diretta molto bene da Cadario con ricerca di dettaglio coloristico, ha trovato un'eccellente resa in lavori nei quali è emersa la raffinata capacità d'orchestrazione di un musicista geniale come Piazzolla, che dalle melodie folcloristiche intrise di una ritmica spesso sincopata, derivante dal tango argentino, arriva poi ad una seducente ricerca di sonorità classiche, definite in ogni frangente dalle sezioni orchestrali, sonorità che hanno creato un linguaggio personalissimo, che non trova analogie con altri compositori. La parte finale del concerto ha visto il Quintetto insieme all'Orchestra per ancora numerosi brani eseguiti con maestria sia dai solisti che dalle sezioni orchestrali. Eccellenti le parti soliste con il bandoneon di Mainetti ( Buenos Aires, 1971) in primo piano in numerosi lavori, ma con anche interventi del violino, della chitarra e del pianoforte. Applausi meritatissimi dal numeroso pubblico intervenuto al Teatro dal Verme. Parecchi i bis concessi come il celebre Libertango o uno strepitoso Fugato finale eseguiti dal solo eccellente Quinteto uscito in palcoscenico più volte per gli interminabili applausi del pubblico. Da ricordare. 14 luglio 2024 Cesare Guzzardella Presentato a Palazzo Marino "Milano Cineconcerti Festival 2024" E' stata presentata a Palazzo Marino la rassegna di cinema e di musica "Milano Cineconcerti Festival 2024". È una grande kermesse di cinema e di musica che prevede ben 17 spettacoli all'aperto con proiezioni di pellicole mute con accompagnamento musicale dal vivo curato da solisti, formazioni cameristiche e gruppi d'improvvisazione. Gli spettacoli live sono realizzati in due diverse piazze della città, Piazza Belloveso e Piazza Schiavone, del Municipio 9. Artefice dell' iniziativa è Rossella Spinosa, pianista e compositrice allieva di Azio Corghi, Giacomo Manzoni e Luis Bacalov. La Spinosa, specialista del settore, ha realizzato le musiche degli spettacoli in programma come quelli che citiamo dal programma: "Sconfiggere la povertà", The Immigrant di C.Chaplin (1917) e "Sconfiggere la fame", Il trionfo della vita di A.Gravina (1922). Ricordiamo però le prime data in Piazza Belloveso per il 15 luglio con La Casa Elettrica di B.Keaton (1922) e per il 16 luglio Una locanda di Tokio di Y.Ozu (1935). Dopo l'introduzione dell'Assessore alla Cultura Tommaso Sacchi, che tra le molte cose dette ha sottolineato l'importanza dell'inziativa fatta anche per portare cultura e musica nelle zone più periferiche della città, la Spinosa ha poi motivato le scelte fatte dei numerosi spettacoli in relazione anche ai due luoghi dove avverranno le proiezioni. Importanti saranno i solisti selezionati per fare musica, musicisti di primo livello provenienti anche dalle più rilevanti formazioni strumentali milanesi. Infine la Presidente del Municipio 9 , Anita Pirovano, ha concluso la presentazione raccontando aneddoti su esperienze fatte a Milano nelle iniziative passate, focalizzando l'attenzione sull'importanza di ogni esperienza culturale in ogni zona della città. Spettacoli di particolare interesse quindi quelli che ci aspettano tra pochi giorni, cine-concerti che consigliamo a tutti. 11 luglio 2024 Cesare Guzzardella Secondo incontro-concerto per "Musica dissidente" alla "Fondazione Giangiacomo Feltrinelli" di Milano "Musica dissidente", a cura di Carlo Boccadoro, ha avuto la seconda giornata d'incontro alla Fondazione "Giangiacomo Feltrinelli" di via Pasubio 5 a Milano. Gli strumentisti del Teatro alla Scala, Andrea Piccoli al violino, Francesco Martignon al violoncello e Andrea Rebaudengo al pianoforte, hanno eseguito brani di Armando Gentilucci (1939-1989) e di Mikis Theodorakis (1925-2021). Boccadoro, compositore, pianista e direttore d'orchestra, ma anche saggista e organizzatore musicale, ha voluto introdurre i brani dei compositori citati, da lui segnalati, inserendoli in un ambito storico-politico particolare, legato a periodi di dittatura, di assenza di democrazia e di abusi perpetrati nelle carceri dove compositori non allineati al regime, come Theodorakis in Grecia, durante il regime dei "Colonnelli", furono detenuti e torturati. Attraverso la lettura di testi o di poesie di alcuni importanti scrittori e poeti, che hanno messo in risalto le situazioni di sudditanza ad un potere che controllava completamente la vita delle persone, Boccadoro ha quindi introdotto i due lavori in programma. Il primo, Come qualcosa palpita nel fondo, per violino ed elettronica, di Armando Gentilucci, era nella rara versione originale del 1973, ripresentata dopo quasi vent'anni, essendo più frequente la versione solo strumentale. Il secondo brano, il Trio per violino, violoncello e pianoforte del musicista greco Mikis Theodorakis, è invece un lavoro giovanile del compositore e politico greco, composto prima del suo arresto. Un brano, in prima esecuzione italiana, che rivela le abilità di Theodorakis di comporre in senso classico, con grande varietà melodica e con stile anche complesso riferito ai suoi contemporanei, come Ŝostakovič o Prokof'ev. L'interessante brano di Gentilucci, musicista deceduto in età ancora giovane, ha una parte elettronica realizzata nel famoso studio di Fonologia della RAI fondato da Luciano Berio e da Bruno Maderna, con l'ausilio del grande tecnico Marino Zuccheri. Oltre alle parti elettroniche registrate su nastro magnetico, con voci di carcerati e di palestinesi in lotta, si ascolta una voce femminile registrata che recita testi di tre brevi poesie. La parte "melodica" è invece realizzata live dal violino solista, ieri quello del bravissimo Andrea Piccoli. La pregnanza di Piccoli nell'elargire la sequenza melodica atonale, d'intensa espressività, ben si è inserita nella sofisticata realizzazione elettronica. Un documento importante, come ricordato da Boccadoro, quello del compianto Gentilucci. Di ottima qualità per melodicità le sequenze del Trio per violino, violoncello e pianoforte del musicista greco. Applausi sostenuti a tutti i protagonisti, nella bellissima sala della Fondazione Feltrinelli. Ultimo incontro previsto per il 16 luglio, sempre ad ingresso libero con prenotazione, con la violinista Francesca Bonaita e il pianista Alessandro Commellato per brani contemporanei di Fabio Vacchi, Giorgio Colombo Tacconi e di Florence Price e Jesse Montgomery. Da non perdere 10 luglio 2024 Cesare Guzzardella Straordinario successo per la nuova Turandot al Teatro alla Scala Il Teatro alla Scala ha voluto un nuovo allestimento di Turandot per commemorare i cento anni dalla morte di Giacomo Puccini ( 1858- 1924). Ha scelto l'ultima opera, quella che il musicista toscano lasciò incompiuta a metà del terzo atto nel 1924. Fu Toscanini, due anni dopo, nel '26 a presentare, proprio alla Scala, Turandot, con l'interruzione che abbiamo visto ieri sera, alla quarta rappresentazione (il finale del compositore Franco Alfano ascoltato ieri fu scritto ed eseguito successivamente) . Un minuto e oltre di silenzio sono stati riservati al genio lucchese, davanti alla sua immagine sferica, con la frase "Qui Giacomo Puccini morì". In tutto il teatro tenui ma diffuse luci di lumini, distribuiti ai presenti, hanno creato un'atmosfera quasi magica a ricordo del grande musicista: una commemorazione che ha visto grande partecipazione emotiva di interpreti, coro, strumentisti e pubblico. Abbiamo assistito a una Turandot dove tutte le componenti artistiche, interagendo in modo perfetto per un obiettivo unitario, hanno contribuito ad un'eccellente resa e a un successo pienamente meritato. Una Turandot di grande impatto scenico quella voluta dal regista Davide Livermore, anche scenografo insieme a Eleonora Peronetti e Paolo Gep Cucco nell' impressionante integrazione video D-Wok, con costumi di Mariana Fracasso e luci di Antonio Castro. L'ottima direzione musicale di Michele Gamba -che ancora una volta si dimostra grande conoscitore della musica operistica, mediata dalle sue competenze nei repertori antichi e contemporanei - era giocata su un senso di grandiosità timbrica, espressa con equilibrio dall'Orchestra del Teatro alla Scala e dell'imponente Coro. Le voci coristiche sono determinanti in questo lavoro e sono state straordinariamente preparate da Alberto Malazzi. Ottime le scene, ricche di contrasto, tra la povertà della periferia di Pechino, dove troneggia l'insegna dell'Hotel Amour, e lo sfarzo della reggia di Turandot, che sale in verticale con una lunga scalinata. I colori forti ricordano indubbiamente la mostra contemporanea "Dal cuore alle mani", allestita a Palazzo Reale con le splendide creazioni di Dolce & Gabbana. Bravissima Anna Netrebko nel ruolo della Principessa Turandot: voce potente, intonata, di grande impatto scenico, perfetta nell'esprimere in modo efficace il suo ruolo di donna crudele, divenuto poi più morbido nel finale di Alfano. Ottima la performance di Yusif Eyvazov, in perfetto antagonismo con Turandot, un Calaf che risulta al termine il vincitore. Decisamente di spessore la celebre aria Nessun dorma all'inizio del terzo atto, iniziata in una parte laterale alta della scena, e completata in basso nel palcoscenico, con una penultima nota prolungata particolarmente incisiva. Eccellente la Liù di Rosa Feola, probabilmente la voce più bella nel complesso, molto in crescendo qualitativamente nel terzo atto nella conclusione pucciniana. Di alta qualità Raül Giménez, l'Imperatore Altoum, Vitalij Kowaljow, Timur, Sung-Hwan Damien Park, Chuan Wang e Jinxu Xiahou, rispettivamente Ping, Pang e Pong; ottimi il Mandarino Adriano Gramigni, le due ancelle Silvia Spruzzola e Vittoria Vimercati e il Principe di Persia Haiyang Guo. Applausi fragorosi per tutti. Prossime recite per il 6, il 9 , il 12 e il 15 luglio. Assolutamente da non perdere.( Prime due foto di Brescia e Amisano - Archivio del Teatro alla Scala) 5 luglio 2024 Cesare Guzzardella Alla Scala il Requiem di Mozart diretto da Thomas Guggeis Una direzione ottima quella di Thomas Guggeis per il Requiem di Mozart al Teatro alla Scala. Il giovane direttore tedesco è spesso presente a Milano e ieri sera ha affrontato il capolavoro del grande salisburghese con piglio deciso e sicurezza in ogni frangente, dirigendo l'Orchestra e il Coro del Teatro alla Scala. Senza utilizzare la bacchetta, ha rivelato una gestualità raffinata nell'anticipare gli interventi dei singoli strumentisti o delle sezioni strumentali, elargendo idee chiarissime su come eseguire il suo Mozart. Un'esecuzione decisa, dove i contrasti volumetrici tra strumenti, coro e voci soliste erano ben pesati e in ottimo equilibrio. L'opera composta dal salisburghese nel suo ultimo anno di vita, il 1791, è stata eseguita con la parte completata da Franz Xaver Süssmayr, il compositore austriaco contemporaneo di Mozart, rimasto nella storia solo per questa importante compartecipazione. Il grande Coro preparato da Alberto Malazzi ha trovato, a completamento della componente vocale, quattro voci soliste: quelle del soprano Juliana Grigoryan, del mezzosoprano Cecilia Molinari, del tenore Giovanni Sala e del basso Adam Plachetka, tutte ottime timbriche che hanno contribuito alla riuscita di questa eccellente interpretazione. Un' esecuzione quindi di alto livello, coronata dai fragorosi applausi del numeroso pubblico presente in teatro. L'ultima replica è prevista per domani 5 luglio. Da non perdere! 4 luglio 2024 Cesare Guzzardella Successo meritatissimo al Teatro alla Scala per The Fairy Queen di Henry Purcell Una serata straordinaria quella vista e ascoltata ieri sera al Teatro alla Scala per l'unica rappresentazione in forma semiscenica di The Fairy Queen - La regina delle fate- di Henry Purcell. L'opera in cinque atti del musicista londinese tratta da "Sogno di una notte mezza estate" di William Shakespeare venne rappresentata a Londra per la prima volta nel 1692, nel "teatro della regina" Dorset Garden. Il gruppo strumentale specializzato in musica antica "Les Arts Florissants" ieri sera era diretto da un esperto del settore quale il franco-americano William Christie, (coadiuvato da Paul Agnew) ideatore e fondatore nel 1979 dell'eccellente compagine orchestrale . Il gruppo vocale di solisti e soliste erano del Jardin des voix 2023. Pur essendo in forma semiscenica rilevante è stata la coreografia e la regia dello spettacolo di Mourad Merzouki, figura di spicco della scena Hip-hop dagli anni '90. Il palcoscenico era continuamente vivacizzato dalla presenza delle ballerine e dei ballerini della Compagnie Käfig, abili in situazioni spesso acrobatiche con riferimenti alle più attuali e popolari movenze dei nostri giorni. L'inserimento delle otto voci nel contesto delle danze, con cantanti spesso partecipanti alla danza, ha creato una dinamicità che ha arricchito la messinscena attraverso contrasti particolarmente riusciti con il susseguirsi delle numerose arie aventi spesso caratteristiche opposte rispetto ai movimenti danzanti, essendo a volte di evidente riflessività, ma comunque di grande fantasia e ottimamente in sintonia con l'invenzione coreografica di Merzouki. La scena, molto colorata, vivacizzata dai costumi di Claire Schirck e dalle luci di Fabrice Sarcy, è risultata particolarmente idonea a creare un'atmosfera giovanile, ricca di energia positiva. La splendida orchestra con strumenti originali, diretta magnificamente da Christie, ha avuto anche un' estensione nel palcoscenico con la presenza di solisti strumentisti che a rotazione hanno interagito con i cantanti per splendidi duetti "strumento-voce" come quello del rilevante violino di spalla Emmanuel Resche-Caserta salito sul palcoscenico per interagire con l'eccellente voce femminile. Ricordiamo le ottime giovani voci dell'ensemble: il soprano Paulina Francisco, i mezzosoprano Georgia Burashko, Rebecca Leggett, Juliette Mey, i tenori Ilja Aksionov e Rodrigo Carreto, il baritono Hugo Hermann-Wilson e il basso-baritono Benjamin Schilperoort. Tra gli straordinari ballerini: Baptiste Coppin, Samuel Florimond, Anahi Passi, Alary-Youra Ravin, Daniel Saad e Timothée Zig. Applausi calorosissimi e alla fine ancora musica e danza con il direttore William Christie in palcoscenico. Splendida serata super applaudita!
1 luglio 2024 Cesare Guzzardella GIUGNO 2024 Successo meritato per il Trittico pucciniano al Teatro Regio di Torino Capita raramente di assistere al Trittico di Giacomo Puccini. L'ottima proposta del Teatro Regio di Torino per omaggiare il musicista toscano, nel centenario della morte, con Il Tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi, in unica soluzione, ha certamente avuto un grande apprezzamento da parte del pubblico che ieri sera ha assistito alla quinta rappresentazione. Tre opere concepite da Puccini in un lasso di tempo piuttosto breve e confluite nella prima rappresentazione al Metropolitan di New York il 14 dicembre 1918. Sono passati quindi più di cento anni da quel giorno e il successo al Teatro Regio sicuramente verrà ripetuto nelle ultime tre repliche previste (30 giugno- ore 15.00- , 2 e 4 luglio - ore 19.30). Le tre brevi opere, circa 60 minuti di durata ognuna, sono state portate prima sulla scena del Théâtre Royal de la Monnaie di Bruxelles, in coproduzione col Regio di Torino, affidando la regia al tedesco Tobias Kratzer (ripresa da Ludivine Petit), con scene e costumi di Rainer Sellmaier (ripresi da Clara Hertel). Tre lavori decisamente diversi per genere, per modi rappresentativi e per resa musicale, anche se tutti esprimono in ogni sequenza sonora lo spirito del genio pucciniano. A dare unità ai tre lavori è stata certamente l'ottima direzione di Pinchas Steinberg, che ha saputo plasmare i colori dell'Orchestra del Teatro Regio, del Coro e del Coro di Voci bianche - qui insieme a Claudio Fenoglio e Ulisse Trabacchin- in una discorsività raffinata, volta a sottolineare in modo mirabile le voci dei protagonisti. Il regista Kratzer e lo scenografo e costumista Rainer Sellmaier sono riusciti a realizzare lavori differenti per resa visiva e articolazione spaziale e di movimento dei partecipanti. Ne Il Tabarro la scena è divisa in verticale in quattro quadri, due di essi più utilizzati, che si associano quasi cinematograficamente al racconto verista della tragedia sentimentale che coinvolge la giovane Giorgetta e l'amante Luigi, che finirà assassinato dal geloso Michele, marito tradito. I tramonti sulla Senna sono sostituiti con efficacia da immagini che ricordano New York. Ottimi i tre protagonisti, Roberto Frontali, Alena Stikhina e Samuele Simoncini, in un contesto complessivo di buona resa drammaturgica. Di maggiore spessore espressivo Suor Angelica, insieme a Gianni Schicchi, l'opera breve generalmente più rappresentata. L'idea registica e scenica di raddoppiare la scena- per Suor Angelica - con il supporto visivo di una proiezione gigante in bianco e nero, ambientata nel convento, con le stesse protagoniste, a fare da sfondo, ha favorito certo la visuale dei primi piani e ha maggiormente coinvolto gli spettatori. Protagonista assoluta, Suor Angelica, ancora nella voce di Elena Stikhina, ci è sembrata maggiormente centrata, con particolare intensità vocale nel meraviglioso Senza mamma, bimbo tu sei morto...inserito ottimamente nell'orchestrazione di Pinchas Steinberg. Bravissime le altre interpreti: splendide le voci di Anna Maria Chiuri, la zia Principessa, e Monica Bacelli, la Badessa. Con netto contrasto scenico e di carattere, Gianni Schicchi è stato il lavoro che coralmente e teatralmente ha trovato un maggiore successo. Il protagonista Schicchi, ancora nella voce di Roberto Frontali, qui anche attorialmente di grande levatura espressiva, ha avuto tutti i compagni di lavoro in perfetta sintonia scenica. Trovate azzardate riuscitissime (inserite in un contesto moderno), come quella di far comparire i personaggi in costume da bagno, dentro una vasca piena di schiuma, hanno sottolineato gli aspetti ironici e divertenti del lavoro. Di ottima resa vocale Lucrezia Drei, una Lauretta bravissima anche nell'avvincente O mio Babbino Caro; applauditissima Elena Zillo, Zita Donati. Ottimi Matteo Mezzaro, Rinuccio, Roberto Covatta, Gherardo, Irina Bogdanova, Nella, e tutti gli altri. Applausi fragorosi 28 giugno 2026 Cesare Guzzardella Andrea Bacchetti al Museo del Novecento milanese per " I Suoni trasfigurati e le voci frammentate del '900" All'interno di una Stagione musicale più ampia denominata Suoni trasfigurati-nuovi spazi, curata da Luca Carcinelli e da Luisa Longhi, che si sviluppa in ben cinque luoghi importanti di Milano, ieri al Museo del Novecento abbiamo assistito al concerto del pianista genovese Andrea Bacchetti, assai noto per il suo eccellente Bach, ma anche per il suo interesse per la musica novecentesca e dei nostri giorni. Nella prestigiosa e panoramicissima Sala Fontana , il concerto, tenuto davanti ad un numeroso pubblico, s'intitolava “Voci frammentate. Echi lirici del Novecento” e spaziava da Bach, a Debussy, da Schönberg, a Berio e a Peterson, a Villa-Lobos e anche ad una composizione del musicista milanese, Filippo Del Corno, presente in sala. L'omaggio al suo amato J.S.Bach è stata una scelta quasi obbligata, con una selezione di Preludi e fughe dal Clavicembalo ben temperato ( BWV 854- 865- 871) , unitamente al profondo Corale Ich ruf zu dir, Herr Jesu Christ BWV 639 nella stupenda trascrizione di Ferruccio Busoni. La musica del genio tedesco è fondamentale per comprendere le radici di ogni forma musicale, anche di quelle novecentesche. Dopo l'esaustiva e dettagliata interpretazione di Bach, Bacchetti è passato a Claude Debussy, con due brani dalla raccolta di pezzi per ragazzi Children's Corner, quindi a due preludi quali Bruyères e la Cathédrale engloutie. Un Debussy molto meditato quello ascoltato, elegante e ricco di colori. Entrando ancor più nel Novecento, Bacchetti è arrivato prima a Schönberg con i Sei brevi Klavierstücke op.19 eseguiti con limpidità nelle complesse architetture rilevate con piani sonori limpidi. Molto interessante anche l'interpretazione di due dei Sei Encores di Luciano Berio, precisamente Brin e Wasserklavier, brani che il pianista aveva eseguito anche alla presenza del compositore ligure alcuni decenni fa. Di ottima valenza di scrittura e di chiarissima interpretazione il brano successivo, Un luogo quieto di Filippo Del Corno, brano del 1994, che certamente rivela le valide qualità dell'autore e rle influenze non lontane di alcuni musicisti appena ascoltati, come forse Debussy, per una certa componente meditativa e per la coloristica antica ben rilevata da Bacchetti. Applausi sia all'interprete che al compositore. Gli ultimi brani dell'impaginato erano prima un arrangiamento di Bacchetti di He has gone del pianista jazz Oscar Peterson e poi il celebre O Polichinelo di Villa-Lobos, di grande virtuosismo ed eseguito con straordinaria chiarezza espressiva. Applausi meritatissimi e numerosi i bis concessi: un breve Villa-Lobos, un espressivo Moon River di H. Mancini, e poi un ritorno al classicismo con un'ottima Fantasia in re minore K 397 di Mozart, l' Improvviso n.2 in la bem. maggiore D 935 di Franz Schubert e ancora una brevissima Fuga di Bach. Applausi fragorosi. Bravissimo! 26 giugno 2024 Cesare Guzzardella Una Standing ovation meritata per Roberto Alagna al Teatro alla Scala Il numerosissimo pubblico di appassionati del bel canto, presente ieri sera al Teatro alla Scala, ha accolto con entusiasmo il tenore Roberto Alagna, sessantunenne francese figlio di siciliani. Il programma era un omaggio interamente dedicato a Giacomo Puccini a cento anni dalla morte, compositore caro al celebre interprete. I numerosi brani dell'impaginato sono stati inframmezzati da brani solo pianistici, sempre da opere pucciniane, eseguiti bene, con modalità estemporanee, dallo statunitense Jeff Cohen. In duo con il celebre tenore sono stati interpretati arie da Le Villi, da Elgar, da Manon Lescaut, da Bohème, da Tosca, da Madame Butterfly, da Fanciulla del West, da Turandot e nei bis concessi, da La rondine, da Il Tabarro e da Gianni Schicchi. Tutti i brani hanno rivelato l'ottima tenuta della voce di Alagna, considerando la sua non giovane età. Nella prima parte le arie Torna ai felici dì da Le Villi, Orgia, chimera dall’occhio vitreo da Edgar, Tra voi belle, brune e bionde, e poi Donna non vidi mai da Manon Lescaut hanno riscosso fragorosi applausi; ma è con i cavalli di battaglia della seconda parte, con Che gelida manina da La bohème, E lucevan le stelle da Tosca , arrivando al gran finale di Nessun dorma da Turandot, che Alagna ha mandato in visibilio moltissimi dei presenti in teatro. Prima della celebre aria da Turandot, aveva anche eseguito Addio, fiorito asil da Madama Butterfly, dopo la splendida trascrizione, solo pianistica, del Coro a bocca chiusa eseguita strabene da Cohen, e anche Ch’ella mi creda libero e lontano da La fanciulla del West. Alagna visibilmente soddisfatto ha poi concesso ben quattro bis: prima da La Rondine, Parigi! E' la città dei desideri.. , poi da Il Tabarro Hai ben ragione...per noi la vita, quindi da Turandot Non piangere Liù, ed in fine da Gianni Schicchi Firenze è come un albero fiorito.. Un' ovazione per Alagna con interpretazioni in crescendo in qualità e potenza espressiva, che rivelano tutta l'esperienza acquisita dal tenore nella sua lunga carriera. Pubblico tutto in piedi per gli interminabili applausi finali. Da ricordare 24 giugno 2024 Cesare Guzzardella Una mattinata schumanniana conclude la Stagione di Lieti Calici agli Amici del Loggione del Teatro alla Scala L' ultima mattinata stagionale di "Lieti calici", la riuscita rassegna musicale di concerti seguiti da momenti conviviali, organizzata agli Amici del Loggione del Teatro alla Scala (via Silvio Pellico 6) da Mario Marcarini, ha trovato due validissime interpreti, operanti in settori artistici diversi ma unite in un breve ed interessante spettacolo, di particolare valore musicale-letterario. L'ottima pianista Clara Schembari, cogliendo l'occasione della presentazione del suo cd "Der Dichter der Natur" ("Il poeta della Natura"), insieme all'attrice Daniela Tusa, ha "raccontato" Robert Schumann attraverso l'esecuzione della Waldszenen op. 82, "Scene della foresta" del genio tedesco, in nove quadri musicali, composti tra la fine del 1848 e l'inizio del 1849; la Tusa l'ha accompagnata con una lettura di poesie perfettamente correlate ai pezzi e al mondo musicale-poetico schumanniano. La scelta al riguardo è stata variegata e ha compreso autori ed autrici di epoche diverse, passando da Ada Negri ("Prato d'aprile") a Emily Dickinson ("Natura è ciò che vediamo", 1863), da Charles Baudelaire ("L'anima del vino",1857) all'iraniano Sohrab Sepehri ("L'uccello dell'enigma", 1954), fino a Joyce Kilmer ("Alberi", 1914). Lo stesso Schumann aveva citato, come premessa al suo quarto pezzo, "Verrufene Stelle" ("Luogo maledetto"), alcuni versi della lirica "Boser Ort" ("Luogo del male", 1848) del poeta e drammaturgo tedesco Friedrich Hebbel. I versi di Hebbel sono stati recitati dalla bravissima Tusa, insieme agli altri, con coinvolgente intensità espressiva. Sono seguiti, interpretati validamente dalla Schembari, Des Abends, dalla Phantasiestucke op. 12, Mondnacht da Liederkreis op. 39 n. 5, I canti dell'alba dall'op. 133, Kinderszenen op.15 n.13 (Der Dichter spricht). Anche questi brani sono stati preceduti da letture di testi scelti con cura, come "La sera" (1904) di Rainer Maria Rilke o "Saluto all'alba" del poeta indiano del VI sec. d. C. Kalidasa. Applausi calorosi nella sala colma di pubblico e un brindisi con vini eccellenti. La rassegna riprenderà a settembre: sono previste importanti novità. 23 giugno 2024 Cesare Guzzardella , Anna Busca Musica di Ludovico Einaudi con Iris Hond e I Pomeriggi Musicali diretti da Alessandro Cadario Il terzo appuntamento della rassegna musicale denominata "Panorami Sonori" ha trovato sul podio dell'Orchestra de I Pomeriggi Musicali il direttore Alessandro Cadario, per un omaggio al noto musicista torinese Ludovico Einaudi. Da oltre trentacinque anni Einaudi ha fama internazionale per i suoi brani pianistici, caratterizzati da un'estrema semplicità costruttiva derivante da certo minimalismo inglese e statunitense. Con ispirata vena melodica, dal carattere "meditativo", ha realizzato decine di brani inseriti in numerosi cd usciti in questi anni, che lo hanno reso celebre ad un pubblico trasversale. La sua ricerca in territorio tonale, giocata su una sorta di ripetività di semplici strutture melodiche e armoniche di facile memorizzazione, - alcune di esse particolarmente ispirate- lo rendono attrattivo a tutti gli aspiranti giovani pianisti che desiderano suonare un brano arrivando con facilità ad una buona esecuzione. Ieri, di fronte al numeroso pubblico presente al Teatro Dal Verme, sono stati eseguiti tre lavori, i primi due per sola orchestra, certamente meno conosciuti. Il primo era denominato Run suite, una riduzione orchestrale di un brano originario per pianoforte, caratterizzato da un'ipnotica ripetitività di strutture melodico-armoniche che s'intrecciano per oltre trenta minuti. L'impressione è quella di un brano infinito, un "tappeto musicale" che ha, in una sorta di voluta banalità costruttiva con frangenti interessanti, la sua ragione di essere. Una sintesi migliore delle sequenze proposte probabilmente lo renderebbe un lavoro più convincente. Il secondo brano, Purple Suite, è una buona fusione di momenti tratti da brani di Prince, il noto musicista, pluristrumentista statunitense scomparso nel 2016. È una valida sintesi, ispirata musicalmente in modo composito a Stravinskij, Zappa, i Beatles e altri, di semplici melodie ben rese dall'orchestra dei Pomeriggi. Il brano più tipico di Einaudi, Domino, per pianoforte, orchestra d'archi e arpa, ha trovato come solista al pianoforte la splendida Iris Hond, pianista e compositrice olandese, spesso interprete della musica del pianista-compositore piemontese e a sua volta realizzatrice di un genere simile a quello del più noto collega. Elegante e flessuosa, la Hond ha l'inusuale abitudine di suonare a piedi nudi, appoggiando le scarpe vicino al pianoforte (in questa serata, preziose décolleté di strass argentato). Domino è un concerto, nei classici tre movimenti, dal carattere riflessivo, giocato -nello "stile Einaudi" - su semplicità melodica, interpretata con espressività dalla Hond, con valida orchestrazione ben diretta da Cadario. Un brano piacevole, d'intensa ispirazione. Tre i bis solistici concessi della Hond, tratti da celebri brani di Einaudi. Applausi fragorosi dal numeroso pubblico presente al Teatro Dal Verme. 21 giugno 2024 Cesare Guzzardella Il Premio Montale "Fuori di Casa 2024" alla violinista Francesca Bonaita La violinista Francesca Bonaita, classe 1997, nell'elegante cornice milanese della Steinway & Sons, ha ricevuto un premio importante, quello della 28°edizione del "Premio Montale Fuori di Casa", avente come motivo conduttore per il 2024, come nelle due precedenti edizioni, il tema della Pace. Montale nel 1976 intervistato diceva " L'argomento della mia poesia, credo di ogni possibile poesia, è la condizione umana in sé considerata, non questo o quell'avvenimento storico. Ciò non significa estraniarsi da quanto avviene nel mondo, significa solo coscienza e volontà di non scambiare l'essenziale col transitorio" . Da queste profonde parole del poeta, riferibili ad ogni settore artistico, assume significato il premio dato a Francesca Bonaita, violinista di eccellenti qualità, con anche importante formazione umanistica, alla quale tiene molto. È autrice nel 2020 anche di un valido saggio, "La musica, Orfeo, Euridice" che analizza "Il mitema e l'adeguamento al contemporaneo". La giuria del premio Fuori di Casa, apprezzando le qualità artistiche e umanistiche dell'ancor giovane donna, ha voluto premiare un personaggio completo, che trova nelle numerose discipline interdipendenti una ragione per esprimersi in modo profondo. Nel corso del riuscito tardo pomeriggio, dopo l'introduzione della Presidente del Premio Montale Fuori di Casa, dott.ssa Adriana Beverini, la violinista, accompagnata al pianoforte da Alessandro Commellato, ha eseguito brani importanti, di rara esecuzione come la Sonata per violino e pianoforte in si minore P110 di Ottorino Respighi, la Sonata n.1 per violino e pianoforte in fa minore op.80 di Sergej Prokof'ev ed infine, in Prima assoluta, un brano di Fabio Vacchi, la Sonatina III, originaria del 2019 per solo violoncello e rivista dal compositore bolognese per violino solo. Esecuzioni di eccellente qualità quelle della Bonaita, coadiuvata benissimo da Commellato, per una scelta di lavori impegnativi ma di grande spessore compositivo. Dopo i fragorosi applausi del numeroso pubblico presente, si è arrivati alla premiazione: il giornalista e critico Carlo Maria Cella leggendo la motivazione da lui preparata, ha consegnato insieme alla Beverini il premio alla straordinaria violinista. Applausi e brindisi finali hanno concluso l'ottimo pomeriggio musicale. 21 giugno 2024 Cesare Guzzardella Al Teatro alla Scala successo meritato per Werther di Jules Massenet Applausi fragorosi meritatissimi al Teatro alla Scala per l'opera più romantica di Jules Massenet, quel Werther creato dalla fantasia di Goethe nel 1774 che il compositore francese ha ritrovato più di cent'anni dopo per renderlo nel 1887, con il libretto di Édouard Blau, Paul Milliet e Georges Hartmann, il protagonista assoluto di una delle più belle opere liriche di fine Ottocento. È un classico "amore impossibile" quello tra Werther e Charlotte, reso evidente subito dalle parole del protagonista, parole nascoste sino all'ultima scena del quarto atto, dalla promessa e poi sposa di Albert. Mancava dalla Scala da oltre quarant'anni questo capolavoro: dal 1980, dai tempi del grande direttore francese Georges Prêtre (1924-2017) e del grande tenore spagnolo Alfredo Kraus (1927-1999) A sostenere i medesimi ruoli, in questi giorni, nell'ottima nuova produzione del Teatro alla Scala e del Théâtre des Champs-Élysées - vista alla terza rappresentazione- il direttore Alain Altinoglu e il tenore Benjamin Bernheim. Il primo ha esaltato con grande passionalità la vicenda, trovando il giusto dosaggio timbrico dell'orchestra scaligera, per un'interpretazione dettagliata, delicata e ricca di sottili contrasti coloristici di evidente espressività. Il secondo è probabilmente il degno successore di Tito Schipa o di Alfredo Kraus per la raffinatezza della sua resa tenorile, integrata in un ruolo che indossa alla perfezione. Benjamin Bernheim appare perfetto sia timbricamente, che attorialmente in Werther. La messinscena complessivamente ci è piaciuta molto nella valida resa del tedesco Christof Loy, regista che mette in perfetta relazione tutti i protagonisti, a cominciare da quelle eccellenti voci bianche dei giovanissimi ragazzi preparati splendidamente da Bruno Casoni. L'azione si svolge in una porzione di palcoscenico forse troppo piccola, una scena fissa di Johannes Leiacker separata da una enorme parete neoclassica che ripercorre tutto il palcoscenico, dove attraverso una porta, neanche troppo ampia, si intravede l'interno del palazzo. I costumi più recenti, di metà Novecento, di Robby Duiveman sono in ottima sintonia con i personaggi e valida è anche l'illuminazione di Roland Edrich dell'unica scena. Delle altre voci, tutte di rilievo, ottima la Charlotte di Victoria Kakacheva, nel suo ruolo ambiguo fino all'ultimo, tra protezione del marito e della famiglia e amore inespresso per Werther. Il suo timbro è raffinato e intensamente espressivo in un francese probabilmente non sempre adeguato. Altrettanto valido il timbro appariscente ed intonatissimo di Francesca Pia Vitale, una Sophie che in modo discreto si mostra o si allontana. Efficaci nella timbrica e attoriamente sia Jean Sébastien Bou in Albert, lo sposo di Charlotte, che di Armando Noguera, il borgomastro Le Bailli , il padre di lei. Segnaliamo anche le ottime prestazioni di Rodolphe Briand in Schmidt, di Enric Martínez-Castignani in Johann, di Pierluigi D’Aloia in Bruhlmann e di Elisa Verzier in Katchen. Prossime repliche per 24 e il 27 giugno e il 2 luglio. Assolutamente da non perdere! ( Foto di Brescia e Amisano dall'Archivio della Scala) 20 giugno 2024 Cesare Guzzardella Jean-Marc Luisada per "Dischi e Tasti" al Museo della Scala "Au Cinema ce soir" è la denominazione di un riuscito incontro con un valido pianista francese, Jean-Marc Luisada, tenuto in Sala Esedra al Museo dell Scala. Lo ricordiamo premiato al Concorso "Dino Ciani" nel lontano 1983. Da allora Luisada ha fatto molta strada nel territorio concertistico internazionale, incidendo anche importanti dischi per le maggiori case discografiche. L'ultima sua incisione è assai particolare, perché unisce la musica alle immagini di film fondamentali, grandi capolavori come La dolce vita di Fellini, Morte a Venezia di Visconti o Manhattan di Woody Allen, per citarne solo alcuni. Ieri sera, davanti ad un pubblico che gremiva l'elegante sala scaligera, il pianista è stato presentato da Luca Ciammarughi, musicologo, pianista e organizzatore di eventi musicali, nonché ideatore della fortunata rassegna chiamata "Dischi e Tasti", che si svolge da alcuni anni grazie al supporto di Donatella Brunazzi. Il timbro voluminoso del pianoforte utilizzato, appartenuto a Liszt, e stabilmente presente al Museo della Scala, ha consentito al pianista francese, classe 1958, di collegare in modo convincente e fluido alcuni brani- in parte composti appositamente per celebri film, oppure, famosissimi, solo utilizzati per dare significato alle sequenze visive più importanti- ad un originale suo scritto, dove racconta la sua passione per il cinema, nata in tenera età, unitamente a quella per il pianoforte. Aiutato dai genitori, Luisada ha sempre coltivato i suoi due principali interessi. Nelle pagine, lette con spirito di partecipazione da Ciammarughi, emerge la sua smisurata passione per alcuni capolavori del cinema italiano e francese, visti e rivisti da lui moltissime volte. L'ottimo impaginato pianistico ha messo in evidenza l'alta personalizzazione dell'interprete, e l'eccellente resa esecutiva. Iniziando dal tema di Nino Rota dal felliniano La Dolce Vita, Luisada è passato poi ad un pregnante Mozart con la Fantasia K397 in re minore, utilizzata da John Huston in "The Unforgiven". Quindi un Brahms doc quello del francese, con i Tre Intermezzi op.117 per il film "Rendez-vous à Bray" di Andrè Delvaux, e sempre dell'amburghese un profondo Tema e variazioni dal noto Sestetto op.18, utilizzato nel capolavoro di Louis Malle "Les Amants". Di qualità la Mazurka in la minore op.17 n.4 di Chopin, scelta per il film di Ingmar Bergman "Sussurri e grida", e poi il bellissimo Scherzo n.2 op.31, sempre del compositore polacco. Ad integrazione dell'impaginato un brano di Scott Joplin, un ottimo Gershwin dalla Rapsodia in blue e alla fine un eccellente "Alla turca" di W A. Mozart concludevano il pomeriggio musicale. Applausi meritatissimi per un interprete di enorme sensibilità. 19 giugno 2024 Cesare Guzzardella Un "tutto Beethoven" per la Sinfonica di Milano e Lucas & Arthur Jussen Un programma interamente beethoveniano quello ascoltato oggi, nella replica domenicale in Auditorium. L'Orchestra Sinfonica di Milano diretta da Patrick Fournillier ha eseguito due importanti lavori del grande musicista tedesco: prima il Concerto n.5 in mi bem .maggiore per pianoforte ed orchestra op.73 "Imperatore", quindi la Fantasia corale per pianoforte, Soli, Coro e Orchestra in Do minore op.80. Al pianoforte i noti fratelli Jussen, Luca e Arthur, si sono avvicendati nella parte solistica. Luca, il più giovane ha affrontato con grinta, nitore timbrico e determinazione il celebre Concerto "Imperatore", definendo con chiarezza espressiva ogni frangente e trovando naturalezza espressiva anche nel delizioso movimento centrale Adagio, un poco mosso. Applausi sostenuti dopo l'ottima interpretazione dell'opera.73. Dopo il breve intervallo, l'Orchestra, il Coro, i solisti e Arthur Jussen, il fratello meno giovane, sono saliti sul palcoscenico per la Fantasia op.80. Un brano del 1808 costruito su una semplice melodia, variata dal pianoforte di Arthur e dall'orchestra sino ad arrivare alla dirompente componente corale e alle sei voci soliste che hanno potenziato il tema del brano beethoveniano sino all'ultimo intervento pianistico del bravissimo Arthur Jussen. Pubblico entusiasta al termine con applausi a tutti i protagonisti e anche al direttore del Coro Massimo Fiocchi Malaspina. I due fratelli, a quattro mani, hanno concesso un espressivo bis con un noto Corale di J.SBach. Applausi fragorosi a tutti. 16 giugno 2024 Cesare Guzzardella Uno Scriabin doc per Mariangela Vacatello alla rassegna "Il pianoforte in Ateneo" dell'Università Cattolica milanese L'ultimo concerto stagionale della rassegna pianistica "Il pianoforte in Ateneo" organizzata da Davide Cabassi e dal prof. Enrico Reggiani ha trovato una pianista di primo livello quale la napoletana Mariangela Vacatello impegnata in alcune sonate del russo Alexander Scriabin. La Vacatello da alcuni anni si è specializzata nella musica pianistica di questo genio vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, incidendo anche recentemente tutte le sue Sonate pianistiche. Ieri sera, nella splendida cornice dell'Aula Magna dell'Università Cattolica milanese ha selezionato alcune tra le note 10 sonate, precisamente tre di esse, la n.3, la n.5 e la n.9 e concludendo poi l'impaginato ufficiale con il brano Vers la flamme op.72. Le interpretazioni di altissimo livello tecnico-espressivo ci hanno rivelato ancora una volta una pianista dal virtuosismo impeccabile, proiettata in modo deciso nel definire un autore particolarmente sentito e per il quale mostra un'empatia straordinaria. L'incredibile articolazione manuale, unita alla capacità di rilevazione di ogni dettaglio costruttivo delle difficili Sonate, hanno portato ad un'espressività tangibile che rendono l'interprete probabilmente la migliore pianista italiana nel definire il mondo immaginifico, simbolico e astratto della musica del grande russo e certamente tra le migliori a livello internazionale. Gli applausi calorosissimi del numeroso pubblico che gremiva l'Aula Magna dell'Università, con molti del pubblico in piedi in segno di grande apprezzamento, hanno portato a due bis sempre di Scriabin, di grande impatto espressivo, tra cui il Preludio op.9 n.1 per la mano sinistra. Splendida serata. 13 giugno 2024 Cesare Guzzardella Un "tutto Brahms" per la Società dei Concerti con Benedetto Lupo e Gabriel Feltz L'ultimo concerto della Stagione 2023-2024 della Società dei Concerti ha avuto come protagonisti la Dortmunder Philharmoniker diretta da Gabriel Feltz e il pianista pugliese Benedetto Lupo. Il programma, interamente dedicato a Johannes Brahms, prevedeva capolavori di età matura del grande compositore tedesco quali il Concerto n 2 in si bem. Maggiore op.83 per pianoforte e orchestra e la Sinfonia n.2 in re maggiore op.73. Nel concerto, Benedetto Lupo al pianoforte ha interagito bene con la compagine orchestrale nei corposi quattro movimenti che compongono l'ultimo lavoro di Brahms per questo genere. Lupo ha mostrato una linea interpretativa giocata su alternanze dinamiche ben rilevate, con frangenti particolarmente voluminosi e altri di leggerezza ben inseriti nel tessuto orchestrale. La composizione è del 1879, ed è caratterizzata da un'ampia costruzione ricca di sviluppi specie nell'Allegro non troppo iniziale e nel successivo Allegro appassionato, quasi un doppio primo movimento che abbisogna di una straordinaria resa virtuosistica per esprimere alcune caratteristiche insite nella complessa composizione, dove anche la componente pianistica esprime una timbrica quasi "orchestrale" per via delle armonizzazioni appariscenti tipiche del Brahms più maturo. La restituzione, di ottimo livello sia di Lupo che della compagine orchestrale è stata molto apprezzata dal pubblico presente in Sala Verdi. Applausi sostenuti e un ottimo il bis con un Intermezzo brahmsiano tra i più celebri.La prosecuzione della serata con la valida Sinfonia n.2 in re maggiore op.73 ha rivelato la precisa ed espressiva restituzione dell'orchestra e una visione del celebre lavoro brahmsiano da parte di Feltz molto valida anche nei giusti andamenti dei movimenti. Ottima esecuzione e ancora decisi meritati applausi. Come bis l'Orchestra tedesca ha concesso il celebre Pizzicato Polka di J. Strauss dai colori molto viennesi. Applausi ancora sostenuti meritati. 13 giugno 2024 Cesare Guzzardella Andrea Lucchi e Sofia Adinolfi nella Sala Esedra del Museo del Teatro alla Scala per "Musica con le ali" Capita raramente di ascoltare un concerto che abbia come protagonista la tromba. L'occasione è stata data da Musica con le Ali, l'associazione che diffonde la musica aiutando soprattutto le nuove generazioni di musicisti. L'impaginato presentato nel tardo pomeriggio di oggi prevedeva brani del Novecento e i due protagonisti, Andrea Lucchi, prima tromba dell'Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia e la ventisettenne pianista Sofia Adinolfi, hanno pensato ad un impaginato variegato con sette brani di sette musicisti differenti quali Rauber, Enescu, Bozza, Bernstein, Nestico, Carmichael ed Evans. Lavori uniti solamente dal periodo storico del secolo scorso ma ben organizzati nella struttura della scelta esecutiva e sconfinanti in generi anche diversi, con alcuni classici del jazz a conclusione. Le esecuzioni ben delineate dai due ottimi interpreti, hanno trovato nell'elegante Sala Esedra il luogo salottiero migliore per gustare ogni nota di ogni brano. L'incisività e la voluminosità della tromba di Lucchi ha incontrato le ottime armonizzazioni del corposo pianoforte - appartenuto a Liszt- utilizzato dalla brava Adinolfi. Dopo il corposo ed interessante brano iniziale in più parti di François Rabuer, il Concert "Humeurs", citiamo almeno gli ultimi due brani in programma , The Nearness of You di Hoagy Carmichael e il delizioso Waltz for Debby, entrambi arrangiati da A.G. Priolo ed eseguiti con espressività dal duo. Ottimi anche gli altri lavori con il Caprice op 47 di Eugéne Bozza, il Rondò for Lifey del grande Leonard Bernstein, una rarità di Sammy Nestico, il Portrait of a Trumpet e altro ancora. Celebre il bis concesso con un prezioso classico Oblivion di Astor Piazzola in un ottimo arrangiamento per tromba. Successo meritatissimo in una Sala Esedra al completo. 12 Giugno 2024 Cesare Guzzardella Due concerti domenicali al Conservatorio in Sala Puccini Due interessanti concerti avvenuti domenica in Conservatorio, nella più piccola Sala Puccini, ci hanno fatto conoscere musiche di musicisti mai ascoltati e/o brani di rara esecuzione. Il primo, in tarda mattinata, per la rassegna "Il filo di Arianna", a cura di Rosalba Montrucchio, era musica al femminile particolarmente bella, che prevedeva brani delle compositrici Louise Farrenc (1804-1875), Katherine Hoover (1937-2018), Claude Arrieu (1903-1990), Amy Beach (1867-1944) e Cécile Chaminade (1857-1944). Gli interpreti del primo brano, giovanissimi e di sicura prossima professionalità, erano Giada Guzzetti al flauto, Hilary Scuderi all'oboe, Lorenzo Filippa al clarinetto, Federica Faccini al fagotto, Luca Magnani al corno ed Emma Guercio al pianoforte per il Sestetto op.40 della Farrenc, una musica splendida con un'armonizzazione pianistica dell'eccellente Emma Guercio. L'originalissimo Trio per flauti della Hoover, musicista scomparsa nel 2018, ha rivelato ancora bravissimi interpreti: Daniele Cardone, Gabriel Hoek e Chiara Shqepa ai flauti. Ancora validi i brani successivi: prima dell'Arrieu il Trio in do con Vittoria Pedron all' oboe, Massimo Restifo Pecorella al clarinetto e Dario Romano al fagotto; quindi della più nota Amy Beach, dalla Pastorale in sol maggiore il Lento tranquillo con Marta D’Aleo al flauto, Paolo Miraglia oboe, Ivan Schiavon al clarinetto, Davide Ancona al fagotto e Luca Magnani al corno. A conclusione della mattinata un'altra affermata compositrice, la Chaminade con il suo Scarf dance op. 37 n. 3 era interpretato ancora con passione e scorrevolezza da Marta D’Aleo al flauto, Paolo Miraglia all' oboe, Alice Morali al clarinetto e Davide Ancona al fagotto. Esecuzioni tutte di valore espressivo. Nel tardo pomeriggio ancora un interessantissimo concerto sostenuto da quattro viole. La formazione denominata Forever Viola Quartet era composta da Maria Ronchini, Alessio Lisato , Martina Raschetti e la giovanissima Maria Cecilia Villani. Una perfetta sintonia dei colori caldi dello strumento con scambio delle parti efficace e scorrevolezza esemplare, ci ha permesso di ascoltare musiche di Gioachino Rossini (1792-1868), Sancho Engano (1922-1995), Frank Bridge (1879-1941) e York Bowen (1884-1961). Segnaliamo almeno di Frank Bridge il Lament per due viole, di York Bowen la Fantasia op. 41 per quattro viole e la bellissima trascrizione per i quattro identici archi di Engano di frangenti conosciuti e profondi tratti da opere di Puccini. Tutti bravissimi. Applausi calorosi meritatissimi per entrambi i concerti. 11 giugno 2024 Cesare Guzzardella La pianista Anna Vinnitskaya diretta da Stanislav Kochanovsky in un programma interamente russo Un programma interamente russo quello ascoltato alla replica domenicale in Auditorium. L'Orchestra Sinfonica di Milano diretta da Stanislav Kochanovsky, ha iniziato con il celebre Concerto per pianoforte e orchestra n.1 in Si bem. minore op.23 di Čaikovskij per concludere con la Spartacus Suite, di Aram Chačaturjan. Al pianoforte la russa Anna Vinnitskaya ha dato sfoggio delle sue alte qualità d'interprete. Vincitrice del Concorso Reine Elisabeth di Bruxelles nel 2007, la Vinnitskaya ha messo in evidenza sicurezza, precisione di dettaglio, discorsività esemplare, unita a una leggerezza di tocco nel delineare i tre movimenti del concerto a partire dal corposo Allegro non troppo e molto maestoso iniziale intrapreso con grinta ed espressività. Coadiuvata dall'ottima direzione del russo e dalla resa precisa di ogni sezione della Sinfonica di Milano, l'eccellente pianista ha trovato il giusto dosaggio coloristico anche nell'Andantino centrale e nell'esuberante Allegro con fuoco finale. Un' esecuzione complessiva di alta resa estetica. Applausi fragorosi e un pacato bis solistico con un ottimo breve brano di Čaikovskij dal sapore chopiniano. Dopo il breve intervallo, ottima l'esecuzione della Spartacus Suite di Chačarutjan, sei movimenti estroversi di grande melodicità di un compositore rimasto celebre per la più celebre Danza delle spade eseguita come bis al termine del programma ufficiale. Ottimo concerto.9 giugno 2024. Cesare Guzzardella Le pianiste Gaia Lorenzo e Sonia Candellone interpretano brani di compositrici del Novecento per " Il filo di Arianna " Un programma di particolare interesse quello ascoltato in Sala Puccini, nel Conservatorio milanese, per la rassegna "Il filo d'Arianna" . Due ottime pianiste quali Gaia Lorenzo e Sonia Candellone hanno suddiviso l'impaginato denominato "In search of lost time", interpretando brani di compositrici del Novecento o ancora viventi. Lili Boulanger (1893-1918), Franghiz Ali-Zadeh (1947) e Macarena Rosmanich (1981) per la Lorenzo, Sofija Gubajdulina (1931) e Galina Ustvol’skaja (1919-2006) per la Candellone, hanno rivelato qualità di scrittura eccellenti, significative delle capacità al femminile di comporre. La rivalutazione delle compositrici del passato e del presente - circa seimila - troppo spesso del tutto ignorate, si sta attuando da alcuni anni grazie ai numerosi validi interpreti, spesso donne, come le giovani musiciste che abbiamo ascoltato. Si porta dunque avanti il dovuto riconoscimento dell'importante contributo femminile alla musica e alle arti, che non sono certo prerogativa dell'uomo. Il Thème et variations in do minore di Lili Boulanger ha introdotto la serata, rivelando la modernità della compositrice francese, vissuta purtroppo troppo poco - morì a soli 24 anni - e mostrando le qualità espressive di Gaia Lorenzo, in un lavoro dominato dalle note gravi della tastiera per cupe armonizzazioni trasformate molto bene nelle pregnanti variazioni. Il richiamo alla musica di fine Ottocento di questo lavoro non esclude la modernità di un brano del 1913 assolutamente proiettato nel futuro. Il brano successivo di Franghiz Ali-Zadeh, musicista dell’Azerbaijan, denominato Music for piano, è una composizione degli anni '90 per pianoforte preparato in nove parti, con timbriche spesso ripetute ben delineate negli originali cromatismi. Di qualità l'interpretazione della Lorenzo. La giovane pianista ha concluso la sua esibizione con Kafka’s Ghost della cilena Rosmanich. Un brano per pianoforte preparato composto del nostro millennio, eseguito prevalentemente in piedi, sull'arpa delle corde del pianoforte, per una realizzazione dal sapore "concreto" dove l'effetto timbrico è in risalto rispetto a quello delle più riconoscibili note. Una performance efficace molto applaudità. I due brani eseguiti dalla Candellone hanno evidenziato le straordinarie qualità di questa giovane e preparatissima interprete. Prima la Sonata n. 5 in dieci movimenti (1986) della russa, di San Pietroburgo, Galina Ustvol’skaja, dove incisive sonorità sono costruite attorno ad una nota scandita con intensa volumetria. Ottime le capacità della Candellone di penetrare, con dinamiche molto chiare, ogni frangente della valida Sonata. Quindi della russa, di Cistopol', Sofija Gubajdulina, probabilmente la più importante compositrice vivente, una giovanile Chaconne (1962), uno splendido brano ispirato da Bach e da Ŝostakovič, reso con esaustiva chiarezza in ogni dettaglio dalla Candellone. Applausi meritatissimi alle due bravissime interpreti.8 giugno 2024 Cesare Guzzardella Musica in Archivio con giovani talenti per l' Appassionato viaggio musicale Presso l'Archivio di Stato di Milano continua la validissima iniziativa - a ingresso libero - che sa unire splendida musica e ricerca archivistica di lavori e spartiti, portando a suonare giovanissimi interpreti di eccellente qualità, alcuni già laureati e altri agli ultimi anni dei Conservatori: molti già vincitori di concorsi prestigiosi. I concerti, organizzati musicalmente da Silvia Leggio, docente di pianoforte al Conservatorio "G. Verdi" di Milano, trovano da alcuni anni il prezioso sostegno di Annalisa Rossi, Sovraintendente Archivistico e Bibliografico della Lombardia; ora si possono avvalere anche dell'appoggio del nuovo Direttore dell'Archivio di Stato, il giovane dott.Stefano Leardi, che ha commentato con grande favore l'iniziativa. Dopo i saluti dei due dirigenti, Silvia Leggio ha presentato i brani e gli interpreti. Un impaginato ben costruito, denominato "Appassionato", che ha voluto unire brani legati al mondo romantico, ricchi di passione, nella splendida cornice del doppio cortile colonnato dell'Archivio di via Senato. Il pianista russo Denis Malakhov, recentemente laureatosi con lode, ha introdotto il tardo pomeriggio musicale con il 1°movimento Allegro assai dalla celebre Sonata op. 57 "Appassionata" di L.v.Beethoven, musicista che in molti lavori anticipa il romanticismo musicale proprio del pieno Ottocento: ne ha dato un' esecuzione grintosa e convincente. Di particolare espressività il successivo brano, una cernita dagli Otto pezzi per clarinetto, viola e pianoforte di Max Bruch. L'Allegro con moto, le Melodie rumene e l'Allegro vivace hanno trovato Francesco Garibotti al clarinetto, Cecilia Villani alla viola e Daniele Di Teodoro al pianoforte, con un'esecuzione di luminosa discorsività. A seguire, due brani di Franz Liszt hanno visto impegnati prima Gabriele Castelli per il virtuosistico Studio trascendentale n.10 e poi Claudia Vento per la Ballata n.2 in sol minore. Interpretazioni entrambe valide, con lo Studio di esuberante esternazione e la Ballata con momenti di grande passionalità da parte della Vento. Il brano conclusivo di Clara Wieck, compositrice, celebre pianista e moglie di Robert Schumann, ha trovato un trio di fratelli da alcuni anni in auge: il Trio Kaufman ( Luca al violino, Chiara al violoncello e Valentina al pianoforte). Hanno eseguito i primi due movimenti, l'Allegro e lo Scherzo, del Trio op.17 in Sol minore per violino, violoncello e pianoforte. Un'interpretazione di notevole equilibrio ed intensa espressività. Applausi calorosi e meritatissimi dal pubblico a tutti gli ottimi interpreti; al termine, la gentile offerta di un brindisi a tutti gli intervenuti. Prossimo appuntamento il 21 giugno. 7 Giugno 2025 Cesare Guzzardella Il Suono Italiano della compagine strumentale "L'Appassionata" alle Serate Musicali del Conservatorio milanese Un impaginato tutto italiano quello offerto da Serate Musicali ieri sera in Conservatorio. Denominato "Suono italiano" il concerto ascoltato con la compagine d' Archi "L'Appassionata" con il Maestro concertatore Lorenzo Gugole, prevedeva brani di Respighi, Puccini, Rota e Battistoni e la presenza di un ottimo flautista quale Tommaso Benciolini. Gli archi sono stati i protagonisti indiscussi in tutti i lavori. Partendo da Ottorino Respighi (1879-1936) con la Suite per archi e flauto P.57, abbiamo ascoltato piacevoli melodie ottimamente orchestrate dal musicista bolognese, forse il più noto della sua generazione, con validi interventi del flauto di Benciolini. L'omaggio a Puccini (1858-1924) con il successivo Crisantemi, un'Elegia per Quartetto d'archi del 1890 trascritta per orchestra d'archi, ci ha portato in una profonda esternazione lirica rivelatrice di un compositore camerista di talento. Di spessore la resa del gruppo d'archi. Con Nino Rota (1911-1979) e il suo Concerto d'archi (1977) siamo passati ad un linguaggio neoclassico che ricorda certo Ŝostakoviç, ma con frangenti melodici italiani tipici del compositore milanese. Particolarmente efficace il Finale. Allegrissimo sostenuto con straordinaria grinta dalla compagine strumentale. L'ultimo brano in programma era una novità in Prima Esecuzione Assoluta del compositore veronese Andrea Battistoni (1987): un Concertino per flauto ed archi nei classici tre movimenti che recupera il mondo antico e certo folclore dal sapore irlandese, con un riferimento al rock progressivo degli anni '70 "alla Jethro Tull". Una scrittura tonale efficace, con melodie orecchiabili e un flauto discorsivo ed incisivo ancora definito dal bravissimo Benciolini. I folclorici e più ritmici movimenti laterali, due Allegri, hanno trovato sosta nel melodioso movimento centrale, un Moderato cantabile di grande sentimento. Un lavoro piacevole, che segna un ritorno al passato ma che, al contrario di molta musica contemporanea, avrà possibilità di numerose esecuzioni per la sua facile memorizzazione e per la chiarezza delle intenzioni. Timbriche ben controllate e ben miscelate dagli archi e parte solistica con finale incisivo e virtuosistico dell'Allegro molto ed energico ottimamente restituito dal flauto di Benciolini. Applausi sostenuti dal pubblico presente in Sala Verdi e ripetizione dell'Allegro finale dell'ottimo Concertino.4 giugno 2024 Cesare Guzzardella La straordinaria Martina Meola con la Youth Orchestra del Conservatorio diretta da Giulio Daniele Moles Il primo concerto del 2024 del ciclo “Il filo di Arianna" del Conservatorio milanese ha trovato sul palcoscenico di Sala Verdi la Youth Orchestra del Conservatorio diretta da Giulio Daniele Moles per tre brani, due certamente molto eseguiti. Il primo di Mel Bonis - Mélanie Hélène Bonis (1858-1937) - la Suite en forme de valse op. 35, era una rarità esecutiva scritta dalla compositrice francese, parigina di nascita, nel 1898 . Particolarmente melodica, in uno stile che ricorda certo Fauré e Čaikovskij, la Suite ha trovato una valida restituzione dai giovanissimi orchestrali. Il brano successivo, il Concerto n. 3 in do minore per pianoforte e orchestra op. 37 di Beethoven, ha visto un'eccellente protagonista nell' undicenne Martina Meola, pianista originaria della Moldavia, da alcuni anni in Italia, e vincitrice nella "Categoria H Giovani talenti" del Primo Premio 2023 del Conservatorio milanese. Del suo straordinario talento musicale avevamo parlato in articoli precedenti. Ancora ieri ha esternato qualità superlative che, riferite poi alla giovanissima età, destano infinito stupore. L'Orchestra ha introdotto abbastanza bene l'Allegro iniziale del celebre Terzo Concerto pianistico beethoveniano. Con l'ingresso solistico di Martina, il livello di resa espressiva si è subito alzato. La chiarezza espositiva , la sicurezza nel proporre i temi e le armonizzazioni non semplici di questo capolavoro, la resa straordinaria definita anche da una gestualità intensa, seria e grintosa nella facilità d'esternazione, hanno sbalordito il numerosissimo pubblico presente. Ottima la capacità riflessiva del pacato Largo centrale e bellissimo nella purezza del timbro e nella discorsività il Rondò-Allegro finale. Applausi fragorosi dal numerosissimo pubblico presente in Sala Verdi, e due eccellenti bis concessi da Martina: prima uno splendido Allegro da concerto di Granados e poi un delicato ed intenso Alkan con la Barcarola . Dopo il breve intervallo, un Coro di voci di giovanissimi - ottimamente preparati - diretto da Maria Grazia Lascala saliva sul palcoscenico, insieme all' Orchestra ed al direttore Moles, per il Requiem in re minore op. 48 di Gabriel Fauré (1845-1924). Orchestra e coro hanno rivelato indiscusse qualità interpretative, con giusti rapporti volumetrici, dinamiche sottili ed espressive. Ottime le due principali voci soliste con Lee Chaeyoung, soprano, e Filippo Fontana, baritono. Applausi fragorosi al termine a tutti i protagonisti, con ripetizione del movimento più celebre dello straordinario Requiem.2 giugno 2024 Cesare Guzzardella IL PIANISTA RUSSO ILYA MAXIMOV IN RECITAL PER LA SOCIETA’ DEL QUARTETTO DI VERCELLI Classe 1987, vincitore del Concorso Viotti 2015, di concerto in concerto, di concorso in concorso, il giovane pianista russo Ilya Maximov, già affermato all’estero, comincia a farsi conoscere anche in Italia. Una buona occasione per ascoltarlo è stata offerta dal suo recital di ieri sera, 31 maggio, per la Società del Quartetto di Vercelli, nella splendida cornice della Sala della Musica di Palazzo Borgogna, scrigno abbagliante dei capolavori del Rinascimento pittorico piemontese. Il programma, impaginato su tre ‘superclassici’ del pianoforte come Liszt, Chopin e Rachmaninov è stato il banco di prova per saggiare le qualità ‘tecniche’ e interpretative di Maximov. Dobbiamo francamente dichiarare che nel pezzo d’apertura, “Funérailles, il settimo dei dieci numeri che compongono le Harmonies poétiques e religieuses di F. Liszt, Maximov non ci ha convinti: qualche errore dovuto a imprecisione, piuttosto strano vista l’assoluta padronanza della tecnica pianistica dimostrata nel prosieguo del concerto, una certa opacità espressiva nell’interpretazione. Pensiamo che questi difetti siano imputabili ad un numero insufficiente di prove del pezzo. Tutt’altra musica, è proprio il caso di dire, per Chopin e Rachmaninov. Di Chopin Maximov ha eseguito pezzi tra i più celebri: la Berceuse op.57, due Valzer dell’op.64, il n.2 in Do diesis minore e il n.3 in La bemolle maggiore, il Rondò op.16 e infine la Polacca-Fantasia op.61 in La bemolle maggiore. Com’è lo Chopin di Maximov? Il carattere ‘brillante’, che accomuna gran parte di questi pezzi, oltre che al virtuosismo, è affidato dal pianista russo ad un colore particolarmente luminoso e trasparente del suono, che attinge talvolta (ad es. nel Rondò op.16) il più raffinato jeu perlé, ed è un suono sempre controllatissimo nella sua tornitura, persino con un tratto di eleganza. Le melodie dello Chopin di Maximov hanno il carattere di un canto piuttosto introspettivo, che punta molto su un aspetto caratteristico della composizione chopiniana, per sovrapposizione di fasce sonore distinte e timbricamente differenti, che permettono all’interprete un’intensificazione delle risorse espressive del fraseggio, come accade nel Valzer n.3 dell’op.64, ma anche nella Berceuse op. 57, dove questa linea espressiva approfondisce mirabilmente il progressivo dissolversi del tema che alla fine diventa un etereo pulviscolo sonoro. Questa chiave interpretativa giova particolarmente all’esecuzione di un pezzo come la Polacca-Fantasia, dove, com’è tipico dell’ultimo Chopin, tende a scomparire la melodia, sostituita da asciutti e quasi impalpabili gruppi tematici, fatti di poche note, appena accennati, ma che ritrova una sua coerenza e una più profonda unità proprio nel sotterraneo legame di quelle fasce sonore cui prima accennavamo. Insomma: uno Chopin ben suonato, con ottimi legati e un uso efficace del rubato, con momenti di efficace introspezione ed esplorato nei suoi ‘principi’ costruttivi più profondi: questo, ci è parso, lo Chopin di Maximov. Il recital di Maximov si è concluso con cinque Etudes-Tableux di S. Rachmaninov: dell’op.33 il n.2 in Do Maggiore e il n.7 in Sol minore; dell’op.39 il n. 2 in La minore, il n.4 in Si minore, il n.9 in Re maggiore. Se in questi ultimi due Maximov esibisce tutte il suo travolgente virtuosismo, con i più ardui passaggi in ottava e accordi di complessità e densità al limite del cluster, per lo più l’antologia da lui proposta vede la netta prevalenza di pezzi dominati dall’elemento melodico, sul quale Maximov lavora, secondo il suo stile interpretativo, sugli effetti sonori, sui variegati contrasti di luce e ombra su cui s’inarcano le linee melodiche tipiche di Rachmaninov, suonate con fine sensibilità: un Rachmaninov, quello di Maximov, in cui il gusto del dettaglio espressivo-coloristico prevale su quello della spettacolarità. Splendido, nel gioco sottile e limpido dei colori timbrici, l’Etude n.2 dell’op.39, alla luce del quale diremmo che Rachmaninov è l’autore di Maximov. Al netto dal mediocre Liszt d’apertura, ci è parso un ottimo pianista, questo Maximov, che ci auguriamo di riascoltare presto. L’applauso convinto e prolungato del pubblico del Borgogna ne ha segnato il meritatissimo successo ed è stato ripagato da due fuori programma: un pezzo di Rachmaninov e una sonata di Domenico Scarlatti, entrambi eseguiti superbamente, per delicatezza di suono e finezza nelle sfumature dinamiche e timbriche. 1 giugno 2024 Bruno Busca MAGGIO 2024 Riccardo Chailly e la Filarmonica della Scala nel primo Novecento di Schönberg, Webern e Berg Il bellissimo programma scelto da Riccardo Chailly ai confini della tonalità, ovvero in quel periodo nel quale Arnold Schönberg e i suoi due discepoli Anton Webern e Alban Berg decidevano di portare a termine le esperienze tonali con i loro lavori giovanili, prima di stravolgere la musica con la dodecafonia e l'atonalità più destrutturata, prevedeva la versione per orchestra d'archi di Verklärte Nacht (1943) una Notte trasfigurata dall'originale del 1899 per Sestetto d'archi del più anziano compositore; quindi la Passacaglia op.1 (1908) di Webern e a conclusione di Berg Tre frammenti dal Wozzeck op.7 (1917-21). Il raffinato brano iniziale,Verklärte Nacht, giocato su sonorità morbide, penetranti e visionarie, ha trovato nella direzione di Chailly l'interprete ideale. Il riferimento a Brahms e a certe influenze wagneriane risulta evidente e la capacità degli archi dell'eccellente Filamonica della Scala di plasmare il brano con minime differenze volumetriche, per raggiungere situazioni di grande espressività, ha portato ad un risultato complessivo esemplare, ben capito dal numeroso pubblico presente in teatro alla seconda replica ascoltata. D'intensa resa timbrica la Passacaglia di Webern, eseguita con l'Orchestra allargata ai fiati e alle percussioni. Un brano più vicino, rispetto a Notte trasfigurata, ai cambiamenti nel mondo tonale con quelle notevoli continue lente variazioni sul tema iniziale. Ottime tutte le sezioni orchestrali. Nell'ultimo lavoro in programma, estrapolato dal Wozzeck op.7, i tre frammenti scelti hanno anche messo in risalto l'eccellente timbro del soprano Marlis Petersen, una Marie in risalto in Soldaten, soldaten dal primo atto e nel tema dalla prima scena dell'atto terzo. Mentre il terzo frammento dal finale del terzo atto ha trovato un'interpretazione raffinatissima dei Filarmonici con la conclusiva apparizione del figlio di Marie e la presenza del Coro di voci bianche preparato dal grande Bruno Casoni. Applausi fragorosi dal pubblico per la splendida direzione, la resa della Filarmonica e dei protagonisti. 31 maggio 2024 Cesare Guzardella Presentata alla Steinway & Sons milanese la Stagione 2025 di Serate Musicali È stata presentata a Milano presso la Steinway & Sons di Largo Donegani 3 la Stagione 2025 di Serate Musicali. Fondata nel 1971, la storica Associazione culturale per la divulgazione della Musica da Camera "Serate Musicali" celebra oltre 50 anni di eccellenza, vantando un Albo d’Oro di artisti e orchestre senza pari, almeno in Italia. Il Presidente è fondatore M.tro Hans Fazzari insieme al pianista e organizzatore musicale Emilio Aversano hanno illustrato la nuova Stagione dove accanto a storici interpreti, da decenni presenti alle Serate Musicali, come Elisso Virsaladze, presente il prossimo anno per ben due serate, Uto Ughi, Mikhail Pletnev, Steven Isserlis, Gidon Kremer, Roberto Cappello, Yevgeny Sudbin, Freddy Kempf, Julian Rachlin e ancora altri, verrà dato spazio a nuovi strumentisti o formazioni cameristiche e orchestrali. Tra i numerosi altri interpreti presenti citiamo almeno Cristian Sandrin, Florin Croitoru, il Quartetto di Venezia, Zatlomir Fung, Sandro Ivo Bartoli, Paolo Taballione o musicisti importanti già presenti in altre stagioni come Carlo Levi Minzi, Enrico Pompili, l'Orchestra Filarmonica di Bacau, il Quartetto Janacek e altri ancora. Fazzari, memoria storica delle Serate, ha poi raccontato la nascita della Società concertistica, partendo dai primi concerti presso la Società del Giardino di via San Paolo 10 e subito dopo di quelli di Sala Verdi con serate memorabili con i grandi protagonisti della migliore interpretazione musicale. Per maggiori dettagli si può consultare il sito www.seratemusicali.it30 maggio 2024 Cesare Guzzardella Carlo Guaitoli diretto da Mario Venzago per il Concerto in Sol di Maurice Ravel L'ottimo concerto ascoltato ieri sera in Sala Verdi, organizzato dalla Società dei Concerti, prevedeva due celebri brani quali il Concerto in Sol maggiore di Maurice Ravel e la Sinfonia n.9 in do maggiore D 944 "La Grande" di Franz Schubert, due lavori molto contrastanti resi molto bene dalla Stuttgarter Philharmoniker diretta dal direttore svizzero Mario Venzago. Nel noto Concerto in Sol maggiore di Ravel, il musicista francese trovò un' evidente influenza legata alle modalità jazzistiche statunitensi e alla musica di George Gershwin. Quell'eleganza stilistica classica che nasce dell'integrazione della musica afro-americana col mondo occidentale, tipico di Gershwin, lo ritroviamo in questo breve capolavoro di circa 25 minuti. Tre movimenti, un Allegramente, un Adagio assai e un Presto, dove il movimento centrale, un tema di poche note molto caratterizzante dell'influenza blues, spezza i due ritmici movimenti laterali in modo significativo. L' importante parte pianistica ha trovato come solista al pianoforte Carlo Guaitoli, musicista a 360°, con una formazione classica di primissimo livello, ma legato anche al mondo del jazz e della canzone. La sua notorietà è certamente anche dovuta alla collaborazione quasi trentennale con Franco Battiato, musicista, cantautore ed innovatore , scomparso da pochi anni, per il quale Guaitoli ha curato decine d'orchestrazioni e con il quale il pianista di Carpi ha intessuto un importate rapporto di frequentazione musicale. La centralità pianistica nel concerto di Ravel, ha fatto emergere le qualità interpretative di Guaitoli, giocate su una chiarezza espositiva di primo livello, un senso ritmico preciso ben integrato con la non facile parte orchestrale sostenuta con efficacia dai bravissimi della Stuttgarter Philharmoniker e mediati con precisione dall'ottima direzione di Vanzago. Espressive le note solo pianistiche che delineano l'inizio dell'Adagio centrale un movimento ricco di riferimenti jazz, con dissonanze caratterizzanti di quel mondo statunitense molto amato da Ravel. Interpretazione complessiva di alto livello. Di qualità anche il bis solistico concesso da Guaitoli con un' improvvisazione sui principali temi dalla celebre Porgy and Bess di Gershwin -tra cui l'arcinota Summertime- resi benissimo per sintesi espressiva "alla Jarret t", a dimostrazione della creatività di questo eccellente interprete-compositore. Applausi fragorosi. Dopo il breve intervallo, la nota Sinfonia n.9 "La Grande" di Schubert ha trovato una precisa direzione di Venzago per una discorsività esemplare del capolavoro del viennese. Quattro movimenti con un ampio Andante. Allegro ma non troppo iniziale che domina per notorietà dei temi l'intera Sinfonia. Ottime tutte le sezioni orchestrali. Di grande impatto il bis concesso con un noto valzer del viennese Johann Strauss nella divertita direzione del simpaticissimo Venzago. Ancora fragorosi applausi.30 maggio 2024 Cesare Guzzardella CONCERTO DELL’ORCHESTRA FILARMONICA TOSCANINI E DEL MAESTRO ALESSANDRO BONATO AL TEATRO COCCIA DI NOVARA Il palcoscenico del Teatro Coccia di Novara ha ospitato ieri sera 29 maggio un concerto dell’Orchestra Filarmonica Toscanini. Nata a Parma nel 2002 dalla rifondazione dell’Orchestra dell’Emilia Romagna A. Toscanini, è impegnata da più di vent’anni in una intensa attività sinfonica e lirica, sotto la guida di alcuni dei più celebri direttori d’oggi, che le ha guadagnato un prestigio ben più ampio dei confini della sua regione. Ieri sera la Toscanini era diretta dal giovane Alessandro Bonato, classe 1995, dal 2021, a soli venticinque anni, direttore principale dell’Orchestra Filarmonica Marchigiana, salendo inoltre su podi prestigiosi in Italia e in Europa. Per lo slancio e le energie di un giovane direttore in piena ascesa nulla di meglio che iniziare il concerto con un pezzo spettacolare e trascinante come l’Ouverture beethoveniana del Coriolano, op.62, in do minore. Tempi ben serrati, ma senza esagerare, slancio molto efficace nelle progressive ripetizioni iniziali del materiale musicale, molta attenzione ai chiaroscuri dinamici e soprattutto sapiente valorizzazione emozionale del contrasto tra i due splendidi temi, quello tutto eroismo e vibrante energia che scolpisce l’eroe romano e l’immortale melodia che tratteggia il mondo degli affetti famigliari e in particolare di Volumnia. Un bel Coriolano, questo diretto da Bonato, con una acuta sensibilità per una sonorità chiaroscurata dal gioco delle dinamiche e per il dettaglio timbrico in funzione marcatamente espressiva. Guidata dalla bacchetta del giovane Maestro veronese, la Toscanini mette in mostra un bel suono, omogeneo, brillante e intenso in tutti i suoi reparti, con un’ottima sezione fiati, sia nei legni, sia negli ottoni. In tutt’altra atmosfera musicale è immerso l’ascoltatore con il pezzo successivo, omaggio all’anno pucciniano: il Capriccio sinfonico in fa maggiore SC 55, saggio d’esame finale presso il Conservatorio Verdi di Milano di un venticinquenne Puccini, che lo impose all’attenzione della più autorevole critica musicale del tempo. La perfetta intesa tra Direttore e orchestra dona al pubblico un pezzo di musica di grande effetto: se nell’Introduzione, un Andante Moderato, la bacchetta di Bonato appoggia sull’energia di un ritmo ben calibrato un’ ampia linea melodica, già tipicamente pucciniana, in cui gli archi e i legni danno voce ad un’espressività morbida e velatamente malinconica, anch’essa preannuncio del Puccini ‘maggiore’, nel successivo ‘Allegro vivace’, che sviluppa il tema che tredici anni dopo sarebbe diventato il grande tema d’apertura della Boheme, Bonato e la Toscanini danno vita ad un melodismo tutto giocato su un finissimo gioco di timbri, colori e dinamiche di alta scuola interpretativa, che culmina, nella sua curva emozionale, nel meraviglioso finale dalla sonorità dolcemente sfumata sugli accordi delicatissimi dell’arpa e sui remoti rintocchi del timpano. Davvero ogni sezione dell’orchestra ha dato il meglio di sé, ma ci piace qui segnalare in particolare i violoncelli e i fagotti nell’attacco e nella ripresa del tema della Boheme con un fragoroso applauso e che ha fatto nascere il desiderio di ascoltare ancora Bonato e la Toscanini, possibilmente di nuovo insieme. A questo punto ci si consenta di esprimere il nostro amareggiato e un po’ scandalizzato stupore per quanto accaduto con l’ultimo pezzo in programma. La brochure del programma della stagione del Coccia riportava come brano conclusivo del concerto di ieri sera la sinfonia di Schumann n. 2 in do maggiore op.61. I manifesti affissi all’esterno e nell’atrio del Teatro riportavano la stessa indicazione. Per l’occasione non sono stati distribuiti programmi di sala (!). Ora, la sinfonia effettivamente eseguita, senza nessuna comunicazione al pubblico, né da parte del Coccia né da parte dell’Orchestra Toscanini e del Maestro Bonato è risultata la n.3 in Mi bemolle maggiore op.97, nota come “La Renana”, naturalmente di Schumann. Un fatto che, nella nostra più che quarantennale frequentazione di sale da concerto non ha precedenti. Di chi la colpa di tanto pressapochismo e disprezzo per il pubblico? Dell’Orchestra Toscanini che non ha comunicato la variazione del programma alla direzione del Coccia? Della direzione del Coccia che s’è fatta una bella dormita? Non sappiamo e non vogliamo sapere: diciamo solo, citando Pirandello “Ma non è una cosa seria!” A confortarci di questo penoso episodio soccorre la bellissima interpretazione di Bonato e della Toscanini. Il talentuoso giovane direttore ha dato di questo capolavoro schumanniano un’interpretazione lucida e coerente che coglie come carattere fondamentale della sinfonia la sintesi tra romanticismo’gotico’ con i suoi momenti di contrappunto ‘fiammingo’ o il meraviglioso corale del quarto movimento e il limpido equilibrio classico, del tutto inusuale per Schumann,, con i numerosi momenti distesi e ‘descrittivi’, che ci riportano, alla lontana, al clima musicale della Pastorale di Beethoven, specie nel secondo dei cinque tempi. Bonato ha raggiunto i risultati migliori nella valorizzazione dei variegati e cangianti colori che imprimono un clima di serena festosità in particolare nei due tempi estremi e nel ritmo lento e maestoso, sincopato, su cui è fraseggiato il quarto tempo, dando un’espressività emozionante alla solenne linea ascendente e lavorando con finezza sulle varie linee contrappuntistiche che si vengono man mano sovrapponendo. In questa esecuzione la Toscanini ha mostrato la qualità eccellente di tutte le sue sezioni, a cominciare da quella dei fiati, chiamata nei legni a scolpire l’incantevole secondo tema del primo tempo o con gli ottoni e in particolare i tromboni, a dare ieratica solennità al quarto tempo. Questa intensa interpretazione ha strappato al pubblico un applauso scrosciante e prolungato: peccato che, temiamo, molti tra i presenti non sapessero cosa stessero applaudendo… 30 maggio 2024 Bruno Busca IL CONCERTO DELL’ORGANISTA MAURIZIO CROCI A NOVARA Ieri pomeriggio, 28/05, nella suggestiva chiesa barocca di s. Marco, a Novara, su iniziativa dal Conservatorio Cantelli, si è esibito in concerto uno dei più autorevoli e affermati organisti italiani d’oggi, il Maestro Maurizio Croci, attualmente organista titolare della chiesa del Collegio St. Michel a Friburgo e della Basilica della SS. Trinità a Berna, nonché docente d’organo e di clavicembalo presso la Musikhochschule di Friburgo. Croci suonava un organo realizzato nel 1956, ma il cui apparato fonico è stata recuperato in gran parte dal preesistente strumento ottocentesco, conservandone alcune canne e registri tra i più importanti. Con un programma impaginato su Dietrich Buxtehude (1637-1707), Heinrich Scheidemann (1596-1663) e J. S. Bach, Croci ha sfoggiato tutto il suo dominio tecnico dello strumento, con passaggi di altissimo virtuosismo, accompagnato e ispirato sempre da una intensa espressività del suono, magistralmente interpretando quella ‘musica degli affetti’ che è carattere essenziale della musica barocca, specie nel XVII secolo. Così è stato anzitutto per Bach nel Preludio e fuga BWV 566, in cui l’eccellenza tecnica di Croci si è realizzata nel sapiente dominio dei più complessi sviluppi contrappuntistici dei numerosi accordi sospesi del Preludio e nell’intensa espressività raggiunta nelle cadenze e nelle pedalate toccatistiche, con una ricchezza di sfumature raggiunta con un uso raffinato dei registri principali o di quelli di mutazione, con una cangiante ricchezza del tessuto timbrico. Una ricerca espressiva ancora più raffinata nella seconda sezione della fuga, le cui molte ripetizioni sono state rese incantevoli dal ricorso ai registri c.d. ‘oscillanti’ tra i più dolci e delicati dell’organo a canne. Un Bach un po’ diverso è quello che ci restituisce Croci nel Preludio e Fuga BWV 552, in cui l’uso dei registri vira sulla solennità e la spettacolarità, creando un suono compatto e grandioso, che accenna appena a sciogliersi in una più dolce fluidità melodica nell’alternarsi vario dei temi delle tre parti della fuga .Croci ha inframmezzato al Preludio e alla fuga il meraviglioso corale “O Mensch bewein dein’ Sunde gross” (= Uomo, piangi il tuo grande peccato) BWV 622, sul tema della Passione di Cristo: una scelta, questa di Croci, che crea un contrasto da lasciare l’ascoltatore senza fiato, tra il tono spettacolare dei due pezzi estremi e il tono, al contrario, di intima commozione, che l’uso dei registri oscillanti da parte dell’esecutore rende pura, profonda, commovente poesia. Se per Frescobaldi si deve “sonare con affetti cantabili” Croci ha pienamente raggiunto l’obiettivo. Dietrich Buxtehude presenta una musica organistica orientata verso una grandiosità architettonica che possiamo definire ‘scenografica’, ma in questa sa integrare momenti orientati verso il polo degli ‘affetti’, soprattutto dove a un polifonismo un po’ rigido subentrano un più sciolto stile concertante e un più libero andamento toccatistico. Pur senza raggiungere la coinvolgente intensità espressiva di un Bach, anche Buxtehude sa regalare all’ascoltatore, grazie alla bravura di Croci, momenti di musica gradevole e vicina al mondo dei sentimenti, ma tale bravura sa anche rendere emozionanti i momenti di più sublime solennità cara al compositore e organista di Lubecca, agendo con efficacia sui registri principali, in particolare sui bassi d’armonia, come avviene con i suoi corali ‘Te Deum Laudamus’ BUXWV 218 e “Nun bitten wir den heiligen Geist ( “Ora noi preghiamo lo Spirito Santo”) dalla severa e complessa tessitura contrappuntistica. Anche un autore ‘minore’, come l’amburghese Scheidemann con la sua Galliarda e Variatio ex D WV 102, dal vivace e gradevole ritmo di danza, molto vario nei colori, esce dall’interpretazione di Croci come creatore di pezzi di musica ancora oggi affascinanti per chi li ascolta. Un concerto molto coinvolgente, reso tale dalla bravura di un grande interprete. Grande e meritatissimo il successo, sottolineato dai prolungati applausi del pubblico. 29 maggio 2024. Bruno Busca Il ritorno di Cristiano Burato alle "Serate Musicali" del Conservatorio milanese per un "tutto Chopin" Era da alcuni anni che il pianista mantovano Cristiano Burato, classe 1968, non veniva in Sala Verdi. In passato numerosi concerti, tenuti sempre per Serate Musicali, ci hanno permesso di conoscere un interprete di qualità che risulta essere tra i più rappresentativi della sua generazione. La vittoria, nel lontano 1996, del prestigioso Premio Ciani (giuria presieduta da Riccardo Muti) ha permesso una carriera importante, incentrata soprattutto su repertori classici e avente in Chopin probabilmente il maggiore riferimento. Nell'ottobre del 2010 intraprese per Serate Musicali, e per l'occasione al Teatro Dal Verme, una "Maratona Chopin” nella quale del celebre compositore vennero eseguite tutte le Polacche, compreso l’Andante spianato e Grande Polacca brillante op.22 e quattro Notturni. Ieri sera in Conservatorio ancora un "tutto Chopin" ha ritrovato un pianista di sicura rilevanza estetica. Prima le Quattro Ballate e poi i Quattro Scherzi hanno evidenziato la valida personalizzazione interpretativa di Burato per un compositore la cui scrittura pianistica risulta essere unica e autentica in ogni frangente. Esecuzioni di grande equilibrio le sue, con ottime dilatazioni temporali nei frangenti più intimi hanno sottolineato uno Chopin raffinato nella scrittura intensamente pianistica. I numerosi contrasti presenti in questi celebri capolavori, giocati su un'alternanza tra riflessione nelle infinite invenzioni melodiche ed esternazioni concitate nel loro sviluppo, hanno trovato il giusto peso nelle mani di Burato. Un interprete che domina la tastiera elargendo modi introspettivi ricchi di espressività nei chiari dettagli rilevati, ma anche con evidente sintesi discorsiva nelle esternazioni delle maggiori volumetrie. Pubblico non numeroso in Sala Verdi ma estremamente soddisfatto al termine del programma ufficiale. Due i bis concessi: prima una notevole Danza del fuoco di Manuel De Falla ( ricordate quella celebre di Arthur Rubinstein?) eseguita con notevole scioltezza ricca di pregnanza virtuositico-espressiva; quindi ancora Chopin con il delizioso introspettivo Valzer in la minore op.34 n.2 interpretato magistralmente, rivelando perfettamente le linee melodiche dei vari registri in un equilibrio dinamico efficace. Concerto splendido! 28 maggio 2024 Cesare Guzzardella Due soprano per due concerti a Milano Due validi incontri musicali, uno in mattinata, l'altro nel tardo pomeriggio, hanno riempito la giornata di ottima musica. La rassegna Lieti Calici, appuntamento domenicale delle 11.30 agli Amici del Loggione del Teatro alla Scala, in via Silvio Pellico 6, ha trovato questa volta un duo particolare nei nomi di Margherita Tomasi e di Alberto Malazzi. Il primo è un soprano lirico di alto valore, il secondo è conosciuto per essere l'eccellente direttore del Coro del Teatro alla Scala. Malazzi è anche un ottimo pianista, che sa entrare nella musica in modo profondo, insieme alle timbriche perfette ed incisive della Tomasi. Il duo - coppia affiatata anche nella vita - è stato presentato dal presidente degli Amici del Loggione, Gino Vezzini, e dal musicologo Mario Marcarini, organizzatore della rassegna. I brani, introdotti dalla Tomasi, hanno evidenziato i legami tra musica e letteratura, come i primi sette, su testi di Paul Verlaine, di Reynaldo Hahn: le 7 Chansons grises (1887-1890), precisamente Chanson d'automne, Tous d'eux, L'allée est sans fin, En sourdine, L'heure exquise, Le Rossignol des Lilas: Paysage triste, La bonne chanson, rese con una timbrica precisa nell'elargizione del testo e nell'evidente espressività della voce. A seguire Oh! quand je dors di un Liszt giovane e "parigino" su testo di Victor Hugo e quindi Kennst du Das Land su testo di Goethe, sia il brano di Liszt che quello di Hugo Wolf, unitamente a Verborgenheit sempre di Wolf . Conclusione splendida con un'aria di Richard Wagner, interpretata dal duo con grande profondità espressiva. Applausi interminabili e brindisi conclusivo insieme agli interpreti. Nel pomeriggio, per Musica Maestri! al Conservatorio milanese, abbiamo ascoltato l'ottimo soprano Sabrina Macculi, accompagnata alla chitarra da Leopoldo Saracino, musicista di spessore e anche trascrittore di brani pensati originariamente per altri strumenti. L'impaginato di Sala Puccini ha esaltato le qualità del soprano e del chitarrista, che ha anche presentato i brani partendo da Domenico Puccini (1772-1815), nonno di Giacomo, e arrivando al grande operista toscano. Di Domenico Puccini sono state scelte Tre ariette a voce sola di soprano con accompagnamento di chitarra , poi di Dionisio Aguado ecco il suggestivo El fandango variado“ op. 16 per chitarra, di Fernando Sor ,Quattro Seguidillas per voce e chitarra e di Giovanni Paisiello/Fernando Sor da “La molinara“ la celeberrima "Nel cor più non mi sento", di Gioachino Rossini la Canzonetta spagnuola, e quindi brani di Mauro Giuliani, Mario Castelnuovo-Tedesco, Giacomo Orefice. Infine di Giacomo Puccini tre deliziose arie: “E l’uccellino“; “Sogno d’or“ e “Sole e amor, brani trascritti benissimo per chitarra e voce da Saracino ed eseguiti ancora con nitore espressivo da Sabina Macculi. Il bis di Puccini, dedicato da Saracino al padre presente in sala, era la celebre aria O mio bambino caro, da Gianni Schicchi, ancora ottimamente reso dalla Macculi, soprano con anche valide qualità recitative. Applausi fragorosi dal pubblico che gremiva Sala Puccini. 27 Maggio 2024 Cesare Guzzardella UNO STREPITOSO ETTORE PAGANO CHIUDE IL XXVI VIOTTI FESTIVAL DI VERCELLI Questa stagione n.26 del Viotti Festival non poteva trovare miglior conclusione della serata di ieri, sabato 25 maggio, che ha avuto per protagonista quello che è ormai, indiscutibilmente, il miglior violoncellista italiano della ‘generazione Z’ Ettore Pagano, il cui talento è confermato dal primo premio conseguito due anni fa al concorso Khaciaturjan, una sorta di van Cliburn del violoncello. Pagano si distingue per un suono omogeneo e pieno, di cristallina trasparenza negli acuti, di calda e seducente morbidezza. Il suo fraseggio è di estrema fluidità, elegante, mai meccanico, ma sempre assai espressivo, fino alla più intensa cantabilità, sorretto da una raffinata calibratura delle dinamiche, da un efficace vibrato, da arcate sempre limpide ed esatte, frutto di un dominio assoluto dello strumento, che gli consente anche di raggiungere le vette di un virtuosismo funambolico. In quest’anno viottiano non poteva naturalmente mancare un omaggio al grande violinista e compositore di Fontanetto Po: sicché il concerto prendeva inizio con un delizioso cammeo del suo catalogo, un Adagio e Allegro per violoncello e orchestra, pezzo veramente di rarissimo ascolto, benché si tratti di un’opera di gusto squisito. Rimonda e Pagano ne hanno dato un’interpretazione di notevole intensità espressiva, valorizzando, soprattutto con le scelte agogiche e dinamiche, la mesta cantabilità dell’Adagio, allontanandola dalla sensiblerie dello stile galante e proiettandola verso zone preromantiche e dando rilievo nell’Allegro in forma di Rondò a quelle zone di appassionata tensione che affiorano talvolta a contrastare il fresco ritmo quasi di marcia del refrain. Già in questo primo brano Pagano faceva sfoggio della sua caratura di solista maturo e coinvolgente sia nell’approfondimento espressivo, sia nel virtuosistico dominio dello strumento. Ma il pezzo che ha costituito un ideale banco di prova delle qualità interpretative di questo talentuoso ventunenne è stato il successivo Concerto per violoncello e orchestra in La min. op.129 di R. Schumann, che unisce momenti di incantevole cantabilità e ardente passionalità (i primi due tempi) a momenti di trascinante virtuosismo (il Finale). Nei primi due tempi il violoncello di Pagano ha dato prova di una sensibilità e finezza espressive davvero emozionanti, nella delicata cantabilità di entrambi i temi su cui s’impernia il primo tempo e nel lirismo da ‘notturno’ che pervade il tempo lento centrale, ove anche i passaggi virtuosistici in doppia corda intensificano questa suggestiva atmosfera. L’impennarsi della più accesa intensità del pathos schumanniano ha trovato nel violoncello di Pagano un’espressione di altissima temperatura emotiva, suggerita dalle sempre efficaci scelte agogiche e dinamiche. Nel tempo finale l’atmosfera marcatamente soggettiva dei primi due è come lacerata da un tema molto animato ritmicamente, spigoloso e vagamente marziale, ove il prodigioso virtuosismo di Pagano si mostra in una vasta gamma di vari colpi d’arco, tra i quali dominano le doppie corde, a intensificare drammaticamente il volume del suono. L’intesa, sempre inappuntabile, tra solista e orchestra, la Camerata Ducale diretta da Guido Rimonda, è naturalmente stata un fattore indispensabile nella piena riuscita del concerto: lo stacco dei tempi, il gioco sempre finissimo delle dinamiche e dei timbri (davvero emozionante il pizzicato di violini e viole e il controcanto dei violoncelli che accompagna il violoncello solista nell’esposizione del primo tema del ‘notturno’ centrale) hanno costituito un riferimento fondamentale per il solista. Una magnifica interpretazione, cui il pubblico del Teatro Civico ha reso omaggio con un lungo, entusiastico applauso, premiato da Pagano con ben tre fuori programma: un pezzo di Sollima, una trascrizione per violoncello solista e i quattro violoncelli dell’orchestra (tra le sezioni migliori della Camerata Ducale) di un brano di R. Wagner e l’ultimo tempo di una sonata per due violoncelli di Jean Baptiste Barriére (1707/1747), tutti e tre eseguiti splendidamente, con un travolgente virtuosismo il primo e il terzo. Ma un vivo apprezzamento va anche al primo violoncello della Camerata Ducale, Giorgio Lucchini, che formava con Pagano il duo del pezzo di Barriére Un anno ‘solenne’ come questo per la Camerata Ducale e il ViottiFestival non poteva che concludersi con un monumento del sinfonismo classico, quale la Sinfonia n.41 in Do maggiore op.551 di Mozart, nota come Juppiter, proprio per la sua maestosità monumentale. Esemplare l’interpretazione di Guido Rimonda e della Camerata Ducale, contraddistinta da una luminosa sonorità e da una elaborazione del materiale tematico di nitida trasparenza, dalla raffinatezza con cui è dato risalto alla ricca tessitura armonica, specie nei passaggi modulanti delle transizioni. Ovviamente il culmine di questa, come di ogni interpretazione di questo capolavoro assoluto della storia della musica, è il gran Finale, ove la bacchetta di Rimonda e la maturità esecutiva della Camerata Ducale illuminano il denso materiale contrappuntistico di una luce che ne porta in primo piano il gioco vario degli inserti ‘fugati’ in tutte le sezioni del brano, sino al grandioso canone a cinque voci della Coda. Una lettura esemplare di un pezzo capitale, in cui lo stile ‘dotto’ si stempera, nella sua austera bellezza in un tono di garbata eleganza, caratteristico di Rimonda, che richiama alla lontana un’ultima eco dello stile galante settecentesco. Bellissima interpretazione, che chiude trionfalmente una stagione impossibile da dimenticare. 26 maggio 2024 Bruno Busca I Percussionisti di Strasburgo alla Scala per Milano Musica Les Percussions de Strasbourg sono giunti al Teatro alla Scala per interpretare due lavori di Iannis Xenakis (1922-2001): Pléiades (1978-79) e Persephassa (1969), entrambi per sei percussionisti. Ospiti del Festival Milano Musica, gli eccellenti strumentisti hanno dato prova di sincronia virtuosistica nel suddividere le complesse parti percussive in ritmiche regolari e soprattutto irregolari, dove differenze anche millimetriche del tempo vengono colte con un'incredibile perfezione di lettura. Le due performance, dove anche la componente scenografica ha un significato, prevedevano due disposizioni differenti in teatro. In Pléiades i sei Percussionisti, con una grande quantità di strumenti - tamburi, xilofoni, vibrafoni - erano in cerchio sul palcoscenico, e spesso scambiavano le parti. Momenti più delicati nell'uso di vibrafoni, marimba e xilofoni venivano alternati, nelle quattro sezioni del corposo brano, ad altri di fragorosa esternazione. In Persephassa, una diversa distribuzione degli strumentisti, che occupavano tutta la sala - sul palcoscenico , sul palco reale e lateralmente in platea, in modo simmetrico - ha consentito una performance in cui il concetto di spazialità sonora veniva invocato anche con momenti di pacatezza dal sapore orientale. Un programma certamente non semplice, ma ben apprezzato dal numeroso pubblico di appassionati, alcuni molto giovani. I sei Percussionisti, Alexandre Esperet, Minh-T ām Nguyen, Francisco Papirer, Thibaut Weber, Hsin-Hsaun Wu e Yi-Ping Yang, hanno certamente rivelato doti ritmiche stupefacenti nel definire i due lavori, frutto di profonde ricerche sonore del celebre compositore greco, pure ingegnere ed informatico. Applausi calorosi.25 maggio 2024 Cesare Guzzardella Lise de la Salle ai Pomeriggi Musicali L'anteprima del mattino del Dal Verme prevedeva due brani particolarmente noti quali il Concerto per pianoforte e orchestra in La minore Op.16 di Edvard Grieg e la Sinfonia n.3 in mi bem.maggiore op.97 "Renana"di Robert Schumanm. Sul podio dell'Orchestra I Pomeriggi Musicali , James Feddeck era affiancato nel primo lavoro da una pianista di fama internazionale quale Lise de la Salle. Francese, classe 1988, con studi parigini e vincitrice di numerosi concorsi internazionali, ha rivelato di possedere ottime qualità interpretative in un brano di splendida costruzione formale strutturato nei classici tre movimenti. La sicurezza, mediata da una gestualità classica perfetta nel proporre il lavoro di tardo Ottocento, intriso ancora di un romanticismo evidente, ha sottolineato il lavoro di un musicista ancora 25enne in un brano ricco di virtuosismo e con melodie che rimangono facilmente in memoria. L'interprete, coadiuvata da un'ottima direzione di Feddeck, nella valida restituzione orchestrale ha centrato il segno per espressività, e non sono certo le imprecisioni iniziali pianistiche del terzo movimento Allegro moderato molto e marcato ( era anche l'anteprima) , a inficiare un'interpretazione di eccellente qualità complessiva nella parte pianistica, dove Lise de la Salle ha mostrato un'energia particolarmente efficace nell'imprimere un suono robusto, molto espressivo e ricco di dosaggi dinamici. Applausi meritatissimi! Dopo il breve intervallo, la celebre Terza Sinfonia "Renana" di Schumann ha trovato una buona restituzione musicale, specie nei movimenti laterali dei cinque che la compongono. Questa sera alle ore 20.00 la prima ufficiale e sabato alle ore 17.00 la replica. Da non perdere. 23 maggio 2024 Cesare Guzzardella Il Quartetto Adorno per La Società dei Concerti nel "Quartetto Razumovsky" di Beethoven Un programma tutto beethoveniano è stato proposto dal Quartetto Adorno, compagine cameristica da alcuni anni affermata internazionalmente per le indiscusse qualità interpretative e formata da Edoardo Zosi al primo violino, Liù Pelliciari al secondo violino, Benedetta Bucci alla viola e Francesco Stefanelli al violoncello, quest'ultimo in sostituzione di Stefano Cerrato. Da oltre il 2017, anno in cui ottenne un importante premio al Concorso Internazionale dedicato a Paolo Borciani, il Quartetto Adorno è impegnato in repertori sia classici che contemporanei. I tre quartetti Razumovsky rappresentano un momento centrale della produzione del grande tedesco in questo genere musicale. Il Quartetto n. 7 in fa magg. op. 59 n.1, quello n. 8 in mi minore op. 59 n. 2 e il Quartetto n. 9 in do maggore op. 59 n.3 sono stati composti tra il 1805 e il 1806 su commissione del Conte Razumovsky e sono un esempio di eccellente scrittura nella forma consolidata di quel periodo espressa nei classici quattro movimenti. Le ottime interpretazioni ascoltate hanno ancora una volta rivelato la coesione dei quattro archi nell'esprimere in maniera compatta il complesso sviluppo della musica beethoveniana, dove l'incontro tra le quattro linee di scrittura avviene secondo una visione unitaria di timbriche e di realizzazioni formali. Il colore, spesso appena accennato, nei frangenti più delicati si oppone ad una più grintosa definizione nei movimenti più concitati dei finali, come nell'Allegro molto del Quartetto in do maggiore, ultimo della serie, dove la discorsività degli archi raggiunge arditezze virtuosistiche trascinanti ed esemplari. Splendide interpretazioni per tutti tre i brani. Ricordiamo che la formazione, per la Serie Zaffiro del concerto pomeridiano, aveva eseguito il terzo Quartetto dell'op.59 beethoveniano insieme al noto Quintetto in la minore op.14 di Camille Saint-Saëns dove la parte pianistica era sostenuta da Sandro De Palma. Una serata particolarmente valida quella ascoltata in Sala Verdi, molto applaudita e meritevole di un maggior numero di spettatori. 23 maggio 2024 Cesare Guzzardella Recital di Lisette Oropesa al Teatro alla Scala Ieri sera straordinario successo al Teatro alla Scala per il soprano statunitense Lisette Oropesa L'avevamo ascoltata insieme al tenore Benjamin Bernheim, sempre in Scala, tre settimane fa - il 29 aprile- in uno splendido concerto diretto da Marco Armiliato. Ieri l'abbiamo ancor più apprezzata in un recital tutto suo, accompagnata al pianoforte con discrezione e incisiva sottolineatura della vocalità dall'ottima Beatrice Benzi. Un concerto in due parti, dove la prima era incentrata soprattutto su composizioni italiane di Mercadante, di Bellini - con le deliziose Sei ariette per camera- e di Donizetti, ma con anche un breve intermezzo solo pianistico di Chopin ( una Variazione da Hexaméron) e un brano finale in stile italiano - Vedi quanto adoro ancora, ingrato- di Franz Schubert. La seconda parte, con netto cambio di registro vocale, trovava soprattutto compositori spagnoli come Rodrigo, De Falla, Sorozabál e Barbieri, con anche il cubano Joaquín Nin e un breve intermezzo pianistico di Granados. Un concerto per un soprano di indiscusse qualità, dove oltre alla impostata voce nel bel canto italiano dei primi brani, emergeva il particolare personalissimo timbro, restituito con tutta la passione espressiva nella strepitosa seconda parte spagnola. Lisette, nata nel 1983 a New Orleans ma di origine cubana, ha rivelato un carattere solare, legato alle sue origini, e vicinissimo alla nostra natura mediterranea. Ci ha regalato arie di rara esecuzione come i Quatros madrigales amatorios di Joaquin Rodrigo, la Montanara e la Ballata del Conte Sol di Joaquín Nin, Mio Dio come sono soli i morti! di Manuel De Falla, Nel paese delle favole di Pablo Sorozábal e la straordinaria Canzone della colomba di Francisco Asenjo Barbieri. Tutti lavori interpretati con calore ed intensa espressività dando rilievo anche alla componente attoriale. Nei bis un omaggio a Verdi e a Mozart tra applausi fragorosi: prima il graziosissimo Stornello di Verdi, poi le mozartiane Nozze di Figaro con Deh vieni, non tardare o gioia bella, concludendo con ancora Verdi dalla Traviata con Ah, fors'è lui che l'anima,...Follie!.. follie! Sempre libera degg'io. Applausi interminabili strameritati!! 20 maggio 2024 Cesare Guzzardella Il pianista 23enne Paolo Ehrenheim è stato protagonista di un eccellente concerto "en plein air" nel bel cortile del palazzo di Porta Vercellina 31, luogo del FAI, che ospita anche gli spazi della Fondazione Somaini. Ehrenheim, vincitore di importanti concorsi internazionali, dopo aver iniziato e approfondito lo studio del pianoforte con Lisa Vergani, si è perfezionato con la grande Elisso Virsaladze e attualmente è allievo di Luca Schieppati al Conservatorio milanese. Beethoven, Brahms, Schumann e Chopin sono stati affrontati con straordinaria leggerezza discorsiva dal giovane interprete, che ha anche introdotto i brani in programma inquadrandoli nel loro contesto storico-musicale. Il primo brano, più corposo, la Sonata op.101 di Beethoven, ha trovato un equilibrio inusuale nella leggerezza di tocco e nella restituzione chiara della diversificata Sonata del grande tedesco, ricca di temi e di contrasti. I tre brani successivi, dei tre grandi romantici, ad iniziare dalle brahmsiane Variazioni op.18b, Variazioni pianistiche dall'originale Sestetto d'archi, hanno rivelato l'attitudine dell'interprete per questo mondo musicale. Una selezione dai Bunte Blätter op. 9 di Schumann e per finire lo Scherzo op.39 di Chopin hanno trovato ancora una straordinaria capacità di dosaggio delle timbriche. Ottimo il bis scarlattiano. Applausi meritatissimi dal numeroso pubblico intervenuto. Al termine del concerto è stato possibile visitare alla Fondazione, che si affaccia sul cortile, la mostra "Francesco Somaini - alle origini del Sacro", con magnifiche opere del grande scultore originario di Lomazzo (1926-2005). La figlia Luisa le ha illustrate ad alcuni visitatori, mettendo in luce con competenza la straordinaria personalità del padre e la sua originale e modernissima concezione creativa di forma, materia ed energia. Una mattina davvero splendida, all'insegna dell'Arte! 18 maggio 2024 Cesare Guzzardella Per Milano Musica il concerto di Marco Momi con Michele Gamba e Mariangela Vacatello Milano Musica in collaborazione con l'Orchestra Sinfonica di Milano ha trovato ancora un'ottima serata, questa volta nell'Auditorium milanese, per un concerto riuscito tra il contemporaneo e il classico. Prima, in Prima Esecuzione Assoluta (seconda nella replica ascoltata) il Concerto per pianoforte e orchestra con elettronica "Kinderszenen"del perugino Marco Momi (1978), quindi la Sinfonia n.1 Op.38 "La Primavera" di Robert Schumann (1810- 1856). Momi, compositore affermato internazionalmente, ha voluto ispirarsi alle celebri Kinderszenen op.15 schumanniane, lavoro del 1838, per un brano complesso che ha in comune con l'opera dedicata ai più giovani del genio tedesco, probabilmente una sorta di reminiscenze del passato. Il complesso lavoro di Momi era affidato per la direzione orchestrale al milanese Michele Gamba, direttore che ama la musica più vicino a noi, come quella classica e antica. Al pianoforte una solista d'eccellenza come la napoletana Mariangela Vacatello ha avuto un ruolo privilegiato, non disgiunto dalla parte orchestrale e quella elettronica preparata da Serge Lemouton e diffusa in Sala dall'ingegnere del suono Jérémie Henrot, entrambi dell'Ircam francese. Il brano di Momi, di suggestiva penetrazione timbrica, utilizza il pianoforte in una rielaborazione sonora amplificata e nell'uso prevalentemente percussivo della tastiera. La Vacatello, pianista che ben conosciamo in repertori classici o del primo Novecento, ha rivelato notevoli qualità nell'uso più moderno dello strumento. La parte solistica, con situazioni timbriche variegate che coprivano ogni registro della tastiera, era integrata completamente nelle suggestioni timbriche orientate con maestria dalla direzione di Gamba. La componente evocativa legata anche agli effetti speciali, riferite ad immagini quasi filmiche, come lo sciacquio delle onde del mare, le voci dei bambini che sembrano correre sulla spiaggia, e altre situazioni che si richiamano alla musica concreta, esprime certamente una forte drammaticità piuttosto che un'atmosfera giocosa. La resa complessiva di tutti i partecipanti alla realizzazione, con l'eccellente direzione di Gamba e la precisione millimetrica della Vacatello ha portato ad un successo tangibile tra il numeroso pubblico presente. Dopo il breve intervallo, decisamente di qualità la Sinfonia n.1 " La primavera" di Schumann. Gamba ha trovato i giusti tempi e una gestualità sicura ed energica per una resa di qualità espressa dagli ottimi orchestrali della Sinfonica di Milano. 17 maggio 2024 Cesare Guzzardella Louis Lortie ai Pomeriggi Musicali per Mozart L'ottimo concerto, interamente mozartiano, ascoltato questa mattina al Teatro Dal Verme in anteprima, ha trovato un valente pianista quale Louis Lortie anche alla direzione dell'Orchestra de I Pomeriggi Musicali. In programma due assoluti capolavori quali il Concerto in Re minore per pianoforte e Orchestra K466 e quello in La maggiore K488, anticipati dal Rondò per Pianoforte e orchestra K.382. L'ottimo equilibrio tra il solismo pianistico e la parte orchestrale è stato utile per esaltare la componente pianistica di Lortie, un interprete affermato internazionalmente per le sue sensibili qualità, che nei tre lavori si è rivelato estremamente "poetico" nell'elargire i celebri temi mozartiani inseriti nei movimenti dei rispettivi concerti. La sua eccellente discorsività anticipata nel più raro Rondò K 382, leggera e ricca di sfumature, è emersa sia nei movimenti laterali dei concerti , Allegro e Allegro assai, che nelle note più isolate e centellinate delle parti centrali, rispettivamente una Romanza e un Adagio. Il Mozart di Lortie è certamente di alta qualità e merita di essere ascoltato nella prima ufficiale di questa sera, alle ore 20.00 o nella replica di sabato, alle ore 17.00. Da non perdere! 16 maggio 2024 Cesare Guzzardella
La "leggenda" Sokolov è tornata in Conservatorio per la "Società dei Concerti" È passato un anno dal concerto milanese del pianista russo Grigory Sokolov che nel maggio 2023 interpretava brani di Henry Purcell (1659,1695) e di W.A. Mozart (1756-1791) e i suoi classici sei bis. Ieri sera in Conservatorio, sempre per la rinomata organizzazione concertistica "Fondazione La Società dei Concerti", come avviene da decenni, è tornato per l'atteso concerto, questa volta più diversificato nelle classiche scelte d'impaginato. Prima un tutto Bach, poi, dopo l'intervallo, Chopin e Schumann. In una Sala Verdi gremita di pubblico il miracolo è di nuovo accaduto in termini di personalizzazione e di qualità interpretativa complessiva. Certamente i Vier Duette, BWV 802-805 e la Partita II in do min. BWV 826 di J.S. Bach, eseguiti senza soluzione di continuità nella prima parte della serata, hanno rivelato le capacità del grande interprete ad accostarsi al repertorio più lontano in modo impeccabile. Il suo Bach perfetto, senza una minima sbavatura e ricco di contrasti nei giusti equilibri, è incontestabile e prezioso. Anche se, per questo compositore, probabilmente il più grande di tutti, le possibilità interpretative sono pressoché infinite, e troviamo nella storia del brano decine di modi di affrontare le sue perfette architetture con maniere molto differenti, per rese sempre di grande valore. Comunque la chiarezza espositiva e la capacità di penetrare nelle sonorità da parte del grande pianisra russo non si discute. Le 4 Mazurche op. 30 e le 3 Mazurche op. 50 di Fryderic Chopin (1810-1849), eseguite dopo la pausa, ci hanno portato in un mondo sonoro completamente differente, avente in comune con Bach solo lo stile personale di Sokolov, che accomuna tutte le sue interpretazioni. Il suo Chopin profondo, chiaro, dettagliato non è certamente quello polacco, nobile e raffinato di alcuni interpreti privilegiati entrati nella storia, ma la chiarezza esplicativa delle sue Mazurche, con alcune di esse ancor più rilevate da un'agogica rallentata ricca di riflessione, hanno una perfezione interiore di evidente espressività. Di notevole spessore anche l'ultimo brano in programma, le celebri Waldszenen -"Scene della foresta” (1848-49)- , opera non giovanile di Robert Schumann (1810-1856). Ancora una volta ci troviamo di fronte a lavori non virtuosistici nelle difficoltà tecniche da affrontare, ma virtuosistico è il suo modo di sottolineare ogni elemento costruttivo dei nove brani che compongono la deliziosa Op. 82. Applausi fragorosi e interminabili da parte del pubblico e ancora una volta sei bis, concessi dal grande Maestro. Tutti esemplari nelle loro sintesi discosive: ad iniziare dal Preludio Op.11 n.4 di Scriabin; procedendo con due Chopin, la Mazurca op.63 n.3 e l'Etudè op.25 n.2, quindi l'amato Purcell con un'incredibile Chaconne; poi ancora Chopin con un'incisiva chiarissima Mazurca op. 68 n.3 E a conclusione un Bach-Busoni doc con lo splendido Corale-Preludio BWV 639 Ich ruf zu dir, Herr. Concerto, come sempre, da non dimenticare! 16 maggio 2024 Cesare Guzzardella Sudbin alle Serate Musicali del Conservatorio milanese Dal 2001 il pianista russo 44enne, di San Pietroburgo, Yevgeny Sudbin torna alle Serate Musicali di Sala Verdi in Conservatorio. Ha sempre impaginati diversificati, spesso all'insegna di brani virtuosistici. L'evidente estemporaneità del suo pianismo ci ha fatto ancora trovare un interprete che pone al centro di ogni lavoro modalità esecutive personali di grande impatto discorsivo. Ieri sera il programma prevedeva Liszt, Chopin, Debussy, Scriabin e Saint-Saens, una scelta improntata su esternazioni tecnico-virtuosistiche di alto livello, a cominciare dal brano introduttivo. Funérailles S.173 del grande ungherese, è tratto da "Armonie poetiche e religiose". È un lavoro che dalle prime armonie, nei registri più bassi e nel loro sviluppo, segnano di difficoltà trascendentali il percorso da espletare, risolto con bravura e personalizzazione dell'interprete. Di grande impatto espressivo anche la nota Ballata n.4 in fa minore, ultima della serie di Chopin, formata da due momenti riconoscibili, un Andante con moto ed un Accellerando che si concludono con una rapido finale, certamente di grande difficoltà esecutiva. Questo finale rivela, come in altre situazioni di altri lavori del polacco, una proiezione verso la modernità futura del linguaggio pianistico novecentesco. Sudbin, se trascuriamo qualche lieve inciampo riconoscibile, ha fornito un' interpretazione complessiva ricca di tensione emotiva e di bellezza melodica. Il Novecento è arrivato con il successivo Debussy- conclusivo della prima parte del concerto- con la celebre L'Ysle joyeuse L.109, lavoro del 1904. La ricerca coloristica del francese ha trovato anche qui un interprete idoneo a esaltare raffinatezze timbriche sottili e ricche di particolari, anch'esse proiettate nella futura modernità espressiva. Tra il 1903 e il 1904, anni contemporanei al brano del francese, il russo Aleksandr Scriabin, componeva la Sonata n.4 in fa diesis maggiore op.30, e nel 1913, dieci anni dopo, la sua ultima , la Sonata n.10 op.70. Due lavori che segnano la storia del pianismo moderno, con un'evoluzione stilistica all'insegna dell'uscita dai riferimenti di precisa ed individuabile tonalità. Scriabin, partendo da Chopin, ne ha stravolto lo stile per un mondo visionario, in progressiva tensione coloristica, dove il baricentro della tonalità di partenza viene spostato in continuazione. Le due sonate, eseguite con ottima resa espressiva, sono i lavori più moderni della serata. Un salto indietro nel periodo storico, il 1875, ma non nella tensione virtuosistica, si è avuto con l'ultimo brano del programma ufficiale. La Danse macrabe op.40, nata come lied per canto e pianoforte e poi trasformato dal compositore Camille Saint-Saëns in una splendida orchestrazione, ha trovato la celebre trascrizione lisztiana rimaneggiata dal grande virtuoso Vladimir Horowitz nella versione ascoltata. Un tripudio di bellezza, di difficoltà trascendentali esternate con equilibrio, facilità e maestria irraggiungibile da Sudbin. Applausi meritatissimi dal pubblico di Serate Musicali ed eccellente il bis concesso con un Rachmaninov doc del Preludio op.32 n.5 in sol maggiore reso con raffinata trasparenza nei suoi luminosi colori. Splendido concerto! 14 maggio 2024 Cesare Guzzardella CAVALLERIA RUSTICANA E PAGLIACCI AL TEATRO COCCIA DI NOVARA Se non ricordiamo male era più di una decina d’anni che il palcoscenico del Teatro Coccia di Novara non ospitava, nel tradizionale abbinamento, le due opere che, agli inizi dell’ultimo decennio dell’800, segnarono una svolta nella storia del teatro musicale italiano: “Cavalleria rusticana” di P. Mascagni e “Pagliacci” di R. Leoncavallo. Ieri pomeriggio, domenica 12/05, le due opere sono tornate al Coccia, in un nuovo allestimento, prodotto dal teatro novarese, per la terza e ultima replica (le due precedenti hanno avuto luogo il 10 e l’11/05). La regia dello spettacolo era affidata a Matteo Mazzoni, con la collaborazione alla sceneggiatura di Matteo Capobianco. Le note di regia vergate da Mazzoni dichiarano il carattere “tradizionale” della messa in scena, il “rispetto del contesto storico sociale di fondo di entrambe le vicende”, cioè di un mondo contadino, presente in modo più diretto nella Cavalleria, poco più che sfondo per i Pagliacci: un mondo che è realtà durissima di un lavoro spesso ridotto a disumana, abbrutente fatica su una terra che con la sua durezza è essa stessa simbolo impietoso di una condizione di vita. Queste premesse si traducono in un apparato scenografico che intreccia due componenti: una di robusto realismo, diciamo pure di ‘verismo’ che , anche attraverso i costumi curati da Roberta Fratini, stupendi nei loro vari colori, soprattutto nei Pagliacci, riporta alla memoria i mestieri del passato, contadini, minatori, pescatori, persino cordari ( e non importa se poi questa plebe abbrutita si mette a pregare nella Cavalleria con versi quali “Ei fulgente ha dischiuso l’avel); a questa prima si aggiunge una seconda componente registico-scenografica, più improntata a un carattere simbolistico, che ruota intorno all’elemento della terra, nella sua durezza, simbolo della durezza della vita dei personaggi. Da qui l’idea di ambientare entrambe le opere in un luogo che evoca oppressione, un estremo grado di alienazione e miseria, in cui questa umanità vive come sprofondata in tutta la sua atroce miseria; nella Cavalleria rusticana si tratta chiaramente di una cava sotterranea, di chiaro significato simbolico, dunque, della condizione dell’umanità protagonista della vicenda. Un ruolo decisivo ha il ricorso a video, la cui gestione è affidata al Visual Designer Luca Attilii e che collaborano non poco alla riuscita estetica della regia e della scenografia, ancora una volta tra i punti di forza di una rappresentazione d’opera al Coccia. Nella Cavalleria i video creano inizialmente, sopra la cava, uno spettacolare cielo stellato, sotto il quale cammina uno smarrito Turiddu, simbolo, ancora una volta, di un’umanità schiacciata sulla dura terra e lontana sideralmente da quel cielo. Successivamente, sopra la cava compare l’immagine di un bosco-giardino, che assume i colori di un paradiso terrestre nel quale s’incontrano e si baciano Turiddu e Lola (scena naturalmente assente dal libretto della Cavalleria rusticana), mentre contemporaneamente la squallida cava si trasforma in una verdeggiante valletta, da cui zampilla limpida acqua, immagine di un’impossibile felicità. Il Visual Designer fa anche miracoli, perché a un certo punto trasforma la cava in una chiesa, per la processione pasquale. Diversa è l’atmosfera creata dagli elementi scenografici per i Pagliacci. Mazzoni immagina la Montalto in Calabria in cui Leoncavallo ambienta la vicenda dell’opera come località marittima e dunque il mare ha qui un ruolo essenziale, come simbolo archetipico di una possibile libertà da una condizione di vita opprimente. La cava della Cavalleria rusticana diventa qui piuttosto un miserabile edificio, o complesso di edifici, destinato a trasformarsi in teatro, quando la compagnia dei comici dell’arte di Canio e Nedda darà la sua fatale recita. Immagini del mare vengono continuamente proiettate dai video, e dal mare su una onirica barca-teatro arrivano a Montalto i comici, i Pagliacci. Interessante l’idea di Mazzoni dell’arrivo dei Pagliacci su una barca-palcoscenico, come contatto ‘traumatico’ tra due mondi, quello degli attori girovaghi (cioè l’arte come immagine di una possibile diversa realtà) e quello dei pescatori, le cui abitudini tradizionali vengono sconvolte, con lo scatenarsi di fronte al loro sguardo attonito di violente emozioni dall’esito mortale. Illuminati dalle luci, come sempre affidate alla sapienza e alla sensibilità di Ivan Pastrovicchio, si muovono sul palcoscenico del Coccia non solo i singoli protagonisti, ma anche masse di coristi, figuranti etc. per un totale di quasi duecento persone. Merita applausi la perizia con cui Mazzoni ha fatto muovere questa folla sul palcoscenico, creando un continuo movimento, che, con i vivaci colori dei costumi ha davvero appagato pienamente l’occhio degli spettatori stipati al Coccia. Nel complesso una scelta registica e scenografica, che senza inventarsi strampalate ‘attualizzazioni’, non scade mai nel banale. Per quanto riguarda la parte musicale, ci sembra doveroso cominciare dal coro, che per l’occasione era la Schola Cantorum S. Alberto Magno, diretta dal Maestro Alberto Sala. Doveroso perché è noto il ruolo fondamentale che hanno i cori in entrambe le opere, soprattutto nei Pagliacci e perché la Schola Cantorum S. Alberto Magno ha dato una prova di assoluta qualità, confermando, una volta di più, di essere diventata un coro di alto livello, che ha svolto sia nella Cavalleria sia nei Pagliacci un ruolo non meramente decorativo, ma quasi di un personaggio, come nell’antica tragedia greca, contribuendo in misura decisiva all’atmosfera sentimentale e psicologica, dunque espressiva delle due vicende. Nei Pagliacci al coro adulto si è aggiunto il Coro di voci bianche del Teatro Coccia, diretto dal Maestro Paolo Beretta, anche in questo caso con ottimi risultati. L’orchestra era la Filarmonica Italiana diretta dal Maestro Fabrizio Maria Carminati. Abbiamo ascoltato una direzione precisa nello stacco dei tempi, che hanno consentito un rapporto di piena collaborazione tra buca e palcoscenico, nella calibratura agogica e dinamica e nella cura dei dettagli timbrici, il tutto finalizzato a sostenere al massimo il tipo di vocalità nuova, ampia, spianata, di espressività densa, propria di questa particolare stagione. Per quanto riguarda i cantanti, nell’opera di Mascagni (ma diremmo in generale) ha decisamente svettato su tutti/e il soprano Cristina Melis, una Santuzza da antologia. La Melis è il tipico esempio di ‘soprano sfogato’, cioè un soprano di ampia estensione dello strumento vocale, con registri gravi nella prima ottava di brunitura contraltile, un bel timbro vocale, una fluidità di passaggio tra i registri e un legato che le permettono di salire facilmente all’acuto, che, al netto di qualche durezza, la Melis possiede solido e intenso e tiene benissimo, grazie a ottimi fiati lunghi. Se a questo aggiungiamo mezze voci di squisita fattura abbiamo il ritratto di un soprano non solo nel pieno controllo ‘tecnico’ del suo strumento vocale, ma anche di una notevole forza espressiva, che nel duetto con Turiddu “Tu qui Santuzza?” (scena V) dà subito il meglio di sé. Nella parte di Turiddu, che doveva essere cantata dal tenore del cast principale, l’argentino Gustavo Porta, è invece subentrato il tenore del cast della rappresentazione di sabato, il cinese Zizhao Guo. Guo è un tenore scolpito con l’accetta: di timbro piuttosto anonimo nei registri gravi e centrali della tessitura, dal fraseggio espressivamente un po’ scialbo e incolore, ha il suo punto di forza nel volume e nella proiezione della voce, che sa esplodere in acuti roboanti. Trova un momento di efficace espressività nell’ultimo colloquio con la madre, prima del fatale duello. Mariangela Marini, nel ruolo di Lola, è un mezzosoprano di non grande proiezione vocale, di tessitura abbastanza morbida con qualcosa da perfezionare negli acuti, che le escono talvolta un po’ troppo strillati. Nel complesso ha sbrigato con dignità la sua parte. Brava la Mamma Lucia di Giorgia Gazzola, un buon contralto (ne esistono ancora!) di cui abbiamo apprezzato in particolare la sempre tesa ed efficace linea espressiva del canto. E un discreto baritono è Marcello Rosiello (Alfio), il cui tratto caratteristico è l’eleganza con cui calibra lo spessore sonoro del fraseggio, restituendone con finezza la sfumatura espressiva. Nei Pagliacci facciamo la conoscenza di Gustavo Porta, nella parte di Canio. Una lunga carriera alle spalle, anche in Teatri di grande prestigio, Porta è tenore di notevole presenza scenica, di voce piena e robusta, amante delle note ampie, in cui carica una forte tensione espressiva: Canio non può che essere un personaggio tagliato su misura per lui, e infatti Porta è, dopo La Melis, il cantante che ieri ha riscosso il più ampio consenso del pubblico. Il soprano Alessandra Adorno, cui toccava il ruolo di Nedda ha mostrato nella sua aria della scena II “Qual fiamma avea nel guardo” una voce chiara, capace anche di sfumature e colori, nelle ottave centrali vellutata; un po’ fragile negli acuti, sa comunque dare espressività duttile al suo canto, dallo sgomento di fronte alla brutalità di Canio, alla civetteria nella recitazione di Colombina. Rosiello, qui nella parte di Tonio, non ci ha convinto molto: il suo è stato un Tonio troppo poco truce e abietto, quale richiede il libretto. Hanno fatto il loro dovere il baritono Andrea Piazza (Silvio) e il tenore Enrico Maria Piazza nella parte di Peppe-Arlecchino. Lo spettacolo ha riscosso un grande successo con numerose chiamate da parte del pubblico per i cantanti, i cori, il Direttore (il regista era assente). Il Coccia si conferma buon ‘Teatro di tradizione’ capace di confezionare rappresentazioni d’Opera di assoluta dignità. ( Foto in alto Ufficio Stampa del Teatro Coccia) 13 maggio 2024 Bruno Busca Due incontri musicali oggi a Milano Due luoghi alternativi milanesi dove spesso avvengono incontri musicali importanti si trovano in via Silvio Pellico 6 (Amici del Loggione del Teatro alla Scala) e in via Fratelli Zoia 89 (Spazio Teatro 89). Il primo, centralissimo, di fianco alla Galleria Vittorio Emanuele; il secondo decentrato, verso Baggio. In entrambi la musica viene presentata, raccontata e introdotta da esperti del settore come Luca Schieppati, ideatore dell'intelligente rassegna cameristica di via Fratelli Zoia, e Mario Marcarini per gli Amici del Loggione, inventore dei "Lieti Calici" (incontri musicali seguiti da un brindisi, con ottimi vini e non solo). Due modi intelligenti di diffondere la musica migliore, dando spazio a validissimi giovani interpreti, che possono così rendere pubbliche le loro qualità. Questa mattina in via Pellico abbiamo ascoltato la pianista calabrese Ingrid Carbone, venuta più volte in questi anni per presentare i suoi Cd e per tenere brevi concerti, arricchiti anche da valide introduzioni ai brani da eseguire. Oggi ha tenuto un'interessante Lezione-Concerto sulla musica di Liszt, speficatamente sulle trascrizioni virtuosistiche del genio ungherese di alcuni lieder di Franz Schubert ("La giovane suora", "Da cantare sull'acqua", "Ave Maria"). Le rispettive costruzioni musicali, in funzione anche dei testi, sono state illustrate con grande competenza, prima delle valide interpretazioni, molto applaudite. Il bis, volutamente fuori tema, ma legato al concetto di virtuosismo lisztiano, è stato il celebre O Polichinelo del brasiliano Villa Lobos, eseguito ottimamente dalla Carbone, che ricordiamo essere anche docente universitaria di matematica, disciplina che rappresenta l'altra sua grande passione insieme alla musica. Nel pomeriggio si è invece svolto, nel piccolo ed elegante Spazio Teatro 89, l'ultimo concerto stagionale organizzato da Schieppati, pianista, docente, studioso e organizzatore musicale. I Solisti di Milano Classica - Elisa Scanziani al violino, Claudia Brancaccio alla viola e Fabio Mureddu al violoncello - per l'occasione uniti al pianoforte di Schieppati, si sono cimentati nel Quartetto per pianoforte e archi op. 60 di Brahms e nella Sinfonia n. 4 op. 60 di Beethoven. L'impaginato del concerto è stato scelto da Schieppati con la curiosa denominazione "Numeri, romanzi e trascrizioni". Il numero 60 associato alle due opere ha un collegamento con i suoi anni, compiuti da poco. Schieppati si è voluto regalare, condividendo il bellissimo "dono" con il pubblico, la musica del Quartetto per pianoforte ed archi di J.Brahms, uno dei più celebri, composti in età matura, e quella della Sinfonia n.4 di L.v. Beethoven, eseguita in una riuscita trascrizione del 1830 di Johann Nepomuk Hummel. Quest'ultimo, musicista tedesco purtroppo un po' dimenticato, era noto soprattutto per le sua capacità di trascrivere per ogni strumento, in formazioni cameristiche ridotte, brani pensati per ampie formazioni orchestrali. Il Quartetto di Brahms era ispirata al romanzo epistolare di Goethe "I dolori del giovane Werther" (1874): e si conclude con un insieme di note che richiamano il suono di uno sparo, come per rievocare il suicidio di Werther nel finale. L'ottima resa interpretativa del Quartetto brahmsiano è emersa dal valido equilibrio tra la componente pianistica e le decise note degli archi. Di qualità anche il pacato ed espressivo Andante, il terzo movimento. Il successivo lavoro, la trascrizione della beethoveniana Sinfonia n.4 in si bemolle maggiore, ci ha permesso di apprezzare la qualità trascrittiva di Hummel- anche se l'originale parte per flauto è stata sostituita dalla pregnante viola- e la resa musicale dei quattro interpreti, con ruolo però privilegiato del pianoforte. Un'esecuzione ottima, che valorizza il mondo cameristico capace anche di esternare sinfonie. Applausi meritatissimi e come bis una toccante Salut d'Amour di Edward Elgar dedicata a tutte le mamme nel giorno della loro festa. Splendida giornata musicale! 13 maggio 2024 Cesare Guzzardella UN ECCELLENTE TRIO GOLDBERG ALL’AUDITORIUM DEDALO DI NOVARA Tra le formazioni cameristiche giovanili create dalla Dedalo, una delle due Scuole di musica di Novara, il Trio Goldberg, nato nel 2018, è una delle più ‘stagionate’ e delle più apprezzate, da critica e pubblico, nei sei anni di attività concertistica qua e là per l’Italia, che lo hanno segnalato come uno degli ensemble emergenti. Il Goldberg, formato da Anna Molinari al violino, Lucia Molinari al violoncello (vanta una significativa esperienza con La Mahler Orchestra) e Riccardo Bisatti al pianoforte ha tenuto ieri sera, sabato 11/05, nell’Auditorium della Dedalo, il concerto conclusivo della stagione 2024, presentando un programma impaginato su quattro pezzi. Il brano iniziale era quel capolavoro che è il Trio di L. v. Beethoven op.70 n.1in Re maggiore (1808), noto come “Gli Spettri” per il clima visionario che pervade il movimento centrale. In effetti questo Largo assai ed espressivo è davvero il fulcro dell’intera composizione e il banco di prova degli interpreti. Il Goldberg dà qui un altissimo saggio della sua perfetta intesa d’assieme, della padronanza tecnica dell’organico strumentale e della raffinata sensibilità espressiva che lo caratterizzano. La straordinaria densità dell’intreccio armonico e timbrico che viene crescendo dall’ossessiva ripetizione dell’inciso iniziale, trova una coinvolgente interpretazione nella cura meticolosa dei dettagli da parte dei tre strumenti e in particolare dei due archi, davvero eccellenti, sostenuti dai tremoli e dagli accordi ribattuti di un pianoforte di potente suggestione. Il controllo attento e preciso delle dinamiche, che svariano dal ppp sino al fff e allo sforzando, è il presupposto per il ‘colore’ di forte impatto emotivo, livido, tenebroso, inquietante, che Anna e Lucia Molinari e Riccardo Bisatti riescono a realizzare nella loro interpretazione e che proietta le sue ombre anche sui due tempi estremi, in particolare l’ultimo, nel quali il Goldberg dà fondo ad una energia ‘demonica’ di potenza trascinante, senza perdere una nota. Dopo una simile interpretazione non si può che restare ammirati e tributare ai ‘ragazzi del Goldberg’ l’applauso delle grandi occasioni. Pezzo conclusivo della prima parte della serata, il Trio in Sol maggiore di un Debussy diciottenne (1880), che non è ancora Debussy, ma un ragazzo geniale che per comporre guarda un po’ indietro, alla grande stagione romantica e in particolare a Schumann (riconoscibilissimo nell’Allegro iniziale). Dal punto di vista esecutivo la caratteristica più appariscente di questo trio è la sua struttura intensamente dialogica, che mette alla prova, superata brillantemente, la coesione e l’intesa del Goldberg, che non sa cosa sia un’entrata anche leggermente fuori tempo. I momenti espressivamente più suggestivi sono stati lo Scherzo in seconda posizione, suonato con una sottile e perfettamente romantica forza evocativa, con i delicati pizzicati degli archi sopra accordi suonati dal pianoforte con leggerezza finissima, la limpida melodia del terzo tempo, l’Andante espressivo, in cui è decisivo il ruolo del violoncello nel dare il particolare tono e colore al discorso musicale, e infine il conclusivo Appassionato, in cui il Goldberg sa unire, in una linea espressiva di preziosa raffinatezza, slancio romantico e ed elegante leggerezza. Dopo un breve intervallo, il concerto si concludeva con un altro capolavoro, il Trio in Do min. op.66 di Mendelssohn (1845), in quattro movimenti. Questa è un’opera ricca di contrasti e di violenti chiaroscuri timbrici e dinamici, espressi al meglio dal Goldberg, fin dal cupo gruppo tematico che apre l’Allegro energico e con fuoco iniziale, ove a segnalarsi in particolare sono i bellissimi disegni ad arco del pianoforte in gran spolvero di Bisatti. Ma il culmine di questo capolavoro è negli ultimi due movimenti. Dello Scherzo, il Goldberg propone una interpretazione carica di suggestione, in cui il tono ‘demonico’ del primo tempo trascolora in una incantata leggerezza fiabesca, grazie alla cavata lieve e quasi frusciante con cui i due archi suonano a canone un moto perpetuo, accompagnato da un tocco altrettanto lieve e sommesso del pianoforte. E’, questa, la parte più virtuosistica del Trio di Mendelssohn, che impone difficili colpi d’arco su ritmi veloci ai due archi e veri tour de force di agilità al pianista, il tutto superato con superba bravura dai re talenti del Goldberg. Il Finale Allegro appassionato è poi la cartina di tornasole dell’eccellente duttilità espressiva di questo ensemble, capace di passare dall’incisiva energia del primo tema (ottimo il violoncello di Lucia Molinari) al cantabile in fff del secondo tema, all’intenso Corale che il pianoforte introduce presentandolo con una luminosa limpidezza di suono e un tocco meditativo e solenne Da questo gran bel concerto esce confermata, se mai ce ne fosse bisogno, la qualità del Trio Goldberg, la sua bravura nella tecnica strumentale, unita ad una ricerca espressiva di alto livello. L’applauso prolungato del folto pubblico presente nell’Auditorium ha confermato il pieno successo della serata, ribadito dal fuori programma, il terzo tempo, Duett, del Trio op.88 Phantasiestucke di Schumann: un delizioso tema melodico, rimbalzante a canone tra i due archi, su un tappeto di note staccate del pianoforte. Serata da ricordare. 12 maggio 2024 Bruno Busca IL SABATO DEL CONSERVATORIO DI NOVARA Il pubblico che, numeroso come d’abitudine, ieri pomeriggio, 11/05, affollava l’Auditorium Olivieri del Conservatorio Cantelli di Novara, per ascoltare il penultimo concerto della Stagione dei Concerti del sabato, si vedeva proposto, ancora una volta, un programma di notevole interesse, eseguito dai migliori virgulti del Conservatorio della città piemontese, in genere neodiplomati già collaudati da esperienze concertistiche e partecipazioni lusinghiere in vari concorsi nazionali. La prima parte del concerto era riservata ad un Trio di composizione non molto frequente, pianoforte, oboe e corno. Al pianoforte sedeva Valeria Aiazzi, ventiduenne diplomata al Cantelli, vincitrice più volte del Concorso per musica da Camera della Civica Scuola di musica C. Abbado di Milano, e docente all’Accademia musicale G. Mahler. All’oboe Caterina Nonne, giovane di buon talento, con esperienza già nutrita di concerti cameristici Infine la parte del corno era affidata a Jacopo Sacco, elemento di varie formazioni cameristiche tra cui l’Orchestra ex Novo, la cui attività concertistica deve macinare ritmi altissimi se, fondata nel 2014, nel 2018 già festeggiava i primi 100 concerti! Questo trio era chiamato a eseguire un pezzo di Carl Reinecke (1824-1910), pianista, compositore, didatta, da noi non molto frequentato nelle sale da concerto: del suo pur vasto catalogo, che conta quasi trecento numeri, di tutti i generi strumentali, gode da noi qualche notorietà la deliziosa Sonata per flauto e pianoforte “Undine”, il resto è dimenticato. E appunto dalle tenebre di questo oblio Aiazzi, Bobbio e Sacco hanno inteso trarre questo singolare trio op.188, composto nel 1888. Reinecke è il classico esempio di quella figura d’artista che si definisce ‘epigono’, senza che necessariamente tale termine abbia significato negativo. Formatosi nella Lipsia di Mendelssohn (di cui fu allievo) e Schumann, ebbe sempre in questi due campioni del Romanticismo i propri modelli di riferimento, indifferente a quanto avveniva nel mondo musicale intorno a lui anche all’epoca di Brahms, Mahler, R. Strauss, Debussy… In Reinecke a un’ispirazione ancora prettamente romantica si unisce un’eleganza tutta mendelssonhiana per l’invenzione melodica. Il Trio è diviso in quattro tempi, con lo Scherzo in seconda posizione. All’ascolto è apparso un delizioso morceau romantique, in cui il fitto dialogo fra i tre strumenti crea un insieme timbrico dalle tinte e dalle sfumature incantevoli. Merito anche, naturalmente, degli interpreti, che hanno, con consapevole scelta espressiva, orientato la propria esecuzione, con calibratissima intesa d’assieme, su una sonorità squisitamente romantica, conferendo uno sfumato colore elegiaco all’oboe, una risonanza tendente all’infinito al corno e affidando le parti più liriche al pianoforte, ora, come nel primo tempo, con un accompagnamento ondeggiante, talora sussurrato a mo’ di tremolo, ora con una più distesa melodia, come nell’Adagio in terza posizione il tempo più affascinante dell’intero pezzo. Il tutto sostenuto da un fraseggio che ha reso al meglio la chiarezza e l’apparente semplicità delle linee strumentali e la nitida eleganza dell’insieme. Davvero una bella esecuzione, sensibile e raffinata, di un pezzo ingiustamente ignorato. La seconda parte del concerto vedeva protagonista ancora un trio, ma in un assetto più consueto nella storia della musica da camera: pianoforte, clarinetto e violoncello, con tre promettenti neo diplomati, tutti e tre impegnati da alcuni anni in concerti e concorsi: Matteo Bocchetta al pianoforte, Francesca Bolognesi al clarinetto (entrambi formatisi al Cantelli) e Clara Ruberti, diplomata all’Accademia di Pinerolo, al violoncello. La composizione in programma, a differenza della precedente, era un pezzo famoso di uno dei più celebri musicisti di tutti i tempi: il Trio op.114 in La min. di J. Brahms (1891). Nel dialogo tra gli strumenti, gli interpreti hanno urato con sensibilità e finezza di fraseggio il particolare impasto timbrico di questo pezzo, ottenendo un perfetto equilibrio sonoro: l’espressività dolcemente crepuscolare, proprio ‘brahmsiana’, che Bolognesi ha realizzato col clarinetto, è stata adeguatamente sostenuta dal suono vellutato ed ‘elegiaco’ del violoncello di Ruberti e da quello delicatamente sfumato del pianoforte di Bocchetta. Ne è uscito un ottimo trio op.114, di intima cantabilità, che si colorava di assorta mestizia nell’Allegro iniziale o di più disteso lirismo nell’Andante, per farsi delicatamente cullante nello Scherzo e infine infondere una vena di inquieta capricciosità al Finale Allegro: un’interpretazione proposta da giovani in possesso di una ottima tecnica strumentale e di una maturità di stile encomiabili. Purtroppo non è stato esguito quello che, secondo il programma di sala, doveva essere il pezzo conclusivo del concerto, un Trio per pianoforte clarinetto, violoncello, “Metamorfosi”, di Alberto Magagni (1964), pianista e compositore (da segnalare al riguardo i suoi studi con Ligeti), attualmente docente al Conservatorio novarese. Il concerto ha riscosso comunque un buon successo, sottolineato dai lunghi applausi del pubblico. 12 maggio 2024 Bruno Busca Il Quartetto Werther ospite alla presentazione della Stagione concertistica 2024-2025 della "Società dei Concerti" Un Concerto Straordinario, quello del giovane Quartetto Werther, è stato anticipato dalla presentazione della prossima Stagione Concertistica della "Fondazione La Società dei Concerti". La Presidente Enrica Ciccarelli ha ben sottolineato la ricchezza di grandi interpreti che si avvicenderanno nelle tre serie di concerti previste, tra Serie Smeraldo e Serie Rubino alla sera, e Serie Zaffiro pomeridiana. Tra i nomi presenti, tutti importanti, segnaliamo almeno Alexandra Dovgan, Beatrice Rana, Rudolf Buchbinder, Olga Kern, Evgeny Kissin, Arcadi Volodos, Grigory Sokolov, Hélène Grimaud, Seong -Jon Cho, Francesco Libetta, Paul Lewis, Simon Zhu, Luca Geniusas, Eva Gevorgyan, Anna Tifu e ancora molti altri. Insomma una Stagione ricchissima che merita uno o più abbonamenti. Splendido il Concerto cameristico ascoltato. Il Quartetto Werther è formato da Misia Iannoni Bastianini al violino, Martina Santarone alla viola, Vladimir Bogdanovic al violoncello e Antonino Fiumara al pianoforte. Sono entrati nel panorama delle migliori formazioni cameristiche emergenti internazionali vincendo il XXXIX Premio "Abbiati, il Premio "Farulli" nel 2020 e molti altri ancora importanti premi. L'impaginato prevedeva due capolavori per Quartetto con pianoforte, prima quello in Mi bemolle maggiore op.47 di Robert Schumann, poi quello in Sol minore op.25 di Johannes Brahms. L'eccellente sinergia tra la componente pianistica e quella dei tre voluminosi e nitidi archi, ha generato interpretazioni di alto livello espressivo in entrambi i corposi lavori che segnano l'evoluzione straordinaria del romanticismo musicale. La componente armonica pianista, scorrevole, incalzante e precisa di Antonino Fiumara ha ben stabilizzato le accurate e scorrevoli note del violino, della viola e del violoncello, per un equilibrio timbrico di grande valore espressivo. La tensione discorsiva nel delineare le timbriche nei diversi movimenti ha portato ad un'interpretazione di eccellente resa espressiva in entrambi i noti lavori. Applausi fragorosi meritatissimi e come bis prima un breve brano folcloristico con ritmiche mediterranee niente meno che di Richard Strauss e poi l'Andante del Quartetto n.3 "Werther" di Johannes Brahms. Bravissimi!!! 11 maggio 2024 Cesare Guzzardella Presentata al Teatro Dal Verme l'80esima Stagione concertistica de I Pomeriggi Musicali Questa mattina si è svolta la conferenza stampa di presentazione della nuova Stagione de "I Pomeriggi Musicali". Una Stagione di concerti importanti denominata "80 anni suonati" che segna l'Ottantesimo anniversario di fondazione della storica Orchestra I Pomeriggi Musicali. Ottanta anni da quel lontano 1945 in cui, unitamente alla ricostruzione di Milano dai bombardamenti della guerra, si provvedeva a realizzare nuove istituzioni culturali che dessero avvio ad un nuovo periodo positivo della vita culturale milanese ed italiana. Il critico musicale e giornalista Angelo Foletto, nell' incontro iintrodotto con chiarezza da Floriana Tessitore, ha ben delineato la storia di questa importante Istituzione musicale milanese raccontando molto approfonditamente l'evoluzione dell'orchestra da quel lontano 1945. Il direttore generale e artistico Maurizio Salerno ha poi illustrato la splendida programmazione di concerti che attende l'80esima edizione e che avrà la presenza di musicisti importanti: dopo l'Inaugurazione del 10 e del 12 ottobre con il pianista Mikhail Pletnëv interprete del celebre Rach3, artisti del calibro di Mischa Maisky, Viktoria Mullova, Julian Rachlin, Alexander Lonquich, Louis Lortie, Filippo Gorini, Arsenii Moon, Giuseppe Gibboni, Donato Renzetti, Stefano Montanari e moltissimi altri ancora, si alterneranno per una stagione che si annuncia straordinaria. È previsto anche un Omaggio a Puccini il 5 ottobre con Le Villi in forma di concerto dirette da Diego Fasolis e un convegno organizzato dell’Associazione Nazionale Critici Musicali. 10 maggio 2024 C. G. Filippo Gorini al Festival Milano Musica Per i "Percorsi di musica oggi" del 33° Festival Milano Musica, che quest'anno è stato denominato "L'Ascolto inquieto", abbiamo assistito al Teatro alla Scala all'atteso recital del brianzolo Filippo Gorini. Il pianista 28enne da alcuni anni è tra i migliori esponenti di una scuola pianistica di ultima generazione che ha nella serietà di studio, nella straordinaria preparazione tecnica, e nell'avvicinamento alla musica del presente i frangenti di maggiore riscontro espressivo. L'impaginato di ieri sera, eseguito in un teatro colmo di appassionati di musica sia classica che contemporanea, era diviso in due distinti momenti, certamente diversi per modalità compositiva dei rispettivi periodi storici, lontani ben due secoli. La prima parte vedeva brani di un compositore contemporaneo importante come l'ungherese György Kurtàg (1926), autore quasi centenario, realizzatore di ogni genere musicale tra cui i noti brani pianistici composti tra il 1947 e il 2022 denominati Játékok. Di questi Gorini ne ha interpretato un'ampia selezione. Quindi una compositrice giapponese, Mihauru Ogura (1996) , della quale Gorini ha interpretato, in Prima Esecuzione italiana, il breve ed intenso Sillage de lignes (2022). In contrasto alla produzione contemporanea, ha poi eseguito, dopo il breve intervallo, la Sonata in si bemolle maggiore D 960 di Franz Schubert, ultimo capolavoro sonatistico del genio viennese. L'intensa partecipazione emotiva ed intellettuale del giovane interprete, che ricordiamo essersi perfezionato con pianisti quali Alfred Brendel, Mitsuko Uchida, Pavel Gililov e Maria Grazia Bellocchio, quest'ultima tra le massime esperte d'interpretazione contemporanea, ha generato esecuzioni di alta qualità. Nella quindicina di brani tratti da Játékok, molto diversificati e di straordinaria estemporaneità compositiva, avevano ruolo importante sia la timbrica che la componente gestuale. Gorini ha esternato una musica ricca di espressione attraverso una lucidissima riflessione sul materiale sonoro. L'ultimo brano eseguito della serie, il più recente Marta ligatúrája, era dal manoscritto in Prima esecuzione italiana e anch'esso eseguito a memoria. Il Sillage de lignes di Ogura- circa nove minuti di espressiva ricerca timbrica- ha permesso a Gorini un approccio anche virtuosistico delle difficili articolazioni digitali, per un' interpretazione che ci è apparsa di ottima resa espressiva. Decisamente valido il lavoro della compositrice, applauditissima in palcoscenico insieme all'interprete. Con Schubert si è giunti ad un compositore classico che si aggiunge a quelli più amati da Gorini, come Bach e Beethoven, dove certamente eccelle. La celebre Sonata schubertiana è stata eseguita dai massimi interpreti, tra i quali il suo maestro Brendel, in formidabili esecuzioni. In Gorini ha trovato un'esternazione coerente ed equilibrata. Di altissimo livello i tre bis concessi al pubblico al termine del programma ufficiale, tra i meritatissimi applausi. Prima un profondo Bach, poi un incisivo Brahms ed infine un poetico Schumann. Serata splendida. 10-05-24 Cesare Guzzardella Alessandro Bonato e Davide Cabassi ai Pomeriggi musicali del Dal Verme Un'anteprima di particolare qualità quella ascoltata questa mattina al Teatro Dal Verme. I Pomeriggi Musicali erano diretti dal giovane Alessandro Bonato per tre brani di sicura efficacia compositiva. Dai tempi di Holberg, suite di Edvard Grieg e la Suite dal Pulcinella di Igor Stravinskij, sono stati inframmezzati dal noto Concerto in Sol per pianoforte e orchestra di Maurice Ravel. Le qualità direttive di Bonata sono emerse certamente nelle due Suite, ma forse ancor più nel concerto raveliano, brano dove la componente orchestrale esige una originalissima organizzazione d'impasti strumentali che con i bravissimi de I Pomeriggi hanno raggiunto un ottimo livello di approfondimento. Nel Concerto certamente una delle due parti privilegiate, oltre l'orchestra, è quella pianistica. Davide Cabassi, pianista milanese da parecchi anni in carriera per le sue non indifferenti qualità interpretative, ha trovato il giusto dosaggio coloristico in questo capolavoro, orchestrato benissimo dal grande compositore francese, che trova nelle influenze jazz d'oltre oceano- Gershwin prima di tutti- i riferimenti più immediati. I movimenti più concitati laterali- un Allegrissimo e un Presto, avevano una parte centrale, un Adagio assai, esternato con riflessione nelle poche note della melodia e nelle elargizioni anche dissonanti di straordinario valore estetico, tutte ben definite dal tocco leggero ed efficace di Cabassi. Questa sera la Prima ufficiale alle ore 20.00 e sabato la replica alle 17.00. Non perdetelo! 9 maggio 2024 Cesare Guzzardella Straordinario successo di Arcadi Volodos in Conservatorio per la Società dei Concerti È passato poco più di un anno dal memorabile concerto tenuto in Conservatorio dal cinquantaduenne pianista russo Arcadi Volodos, era il febbraio del 2023. Ieri, sempre per la nota società concertistica milanese, Volodos ha bissato il successo di quel febbraio e ancora una volta ha rivelato di appartenere a quella ristretta categoria di grandi interpreti viventi che hanno peculiarità uniche e inconfondibili. Stiamo parlando di pochissimi fuoriclasse che rendono sbiaditi i colori dei numerosissimi ottimi pianisti presenti sulla scena concertistica mondiale. Schubert, Schumann e Liszt sono i compositori questa volta scelti per delineare timbriche di rara fattura estetica, dominate da una perfezione di dettaglio espressa con sicurezza e semplicità inaudita. La corposa Sonata in la minore op.42 D845, lavoro del 1825 del grande viennese, è formata da quattro movimenti dominati dai primi due di maggiore durata: un Moderato iniziale di rara ampiezza, e un disteso e pregnante Andante poco mosso; gli ultimi due, lo Scherzo e il Rondò conclusivo sono di più rapida esternazione. Il controllo assoluto di ogni elemento costituente lo sviluppo melodico-armonico della Sonata hanno portato ad una resa complessiva di esemplare livello, sostenuta dalla facilità di esprimere una gamma articolata di volumi sonori, dai pianissimo quasi impercettibili agli efficaci fortissimo. Dopo l'intervallo, le brevi diciotto danze musicali che compongono Davidsbündlertänze op.6 di Robert Schumann, hanno rivelato ogni sorta di raffinatezza espressiva. Le andature, spesso contrastanti, dei rispettivi movimenti che compongono il celebre lavoro venivano enunciati con grande capacità espressività delineando ogni minimo cambiamento temporale con un' articolazione digitale di raro controllo. Il brano conclusivo dell'impaginato ufficiale, la Rapsodia ungherese n.13 in la minore di Franz Liszt, ci ha portato nel versante più virtuosistico e appariscente della serata. Nel lavoro lisztiano, rivisitato nella trascrizione virtuosistica dell'interprete russo, la parte conclusiva, di trascendentale difficoltà, ha trovato una chiarezza assoluta ed ha strappato applausi interminabili dal numeroso pubblico presente in Sala Verdi. Quattro i bis concessi dal grande virtuoso: un celestiale Rachmaninov iniziale rielaborato da Volodos, il celebre Schubert del Momento musicale op.94 n.3, una virtuosistica Malaguena del compositore cubano Ernesto Lecuona ed infine, la Siciliana di Vivaldi-Bach-Volodos di inverosimile bellezza coloristica , terminata con una pausa di silenzio prima dell'ovazione conclusiva. Un concerto che non si potrà dimenticare.9 maggio 2024 Cesare Guzzardella "È iniziato da pochi giorni il Festival Musicale milanese "Primavera di Baggio" e alla seconda data di programmazione abbiamo assistito al concerto del pianista Luca Rasca interamente dedicato a Johannes Brahms (1833-1897). Tutti lavori giovanili quelli del grande amburghese, scelti ed interpretati dal quasi 52enne pianista torinese che ricordiamo essere vincitore di importanti concorsi internazionali. L'impaginato eseguito nella splendida storica Chiesa Vecchia di Baggio - capolavoro romanico completamente ricostruito alla fine dell'800- è stato presentato dal pianista Davide Cabassi, da molti anni organizzatore della nota rassegna musicale. Prevedeva prima le Quattro Ballate op.10 (1854) e poi la Sonata n.3 in fa minore op.5 (1853). Brahms già dai primi lavori rivela uno stile compositivo tanto personale quanto complesso nell'originale organizzazione architettonico-musicale che aggiunge ancora novità alle geniali innovazioni melodico-armoniche schumanniane Rasca, parzialmente favorito dall'acustica dell'ampio luogo sacro - anche se in alcuni frangenti il riverbero del grande spazio creava un'originale piacevole sorta di profondità timbrica- ha rivelato una straordinaria vicinanza allo stile compositivo di Brahms, elargendo interpretazioni analitiche, molto equilibrate nella distribuzione delle parti, ricche di armonie pregnanti nelle voluminose masse sonore. Un pianismo corposo e ricco di espressività il suo, che sa essere anche molto delicato nei momenti meno concitati. Complessivamente ha interpretato in modo eccellente sia le Quattro Ballate che la corposa Sonata n.3, brano di oltre trentacinque minuti, suddiviso nella singolare distribuzione in cinque movimenti. Applausi fragorosi dal numerosissimo pubblico intervenuto e un eccellente bis con un il celebre Intermezzo in la maggiore op.118 n.2. Prossimo concerto per venerdì 10 maggio alle 20.45 con "La Follia del Prete Rosso", musiche di Antonio Vivaldi. Da non perdere. 5 maggio 2024 Cesare Guzzardella UN PROGRAMMA STUZZICANTE PER I CONCERTI DEL SABATO AL CONSERVATORIO DI NOVARA Accade assai spesso che tra i principali motivi di attrazione dei concerti, che si tengono il sabato pomeriggio al Conservatorio G. Cantelli di Novara, siano i programmi, che propongono spesso autori e composizioni assai rari o addirittura sconosciuti, spesso ingiustamente. È stato il caso del concerto di ieri pomeriggio, sabato 4/05, che pure si era aperto con un pezzo celeberrimo, di autore altrettanto celebre, la versione per violoncello della Sonata in La maggiore per violino e pianoforte di Cesar Franck (1886). A eseguirla erano chiamati due giovani strumentisti, entrambi selezionati tra i migliori del Conservatorio novarese, già ‘rodati’ da attività concertistica e prove concorsuali: Elena Lombardo al violoncello, attualmente specializzanda presso l’Accademia di Musica di Pinerolo, con la prestigiosa insegnante Marianne Chen e Enrico Casagrande al pianoforte. La versione per violoncello del capolavoro di C. Franck sta conoscendo crescente fortuna nelle nostre sale da concerto e, avendola ascoltata ieri per la prima volta, l’abbiamo trovata assolutamente apprezzabile: il suono del violoncello dà risalto a certe pieghe di particolare morbidezza, e a velature crepuscolari, che, perfettamente coerenti con l’atmosfera spirituale del pezzo, possono sfuggire anche al miglior violino. Proprio per questo è da lodare l’interpretazione di Elena Lombardo: un suono morbido e caldo e sottilmente crepuscolare ha esaltato l’intensità lirica che pervade l’intera composizione., già a partire dal tema intonato ad un’ispirazione di berceuse, sognante e di ampia arcata melodica che apre il primo tempo e si ripeterà ciclicamente per tutti i tre tempi. Ma la bravura di questa giovane violoncellista spicca anche nel successivo allegro, in cui il perfetto dominio della tecnica strumentale e la potente energia di suono le consentono di esprimere con efficacia l’impeto drammatico del movimento, con una coinvolgente tensione espressiva, realizzata anche con una finissima calibratura dei chiaroscuri dinamici. Siamo dolenti invece di dover esprimere qualche riserva sull’interpretazione della parte pianistica: Casagrande non ci è sempre parso all’altezza dei compiti esecutivi cui era chiamato, con un suono di scialba espressività e talora anche impreciso: deve ancora maturare la capacità di scegliere il ‘suono’ giusto e un più sicuro dominio della tastiera. La seconda parte del concerto era dedicata al duo Flauto-Pianoforte: al flauto Alessandro Orlando, diplomato al Conservatorio di Novara, con importanti affermazioni in concorsi nazionali e al pianoforte il ventiseienne sassarese Luigi Camedda, attualmente specializzando al Cantelli. E’ precisamente in questa seconda parte che il programma proponeva autori e brani che non si possono dire di frequente esecuzione nelle nostre sale da concerto Il primo dei quattro pezzi previsti era di Edison Denisov, (1929-1996), compositore russo-sovietico del secondo Novecento, della generazione di una Gubajdullina, di uno Schnittke, di un Sil’vestrov. Non collegabile a precisi indirizzi musicali, anche se inizialmente interessato all’esperienza dodecafonica, è venuto maturando uno stile che si distingue per una sobria linearità melodica e di struttura armonica, di cui è testimonianza la bella Sonata per flauto e pianoforte del 1960. In un unico tempo, disegna una struttura ad arco, in cui l’elemento melodico, di limpida semplicità, enunciato all’inizio, si fa via via più fragile, per il continuo contrasto delle dinamiche, e il sussulto improvviso di una ritmica minacciosa, affidata nei suoi valori più intensi al pianoforte, che tende a spezzarlo, sino a travolgerlo, per poi nuovamente ricomporlo, ma come esile e in sordina, fino a spegnersi in un inquietante silenzio. Bravi, davvero, Orlando e Camedda, che hanno sempre trovato il suono giusto per dare piena espressione a questo bellissimo pezzo, con un accurato controllo delle dinamiche, e soprattutto una scelta dei ritmi (in cui talora si avvertiva la lontana eco del Jazz, carissimo a Denisov) e dei tempi, del tutto aderente alla linea espressiva del pezzo, secondo noi il migliore di questa parte del concerto. Di una certa, sia pur non ampia fama in Italia, gode l’autore del pezzo successivo del concerto, la Seconda Ballata per flauto e pianoforte del 1939: si tratta del compositore svizzero-francese Franck Martin (1890 —1974); il suo è infatti uno stile piuttosto originale, che concilia dodecafonia, intesa in modo non dogmatico, alla Schonberg, e tonalità. Ovviamente, l’elemento di contatto e ‘passaggio’ tra i due sistemi è il cromatismo, nonché l’adozione di successioni particolari della serie che possono evocare schemi tonali, un po’ come fece Berg. L’esecuzione fornita da Orlando e Camedda si raccomanda per la pulizia del suono di entrambi gli strumenti e per l’incisiva espressività del fraseggio, soprattutto del flauto, che con un continuo passaggio di registri e chiaroscuri dinamici, conferisce un’ombra d’inquietudine al flusso, ritmicamente sostenuto e incalzante, della composizione. Un pezzo in effetti ricco di ombre, sin dall’inizio, col minaccioso ritmo ribattuto del pianoforte e un recitativo, anch’esso a ritmo ‘puntato’ del flauto che non sembra quasi trovare una sua strada melodica: un momento di forte tensione, che dà la chiave per il successivo svolgimento del discorso musicale, molto ben eseguito dal duo di giovani strumentisti. Decisamente appartenenti al cono d’ombra del semianonimato i due successivi brani, il ‘Notturno’ e la ‘Romance’ (Romanza), opera di due compositrici, rispettivamente la francese Lili Boulanger (1893-1918), sorella della ben più famosa Nadia, e l’americana Amy Beach (1867-1944) che all’attività di compositrice (la prima donna americana a dedicarsi professionalmente alla musica ‘colta’) affiancò anche quella di pianista, che la condusse anche a compiere tournée in Europa. Entrambi i pezzi si caratterizzano per un melodismo intenso e ampio, affidato al flauto, un melodismo talora reso mosso e inquieto da misure più veloci e agitate nel caso del ‘Notturno’ della Boulanger, più sommesso e morbido nella Romanza della Beach. In entrambi i pezzi il duo Orlando Camedda ha condotto la propria interpretazione impostandola secondo una suggestiva ricerca espressiva, con cura attenta dei dettagli dinamici e timbrici e una perfetta intesa tra i due strumenti. Gli applausi scroscianti del folto pubblico presente in Auditorium hanno siglato il pieno successo del concerto.5 maggio 2024 Bruno Busca La direttrice Jessica Cottis alla guida de I Pomeriggi Musicali e il violista Timothy Ridout Un'ottima direttrice d'orchestra quella vista dirigere all'anteprima de I Pomeriggi Musicali. Jessica Cottis, quarantaquattrenne australiana, già nota internazionalmente, ha impaginato un programma particolarmente interessante dove tra la poco frequente Ouverture "Le rovine di Atene" di L.v. Beethoven e la conclusiva celebre Sinfonia n.3 "Scozzese " di F. Mendelsshon, c'era il raro ma eccellente Rhapsody-Concerto per viola e orchestra del compositore ceco Bohuslav Martinu (1890 – 1959), un brano che prevedeva come solista alla viola il notevole Timothy Ridout, ventinovenne londinese. Già dall'Ouverture introduttiva, di particolare pregnanza espressiva, si è notato il particolare segno direttivo, preciso e risoluto della Cottis. Nel brano successivo, la Rapsody-Concerto, l'equilibrio tra l'evoluta e varia componente orchestrale nello stile tipico di Martinu -una calibrata sintesi tra neoclassico e romantico-, con riferimenti anche più lontani nel tempo, e il solismo d'eccellenza di Ridout, giocato tra il bellissimo timbro della sua corposa viola e la sua cavata leggera e nello stesso tempo incisiva, ha portato ad un'interpretazione di qualità. Dopo il breve intervallo, la celebre "Scozzese" di Mendelsshon, terza delle sue diversissime sinfonie, ha ancor più rivelato la chiarezza di dettaglio della bravissima Cottis e l'ottima restituzione dell'Orchestra de I Pomeriggi, brava in ogni sezione di strumenti. Applausi meritatissimi. Questa sera la prima ufficiale alle ore 20.00 e sabato alle 17.00 la replica. Da non perdere.2 maggio 2024 Cesare Guzzardella APRILE 2024 Successo strepitoso alla Scala per Lisette Oropesa e Benjamin Bernheim diretti da Marco Armiliato Un concerto straordinario quello scaligero di ieri sera che ha visto sul podio Marco Armiliato con i giovani dell'Orchestra dell'Accademia Teatro alla Scala e con il soprano statunitense Lisett e Oropesa e il tenore francese Benjamin Bernheim. Un impaginato diversificato, che ha trovato anche frangenti solamente sinfonici che hanno esaltato le qualità dei giovani strumentisti. Partendo con la Sinfonia dalla verdiana Forza del destino, incontrando la Sinfonia dei Masnadieri, sempre di Verdi, arrivando all'Ouverture da Roméo e Juliette di Charles Gounod, abbiamo ascoltato l'energica direzione di Armiliato e l'ottima restituzione degli orchestrali, che oltre ad avare solisti di talento come Chiara Rollini, violino di spalla, e Andrea Cavalazzi, primo violoncello , trovano accordi sinergici di primo livello. Ma la punta di diamante della splendida serata è stata certamente quella del duo solistico. Sia Lisetta Oropesa che Benjamin Bernheim, in arie e duetti, hanno espresso delle timbriche che già all'origine rivelano un colore eccellente. Se a questo si aggiunge la capacità di esprimere una naturale vocalità, con l'ausilio di tutti gli adeguati elementi tecnici, arriviamo ad un livello interpretativo che raramente si ascolta. Nella prima parte della serata hanno eseguito brani tutti italiani di Verdi, Donizetti e Puccini , mentre nella seconda le arie prevalentemente francesi erano di Gounod, Bizet e Massenet, con anche un brano del tedesco Meyerbeer. La serata, qualitativamente in crescendo, ha raggiunto momenti memorabili nella seconda parte con la romanza di Bizet da Les pêcheurs de perles "Je crois entendre encore", interpetrata con maestria da Bernheim e l'aria di Giacomo Meyerbeer da Robert le Diable " Robert, toi que j'aime", con una voce della Oropesa splendida. Le due interpretazioni sono state accolte da ovazioni da parte del pubblico che gremiva la Scala. Dopo l'eccellente Massenet da Manon, con je suis seul!...e Perdonnez-moi..., entusiasmanti i bis pucciniani concessi da Bohème. Applausi conclusivi interminabili. Da ricordare a lungo.30 aprile 2024 Cesare Guzzardella UNA SPLENDIDA MOSTRA A VERCELLI SU G.B. VIOTTI E I VIOLINI STRADIVARI Inaugurata il 13 aprile, è in corso a Vercelli, nello spazio espositivo dell’Arca, in pieno centro cittadino, una mostra davvero imperdibile, senza dubbio la più importante iniziativa non musicale organizzata quest’anno nella città piemontese per le celebrazioni del duecentesimo anniversario della morte del grande violinista e compositore vercellese G.B. Viotti (1755/1824). La mostra è articolata in due sezioni: una ‘mostra immersiva’ e un’esposizione straordinaria di violini Stradivari, alcuni dei quali di eccezionale pregio e rarità. La mostra è concepita per offrire al visitatore una vera e propria esperienza: attraverso un allestimento immersivo anche con l’uso sofisticato di tecniche hi-tech, la mostra racconta la vicenda umana e artistica di Viotti e il suo rapporto con gli Stradivari. Dialoghi, monologhi drammatizzati, voce narrante attoriale (con la partecipazione dell’attore P.P Spollon), video, musiche, esperienze immersive e interattive conducono il visitatore in un evento unico in cui bellezza e conoscenza sono strettamente unite. Al termine del percorso narrativo, il “caveau” dei violini: un’esposizione straordinaria dei preziosissimi violini appartenuti a Viotti, tra i quali alcuni Stradivari di particolare interesse storico-artistico. La mostra chiuderà domenica 2/06. Orari: dal 13/04 al 5/05 tutti i giorni dalle 12.00 alle 20.00 Dal 6/05 al 2/06 solo weekend dalle 12.00 alle 20.00- Il prezzo intero è di 15 euro, ridotto a 12 euro per: over 65, under 20, universitari, gruppi di almeno 5 persone, possessori del biglietto Trenitalia per Vercelli del giorno. E’ prevista la gratuità per minori di 6 anni, visitatori disabili con accompagnatori, possessori della tessera Abbonamento Musei Piemonte, giornalisti, guide turistiche. Per informazioni e prenotazioni info@viottistradivari.it 30 aprile dalla redazione Il soprano Ingrid Kuribayashi a Musica Maestri! in Conservatorio Ingrid Kuribayashi, soprano americano-giapponese, vincitrice del Premio del Conservatorio 2023 nella Categoria di Canto F dedicata al grande baritono Giuseppe Zecchillo, e il pianista giapponese Takahiro Maruyama, hanno tenuto un concerto per Musica Maestri! , la valida rassegna del Conservatorio che impegna gli insegnanti e i migliori studenti dell"importante istituzione milanese. Eseguendo brani di Rossini, Donizetti, Verdi, Meyerbeer e Puccini, la Kuribayashi ha rivelato le sue ottime qualità interpretative, ben evidenziate dalle precise armonie pianistiche di Maruyama. Tra i numerosi brani eseguiti dei compositori citati, tutti di valida resa, si sono ancor più rivelati di ottima qualità quelli di Rossini con «Anzoleta dopo la regata» da La regata veneziana, «Il mio ben sospiro e chiamo» da La scala di seta e, da Semiramide «Bel raggio lusinghier». Di Gaetano Donizetti «Prendi, per me sei libero» da L’elisir d’amore e di Giacomo Meyerbeer da Le pardon de Ploërmel, «Ombre Légère». Di ottima resa anche i brani pucciniani da Bohème e da La rondine. Applausi meritatissimi dal numeroso pubblico di Sala Puccini. 29 aprile 2024 Cesare Guzzardella VIOTTI, MOZART E HAYDN A VERCELLI PER IL VIOTTIFESTIVAL Ieri sera, domenica 28/04, la nuova serata del ViottiFestival ha visto protagonista il violino di Guido Rimonda, chiamato anche al ruolo di direttore dell’Orchestra Camerata Ducale. Per l’occasione il Maestro non suonava il suo mitico Stradivari ‘Noir’, ma un Vincenzo Panormo, appositamente costruito dal grande liutaio siciliano a Londra per G.B. Viotti e anch’esso attualmente in possesso di Rimonda. Il programma proponeva di G. B. Viotti il Concerto per violino e orchestra n.25 in La minore WI:25 (1792-97), di W.A. Mozart il Concerto per violino e orchestra n.1 in Si bemolle maggiore KV 207 (1773) e la Sinfonia n.45 in Fa # minore Hob:I 45 (1772), universalmente nota come “La sinfonia degli addii”. Programma, come si vede di lineare compattezza e notevole interesse storico-musicale: i due ‘dioscuri’ del classicismo viennese e il loro grande contemporaneo italiano (ma vissuto per lo più tra Francia e Gran Bretagna), i cui rapporti coi viennesi sono, a nostro modesto avviso, ancora tutti da chiarire. Il Concerto n.25 di Viotti, appartiene al ciclo dei c.d. ‘Concerti londinesi’ (i nn. 21-26) scritti tra il 1792 e il 1804 nella capitale inglese dove Viotti decise di soggiornare perché l’aria, nella Parigi rivoluzionaria, si era fatta per lui piuttosto pericolosa. È un ciclo che contiene alcuni dei capolavori di Viotti, e questo concerto 25 è tra i suoi bellissimi. A renderlo particolarmente bello contribuisce naturalmente il modo di interpretarlo di Rimonda, col suo splendido Panormo, che per belllezza di suono non fa rimpiangere lo Stradivari 1721 Noir. Il suono che ne cava Rimonda è un suono di brillante chiarezza, ricco di sfumature, morbido, capace di dar voce alla più delicata energia, come al più acrobatico virtuosismo, sempre con signorile eleganza e con disinvoltura anche dinanzi alle più ardue difficoltà ‘tecniche’. Il concerto 25 di Viotti ascoltato ieri sera presenta la consueta varietà dei concerti viottiani, escludendo peraltro momenti di particolare intensità drammatica. Bellissimo, per fluidità e dolcezza di fraseggio l’ingresso, con un tema melodico, del violino nel primo tempo, dopo un’introduzione orchestrale a forte intensità ritmica, variata, com’è tipico del Maestro vercellese, lungo un ventaglio espressivo che dal brioso giungono ad improvvise ombreggiature sottilmente inquietanti. Gli abbandoni melodici del violino, che affiorano dai ritmi incalzanti dell’orchestra, alternandosi ad essa, sono sempre variati nelle sfumature timbriche, accuratamente calibrate da Rimonda, oltre che nell’assetto armonico, ed è questa alternanza la forma del trattamento del materiale musicale che Viotti propone in luogo della forma sonata viennese: un’eredità estrema del Concerto grosso corelliano? Certo, siamo in pieno Made in Italy! Fatto sta che è, quella di Viotti, una musica che sa afferrare l’ascoltatore dall’inizio alla fine. In questo Concerto 25 la linea melodica tocca naturalmente il suo vertice nel centrale Andante, con una elegia che, nonostante il modo maggiore, inconsueto nei tempi lenti di concerto, tocca il cuore dell’ascoltatore con quel sottile velo di tenerezza e malinconia, frequente in Viotti e che Rimonda sa suonare in modo così coinvolgente. Il finale è una successione di ritmi trascinanti, in cui Rimonda è chiamato a diversi numeri di agilità tra doppie corde, trilli, colpi vari d’arco su ritmi iperveloci. Da notare, perché mai ascoltato prima in Viotti, l’uso del triangolo a dare spumeggiante risalto ai ritmi puntati dell’orchestra, accentuando quel vago sapore ‘zingaresco’ del tema principale del Rondò. Eccellente esecuzione di un concerto che certamente indica a questo genere musicale strade piuttosto diverse da quelle che ormai da vent’anni almeno si andavano imboccando in quel di Vienna. Subito a seguire il primo dei cinque concerti per violino e orchestra di Mozart. È interessante il fatto che, pur nella forma sonata, presente in tutti e tre i tempi, si tratta di un concerto ancora legato ad alcuni aspetti della tradizione italiana, con quell’alternarsi di passaggi solistici ‘brillanti’ e interventi orchestrali, che abbiamo visto essere ben presente nei concerti di Viotti. È un concerto brillante, di gaio brio salottiero, in cui senti più di un’eco di Vivaldi e Tartini, e il cui vero centro d’interesse musicale sono le pur brevi sezioni di Sviluppo dei tre movimenti. Rimonda col suono limpido e a tratti squillante del suo Panormo, ha interpretato al meglio questo carattere di fondo del KV 207, toccando i punti espressivamente più alti nella raffinata delicatezza con la quale ha esposto le modulazioni e il tema melodico dello sviluppo del primo tempo, ombreggiato da pregevoli chiaroscuri delle dinamiche, nell’esposizione ed elaborazione dell’intenso tema sognante affidato al violino nell’Andante e infine negli spumeggianti virtuosismi del Finale . Eccellente anche la prova della Camerata Ducale, un ensemble ormai di solida intesa d’assieme e col solista, efficace in tutte le sezioni strumentali. Della Sinfonia n.45 di Haydn, la scelta interpretativa di Rimonda è stata quella di privilegiarne il carattere “Sturm und Drang” che indubbiamente è in essa ben presente. Più che i contrasti tematico-armonici, la bacchetta di Rimonda cerca il tono emozionale del discorso musicale, conferendo particolare tensione al tema dei violini primi su cui è costruito gran parte dell’Allegro iniziale, o con la sonorità assorta e un po’ misteriosa degli archi in ppp coi violini in sordina dell’Adagio e una timbrica che sfruttando qualche pennellata dei corni evoca passaggi schubertiani e il progressivo spegnersi via via delle varie linee strumentali nello straordinario Adagio finale, cui si deve il titolo con cui è divenuta popolare questa sinfonia, sicuramente la più bella di quelle haydniane prima delle ‘parigine’. Come talora accade, l’esecuzione di questa Sinfonia è avvenuta nella più completa oscurità di palcoscenico e sala, con accesi i soli lumini dei leggii, con progressivo abbandono dei loro posti da parte degli orchestrali, riproducendo ciò che effettivamente accadde al Castello di Esterazha in quel lontano 1772. Tre autori della stessa epoca, tre mondi musicali diversi, esplorati tutti con sensibilità e profondità interpretativa da Guido Rimonda e dalla Camerata Ducale. L’esplosione degli applausi alla fine del concerto ha testimoniato il successo riscosso presso il pubblico, come sempre numeroso al Civico. 29 aprile 2024. Bruno Busca GIOVANI STRUMENTISTI CRESCONO. BEL CONCERTO PER I SABATI DEL CONSERVATORIO A NOVARA Programma interessante e vario, quello proposto a Novara ieri pomeriggio, 27/04, presso l’Auditorium Olivieri del Conservatorio G. Cantelli, nell’ambito della stagione di musica da camera dei Concerti del Sabato. Protagonisti alcuni dei neodiplomati o studenti di particolare valore del Conservatorio novarese, tutti con una già significativa esperienza di concerti non solo entro i confini della provincia, tra i quali spicca il ventenne violoncellista Francesco Barosi, non solo per numero di pezzi eseguiti, ma anche perché comincia a godere una certa fama di giovane talento, consacrata già nel 2021 da un numero della nota rivista musicale Amadeus. E proprio a Barosi è toccato, in duo con la flautista Giulia Vighetti, dare inizio al concerto, con un pezzo in tre tempi, scritto nel 1950 dal compositore brasiliano Hector Villa-Lobos, “Assobio a Jato”, che in portoghese significa “fischio del Jet”, in quanto nel terzo movimento il flauto suona un glissando così forte e in un registro così acuto, da ricordare il fischio di aereo a reazione. La diversità tra due strumenti così lontani per suono e registro, permette, quasi impone al compositore di sfruttare al massimo il contrasto timbrico tra essi, con effetti spesso suggestivi e una sonorità lontana da quella più riconoscibile come ‘musica classica’. I due interpreti sono stati davvero bravi a riprodurre i contrasti, richiesti dalla partitura, tra alto e basso, suono del metallo e suono delle corde vibranti sul legno, respiro e colpo d’arco, soprattutto intervallo, per il flauto, e timbro per il violoncello. Quest’ultima considerazione ci permette qualche considerazione sul ‘primus inter pares’ di questo concerto, Francesco Barosi, che ha esibito un bel suono, equilibrato tra intensità e morbidezza nella cavata, con un bel fraseggio fluido e pulito, nonché una intonazione precisa e una ottima padronanza della tecnica strumentale, evidente in particolare nel Vivo finale, dal ritmo incalzante, con ampi balzi intervallari e vari passaggi di agilità. Detto tutto il bene possibile di Barosi, non possiamo trascurare la flautista Giulia Vighetti, dalla sicura emissione di fiato, sempre ben tenuta e di buona proiezione ,il fraseggio pulito e sicuro e davvero brava nel suo ‘numero’, il glissando alla fine del pezzo, che per forza ed efficacia dell’acuto non aveva molto da invidiare a ben più celebri esecutori. Ritroviamo il violoncello di Francesco Barosi anche nel seguente pezzo, un’altra formazione a due piuttosto inusuale, come la precedente: il Duetto per violoncello e contrabbasso (affidato a Claudio Mazzeo) in Re maggiore di G. Rossini, che lo compose a Londra nel 1824. In tre tempi, col classico tempo lento centrale, è un pezzo tanto raro all’ascolto in sala da concerto, quanto sorprendente, per il vario e sempre efficace gioco contrappuntistico che lo sostiene, con momenti di vera ingegnosità armonica. Fondamentalmente in tutti e tre i tempi questo gioiellino rossiniano si svolge con l’alternarsi tra i due strumenti di parti di accompagnamento e di parti melodiche, alcune delle quali sono vere e proprie arie d’opera. Non è un pezzo facile, anche se concepito da Rossini come Hausmusik per dilettanti, comunque dotati di buona tecnica: numerosi sono i passaggi virtuosistici, in cui Barosi conferma la sua piena padronanza dello strumento e una linea espressiva virata su un suono morbido e caldo, funzionale ad un fraseggio di bel respiro, di intensa cantabilità nelle melodie più ‘operistiche’. E ancora una volta suona molto bene la sua parte Claudio Mazzeo, che riesce a gestire efficacemente, con colpi d’arco raffinati e calibrati con precisione, un ruolo non di solo accompagnamento per il contrabbasso, variandone anche con sapienza la timbrica. A Barosi toccava poi la gran conclusione del concerto con due pezzi di notevole spessore. La Suite per violoncello solo n.3 in Do maggiore BWV 1009 di J. S. Bach (1720 ca.) e la Sonata per violoncello solo op. 25 n.3 di Paul Hindemith (1923). Di buon livello l’esecuzione che Barosi ha fornito della Suite bachiana, dimostrando ottimo fraseggio, finezza nel rilievo conferito alle ‘elaborazione contrappuntistica, piuttosto ricca in questa Suite n.3 e una limpidezza di suono, sempre morbido e caldo anche nei passaggi di agilità, numerosi in questo pezzo, come gli arpeggi e le scale del Preludio, i vari abbellimenti dell’Allemande, sino agli staccati e ai picchettati della Giga finale. Ma quello che ha colpito in particolare l’ascoltatore sono stati i valori espressivi messi in evidenza da Barosi, in particolare nella Sarabande: l’eleganza, la delicatezza e l’intensità meditativa con cui questa pagina è stata suonata. Una esecuzione, questa della Suite bachiana, che ci autorizza a considerare Barosi già qualcosa di più di una semplice promessa. La sonata per violoncello solo di Hindemith pone l’interprete di fronte ad un pezzo in cinque tempi, piuttosto avaro di abbandoni melodici, ma molto vario nell’elaborazione del materiale musicale, che il giovane solista affronta sfoggiando una buona dose di duttilità. Questa sua ulteriore qualità gli consente di comunicare con vivace forza espressiva la tensione stridente e persino brutale del Vivace iniziale come del ‘Moderatamente veloce’ finale, e di rendere invece con delicatezza e ricchezza di sfumature i tre tempi centrali, soprattutto il Lento in terza posizione, in cui il suono del violoncello si smarrisce in una nebbiosa incertezza e nel quarto tempo (Vivace alla semiminima) diventa un sussurro, in cui la densità espressiva si assottiglia sin quasi ad annullarsi in una strana dimensione astratta; che ci pare un modo intelligente di interpretare l’indicazione di Hindemith, ”senza espressione”. Non c’è dubbio che Francesco Barosi si stia costruendo un suo stile, con le sue particolari modalità interpretative, che certamente richiedono ulteriore affinamento e approfondimento, ma che ci appaiono già in avanzata via di maturazione. Al centro del concerto campeggiava l’unico pezzo alla cui esecuzione non partecipasse Barosi. Ancora un’opera di Hindemith, i “Musikalisches Blumengartlein und leyptziger Allerley” dal bizzarro titolo (pressappoco: “Fiori di giardinetto e verdura mista”) per una formazione inusuale, quale il duo Contrabbasso (ancora Claudio Mazzeo) e clarinetto, affidato ad Alberto Viganò. Si tratta di nove componimenti, tutti salvo il primo e il terzo con un titolo, di cui spesso non si vede alcuna connessione col pezzo e che dunque va considerato come una sorta di divertita ironia, vagamente surreale dell’autore sulla propria opera, tra le cose più stravaganti di Hindemith. È una composizione di breve. durata (il tutto supera di poco i dieci minuti). Si tratta di brevi sequenze musicali di carattere vario, in cui entrambi gli strumenti sono sfidati ad esprimere le loro potenzialità tecniche e le loro risorse timbriche in una forma di estrema concisione. Pezzo di tipica ‘Motorik’ hindemithiana, un geometrismo meccanico in cui entrano diverse componenti, anche a seconda delle epoche, è stato eseguito con perfetta intesa tra i due solisti, e accuratezza nel rilievo dei dettagli ritmici, armonici dinamici, ma soprattutto, com’è naturale in composizioni di tal sorta, timbrici. Bel concerto, che conferma il Conservatorio Cantelli come una delle più propositive e attive istituzioni musicali della città di Novara, pienamente meritevole degli scroscianti applausi del numeroso pubblico. 28 aprile 2024. Bruno Busca PROSSIMAMENTE ARCADI VOLODOS PER LA "SOCIETÀ DEI CONCERTI" DI MILANO Mercoledì 8 maggio alle 20:45 presso la Sala Verdi del Conservatorio di Milano la Società dei Concerti è lieta di proporre al pubblico milanese un artista sensibile e raffinato che saprà catturare l’attenzione con il suo carisma eccezionale. Sebbene abbia iniziato i suoi studi nel canto, Arcadi Volodos è diventato rapidamente uno dei più importanti pianisti del mondo. Per Volodos la musica è uno strumento di comunicazione unico e prezioso che va salvaguardato Il Maestro nutre un forte distacco con la tecnologia e non nasconde un certo disagio per il mondo contemporaneo così oppresso dalla comunicazione digitale. Può sembrare una contraddizione ma Arcadi Volods sostiene che la musica, quindi, non sia elitaria ma per pochi: solo chi ha un animo e un cuore può riceverla. Il programma della serata prevede la Sonata in la minore di Schubert, Davidsbündlertänze di Schumann e Hungarian Rhapsody di Liszt. Programma della serata “Arcadi il poeta”:F. Schubert, Sonata in la minore op. 42 D 845; R. Schumann, Davidsbündlertänze op. 6; Liszt/Volodos, Hungarian Rhapsody n. 13 in la minore. Da non perdere. 26 aprile 2024 Dalla Redazione Daniele Gatti dirige la Filarmonica della Scala nella Nona Sinfonia di Mahler Il prossimo direttore musicale della Scala, probabilmente dal 2026, il milanese Daniele Gatti, ha diretto la Filarmonica scaligera nella Sinfonia n.9 in Re maggiore di Gustav Mahler. È una composizione interamente strumentale che, nella sua completezza, conclude il ciclo sinfonico del grande musicista austriaco, se non consideriamo la Decima, rimasta incompleta. È stata una lettura di grande livello interpretativo, considerando anche l'esperienza di Gatti maturata in Mahler con le numerose importanti orchestre internazionali da lui dirette, sino ad arrivare alla Staatskapelle di Dresda , di cui è attualmente il direttore principale. La Filarmonica della Scala ha dimostrato di adattarsi molto bene alle esigenze interpretative di Gatti, che ha diretto la Nona senza partitura. La sua visione mahleriana, chiara, precisa e dettagliata, coglie gli infiniti momenti di un lavoro composto nel 1909, in un periodo cruciale per le radicali trasformazioni nei modi di comporre musica. La disgregazione della forma operata da Mahler, soprattutto nelle sue sinfonie strumentali, trova qui il frangente maggiore, con quei continui cambiamenti temporali, con quelle timbriche da pacate a più fragorose, che anticipano le differenze strutturali, musicalmente più rivoluzionarie, della Seconda Scuola di Vienna. Molto indicativo il movimento finale di questo ampio lavoro, quell'Adagio dove il tempo sembra fermarsi, tanto viene eseguito lentamente dagli archi con volumi sonori quasi impercettibili. Gatti è stato abilissimo nell'esternare una grande orchestra compatta che, in moltissimi frangenti, mette in rilievo le voci soliste dei singoli strumentisti per soluzioni quasi cameristiche. Una lettura molto personale, diversa da quelle ascoltate da altrettanto eccellenti direttori. Alla replica di ieri il pubblico era entusiasta e ha favorito le uscite ripetute del direttore in palcoscenico. Ultima replica prevista per sabato, 27 aprile, alle ore 20.00. Da non perdere.25 aprile 2024 Cesare Guzzardella IL QUARTETTO GOLDMUND A VERCELLI PER IL VIOTTIFESTIVAL Il ViottiFestival di Vercelli ha offerto ieri sera, mercoledì 24/04, presso il Teatro Civico, un recital di quello che si può considerare uno dei migliori quartetti d’archi giovanili attualmente in attività a livello internazionale, il tedesco Quartetto Goldmund, formato da Florian Schotz e Pinchas Adt (violini), Christoph Vandary (viola) e Raphael Paratore (violoncello). Dal 2009 interpretano con successo un ampio repertorio, dal classico al contemporaneo, ottenendo riconoscimenti prestigiosi anche in diversi concorsi importanti. Diciamo subito che con il Quartetto Goldmund ci troviamo di fronte ad un complesso di alta classe, con una qualità di suono brillante, cantabile e ricco di sfumature, intonazione impeccabile, un fraseggio vivo e intenso, perfezione d’assieme. Queste virtù dei quattro strumentisti del Goldmund emergono già tutte nell’esecuzione del primo pezzo in programma, il Quartetto op.76 n.2 in Re minore Hob. III.76 (1797) di F.J. Haydn, universalmente noto come il ‘Quartetto delle quinte’, per il ruolo centrale, strutturale, che vi assume la quinta discendente, davvero onnipresente. Con intelligenza e sensibilità interpretativa, il Goldmund conferisce risalto alle sottili mutazioni ritmiche dell’Allegro iniziale e con un suono caldo ed elegante e un fraseggio attento a ogni dettaglio timbrico e dinamico esalta la bellissima coda del movimento. Mentre nell’Andante protagonista è il primo violino, con le sue raffinate volute di carattere virtuosistico, l’ interpretazione del Goldmund raggiunge il suo apice nei due ultimi movimenti: nel particolare ‘colore’ con cui i quattro giovani strumentisti pennellano il ‘Minuetto delle streghe’ come è talora definito il terzo movimento di questo Quartetto haydniano: un colore scuro e inquietante, ottenuto con la particolare intensità di suono della coppia viola -violoncello, contrapposta a canone ai due violini, con effetto timbrico di grande suggestione; e nel pianissimo del Vivace assai finale, eseguito con fraseggio di rara finezza, che accompagna il progressivo, rasserenante passaggio dal tono minore al maggiore. In generale possiamo dire che il valore di questa interpretazione è consistito nel portare alla luce, al di là dell’apparente semplicità di scrittura e di struttura dei temi, quella sottile e straordinaria ingegnosità d’invenzione, che è la caratteristica fondamentale del genio haydniano. A seguire, inevitabile nell’anno viottiano, un quartetto di G.B. Viotti, l’op.1 n.3 in Mi bemolle maggiore, W II:03. È un quartetto in cui l’espressività del compositore vercellese, superata l’inquietudine dell’Adagio introduttivo vira verso una serenità zampillante di belle invenzioni melodiche e di momenti più mossi e ritmici. Il Goldmund ha interpretato con energia ed eleganza, valorizzando in particolare l’elaborazione timbrica, quello che non ci è sembrato un capolavoro della produzione cameristica del grande Vercellese. Con un balzo che più brusco di così non si potrebbe, il terzo pezzo proposto era il Langsamer Satz (Movimento lento) WoO 6 di Anton Webern , ovvero un lavoro giovanile di quello che sarebbe divenuto il più radicale esponente della musica atonale della Scuola di Vienna primonovecentesca. Composto nel 1905, dunque negli anni di apprendistato con Schonberg, è una composizione ancora legata alla tonalità, sia pur allargata, cioè molto ricca di cromatismi. L’interpretazione fornita dal Goldmund è stata esemplare per sensibiltà, forza espressiva, scavo negli strati più profondi di questa pagina. Ogni singolo strumento sembrava esplorare una sua strada, fatta di infinite sfumature dinamiche, di particolari timbrici anche inusuali, per il ricorso frequente ad una sordina, che portava il mondo sonoro del brano ai confini del silenzio, e con continui cambiamenti di tempo. Indimenticabile la conclusione in ppp in una dissonanza non risolta, come sospesa sul nulla, che il Goldmund ha eseguito caricandola di una misteriosa tensione. Dalla Vienna del 1905, alla San Pietroburgo del 1882, data della prima esecuzione del Quartetto per archi n.2 in Re maggiore di A. Borodin, uno del famoso ‘Gruppo dei Cinque’ che mirò, in contrasto con l’"occidentalista" Ciajkovskij, a rinnovare la musica russa attingendo alla viva linfa della musica popolare dell’immenso Paese. Anche di questo noto gioiello della musica da camera russa ottocentesca, i quattro giovani strumentisti tedeschi hanno saputo offrire al pubblico una splendida esecuzione ispirata ad eleganza e intensa carica espressiva, che trovava il suo apice, naturalmente, nell’incantevole terzo tempo Notturno, in cui il Goldmund s’immergeva con delicata sensibilità nella straordinaria densità timbrica del brano, guidato in particolare dal primo violino, capace di acuti di estatica bellezza e dal violoncello, di fluente morbidezza anche nei registri più scuri. Ne usciva una musica avvolta da un’ombra inquietante, molto coinvolgente per l’ascoltatore. Ma tutta l’infinita ricchezza delle più varie soluzioni espressive di cui è intessuto l’intero Quartetto n.2 di Borodin, sorta di microcosmo musicale in perenne fermento, è stata eseguita con esito altissimo per qualità tecnica ed interpretativa dai quattro del Goldmund, cui è arriso uno strameritato successo di pubblico, testimoniato dal torrenziale e prolungato applauso alla fine del concerto. Un applauso che ha conquistato un fuori programma, un pezzo di Dvorak, eseguito con accattivante leggerezza, degna conclusione di una serata di ottima musica. 25 aprile 2024 Bruno Busca L'Orchestra Giovanile della Svizzera italiana alle Serate Musicali con Andrea Bacchetti Sono giovani gli strumentisti della OGSI, una compagine che annovera ragazze e ragazzi di un età compresa tra i 14 e i 18 anni. Capeggiati dal direttore venezuelano Yuram Ruiz, gli oltre sessanta strumentisti hanno dato prova di serietà e d'mpegno per una restituzione interpretativa ottima, relativamente alla giovane età. Il programma scelto prevedeva tre lavori classici di Haydn, Mozart e Schubert. La notorietà dei primi due concerti è certa, e i lavori sono stati eseguiti con l'ausilio di un noto solista, il pianista ligure Andrea Bacchetti. Prima il Concerto in re maggiore per pianoforte e orchestra Hob XVIII di Joseph Haydn (1732-1809) e poi il Concerto in do minore per pianoforte e orchestra K 491 di W.A. Mozart (1756-1791) hanno occupato la prima parte della serata. L'equilibrio tra pianoforte e orchestra, ottimamente mediato dal direttore Ruiz, ha portato ad una valida resa espressiva, probabilmente più intensa in Haydn. L'ottimo pianismo di Bacchetti, giocato su una precisa perfezione discorsiva, espletata con leggerezza e con una meditata elargizione delle timbriche, ha dato un'impronta altamente classica ai due brani. Particolarmente riuscita la Cadenza dell'Allegro del mozartiano K 491 composta dal pianista inglese Stephen Hough. Bacchetti ha poi voluto ripetere il finale dell'Allegro vivace di Mozart e poi ha concesso uno splendido Bach con un affascinante Preludio e fuga: di straordinaria leggerezza il Preludio e di preciso rigore tecnico nella chiara polifonia delle parti la relativa Fuga. Applausi meritatissimi. Dopo il breve intervallo la rarità esecutiva della Sinfonia n.1 in re maggiore D 82 di un Franz Schubert (1797-1828) sedicenne, ha ancora rivelato le qualità dei giovanissimi dell'Orchestra della Svizzera italiana. Applausi meriratissimi al direttore e all'orchestra. 23 aprile 2024 Cesare Guzzardella Giuseppe Grazioli in un "Viaggio in Italia" con la Sinfonica di Milano Denominato "Viaggio in Italia", il concerto cui abbiamo assistito ieri sera in Auditorium prevedeva un incontro con i colori italiani di cinque compositori: Massenet, Melchiorre, Čaikovskij, Rossellini e Alfano. Nella scelta dell'impaginato il direttore Giuseppe Grazioli, da molti anni presente con l'Orchestra Sinfonica di Milano, ha rivelato ancora una volta le sue affinità con un repertorio melodico mediterraneo, repertorio che lui ricerca in modo intelligente per proporre brani anche di rara frequentazione, come quelli ascoltati nel valido concerto. Tra le composizioni dei tre italiani, quelle del francese Jules Massenet e del russo P.I. Čaikovskij sono state dedicate all'Italia: Scènes napolitaines, del primo, e Capriccio italiano Op.45, del secondo, sono lavori ispirati dalle loro assidue frequentazioni con il Bel Paese. Il romano Renzo Rossellini (1908-1982) componeva nel 1954 la rapsodia Canti del Golfo di Napoli, e Franco Alfano (1875-1954) nel 1909 la sua Suite romantica, una serie di temi legati a luoghi italiani. In questi quattro lavori Giuseppe Grazioli ha espresso un'orchestrazione energica, con frangenti di esasperata concitazione, dove la sintesi discorsiva era proiettata all'esaltazione della ritmica mediterranea, delle tarantelle, delle altre danze, con colori solari molto accentuati. Bravissimi gli strumentisti della Sinfonica di Milano in ogni sezione orchestrale. Particolarmente valido il brano di Franco Alfano, il musicista divenuto celebre per aver completato la pucciniana Turandot, ma anche importante compositore che andrebbe rivalutato anche solo per la maestria delle sue orchestrazioni e per la modernità espressiva ricercata. Grazioli, direttore-ricercatore, uno dei pochi che esegue la musica del compositore napoletano, ha realizzato anche un CD con la Sinfonica di Milano che contiene oltre al brano ascoltato anche altri quattro validi lavori. Ad inframmezzare la musica melodica eseguita, abbiamo ascoltato in Prima Esecuzione Assoluta il nuovo lavoro del ligure Alessandro Melchiorre (Imperia,1951). Il suo Microliti (2024) è stato composto partendo da aforismi, prose e frammenti letterari tratte dall'opera omonima di Paul Celan, ma anche di altri poeti e letterati come Rilke, Mandel'stam e Kundera. Prevede due voci e l'orchestra. Le voci erano quelle di Joo Cho, soprano, e di Nicholas Isherwood, basso, entrambe ben inserite nel contesto orchestrale e con ottima resa coloristica. La musica di Melchiorre, di ottima costruzione formale e di suggestiva resa timbrica, ha sottolineato il testo di drammatico significato, adattandosi ai contenuti specifici in una costruzione unitaria ed espressiva. Applausi a tutti i protagonisti. Domani, domenica, replica alle ore 16.00. 20 aprile 2024 Cesare Guzzardella In Conservatorio è iniziata MUSICA MAESTRI INTERNATIONAL Il primo appuntamento della nuova rassegna del Conservatorio denominata Musica Maestri International ha visto ieri sera in Sala Puccini il Con Fuoco Duo, con Robert Walzel al clarinetto e Steven Michael Glaser al pianoforte. La nuova iniziativa, ieri introdotta da Stefania Mormone docente di pianoforte nel Conservatorio milanese, allarga la rassegna di successo Musica Maestri! che abitualmente si svolge in Sala Puccini. Statunitensi, entrambi, docenti dei rispettivi strumenti in università americane, il duo ha voluto omaggiare l'Italia inserendo nel variegato impaginato denominato Melodies for many occasions, brani di Puccini e di Morricone molto popolari, unitamente ad autori come Bernstein, con la rara ed efficace Sonata per clarinetto e pianoforte, di Harlos con “Benniana“, di Richard Rodney Bennett con “Ballad in memory of Shirley Horn“ e di Simon A. Sargon con "KlezMuzik". Ottimi interpreti, i due strumentisti hanno elargito esecuzioni chiare, con misurato equilibrio tra le parti strumentali e di valida resa espressiva complessiva. Bis ancora di Ennio Morricone. Applausi sostenuti da un pubblico purtroppo non numeroso in un iniziativa che meritava una sala al completo. 19 Aprile 2024 Cesare Guzzardella Il pianista Pietro De Maria diretto da Alessandro Cadario ai Pomeriggi Musicali Il classicismo di due grandi musicisti quali Beethoven e Schubert è stato messo in risalto nell'anteprima di questa mattina da I Pomeriggi Musicali del Dal Verme con l'orchestra diretta da Alessandro Cadario e con la partecipazione solistica del pianista Pietro De Maria. Prima un brano celebre con il beethoveniano Concerto n.5 per pianoforte e orchestra in Mi bem.Maggiore Op.73 "Imperatore"; poi un'assoluta rarità interpretativa con la giovanile Sinfonia n.1 in Re maggiore D 82 di Schubert. Lo straordinario concerto del grande tedesco riassume tutta la forza espressiva del musicista: dai frangenti più estroversi dell'Allegro iniziale e del Rondò finale, alla dolcezza interiore del profondo Adagio poco mosso centrale, dove le poche note del pianoforte, eseguite con intensa espressività da De Maria, e le geniali armonizzazioni orchestrali definite con eterea precisione e giusto equilibrio da Cadario e dagli ottimi I Pomeriggi, hanno portato, insieme ai corretti ed equilibrati movimenti laterali nel cosiddetto "stile eroico", ad un'ottima interpretazione. Applausi meritatissimi ai protagonisti. Particolarmente interessante la Sinfonia giovanile di uno Schubert solo sedicenne, ma che aveva imparato il mestiere assai bene. Emergono già qui le qualità melodiche del viennese e poi che delizia quell'Allegro vivace finale, eseguito con grinta e passione da Cadario nella valida restituzione de I Pomeriggi. Ma non è finita qui: il Maestro Caderio ha voluto regalare al numeroso pubblico presente una splendida orchestrazione di Max Reger di Erlkönig, Op.1 di Franz Schubert e celebre suo lied. Questa sera alle ore 20.00 la prima ufficiale e sabato alle 17.00 la replica. Da non perdere! 18 aprile 2024. Cesare Guzzardella Il pianista inglese Paul Lewis interpreta Schubert per la Società dei Concerti È tornato in Conservatorio il pianista inglese Paul Lewis per la Società dei Concerti milanese. Nel marzo dello scorso anno aveva affrontato tre Sonate schubertiane, la n.13, la n.15 e la n.16. Ieri ha continuato l'impresa con altre tre Sonate del grande musicista austriaco, precisamente la n.4 D.537, la n.9 D.575 e la n.18 D.894. Ci troviamo di fronte ad un interprete che ha fatto dei classici la sua principale cifra interpretativa. L'amato Schubert, insieme a Beethoven, sono i musicisti da lui più eseguiti. Come avevamo scritto lo scorso anno, Lewis, classe 1972, di Liverpool, ebbe tra i suoi insegnanti anche il grande Alfred Brendel, dal quale ha ereditato evidenti modalità interpretative oltre che a una certa gestualità funzionale ad un'intensa concentrazione utile per definire in modo analitico le sue ottime timbriche. La qualità della sua raffinata esecuzione ha trovato da subito esplicitazione nella Sonata n.4 in la minore, eccezionalmente in tre movimenti, mancante di uno scherzo o di un minuetto, ma nell'insieme comunque completa. La resa espressiva di alto livello ha, in questo lavoro, ma anche negli altri, rivelato coerenza nel rapporto tra i differenti movimenti, con frangenti di eccellente conpenetrazione del materiale per una resa dettagliata e chiara. Altrettanto valida la successiva Sonata n.9 in Si maggiore e, dopo l'intervallo, la più corposa Sonata n.18 in Sol maggiore, quattro movimenti di cui il primo, Molto moderato e cantabile di ampia dimensione e l'ultimo, l'Allegretto, di una raffinatezza eccellente. Un interprete doc per Schubert che ha meritato pienamente i fragorosi applausi del pubblico presente in Sala Verdi, concedendo, dopo il programma ufficiale, un bis ancora schubertiano con il profondo Andante molto dalla Sonata D568. Splendido concerto! 18 aprile 2024 Cesare Guzzardella Il VIOLINISTA E DIRETTORE SZEPS-ZNAIDER AL VIOTTIFESTIVAL DI VERCELLI Ieri sera, mercoledì 17 aprile, al Teatro Civico di Vercelli, ospite del ViottiFestival è stato uno dei più celebri violinisti d’oggi, nonché apprezzato direttore, il danese Nikolaj Szeps-Znaider, tra i pochi a poter vantare il primo premio ai due più importanti concorsi europei per violino, il Sibelius e Il Reine Elisabeth. Alla sua prima vercellese, Szeps-Znaider, sia in veste di solista, sia in quella di direttore dell’Orchestra Camerata Ducale, presentava un programma impaginato su due concerti per violino e orchestra, il n. 2 in Re maggiore KV 211 di Mozart (1775) e il n.16 in Mi minore WI: 16 di Gb. Viotti (1785-89), per concludere, deposto il violino, con la Sinfonia n.38 in Re maggiore KV 504 “Praga”, ancora di Mozart (1786). Fin dall’Allegro moderato che apre il Concerto KV 211 il pubblico è stato sedotto dal suono dolce, caldo, morbido e chiaro dello splendido Guarnieri del Gesù 1741 Kreisler di Szeps-Znaider. Questo suono, unito a una fluidità straordinaria del legato, ha impresso, alle varie soluzioni melodiche del Concerto, una soave pacatezza, una sorta di serenità trascendentale, che ha contenuto entro la misura di un lieve brivido anche l’improvvisa modulazione al minore nello sviluppo del primo tempo. Un Mozart meravigliosamente classicistico, ma non di un classicismo marmoreo, soffuso invece come di ‘un calore di fiamma lontana’, se ci è lecita una citazione foscoliana, grazie anche alle sottili e raffinate ombreggiature chiaroscurali ottenute con il controllo sapiente delle dinamiche. Un suono, quello di Szeps-Znaider che sa anche velarsi di suggestiva tenerezza, come nel primo splendido tema cantabile dell’Andante centrale, acme espressiva dell’intero concerto, ma sa anche farsi capriccioso e brioso, come nel refrain e nei couplet del finale Rondò, ma sempre con quella soavità e pacatezza di fondo di cui si diceva e che avvolge un po’ tutto questo stupendo Mozart del violinista danese. Il Concerto n. 16 di Viotti, uno dei più belli in assoluto del suo catalogo (tanto da suscitare l’ammirazione di Mozart, che ne curò un’edizione aggiungendo all’orchestrazione trombe e timpani) porta all’estremo quella che già individuammo in un precedente articolo come la caratteristica fondamentale della musica più alta del Vercellese, la tensione che la attraversa costantemente tra temi (e mondi) musicali lontani tra loro. Questo è un concerto segnato da una forte inquietudine, che sfiora l’ansia, subito annunciata dalla emozionante introduzione funebre, e da un andamento fremente, nervoso, reso instabile dalla costante oscillazione tra momenti di intenso virtuosismo e temi cantabili. Szeps-Znaider domina questo infuocato materiale sonoro, con una calibratissima duttilità di suono, qui spinto ad esplorare zone che il concerto mozartiano escludeva. L’intervento del violino dopo l’ampia introduzione orchestrale del Primo tempo Adagio/non troppo/Allegro si carica di un’aura più dolente, in generale di una energia sofferta e inquieta, in cui la linea talora frammentata dei temi ritmici offre il banco di prova a Szeps-Znaider per il suo virtuosismo, come in generale nel Rondò finale e in particolare nel ritornello, subito introdotto con le sue cinque note ravvicinate e ribattute, cui Szeps-Znaider sa dare la giusta carica di fierezza. Ma nei momenti di più abbandonato lirismo melodico, il violino del grande solista danese raggiunge vertici di incantevole bellezza, di una dolcezza intensa e coinvolgente, come nell’Adagio centrale, tra le pagine da antologia di Viotti. Dunque un Viotti tormentato e dolente, drammatico, che solo nell’ultimo tempo sembra trovare una qualche luce di riscatto e speranza, secondo una’ narrazione’ sinfonica che è già romantica. Veramente un’eccellente interpretazione, sia per Mozart, sia per Viotti, questa di Znaider, che ha guidato molto bene la Camerata Ducale, con una perfetta gestione degli equilibri e degli intrecci tra le varie linee strumentali, valida scelta dei tempi e delle dinamiche, dialogo sicuro tra solista e orchestra. Gli applausi scroscianti di un pubblico ammirato non sono valsi a ottenere un bis. Non ha certamente deluso le attese neppure lo Szeps-Znaider direttore, che ha ormai una consolidata esperienza alle spalle e un’ottima fama, che la ‘sua’ Sinfonia Praga ha dimostrato essere ampiamente meritata. Questo Mozart è certo diverso da quello del Concerto KV 211. Son passati più di dieci anni, siamo al Mozart della piena maturità, che ha appena composto le Nozze di Figaro e si accinge alla grande impresa del Don Giovanni. In generale, possiamo dire che la chiave di lettura che Znaider offre di questa quart’ultima sinfonia mozartiana è fondata su un mirabile equilibrio tra la dolce amabilità del concerto KV 211 e l’enorme intensificazione espressiva che, rispetto a quella musica, anima l’ultimo Mozart e che certo deve molto al Teatro. Un mondo pieno di contrasti e di tensioni, questo della ‘Praga’, ma che spesso resta latente, pronto ad affiorare all’improvviso, incrinando i più limpidi equilibri formali. Se la bacchetta di Znaider presenta l’introduzione lenta già come un dramma, che ha presentimenti del Don Giovanni, è nel primo tempo che mostra tutta la sua bravura nel sottile lavoro di scavo della graduale e calibratissima evoluzione della tensione drammatica che muove il pezzo. Con una limpidezza fatta di preziosa precisione timbrica e ritmica, la bacchetta (si fa per dire, perché Znaider ieri ha diretto senza podio e bacchetta, non sappiamo se sia una sua abitudine) del Maestro danese guida la Camerata Ducale a inseguire le più varie combinazioni dell’insieme di motivi che formano il tema principale e che ricorrono continuamente, spesso urtandosi e contrastandosi a vicenda per tutto il tempo, illuminando le diverse linee contrappuntistiche, in cui il materiale musicale raggiunge un suo ordine e un suo equilibrio, all’insegna di una superiore armonia che trionfa di ogni contrasto. Così, anche nell’Andante centrale la barra della direzione di Szeps-Znaider tiene saldamente la rotta di una grazia amabile che ha da combattere con forze più oscure, qui rese evidenti dall’abbondanza di cromatismi che caratterizza il movimento. È infine l’inesausta spinta ritmica quello che il Maestro danese mette in maggior risalto nel Finale (com’è noto la Sinfonia Praga conta solo tre tempi, mancando il Minuetto), una sorta di slancio verso mete ignote, che accompagna la gaiezza briosa di questo Rondò. Un Mozart inafferrabile e ambiguo, come sospeso in un mondo espressivo sfuggente e indefinibile, per il quale la luminosa struttura classicistica è più che altro una forma di resistenza di fronte a un che di ignoto e vagamente minaccioso, che si affaccia alla complessa coscienza di questo genio. Questo il Mozart di Szeps-Znaider, ottenuto con una direzione orchestrale sempre attentissima alla cura dei dettagli ritmici, dinamici, timbrici e nella scelta calibrata dei tempi. Grandi applausi del pubblico, che ha salutato con entusiasmo questo gran bel concerto, decisamente da ricordare. 18 aprile 2024 Bruno Busca Presentato ieri al Teatro alla Scala il 33° Festival "Milano Musica" Il 33° Festival Milano Musica denominato quest'anno "L'ASCOLTO INQIUIETO" si svolgerà tra il 23 aprile all'8 giugno 2024. Con oltre 25 appuntamenti: concerti sinfonici e cameristici, musica elettronica e video, teatro di figura e con 7 prime esecuzioni assolute e 11 prime in Italia comprese 1 commissione e 5 co-commissioni di Milano Musica, il Festival si rivela anche quest'anno con un numeroso numero di eventi musicali e anche nell' obiettivo perseguito lungo percorsi molteplici: nell’uso di spazi non convenzionali, il Pirelli HangarBicocca e l’Orto Botanico di Brera; nella scelta e nell’accostamento di repertori e autori, da Schumann a Marco Momi con la prima assoluta del suo Concerto per pianoforte e orchestra con elettronica; nella preferenza per brani che innovano la relazione fra la musica e il pubblico, come i trii e i quartetti per le combinazioni strumentali più originali in prima esecuzione nel Ridotto dei palchi del Teatro alla Scala in occasione dell’inaugurazione. L’arco del Festival si apre martedì 23 e mercoledì 24 aprile con un’anteprima dedicata a giovani e adulti, Tierkreis di Karlheinz Stockhausen nello spettacolo di teatro di figura di Luciano Gottardi, con intermezzi elettroacustici al Teatro Menotti, e si chiude al Pirelli HangarBicocca e al Conservatorio G. Verdi, con due fondamentali lavori di Fausto Romitelli, le cui coraggiose scelte musicali hanno segnato la giovane generazione di compositori a livello internazionale. Nella presentazione di questa mattina, dopo il saluto introduttivo della Presidente di Milano Musica Rosalina Archinto, l'organizzatrice e direttore di Milano Musica Cecilia Balestra ha introdotto il Festival con esaustive parole, delineando i punti di forza della nuova rassegna di musica contemporanea e presentando i numerosi ospiti: il musicologo Franco Pulcini ha anche illustrato la mostra presente in Scala con immagini e documenti dedicati a Luigi Nono, musicista d'avanguardia del Secondo Novecento che in modo evidente si collega alle origini di questa importante rassegna; musicisti come il citato Marco Momi; organizzatori come Mark Madlener, direttore dell' IRCAM di Parigi che ha rimarcato il legame privilegiato tra Milano e Parigi nel sostenere la musica contemporanea. Sono intervenuti anche il direttore d'orchestra Michele Gamba che è entrato in merito al lavoro di Momi; interpreti come il pianista Filippo Gorini che unirà nel suo concerto alla Scala la figura di Schubert a quella di Kurtag. Per finire il consulente artistico Paolo Petazzi è entrato nei dettagli della programmazione del Festival. Anche quest'anno si prevede una forte affluenza di appassionati nei numerosissimi spazi in cui si svolgerà la manifestazione italiana più importante di musica contemporanea. 17 aprile 2024 C.G. L’ ORCHESTRA DA CAMERA DI LUGANO E LA PIANISTA MARIA GLORIA FERRARI AL FESTIVAL CANTELLI DI NOVARA La stagione del novarese Festival Cantelli si è conclusa ieri sera, martedì 16/04, con un concerto al Teatro Faraggiana, che vedeva protagoniste l’Orchestra da Camera di Lugano e la pianista Maria Gloria Ferrari. L’Orchestra di Lugano, di formazione abbastanza recente (2005), è costituita da strumentisti professionisti di giovane età, che vantano tutti significative esperienze in alcune delle più importanti compagini sinfoniche e filarmoniche europee, sotto la guida di prestigiose bacchette. Attualmente l’Orchestra svizzera è diretta dal Maestro Stefano Bazzi, con un ottimo curriculum di studi tra Svizzera e Italia e un’esperienza di notevole spessore su un repertorio assai esteso, dal Barocco alla musica contemporanea. Maria Gloria Ferrari vanta una tappa decisiva del suo iter formativo come pianista in quanto allieva scelta di A. Benedetti Michelangeli. All’attività d’insegnamento presso il Conservatorio G. Verdi di Milano ha accompagnato un’intensa attività concertistica, sia come solista, sia con orchestra, un po’ ovunque in Europa. Di notevole interesse il programma, che aveva un titolo: “Musique avec charme”, dunque una musica che si propone il fascino del suono, delibato anzitutto come fascinosa esperienza sensoriale, come realtà assoluta, proprio in quanto suono. A dare inizio a questo ‘charme’ musicale sono stati eseguiti i “Two Pieces for Small Orchestra”, di Frederick Delius (1862-1934), quello che è forse il compositore inglese del tardo ‘800-primo’900 meno presente nelle sale da concerto italiane, del tutto ingiustificatamente, visto il suo ruolo storico di ‘padre’ tra i più rilevanti della musica inglese di almeno tutta la prima metà del XX sec. nonché la qualità notevole di gran parte della sua produzione. Delius è stato definito “l’impressionista” della musica inglese, una specie di traduzione inglese di Debussy: qualunque cosa s’intenda con questo controverso termine, una volta che dalla pittura lo si trasferisca alla musica, certamente il linguaggio musicale di Delius appare profondamente e, per rimanere in tema con la serata, fascinosamente innovativo, per i tempi in cui la sua attività compositiva si colloca. I “Two Pieces”, composti nel 1911-12, s’intitolano “On hearing the first Cuckoo in Spring” (‘Ascoltando il primo cuculo in primavera’) e “Summer night on the river” (‘Notte d’estate sul fiume’). Proprio questi due brevi pezzi vengono di solito citati come la prova più significativa dell’impressionismo di Delius. In effetti si tratta di brani di struttura assai libera, rapsodica, in particolare il secondo, in cui domina incontrastata un’armonia, molto allargata rispetto a quella autorizzata dal sistema tonale tradizionale, sino ai limiti di leggere, dolci dissonanze, che screziano soprattutto il primo pezzo: un’armonia intesa ormai in senso esclusivamente coloristico-timbrico. Eccellente l’esecuzione dell’Orchestra Svizzera, diretta con impareggiabile maestria da Bazzi nel sottolineare le incessanti fluttuazioni, il continuo gioco di luci e ombre, lo ‘charmant’ variopinto quadro di impasti timbrici sempre cangianti, instabili, incantevoli sino all’estasi, nella ricchezza di armonie di una sottigliezza che la sensibilità e la bravura di Bazzi hanno saputo cogliere e donare a noi ascoltatori, in un’esperienza emotiva e sensoriale molto coinvolgente, velata di un’impalpabile malinconica dolcezza, che è un possibile modo, tra i più suggestivi, di manifestarsi dello charme nella ‘musica’. Iniziatosi in Inghilterra, il viaggio musicale proposto dal programma del concerto di ieri in Francia si trasferiva, con un contemporaneo di Delius, quel Gabriel Fauré, che, pur appartato e indipendente da qualsiasi movimento o scuola del momento, veniva dando anche lui, soprattutto nella musica da camera, il suo bravo contributo all’apertura di nuove prospettive musicali. Di Fauré è stata proposta una composizione orchestrale del 1919, la “Suite per orchestra Masques et Bergamasques” 0p. 112, nella versione originaria in quattro movimenti, che purtroppo esclude l’indimenticabile “Pavane”, aggiunta solo successivamente. È una composizione, diremmo ‘neoclassica’, che rivive, attraverso la forma della Suite di musiche per danza cara al ‘700, con sentimento ora spiritoso, ora malinconico, il mondo del salotto aristocratico di quei tempi, sulla suggestione del ciclo poetico delle “Fetes galantes” del grande poeta simbolista Verlaine, a sua volta ispirato da celebri quadri di Watteau, che col suo pennello aveva immortalato quel mondo. Queste note sono necessaria premessa per comprendere l’interpretazione di Bazzi e dell’Orchestra di Lugano. Nello stacco dei tempi e nel suono richiesto all’orchestra, sempre nitido e preciso, Bazzi crea un’atmosfera di raffinata ed elegante leggerezza, che si declina ora come ritmo briosamente spiritoso, specie nei frequenti richiami a Mozart, appena velato di malinconia nel secondo tema (Ouverture), ora con una vena di sottile umorismo (Menuet), o come puro ritmo, nella sua baldanza giocosa (Gavotte) o infine come lirismo, sempre contenuto entro una classica misura (Pastorale). Notevole, in questa esecuzione, anche l’estrema cura, riservata da Bazzi ai dettagli timbrici, sempre seducenti nella ricchezza e varietà della tavolozza, e dinamici. Restando in Francia, seguiva un pezzo celeberrimo, il Concerto per pianoforte e orchestra in Sol maggiore di M. Ravel. Siamo ormai vent’anni dopo i Two Pieces di Delius, il clima musicale europeo è radicalmente cambiato, all’impressionismo debussyano e non solo si è dato il bando, sia con l’avanguardia viennese, sia con le varie declinazioni del cosiddetto neoclassicismo. In quest’ultimo caso, per il Ravel pianista soprattutto, lo ‘charme’ va cercato nel nitore, nelle pagine limpide e cristalline in cui anche il più arduo virtuosismo si viene sgranando sulla tastiera. L’interpretazione, eccellente, di Maria Gloria Ferrari, scaturisce da un fraseggio elegante e di non grande volume, ma di seducente eleganza, che mantiene intatta la propria pulizia formale anche nei ripetuti glissando e nei vari arabeschi del primo tema dell’Allegramente iniziale o nello scatenato terzo tempo Presto, ove il tour de force virtuosistico del concerto tocca il suo apice. Ma è un fraseggio, quello della Ferrari, di grande sensibilità, rispettoso degli elementi strutturali della partitura, e che interpreta con grande efficacia anche i momenti più melodici del concerto, come il seducente blues ‘gershwiniano’ del primo tempo o, e soprattutto, la cantilena, così apparentemente semplice e così potentemente suggestiva, dell’Adagio assai centrale, in cui il suo tocco delicato e morbido dà voce a quel che di sfuggente è in questo meraviglioso pezzo (‘tecnicamente’ dovuto ad alcune minime sfasature negli accenti di battuta). Al fraseggio si accompagna poi un suono che è l’evidente frutto di un’arte squisita e di uno studio meditato del concerto di Ravel, che sappiamo dalle note di sala essere uno dei suoi autori prediletti (avrà pur contato anche in questo l’essere stata allieva di Benedetti Michelangeli!). È un suono che, duttile nel vario alternarsi delle dinamiche, sa essere di aerea delicatezza in alcuni momenti-chiave, quali la ripresa del secondo tema dell’Allegramente, e soprattutto nel grandissimo Adagio assai, ove il lunghissimo tema affidato in cadenza al pianoforte trova, grazie a quel suono, il ‘volume’ giusto, di dimessa dolcezza, privo di accensioni, quasi piatto e monotono, che è il suono puro della malinconia nella sua quintessenza. Quando poi, dopo l’intervento dell’orchestra, affiorano i timbri del corno inglese e del fagotto, il colore del suono del pianoforte cambia, si fa come vitreo, con un che di irrigidito nella sua cristallina purezza, per poi, ci è parso, quasi dissolversi negli arpeggiati, quasi in un colore liquido che culmina nel trillo finale. Davvero una bellissima interpretazione, di rara finezza e classe nella ricerca espressiva attraverso i suoni. Ovviamente spetta un alto titolo di merito all’ottima riuscita di questo concerto raveliano anche alla valida direzione di Bazzi, che ha sempre tenuto un perfetto equilibrio dei piani sonori, con un intenso dialogo strumentale nelle varie soluzioni timbriche della partitura e nel dialogo costante con il pianoforte. Gli applausi scroscianti del pubblico hanno ottenuto due fuori programma: uno pianistico, chopiniano, uno Chopin di elegante e delicata misura, secondo lo stile della Ferrari; e uno orchestrale, l’Intermezzo della Carmen di Bizet. Gli Amici della Musica di Novara hanno voluto salutare il loro pubblico con un concerto all’insegna della bellezza e dello charme. Sono stati ripagati da grandi, meritati applausi, che sono anche applausi di riconoscenza per la bella musica di cui, anche quest’anno, hanno fatto dono alla città. 18 aprile 2024 Bruno Busca Elisso Virsaladze alle Serate Musicali del Conservatorio Torna puntualmente per Serate Musicali la pianista georgiana Elisso Virsaladze. Dal 1992 è ospite dell'importante società concertistica e sempre ha impaginato programmi diversificati in concerti come quello cui abbiamo assistito ieri sera. Schubert, Brahms, Liszt e Prokofiev sono stati interpretati con una facilità discorsiva tipica di chi ha interiorizzato ogni frangente di brani spesso molto complessi e articolati. I schubertiani Sei momenti Musicali D780 Op.94 hanno introdotto la serata rivelando una leggerezza di tocco mediata da sottili escursioni dinamiche, per una restituzione espressiva e di ottimo valore estetico. Il brano successivo , la Sonata per pianoforte n.1 in do maggiore Op.1 è un lavoro giovanile di Brahms con i classici quattro movimenti che rivelano una costruzione articolata e già costitutiva del linguaggio del compositore amburghese. La Virsaldze ha eseguito questa rarità esecutiva con equilibrio, sicurezza e penetrazione espressiva di eccellente livello. Di romantica valenza estetica nella leggerezza interpretativa i due noti brani di Franz Liszt: prima da Consolations il n.3 Lento placido, quindi da i Tre studi da concerto "Il Lamento". L'ultimo brano del programma, la celebre Sonata n.7 Op.83 "Stalingrado" è probabilmente la più eseguita di Prokofiev, anche per via di quel ritmico Precipitato, ultimo dei tre movimenti che la compongono. La Virsalazde con un'ottima lettura, ha restituito tutte le caratteristiche della geniale musica di Prokofiev, ricca di geometrie, simmetrie e astratte visioni. Un'interpretazione di alto spessore. Applausi sostenuti e due i bis concessi, entrambi di Schubert: prima un breve valzer e poi il celebre ed eccellente brano da Soirées de Vienne, il n.6 "Valse caprice". Splendida serata! 16 aprile 2024 Cesare Guzzardella Alla Scala successo meritatissimo per La Rondine di Puccini diretta da Riccardo Chailly Un successo meritato per La Rondine, commedia lirica in tre atti di Giacomo Puccini su libretto di Giuseppe Adami, presentata alla Scala in una messa in scena curata da Ditlev Rindom nel 2023 che rivela alcune differenze rispetto alla prima edizione del 1917. È un'opera tra il leggero e il drammatico, come risulta nel finale del terzo atto, dove la musica pucciniana è particolarmente piacevole nella genuinità del personalissimo linguaggio del grande compositore toscano, inventore di arie anche leggere, ma non per questo non rilevanti. La sua geniale capacità di armonizzazione, con le ricercate timbriche orchestrali, è stata resa in modo eccellente da Riccardo Chailly, un direttore affascinato dalla musica pucciniana, attento ad ogni dettaglio e ad ogni perfetto inserimento delle voci nella componente strumentale. È un gioiello di raffinatezze melodiche questo lavoro purtroppo eseguito troppo poco rispetto quello che meriterebbe, che trova come riferimento quello ben più celebre di Bohème, per la presenza di numerose situazioni simili. La regia di Irina Brook, supportata dalle originali scene e i coloratissimi costumi di Patrik Kinmonth, dalle luminose luci di Marco Filibeck e dalla valida coreografia di Paul Pui Wo Lee, ci è piaciuta molto, soprattutto per l'ottima sintonia con la musica e i repentini cambiamenti dei personaggi in gioco. L'ottimo cast vocale ha trovato in Mariangela Sicilia, Magda, la voce più convincente, e nella quinta rappresentazione da me vista, anche la più applaudita. Ottimi anche Matteo Lippi in Ruggero, Rosalia Cid in Lisette, Giovanni Sala in Prunier, Pietro Spagnoli in Rambaldo, William Allione in Perichaud e tutti gli altri. Il coro di Alberto Malazzi, di grande potenza espressiva nel secondo atto, è stato come sempre al top. Uno spettacolo decisamente riuscito che avrà ancora una replica il 20 aprile. Da non perdere. (Foto di Brescia e di Amisano -Archivio della Scala) 15 aprile 2024 Cesare Guzzardella A VERCELLI UN GRANDE VIOTTI PER IL BICENTENARIO Ieri sera, sabato 13/04, il violinista e direttore Guido Rimonda con l’orchestra Camerata Ducale, ha degnamente festeggiato, al Teatro Civico di Vercelli, il bicentenario della morte di G. B. Viotti, cui è peraltro dedicata l’intera stagione in corso, con un concerto che proponeva, su tre pezzi, due dei ventinove concerti per violino del grande musicista vercellese: il n. 4 in RE maggiore WI 4 e il n. 28 in La minore WI 28. La serata era poi conclusa da un capolavoro di F. J. Haydn, la sinfonia n. 104 in RE maggiore, Hob I: 104, nota come ‘Londra’. Il Maestro Rimonda ha dedicato alla figura e alla musica di G. B. Viotti studi intensi ed approfonditi, che lo hanno reso uno dei massimi esperti al mondo di questo violinista e compositore che fu tra i più grandi e celebri in Europa tra ‘700 e ‘800, ammirato da geni quali Beethoven e Brahms, ma, abbastanza inspiegabilmente, caduto in un quasi completo oblio dopo la comparsa di Paganini, che pure di Viotti aveva grande considerazione e al Maestro vercellese deve non poco della sua arte. Un oblio cui l’indefessa attività di studioso e di violinista -direttore di Guido Rimonda ha il sommo merito di aver sottratto in questi anni uno dei pochi grandi della musica strumentale italiana dal tardo ‘700 in poi. Sfogliando le pagine dedicate a Viotti in saggi critici e storici, a definire la sua musica compare sovente l’aggettivo ‘accattivante’. In cosa è precisamente accattivante la musica di Viotti? C’è un passaggio nel secondo tempo, Romance, del Concerto n. 4 che ci appare al riguardo particolarmente significativo: il tempo si apre e prosegue per una serie piuttosto numerosa di battute, con una melodia di limpida serenità, in cui si avverte più di un’eco del bel canto italiano dell’epoca. All’improvviso, come un fulmine inaspettato, il violino introduce un tema inquieto, di un pathos piuttosto mosso ritmicamente, con un acuto stridente che spezza quasi brutalmente l’abbandono incantato alla precedente melodia, che, dopo poche battute riprende come nulla fosse accaduto. È questo, secondo noi, il tratto particolare e affascinante del miglior Viotti, questa espressività in fondo ambigua e sorprendente, sospesa tra dolcezza serena del classicismo del pieno ‘700 e brividi d’inquietudine che lo pongono sulla linea di quell’estetica del Sublime, che a fine ‘700 dominava l’arte europea che oggi diremmo d’avanguardia e irraggiava i primi bagliori della sorgente sensibilità romantica. Per rendere al meglio questa musica, le qualità di Rimonda, sia come direttore, sia come violinista, sono pienamente adeguate: dotato di una cavata espressiva ed energica ad un tempo, di un suono puro e ricco di sfumature, di una tecnica di rara perfezione nei vari colpi d’arco e negli effetti che è possibile ottenerne, sino al virtuosismo più arduo, come nella cadenza del Maestoso iniziale, di un fraseggio molto duttile nelle dinamiche, Rimonda ha fornito di questo quarto concerto viottiano un’interpretazione da antologia, assecondata da una Camerata Ducale che ha ormai maturato un suono di raffinata eleganza e sensibilità timbrica, giocata peraltro, in questa composizione, prevalentemente sulla sezione degli archi, essendo i fiati ridotti all’essenziale, con due oboi e due corni. Perfetto, in particolare, il Maestoso iniziale, in cui la solennità del tema d’attacco è temperata da quella eleganza di cui accennavamo poc’anzi, e inciso con precisione è il vario alternarsi dei ritmi, dal canto spiegato ai momenti di più rapida e robusta agogica. Facendo del suo arco un pennello capace di usare al meglio i più diversi colori, Rimonda dà voce tanto al fluire delle melodie più dolci della Romance centrale, quanto alle ombre che in essa affiorano, così come alla vena gioiosa, di vago sapore popolaresco, dell’Allegro finale. Il successivo concerto, il n.28, databile intorno al 1803-4, appartiene al periodo del secondo soggiorno inglese di Viotti. Presenta, a differenza del precedente, un’orchestrazione molto più ricca, con una sezione dei fiati con tutti i legni, cui si aggiungono corni e trombe a due, con una conseguente tavolozza timbrica assai più estesa e varia. Il primo tempo, Moderato, è esemplare di quella ‘poetica del contrasto’, come potremmo definire l’essenza espressiva della musica di Viotti: momenti di intimo ripiegamento espressivo aprono squarci improvvisi in una linea musicale dominante, a carattere assertivo, quasi imperioso. Dopo l’introduzione orchestrale è il violino a reggere il gioco, con energia e sottile ricerca espressiva, peraltro interloquendo con l’orchestra in un gioco timbrico abbastanza vario e raffinato. Il purtroppo breve tempo centrale Andante sostenuto è senz’altro il gioiello di questo concerto: lo avvolge un’atmosfera di cosmica tristezza, che si declina ora come solenne pensosità, ora come pathos venato di intima malinconia, in un flusso melodico che il fraseggio del leggendario violino Noir di Rimonda interpreta con sapienza, coi suoi delicati chiaroscuri, accuratissimo nella calibratura delle dinamiche, puntuale nelle escursioni lungo la tessitura dello strumento, dai registri acuti a quelli più gravi. Senz’altro brioso e gioioso, coi suoi ritmi da danza popolare, come già nel tempo di chiusura del concerto n.8, è il finale Allegretto vivo, dove peraltro il piglio giocoso sembra talvolta come avvolto in un impalpabile velo di malinconia. Un bellissimo concerto, interpretato in modo davvero superbo da un grande Rimonda. Gli scroscianti appalusi del sempre numeroso pubblico ottenevano da Rimonda, come fuori programma, uno dei suoi pezzi di baule Il tema della Marsigliese con variazioni di Viotti. Chiudeva la serata l’ultima sinfonia di Haydn, la 104 , ‘Londra’ , composta nel 1795 subito prima della sua definitiva partenza dalla Gran Bretagna, quando anche Viotti vi trascorreva il suo primo soggiorno, costretto nel 1793 a fuggire precipitosamente dalla Francia in piena Rivoluzione, inseguito da un’accusa, poi dimostratasi falsa, di attività politica filomonarchica: In questi due anni di comune soggiorno in terra britannica Haydn e Viotti si conobbero anche personalmente, presentati dal loro comune ‘mecenate’ Salomon. Al di là dei rapporti personali, ascoltando questa sinfonia di Haydn, sentiamo circolare, pur nelle differenze del linguaggio musicale dei due autori, un’aria comune alla musica di Haydn e di Viotti. Se consideriamo l’Andante della 104, formalmente un tema con variazioni, siamo colpiti da quella ‘poetica del contrasto’ che abbiamo già notato in Viotti, sfruttata dal Maestro di Rohrau in modo senz’altro più radicale: lavorando più sulla trasformazione del tema che sul contrasto tra temi diversi, Haydn spezza la placida serenità del motivo d’apertura con continue sorprese armoniche e dinamiche, con sospensioni improvvise, sino a raggiungere vertici di potente e suggestiva tensione drammatica. È evidente che Haydn e Viotti sono compagni di strada, stanno percorrendo un cammino comune, che porta fuori dal classicismo per approdare a nuove soluzioni espressive che hanno il loro perno nell’imprevedibilità e nella tensione cui è sottoposto il materiale musicale. Ancora una volta, la Camerata Ducale, sotto la guida di Rimonda, offre al pubblico del Civico un’interpretazione inappuntabile di un capolavoro, sottolineandone la tensione dominante già dall’Adagio introduttivo, con un energico gioco di contrasti drammatici tra l’inciso motivico a piena orchestra e i frammenti melodici di violini e fiati. Ottimo il fraseggio, sempre sorretto da un compiuto equilibrio dei vari piani sonori, che scolpisce la tensione dello sviluppo del successivo Allegro e il suo finale placarsi in un clima più sereno. Pregevole lo stacco dei tempi del Minuetto e trascinante il brillante finale su un tema di una ballata popolare croata, il tutto diretto con raffinatezza nella valorizzazione della complessa timbrica del pezzo. Ottima serata di musica, applauditissima da un pubblico come sempre accorso numeroso. 14 aprile 2024 Bruno Busca Il pianista Nobuyuki Tsujii per Grieg, Maggese di Del Corno e Pini Romani di Respighi diretti da Sesto Quatrini Il concerto ascoltato all'Auditorium milanese, denominato "Serate romane", ha visto alla direzione della Sinfonica di Milano il quarantenne romano Sesto Quatrini per tre brani diversi, ma aventi in comune timbriche per alcuni aspetti legati alla mondo paesaggistico. Il Concerto per pianoforte e orchestra in La minore Op.16 di Edvard Grieg, Maggese, recente composizione per orchestra di Filippo Del Corno e il celebre Pini di Roma di Ottorino Respighi, utilizzato anche per il noto film Fantasia 2000 di Walt Disney, attraverso frangenti di efficaci suggestioni coloristiche non possono non richiamare al mondo dell'osservazione. Il noto Concerto op.16 (1868) del norvegese Grieg (1843-1907), ha trovato al pianoforte l'affermato pianista giapponese trentacinquenne Nobuyuki Tsujii, un eccellente interprete già venuto in Auditorium per uno straordinario concerto di Rachmaninov. Ottima l'interpretazione elargita, sia grazie all'espressività della componente solistica che alla decisa direzione di Quatrini, che ha trovato una valida restituzione in ogni sezione orchestrale. Nobu, applaudito con entusiasmo dal numeroso pubblico presente, ha ringraziato il pubblico concedendo ben tre bis: due Pezzi lirici, op.12 n.1 "Arietta" e op.65 n.6 "Wedding day" sempre del compositore norvegese e centralmente,il noto Studio da Concerto n.1 del pianista-compositore russo Nikolai Kapustin eseguito con grinta e chiarezza superlativa. Un'ovazione con applausi interminabili per Nobu. Dopo l'intervallo la Prima esecuzione assoluta di Maggese (2023), recente composizione del milanese Filippo Del Corno (1970) era una commissione dell'Orchestra Sinfonica milanese e della Fondazione Arturo Toscanini di Parma. Il valido brano ci ha rivelato un compositore particolarmente sinfonico. Sono circa 15 minuti d'intensa musica che nascono dopo un lungo periodo - circa otto anni- nel quale il musicista aveva lasciato la composizione per l'impegno politico e amministrativo (Assessore alla cultura) nella sua e nostra città. Un ritorno felice alla composizione con un efficace lavoro che pur nella piacevole titolazione, risente del difficile periodo storico in cui stiamo vivendo. Nella varietà d'articolazione dell'unico movimento, sono riconoscibili quattro parti contrastanti che alternano timbriche forti ed incisive ad altre più tenui, in un complesso di suoni-immagini che ci sembrano adattissime per il mondo del cinema e che hanno un'impalcatura compositiva assai solida con una presenza di una strumentazione molto varia dove risalta una componente ritmico-percussiva. Un lavoro scritto molto bene, di non difficile comprensione e di valida resa emotiva, restituito con chiarezza dalla direzione di Quatrini. Applausi convinti del pubblico agli interpreti e anche al musicista salito sul palcoscenico. L'ultimo brano, Pini di Roma (1924), e diviso in quattro movimenti tanto celebri quanto splendidi, che ci rivelano ancora le abilità del grande Respighi (1879-1936), il più eseguito dei compositori italiani della sua generazione. Pur essendo nato a Bologna, i lavori sono spesso legati a Roma, città dove ha insegnato, dove ha composto le più importanti opere e dove è vissuto a lungo. Respighi ha segnato i primi decenni del Novecento italiano per la qualità compositiva e per l'eccellenza delle sue orchestrazioni. Un'esecuzione di ottima qualità quella ascoltata ieri sera, che ha ricevuto un tripudio di applausi. Domenica alle ore 16.00 la replica certamente da non perdere! 13 aprile 2024 Cesare Guzzardella Il violoncello di Ettore Pagano ai Pomeriggi Musicali del Dal Verme Tre brani molto diversi tra loro hanno impegnato l'Orchestra de "I Pomeriggi Musicali" diretta da James Feddeck. Il primo dell'aquilana Roberta Vacca (1947), denominato Poker Face, per la commissione de I Pomerggi e in prima esecuzione assoluta, ha introdotto l'anteprima di questa mattina. Un lavoro tonale molto sfaccettato nei ritmi e nelle timbriche che ha messo in rilievo le qualità di scrittura dell'affermata compositrice. Un valido lavoro reso bene da Feddeck e dagli orchestrali. Applausi anche alla compositrice salita sul palcoscenico. Il brano più atteso, anche per la presenza del giovane violoncellista Ettore Pagano, era il Concerto per violoncello e orchestra n.1 op.107 di Dmitri Šostakovic. Un capolavoro di pregnanza timbrica reso con espressività da Pagano, un cellista di grande spessore musicale, che ha saputo penetrare la musica del grande russo con timbriche profonde, incisive e di rara efficacia. La lunga Cadenza, un vero movimento tra il Moderato e l'Allegro con moto ha esaltato le qualità dell'interprete. Applausi sostenuti ai protagonisti. L'ultimo brano in programma, la Sinfonia n.4 op.60 di Beethoven è stato ben delineato nei quattro movimenti che lo compongono dalla valida direzione di Feddeck per una energica restituzione dalla compagine orchestrale. Questa sera alle ore 20.00 la prima ufficiale e sabato alle 17.00 la replica. Da non perdere! 11 aprile 2024 Cesare Guzzardella Monica Zhang per la Società dei Concerti Ha solo diciassette anni la pianista milanese Monica Zhang, l'artista in residenza della Fondazione La Società dei Concerti che all'ultimo momento ha sostituito il pianista Yunchan Lim. Un compito non facile, avendo il sud-coreano vinto nel 2022 l'importantissimo "Concorso Internazionale Van Cliburn". Le qualità superlative di Monica hanno comunque soddisfatto il numeroso pubblico intervenuto in Sala Verdi, nel Conservatorio milanese, dopo aver ascoltato un impaginato ricco di brani celebri e virtuosistici. Dal primo Čaikovskij con l'Andante maestoso- Pas de deux da "Lo Schiaccianoci" , nella straordinaria trascrizione di M. Pletnev, la Zhang ha rivelato la sua cifra interpretativa delineata da una tecnica straordinaria, ricca di chiarissimi dettagli e da una sicurezza nell'approccio pianistico da interprete con anni di carriera. Il successivo Liszt, con la celebre Parafrasi da Concerto dal verdiano "Rigoletto", ha ancora consolidato le qualità digitali della pianista e anche il più raro Ginastera delle Danzas Argentinas Op.2 -tre danze con quelle due laterali di un virtuosismo ritmico scintillante- ha dato idea di trovarci di fronte ad un'interprete con potenziali che potranno, nei prossimi anni, formare una personalizzazione espressiva di altissimo livello. Dopo l'intervallo sono stati eseguiti con grande equilibrio e con ottima resa espressiva i celebri Quadri di un'esposizione di Modest Musorgskij. Interpretazione di qualità la sua, specie nei frangenti dove le volumetrie hanno un grande impatto sonoro. Applausi interminabili al termine del programma ufficiale e ben tre i bis concessi dalla pianista con un brano iniziale di Gabriel Fauré e due di F.Chopin. Del polacco ha eseguito prima lo Studio n.1 op.10 e poi la Mazurca Op.33 n.1 . Applausi calorosi dal pubblico presente in Sala Verdi e numerosi mazzi di fiori anche dai compagni di Conservatorio e del Liceo Classico Carducci frequentato dalla bravissima Monica. Grande serata! 11 aprile 2024 Cesare Guzzardella Wolfram Christ e Georgijs Osokins con l'Orchestra UNIMI dell'Università Statale milanese Ieri nell'aula Magna dall'Università Statale, l'Orchestra UNIMI ha trovato la direzione di Wolfram Christ, un direttore d'orchestra che per decenni è stato la prima viola di eccellenti orchestre tra cui la leggendaria Orchestra Filarmonica di Berlino. La più recente attività direttoriale lo ha portato in giro per il mondo. Per l'Orchestra universitaria milanese ha scelto un impaginato tutto beethoveniano con il Concerto n.4 in Sol maggiore Op.58 per pianoforte e orchestra e con la Sinfonia n.8 in fa maggiore Op.93. Il primo brano, il concerto, ha trovato l'ausilio solistico del pianista lettone Georgij Osokins, un interprete di ottima qualità recentemente ascoltato in Sala Verdi in una trascrizione del Concerto n.2 di F. Chopin accompagnato dalla Kremerata Baltica (11 marzo- Serate Musicali) Il Concerto n.4 beethoveniano è stato affrontato con altrettanta discorsività e chiarezza di dettaglio. L'ampio Allegro moderato del primo movimento, con quelle celebri note iniziali solo pianistiche, ha trovato un'ottima resa anche dai giovani strumentisti dell'orchestra UNIMI, compagine universitaria milanese che ha anche quest'anno una valida programmazione con ottimi direttori e solisti. La precisa e incisiva direzione di Wolfram Christ ha permesso di ben rilevare il pianismo di Osokins, ben evidenziato anche nel profondo Andante con moto e nell'esuberante Rondò finale. Applausi sostenuti dal mumerosissimo pubblico intervenuto in Aula Magna, pubblico che in buona parte aveva presenziato all'incontro con gli interpreti, anticipatorio del concerto, in una conversazione con la collega giornalista-musicologa Gaia Varon. Splendido il bis solistico di Osokins con il celebre Carnevale di Venezia in una rivisitazione di Chopin dalle variazioni di Paganini. Dopo la brevissima pausa, valida l'interpretazione di Christ e dell'Orchestra della breve Sinfonia n.8 (1814) , lavoro di "passaggio" tra le ben più celebri Settima e Nona, ma con caratteristiche sempre molto beethoveniane. Ottimo concerto e ancora applausi sostenuti . 10 aprile 2024 Cesare Guzzardella Uto Ughi alle Serate Musicali del Conservatorio Una serata di ottima qualità quella di ieri sera alle Serate Musicali del Conservatorio milanese. È finalmente ritornato il violinista Uto Ughi, classe 1944, ottant'anni compiuti a gennaio. Era in duo con il pianista Leonardo Bartelloni per un programma di brani classici affrontati molte volte nelle decine di concerti tenuti in Sala Verdi, in almeno trent'anni di rapporto continuativo con la nota società concertistica milanese. Per questo, prima dei bis concessi dal Maestro, è stata consegnata a Ughi una targa di ringraziamento "per la sua arte a Milano" a nome di Hans Fazzari, da sempre organizzatore delle Serate Musicali e che purtroppo non ha potuto essere presente. Nella prima parte del concerto un cambio di programma ha visto Ughi e Bartelloni eseguire la celebre Ciaccona di Tomaso Vitali, cui ha fatto seguito l'altrettanto noto cavallo di battaglia del Maestro , il " Trillo del diavolo" ovvero la Sonata in Sol minore di Giuseppe Tartini. Uto Ughi ha ieri espresso, in questi primi due importanti lavori, un livello interpretativo poetico. Coadiuvato da Bartelloni, pianista attento alle volumetrie del violino e perfetto nel sottolineare le inflessioni timbriche di Ughi, il duo ha fornito una prestazione di altissimo livello. Non sono certo le lievi imperfezioni d'intonazione del grande violinista a sminuire una qualità complessiva eccellente dove la profonda espressività della "voce" è emersa in toto, valorizzata dalle armonie pianistiche. Il momento di "a solo" del violino di Ughi al termine del Trillo del diavolo è stato poi entusiasmante per pregnanza espressiva. Dopo l'intervallo, valida l'interpretazione complessiva della nota Sonata in la maggiore del belga-francese Cesare Franck, con frangenti di profonda espressività. Valida anche la parte pianistica, di fondamentale importanza, di Bartelloni, in questo ampio lavoro ciclico. Straordinari i due bis concessi dal duo. In essi un violino intonatissimo e molto espressivo ha fatto emergere i valori musicali sia del brano di Manuel De Falla, con la Danza spagnola n.1 da La vida breve, che di quello di Fritz Kreisler, Schön Rosmarin. Applausi meritatissimi in una sala molto affollata, con un pubblico decisamente soddisfatto. 9 aprile 2024 Cesare Guzzardella I violinisti Houman Vaziri e Agnese Maria Balestracci ai Lieti Calici Due ottimi violinisti, Houman Vaziri e Agnese Maria Balestracci del Quartetto Sincronie, hanno tenuto un ottimo concerto ieri mattina agli Amici del Loggione del Teatro alla Scala di Via Silvio Pellico 6 per la rassegna Lieti Calici. La valida resa interpretativa del duo cameristico è stata sostenuta da una scelta d'impaginato di qualità, con l'esecuzione di autori sia recenti che del passato e con relativi brani che hanno ben delineato la particolarità delle composizioni per "due violini". Al centro del breve concerto, la figura del ligure Luciano Berio (1925-2003) e di dieci duetti per due violini, tra i quasi 40 da lui composti - eseguiti all'inizio e alla fina della mattinata musicale- , hanno rivelato le qualità della sua musica, legata agli stilemi del passato ma anche alla figura di Bartòk e alle opere dei suoi contemporanei. I due interpreti, in un gioco di alternanza delle parti, secondo le modalità della scrittura a canone, tipica della musica seicentesca e settecentesca, hanno intervallato i brevi ma creativi lavori di Berio, dedicati a Bartók, con altri di Georg Philipp Telemann ( 1681 – 1767) , di Jean-Marie Leclair (1697-1764), ma anche di Paul Hindemith (1895-1963), musicista tedesco debitore della musica bachiana e, come il suo geniale connazionale, grande architetto polifonico. Un concerto interessatissimo, presentato bene da Mario Marcarini, e con il gran finale, - dopo il bellissimo bis con la ripetizione del brano più interiore e melodico di Berio e gli applausi sostenuti del numeroso pubblico presente- , del brindisi con eccelsi vini di superlativa qualità. Ottima mattinata. 8 aprile 2024 Cesare Guzzardella Antonio Alessandri in un concerto in Conservatorio per la Fondazione Bracco Il concerto straordinario organizzato dal Conservatorio milanese e dalla Fondazione Bracco ha trovato sul palcoscenico un pianista di 18 anni appena compiuti. Antonio Alessandri, vincitore del "Premio speciale Diventerò" di Fondazione Bracco alla XXXIII edizione del Concorso Pianistico Internazionale Ettore Pozzoli, è un nome già noto nell'area milanese e non solo, avendo già sostenuto concerti in numerose importanti sale della città, e avendo vinto molti Primi Premi in concorsi concertistici internazionali sin da quando era poco più di un bambino. L'impaginato scelto ieri sera, degno di un pianista maturo ed in carriera da decenni, prevedeva brani di Rachmaninov e di Chopin. Ha iniziato con i virtuosistici Etudes-Tableaux op.33 del grande russo e ha continuato con gli Studi op.10 del polacco. Si rimane certamente sbalorditi della sicurezza con la quale esegue brani di grande impegno. La facilità nel superare le difficoltà tecniche è unita ad una qualità espressiva già consolidata e di ottima resa. Alcuni dei celebri Studi chopiniani hanno trovato una rapida articolazione per un equilibrio discorsivo eccellente. Una resa così matura di brani alquanto difficili ha entusiasmato il numerosissimo pubblico presente in Sala Puccini. Applausi fragorosi e un bis ancora di Chopin con lo Studio n.7 op.25 7 aprile 2024 Cesare Guzzardella La pianista Gala Chistiakova a "Il pianoforte in Ateneo" dell'Università Cattolica milanese. "Il pianoforte in Ateneo", la rassegna musicale dedicata al pianoforte, è tornata all' Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Gli organizzatori delle serate musicali, il prof. Enrico Reggiani, direttore dello Studium Musicale di Ateneo e il Maestro Davide Cabassi, pianista-concertista e docente al Conservatorio " G. Verdi" di Milano, hanno portato nella splendida Aula Magna dell'Università milanese la moscovita Gala Chistiakova che con il prestigioso Shigeru Kawai, pianoforte scelto per tutta la rassegna musicale, ha eseguito due celebri lavori di Beethoven (1770-1827) e di Musorgskij (1839-1881): la Sonata op. 27 n. 2 "Al chiaro di luna" e Quadri di un’esposizione. Brani che, come ricordato nella valida introduzione di Enrico Reggiani, non hanno certo bisogno di presentazione in quanto noti anche dal pubblico che non frequenta abitualmente le sale da concerto. La Chistiakova ha rivelato in entrambi i lavori di possedere un carattere particolarmente deciso, delineando strutture musicali ricche di forza espressiva e discorsività fluida nell'esternare ogni sequenza melodico-armonica. L'equilibrio complessivo, sia nella Sonata beethoveniana, sia in quella suite rappresentata dai Quadri, con quel ritorno alternato del celebre tema, è stato valido nel contrasto tra il cambiamento dei tempi e nelle volumetrie timbriche. Un grande successo nella Aula colma di appassionati e la concessione di due splendidi bis da parte dell'ottima interprete: prima di Piotr I. Čajkovskij Meditation op.72 n.5 e quindi di Anatoly Lyadov The Music Box op.32, che hanno rivelato tutte le raffinatezze del pianismo della russa. Il prossimo appuntamento, previsto per il 16 maggio , vedrà al pianoforte il noto interprete Boris Petrushanski con musiche di Mozart, Beethoven e Brahms. Da non perdere! 5 aprile 2024 Cesare Guzzardella La violinista turca Tchumburidze diretta da Bisatti ai Pomeriggi Musicali Brani tutti in Re Maggiore quelli scelti dal giovane direttore Riccardo Bisatti per I Pomeriggi Musicali al Teatro Dal Verme. Ho ascoltato l'anteprima di questa mattina con un programna che prevedeva un capolavoro assai noto di L.v.Beethoven con il suo Concerto in Re maggiore per violino e orchestra op. 61. L'ottima solista era la ventottenne violinista Veriko Tchumburidze. Dopo il breve intervallo una rarità giovanile di Franz Schubert con la Sinfonia n. 3 in Re maggiore D200 concludeva l'mpaginato. Il bravissimo direttore ha mostrato una valida gestualità nel trasmettere con precisione ogni indicazione ai bravissimi orchestrali de I Pomeriggi. Il concerto beethoveniano, splendido sia nei singoli movimenti che nell'insieme, con un grandioso Allegro ma non troppo iniziale, ha rivelato le qualità della violinista turca. Oltre ad una precisissima padronanza tecnica la Tchumburidze emergeva nella bellissima prima cadenza, risolta con straordinaria espressività, così come anche in quella del Rondò finale. Ha colori molto raffinati il violino della Tchumburidze, espressi nella tenue ma producente discorsività. Un equilibrio complessivo ottimo con la direzione di Bisatti. Il direttore ventitreenne novarese ha poi rivelato ancora qualità nella valida Sinfonia di Schubert. Una scrittura ancora non del tutto personale ma con un Allegretto e un Presto vivace deliziosi. Di qualità l'interpretazione. Questa sera alle 20.00 la prima ufficiale e sabato alle 17.00 la replica. 4 aprile 2024 Cesare Guzzardella Successo incompleto per il Guillaume Tell rossiniano di Michele Mariotti e Chiara Muti Un Teatro alla Scala colmo di pubblico ha accolto la quarta rappresentazione - da me vista - del rossoniano Guillaume Tell. Un'opera che da quasi 35 anni non veniva rappresentata in Scala - era il dicembre del 1989- e mai lo era stata nel teatro del Piermarini nella versione francese. Quattro atti particolarmente corposi per quasi quattro ore reali di musica, ai quali si aggiungono tre non brevi intervalli. Alcuni spettatori, i meno appassionati, hanno lasciato il teatro prima, perdendo l'ultimo atto e altri anche il più articolato e contestato terzo atto . Una contestazione rivolta alla regia di Chiara Muti, che se pur con indubbia creatività, ha realizzato una rappresentazione attualizzata ai tristi momenti che stiamo vivendo, mettendo in scena situazioni spesso violente come nei frangenti danzanti del terzo atto, buate da un certo numero di spettatori presenti anche in platea. Valide comunque le motivazioni di Chiara Muti scritte nel completo libro di sala che parte dalla scura messinscena ispirata dal celebre film del 1927 Metropolis di Fritz Lang, che profetizza "l'annichilamento della società e l'umanità automatizzata e asservita al profitto" e "l'uomo ha imprigionato sé stesso erigendo muri di schermi ad accecare il sole". La discordanza tra le splendide musiche dirette con passione e cura di dettaglio da Michele Mariotti - un rossiniano doc, pesarese come Rossini- e le cupe scene di Alessandro Camera, in sintonia con i costumi di Ursula Patzak e le luci di Vincent Longuemare, hanno creato un contrasto estetico che non è piaciuto a molti spettatori. Anche le coreografie originali, articolate e ricche di situazioni, di Silvia Giordano, non hanno trovato apprezzamenti da alcuni del pubblico presente. Ho trovato invece soprattutto il terzo atto meritevole d'attenzione per la complessa dinamica e per nulla astrusa realizzazione. Mariotti è stato al termine della lunga serata il più applaudito, ad iniziare dalla celebre Ouverture che riassume nei temi la particolare vicenda e che ha trovato a conclusione un'ovazione per l'ottima esecuzione. Ma anche il valido cast vocale è piaciuto, ottenendo meritati applausi. L'ultima opera di Rossini, drammatica ma a lieto fine, con gli svizzeri finalmente liberi dal dominio asburgico , è musicalmente diversa dalle altre opere, con molto sinfonismo presente nel corso degli atti, a dimostrazione di una capacità del grande copositore pesarese di realizzare musica non solo legata alla sua più celebre vena lirica. In questo, Mariotti e gli orchestrali scaligeri, hanno dato prova di eccellente duttilità timbrica. Tutti rilevanti i cantanti a cominciare da Michele Pertusi, un Guillaume Tell notevole nella timbrica e nella resa scenica; ottime le voce di Dmitry Korchak, Arnold Melcthal, di Salome Jicia, Mathilde, di Geraldine Chauvet, Hedwige, di Evgeny Stavinsky, Melchtal, di Catherine Trottmann, Jemmy, di Luca Tittoto, Gesler, e degli altri, tutti meritevoli degli applausi ricevuti. Di grande impatto timbrico e di alta qualità il Coro di Alberto Malazzi. Le prossime repliche sono previste per il 6 e il 10 aprile, sempre con inizio alle ore 18.30. Da non perdere. (Prime due foto di Brescia e Amisan- Archivio Teatro alla Scala) 4 aprile 2024 Cesare Guzzardella Ilaria Baldaccini interpreta "Corde e martelletti" di Alessandro Solbiati al Museo del Novecento Un pomeriggio musicale particolarmente interessante quello visto e ascoltato al Museo del Novecento per l'organizzazione di NoMus e del "Quartetto" di Milano. La raccolta di brevi pezzi per pianoforte del compositore milanese Alessandro Solbiati, denominata " Corde e martelletti, cento piccoli pezzi per crescere al pianoforte" ha trovato un valida esecuzione dalla pianista Ilaria Baldaccini. Lei ha selezionato sessanta tra i cento brani dell'originale lavoro del noto musicista. Circa un'ora di musica che ha ben delineato la sequenza di brani dedicati ai giovani studenti di pianoforte, ma che, come per le celebri raccolte pianistiche di Schumann, di Bartok e di altri ancora, hanno una valenza compositiva più importante, che rivela anche le profonde modalità creative dei compositori. Solbiati - come da lui raccontato presentando anche la bravissima Baldaccini- nei brani utilizza il pianoforte a 360 gradi, usando la cordiera, percuotendo lo strumento, modificando le timbriche preparando il pianoforte, e chiedendo all'interprete di usare la voce o fare versi, situazioni che ci hanno riportato alle lontane ricerche di Cage, di Bussotti e di altri compositori del "dopo anni '50" del secolo scorso. Anche quando l'uso del pianoforte è tradizionale, con le mani ben ancorate alla tastiera per chiare e incisive armonie o per semplici note isolate, Solbiati esplora le possibilità timbriche dello strumento con un'articolazione digitale, seppure non difficile in quanto pensata per i più giovani allievi, di particolare interesse compositivo. I brevi pezzi, di una durata compresa tra i venti secondi e il minuto e mezzo, sono un condensato di riferimenti musicali raccontati da una precisa titolazione, come ad esempio: Invenzione sulle corde, Corale con riverberi, Campane a festa , Fischiettando... una serie, Piccola pantomima, Scivolando, Trilli e guizzi, e così via per 100 titoli. Decisamente brava Ilaria Baldaccini nell'aver estrapolato sessanta dei cento brani, in un ordine da lei deciso, per ottenere una sorta di performance musicale-gestuale ben articolata, con frangenti di eccellenti valenze espressive, alternati ad altri dove la gestualità o l'effetto timbrico hanno una maggiore prevalenza. Al termine dell'originale esecuzione i doverosi applausi all'interprete e al compositore non sono mancati dal numerosissimo pubblico che gremiva la panoramicissima e luminosa Sala Fontana del museo milanese. Successo meritato in un pomeriggio musicale che voleva anche presentare l'ottimo Cd uscito nel 2023 per EMA Vinci Records con l'opera completa di Solbiati "Corde e martelletti" nell'ottima interpretazione di Ilaria Baldaccini. 3 aprile 2024 Cesare Guzzardella MARZO 2024 A NOVARA LE ULTIME SETTE PAROLE DI CRISTO IN CROCE DI HAYDN CON IL QUARTETTO IRI DA IRI Ieri sera, Venerdì Santo, a Novara, il Quartetto d’archi Iri da Iri ha eseguito uno dei capolavori della musica religiosa di tutti i tempi, “Le ultime sette parole di Cristo in Croce” op.51 Hob: III di F. J. Haydn. La prima versione di questo lavoro, per soli, coro e orchestra, eseguita per la prima volta nel 1787, venne quasi subito trascritta, già l’anno dopo, con alcune importanti modifiche, per quartetto d’archi da Haydn stesso, che, come è risaputo, attribuiva grande efficacia emotiva alla musica strumentale in chiesa. La composizione, nella sua versione per quartetto d’archi, più snella rispetto a quella per voci, coro e orchestra, è suddivisa in sette ‘sonate’ (così le chiama Haydn stesso, in quanto quasi tutte rispettano lo schema della forma-sonata), tutte in tempo lento e precedute da un’Introduzione, anch’essa in tempo lento e concluse da un pezzo, intitolato “Terremoto”, l’unico in tempo veloce, un Presto .Le sette sonate sono intervallate da brevi frasi in latino tratte dai Vangeli, appunto le ultime sette frasi (‘parole’) pronunciate da Cristo nella sua agonia sulla croce. Realizzando le intenzioni dell’autore, il Quartetto Iri da Iri ha scelto di eseguire le Sette parole in una chiesa novarese, la settecentesca (nell’attuale veste architettonica) S. Andrea, rispettandone integralmente le modalità esecutive, con la lettura, in italiano dei brevi brani evangelici tra una sonata e l’altra. seguiti da un breve commento .Sull’origine del nome dell’ensemble abbiamo recentemente parlato in un articolo del 17 marzo, e ci esimiamo dal ripetere quanto già detto. Precisiamo solo che il quartetto d’archi è formato da Anna Molinari e Tea Vitali, violini, Lara Albesano, viola, Lucia Molinari, violoncello, tutte giovani diplomate e perfezionate negli studi dei rispettivi strumenti, seguendo corsi di formazione rigorosi e con un’esperienza concertistica ormai significativa. Il giudizio su questa esecuzione non può che essere ampiamente positivo: il quartetto Iri da Iri è stato infatti pienamente all’altezza di un’opera di grande valore, complessa sia sotto il profilo tecnico, per la presenza di un fitto contrappunto, sia per i profondi valori espressivi che lo contraddistinguono. Tutte e quattro le parti dell’Iri da Iri hanno suonato con perfetta intonazione, con un suono chiaro e preciso, con impeccabile intesa, con un fraseggio ispirato da una cura rigorosa dei dettagli dinamici, essenziali in quest’opera. Un compito particolarmente gravoso, e assolto con risultati eccellenti, toccava al violoncello, cui era richiesta una particolare energia e intensità nel volume del suono, in quanto rappresentava l’unico basso in una composizione che tende a gravitare su una sonorità cupa e scura, tanto che alcuni quartetti scelgono di rafforzare il violoncello, trasformandosi in quintetti, con l’appoggio di un contrabbasso, soluzione peraltro non autorizzata da Haydn: ebbene, la qualità del suono cavato da Lucia Molinari per volume e proiezione non ha fatto rimpiangere certo il rinforzo del contrabbasso. In generale Le sette ultime parole di Cristo ascoltate ieri sera hanno colpito gli ascoltatori (che hanno riempito la chiesa), per il pathos, profondo, ma contenuto da una forma musicale di classico nitore, e sostenuto da una linea espressiva alimentata da un suono, in particolare nelle sette sonate, sussultante, a tratti quasi sospirato, di una delicatezza sovente sfumata in pianissimi di eterea levità, di potente carica suggestiva. I momenti in cui questo ‘pathos sospirato’ si sono impennati in una più accentuata tensione drammatica hanno visto generalmente il primo violino come strumento protagonista, come nel primo tema dell’Introduzione, dove Anna Molinari ha dato alla sua arcata una forza espressiva di alto impatto emotivo o come nella cadenza solistica della sonata IV, dove il suono del violino sembra ricreare con efficacia l’atmosfera di desolato abbandono e solitudine di Cristo sulla Croce, a commento delle parole di Marco “Deus meus, Deus meus, utquid dereliquisti me?” Tutta l’opera, come abbiamo detto, nell’ora circa della sua durata, ha incantato ed emozionato il pubblico, ma se vogliamo indicare i momenti in assoluto più alti, citeremmo le ultime tre sonate: la V, la “sonata della sete” che segue la parola di Cristo “sitio”, “ho sete”, coi delicatissimi pizzicati degli archi all’unisono, seguiti dal tema dell’invocazione drammatica; la VI, il “Consummatum est” dove il sol minore diventa davvero la ‘tonalità della morte’, con il suo primo tema scandito su cinque note lunghe in cui risuonano con tensione indicibile le cinque sillabe della frase; la VII, infine, col suo meraviglioso tema principale, di esaltante serenità, col quale, alla fine del dramma della passione, Gesù morente affida il suo spirito al Padre. Le quattro bravissime strumentiste dell’Iri da Iri hanno offerto di questi altissimi momenti di straordinaria musica un’interpretazione pienamente adeguata, che ha emozionato e commosso il pubblico, che ha tributato loro un meritatissimo, torrenziale applauso. Davvero, da ricordare. 30 marzo 2024 Bruno Busca Le Sonate per violino e fortepiano di Mozart con Isabelle Faust e Alexander Melnikov per il "Quartetto"L'impaginato mozartiano scelto dalla violinista tedesca Isabelle Faust e dal fortepianista moscovita Alexander Melnikov prevedeva quattro sonate: la K481, la K296, la K303 e la K380. Siamo abituati ad ascoltare Mozart con gli strumenti moderni, il pianoforte evoluto dei nostri giorni e i violini che, seppure spesso d'epoca, tendono ad adeguarsi alle sonorità anche voluminose dei pianoforti. Tra i vantaggi dei pianoforti recenti c'è certamente la maggiore resa volumetrica, che fa percepire le sonorità nelle grandi sale da concerto anche a chi si trova a notevole distanza. Ai tempi di Mozart i luoghi della musica erano però più raccolti, il clavicembalo e il fortepiano erano tra gli strumenti a tastiera più diffusi, e naturalmente il pensiero musicale dei compositori si formava con le timbriche più discrete di questi due strumenti. I due eccellenti interpreti che abbiamo ascoltato ieri sera in Sala Verdi per il "Quartetto" hanno voluto ritrovare le timbriche che verosimilmente erano quelle di maggior uso ai tempi di Mozart e dai suoi contemporanei. Il fortepiano, gentilmente concesso dalla collezione di strumenti d'epoca di Fernanda Giulini, ha permesso queste più autentiche interpretazioni Dalle prime note della Sonata n.33 in mi bem. maggiore K481 abbiamo riscoperto un Mozart diverso: raccolto, interiorizzato e restituito da una timbrica unitaria più "antica" che nascondeva una gamma infinita di colori sapientemente espressi dalle armonie del fortepiano storico di Melnikov e dalle sottili enunciazioni melodiche della Faust, una coppia di strumentisti integrati perfettamente in un unicum di grande valore estetico. Rilevanti tutte le quattro sonate con momenti di grande riflessione nei movimenti centrali delle tre maggiori, mentre per la più breve, la Sonata n.20 in do maggiore K 303, in due soli parti, l' Adagio era posto all'inizio. Una resa complessiva che ha pienamente soddisfatto il pubblico presente in Conservatorio. Interpreti visibilmente soddisfatti e un bis concesso con lo splendido Tempo di minuetto, movimento centrale della Sonata in mi minore K304. Concerto splendido! 27 marzo 2024 Cesare Guzzardella La chitarra di Manuel Barrueco è tornata alle Serate Musicali del ConservatorioRicordando lo splendido concerto tenuto dal grande chitarrista Manuel Barrueco nel maggio 2022, siamo tornati a riascoltarlo ieri sera in Conservatorio, ancora per l'organizzazione di Serate Musicali. Un impaginato altrettanto diversificato e ottimamente progettato attendeva il Maestro con brani di Negri, Galilei, Bach, Sor, Harrison, Tàrrega e Turina, più alcuni anonimi della tradizione più antica. Come avevamo già sottolineato, si rimane stupiti della completezza melodico-armonica di questo strumento a sei corde che abbisogna di un ascolto adeguato; dove l'attenzione dell'ascoltatore deve andare incontro ai volumi contenuti della cassa armonica per comprenderne la ricchezza delle timbriche. Manuel Barrueco, chitarrista cubano tra i più noti virtuosi di questo strumento, eccelle per raffinatezza di colore. Oscar Chilesotti ha trascritto alcuni brani di danza anonimi, ma anche Bianco fiore di Cesare Negri (1535-1604) e il Saltarello di Vincenzo Galilei (1525-1591). Brani spesso per liuto, che trascritti per chitarra conservano ancora quelle timbriche antiche che Barrueco ha perfettamente restituito con il suo armonioso strumento. La splendida Suite per liuto n.3 in la minore BWV 995 di J S. Bach (1685-1750) ha trovato poi un'esemplare interpretazione nelle sei corde del chitarrista cubano. Le atmosfere spagnole del compositore-chitarrista Fernando Sor (1778-1839) sono quindi arrivate con il Grand solo op. 14 ( versione D. Aguado), un lavoro perfetto formalmente ed espresso con destrezza armonica e nitore timbrico da Barrueco. Il brano successivo ci ha portato al Novecento di Lou Harrison (1917-2003) con cinque brani tra cui Serenado por gitaro, Music for Bill and me, Sonata for Ishartum e le Serenade Air e Round. Brani scritti molto bene per la chitarra, di non difficile ricezione. Gli ultimi brani dell'impaginato erano di Francisco Tárrega (1852-1909) e di Joaquín Turina ( 1882-1949). Trent'anni separano le date di nascita dei due compositori spagnoli, il primo anche chitarrista e il secondo pianista. Diverse modalità stilistiche si riscontrano nei due lavori proposti: il primo, di Tárrega, era il Capricho Árabe, particolarmente celebre nei modi tipici ottocenteschi delle sue timbriche spagnole; il secondo, di Turina, era la più corposa Sonata in re minore op.61, nei classici tre movimenti Allegro, Andante e Allegro vivo . È un brano proiettato nelle modalità stilistiche novecentesche, ma ispirato dal flamenco andaluso per una sorta di fantasia particolarmente riuscita nelle influenze delle timbriche spagnole. Interpretazioni di rara qualità, apprezzate dal pubblico presente, con numerosi giovani amanti e/o praticanti della chitarra. Tre i bis concessi, due danze antiche le prime e nel finale il Fandanguillo di Torroba. Applausi calorosi. 26 marzo 2024 Cesare Guzzardella Recital di Rosa Feola al Teatro alla Scala Ieri sera Rosa Feola ha ottenuto un meritatissimo successo al Teatro alla Scala. Il soprano, nata a San Nicola la Strada in provincia di Caserta, aveva l'eccellente sostegno strumentale del pianista romano Fabio Centanni, in un repertorio che includeva brani di Rossini, Martucci, Respighi, Debussy, Mozart e Donizetti. Nella prima parte della serata alcuni brani erano rarità di grande valore, quali i Tre pezzi op. 84 di Giuseppe Martucci o i Quattro rispetti toscani di Ottorino Respighi, anticipati dalla Regata veneziana di Gioachino Rossini e conclusi con l'intenso Azael, Azael perche mi hai lasciata, dall'Enfant prodigue di Claude Debussy. L'ottima timbrica della Feola ha trovato precise armonizzazioni da Centanni, calibrate in ogni registro per sostenere ogni sottile inflessione coloristica della voce. Di maggiore frequentazione i brani della seconda parte del recital con un' aria dal Don Giovanni di Mozart, Don Ottavio, son morta! Qui la Feola, coadiuvata dal tenore Haiyang Guo, allievo del corsi di perfezionamenti scaligeri, ha esternato maggiormente tutta la sua intensità vocale con grande abilità anche attoriale. A seguire sono state eseguiti Bel raggio lusinghier da Semiramide di Rossini e Regnava nel silenzio da Lucia di Lammermoor di Donizetti, entrambi ancora indicativi delle qualità del grande soprano. Le capacità interpretative di Centanni le abbiamo rilevate anche nei due brani per solo pianoforte, eseguiti nei momenti di riposo della voce di Feola: prima il pregnante Debussy con Poissons d'or, dalla seconda serie di Images e poi l'efficace e graziosissimo Petite caprice ( in stile Offenbach) dai Péchés de vieillesse di Rossini. Applausi calorosissimi in un teatro gremito di pubblico e tre bis concessi dalla Feola con Quando men vò soletta per la via da Bohème, A' vucchella di F.P. Tosti e Signore ascolta da Turandot. Voce eccellente e soprano visibilmente soddisfatto. 25 marzo 2024 Cesare Guzzardella A Musica Maestri! la giovanissima Martina Meola Musica Maestri!, la Stagione concertistica dei docenti e degli studenti vincitori di premi del Conservatorio milanese, ha ospitato in Sala Puccini la pianista Martina Meola. Nata nel novembre 2012, non ha ancora dodici anni e ha vinto il premio per I Giovani Talenti categoria H. Il non breve concerto era abbinato ad un incontro importante con il CUAMM- Medici con l'Africa, un gruppo di volontari che sostengono la formazione del personale sanitario, finanziando la borsa di studio per un medico referente per l'ospedale statale Rumbek in Sud Sudan. La sala, colma di pubblico, ha ascoltato con attenzione Martina in un impaginato assai diversificato, che prevedeva brani di Schumann, Beethoven, Chopin, Liszt e Granados. Un pianismo perfetto nella classicità di brani importanti quello ascoltato, con alcuni lavori corposi come il Tema con variazioni sul nome Abegg op.1 di Schumann o la Sonata n.17 op.31 n.2 "La tempesta" di Beethoven. Brani piu brevi come lo Studio n.1 op.25 o il Valzer op.64 n.2 di Chopin o il delizioso Piccolo Valzer di Puccini, dalla Bohème ( aria di Musetta). D'incredibile virtuosismo il Liszt della Rapsodia ungherese n.11 o il Granados dell'Allegro da concerto op.46. Tra i bis concessi da Martina, il Valzer Op.64 n.1 di Chopin o il Sogno d'amore di Liszt. Si rimane davvero sbalorditi per l'avanzato livello interpretativo della giovanissima Meola, che studia in Conservatorio con la docente Silvia Limongelli: insegnante che ha il non facile compito di dare indicazioni ad un'allieva così talentuosa! La pregnante restituzione della Sonata beethoveniana, la facilità di esternazione della Rapsodia di Liszt o dell'Allegro di Granados, la trasparenza timbrica di tutti i lavori, rivelano doti naturali di una pianista dalle risorse già eccezionali, che certamente daranno molti frutti durante la sua crescita musicale. Pubblico entusiasta ed applausi calorosi a Martina - graziosissima nel suo abito bianco - , che ha ricevuto i complimenti anche dal direttore del Conservatorio di Milano "G. Verdi" Massimiliano Baggio , salito sul palcoscenico insieme a un rappresentante del CUAMM. Questo a sua volta ha ringraziato un giovane medico, Alberto, che è stato lo scorso anno in Sud Sudan a formare altri medici (per sostenere l'attività del CUAMM, si può versare un bonifico con causale "PMB3 Rumbek_FORMAZIONE Erogazione liberale" Banca Popolare Etica IBAN: IT 32C 0501812101 000011078904 www.mediciconlafrica.org ). Un concerto magnifico e importante! 25 marzo 2024 Cesare Guzzardella IL VIOLINO DI SERGEJ KHACHATRYAN ILLUMINA IL VIOTTIFESTIVAL DI VERCELLI Ieri sera, al Teatro Civico di Vercelli, la ventiseiesima stagione del ViottiFestival, che coincide con il bicentenario della morte del grande musicista vercellese, ha avuto come protagonista uno dei più affermati violinisti della ‘generazione degli anni 80’, l’armeno Sergej Khachatryan, balzato nel 2000 agli onori della cronaca musicale internazionale col primo premio al Concorso Sibelius e definitivamente consacrato cinque anni dopo dal Concorso Reine Elisabeth di Bruxelles (l’equivalente per il violino di ciò che è il van Cliburn per il pianoforte) , come uno dei più importanti violinisti del nostro tempo. Il programma della serata, dedicata doverosamente al ricordo di Maurizio Pollini, lo vedeva solista nel primo dei due pezzi proposti, uno dei più celebri ed eseguiti in assoluto tra i concerti per violino e orchestra, quello di Beethoven in Re maggiore op.61. Ad accompagnare il solista era, come d’abitudine, l’Orchestra Camerata Ducale diretta da Guido Rimonda: dalla collaborazione tra direzione orchestrale e solista è nata un’interpretazione di questo capolavoro beethoveniano che riteniamo di poter annoverare tra le migliori da noi ascoltate negli ultimi anni, un’interpretazione capace di dare voce suggestiva ed emozionante al clima espressivo di questa partitura, fondato su uno stretto rapporto dialogico tra solista e compagine orchestrale, con tutta l’infinita gamma di sfumature ritmiche, timbriche, dinamiche, cui esso dà luogo. Ovviamente in primo piano è stata la prova di Khachatryan, alla sua prima esibizione a Vercelli. Dire che il trentottenne violinista armeno domina senza problemi le numerose parti virtuosistiche previste dalla partitura, non solo nelle due cadenze dei tempi esterni, e in particolare nel finale Rondò, è, ormai, dire nulla, poiché tutti i violinisti delle ultime generazioni in genere possiedono un completo controllo dei mezzi tecnici, grazie all’avanzato perfezionamento della didattica dello strumento nei Conservatori di tutto il mondo. Il valore di un violinista, come di qualsiasi altro solista, si giudica dalla capacità di mettere il proprio bagaglio tecnico al servizio di un’interpretazione, di un ‘esplorazione delle potenzialità espressive del pezzo eseguito. Ebbene, non esitiamo a definire ‘carismatica’ l’interpretazione del concerto di Beethoven offerta ieri da Khachatryan. Sfruttando al massimo il suono particolare del suo Guarneri del Gesù “Ysaye” 1740, umbratile e sensuale, il violinista armeno ha creato atmosfere timbriche di estrema raffinatezza, a cominciare da quella incantata sospensione lirica con cui ha subito catturato le menti degli ascoltatori nella riesposizione del tema principale dell’Allegro ma non troppo iniziale, cavando dal registro più acuto un suono di eterea finezza. Nella lunga linea melodica, quasi dolcissima cantilena, in cui a un certo punto si trasforma il tema principale del Larghetto centrale, Khachatryan esibisce le migliori qualità del suo fraseggio: intonazione perfetta, un’articolazione delle singole frasi che è pura bellezza, precisione assoluta per le più sottili variazioni timbriche, sensibilità per le dinamiche e le varie ombreggiature del suono, con arcate sempre intese ai valori espressivi, screziate da un vibrato misurato e amabile. Un suono, in generale, quello di Khachatryan, che, pur non ignorando certo momenti di potente energia (tra tutti, l’attacco del primo couplet del finale Rondò, ma in generale l’intero terzo movimento), si distingue prevalentemente per un che di intimistico, di dolcemente suadente, talora come avvolto da sottilissime velature, ma che sa farsi raggio di luce cristallina nei trilli, negli arpeggi e nei vari abbellimenti, frequenti in questo concerto in tutti e tre i tempi, tra i quali indimenticabile il lungo trillo che sembra illuminare il morbido panneggio dei fagotti e dei clarinetti, nella ripresa del secondo tema della seconda esposizione dell’Allegro d’apertura. Insomma: la ricerca interpretativa ed espressiva di Khachatryan valorizza al massimo l’ideale d’intimismo espressivo che è il centro d’ispirazione di questo concerto beethoveniano, senza tuttavia rinunciare a quegli ‘scatti’ e illuminazioni improvvise che rivelano come una corrente di sotterranea energia, del resto evocata alle soglie del concerto dalla misteriosa pulsazione dei timpani. Dal podio Rimonda ha guidato la Camerata Ducale in un dialogo costante, preciso ed efficace con il solista, sempre sostenendo con coerenza la sua linea interpretativa: di particolare bellezza gli impasti timbrici, soprattutto nelle tinte delicate ottenuta dai legni, e ottimamente gestite le dinamiche, soprattutto quelle più intimistiche e ‘ in sordina’: un esempio da antologia di entrambi questi elementi della direzione di Rimonda è stata l’introduzione all’Andante, coi suoi archi in pianissimo, seguiti dalla delicata pennellata di clarinetti e fagotti, un momento di musica eseguito con suggestiva finezza e gran classe. I torrenziali applausi del pubblico assiepato al Civico ottenevano un lungo fuori programma, banco di prova del vertiginoso virtuosismo di Khachatryan: non abbiamo identificato con sicurezza l’autore del pezzo, azzardiamo Ysaye. A seguire, e concludere la serata, di Luigi Cherubini, la Sinfonia in Re maggiore Parc 54. Nell’impaginato del concerto la presenza di Cherubini richiama quella di Viotti, compensandone, in un certo senso, l’assenza: contemporaneo del grande vercellese, Cherubini fu anche legato a lui da stretti rapporti di amicizia; anzi, la sua decisione, nel 1788, di lasciare per sempre l’Italia per trasferirsi a Parigi, si deve anche all’invito di Viotti, che nella capitale francese lo aveva preceduto sette anni prima. Si aggiunga che entrambi i musicisti italiani godettero dell’ammirazione di Beethoven, e si comprenderanno bene le ragioni del programma di questo concerto. Questa sinfonia, a parte quelle d’opera, è l’unica composta da Cherubini, nel 1815. Amata da Schumann, che paragonava Cherubini addirittura a Dante (?!), caduta nel più totale oblio nel secondo ‘800, venne riscoperta nel 1935 e da allora, pur non godendo di vasta popolarità, è entrata abbastanza stabilmente nei repertori delle orchestre, non solo italiane. Nei canonici quattro tempi, mostra una qualche apertura al classicismo viennese, in particolare ad Haydn., accanto a cui convivono sprazzi di chiara reminiscenza dell’opera comica napoletana tra Cimarosa e Paisiello. Al di là dei modelli e dei riferimenti, sempre opinabili, all’ascolto questa sinfonia di Cherubini presenta una sua notevole originalità, che ne fa senz’altro l’albero più frondoso e maestoso del povero, limitato orticello del sinfonismo italiano nell’età d’oro del classicismo austro-tedesco. Tale originalità è ben colta e interpretata da Rimonda, come sempre impeccabile nell’eleganza del suono, nello stacco dei tempi, nella cura meticolosa di dinamiche e timbriche in cui peraltro raramente la partitura crea impasti tra archi e fiati, preferendo in genere sfruttarli a blocchi separati . Rimonda mette in pieno risalto quella che, in definitiva, è la caratteristica dominante di questa sinfonia: il suo ‘strano’ ritmo, il continuo contrasto tra temi e motivi e stati d’animo opposti, sottolineando la singolarità di una architettura che non ha termini di paragone nella musica dell’epoca: invece di sviluppare i temi, Cherubini li frammenta, inserisce spunti secondari, frasi indipendenti, giustappone motivi eterogenei, ora solenni, ora grotteschi, ora ironici, ora percorsi da un brivido d’inquietudine. Affascinante ne risulta il Minuetto, con il singhiozzo dei suoi accenti sincopati e con un Trio intermedio, che, per il modo in cui lo esegue Rimonda, potrebbe ricordare la giocosa leggerezza di Bizet, in cui lampeggia a tratti la divertita malizia di un Rossini. E, a voler azzardare un paragone, la spavalda e trascinante vitalità del Finale Allegro assai par quasi anticipare qualcosa dei Davidsbundler schumanniani (forse proprio qui stanno le ragioni dell’ammirazione di Schumann per Cherubini). Una pregevole esecuzione, che ci ha fatto venir voglia, tornati a casa, di togliere dal dimenticatoio in cui l’avevamo confinata sugli scaffali più remoti della nostra personale discoteca e riascoltarla, dopo tanti anni, questa strana, amabile sinfonia. Un’ altra, bella, interessante, memorabile serata al Civico di Vercelli: ma ormai, serate così, al ViottiFestival, non si contano più… (Foto in alto Ufficio Stampa di Vercelli) 24-03-24 Bruno Busca Il concerto de I Pomeriggi Musicali, ricordando Maurizio Pollini Ho riascoltato volentieri il concerto diretto da Alessandro Cadario per I Pomeriggi Musicali, per riassaporare sia l'ottimo Beethoven che la bravura del pianista Emanuele Arciuli, alle prese con l'avvincente Concerto per pianoforte e orchestra " Luminary" del compositore thailandese Narong Prangcharoen, un lavoro di particolare resa, la cui anteprima di giovedì 21 è stata già da me commentata. La triste notizia, diffusasi immediatamente, della scomparsa del grandissimo Maurizio Pollini (5 gennaio 1942- 23 marzo 2024), che ci ha lasciato questa mattina a 82 anni, ha purtroppo connotato la giornata. Pollini è sempre stato un punto di riferimento del concertismo pianistico, che con lui ha trovato il modo migliore per un'efficace condivisione del repertorio classico, grazie ai suoi amatissimi Beethoven, Chopin, Schubert e ai compositori del Novecento da lui privilegiati, come Stravinskij, Bartok, Schönberg, Stockhausen, Nono. Pollini ha dato meravigliosi concerti per oltre sessant'anni nelle sale della nostra città e soprattutto nel suo amato Teatro alla Scala dove ha voluto suonare fino all'ultimo, anche quando la malattia gli rendeva faticosa la tastiera. Oggi, alla replica pomeridiana del concerto de I Pomeriggi Musicali, dopo l'annuncio iniziale della scomparsa del Maestro,il direttore Cadario e i Professori d'Orchestra, unitamente a tutto il pubblico in piedi, lo hanno omaggiato con un minuto di silenzio. Dopo l'ottima interpretazione del valido concerto di Prangcharoen,eseguito ancora una volta molto bene, Emanuele Arciuli ha voluto ricordare personalmente Pollini eseguendo come bis uno dei lavori più cari al grande pianista, i Sei pezzi op.19 di Arnold Schönberg. Lavori brevissimi ma intensi, di cui Arciuli ha dato un' ottima resa estetica. 23 marzo 2024 Cesare Guzzardella Alessandro Cadario ed Emanuele Arciuli con I Pomeriggi Musicali per un concerto di Prangcharoen L'interessante impaginato ascoltato questa mattina all'anteprima dei concerti de "I Pomeriggi Musicali" prevedeva brani di due compositori, L.v. Beethoven e il thailandese Narong Prangcharoen (1973). Alla direzione dell'orchestra c'era Alessandro Cadario, rinomato direttore sia dei grandi classici che del repertorio contemporaneo. I noti lavori del genio tedesco erano l'Ouverture "Le creature di Prometeo", eseguita ad introduzione del concerto, e la Sinfonia n.7 in la maggiore op.92, elargita al termine. Centralmente, in Prima esecuzione italiana, il Concerto per pianoforte e orchestra "Luminary" di Prangcharoen ha visto come solista Emanuele Arciuli, un esperto nel settore contemporaneo, sempre alla ricerca di novità interpretative come la riuscita composizione del thailandese. Il corposo brano di oltre venticinque minuti è stato realizzato nel 2016 e dedicato al maestro del compositore, il pianista Bennett Lerner. È un unico lungo movimento dove però si riconoscono tre parti: quella centrale più lirica in contrasto con la dinamicità di quelle laterali. La forza espressiva di questa suggestiva opera, sorretta da una solida impalcatura dal carattere narrativo, rimane impressa per il ruolo incisivo, spesso percussivo del pianoforte, perfettamente integrato con l'evidente sinfonismo orchestrale altrettanto acceso. Non mancano i frangenti più meditativi, come quelli della parte centrale o nelle brevi cadenze pianistiche. Arciuli ha sostenuto la non facile parte solistica con grande precisione nelle scansioni ritmiche, spesso una miriade di note ribattute volte a sostenere la tensione drammatica accentuata. L'esemplare resa complessiva del solista, unitamente all'ottima sinergia con la direzione di Cadario e la valida resa espressiva di ogni sezione orchestrale, ha generato un successo entusiasmante nel numeroso pubblico presente al Dal Verme, pubblico che ha applaudito a lungo un brano che si spera possa trovare altre esecuzioni in Italia nei prossimi anni, cosa non scontata per gli autori contemporanei. Di ottima qualità sia il Beethoven introduttivo dell'Ouverture che la celebre Settima Sinfonia, resa ancor più interessante dall'eccellente espressività dello scultoreo Allegretto. Questa sera alle ore 20.00 la prima ufficiale e sabato alle 17.00 la replica. Da non perdere! 21 marzo 2024 Cesare Guzzardella Il Festival Strings Lucerne e il violino di Leia Zhu per la Società dei Concerti Gli straordinari colori della compagine strumentale "Festival Strings Lucerne" sono emersi nel notevole impaginato scelto per il concerto organizzato dalla "Società dei Concerti". L'Orchestra d'archi - ieri sera di sedici strumentisti - è stata fondata nel 1956, ed è tra le migliori formazioni di livello internazionale. Maestro concertatore dal 2012 è Daniel Dodds, dal 2000 anche primo violino. Il brano introduttivo, la Novelletten n.1 in fa maggiore op.53 per archi, una rarità di N.W. Gade, ha introdotto la serata rivelando da subito lo spessore della compagine orchestrale. La parte centrale della serata ha riservato un ospite d'eccezione quale la giovane violinista Leia Zhu. Non ancora diciottenne, era stata già ospite della Società concertistica nel 2018. Impegnata prima nel Concerto per violino e orchestra d'archi in re minore di Mendelssohn e poi nella celebre La campanella- dal Concerto n.2 di Paganini-, la britannica Leia Zhu, coadiuvata in maniera eccellente dai sedici archi, ha rivelato una musicalità di primo livello, esternando una leggerezza di tocco straordinaria, unitamente ad incisività e cantabilità. L'ottima esecuzione del concerto mendelssohniano ha visto successivamente un'eccellente resa solistica nella brillante La campanella, dove la chiarezza del fraseggio e la solida struttura complessiva dei tre movimenti, hanno ritrovato l'elemento virtuosistico con una resa d'apparente facilità d'esecuzione. Le intonazioni perfette della Zhu, anche nei più impervi sopracuti, realizzati con evidente nitore espressivo e la bellezza delle timbriche hanno portato ad un tripudio di applausi. Eccellente il bis solistico concesso, con il celebre Capriccio n.24 di Paganini, quello di maggiore lunghezza per via delle numerose variazioni sul noto tema iniziale. Ancora applausi sostenuti. I potenziali migliori dell'orchestra d'archi si sono poi rivelati nell'ultimo brano in programma. La Serenade in do maggiore op 48 di Čajkovskij è un gioiello compositivo assoluto, dove l'equilibrio delle quattro ampie parti che compongono questo capolavoro, travano un'evidente bellezza nelle melodie di ogni movimento, dall'Andante non troppo, allo strepitoso Valse moderato, all'Elegia e al Finale con il tema russo. Il perfetto equilibrio era controllato dalla straordinaria orchestrazione del violinista-direttore Dodds, e la chiarezza dei dettagli è stata di grande rilevanza estetica. Applausi sostenuti dal pubblico presente in Sala Verdi e un valido bis interpretato con profonda espressività: Evening Song op.85 n.12 di Robert Schumann nella riuscita trascrizione di J. Svendsen. Eccellente serata! 21 marzo 2024 Cesare Guzzardella Il pianista Axel Trolese per "Musica con le ali" al Museo della Scala Ieri, nel tardo pomeriggio, un nuovo appuntamento musicale realizzato dall'associazione "Musica con le ali" si è svolto nella Sala Esedra del Museo Teatrale alla Scala. Il terzo incontro dello splendido "Salotto Musicale" milanese, ha visto un giovane valido interprete al pianoforte quale Axel Trolese, ventiseienne di Genzano (RM), che ha offerto un programma di brani all'insegna del virtuosimo, iniziando con J.S.Bach (1685-1750), passando per Isaac Albéniz (1860-1909), arrivando a Maurice Ravel (1875-1937) e concludendo con Aleksandr Skrjabin (1872-1915). Il Concerto Italiano BWV 971 del grande genio sassone ha rivelato la sicurezza digitale di Trolese nell'imprimere un taglio deciso e chiaro alle polifonie bachiane. I brani di Albéniz, dal libro terzo di Iberia, con i tre lavori El Albaicín, El Polo e Lavapiés, sono di raro ascolto e di straordinaria difficoltà esecutiva e rappresentano una specialità del pianista che ha già inciso in Cd tutta la serie. Le valide esecuzioni hanno rivelato ancor più le doti virtuosistiche di Trolese nell'esprimere con chiarezza anche le più impervie dissonanze che sono presenti, specie nel terzo pregnante lavoro. Il brano successivo, più celebre del precedente e molto eseguito nelle sale da concerto, Gaspard de la nuit, del grande compositore francese, è stato eseguito, senza soluzione di continuità, con Vers la flamme“ op. 72, opera di straordinaria realizzazione del compositore russo. Una scelta motivata da Trolese per l'effettiva consonanza coloristico-timbrica delle due importanti composizioni realizzate nello stesso periodo storico, specie con il conclusivo Scarbo della prima grande opera. Ottima la discorsività complessiva dei due lavori, ben delineati dal voluminoso pianoforte Steinway & Sons, che ricordiamo essere appartenuto a Liszt dal 1883 e da alcuni anni utilizzato per i concerti del Museo scaligero. Applausi calorosi in una Sala Esedra colma di appassionati. Di profonda espressività il bis concesso da Trolese, visibilmente soddisfatto, con il primo, semplice ma profondo brano tratto da Musica Callada del catalano Frederic Mompou (1893-1987) e denominato Angelico. Ancora calorosi applausi. Il prossimo incontro per "Musica con le ali" in Sala Esedra è per l'8 aprile con la pianista Monica Zhang che eseguirà brani di Beethoven, di Liszt e di Mussorgskij. Da non perdere. 20 marzo 2024 Cesare Guzzardell aAlessandro Deljavan alle Serate Musicali del Conservatorio milanese Per la seconda volta ospite di Serate Musicali, il pianista abruzzese Alessandro Deljavan ha voluto impaginare un programma tutto dedicato a Chopin. I 24 Studi, tra Op.10 e Op.25, sono stati anticipati da due Improvvisi, l'Op. 29 e l'Op.36, e le due serie di dodici studi inframmezzati dall'Improvviso op.51. È uno Chopin particolare quello del noto pianista trentasettenne di origine italo-persiane, certamente di qualità e personale nell'estrema sintesi discorsiva che fa sembrare i numerosi brani appartenenti ad un unico lavoro unitario. Deljavan ha indubbiamente le idee chiare su come rendere il suo Chopin. La sua gestualità, spesso chiarificatrice delle sue intenzioni, lo porta a definire le timbriche in modo delicato, senza eccessi, con modalità espressive molto interiorizzate e trasparenti nel rilevare frangenti discorsivi nei diversi piani sonori, in un gioco di armonie prevalenti rispetto il canto, che pur riconoscibile, è sempre legato ad una concezione unitaria del tessuto armonico. Momenti di straordinaria raffinatezza sono emersi negli Improvvisi e nella maggior parte dei celebri Studi. Il pubblico, purtroppo non numeroso, presente in Sala Verdi, ha assai apprezzato l'interpretazione del noto pianista che ha concesso come bis due splendide Mazurke, l'Op.67 n.2 e l'Op.17 n.2 del grande polacco, eseguite con incredibile profondità estetica. Uno Chopin di grande qualità quello di Alessandro Deljavan. 19 marzo 2024 Cesare Guzzardella L’Orchestre Sorbonne Université e Giulia Rimonda per il Concerto op.35 di Čajkovskij all'Università degli Studi milanese L’Orchestre Sorbonne Université, formata da un centinaio di allievi ed ex allievi della titolata Università parigina, è stata ospite, all'Università degli Studi milanese, dell'Orchestra Unimi per un concerto guidato dal direttore argentino Nicolás Agulló. Agulló, da alcuni anni dirige il COSU ovvero il Chœur & Orchestre - Sorbonne Université. L'impaginato comprendeva due importanti lavori, il primo, tra i più popolari internazionalmente, era il Concerto per violino in Re maggiore op. 35 di Ciaikovskij, il secondo, meno frequentato ma estremamente importante, la Sinfonia n. 7 in Re minore op.70 di Antonín Dvořàk. Protagonista del concerto del grande compositore russo è stata la violinista Giulia Rimonda, formatasi nell'ambiente musicale della Camerata Ducale vercellese di Guido Rimonda e con specializzazioni con importanti violinisti del calibro di Shlomo Mintz, Pavel Berman e ancora altri. Il Concerto op.35 di Čaikovskij, composto tra il 1878 e il 1881, inizialmente non ottenne il successo che meritava, oggi è invece quello tra i più eseguiti dai virtuosi di fama mondiale. Presenta un primo movimento, Allegro moderato, particolarmente corposo, sviluppato, ricco di melodie e che sempre al termine dell'esecuzione, strappa gli applausi del pubblico, come è avvenuto anche ieri. Il movimento centrale, Canzonetta. Andante, di soave espressività, è direttamente collegato all'Allegro vivacissimo, un finale che mostra ancora le qualità virtuosistiche di ogni interprete. Giulia Rimonda, coadiuvata da un'eccellente compagine orchestrale formata da giovani universitari, quasi tutti studenti del Conservatorio parigino, ha elargito con nitore espressivo, splendido vibrato e incisività, ogni dettaglio del celebre capolavoro, rivelando una comprensione totale dell'intenso sfaccettato brano in una convincente visione d'insieme. Eccellente la direzione di Nicolás Agulló, attento ai rapporti tra componente orchestrale e volumetrie del solista. La Rimonda ha poi concesso un ottimo bis bachiano, l'Allemande dalla Partita n.2 per violino solo, eseguito con maestria nella sua profonda espressività. Applausi calorosi nell'Aula Magna universitaria al completo. Di rilevante spessore l'interpretazione della successiva Sinfonia n.7 del composiore ceco. Lavoro del 1885, è tra le più interessanti costruzioni architettonico-musicali di Dvořák, anche se meno eseguito e meno popolare della celebre Sinfonia n.9 "Dal nuovo mondo". La complessità dei quattro movimenti, con il noto e più orecchiabile Scherzo vivace, terzo movimento, è stata affrontata con abilità da ogni sezione orchestrale e il direttore argentino ha trovato, mediante il suo gesto discreto e producente, una restituzione ottimale. Applausi calorosi e come bis il finale dello Scherzo. Bravissimi! 18 marzo 2024 Cesare Guzzardella Eleonora e Beatrice Dallagnese a Palazzo Marino per i Ritratti Musicali Avevamo ascoltato le sorelle Dallagnese recentemente nella Sala Esedra del Museo Teatrale alla Scala e questa mattina non ci siamo fatti sfuggire un altro loro concerto, in un luogo altrettanto prestigioso quale Sala Alessi di Palazzo Marino. L'iniziativa era inserita nella rassegna " Ritratti Musicali" abbinata alla splendida mostra di Giovan Battista Moroni ancora in corso nelle vicine Gallerie d'Italia. Le ventitreenni sorelle Eleonora e Beatrice hanno ancora una volta dimostrato le loro straordinarie qualità musicali in un programma per metà variato rispetto la scorsa volta. I Six Morceaux op.11 di Sergej Rachmaninov, opera giovanile del russo per pianoforte a quattro mani ascoltata al Museo scaligero, è stata anticipata da uno Schubert doc per pianoforte a quattro mani, con due brani celebri quali la Fantasia in fa minore D 940 e Lebensstürme, Allegro in la minore D 947. La concordanza delle Dallagnese nell'esprimere in maniera unitaria i due maturi lavori del grande viennese si è rivelata dalle prime note. La resa espressiva, attraverso variazioni dinamiche sottili, incisività di colore nei giusti frangenti, e leggerezza discorsiva molto viennese, hanno definito un'interpretazione di alto livello per entrambi i lavori. Notevole, forse ancor più del primo ascolto scaligero, i bellissimi Morceaux del grande russo, e di ottima resa discorsiva ed espressiva il bis concesso dal primo movimento di Petruska di Igor Stravinskij. Applausi calorosissimi nella Sala Alessi stracolma di appassionati. Una manifestazione complessiva di grande successo! 17 marzo 2024 Cesare Guzzardella VENTO FRANCESE ALL’AUDITORIUM DEDALO DI NOVARA Ieri sera, sabato 16 marzo, l’Auditorium della Scuola di musica Dedalo di Novara ha ospitato un concerto dedicato a composizioni per quintetto di fiati (flauto, oboe, clarinetto, fagotto, corno) soli o con pianoforte, tutte di autori francesi della prima metà del ‘900 e ricordiamo che in francese i nostri strumenti a fiato sono ‘Instruments à Vent’, da cui il titolo della serata. L’organico strumentale era formato dalla sezione fiati dell’Ensemble Iri da Iri, in residence a Novara, presso la Scuola Dedalo. ‘Iri da Iri’ è citazione colta, dantesca per la precisione, dall’ultimo canto della Divina Commedia, quello in cui, al termine del suo viaggio ultraterreno, Dante ha la visione del divino : ‘Iri, è forma antica per ‘iride’, l’arcobaleno e allude alla bellezza infinita della musica, arcobaleno straordinario di suoni, emozioni, sentimenti, che come i colori dell’arcobaleno si dispongono in una magica, luminosa architettura di echi, di corrispondenze misteriose e sublimi, come la visione del divino nel poema cosmico di Dante. I cinque dell’ensemble erano Alessandra Altini (flauto e ottavino), Francesca Alleva (oboe), Marco Sorge (clarinetto), Gianmarco Canato (fagotto), Elisa Giovangrandi (corno). Si tratta di giovani intorno ai trent’anni, salvo il più anziano Sorge, che hanno compiuto una ricca e qualificata esperienza di studi musicali in importanti istituti in Italia e in Europa, con una già ampia attività concertistica di buon livello sia in ambito orchestrale ( alcuni di loro hanno suonato in orchestre come La Filarmonica della Scala, la Filarmonica di S. Cecilia, L’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai) , sia in ambito cameristico o solistico. Da segnalare il curioso quartetto di soli ottavini, fondato da Alessandra Altini, Alt®e Frequenze, uno dei più originali quartetti, crediamo, attualmente in Italia. Al pianoforte sedeva Elena Brunello, il cui curriculum di concorsi ha il suo momento culminante nel secondo premio ottenuto nel 2012 all’International Piano Competition di S. Pietroburgo, e anche le sue esibizioni solistiche, cameristiche e in orchestra sono decisamente significative. Il primo soffio di vento francese è stato il Divertissement op.6 per pianoforte e quintetto di fiati (1906) di Albert Roussel (1869-1937). Figura piuttosto defilata nel vivacissimo panorama della musica francese d’inizio ‘900, Roussel ne è in realtà uno degli esponenti più interessanti e originali e questo breve pezzo ne è una testimonianza, come sintesi molto personale, di neoclassicismo, fauvismo alla Stravinsky, ma con qualche anno d’anticipo, e ‘impressionismo’ debussyano’. L’ensemble Iri da Iri ha offerto, di questo gioiellino musicale, un’interpretazione di alta qualità, mettendone in evidenza il ritmo agile e brillante, soprattutto nell’Animé iniziale, e toccando il vertice della suggestione musicale nelle sonorità evanescenti del Lento centrale e nel lunare Animando finale. Finissima la cura dei dettagli timbrici, essenziale per una partitura di Roussel, in particolare del terzo tempo, ove i limpidi passaggi del pianoforte nei registri acuti della tastiera (ottima la performance di Brunello) si intrecciano con il fraseggio ampio , ma rarefatto e sospeso ai limiti di un incantato silenzio, dei fiati, trai quali il flauto e il corno conferiscono un colore ‘in sordina’ particolarmente efficace: davvero un arcobaleno sonoro di potente suggestione, che ha strappato applausi meritatissimi da parte del pubblico. La seconda ‘ventata’ è arrivata con un notissimo pezzo di Ravel, di poco posteriore al Divertissement di Roussel, ‘Ma mère l’oye’ (1908). È noto che il brano, composto originariamente per pianoforte a quattro mani, fu poi trascritto per orchestra dallo stesso Ravel. Ieri ne abbiamo ascoltato una versione abbastanza celebre, per quintetto di fiati, opera di Joachim Linckelmann. Anche questa seconda composizione ha visto i fiati di Iri da Iri raggiungere livelli intrepretativi di notevole valore, con un panneggio sonoro ottimamente curato e smagliante, sia nella raffinatezza timbrica e nella gestione delle dinamiche, sia, più in generale, nell’esprimere quell’incantevole atmosfera fiabesca e sottilmente ironica a un tempo che è la peculiarità di questo capolavoro di Ravel. I momenti più alti di questa esecuzione sono stati a nostro parere il primo movimento, ‘La Pavane de la Belle au bois dormant’, dove il lungo tema è stato suonato con una dolcezza e una malinconia struggente eppure alleggerita dalle oculate e intelligenti dinamiche e dalla trasparenza del suono dei cinque fiati, compresi quelli gravi (corno e fagotto) e l’ultimo, ‘Le jardin féerique’, in cui il graduale trapasso dalla sommessa sonorità iniziale all’esplosione timbrica conclusiva è stato condotto con estrema precisione e incisivo disegno dei vari impasti timbrici di volta in volta selezionati dalla partitura. Dobbiamo osservare, en passant, che, non certo per colpa dei bravissimi strumentisti, questa trascrizione per soli fiati è inadeguata a rendere al meglio una delle parti più belle de Ma mère l’oye, il terzo tempo, Laideronnette, nella sua meravigliosa evocazione dei gamelan orientali, per la quale i soli fiati non sono sufficienti nel loro peculiare apporto timbrico, sicché va inevitabilmente perduto uno dei momenti musicalmente più suggestivi dell’intera composizione. L’impaginato proponeva quindi un breve brano di Jacques Ibert (1890-1962), i Trois pièces brèves per quintetto di fiati. (1930). Caratteri dominanti dello stile di Ibert sono la limpida chiarezza delle strutture e la sapienza costruttiva: il vario gioco dei timbri appare subordinato allo scopo di dare rilievo alla precisione delle forme. Questo aspetto caratterizzante della musica di Ibert è emerso con evidenza dall’interpretazione del quintetto Iri da Iri, che ha sfoggiato un’eleganza e trasparenza di suono ottimamente calibrate, pur non rinunciando ai momenti più brillanti, in particolare il vivace ritmo danzante della seconda sezione dell’Allegro iniziale. Da ricordare il duetto, che occupa gran parte dell’Andante centrale, tra flauto e clarinetto, per la morbidezza del clarinetto e la fulgida chiarezza di suono, specie nel registro alto, del flauto. Il concerto si chiudeva con un pezzo, anch’esso celebre, di Francois Poulenc, il Sextet per pianoforte e quintetto di fiati FP 100 (1932-1939). È nota la predilezione che Poulenc dimostrò sempre per gli strumenti a fiato, nella cui variegata sonorità trovò una ‘voce’ ideale per esprimere il suo mondo musicale, sempre mutevole, instabile e contraddittorio. Di questo mondo musicale il Sextett FP 100 si può ritenere quasi un manifesto, ancora una volta eseguito e interpretato molto bene dall’Ensemble Iri da Iri, a proprio agio sia con le sonorità delle parti più ‘motoristiche’ e trascinanti del pezzo, come il tema principale dell’Allegro vivace iniziale, un impasto di neoclassicismo stravinskyano nei suoi momenti più spumeggianti e di musica jazzistica, sia con quelle dei momenti di più ripiegata e quasi dolorosa cantabilità, come, sempre nel primo tempo, la sezione centrale. Ma un po’ ovunque c’è in questo pezzo, come in moltissimi altri lavori di Poulenc, questo strano contrapporsi di euforico e gioioso abbandono a ritmi vorticosi, di sapore ora burlesco, ora aggressivo, e di zone di andamento melodioso-cantabile: il che significa continuo mutare di ritmi, timbri, dinamiche, tonalità. I giovani di Iri da Iri dominano questo incandescente e complesso materiale musicale con assoluta padronanza e con fine sensibilità. Per i singoli apporti ci pare giusto qui citare la bellissima cadenza del fagotto, con una voce cupa e senza speranza, che apre la sezione centrale del primo movimento, e il subito successivo intervento del pianoforte, che disegna con fraseggio delicato e di notevole intensità espressiva, la dolorosa melodia cantabile della sezione centrale. Oppure la dolcezza intrisa di indefinita tristezza con cui l’oboe suona il suo tema nel Divertissement Andantino centrale, un tema che è una citazione dal Mozart della sonata per pianoforte KV 454 in Do maggiore. Bel concerto, applauditissimo, con un programma intelligente e raffinato, che promette bene per questa nuova stagione di musica da camera della Dedalus, che va sempre più affermandosi come un altro polo importante della vita musicale novarese .Gli applausi scroscianti di un pubblico che ha riempito ogni posto dell’Auditorium non hanno ottenuto alcun petit cadeau: il concerto è finito senza bis, ma questo nulla toglie, ovviamente, all’apprezzamento per una prestazione davvero di alta qualità. 17 marzo 2024 Bruno Busca PER I SABATI DEL CONSERVATORIO DI NOVARA IL PIANOFORTE A QUATTRO MANI DI MOZART CON IL DUO G. BELLORINI-G. CUCCO I pianisti Giuliano Bellorini e Giuliano Cucco hanno formato un duo che, da circa vent’anni, ha avviato una nutrita attività concertistica in Italia e non solo, nel cui repertorio occupano un posto di primo piano le composizioni per pianoforte a quattro mani di W. A. Mozart, che i due Maestri hanno anche inciso in vari CD. Bellorini, all’attività concertistica, in coppia con Cucco o come solista o in formazioni cameristiche e con orchestra, affianca anche l’attività di compositore, di raffinato musicologo e di insegnante, presso il Conservatorio G. Verdi di Milano. La fama che gli deriva da tali molteplici attività è rafforzata dalle sue frequenti partecipazioni a trasmissioni radiofoniche di argomento musicale di Rai radio tre. Giuliano Cucco è pianista affermatosi in vari importanti concorsi italiani e internazionali e con un’ampia attività di concertista; attualmente insegna presso il Conservatorio Cantelli di Novara. Bellorini e Cucco, i protagonisti del concerto ascoltato ieri pomeriggio, sabato 15/03, presso l’Auditorium Olivieri del Cantelli, hanno presentato un programma monograficamente impaginato su due sonate per pianoforte a quattro mani e una sonata per due pianoforti di Mozart. La serie è stata inaugurata dalla Sonata a quattro mani in Si bemolle maggiore Kv 358, composta da un Mozart ancora diciottenne nel 1774, ad uso personale suo e della sorella Nannerl, con la quale allora Wolfgang formava un duo pianistico ‘fisso’, in occasione di ricevimenti e serate musicali. L’interpretazione di Ceccherini e Cucco ci pare abbia puntato su due obiettivi: in primo luogo l’abile sfruttamento della tecnica a quattro mani che caratterizza questa sonata, sottolineandone il carattere ‘dialogico’ che, superando il più o meno rigido alternarsi o sottomettersi di un pianista all’altro, proprio delle sonate a quattro mani dell’epoca, affiora qua e là e s’impone particolarmente nell’Allegretto grazioso finale, in cui gli elementi motivici che compongono il tema principale passano da un pianista all’altro, con sorprendenti effetti timbrici. La seconda caratteristica dell’interpretazione di Bellorini e Cucco è quella di portare in primo piano quello che è forse il carattere più originale di questa sonata, in cui lo stile galante alla Johann Christian Bach, allora dominante, con le sue frasi bilanciate ed equilibratamente melodiche, i suoi eleganti ornamenti, è spezzato nei due tempi esterni da un tono assertivo e da ritmi puntati che Bellorini e Cucco interpretano con la dovuta energia, e ancora una volta, con una notevole finezza di giochi timbrici. Fin da questa prima esecuzione emerge la grande omogeneità e unità che lega i due interpreti, essenziale per una buona riuscita di un pezzo a quattro mani sul pianoforte. Molto bello, nella sua pulizia e trasparenza, anche il tocco, dei due pianisti, sia sui registri medio-alti (Bellorini), sia su quelli bassi (Cucco) A seguire, il programma proponeva all’ascolto la sonata per quattro mani in Fa maggiore Kv 497 (1786). Opera di un Mozart ormai nel pieno della sua maturità, è considerata il capolavoro mozartiano nel genere: essa porta a compimento quel carattere ‘dialogico’ della sonata a quattro mani che nella ‘salisburghese’ Kv 358 era appena abbozzato. L’interpretazione di Bellorini e Cucco, fondendo in una perfetta unità d’intenti l’apporto di due diversi pianisti, crea un fraseggio di squisita fattura, molto efficace nei contrasti dinamici e timbrici, anche plasticamente evidenziati dagli incroci, talora quasi stupefacenti per il perfetto sincronismo nei movimenti dei due interpreti. La tecnica superba di Bellorini e Cucco ci restituisce una Kv 497 che ormai non ha più nulla dello stile galante degli esordi di Amadè, come subito si annuncia nel colore livido delle prime battute dell’Adagio introduttivo, e nella complessità contrappuntistica o nei mossi, quasi drammatici contrasti dello sviluppo dell’Allegro iniziale, eseguito conferendo nitida trasparenza alle linee contrappuntistiche, o ancora, facendo affiorare, in certe sfumature dei momenti melodicamente più intensi dell’Andante centrale, precorrimenti schubertiani, intendiamo dello Schubert del tardo stile delle ultime sonate per pianoforte. A questa ottima esecuzione seguiva infine, a chiudere il concerto una sonata per due pianoforti la Kv 448 (1781) in Re maggiore: la coppia Bellorini-Cucco diventa propriamente un duo, termine che, a voler fare un po’ i pedanti, è precisamente riservato ai due pianisti che suonano su due pianoforti distinti. I due pianoforti, rispetto al pianoforte a quattro mani, ovviamente, aumentano assai il volume del suono e quindi offrono possibilità di sviluppo dialogico e di arricchimento della tavolozza timbrica. Dal punto di viste dello stile, dire che il tema principale dell’Allegro con spirito iniziale è tratto di peso da una composizione di J.C. Bach è già indicare una precisa scelta da parte di Mozart nella direzione dello stile galante, che in effetti lascia la sua impronta in tutta la sonata. In effetti la Kv 448 si può intendere come un estremo omaggio di Mozart a un musicista al quale guardò sempre con stima e ammirazione, anche quando la sua ricerca musicale lo portò ad a approdare ad un linguaggio musicale che con quello del figlio del grande Johann Sebastian Bach non aveva più nulla da spartire. Il merito dell’interpretazione offerta da Bellorini e Cucco consiste a nostro avviso nella riuscita sintesi tra la gaia leggerezza, la festosa brillantezza sonora del pezzo e la valorizzazione di ciò che di più creativamente mozartiano questo brano presenta: lo sviluppo a fondo del dialogo concertante tra i due pianoforti. Un’interpretazione, pertanto, che cura con meticolosa precisione l’equilibrio tra le due parti pianistiche, l’intreccio delle sezioni, l’efficace sfruttamento delle sonorità nei vari registri della tastiera, dando la giusta trasparenza, con la pulizia del fraseggio, alla limpida architettura dell’insieme, caratteristica di fondo della musica mozartiana, ciò che fa del cigno di Salisburgo il classico della musica per eccellenza. Naturalmente non possiamo non esprimere il nostro apprezzamento anche per il virtuosismo che in questa pagina mozartiana è subito presente con lo spumeggiare di arpeggi, volate, trilli, agilità varie con cui si apre, come un festoso sipario, la sonata; e che il duo di bravissimi pianisti esegue con olimpico dominio della tastiera; un virtuosismo che le scelte metronomiche di Bellorini e Cucco per i tempi esterni, piuttosto sostenute, contribuisce non poco ad esaltare. Gli applausi prolungati del pubblico, che, come sempre ormai, da qualche anno stipava l’Auditorium Olivieri, hanno indotto i due interpreti a regalare un fuori programma: il primo tempo della sonata per pianoforte a quattro mani, naturalmente di Mozart, Kv 381 in Re maggiore, petit cadeau molto gradito, ancora una volta, per l’alta qualità dell’esecuzione. 16 marzo 2024 Bruno Busca Per la prima volta le composizioni di Toscanini all'Archivio di Stato di Milano La rassegna Musica in Archivio, che si svolge in via Senato a Milano dallo scorso anno, ha proposto un breve ma interessantissimo concerto dedicato a Toscanini compositore. Pochi sanno che il celebre direttore d'orchestra Arturo Toscanini si dedicò, negli anni giovanili di studio, anche alla composizione di romanze su testi poetici, come era in uso in quel periodo storico che dall'ultimo ventennio dell'Ottocento arriva fino alla prima guerra mondiale. Nell'introduzione all'ascolto dei brani in programma, di particolare interesse sono stati gli interventi di Annalisa Rossi, Soprintendente Archivistico e Bibliografico della Lombardia e Direttore dell'Archivio di Stato milanese, di Marina Vaccarini, musicologa, e di Monica Cattarossi, pianista e docente di Musica da camera presso il Conservatorio "G.Verdi" di Milano. La Rossi ha presentato i giovani interpreti, che frequentano corsi di perfezionamento al Conservatorio; la Vaccarini è entrata nello specifico della figura di Toscanini direttore e compositore, illustrando la documentazione della mostra realizzata in una stanza dell'Archivio (manoscritti, spartiti, fotografie e articoli di giornali dell'epoca) . La Cattarossi ha presentato i dieci brani per canto e pianoforte che sono stati eseguiti insieme alla Berceuse per pianoforte solo. L'unicità dell'iniziativa ha prodotto poco più di trenta minuti di splendida musica realizzata da Fabio Bossi al pianoforte, Miwa Kuroda, soprano, e Lian Wang, tenore. I due eccellenti cantanti si sono alternati nell'esecuzione dei brani: il Canto di Mignon ha subito rivelato la potenza vocale della Kuroda, giapponese, laureata in canto lirico all'università di Osaka, dotata di perfetta intonazione e di notevole controllo dinamico; nel secondo brano, Desolazione, è emersa sin dalle prime note la superlativa voce tenorile di Wang, cinese, laureato all'Università di Nanchino. La bellezza timbrica, unitamente alla precisa intonazione in ogni registro e all'elegante portamento della possente voce, ha permesso la valorizzazione del lavoro toscaniniano. La Kuroda ha poi interpretato con passione i brani V'amo, Il pescatore, Sono sola e Son Gelosa; mentre Wang ha cantato Primo bacio, Autunno, Fior di siepe e I baci. Tutte di grande valore le interpretazioni dei giovani cantanti, che hanno davvero saputo emozionare il pubblico presente. Bravissimo il pianista, che non solo ha accompagnato il canto con matura sensibilità, ma ha anche eseguito la Berceuse, brano originale sul versante melodico-armonico, con ottima espressività. Una vera sorpresa è anche la qualità compositiva del grande direttore che, oltre alla capacità di forgiare interessanti melodie, trova abilità di costruzione armonica di alto livello. Peccato che dopo il compimento del ventiquattresimo anno d'età, nel 1891, Toscanini cessò di dedicarsi alla composizione, impegnandosi solo nell'attività che lo rese famoso, la direzione d'orchestra. Un piacevolissimo "concerto-gioiello", ben organizzato dalla responsabile del progetto musicale dell'Archivio, la pianista e docente Silvia Leggio. Applausi meritatissimi. 14-03-2024 Cesare Guzzardella Il pianista Ingolf Wunder alla direzione dell'Orchestra Maderna per la Società dei Concerti Il pianista Ingolf Wunder, nella veste anche di direttore d'orchestra e di compositore, ha condotto l'Orchestra Maderna in un programma particolare che prevedeva prima Mozart, poi Wunder ed infine Beethoven. Ospitato in Sala Verdi dalla Società dei Concerti, Wunder alla direzione e al pianoforte, ha iniziato con il Concerto in do maggiore K 467 per pianoforte e orchestra del grande salisburghese, lavoro celebre soprattutto per l'Andante centrale, movimento di esemplare equilibrio formale e di straordinaria bellezza nelle semplici e intense note del pianoforte. La valida interpretazione complessiva ha trovato proprio nel delizioso movimento centrale il frangente più toccante. A seguire, la composizione dello stesso Wunder, denominata A dream of a better tomorrow - con l'autore nella veste solo di direttore- ha interessato circa dieci minuti del concerto. Il brano tonale, ha un introduzione particolarmente interessante nelle timbriche dei registri più bassi degli archi. Elementi melodici più ritmatici e tradizionali subentrano subito dopo, in un complessivo strumentale ben costruito con rapidi cambiamenti dei centri di riferimento e con situazioni coloristiche vicine alla musica da film. Un buon lavoro che è stato ben eseguito dai bravissimi orchestrali della formazione di Forli, fondata nel 1996 e attiva nei classici e nei contemporanei. Applausi calorosi. Dopo il breve intervallo, l'ottima esecuzione della Sinfonia n.7 in la maggiore op.92 di L.v.Beethoven ha rivelato le qualità della compagine orchestrale e una valida direzione di Wunder incentrata su una scelta interpretativa con andature spedite, come nell'incisivo Allegro con brio finale, con le ultime battute ripetute anche nel bis. Applausi calorosi. 14 marzo 2024 Cesare Guzzardella Gidon Kremer, la Kremerata Baltica e Osokins alle Serate Musicali Il ritorno del violinista lettone Gidon Kremer e della sua Kremerata Baltica, la compagine cameristica da lui fondata nel 1997, è sempre molto atteso per la qualità superlativa che la formazione offre e per l'impaginato vario e moderno, che trova sempre momenti dedicati alla musica dei nostri giorni, spesso con prime esecuzioni. Ieri sera si è ascoltato una specie di "doppio concerto": dopo le performance di Kremer insieme alla Kremerata, si è creato un clima differente, con il giovane e virtuoso pianista lettone Georgijs Osokins (1995) che ha concluso il programma ufficiale con il Concerto n. 2 in fa minore op. 23 di Chopin. I tre brani che hanno anticipato l'esibizione di Osokins - tutti tipici da "Kremerata" - erano due prime esecuzioni italiane, inframmezzate dalle celebri Las Cuatro Estaciones Porteñas di Astor Piazzolla, arrangiate per violino e archi da L.Destatnikov. Il primo lavoro, dedicato a Gidon Kremer, era Pages of a Biography per violino, vibrafono e archi, del lituano Georgs Pelĕcis (1947), di Riga, concittadino di Kremer. È un brano corposo di particolare interesse, scritto con un linguaggio tonale raffinato e fitto di riferimenti al passato. L'intreccio di temi costruiti su melodie anche folcloristiche e il riferimento a importanti concerti solistici per violino del passato ( il concerto di Beethoven, di Sibelius), in una sorta di pastiche, dove le singole parti, spesso identiche ai lavori originali, vengono ricucite magistralmente con le timbriche originali di Pelĕcis, determina una rilevante composizione, pacata, ricca di spunti discorsivi, dalla valenza quasi paesaggistica, con unità espressiva di straordinaria fattura. Esecuzione di altissimo livello per la Kremerata, e parti solistiche di Kremer, e non solo, eccellenti. Le celebri Stagioni di Piazzolla, brani straordinari del compositore argentino molto amato da Kremer, hanno poi ancora una volta rivelato le qualità del principale interprete, unitamente allo straordinario spessore musicale del gruppo cameristico. Molte prime parti emergono, una fra tutte la violoncellista Giedre Dirvanauskaite. Dopo un breve melodico brano come bis, di ottima fattura e profonda espressività, l'altra prima esecuzione è stata "Lignum" per Orchestra ed archi, svilpaunieki (ocarina popolare lettone a forma di uccello) e percussioni, del giovane compositore Jekabs Jancĕvskis (1992). È un brano che entra subito nelle corde degli ascoltatori per l'intenso legame delle timbriche sottili e raffinate degli archi con il mondo naturale. Gli alberi sono il riferimento di Lignum, con le percussioni che richiamano i suoni della natura e l'ocarina le voci degli uccelli. L'immagine evocata è quella di una foresta nordica, in cui l'ascoltatore si immerge in profonda comunione spirituale con il mondo delle piante. Splendida l'esecuzione della sola Kremerata. Infine, Osokins ha suonato in perfetta sintonia con la Kremerata: eccellente la trascrizione del concerto chopiniano, nella parte orchestrale, di Yevgeny Sharlat. La componente degli archi risulta più importante e volta a sottolineare efficacemente le raffinatezze sia del compositore che di Osokins, un interprete perfettamente a suo agio nella scrittura del grande polacco, rivelando sicurezza, discorsività ricca di colori e perfezione di dettaglio. Un' interpretazione complessiva diversa dal consueto e di ottima qualità. Valido il bis concesso da Osokins con il super- virtuosismo di Liszt della "Rákóczi March", la Rapsodia ungherese n.15. Applausi calorosissimi dal pubblico delle "Serate Musicali". (Foto in alto di Alberto Panzani-Serate Musicali) 12 marzo 2024 Cesare Guzzardella "Le ragazze del West" a Musica Maestri! in Conservatorio Un concerto di interpreti donne, con brani composti da donne, quello ascoltato ieri nel tardo pomeriggio per Musica Maestri!, la rassegna musicale del Conservatorio milanese che sta avendo un meriratissimo successo di pubblico in Sala Puccini. L'impaginato, di rarissimo ascolto, riguardava tre compositrici americane con brani della prima metà del Novecento. Marion Bauer (1882-1955), Rebecca Clarke (1886-1979) e Amy Beach (1867-1944), sono state scelte da una formazione cameristica per l'occasione denominata "Le fanciulle del West" e formata da Agnese Ferraro e Margherita Ceruti ai violini, Rosaria Mastrosimone alla viola, Marianna Sinagra al violoncello e Monica Cattarossi al pianoforte. In quintetto hanno suonato nell'ultimo brano in programma, eseguendo il Quintetto in fa diesis op. 67 per pianoforte e archi (1908) di Amy Beach. Un brano corposo, ben articolato che mostra certamente l'influenza avuta dalla Beach dai musicisti europei romantici, Brahms soprattutto, ma che rivela anche l'alta cifra compositiva dell'autrice. La Beach è stata la prima donna americana a cimentarsi nella produzione di musica colta e tra i primi compositori americani ad avere avuto molto successo senza aver studiato in Europa. Di spessore l'interpretazione ascoltata, con la parte quartettistica degli archi ben coordinata dalle armonie pianistiche dell'ottima Cattarossi. Di ottima qualità e di eccellente resa timbrica Up the Ocklawaha op. 6 per violino e pianoforte (1913) della Bauer. Pregnante il vibrato della Ferraro ben amalgamato con il pianoforte della Cattarossi. Due i brani di Rebecca Clarke, compositrice inglese, naturalizzata americana, entrambi del 1941. Il primo era Passacaglia on a old English Tune per violoncello e pianoforte, un lavoro cupo ben definito dalle corpose timbriche del violoncello della giovane Marianna Sinagra. Il secondo, più vario,, tra romantico e neoclassico, era Dumka per violino, viola e pianoforte. Un lavoro assai piacevole, definito benissimo dal violino della giovane Margherita Ceruti e dalla viola di Rosaria Mastrosimone, entrambe in ottima sinergia con il preciso, dettagliato pianoforte della Cattarossi. Applausi meritatissimi e come bis un'ottima trascrizione per quintetto con pianoforte di Sergio Delmastro dell'Intermezzo dalla Manon Lescaut di Puccini, ricordando i 100 anni dalla sua scomparsa. Applausi colorosissimi . Bravissime! 11 marzo 2024 Cesare Guzzardella La pianista veronese Ilaria Loatelli agli Amici del Loggione per Franz Liszt "L'arte della parafrasi operistica" l'abbiamo ascoltata questa mattina agli Amici del Loggione del Teatro alla Scala di via Silvio Pellico n.6 dalle mani della pianista veronese Ilaria Loatelli. È venuta a Milano per presentare un suo Cd dedicato al sommo virtuoso e compositore Liszt autore di arie e parafrasi da celebri opere dei grandi musicisti Verdi, Mozart, ecc. All'introduzione di Mario Marcarini, factotum degli Amici, sono seguite le chiare parole di Filippo Michelangeli, direttore di importanti riviste musicali. Questi ha anche intervistato brevemente la Locatelli, che ha raccontato la sua storia, come spesso accade ai bravi pianisti, di " bambina prodigio" che ha sempre desiderato di vivere di musica. La Loatelli ha poi interpretato alcuni brani presenti nel disco, due tra le più celebri parafrasi di Franz Liszt: prima quella dal Don Giovanni mozartiano e poi quella dal Rigoletto verdiano. Il virtuosismo trascendentale della Loatelli ha portato ad una resa espressiva di ottima qualità, specie in Rigoletto dove l'alto livello coloristico e l'efficace chiarezza nel delineare le singole note e le voci nei diversi piani sonori hanno esaltato le qualità dell'interprete. Ancora più pregnante il brano concesso come bis: la celebre Toccata di Sergej Prokof'ev, eseguita con grande determinazione e dettaglio dei particolari. Applausi nella sala al completo e come sempre al termine un brindisi con ottime degustazioni di vini e formaggi doc. 10 marzo 2024 Cesare Guzzardella
IL TRIO PER PIANOFORTE ED ARCHI PROTAGONISTA DEI CONCERTI DEL SABATO AL CONSERVATORIO DI NOVARA Per i Concerti del Sabato, la stagione di musica da camera del Conservatorio di Novara, ieri, sabato 9 marzo, si è esibito all’Auditorium un trio formato da strumentisti decisamente di notevole livello: al pianoforte sedeva Emanuele Delucchi, nato nel 1987, milanese di adozione, affermatosi grazie ad una ormai vasta attività concertistica come solista e in ambito cameristico, attualmente docente al Conservatorio di Rovigo; con lui suonavano la violinista emiliana Rita Mascagna (n.1984) anche lei con una esperienza formativa e concertistica di notevole spessore, docente dello strumento presso il Conservatorio Cantelli di Novara, ed il violoncellista Fabio Mureddu, accomunato agli altri due membri del trio da una più che significativa attività concertistica sia in orchestra (Filarmonica della Scala e Filarmonica di S. Cecilia), sia e soprattutto nella musica da camera, di cui è insegnante al Cantelli. Attraente il programma del concerto, aperto dal Trio ‘pathetique’ in Re min. del padre della musica russa dell’800, Mikhail Glinka. Questo Trio è per la verità la versione per archi e pianoforte di un originale previsto per clarinetto, fagotto e pianoforte, anche se Glinka stesso prevedeva la possibilità di sostituire il violoncello al fagotto. La scelta interpretativa di Delucchi, Mascagna e Mureddu è stata quella di accentuare il carattere concertante del Trio, in cui ogni strumento è un ‘personaggio’ impegnato in un dialogo contrastato con gli altri due: sicuramente il modello ispiratore di questo Trio è il melodramma italiano, che Glinka ha modo di conoscere a fondo durante il suo soggiorno in Italia negli anni ’30 dell’800, legandosi di amicizia con i grandi cantanti di allora, dalla Pasta a Rubini, e all’editore Ricordi, che gli pubblicò questo Trio. Ecco allora che il violino, delicato ed energico a un tempo, di Rita Mascagna, il violoncello di raffinata morbidezza di Fabio Mureddu, il pianoforte di Emanuele Delucchi, bravissimo nell’accompagnare con squisiti arabeschi, veri ‘trini’ sonori di perlaceo nitore con scale e trilli della mano destra, i due archi nel tempo più bello del pezzo, l’Adagio, diventano altrettante voci di un pezzo di puro belcantismo italiano, in cui il suono svaria suggestivamente dall’appassionato del primo tempo all’effuso patetismo del Largo. Seguiva il Trio in Do min. op.101 di J. Brahms. Composizione caratterizzata da una concisione ed essenzialità di scrittura, che alleggerisce quella densità contrappuntistica e tematica tipiche del comporre brahmsiano, si caratterizza semmai per una poliedrica varietà di ritmi, che l’esecuzione di Delucchi, Mascagna e Mureddu incide con il dovuto rilievo, a cominciare dall’energia ‘beethoveniana’ del tema principale dell’Allegro iniziale (‘energico’ appunto, secondo la definizione in partitura) per passare a quell’Allegro non assai, che, pur essendo in tempo binario, fa le veci di uno Scherzo, in seconda posizione, forse il tempo più ritmicamente articolato: sono molto bravi, i tre strumentisti, a trovare la giusta agogica per dare voce al carattere sfuggente, di un ‘botta e risposta’ sottilmente inquietante e misterioso del tema principale, rimbalzante tra i due archi e la tastiera, e all’estrosità del trio centrale, per finire coll’andamento capriccioso e scattante del tema principale del Finale Allegro Molto, in cui il ricco proliferare d’idee, tipico di Brahms, torna ad affacciarsi, ma sempre puntando sull’effetto ritmico, teso a scompensare ogni regolarità nello svolgimento melodico. Va aggiunto, a merito dei tre validissimi protagonisti del concerto di ieri, che questa raffinata e un po’ stravagante ricerca ritmica di Brahms, è sempre stata eseguita con un elegante e composto equilibrio nel controllo del materiale sonoro, nel giusto rispetto della sovrana ‘classicità’ che domina la musica del grande amburghese. Ma accanto a questa particolare attenzione per l’elemento ritmico, Delucchi, Mascagna e Mureddu hanno dato prova, in questo Trio op.101, di saper scavare nelle profondità più suggestive del suono di Brahms, in particolare nel terzo tempo, un Andantino grazioso, che, nonostante la tonalità maggiore in contrasto con la minore d’impianto della composizione, appare come il movimento più velato di ombre crepuscolari e autunnali, tipiche dell’ultimo Brahms, suggestivamente espresse dai tre strumenti con una sapiente calibratura dei chiaroscuri nelle dinamiche e nei timbri. Nella sognante melodia del secondo tema, in particolare, il dialogo fra i due archi e il pianoforte raggiunge davvero livelli di raffinatezza ammirevole, realizzando quel ‘non so che’ di indefinibile malinconia tipicamente brahmsiano, con la soave cantabilità del violino, la vellutata tenerezza del violoncello nei registri medio-alti e la delicatezza di tocco del pianoforte, velata dalle sfumature di un’abile gestione del pedale di risonanza. Concludeva il concerto un altro pezzo brahmsiano, il Trio in Sol magg. op.36, in realtà trascrizione ad opera di Th. Kirchner del sestetto per archi di Brahms op.36 n.2, il celebre “Agathe Sextett”. L’esecuzione ascoltata ieri all’Auditorium del Conservatorio è stata di qualità veramente apprezzabile, sia sotto il profilo tecnico, per la precisione nell’intonazione, la scelta dei tempi, la perfezione nelle entrate dei singoli strumenti, sia sotto il profilo propriamente espressivo, con una cura molto attenta delle dinamiche e soprattutto della paletta timbrica, assai varia e sottile, come sempre in Brahms. In particolare è da sottolineare la duttilità con cui Delucchi, Mascagna e Mureddu hanno saputo trovare il suono adeguato all’atmosfera delicata, appena adombrata da una sfumata vena malinconica, virata improvvisamente verso toni di vera disperazione nella sezione sviluppo, propria del primo tempo, alla fresca cantabilità del tema principale dello Scherzo, alla melodia sognante dell’Adagio, e infine a quel finale Poco Allegro, piuttosto singolare, in cui è stato accentuato in particolare il carattere ironico, quasi burlesco, in strana contraddizione col rigore strutturale della forma di Rondò-Sonata. Gran successo di pubblico, che riempiva tutti i posti dell’Auditorium, sottolineato dai prolungati applausi, senza, tuttavia, che la richiesta di bis venisse soddisfatta. Ottimo concerto, dunque, quello offerto ieri dal Conservatorio di Novara, che sempre più si va confermando protagonista irrinunciabile della vita musicale novarese. 10 marzo 2024 Bruno Busca Ultime repliche al Teatro alla Scala per Il ratto dal serraglio di Mozart Meritato successo alla penultima rappresentazione di Die Entführung Aus Dem Serail, il Singspiel in tre atti di W.A. Mozart su libretto di Johann Gottlieb Stephanie jn. da C.F. Bretzner. L'ottima orchestrazione del giovane direttore tedesco Thomas Guggeis certamente rappresenta un punto di favore per un'opera storica assai nota per la regia di Giorgio Strehler. È una messinscena che ha segnato un momento importante nelle rappresentazioni liriche del Teatro alla Scala. Il Singspiel tedesco - genere nel quale alle parti recitate si alternano i pezzi cantati- non è certo tra le opere più rappresentate del grande salisburghese. Il ricordo di Giorgio Strehler, a ventisei anni dalla sua scomparsa, e di Luciano Damiani, qui scenografo e costumista, a sedici anni dalla sua dipartita, ed il loro classico allestimento rappresentato in Scala la prima volta nel 1972 e prima ancora a Salisburgo nel '65, certamente resta indelebile per chi ha potuto assistervi. L'ultima volta di questo allestimento nel teatro del Piermarini è stato nel 2017, per la direzione di Zubin Mehta. Ieri sera abbiamo trovato un cast vocale all'altezza del compito assegnato. Bravissimi anche attorialmente tutti, con molti movimenti tipici della commedia dell'arte. Segnaliamo particolarmente la voce di Jessica Pratt in Kostanze, la cantante più applaudita. Ottimi tutti gli altri: Daniel Behle in Belmonte, Jasmin Delfs in Blonde, Peter Rose in Osmin, Michael Laurenz in Pedrillo e poi l'eccellente parte recitata di Sven-Eric Bechtole, Selim e quella mimata di Marco Merlini, il Servo muto. Di rilievo il Coro preparato da Giorgio Martano con i relativi solisti: Roberta Salvati, Alessandra Fratelli, Luigi Albani e Giuseppe Capoferri. L'ultima rappresentazione sarà domani, 10 marzo alle ore 14.30. Rimangono ancora pochi posti. Da non perdere. (prime due foto di Brescia e Amisano- Archivio della Scala) 9 marzo 2024 Cesare Guzzardella Presentata a Milano la 26esima rassegna musicale Echos. I luoghi e la musica Dal 27 aprile al 23 giugno si svolgerà la 26esima edizione del festival musicale itinerante piemontese Echos - I Luoghi e la Musica, un incontro tra il patrimonio storico, artistico e paesaggistico del Monferrato alessandrino con la musica. Come ricordato dal direttore artistico, il pianista e organizzatore di eventi musicali dell'Associazione Musicale Ondasonora APS, Sergio Marchegiani, nella splendida location gastronomica di via Laghetto a Milano, sono previsti 23 concerti in diversi comuni della provincia di Alessandria a cominciare da sabato 27 aprile quando avverrà l' inaugurazione con l’Orchestra ICO Suoni del Sud, con il violinista Ettore Pellegrino, il trio Nosso Brasil e Roberto Molinelli alla direzione. Tra i numerosissimi ospiti, tutti di straordinaria qualità, troviamo anche Angela Hewitt, Ilia Kim, Maurizio Baglini, il Duo Hauri-Moos, e il Trio Johanne. Scopo della rassegna non è solo quello di fare ascoltare ottima musica con eccellenti interpreti, ma anche proporre la possibile conoscenza di luoghi storici straordinari di quella parte del Piemonte che tra Alessandria e il Monferrato occupa una zona estesa della regione Piemonte tra le più meritevoli di conoscenza. A questi elementi si unisce anche la possibilità di assaporare la migliore cucina italiana e gli eccellenti vini,. "I luoghi dei vini" celebrerà la nomina del "GranMonferrato", rappresentato dalle città di Casale Monferrato, Acqui Terme e Ovada, come Città Europea del vino 2024. Si auspica una di grande partecipazione anche da chi proviene da aree territoriali limitrofe ai "luoghi", come tutta l'area milanese. Per ulteriori informazioni consultare il sito Www.festivalechos.it Marzo 2024 dalla redazione Torna "Il Pianoforte in Ateneo" all'Università Cattolica milanese con il pianista Elia Cecino "Il Pianoforte in Ateneo", la rassegna musicale dedicata al pianoforte, è tornata all'Università Cattolica del Sacro Cuore con il primo appuntamento della nuova Stagione. Organizzatori delle serate musicali, che quest'anno saranno ben sette, sono il prof. Enrico Reggiani, direttore dello Studium Musicale di Ateneo e il Maestro Davide Cabassi, pianista-concertista e docente al Conservatorio " G. Verdi" di Milano. Ieri sera abbiamo ascoltato alla tastiera del prestigioso Shigeru Kawai il giovane Lia Cecino, interprete che per le sorprendenti doti virtuosistiche è già da tempo inserito nel circuito concertistico più ampio con performance sostenute in Europa e in altre regioni del mondo. L'esecuzione dei brani è stata preceduta dalla presentazione dei concerti in rassegna da parte del direttore musicale Davide Cabassi. Il prof. Reggiani invece ha fatto un interessante intervento sul pianoforte come oggetto appartenente ad un contesto culturale più ampio, dove la resa musicale rappresenta solo una parte di una più ampia contestualizzazione. Si è passati poi alla musica. L'impaginato scelto dal ventitreenne trevigiano era improntato al grande pianismo romantico di tre grandi compositori quali Chopin, con la Sonata n.2 in si bem. minore op.35 composta tra il 1837 e il 1839; di Mendelssohn con le Variations Sérieuses op. 54 completate nel 1841, ed infine con gli Studi Sinfonici op.13 di Schumann, composti nel 1834. Tutti brani celebri, pensati ad una distanza temporale, tra il primo e l'ultimo lavoro, di soli sette anni. Cecino ha individuato i giusti tempi per la corposa Sonata chopiniana, fornendo una valida interpretazione mediata da una solidità strutturale di pregnante espressività. Altrettanto valide le successive Variations Sérieuses mendelssohniane, nella loro progressione di trasformazione del tema principale in un ottima unità stilistica. I corposi e geniali Studi Sinfonici di Schumann, hanno trovato maggiore espressività nel corso dell'interpretazioni con gli ultimi Studi, anche questi straordinarie varianti del tema iniziale, via via più espressivi e definiti con maggiore grinta e profondità. Applausi sostenuti nella splendida Aula magna dell'università al completo e ben due i bis concessi con un nitido Piccolo Valzer (1894) pucciniano (per i cento anni dalla morte) , poi inserito nell'Aria di Musetta - Quando me n'vo- in Bohème, ed una trasparente ed elegante Mazurka in si bem. minore di Chopin. Bravissimo! 8 marzo 2024 Cesare Guzzardella Contrasti musicali ai concerti de I Pomeriggi del Dal Verme Un programma variegato quello ascoltato all'anteprima del mattino con l'Orchestra de I Pomeriggi Musicali e il suo direttore James Feddeck. A iniziare, andando a ritroso nel tempo, da un brano contemporaneo per strumenti a fiato e percussioni di Alberto Cara (1975) con il suo Wedding and Funeral Marching Band, passando per il milanese Nino Rota ( 1911-1979) con il raro ma efficace Divertimento concertante per Contrabbasso e Orchestra, arrivando poi a Beethoven (1770-1827) con l'Ouverture in do minore op.62 "Coriolano" seguita dalla Sinfonia n.8 in fa maggiore op.93. Il recente lavoro di Cara offre momenti di vitalità coloristica nei riusciti contrasti tra le timbriche melodiose dei fiati e le brusche ritmiche delle percussini che in vari momenti entrano per modificare il tempo e per vivacizzare con grinta le sequenze coloristiche altrimenti uniformi. Un ottimo lavoro con meritati applausi conclusivi anche al compositore in palcoscenico. Rota, celebre in tutti i suoi brani felliniani, ci offre qui un brano ampio, in quattro movimenti, in stile neoclassico che ricorda certo Prokofiev o certo Šostakovič. Punto di riferimento centrale le note gravi del contrabbasso di Paolo Speziale, che in territorio tonale, come la valida orchestrazione ben diretta da Feddeck, ci ha portato melodie sognanti dai colori onirici di efficace impatto coloristico. Bravissimo Paolo Speziale Ancora applausi meritati. Dopo la breve, pausa un Beethoven più potente con l'Ouverture da Coriolano, e uno di passaggio verso la Nona Sinfonia, con un'Ottava ben delineata dai bravi orchestrali de I Pomeriggi, ci hanno portato al termine della riuscita mattinata. Questa sera alle ore 20.00 la prima ufficiale e sabato alle 17.00 la replica. 7 marzo 2024 Cesare Guzzardella L'Orchestra della Toscana diretta da Diego Ceretta per un “Omaggio a Wolfgang” Un programma di straordinario interesse quello ascoltato ieri sera in Conservatorio per la "Società dei Concerti". L' Omaggio a Wolfgang - naturalmente si tratta di Mozart- era incentrato su due capolavori del genio salisburghese quali il Concerto per pianoforte e orchestra in re minore K 466 e la Sinfonia n. 41 in do maggiore K 551 “Jupiter”, anticipati però da un recente lavoro di Lera Auerbach, con il suo Eterniday, sottotitolato Hommage to W.A. Mozart. L'Orchestra della Toscana è venuta spesso in Sala Verdi ospite della Società dei Concerti, ma per la prima volta con il giovanissimo direttore milanese Diego Ceretta, nato nel 1996 e ancora ventisettenne. Ceretta è dal marzo 2023 nuovo direttore stabile della ORT, una delle compagini orchestrali tra le migliori italiane. Protagonisti del concerto, oltre al direttore d'orchestra anche la russa Lera Auerbach, nel doppio ruolo di compositrice, per il primo lavoro in programma, e di pianista per il Concerto K 466 di Mozart. È certamente nota internazionalmente per la sua creatività che si divide tra composizione, direzione d'orchestra, interpretazione pianistica, per quello che concerne il mondo musicale; ma è anche una scultrice e una poetessa. Artista quindi a 360 gradi, ha dimostrato le sue qualità sia nello scuro e pregnante brano Eterniday, un lavoro ispirato da Mozart ma decisamente personale anche nell'organizzazione orchestrale che prevede una piccola formazione da camera insieme alla più ampia orchestra. Le timbriche suggestive degli orchestrali e dei singoli strumentisti che spesso intervengono in modo concertante, avevano nel brano una definizione molto precisa, curata nei dettagli e in questo senso molto mozartiana. Un ottimo lavoro diretto con dovizia di dettaglio da Ceretta. Con i brani mozartiani siamo entrati in un altro clima musicale. La creatività della Auerbach è emersa nel suo modo d'interpretare Mozart. Il profondo Concerto in re minore K 466 ha trovato un'intensità espressiva rilevante nella restituzione orchestrale. La componente pianistica è stata delineata con rigore e chiarezza dalla Auerbach, che ha avuto come momenti creativi rivelatori le due ampie Cadenze solistiche, la prima nell'Allegro iniziale e la seconda nel Rondò.Allegro assai finale. La parte cadenzata era opera interamente della compositrice che si è sbizzarrita - con ottimo risultato- a trovare un compromesso tra Mozart e il suo modo di generare armonie. Valida la resa complessiva. Ottimi i due bis concessi dalla stessa Auerbach: prima un Étude Tableaux di Rachmaninov di pregnante resa emotiva e poi una Sonata di Scarlatti tra le più celebri, interpretata con una personalizzazione eccellente nell' andamento rapido scelto con perfetta coerenza stilistica. Applausi fragorosi meritatissimi. La seconda parte del concerto ( iniziata in ritardo per una sfortunata caduta di un anziano spettatore ultranovantenne durante l'intervallo e l'attesa dell'ambulanza) ha visto la celebre Jupiter K 551, ultima delle sinfonie mozartiane, che ha come ultimo movimento quell' incredibile Molto Allegro dalla evidente coralità polifonica . Diego Ceretta ha trovato un perfetto dosaggio nei tempi, nelle dinamiche e nei colori, arrivando poi nel gran finale ad una resa interpretativa di elevato livello estetico. Eccellente la compagine orchestrale in ogni sezione orchestrale. Applausi sostenuti dal numeroso pubblico presente in Sala Verdi, con numerose uscite del giovane bravissimo direttore. 7 marzo 2024 Cesare Guzzardella Il pianista Ali Hirèche all'Archivio di Stato di Milano Per la rassegna "Musica in Archivio" è stato presentato il recente Cd del pianista parigino Ali Hirèche e l'opera pittorica di Giulio Frigo, autore dell'immagine di copertina dell'incisione discografica. Annalisa Rossi, direttrice dell'Archivio di Stato di Milano, Luca Ciammarughi, musicologo e pianista, Andrea Chersicla, esperto d'arte, Silvia Leggio, pianista e docente di pianoforte al Conservatorio "G.Verdi" di Milano e curatrice della rassegna musicale, hanno presentato il musicista e l'opera del pittore purtroppo non presente. Dopo gli interessanti interventi, con Ciammarughi che ha con competenza approfondito gli aspetti musicali dei brani di Schubert e di Liszt presenti nel Cd, inquadrandoli storicamente e delineando la personalità dei due grandi musicisti, e con Chersicla che ha messo in risalto l'originale dipinto di Giulio Frigo nelle sue caratteristiche peculiari, il Maestro Hiréche ha dato saggio delle sue eccellenti qualità virtuosistiche eseguendo due brani inclusi nel cd (la recensione è in questo giornale) e precisamente la Sonata in si minore di F.Liszt e Gretchen am Spinnrade di Schubert- Liszt. Le interpretazioni di alto livello, hanno messo in risalto la forza espressiva di Hirèche nel delineare con impeto e chiarezza enunciativa i passaggi spesso impervi del celebre capolavoro lisztiano. Applausi sostenuti dal numeroso pubblico intervenuto ed eccellente il bis concesso dal pianista parigino con lo Studio n.12 Op.10 di F. Chopin. 6 marzo 2024 Cesare Guzzardella
Roberto Cominati alle Serate Musicali del Conservatorio Roberto Cominati, pianista napoletano, classe 1969, è salito alla ribalta concertistica dopo la vittoria nei prestigiosi concorsi internazionali "Alfredo Casella" (1991) e "Ferruccio Busoni" (1993). La sua attività di pilota d'aerei di linea non gli ha impedito di dedicarsi a numerosi concerti in tutto il mondo. Ieri sera, per le Serate Musicali al Conservatorio, ha scelto due compositori a lui cari, quali Claude Debussy e Robert Schumann. Entrambi importanti innovatori di linguaggi armonici, sia il francese che il tedesco hanno inciso molto nella storia della musica, soprattutto pianistica, ma non solo, per la loro vasta produzione nella quale la componente di ricerca anche coloristica risulta fondamentale. Di Debussy, Cominati ha scelto il libro n.2 dei Préludes, mentre di Schumann una rarità esecutiva quale la Sonata n.3 in fa minore op.14 "Concerto senza orchestra". L'ottima interpretazione dei dodici preludi, eseguiti senza soluzione di continuità, ha rivelato la raffinatezza di un pianista dal tocco leggero, accompagnato a tecnica precisa e sintesi discorsiva di chi ha interiorizzato completamente il materiale sonoro. Cominati ha delineato con maestria i colori del compositore francese, di cui, a fine concerto, come bis, ha interpretato con meditazione e chiarezza il celebre Clair de lune. La sonata di Schumann, scritta dal giovane genio a soli venticinque anni ma già ricca di armonie, dal linguaggio elaborato e dalle timbriche molto orchestrali, è stata resa da Cominati con un'ottima sintesi dei quattro movimenti che la compongono. Lunghi applausi meritatissimi e, come secondo bis, un classico brano americano di Harold Arlen, "Over the Rainbow", interpretato con raffinate influenze jazz. 5 marzo 2024 Cesare Guzzardella Piercarlo Sacco e Luca Schieppati allo Spazio Teatro 89 per un concerto dedicato a Tolstoj Da quindici anni suonano in duo il violinista Piercarlo Sacco e il pianista Luca Schieppati. Ieri pomeriggio alla Spazio Teatro 89 di via Fretelli Zoia a Milano, hanno voluto rendere omaggio al grande romanziere russo Lev Tolstoj (1828-1910) con un concerto denominato "Qualcosa di terribile- Tolstoj, la musica e altre invettive". Come accennato da Schieppati nella presentazione del concerto, Tolstoj amava la musica; la moglie pianista accompagnava molti strumentisti e lui stesso compose alcuni semplici brani. Ammirava i grandi geni della musica, a cominciare dal suo contemporaneo ed amico P.I.Čaikovskij (1840-1893). Del musicista russo è stato eseguito il brano "Méditation" da Souvenir d'un lieu cher, op.42, nella trascrizione per violino e pianoforte. È un lavoro di pregnante espressività romantica interpretato con passione da Sacco e da Schieppati. Il successivo, un semplice e grazioso Valzer per pianoforte di Lev Tolstoj - poche note del grande romanziere - anticipava il brano di Carlo Galante (1959), Per Sof'ja Tolstaja. Piccola Sonata in forma di Diario , eseguito alla presenza del compositore milanese. È un lavoro in due movimenti, un Mosso e un Agitato, il secondo tempo composto alcuni anni dopo il primo, sempre per il duo Sacco/Schieppati. Galante ha tratto ispirazione dalla lettura dei diari della moglie del romanziere, Sof'ja, una donna che ebbe certo una convivenza sofferta con un genio dal carattere particolarmente difficile. Il brano, ricco di forti contrasti, nell'ottima costruzione compositiva che fa dialogare con grinta il melodioso violino di Sacco con le armonie pianistiche di Schieppati, riflette le situazioni spesso burrascose nella vita della celebre coppia russa. Nalla parte centrale compare anche un riferimento al grazioso tema di Valzer di Tolstoj. Un lavoro di ottima qualità, che ancora una volta ritrova un compositore che scrive in modo espressivo, con un linguaggio accessibile, che crea emozioni. Il brano successivo, Morceaux de Salon op.6 n.2 di Sergej Rachmaninov (1873-1943) è una rarità esecutiva di felice impatto virtuosistico e di eccellente integrazione timbrica tra i due strumenti. È stato scelto Rachmaninov ricordando che ebbe anche lui modo di conoscere personalmente Tolstoj, davanti al quale suonò alcuni suoi pezzi. Ne ricevette ahimè critiche, non consensi, in un momento, per di più, di grave depressione del giovane compositore. Eccellente l'interpretazione di un lavoro che trova una discorsività dal sapore lisztiano. Il capolavoro conclusivo era la celebre Sonata op.47 "A Kreutzer" di Beethoven (1770-1827). Questa volta è Tolstoj debitore al genio tedesco, in quanto ne fu ispirato per il suo omonimo romanzo breve del 1889. Un'interpretazione di valore, con timbriche decise, robuste nell'ottima sinergia dei protagonisti. Applausi fragorosi dai numerosi intervenuti e come bis la Vision Congolaise, secondo brano dal Trittico op.136 di Camille Saint-Saëns. Di assoluta originalità, è inserito nel recente Cd uscito per Da Vinci Classics (recensione su questo giornale) ed interamente dedicato alle musiche per violino e pianoforte del compositore francese: lavori eseguiti benissimo dall'affiatato duo Sacco-Schieppati. 4 marzo 2024 Cesare Guzzardella Ritornano a Milano i concerti di Villa Mirabello Ritornano a Villa Mirabello i concerti di musica classica organizzati da Alessio Bidoli, violinista e organizzatore di eventi musicali. Sono due serie di serate previste nei mesi di marzo e di giugno. Le prime tre nelle date del 7 marzo, del 14 e del 21 marzo, avranno come protagonisti il violoncellosta Vito Paternoster e il pianista Pierluigi Camicia; seguirà il 14 marzo il pianista Andrea Bacchetti e il 21 marzo è la volta dell'Amaranta Trio con Silvia Cattaneo al pianoforte, Stella Chiara Cattaneo al violino ed Ester Vianello al violoncello. Programmi variegati con brani noti di eccellente qualità. Concerti imperdibili sia per la rilevanza degli interpreti che per la particolare storica location dove avvengono le serate musicali. Siete tutti invitati! 4 marzo 2024 Cesare Guzzardella
Successo al Teatro alla Scala per Madina con le musiche di Fabio Vacchi e la coreografia di Mauro Bigonzetti È tornato alla scala Madina, non solo un balletto ma un'opera di Teatro-danza multiforme e sfaccettata, che ebbe la prima rappresentazione nell'ottobre del 2021. La pregnante musica di Fabio Vacchi, di quasi ottanta minuti nell'intensa orchestrazione di Michele Gamba, è la componente unificante dei vari linguaggi presenti nel riuscito lavoro. Danzatori, cantanti, attori, video, immagini, si alternano, si integrano, interagiscono nella prorompente musica del compositore bolognese, musica che ha anche in sè una grandiosa componente corale, preparata dall'eccellente direttore di coro Alberto Malazzi. Sembrano in antitesi, ma sono in realtà complementari le solide strutture musicali di Vacchi, ricche di emozioni, scritte ragionando su ogni singola nota, in un linguaggio non semplice ma accessibile all'ascolto, e la parte visiva variegata, sempre in movimento, quella inventata dal coreografo Mauro Bigonzetti, dallo scenografo e ideatore delle luci Carlo Cerri, dai video designer ( ancora Cerri, con Alessandro Grisendi e Marco Noviello), dal costumista Maurizio Millenotti. La protagonista Madina, sempre riconoscibile nel suo costume rosso acceso, è la superlativa ballerina Antonella Albano. L'attore Francesco Aricò declama ad alta voce i testi tratti dal romanzo "La ragazza che non voleva morire" di Emmanuelle de Villepin, autrice anche del libretto. Il tenore Paolo Antognetti e il mezzo-soprano Anna-Doris Capitelli si alternano nel cantare la triste vicenda e sono rispettivamente Sultan/Louis e Madina/Olga. Nella terza rappresentazione, vista ieri sera in una Scala al completo, l'eccellente Roberto Bolle è Kamzan, lo zio di Madina che, divenuto terrorista, vuole spingere la nipote a diventare kamikaze. Gioacchino Starace è Louis, caporedattore di un giornale francese che ascolterà e incontrerà Olga- l'ottima Alessandra Vassallo- , la zia russa di Madina di cui poi si innamorerà. Il bravissimo Gabriele Corrado è Sultan, il padre di Kamzan, che vuole salvare Madina. Come racconta Fabio Vacchi "..Madina si trova risucchiata da una spirale di violenza. Non vuole uccidere. Ma si toglie la cintura esplosiva sottraendosi all'attacco omicida-suicida, sulla spinta di quell'istinto di sopravvivenza che accomuna gli abitanti della Terra..". Nel disinnescare la cintura esplosiva morirà l'artificiere. Madina verrà processata e condannata. Kamzan sarà ucciso. Una vicenda attualissima dove il territorio ceceno, in cui si svolge il dramma, potrebbe essere sostituito da altri dove oggi si combattono guerre sanguinose e si commettono terribili atrocità. La formula del teatro-danza di Vacchi è in Madina perfettamente realizzata, grazie anche alle grandi qualità di Manuel Legris, direttore del Corpo di Ballo scaligero. Un lavoro eccellente, imperdibile, che avrà ancora tre repliche il 6, il 7 e il 9 marzo. ( prime due foto di Brescia, Amisano, Archivio Scala) 3 marzo 2024 Cesare Guzzardella Arthur & Lucas Jussen diretti da Jaume Santonja in Béla Bartók Sono tornati in Auditorium con l'Orchestra Sinfonica di Milano i pianisti Arthur & Lucas Jussen per interpretare Béla Bartók sotto la direzione di Jaume Santonja, Direttore Ospite Principale della Sinfonica milanese e molto presente nella sala concertistica. L'impaginato prevedeva una prima parte del concerto interamente dedicata alle musiche del compositore ungherese: prima i Canti contadini ungheresi e poi il Concerto per due pianoforti, percussioni e orchestra Sz.115. Dopo l'intervallo, cambio di registro con la celebre Sinfonia n.2 in re maggiore op.73 di Johannes Brahms. L'anticipazione orchestrale bartókiana dei folcloristici Canti contadini ungheresi (1914-18) ha rivelato i primi lavori di Bartók (1881-1945) composti in età giovanile con un linguaggio comprensibile, immediato, ma già tipico delle modalità di scrittura bartókiane. Sono una serie di canti molto ritmati, orchestrati nel 1933 e presi dalla tradizione popolare ungherese. Ottima la resa espressiva di Santonja e degli orchestrali. Un Bartók più evoluto ed emancipato è invece quello del secondo brano. Il Concerto Sz. 115 prevede due pianoforti e l'uso di una serie di percussioni, ieri sera nelle mani di Viviana Mologni e di Simone Beneventi. Il corposo concerto ha anche timbriche percussive nei pianoforti. Il brano, particolarmente caratterizzante della modernità del grande compositore ungherese, è stato composto tra il 1938 e il 1940, quindi è un lavoro decisamente maturo. L'interpretazione, non facile, è stata affrontata con determinazione dai quattro protagonisti. I fratelli, nella suddivisione della parte pianistica, hanno interagito con le percussioni creando un'atmosfera scura e suggestivamente barbarica nei tre densi movimenti che formano il brano: Assai lento, Lento ma non troppo e Allegro non troppo. Ottima la resa complessiva e applausi fragorosi al termine per tutti i protagonisti. Bis per due pianoforti di grande levatura estetica quello concesso dai Jussen con il brano "La Coquette", dalla Suite n.2 "Silhouettes" del russo Anton Arenskij (1861-1906) . Dopo l'intervallo la calebre Sinfonia n.2 op.73 di Brahms (1877) ha trovato un'ottima resa nella direzione di Santonja con un andatura riflessiva nell'Allegro non troppo iniziale e un'andatura piuttosto spedita e contrastata nel quarto movimento, Allegro con spirito. Chiare le timbriche delle sezioni orchestrali anche nell'Adagio e nell'Allegretto giocoso. Applausi sostenuti dal numeroso pubblico intervenuto in Auditorium. Domani, domenica, alle ore 16.00 la replica. Da non perdere! 2 marzo 2024 Cesare Guzzardella FEBBRAIO 2024 Ai Pomeriggi Musicali del Dal Verme due brani tra i più popolari diretti da George Pehlivanian Il Concerto n.1 per pianoforte e orchestra op.23 di Čaikovskij e la Sinfonia op.95 "Dal Nuovo Mondo" di Dvořák godono di una popolarità universale per la orecchiabilità dei principali temi conduttori. Il Concerto in Si bem.maggiore del grande russo rappresenta anche un campo di battaglia di virtuosismo per i migliori pianisti, unitamente alla non facile capacità di dare espressività alla melodicità sempre presente, come nel pregnante Andantino semplice centrale. Al pianoforte questa mattina c'era un giovanissimo virtuoso, per la prima volta in Italia: Roman Borisov. Ad ascoltarlo all'anteprima, un pubblico con anche centinaia di studenti provenienti dalle scuole milanesi. Borisov, siberiano nato nel 2002, ha vinto prestigiosi concorsi internazionali e ha già frequentato le più importanti sale da concerto europee. Coadiuvato ottimamente dalla direzione del franco- americano George Pehlivanian, direttore spesso presente ai Pomeriggi Musicali , ha sostenuto con disinvoltura discorsiva sia le parti più melodiche del concerto, sia i momenti più virtuosistici espressi con decisione unitamente ad una leggerezza assai producente. Ottima la lunga cadenza dell'Allegro non troppo iniziale, elargita con passione e rigore tecnico. Applausi calorosi. Dopo il breve intervallo, decisa e piena d'energia la Sinfonia in Mi minore "Dal Nuovo Mondo" del musicista ceco. Di pregio la sinergia tra Pehlivanian e gli orchestrali e validi i numerosi interventi solistici del celebre, ma non unico, capolavoro di Antonin Dvořák. Applausi calorosissimi. Questa sera alle ore 20.00 la prima ufficiale e sabato alle 17.00 la replica. Da non perdere! 29 febbraio 2024 Cesare Guzzardella L'Orchestra UNIMI diretta Hankyeol Yoon L'Orchestra dell'Università agli Studi di Milano da molti anni ha una valida programmazione e trova anche ottime direzioni e validi solisti, oltre a mettere in risalto anche brani del nostro tempo, alcuni commissionati a giovani compositori dall'orchestra stessa. Ieri nell'Aula Magna dell'Università Statale, colma di spettatori, un ottimo direttore emergente come il sud-coreano Hankyeol Yoon, vincitore nel 2023 del Premio Herbert von Karajan per giovani direttori d'orchestra, è riuscito ha produrre ottime esecuzioni dai giovani orchestrali. Tre i brani in programma. Il primo era una commissione dell'Orchestra UNIMI a Leonardo Damiani, recente vincitore del Premio di composizione del Conservatorio milanese. Il suo Un azzurro intenso, senza pietà, lavoro del 2023, prevedeva uno raro strumento solista quale l'eufonio, un ottone con sonorità particolarmente penetranti suonato dalla bravissima Marina Boselli, anche lei vincitrice del Premio del Conservatorio di Milano nel 2022 come migliore strumentista dell'anno. Il concerto serale era stato preceduto da un incontro presieduto da Francesco Antonioni - compositore e organizzatore- con i tre protagonisti citati che hanno chiarito molti aspetti della loro attività e del concerto serale. Il brano di Damiani, compositore nato a Perugia nel 1991, attraverso sonorità penetranti dell'orchestra, ha messo in risalto le timbriche particolari dell'eufonio, in un dialogo denso di effetti sonori ben costruiti e d'intensa suggestione. Molto brava la Boselli ad esprimere le non facili sonorità del suo ingombrante strumento. Yoon, direttore e anche compositore, ha condotto molto bene l'esecuzione entrando nei non semplici dettagli coloristici. Lavoro molto applaudito e compositore in palcoscenico con i protagonisti. La serata è continuata con l'esecuzione di due noti brani: prima l'Ouverture, il Notturno e lo Scherzo dalla Suite Sogno da una notte di mezza estate (1846) di F.Mendelssohn; poi la Sinfonia n.38 in re maggiore "Praga" (1786) di W.A. Mozart. Soprattutto in quest'ultimo capolavoro del salisburghese il direttore Hankyeol Yoon ha esaltato i potenziali degli orchestrali per un interpretazione di ottima qualità. Applausi calorosi a tutti i protagonisti e ripetizione del bellissimo ultimo movimento Finale. Presto. 28 febbraio 2024 Cesare Guzzardella Il pianista Roberto Cappello alle Serate Musicali del Conservatorio milanese Torna puntualmente il pianista pugliese Roberto Cappello ai concerti organizzati da "Serate Musicali". Ieri un impaginato denominato "Il canto dell'anima" ha raggiunto certamente i cuori dei presenti in Sala Verdi. La scelta di pagine arcinote era suddivisa in due importanti momenti musicali: prima opere di L.V. Beethoven e poi quelle di F. Chopin. Due mondi sonori parzialmente in contrasto, che hanno in comune una profondità di scrittura compositiva che arriva rapidamente nel mondo delle emozioni di ogni appassionato di musica. Cappello ha iniziato il concerto con la Sonata n.14 in do diesis minore "Al chiaro di luna" per proseguire con la Sonata n.23 in fa minore "Appassionata". Tra le più eseguite del genio tedesco, entrambe presentano situazioni dove la struttura musicale più semplice deve essere riempita dalla forza di penetrazione dell'interprete, con una carica di espressività che solo eccellenti pianisti possono far emergere. Altri movimenti sono più virtuosistici. Mi riferisco soprattutto al celebre Adagio sostenuto, movimento iniziale della Sonata op.27 n.2 "Al chiaro di luna". Cappello, con un'andatura particolarmente riflessiva ha dato spessore straordinario alle centellinate note del tema iniziale, creando forti emozioni nel perfetto equilibrio delle componenti melodico-armoniche. Entrambe le sonate beethoveniane hanno rivelato lo spessore interpretativo di un pianista che cerca il più possibile la creazione di forti contrasti, sempre mantenendo una bellezza significativa delle timbriche. Sia il Presto agitato finale del "Chiaro di luna", che l'Allegro ma non troppo, finale dell'Appassionata, hanno poi evidenziato il forte segno timbrico dell'interprete in una tessitura robusta, un segno certamente vicino al tormentato carattere beethoveniano. Esecuzioni prestigiose. Senza intervallo, Cappello è passato al linguaggio chopiniano, un mondo diverso quello dei celebri Valzer, tra i quali il pianista ne ha selezionati otto, i più celebri. Partendo da quelli brillanti, il primo era proprio il Grande Valzer brillante in mi bem.maggiore op.18. L'alternanza tra i valzer in maggiore e in minore, con andature a volte rapide alternate ad altre molto riflessive, ci hanno rivelato il mondo chopiniano di Cappello. Dopo l'op.18 ha eseguito l'op. 34 n.1 e n.2, l'op.42, l'op.64 n.2, l'op.69 n.1, l'op. 70 n.1 e il Valzer in mi minore KK IV n.15. Interpretazioni coerenti, articolate, che scavano in profondità nelle timbriche. I valzer in minore hanno trovato andature particolarmente riflessive riempite di carattere e in contrasto con momenti di discorsività virtuosistica espressa brillantemente e con grande chiarezza negli ampi registri del pianoforte. Il virtuoso ha poi concluso l'impaginato chopiniano con un'eccellente Polacca op. 53 "Eroica", dimostrando una tenuta complessiva esemplare, vista la lunghezza del programma. Ha concesso anche due bis: prima uno Studio di Chopin, il n.12 in do minore op.25 e poi un Beethoven meditato con il movimento centrale, Adagio cantabile, della Sonata "Patetica" . Ottimi entrambi. Applausi fragorosi dal pubblico presente in Sala Verdi per una serata straordinaria. 27 febbraio 2024 Cesare Guzzardella Il violinista Luca Kaufman per Musica Maestri! in Conservatorio Il giovanissimo violinista Luca Kaufman ha vinto nel 2023 il primo Premio come migliore strumentista del Consevatorio milanese. Lo conosciamo bene avendolo già ascoltato nella nota formazione cameristica del Trio Kaufman, insieme alla gemella Chiara, violoncellista, e alla sorella maggiore Valentina, pianista. Ieri per la rassegna "Musica Maestri!", nel tardo pomeriggio si è presentato in Sala Puccini insieme alla valida pianista Eunmi Park per un impaginato classico con brani di cinque compositori: Beethoven (1770-1827), Brahms (1833-1897), Grieg (1843-1907), Kreisler (1875-1962) e Wieniawski (1835-1880). L'ottima intesa tra i due giovane è apparsa da subito nella Sonata per violino e pianoforte n. 8 in sol maggiore op. 30 n. 3 del primo grande compositore tedesco. Una discorsività resa con disinvoltura da entrambi gli interpreti. Il celebre Scherzo in do minore dalla Sonata F.A.E. di Johannes Brahms ha quindi restituito un virtuosismo più ricco specie nella componente violinistica di Kaufman e anche nella successiva e rara Sonata n. 2 in solo minore op. 13 di Edvard Grieg abbiamo trovato uno spessore interpretativo già maturo. Con il Recitativo e Scherzo op. 6 di Fritz Kreisler, brano per violino solo, le qualità virtuosistiche ed espressive del violino di Kaufman si sono ancor più rivelate. È un brano assai difficile, con difficoltà tecniche presenti in ogni registro e complessità superate con facilità dal virtuoso diciannovenne. L'ultimo brano in programna, lo Scherzo tarantelle op.16 di Henryk Wieniawski, era ancora all'insegna delle più ardite difficoltà in un contesto con andatura molto rapida che necessita di grande fluidità anche nella parte pianistica. Ottima la resa del duo tra gli applausi sostenuti e ripetuti dal pubblico presente nell'affollata Sala Puccini del Conservatorio milanese. Bis all'insegna del folclore con una Polka di Sasha Rozhdestvenski che ha strappato ancora fragorosi applausi. Bravissimi. 26 febbraio 2024 Cesare Guzzardella Successo all'ultima recita di Simon Boccanegra alla Scala Ieri l'ultima replica del verdiano Simon Boccanegra al Teatro alla Scala ha trovato uno straordinario successo di pubblico. È stato scritto molto su questa messinscena di Daniele Abbado con giudizi per lo più concordanti sui vari aspetti che non hanno soddisfatto pienamente la critica. La debolezza complessiva della regia, specie in alcuni frangenti, ha trovato in contrapposizione una resa ineccepibile nella direzione di Lorenzo Viotti. Il direttore svizzero- di origine italo-francese- ha proposto un eccellente equilibrio nel dosaggio tra la componente orchestrale, le voci soliste e l'ottimo Coro preparato da Alberto Malazzi. Nei momenti dove le sonorità orchestrali raggiungono vette "sinfoniche", e in questa opera in un Prologo e tre atti, sono molti - come nella toccante orchestrazione dell'ultimo atto- Viotti ha rivelato ancor più le sue alte qualità direttoriali. Le aveva dimostrate alcuni giorni prima nel bellissimo concerto sinfonico replicato due volte. Voce centrale per ruolo, certamente la più rilevante timbricamente, è stata quella di Luca Salsi, un Simon Boccanegra che da solo ha alzato il livello scenico. Di qualità e spesso pregnante per bellezza timbrica, Irina Lungu, un' Amelia (Maria) inizialmente non molto voluminosa ma poi in netto miglioramento. La Lungu ha sostituito nelle ultime due recite Anita Hartig assente per motivi di salute. Matteo Lippi, Gabriele Adorno, ha fatto bene la sua parte esprimendo un sicuro timbro tondo tenorile. Sottotono Ain Anger, Jacopo Fiesco, un basso dalla voluminosità non sempre adeguata. Bene Roberto De Candia, Paolo Albiani, Andrea Pellegrini, Pietro e gli altri. Da questa sera e per sei rappresentazioni, il teatro scaligero propone di W.A.Mozart "Die Entführung Aus Dem Serail", singspiel in tre atti in tedesco. La regia è quella storica di Goorgio Strehler, con scene e costumi di Luciano Damiani. Alla direzione il giovane Thomas Guggeis. Da non perdere! 25 febbraio 2024 Cesare Guzzardella IL FLAUTO DI ALBERTO NAVARRA PROTAGONISTA AL VIOTTIFESTIVAL DI VERCELLI Ieri sera, sabato 24 febbraio, il Teatro Civico di Vercelli ha ospitato, nell'ambito del XXVI ViottiFestival, un recital del giovane, ma ormai affermato flautista Alberto Navarra. Piemontese di Mondovì, ove è nato nel 1997, è stato lanciato nell'orbita dello 'star system' della 'classica' dal primo premio al concorso flautistico internazionale Carl Nielsen 2022, uno dei più importanti concorsi per questo strumento, che gli ha spalancato le porte della più grande orchestra al mondo, i Berliner Philarmoniker. Sul palcoscenico del Civico era presente anche il Camerata Ducale Ensemble, un quartetto d'archi formato da Paolo Chiesa e Giacomo Lucato (violini), Lorenzo Lombardo (viola) e Giorgio Lucchini (violoncello). Il compito di dare inizio al concerto è stato affidato, com'era giusto nel bicentenario viottiano, al quartetto per flauto, violino, viola e violoncello in Do min. WII: 17 di G. B. Viotti, composto dal musicista vercellese a Londra intorno al 1806 per l'amico violinista e flautista Philip Cipriani Potter. Il 'periodo londinese' segna la piena maturità del compositore e violinista di Fontanetto Po. E' un'opera, aggiungiamo noi, appartenente a quel mondo musicale avvolto ancora nella penombra di un quasi totale oblio, che è la musica cameristica di Viotti, e perciò tanto più interessante. Questo quartetto si distingue per il pieno dominio della forma, che è quella, per quanto finora ci è dato conoscere, tipica dei quartetti di Viotti e che definiremmo 'brillante-dialogata', un garbato, elegante, raffinato e continuo dialogo tra gli strumenti, in cui peraltro a dominare sono il flauto e il violino che guidano il vario succedersi delle linee tematiche. È, inoltre, un quartetto scritto chiaramente da un violinista, ove il flauto è, in molti momenti significativi della composizione, in tutto e per tutto un primo violino (e infatti di questo quartetto esiste anche una versione per soli archi). Il tempo più riccamente elaborato è il primo, in cui l'ascoltatore è subito attratto dall'agogica di crescente intensità, ove è da ammirare il sottile gioco della timbrica che l'intrecciarsi di flauto e violino avvolge in un raffinato velo sonoro. Un gioiello di eleganza, ove senti ancora affiorare l'ultima eco dello stile galante. Nel Menuetto (sic) centrale, forse il tempo più riuscito del quartetto, erompono tutta la fresca vitalità e la grazia, che è uno dei tratti inconfondibili della musica di Viotti che lo lega ancora ad un clima musicale settecentesco. L'Allegro agitato e con fuoco finale risente di una temperie preromantica, ma non si sottrae a quel vigile controllo formale che è un altro dei caratteri inconfondibile della musica di Viotti, alieno, almeno in questo quartetto, da quell'inquietudine cupa che è tipica del do minore mozartiano e successivamente esasperata da Beethoven e dai Romantici. Ottima l'esecuzione a cominciare dal flauto di Navarra, distintosi per il suono pulito e cristallino, sostenuto da un'emissione del fiato sempre aperta ed elastica nel restituire le varie dinamiche del pezzo, e di grande fluidità nei cambi di registro: il risultato è quello di un suono capace di potenziare al massimo la grazia tipica del flauto, che brilla ed incanta nelle note alte del registro acuto. Ma un plauso convinto spetta anche agli archi, che hanno dialogato con perfetta intesa col flauto, sempre precisi e sicuri nelle entrate, ottimi nella gestione dei timbri e delle dinamiche. Tipico esempio di quartetto 'concertante' è invece il successivo quartetto in Re magg. KV 285 di Mozart, composto un trentennio prima del quartetto di Viotti. Qui ai momenti 'dialogici' si alternano momenti in cui il flauto acquista decisamente il ruolo di strumento solista, specie nell'Adagio centrale, che è praticamente un assolo del flauto, con il delicato accompagnamento in pizzicato degli archi. Con il quartetto KV 285 la magia creatrice di Mozart ci regala un gioiello musicale anche per uno strumento che il compositore dichiarava di "non sopportare" (ed è, per l'autore del "Flauto magico" dichiarazione un po' paradossale). È chiaro però che le parole del genio salisburghese vanno riferite al flauto del suo tempo, ben lontano per qualità di suono, intonazione e volume dal flauto moderno. In questo pezzo Navarra mostra tutte le sue doti di virtuoso e la perfetta padronanza tecnica dello strumento nel primo movimento in Allegro, soprattutto nella ripresa, con trilli, balzi bruschi di ottave e di registri, il tutto eseguito con quella splendida fluidità e purezza di suono che contraddistinguono lo stile del flautista monregalese. L'Adagio poi, si diceva, è un assolo in cui il flauto è sfidato da Mozart ad esprimere tutte le sue potenzialità espressive, con una melodia cui la dolcezza di suono di Navarra dona un'intensità e una carica sentimentale, capaci di suscitare profonda emozione nell'ascoltatore. Ma, ancora una volta, va citata l'ottima prestazione degli archi, in particolare nell'Allegro iniziale, ove, nella sezione sviluppo, presenta un ricco avvicendarsi di chiaroscuri, con il ricorso frequente al tono minore, eseguiti al meglio dal flauto e dagli archi, anche con una calibratura finissima delle dinamiche. All'insegna della più pura grazia mozartiana il Rondò finale, in cui tutti gli strumenti, intrecciando variamente le entrate, concorrono, con eleganza e finezza di suono, a confezionare un pezzo di delizioso abbandono alla gioia del fare (e ascoltare) musica. Con un brusco salto ai nostri giorni, il programma del concerto prevedeva un pezzo per flauto violoncello e gong, la Petite suite, composto da Joerg Widmann (che è un grande clarinettista) nel 2016, come 'tombeau' alla flautista svizzera Aurèle Nicolet, allora da poco scomparsa, suddiviso in tre tempi, Allemande, Lamento, Sarabande: l'intervento del violoncello e del gong è limitato alla Sarabanda finale, mentre i primi due tempi sono per flauto solo. Splendida l'interpretazione di Navarra, sia sotto il profilo tecnico che espressivo. Sotto il profilo squisitamente tecnico il giovane flautista piemontese dà prova di tutta la sua bravura nel rendere al meglio i passaggi più inquieti e nervosi dell'Allemande, con frequenti cambi di registro, con un'emissione di purezza ed energia straordinarie delle note sovracute, con scale di vertiginosa rapidità. Una tensione che si riproduce nel Lamento centrale, ove alle agilità già presenti nell'Allemande si aggiungono trilli e frullati, suonati con una trasparenza e una limpidezza davvero ammirevoli. Sul piano espressivo Navarra ha saputo dare pienamente voce a quel tono di intenso dolore, di meditazione sul tragico destino dell'uomo che ovviamente è presente in tutto il pezzo, ma che si fa particolarmente intenso nella finale Sarabande, in cui il registro acuto è un grido di dolore, e straziante è il progressivo spegnersi del suono che conduce alla conclusione del brano. La linea espressiva del flauto già intensa di suo, traeva ulteriore potenza suggestiva dal suono grave, di un brunito cupo e senza speranza del violoncello, con lo schianto del gong che precede la chiusura in pianissimo del flauto Una composizione bellissima, nella sua essenzialità e concentrazione, suonata benissimo. Chiudeva il programma della serata una delle più belle pagine della letteratura per Quartetto d'archi, il n.12 op. 96, "Americano" di A. Dvoràk, presentata nella versione per flauto e archi. Anche in questo caso Navarra e gli elementi del Camerata Ducale Ensemble han dato un'ottima interpretazione, a cominciare già dall'iniziale Allegro ma non troppo, con la trepidante, leggera malinconia che vena il suono vellutato della viola nell'enunciazione del tema principale, un tema lirico pentatonico, che risente dell'influenza della musica religiosa degli Spirituals (ricordiamo che il quartetto fu composto durante il soggiorno americano del grande compositore boemo, da cui il titolo). Diremmo che in questo capolavoro di Dvoràk l'intensità espressiva del flauto di Navarra tocca il suo vertice, in particolare nei primi due movimenti, i più lirici dei quattro in cui è diviso il pezzo. In particolare la valorizzazione dei vari registri dinamici, la cui gestione è essenziale in questo pezzo, è stata accuratissima, con un gioco chiaroscurale che si faceva emozione pura nei momenti in cui il suono del flauto, nel registro basso, si faceva misterioso mormorio, carico di suggestione, nell'intreccio coi timbri degli archi, tra i quali si distingueva in particolare, per un suono di altissima qualità, nella sua avvolgente e delicata morbidezza, il violoncello di Giorgio Lucchini. Ma è naturalmente l'intera compagine a ottenere un ottimo risultato nel suono d'insieme, calibrato con grande efficacia nei frequenti passaggi dei vari strumenti in tremolo, o nei ribattuti sincopati e nei ritmi puntati, che evocano come un sommesso singhiozzo che sembra attraversare l'intero primo tempo. Bravissimi sono stati Navarra e i i giovani talenti dell'Ensemble nel valorizzare tutte le potenzialità espressive e timbriche del tema del Lento, anch'esso improntato al tono di nostalgica cantilena dello Spiritual, e dove ogni strumento fa sentire la sua voce, nel vario e sempre timbricamente diverso intreccio delle linee strumentali. Il luminoso tema principale del Molto vivace e l'alternarsi nel Finale in forma di Rondò, di un trascinante ritmo di danza, e di due couplet di dolce e malinconico lirismo, trovano nell'interpretazione, nella qualità del suono e del fraseggiare del flauto e degli archi un tono espressivo di grande qualità, sia nei momenti più brillanti, sia in quelli di più intimistico ripiegamento sentimentale. Abbiamo insomma ascoltato un'esecuzione di un pezzo bello e celebre, ispirata da collaudata consapevolezza tecnica unita a matura capacità di scavo espressivo nella partitura e possiamo dire che la versione per flauto non fa per nulla rimpiangere l'originale per quartetto di soli archi. Vorremmo aggiungere una nostra considerazione: la sagace e straordinaria 'politica' perseguita da anni dalla Camerata Ducale nella valorizzazione e formazione di giovani strumentisti sta producendo i frutti meritati, potendo ormai contare su un gruppo di talenti di notevole qualità professionale e animati da quell'entusiasmo e da quella gioia del suonare insieme che nei giovani dà la spinta a offrire il meglio di se stessi. Bellissimo concerto, salutato dagli applausi di un pubblico come sempre numeroso e con presenza giovanile, crediamo, sopra la media italiana: a VercellI sembra talvolta di trovarsi in qualche sala da concerto austriaca o tedesca. Col bis, Summertime di Gershwin, sempre in una versione per flauto e archi, si è conclusa un'altra memorabile serata al Teatro Civico di Vercelli. (Foto in alto Uff. Stampa Vercelli) 25 febbraio 2024 Bruno Busca Andrey Boreyko dirige l'Orchestra Sinfonica di Milano L'Orchestra Sinfonica di Milano è stata diretta da Andrey Boreyko, direttore principale della compagine milanese dalla primavera del 2022. In programna c'erano: prima una rarità del compositore praghese Miloslav Kabeláč (1908-1979) con il suo Mystery of Time. Passacaglia per orchestra op31, poi il noto Concerto per pianoforte e orchestra n.2 in si bem.Maggiore op.83 di Johannes Brahms. Al pianoforte per il concerto dell'amburghese l'ucraino Vadym Kholodenko, vincitore del prestigioso "Concorso Internazionale Van Cliburn nel 2013". Un impaginato particolarmente impegnativo, con il primo brano composto da Kabeláč nel 1957 che prevedeva un'ampia passacaglia che lentamente, partendo da timbriche discrete, si sviluppava in crescendo, sino ad ampliare le volumetrie in modo tumultuoso anche attraverso le numerose percussioni presenti in orchestra. Una valida composizione, ottimamente interpretata dalla Sinfonica di Milano. Prima del concerto brahmsiano, Andrey Boreyko ha voluto salutare il pubblico annunciando la fine del suo mandato con l'orchestra e omaggiando i presenti con un pregnante brano wagneriano, l'Elegia nella trascrizione di Franco Mannino. Un'interpretazione pregnante di nitore coloristico. Dopo il breve intervallo è salito sul palcoscenico il pianista Kholodenko per il celebre concerto, un lavoro molto "sinfonico" dove la parte pianistica era resa con efficace espressività nella modalità elegante e raffinata del suo particolare ed essenziale tocco. L'ampio concerto, in quattro movimenti, cosa rara per un concerto pianistico, ha trovato una direzione accurata e ben evidenziata in ogni sezione orchestrale e Boreyko ha individuato benissimo l'equilibrio dei movimenti, quello dei piani sonori e una rispettosa integrazione pianistica nel contesto orchestrale sino alle delicate timbriche dell'Allegretto grazioso finale. Applausi fragorosi dal numerosissimo pubblico presente in Auditorium. Due i riflessivi bis concessi dal pianista, tra i quali il primo era una delicata Bagatella n.1 op.1 "Allegretto" del compositore ucraino Valentin Silvestrov (1937) 24 febbraio 2024 Cesare Guzzardella Lorenzo Viotti dirige la Filarmonica della Scala Tra una replica e l'altra del verdiano Simon Boccanegra, il direttore svizzero Lorenzo Viotti - figlio di italo/francesi- ha diretto un concerto sinfonico particolarmente interessante con brani di Rimskij-Korsakov, Ravel e Rachmaninov, tre compositori che hanno in comune le loro eccellenti qualità di orchestratori e di direttori d'orchestra. Il Capriccio spagnolo op.34 del primo russo ha introdotto la serata rivelando subito la valida cifra interpretativa del giovane direttore alle prese con un brano composto nel 1887 che vuole rendere omaggio al mondo musicale spagnolo. Il celebre Concerto in Sol (1929-31) del francese Maurice Ravel ha visto poi al pianoforte solista un altro francese, il quarantaduenne David Fray, interprete molto apprezzato internazionalmente. Elegante ed equilibrata la resa di un concerto che risente parecchio dell'influenza jazzistica e di Gershwin e che ha nel bellissimo movimento centrale, Adagio assai, un momento di grande riflessione resa ottimamente dalle note centellinate e ben pesate da Fray, esguite con eleganza in un contesto orchestrale ideale. Il solista, rimanendo in tema di note semplici, ha concesso poi come bis la celebre Aria iniziale delle Variazioni Goldberg di J.S.Bach. Ottima interpretazione e applausi fragorosi dal numerosissimo pubblico presente. Dopo il breve intervallo, l'impatto massiccio iniziale delle bellissime prime battute delle Danze sinfoniche op.45 (1940) di Sergej Rachmaninov ha dato ancora un tocco di virtuosismo e di eleganza alla serata. La bellissima orchestrazione di questo lavoro, che spesso viene eseguito nella versione per due pianoforti, ha messo in risalto le ottime qualità della Filarmonica della Scala, orchestra applauditissima al termine della splendida serata. Questa sera alle ore 20.00 l'ultima replica e sabato Viotti torna alla guida dell'orchestra scaligera per l'ultima replica di Simon Boccanegra. Da non perdere entrambi. 23 febbraio 2024 Cesare Guzzardella Stefano Montanari dirige I Pomeriggi Musicali in Haydn, Mozart e Mendelssohn Un impaginato estremamente classico quello ascoltato in anteprima al Dal Verme con I Pomeriggi Musicali diretti da Stefano Montanari. Queste mattinate musicali che anticipano il concerto serale delle ore 20.00 e la replica di sabato alle ore 17.00, stanno diventando veramente importanti, visto la numerosissima quantità di spettatori abituali ai quali spesso si aggiungono centinaia di studenti occasionali provenienti dalle scuole secondarie milanesi. Montanari presenta i brani rivolgendosi direttamente agli studenti, facendo a loro domando, inquadrandoli all'attento ascolto e sperando che questa venuta, con i loro insegnanti, possa stimolarli per una futura passione al mondo musicale classico. L'impaginato prevedeva una rarità di F.J.Haydn (1732-1809) con l'Ouverture da L'isola disabitata, il Concerto per flauto e arpa in do maggiore K 299 di W.A.Mozart (1756-1791) e infine la celebre Sinfonia n.4 in la maggiore op.90 "Italiana" di F. Mendelssohn ( 1809-1847). Il gesto energico ed efficace di Montanari, ottimamente recepito dagli orchestrali de "I Pomeriggi" ha prodotto una valida esecuzione dell'Ouverture haydniana, un brano di grande potenza espressiva che andrebbe inserito spesso nei programmi sinfonici. Protagonisti del successivo raffinato concerto mozartiano erano il flautista Andrea Manco e l'arpista Claudia Lucia Lamanna. Coadiuvati benissimo dagli orchestrali, il duo solistico è emerso per qualità espressiva dominata da nitore timbrico nell'elargire la gentile componente melodica del brano. Ottima la miscela delle sonorità del flauto, con i tenui e precisi colori dell'arpa. Perfetto l'equilibrio complessivo del brano giovanile mozartiano. Applausi fragorosi meritatissimi. La Sinfonia "Italiana", penultima delle cinque sinfonie del Maestro tedesco, è probabilmente la più popolare per via di quel sorprendente attacco iniziale che si ripercuote in tutto il lavoro. Ottima la decisa direzione di Montanari con un risultato a mio avviso migliore nei movimenti più energici laterali, l'Allegro vivace iniziale e il Saltarello.Presto finale. Un concerto decisamente di qualità. Da non perdere la serata ufficiale di questa sera e la replica di sabato. 22 febbraio 2024 Cesare Guzzardella Meritato successo per Fazil Say in Conservatorio per la "Societa dei Concerti" È una consuetudine sempre gradita il concerto che il pianista turco Fazil Say tiene da moltissimi anni in Conservatorio per la "Società dei Concerti". Era venuto l'ultima volta nel maggio del 2023 ottenendo, come sempre, un meritato successo. Ieri è stata una serata particolare, con una Sala Verdi al completo e con centinaia di giovani ventenni, molti della comunità turca, venuti - non solo da Milano- per ascoltare un interprete speciale, che ha fatto della creatività personale la cifra estetica più riconoscibile. Una parte dell'impaginato, quello "classico", prevedeva brani di Bach-Busoni , Beethoven e Janàček. La seconda parte "à la carte", ha visto solo composizioni di Say tutte riconoscobili, brani che oramai hanno fatto storia. Come detto in altre occasioni, Say particolarmente conosciuto nella sua terra d'origine, ha acquisito notorietà in Italia e in Europa grazie anche ad alcune pecurialità stilistiche e gestuali e anche per essere un musicista 'trasversale", aperto al jazz, alla musica folcloristica, al mondo colto, con modalità interpretative ricche di innovazioni timbriche, presenti soprattutto nelle sue composizioni. Composte con un linguaggio accessibile, i suoi lavori trovano influenze legate alla sua terra, al mondo europeo con riferimenti, nel melodiare, alla canzone francese. Un pianista-compositore che utilizza il pianoforte a 360 gradi, con effetti percussivi sulla cassa di risonanza o smorzando e riverberando le note ottenute con la mano sinistra sulla cordiera. Il programma classico, nello stile "alla Say", prevedeva la Ciaccona dalla Partita n.2 per violino solo di J.S.Bach nella nota trascrizione pianistica di Ferruccio Busoni; quindi la Sonata n.17 in re minore op.31 n.2 "la Tempesta" di L.v. Beethoven e a conclusione la pregnante Sonata "I - X- 1905" in mi bem.maggiore di Leos Janàček. Ottime le interpretazioni, alcune delle quali, quelle di Bach-Busoni e di Beethoven, che avevamo già ascoltato in concerti passati Di pregnante valenza timbrica la sonata di Janàček definita da marcati contrasti nelle tre parti che la compongono: Presentimento, Morte, e Adagio, riuniti in un unico movimento. Anche in questo brano la componente gestuale di Say, atta a sottolineare l'evento musicale, era un tutt'uno con l' espressive sonorità. Senza un momento di pausa, Say è passato poi ad una serie di suoi lavori, tutti oramai celebri tra cui il primo, quello più conosciuto, divenuto un classico: Black Earth. L'estemporaneità dell'esecuzione del celebre brano porta Say a fare sempre "modifiche in corso" . Particolarmente toccante quella di ieri, con effetti di riverbero e timbriche "orchestrali" d' intensa pregnanza coloristica. Senza soluzione di continuità ha eseguito altri brani tra cui il melodico SES e le sue Paganini Variazioni, con molte varianti jazz. Applausi fragorosi dal pubblico più giovane tutto in piedi e come bis la popolarissima "Alla turca" di Mozart-Say in versione jazz. 22 febbraio 2024 Cesare Guzzardella Sergei Babayan alle Serate Musicali per le "Variazioni Goldberg" L'Aria con 30 Variazioni in sol maggiore BWV 988, ovvero le "Variazioni Goldberg", rappresentano uno dei monumenti architettonico-musicali di J.S.Bach. Composte nel 1741, in età matura, dal genio tedesco, rappresentano un punto d'arrivo per ogni grande virtuoso. L'armeno Sergei Babayan (classe 1961) ha studiato al Conservatorio di Mosca, avendo tra i maestri anche Mikhail Pletnev, ed è un rinomato didatta avendo avuto tra i suoi allievi il grande Daniil Trifonov. È la seconda volta che viene in Conservatorio ai concerti organizzati da Serate Musicali. Nel maggio del 2022 l'impaginato era variegato con brani di Bach-Busoni, Liszt e Schumann resi con un linguaggio personale e notevole espressività. Ieri sera il celebre brano di Bach, vista la corposità di un lavoro- che nell'interpretazione dell'armeno residente negli Stati Uniti-, è durato esattamente 62 minuti, era l'unico in programma. Ho ascoltato le Goldberg da numerosi ottimi interpreti, un paio eccellenti, e per la prima volta da Babayan. Sono rimasto decisamenre soddisfatto della sua restituzione, giocata sulla varietà di ricerca di adeguati andamenti, di timbriche mai eccessive, d'intrecci delle voci di luminosa resa estetica. Partendo con un'andatura particolarmente riflessiva della celebre Aria iniziale -32 battute di una semplice melodia che poi ritornerà pressochè identica al termine della trentesima variazione- l'interprete ha rivelato un controllo totale di ogni elemento costituente la complessa architettura. L'interiorizzazione mnemonica di ogni dettaglio costruttivo ha permesso la più completa penetrazione di un lavoro ricco di contrasti, che comunque danno modo all'interprete di esprimere la propria creatività. Babayan ha aggiunto qualche abbellimento perfettamente adeguato e tolto alcuni ritornelli nella sua precisa visione del capolavoro. La leggerezza timbrica, priva di eccessi, ma di sicura resa nelle molteplici dinamiche, e la riconoscibilità delle voci nei differenti piani sonori sono indicativi di un'nterpretazione d'eccellenza. Molto interessante poi la timbrica "organistica" del finale, nella ventinovesima e nella trentesima variazione, che ha esaltato la musica del sommo Bach, proiettandolo verso un'alta vetta quasi irraggiungibile, ma da lui raggiunta con naturalezza. Probabilmente la migliore delle Goldberg ascoltate. Applausi fragorosi in una Sala Verdi con un pubblico decisamente entusiasta. 20 febbraio 2024 Cesare Guzzardella Il pianista Pier Francesco Forlenza allo Spazio Teatro 89 "Cosi vicini, cosi lontani - quando i musicisti sono amici, ma non troppo": questo il titolo scelto da Luca Schieppati per il concerto tenuto dal pianista materese Pier Francesco Forlenza, dove la scelta dell'impaginato prevedeva brani di due coppie di musicisti, ossia Brahms - Herzogenberg e Debussy - Satie, amici, ma non sempre, con momenti anche di forti contrasti nei loro rapporti non solo musicali. Forlenza, nato nel 1970, interprete ma anche compositore, a soli 22 anni già docente di ruolo al Conservatorio, ha voluto introdurre il pomeriggio musicale con tre rarità pianistiche di Heinrich von Herzogenger (1843- 1900), musicista tedesco contemporaneo di Brahms (1833- 1897). Di lui ha eseguito Commodo op. 68 n. 2, Impromptu op. 37 n. 1 e Menuet op. 37 n. 5, brani molto interessanti e ben interpretati da Forlenza. A questi lavori sono seguite le celebri due Rapsodie op.79 del musicista amburghese, dedicate a Elisabeth von Herzogenberg nata Stockhausen, moglie del primo compositore. Elisabeth era una valida pianista e anche compositrice, allieva di Brahms; di famiglia aristocratica e colta, di notevole importanza all'epoca, aveva entrambi i genitori dedicatari di opere di Chopin. Forlenza, con timbriche sicure ed energiche, ha ottimamente eseguito i lavori brahmsiani. Con un netto cambio di registro si è passati ad un clima musicale differente, dove i brani di Satie e Debussy sono stati preceduti e intervallati da tre brevi composizioni di Forlenza: il primo, B Flat, è una riuscita ninna nanna con armonie legate al jazz, un po' alla Bill Evans, collegata a due notissimi brani di Erik Satie (1866-1925), Gymnopedie n.1 e Gnossienne n.1, due lavori tanto semplici quanto profondi, eseguiti da Forlenza con intensa espressività e andamento riflessivo. Gli altri due brani di Forlenza, Satie's faction e Valse lunatique, sono risultati entrambi molto validi e piacevoli, legati al mondo di Satie, con il secondo più sviluppato nel contrasto tra i due momenti differenti. Ottimi lavori! Numerosi i brani di Claude Debussy conclusivi: due Preludi dal libro secondo, Bruyères e Feux d'artifice, la prima serie di Image e per ultimo L'isle joyeuse. Tutti interpretati con grande perizia e sensibilità da Forlenza, a dimostrazione di un'indubbia affinità con il compositore francese. Applausi calorosi e meritatissimi, anche dopo il bis, una preziosa rarità: un breve brano delicato e scritto benissimo, un Intermezzo in la maggiore in stile brahmsiano, di Elisabeth Stockhausen von Herzogenberg trascritto dal pianista. Il 3 marzo, sempre alle ore 17.00, concerto del duo Sacco-Schieppati (violino e pianoforte) in un interessante programma denominato "Qualcosa di terribile - Tolstoj, la musica e altre invettive": in programma anche la beethoveniana Sonata op. 47 " a Kreutzer". Da non perdere. 19 febbraio 2024 Cesare Guzzardella Il Kontraste Duo a Palazzo Marino per "Ritratti musicali" Palazzo Marino, in occasione della mostra dedicata a Moroni in corso di svolgimento alle Gallerie d'Italia, ha organizzato alcuni Ritratti Musicali: tre incontri in musica di tarda mattinata che oggi e nel mese di marzo ( i prossimi incontri sono previsti per il 3 e il 17 marzo ) riempiranno di ottima musica la prestigiosa Sala Alessi. Questa mattina, un concerto interamente al femminile ha trovato successo in una sala stracolma di pubblico: il Kontraste Duo formato dalla clarinettista Silvia Puggioni e dalla pianista Gledis Gjuzi ha interpretato brani di ben sette compositrici e precisamente di Clémence de Grandval (1828-1907), Johanna Senfter (1879-1961), Francine Aubin (1938-2016), Ruth Gipps (1921-1999), Krystyna Moszumańska-Nazar (1924-2009), Lili Boulanger (1893-1918) e Marion Bauer(1882-1955). A parte Lili Boulanger, sorella di Nadia, entrambe conosciute e apprezzate musiciste, con la seconda celeberrima insegnante di composizione, meno conosciuti erano gli altri nomi. L'impaginato nella sua completezza era ottimo e le qualità di scrittura musicale delle autrici - soprattutto francesi, ma anche tedesche, inglesi, polacche e statunitensi -di alto livello. Il duo Puggioni-Gjuzi si è rivelato espressivamente pregnante nel trasmettere le articolate composizioni attraverso un'intesa discorsiva di ottimo livello. Le stesse interpreti hanno presentato in modo dettagliato i lavori eseguiti, inquadrando storicamente le compositrici in un panorama musicale che dalla fine dell'Ottocento si spinge quasi ai nostri giorni, con i raffinati brani ad esempio di Francine Aubin, di Ruth Gipps o della Moszumańska-Nazar. I Deux pièces en forme de jazz per clarinetto e pianoforte, della Aubin, -un Tempo di blues e un Andante- riassumono in modo mirabile ed elegante modalità classiche e ritmiche jazzistiche, espresse con abilità e disinvoltura dal duo. Di rilevante melodicità il Preludio per clarinetto op.51 della Gipps e di grande creativita le Tre Miniature per cl.e piano della polacca Mouszumańska-Nazar, brani brevi ma di grande varietà costruttiva, ottimamente individuata dalle interpreti. Due brevi brani della Boulanger, D'un vieux jardin e Cortege, tratti da Trois morceaux pour Piano, hanno trovato una luminosa e dettagliata interpretazione dalla Gjuzi, pianista proiettata nel repertorio novecentesco e contemporaneo. Efficaci anche i primi brani della Grandval, Invocation e Air Slave, l'ultimo della statunitense Marion Bauer - allieva di Nadia Boulanger- con la sua Sonata per clarinetto e pianoforte op.22 ( anche per viola) . Intensamente profondo Ruhig, movimento centrale della Sonata per cl.e pianoforte op.57 di Johanna Senfler. Un concerto applauditissimo che ha visto anche un' eccellente esecuzione di un bis di una nota compositrice quale la francese Germaine Tailleferre (1892-1983) e la sua splendida Arabesque. Applausi fragorosi alle protagoniste. 18 febbraio 2024 Cesare Guzzardella L'Orchestra Sinfonica Giovanile di Milano diretta da Emmanuel Tjeknavorian Dopo l'importante serata di giovedì sera con l'Orchestra Sinfonica di Milano, il direttore austriaco Emmanuel Tjeknavorian è tornato in Auditorium ieri nel tardo pomeriggio per dirigere l'Orchestra Sinfonica Giovanile di Milano, una compagine composta da giovanissimi strumentisti coadiuvati da alcune prime parti (come tutor) appartenenti all'orchestra principale. Un numerosissimo pubblico ha accolto la giovane l'orchestra e Tjeknavorian - da settembre 2024 direttore musicale in Auditorium- per due brani quali la celebre Moldava di Smetana e la Sinfonia n.8 di Antonin Dvorak. Esecuzioni di qualità per i giovanissimi che vogliono fare della musica la loro professione. Applausi meritatissimi a tutti i protagonisti. Oggi alle 16.00 la replica del concerto di giovedì. Da non perdere! 18 febbraio 2024 Cesare Guzzardella Emmanuel Tjeknavorian dirige l' Orchestra Sinfonica di Milano in Wagner e R. Strauss Una serata importante quella di ieri sera in Auditorium con l' Orchestra Sinfonica di Milano. Il nuovo direttore musicale della sinfonica milanese Emmanuel Tjeknavorian, direttore d'orchestra e violinista affermato internazionalmente, ha tenuto un concerto di decisa qualità proponendo brani di Richard Wagner e di Richard Strauss. Due musicisti tedeschi legati al romanticismo e al tardo romanticismo dove il primo, di cinquant'anni più giovane - era nato nel 1813 a Lipsia- è l'inventore di un nuovo modo di concepire la musica, legata ad un filo conduttore che torna in tutti i lavori, sia nelle numerose e amate opere liriche che nei pochi brani orchestrali da lui realizzati. Richard Strauss, nato nel 1864 a Monaco di Baviera, parte dalla concezione wagneriana e costruisce un sinfonismo virtuosistico portato alle più estreme ridondanze volumetriche, in costruzioni musicali dove anche molti strumenti solistici dell'orchestra primeggiano. Le sua grandezza di compositore, pari alle sue note capacità direttoriali, hanno permesso uno sviluppo coloristico molto progredito per le grandi orchestre che in quegli anni assumono dimensioni sempre maggiori. Il viennese Tjeknavorian, nato nel 1995, quindi non ancora trentenne, aveva iniziato la carriera musicale come grande virtuoso del violino a partire dal successo ottenuto al Concorso Sibelius nel 2015. Da alcuni anni l'interesse per la direzione orchestrale espressa dalle sue indubbie capacità, lo hanno portato in giro per il mondo alla guida di orchestre importanti. L'impaginato scelto per la serata ha visto prima di Wagner il raro Eine Faust-Ouvertüre, WWV 59 e poi il celebre Prelude & Liebestod da Tristan und Isolde; dopo l'intervallo di Strauss prima Der Rosenkavalier, Suite TrV 227 e poi Till Eulenspiegels lustige Streiche (I tiri burloni di Till Eulenspiegel) TrV 171. Le potenzialità dell'orchestra hanno trovato espressione nell'accurata direzione del viennese. Tutti e quattro i lavori hanno rivelato la chiarezza d'idee, dal punto di vista costruttivo, del giovane direttore, che con gesto elegante indirizza gli orchestrali in un territorio musicale a lui molto congeniale. Dopo la più estroversa Ouverture dal Faust, ottimamente eseguita, i colori intimistici del celebre Preludio da Tristan e Isolde sono stati delineati dall'orchestra con intensa profondità. Le caratteristiche quasi viennesi, con i relativi movimenti di valzer, presenti nella Suite dal Rosenkavalier hanno ancor più delineato l'affinità di Tjeknavorian con la musica dello Strauss tedesco. Anche nei Tiri burloni di Till Eulenspiegel, l'eccellenza degli impasti coloristici si sono rivelati in toto e complessivamente le interpretazioni straussiane sono apparse di ancor più alta qualità. Bravissimi i singoli strumentisti nei numerosissimi interventi solistici: tra questi citiamo almeno l'ottimo violino di Luca Santaniello. Un successo meritatissimo in un Auditorium stracolmo di pubblico. Ad assistere al concerto c'erano anche noti compositori e direttori d'orchestra come Riccardo Chailly, organizzatori di concerti e numerosi giornalisti. Splandida serata. Da non perdere la replica di domani, domenica 18 febbraio, alle ore 16.00 17 febbraio 2024 Cesare Guzzardella Eleonora e Beatrice Dallagnese per "Musica con le ali" al Museo del Teatro alla Scala "Musica con le ali" da alcuni anni promuove giovani talenti attraverso concerti ottimamente organizzati. Ieri, nel tardo pomeriggio, ho avuto l'opportunità di ascoltare il Duo Dallagnese nella elegante Sala Esedra del Museo Teatrale alla Scala. Eleonora e Beatrice Dallagnese, sorelle di 23 anni, si sono recentemente diplomate all'Accademia Pianistica di Imola, importante istituzione musicale che da molti anni annovera tra i migliori insegnanti di pianoforte celebrità del mondo interpretativo. Inserite nelle migliori società concertistiche italiane, hanno già effettuato numerosi concerti cameristici soprattutto in duo a quattro mani, e quello di ieri rappresenta un'ulteriore partecipazione rivelatrice delle loro straordinarie qualità. L'impaginato presentato, particolarmente riuscito negli accostamenti dei brani, prevedeva musiche di Ravel, Respighi e Rachmaninov, tre musicisti tra loro contemporanei, vissuti a cavallo tra gli ultimi tre decenni dell'Ottocento e i primi quattro del Novecento. Sono stati eseguiti re importanti lavori, il primo del francese, Ma Mére l'Oye, era il più celebre nella versione per pianoforte a quattro mani del 1910, dalla precedente orchestrale. L'ottimo impatto timbrico iniziale del primo dei cinque brani che compongono la suite- Pavane de la belle au bois dormant- ha da subito rivelato le qualità delle due interpreti, sostenute dalle limpide volumetrie dello storico pianoforte Steinway & Sons appartenuto a Franz Liszt e da alcuni anni presente al Museo della Scala. Di grande qualità anche il più noto Le jardin fèerique, spesso eseguito come bis. La perfetta sintonia delle due Dallagnese, definita da precisione di tocco e luminosità coloristica, ha evidenziato anche i brani successivi. Prima un' ottima trascrizione de I pini di Roma di Ottorino Respighi, compositore italiano celebre per le sue qualità di orchestratore, come nel brano in questione composto nel 1924 e qui eseguito nell'eccellente riduzione per pianoforte a quattro mani dello stesso compositore. Quindi, come lavoro conclusivo, i Six Morceaux op.11 di Sergej Rachmaninov, opera giovanile del russo per pianoforte a quattro mani del 1894. In entrambi i brani il duo pianistico ha rivelato ancora un'ottima sintonia interpretativa. Tra i movimenti più appariscenti segnaliamo almeno I pini di villa borghese di Respighi e lo straordinario Valzer, quarto brano dell'Op.11 di Rachmaninov, interpretato con varietà timbrica e volumetrica ed evidente espressività dalle bravissime Dallagnese. Applausi fragorosi nella sala al completo e come bis la celebre Danza ungherese n.1 di Johannes Brahms. 16 febbraio 2024 Cesare Guzzardella Ramin Bahrami per la "Società dei Concerti" in Conservatorio Conoscevo il pianista iraniano Ramin Bahrami per il suo Bach, musicista a lui caro che lo ha reso noto internazionalmente. L'impaginato presentato al concerto organizzato in Conservatorio dalla Società dei Concerti, unitamente a due brani del grande compositore tedesco, prevedeva anche lavori di Mozart, Chopin, Rachmaninov e Bartók. Un impaginato dunque variegato che ha messo in risalto un pianista diverso e personale. Indubbiamente la Partita n.1 in si bem. maggiore BWV 825 , eseguita a inizio concerto,e il delizioso Capriccio sopra la lontananza del fratello dilettissimo BWV 992, eseguita a conclusione del programma ufficiale, hanno messo in rilievo le specificità di Bahrami nell'interpretare il Sommo. La leggerezza di tocco, in una discorsività tutta interiorizzata e la capacità di pesare il suono su volumetrie discrete, sono una peculiare caratteristica dell'ottimo Bach ascoltato. Differenti le sensazioni avute per gli altri compositori, musicisti esternati dall' interprete con indubbia personalizzazione creativa, ma lontani dalle esecuzioni entrate nella storia. Il Mozart della celebre Fantasia in re minore K 397, anticipata - come già era avvenuto nel primo Bach- da un paio di battute introduttive opera del pianista, ha trovato una leggerezza forse eccessiva nella prima parte del brano, dove l'elemento patetico introduttivo risultava parzialmente svuotato. La logica complessiva dell'esecuzione ha avuto comunque una sua coerenza se riferita alla ricercata creatività dell'interprete. Le frequentate Mazurche di Chopin scelte, cioè l'Op.30 n.2 in si minore, l'Op.63 n.3 in do diesis minore e l'Op.33 n.2 in re maggiore, erano lontane dal registro polacco dei grandi chopiniani e personalizzate certamente con chiarezza espressiva e di dettaglio "alla Bahrami". Di valida resa Rachmaninov con l'Elegia in mi bem. minore op.3 n.1, eseguita analiticamente, mettendo bene in rilievo i piani sonori delle linee melodiche. Con il Bela Bartók delle celebri Sei danze rumene per pianoforte, abbiamo trovato un'interprete che ha trascurato il percussivo elemento ritmico e la precisa quadratura temporale, per una particolare "riflessione melodica" sulle sei danze folcloristiche. Un'nterpretazione poco bartókiana ma originale e anche questa molto "alla Bahrami". Ricordiamo che il pianista di Teheran, nell'introdurre i brani ha vuluto mettere in rilievo la triste situazione attuale dovuta alle numerose guerre in corso ricordando anche la violenza perpretata sulle donne in molte parti del mondo. Una presentazione toccante con un auspicio alla fine dei conflitti. Applausi fragorosi dal numeroso pubblico, anche giovanile, intervenuto in Sala Verdi. Due i bis concessi: prima un noto Valzer in la bem. maggiore di Chopin, sempre alla Bahrami, e poi la famosa Aria iniziale delle Goldberg di Bach interpretata con intensa leggerezza ed espressività. Ancora applausi.
15 febbraio 2024 Cesare Guzzardella
Luisa Sello e Bruno Canino al Museo del Novecento Un programma particolarmente interessante per un duo che da più di un decennio interpreta soprattutto brani del Novecento e contemporanei. Stiamo parlando della flautista Luisa Sello e del pianista Bruno Canino, presenti nella panoramicissima Sala Fontana del Museo del Novecento per un concerto rappresentativo anche di un loro recente Cd, denominato "20th- century Middle European Flute Music". I brani proposti, quasi tutti presenti nell'incisione, rivelano il particolare interesse degli interpreti per il repertorio recente. Le qualità di Canino, da oltre sessant'anni sulla scena concertistica internazionale, sono a tutti note, unite a una profonda curiosità intellettuale per le musiche che spaziano dal Seicento sino ai giorni nostri. Luisa Sello è tra le più rinomate flautiste interessate alla musica del primo e del secondo Novecento, come alla musica colta contemporanea. Il programma presentava compositori poco conosciuti, come i cechi Petr Eben (1929-2007) ed Emil František Burian (1904-1959), insieme ad altri noti come l'austriaco, naturalizzato statunitense, Ernst Heinrich Křenek (1900-1991) e il tedesco Paul Dessau (1894-1979). A chiudere il concerto, ecco il più famoso Arnold Schönberg (1874-1951), austriaco, inventore di quella tecnica dodecafonica che cambierà il linguaggio musicale per alcuni decenni. Brani riferiti al mondo tonale, come la Sonatina semplice (1957) di Eben, la Suite per flauto e pianoforte (1954) di Křenek o Ztracené Serenády (1940) di Burian, hanno anticipato la straordinaria intesa musicale, ossia l'immediata comunicativa tra la limpida melodicità del flauto di Luisa Sello, e il nitore espressivo delle armonizzazioni di Bruno Canino, un pianista che ha nella precisa scansione temporale un altro punto di forza. Il cambiamento di linguaggio espressivo, vicino al mondo atonale iniziato con un intermezzo da Guernica (1938) per solo pianoforte di Dessau, eseguito con precisione dal Maestro, è continuato con un brano con data compositiva più lontana, il 1926, tratto dal Quintetto per fiati op.26 di Schönberg, eseguito in un'ottima trascrizione per flauto e pianoforte. È un ampio movimento di un lavoro che nella sua completezza dura oltre quaranta minuti: rivela una tecnica dodecafonica restituita con lucidità in perfezione e tempi dall'eccellente duo. Successo meritatissimo in una Sala Fontana stracolma di appassionati e concessione di un bis di grande bellezza, con un brano di J.S. Bach tra i più celebri: Siciliano, dalla Sonata per flauto e cembalo BWV 1031. Bravissimi! 14 febbraio 2024 Cesare Guzzardella Alle Serate Musicali l'Orchestra Leonore diretta da Daniele Giorgi e il cellista Kian Soltani È una compagine orchestrale formata soprattutto da giovani strumentisti l'Orchestra Leonore, fondata nel 2014 a Pistoia da Daniele Giorgi. Ieri sera, per Serate Musicali, l'impaginato era ricco di eccellente musica: due capolavori di Dmitri Šostakovič, la Sinfonia da camera per archi in do minore op.110a e poi il Concerto per violoncello in mi bem. maggiore op.107, seguiti dalla Sinfonia n.2 in do maggiore op.61 di Robert Schumann. In tutti i brani l'orchestra ha raggiunto vette eccellenti; l'accurata direzione di Giorgi è riuscita ad esaltare i due lavori del grande compositore russo, datati rispettivamente 1960 e 1959, opere quindi mature di Šostakovič. La Sinfonia da camera è in realta una fedele e riuscita trascrizione del Quartetto d'archi n.8 op. 110, realizzata dal direttore Rudolf Barshai, potenziando le linee melodiche degli strumenti. La profondità espressiva di questa intensa composizione - dedicata alle vittime del nazifascismo e della guerra - è emersa in toto ed ha anticipato un lavoro simile dal punto di vista espressivo, quel celebre concerto, l'Op.107, eseguito in questi sessant'anni dai massimi virtuosi del violoncello a partire dal dedicatario Mistislav Rostropovic. Kian Soltani, musicista nato a Bregenz nel 1992 da genitori iraniani, ha assolto il suo fondamentale compito solistico ottimamente. Il virtuosismo emerso in questo ampio lavoro si è avvalso di un violoncello corposo - uno Stradivari "London ex Boccherini 1694" - dalle sonorità precise, ben delineate e particolarmente espressive in tutti i contrasti volumetrici e dinamici esternati da Soltani. Eccellente la sinergia con la direzione di Giorgi e con le sezioni orchestrali. Di qualità la lunga cadenza solistica del terzo movimento. Rilevante il melodioso bis solistico scelto da Soltani - accompagnato da una sezione di due violoncelli e di contrabbassi- ossia il brano "Introduzione" di Šostakovic, dalla colonna sonora del film "Il Tafano", del 1955. Lunghi e calorosi gli applausi del pubblico. Dopo il breve intervallo le qualità dell' Orchestra Leonore e del direttore Giorgi sono ancora emerse nella restituzione della Sinfonia n.2 di Schumann. Un' esecuzione trasparente, con linee melodiche e armonie rilevate nei rispettivi piani sonori ed esternate con precisione dalle sezioni orchestrali. Di grande intensità l'Adagio espressivo, terzo movimento del capolavoro schumanniano: come bis la ripetizione del ritmico Scherzo - Allegro vivace. Splendido concerto! - Foto di Alberto Panzani, Uff.Stampa Serate Musicali-. 13 febbraio 2024 Cesare Guzzardella Il Duo Alterno per Musica Maestri! del Conservatorio milanese Per la rassegna musicale del Conservatorio milanese "Musica Maestri!" abbiamo ascoltato il Duo Alterno, formato da due eclettici interpreti quali Tiziana Scandaletti, soprano, e Riccardo Piacentini, pianoforte . La formazione è impegnata soprattutto nel repertorio del Novecento e contemporaneo, con molti compositori che hanno dedicato loro nuovi brani. Ieri, in una Sala Puccini al completo, hanno proposto un programma vario, incentrato soprattutto su brani del primo Novecento di De Falla, Puccini, Weill, Satie e su lavori di qualche decennio dopo di Morricone e Piazzolla. Piacentini, compositore oltre che ottimo pianista, ha proposto anche un suo recente lavoro. Il concerto, ben introdotto da Piacentini, era denominato "Arie di danza", e prevedeva brani ispirati al mondo dei valzer, del tango e dalla musica popolare. Il duo ha proposto inizialmente le note Siete Canciones populares españolas di Manuel De Falla (1876-1946), sette brevi canzoni che partendo da alcune melodie popolari ritrovano il linguaggio personale e raffinato del grande musicista spagnolo. Valida l'interpretazione dell'appariscente Scandaletti, accompagnata in modo preciso da Piacentini. A seguire, due brani per solo pianoforte, una rarità attribuita a Giacomo Puccini (1858-1924), il Piccolo tango (1910) e poi, sempre del grande compositore lirico, il noto Valzer di Musetta da Bohème, hanno ritrovato l'attenta lettura del pianista. Il mondo del cabaret ha rivisto in palcoscenico la Scandaletti con due brani di Kurt Weill (1900-1950) tratti da Trois chansons: Je ne t’aime pas e Youkali, Tango Habanera. Entrambi i lavori ci rivelano la passione per il canto popolare del grande compositore tedesco della brechtiana "Opera da tre soldi". Avvincente la resa interpretativa molto teatrale del duo. Ritorno quindi al solo pianoforte di Piacentini con Erik Satie (1866-1925) e il suo breve ma evoluto Le tango tratto da "Sports et divertissements". Ennio Morricone (1928-2020) aveva dedicato al Duo Alterno una versione del suo Tango un po’ caricaturale, celebre colonna sonora del film "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto", rivedendo la parte vocale: poche note ben cantate dalla Scandaletti. Con il brano di Riccardo Piacentini (1958) denominato Eco logico per pianoforte e foto-suoni, siamo arrivati alla musica attuale dove il pianista-compositore ha realizzato una parte pianistica ottimamente scritta con una scansione ritmico-armonica chiara e di particolare ispirazione, inserita in un "tappeto sonoro" pre-registrato, che crea una situazione ambientale di suoni, voci e rumori. Una valida performance, che ci ricorda esperienze del periodo "concreto" post-anni '50. Il brano conclusivo del programma ufficiale in duo prevedeva la melodicissima e splendida Los pájaros perdidos di Astor Piazzolla (1921-1992), un brano interpretato con pregnante espressività dalla voce energica della Scandaletti e dalle armonie intense di Piacentini. Applausi fragorosi e come bis un raro e valido brano in inglese di Alfredo Casella (1883-1947) ben interpretato dal Duo Alterno. 12 febbraio Cesare Guzzardella AL VIOTTIFESTIVAL DI VERCELLI LA VIOLA DI TIMOTHY RIDOUT Ieri sera, 10 febbraio, al Teatro Civico di Vercelli, nuovo appuntamento con l’ormai imperdibile ViottiFestival. Due i motivi principali di interesse del concerto: il programma, ricco di autori e pezzi, italiani e no, di ascolto piuttosto infrequente, tra ‘700 e ‘800, contemporanei di Viotti, una cui composizione, com’è consuetudine in questo secondo centenario della sua morte, campeggiava al centro dell’impaginato. Un programma, insomma, intelligentemente studiato per ‘ricostruire’ una parte di quel mondo musicale di cui Viotti fu personaggio di primo piano. L’altro motivo di interesse del concerto è stata la presenza di uno dei maggiori violisti delle ultime generazioni, il ventottenne inglese Timothy Ridout, già noto al pubblico vercellese per un concerto di gran successo della passata stagione; è degno di nota lo strumento che Ridout suona abitualmente, una viola molto antica, fabbricata intorno al 1570 dal liutaio bresciano Pellegrino di Zanetto, contraddistinta da un suono un po’ meno vellutato di quello delle viole più recenti, ma di maggior volume ed intensità. Il concerto ha inizio con una sinfonia di Luigi Boccherini, la G 490 in Re maggiore, composta nel 1765, ancora nel periodo ‘italiano’ del grande compositore lucchese, prima del trasferimento alla corte di Madrid, ove avrebbe trascorso il resto della sua vita. Divisa, secondo la tipica caratteristica della sinfonia ‘all’italiana’, in tre tempi, col movimento lento centrale e i due Allegri esterni, si tratta probabilmente della sua prima sinfonia, composta come sinfonia d’opera e utilizzata come tale in un paio di occasioni. Il Re maggiore, tonalità amata dal Boccherini sinfonista, nella cultura musicale barocca e rococò è considerata tonalità “guerresca e gioiosa”, secondo la definizione dello Charpentier e i due tempi esterni hanno, specie il primo, un piglio impetuoso, un ritmo da marcia guerresca, appunto, cui fa da contraltare il melodismo di sapore galante, ma con una vena di sensibilità particolarmente intensa, dell’Adagio grazioso. L’interpretazione di Rimonda, alla guida della sua Camerata Ducale, è impareggiabile nel rendere, con raffinata eleganza, il vario gioco dei timbri e il libero contrasto dei temi, e, soprattutto, il suadente lirismo, di chiara origine operistica, del tempo lento centrale. Contemporaneo di Boccherini e di Viotti fu Alessandro Rolla (1757-1841, quasi coetaneo di Viotti), pavese di nascita, ma protagonista della vita musicale milanese per quasi tutta la prima metà dell’800, in qualità sia di direttore del Teatro alla Scala per trent’anni, che di fatto segnarono l’affermazione del Teatro milanese a livello europeo, sia come direttore del Conservatorio (pare sia stato proprio lui a bocciare il giovane Verdi all’esame di ammissione). Nella Storia della musica occupa un ruolo di primo piano come padre della scuola violinistica lombarda e soprattutto come straordinario violista, forse il più grande in tutta Europa a quel tempo. Di A. Rolla sono state eseguite due composizioni: una delle 12 sinfonie, la BI 533 in Re maggiore e il Concerto per viola e orchestra in Mi bem. maggiore BI 545, uno dei quindici scritti da Rolla per questo strumento. Nei tre movimenti in cui anche questa sinfonia è divisa, senti già fermentare i primi sentori di un nuovo spirito musicale: l’interpretazione di Guido Rimonda fa affiorare, dal Re maggiore di Rolla, una tensione drammatica nel ritmo e nel contrasto tra le linee tematiche, che spezza la limpida cornice galante presente ancora nella sinfonia di Boccherini, per gettare le sue ombre anche nel tempo lento centrale e portando allo scoperto quel non so che di preromantico che si avverte nei momenti più suggestivi della sinfonia; non è forse un caso che la prima esecuzione assoluta di tre sinfonie di Beethoven in Italia sia dovuta a Rolla (che fu anche valente direttore d’orchestra) cui dobbiamo guardare come un esponente di quella cultura strumentale di derivazione austriaca che si stava, sia pur timidamente, facendo strada nell’Italia del nord e soprattutto a Milano agli inizi dell’800, per poi essere travolta dal predominio schiacciante della musica operistica. Una davvero gradita sorpresa il concerto per viola di Rolla, decisamente una delle composizioni più belle scritte per questo strumento nella prima metà dell’800, “Aroldo in Italia” a parte. Il primo tempo, Allegro, ma aperto da un Andante sostenuto intonato ad un Mi bem. maggiore di sapore beethoveniano, per la sua corrusca drammaticità, si caratterizza per i ricchi contrasti tematici, che non contemplano un vero e proprio sviluppo, ma presentano una ricca elaborazione, tra un tema inquieto e ricco di pathos ed uno di più aggraziata melodiosità mozartiana, con sapienti scelte timbriche, tra cui giocano un ruolo importante, poco prima dell’ingresso della viola, l’oboe e il corno, a preparare il terreno alla tinta sonora della viola. Ridout conferma la sua fama con un’esecuzione semplicemente perfetta: il suo virtuosismo da mattatore è sempre posto al servizio di un arricchimento espressivo, ora nel dialogo con l’orchestra, che ha un ruolo tutt’altro che di puro accompagnamento, ora negli assoli e nella stessa cadenza. Con una cavata di incantevole morbidezza, Ridout sfrutta con finezza tutta la gamma delle possibilità espressive offerta dalla viola, questo strumento ingiustamente un po’ negletto, ma capace di offrire momenti di intima dolcezza ‘crepuscolare, che è poi il colore dominante della composizione. Trascorrendo dal registro acuto, a quello più grave, contraltile- baritonale, ricorrendo con particolare insistenza all’uso delle corde più ‘calde’ della viola, Ridout ci regala momenti di vera poesia, che hanno il loro apice, com’è naturale, nel Largo centrale. Indimenticabile l’ingresso della viola, a riprendere il dolce tema principale, con un tono sommesso e mormorante, di lirismo purissimo, capace davvero di toccare le corde più profonde dell’animo dell’ascoltatore, per poi, in un’ampia sezione in assolo, quasi una lunga cadenza, elaborare il tema con un gioco prodigioso di doppie corde, che ne amplia la risonanza e ne arricchisce il pathos, specie in acuto, ma con un gioco continuo di penombre, con i registri più gravi, che, sostenuti dai violoncelli, sembrano affondare la linea melodica nell’incanto di una luce che, sul punto di spegnersi, manda i suoi ultimi bagliori. In generale, Ridout ottiene i suoi più alti risultati espressivi con un legato di limpida fluidità, screziato da un vibrato usato sempre al momento giusto e di suggestiva delicatezza Splendido Ridout e splendida la Camerata Ducale e la direzione di Rimonda nell’accompagnare il solista in questa magia musicale. Il Rondò finale, forse il meno musicalmente interessante dei tre movimenti del concerto, si offre a Ridout come il palcoscenico per esibire tutta la sua pirotecnica bravura di virtuoso, in particolare nei couplet, ove la sua viola trapassa veloce tutti i registri, per raggiungere la vertigine del sovracuto, con un’antologia di colpi d’arco violinistici, , resi ancora più ardui sulla viola, che rispetto al violino, presenta dimensioni un po’ più grandi, imponendo alla mano sinistra posizioni più dilatate delle dita sulle corde. Come detto, al centro del programma del concerto era l’Andante in Fa maggiore che Viotti stesso trasse da un proprio duetto per violini in una versione per orchestra d’archi. E’ una composizione del miglior Viotti, diretta dal miglior interprete di Viotti oggi in Italia, e forse al mondo, Guido Rimonda. Introdotta da un’apertura di intimo e intenso lirismo, si fa poi più mossa e contrastata, con un gioco vario dei timbri tra le diverse sezioni degli archi, efficacemente valorizzata da Rimonda. Si tratta di un pezzo che, una volta di più, iscrive di pieno diritto il compositore vercellese in quella generazione di passaggio al Romanticismo, in cui, superato lo stile galante e la delicata sensiblerie rococò, la musica si avvia all’esplorazione di nuove, più intense ricerche espressive. Si lascia l’Italia per la Vienna di Schubert col penultimo pezzo in concerto, ancora una volta all’insegna della rarità, non essendo certo tra le composizioni più eseguite del catalogo schubertiano: si tratta dell’Ouverture in do minore D 8, opera del periodo giovanile di Schubert, di cui esistono anche versioni cameristiche, per quartetto o quintetto d’archi, ma ieri sera a Vercelli presentata nella versione per orchestra e viola. Confessiamo onestamente il nostro imbarazzo nel dover ammettere che l’Ouverture D8 ascoltata ieri a Vercelli ci è risultata irriconoscibile rispetto a quella a noi nota, in versione orchestrale: il brano presentato ieri era una composizione molto breve, in cui primeggiava l’intenso lirismo della viola, lontano dal cupo do minore ancora beethoveniano che impronta l’Ouverture D8 di Schubert che conosciamo, tra l’altro di durata ben più estesa rispetto a quella eseguita ieri. Non sappiamo francamente come spiegare la cosa… Gran finale all’insegna della viola e del virtuosismo di Ridout, con il Potpourri per viola e orchestra di Johann Nepomuch Hummel (1778-1837). Vissuto da giovane a Vienna, ove ebbe maestri d’eccezione come Mozart ed Haydn, e a Londra, ove studiò con Clementi, acclamato come fanciullo prodigio, è noto soprattutto come pianista e compositore per pianoforte. Questo Potpourri, composto nel 1820, è ovviamente un pezzo mirato ad esaltare le qualità virtuosistiche del solista (fu dedicato infatti a un grande violista del tempo, Antoine Schmiedl), ma l’orchestra non si limita ad una pura funzione di accompagnamento, ma anzi interviene sovente a dialogare col solista o addiritura ad occupare interamente la scena. Notevole anche la presenza massiccia di citazioni da temi e motivi di pura marca mozartiana, che peraltro è un fatto ricorrente nella musica di Hummel. Per quanto riguarda Ridout, da questo Potpourri mozartiano-hummeliano esce confermata la capacità di questo giovane, ma già grande violista, di coniugare abilità tecnica ed espressività, improntata ad un lirismo di grande melodicità nelle sezioni più lente del brano e ad un gioioso slancio vitale nelle sezioni dall’agogica più mossa, con una grazia raffinata nelle parti più mozartiane del Potpourri. I suoi colpi d’arco, e il suo vibrato sempre sicuri, frutto di un grande talento, hanno conquistato ancora una volta il pubblico del Teatro Civico, dimostrando, se mai ce ne fosse bisogno, quanto ingiusta sia stata la considerazione, prevalsa tra i compositori fino almeno a tutto l’’800, della viola come ‘figlia di un dio minore’ rispetto al violino, sottovalutandone le capacità espressive. Gli entusiastici applausi del pubblico sono stati premiati da due bis di Ridout: la Fantasia per sola viola n.7 di Telemann, pezzo di intenso pathos, e la ripetizione del Finale del concerto di Rolla. Un’altra serata musicale, dunque, di gran livello, quella di ieri al ViottiFestival e in tutto degna delle celebrazioni del grande Maestro vercellese.(Foto ufficio Stampa di Vercelli) 11 febbraio 2024 Bruno Busca Edgar Moreau e Kolja Blacher in Auditorium per Haydn e ČaikovskijIl classicismo haydniano e il romanticismo di Čaikovskij hanno visto ieri sera sul palcoscenico dell'Auditorium milanese il ventinovenne violoncellista parigino Edgar Moreau e il direttore - anche violinista- tedesco Kolja Blacher per due brani noti quali il Concerto per violoncello e orchestra n.2 in Re maggiore di J.Haydn (1732-1809) e la Sinfonia n.5 in Mi minore op.64 di P.I. Čaikovskij (1840-1893). Più di cento anni separano la composizione classica del musicista austriaco da quella del russo. I due lavori prevedevano una formazione numericamente più contenuta per il concerto violoncellistico, che data 1783, e una compagine sinfonica ampia per la penultima sinfonia del compositore russo, composta nel 1888 e indicativa dello sviluppo creativo dell'autore portato ai suoi vertici espressivi. Lo straordinario concerto di Haydn, nei classici tre movimenti, è stato sostenuto con evidente chiarezza timbrica da Moreau. Il suo violoncello, sempre in risalto con un'intonazione voluminosa ed elegante, era sottolineato dalle discrete timbriche orchestrali organizzate ottimamente da Blacher per esaltare la profonda voce dello strumento ad arco. Moreau, attento ad ogni particolare del brano, ha anche sottolineato con chiarezza espressiva la lunga cadenza solistica dell'Allegro moderato iniziale. L'eccellente intesa d'insieme ha delineato un'interpretazione complessiva di alta qualità, molto apprezzata dal numeroso pubblico presente in Auditorium. Applausi fragorosi al protagonista e di profonda resa il bis bachiano solistico concesso dal cellista. Dopo l'intervallo, la celebre Quinta Sinfonia di Čaikovskij ha trovato una riuscita interpretazione dell'Orchestra Sinfonica di Milano, sempre molto disponibile e preparata con i compositori russi. Il direttore Blacher ha rivelato estrema sintonia con la musica di Čaikovskij, attraverso una scelta eccellente nelle andature che danno equilibrio ai quattro movimenti del corposo brano. Ottime le timbriche elargite con espressività da ogni sezione orchestrale, e ben rilevati l'impasto dei colori nei riconoscibili piani sonori che trovano la massima elargizione nell'originale Finale. Andante maestoso, ultimo movimento del brano. Interpretazione complessiva di evidente qualità. Applausi sostenuti e di lunga durata a Blacher e ai bravissimi orchestrali. Domenica alle ore 16.00 la replica. Da non perdere.10 febbraio 2024 Cesare Guzzardella Successo al Teatro alla Scala per Alcina in forma di concerto diretta da Marc Minkowski È tornata alla Scala, questa volta in forma di concerto, Alcina di Georg Friedrich Händel. Nel marzo del 2009 questo capolavoro del teatro musicale settecentesco venne rappresentato in forma scenica. Ieri nell'unica serata in programma, la compagine barocca Les Musiciens du Louvre diretta da Marc Minkowski, ha riportato la splendida musica del compositore tedesco - naturalizzato inglese- in teatro, con un cast vocale d'eccellenza. Ricordiamo che Alcina venne composta nel 1734-35 su libretto anonimo ispirato da L'isola di Alcina di Antonio Falzaglia, tratto dall'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. Il contenuto è una variante del mito di Circe, incantatrice fatale che attrae gli uomini col canto su di un’isola paradisiaca e, dopo averli sedotti, li trasforma in rocce, animali o piante. Alcina è un susseguirsi di splendide Arie col da capo che mettono in risalto la struttura psicologica dei protagonisti: non solo l'incantatrice Alcina e il paladino Ruggiero ma anche Morgana, Bradamante, Melisso, Oronte e Oberto hanno un ruolo di grande rilievo. Un'esecuzione in forma di concerto era stata data al teatro del Piermarini nell'aprile del 1985 e in quell'occasione il ruolo della protagonista che da il nome al capolavoro händeliano, venne interpretato da Luciana Serra. Ieri la compagine strumentale parigina, fondata da Marc Minkowski nel 1982, era ben visibile sul palcoscenico scaligero. Il direttore ha introdotto il primo atto con un' Ouverture strumentale anticipatrice dei numerosissimi interventi solistici dei protagonisti, un'introduzione che ha da subito segnato la cifra stilistica della direzione di Minkowski: energica, grintosa e attenta ad ogni dettaglio, con anche momenti di pacata esternazione coloristica. L'enunciazione delle arie è in crescendo man mano che si arriva al terzo atto, dove la quantità di melodie raggiunge un numero maggiore d'interventi. L'eccellente sinergia tra la preziosa direzione di Minkowski con la dettagliata restituzione della compagine strumentale e con le voci dei sette protagonisti, hanno portato ad una resa complessiva di ottima qualità, con molti frangenti d'eccellenza. Tutti validi i cantanti, molto immedesimati anche attorialmente, a partire dalla principale interprete, Magdalena Kožená in Alcina, un mezzosoprano di pregnante espressività che soprattutto nelle arie più rilevanti come Ah mio cor! Schernito sei, Ombre pallide e Mi restano le lagrime, raggiunge livelli interpretativi eccellenti. Di raffinata vocalità il soprano Erin Morley in Morgana, con l'eccellente celebre aria Tornami a vagheggiar, finale del primo atto o Credete al mio dolor del terzo atto. Di rilevante spessore espressivo sia Anna Bonitatibus in Ruggiero, che Elizabeth DeShong in Bradamante, mezzosoprano e contralto tra le più applaudite. Notevoli poi: Valerio Contaldo in Oronte con voce tenorile di particolare incisività e chiarezza coloristica; Alex Rosen in Melisso con voce da basso ricca di calore e il controtenore Alois Mühlbacher, un Oberto di pregnante e chiara resa timbrica. Di rilievo la componente corale ed eccellenti gli interventi solistici strumentali, in accompagnamento del canto, del primo violino, del violoncello e dei due flauti barocchi che di fronte al pubblico hanno concluso il finale dell'opera. Applausi fragorosi e continuati a tutti i protagonisti dal numerosissimo pubblico inervenuto in Scala per l'unica rappresentazione. Tre ore e venti minuti di eccellente musica certamente da ricordare a lungo. 9 febbraio 2024 Cesare Guzzardella Stefano Montanari e Antonio Alessandri per "I Pomeriggi Musicali "Un'anteprima di qualità quella di questa mattina con l'Orchestra de I Pomeriggi Musicali diretta da Stefano Montanari. I tre brani in programma avevano come lavoro centrale l'ancor poco eseguito Concerto n.2 in sol minore per pianoforte e orchestra di Camille Saint-Saëns con un solista d'eccellenza, il giovanissimo Antonio Alessandri. Ancora diciassettenne, ma prossimo alla maggiore età, Alessandri stupisce per virtuosismo, chiarezza espressiva e raffinato senso dell'equilibrio complessivo. Nel non facile concerto del compositore francese la parte solistica era dominante e comunque integrata con situazioni orchestrali importanti restituite benissimo nell'eccellente direzione di Montanari e con energica restituzione espressiva da I Pomeriggi. La componente melodica pianistica, ricca di armonizzazioni elargite con sicurezza dal giovane interprete, ha rivelato un' eccellente discorsività e un'ottima sottolineatura del materiale nei diversi piani sonori. I colori, spesso delicati, si alternavano a timbriche grintose sia nell'Andantino sostenuto iniziale che nell'inconsueto Allegretto scherzando centrale, sino al bellissimo Presto finale. Una splendida interpretazione, salutata dai fragorosi applausi del numeroso pubblico presente al Dal Verme, con anche molti studenti intervenuti da molti plessi scolastici. Il concerto è stato anticipato dall'Ouverture dell'opera Idomeneo, re di Creta di W.A. Mozart diretta con energico spessore timbrico da Montanari e dall'Orchestra. L'ultimo brano in programma, la Sinfonia n.2 in Re maggiore op.36 di Beethoven, ha trovato un'ottima esternazione da I Pomeriggi grazie alla visione complessiva chiara e dettagliata di Montanari. Di eccellente qualità l'Adagio molto.Allegro con brio iniziale. Fragorosi applausi ai protagonisti. Questa sera alle ore 20.00 la prima ufficiale e sabato, alle ore 17.00, la replica. Assolutamente da non perdere. 8 febbraio 2024 Cesare Guzzardella Concerto De' Cavalieri alla "Società dei Concerti" per "Handel vs. Vivaldi" Il gruppo cameristico Concerto de' Cavalieri e il suo direttore Marcello Di Lisa sono tornati alle serate musicali organizzate dalla "Società dei Concerti" per un'originale impaginazione che confrontava due colossi del barocco settecentesco quali G.F. Händel (1685-1759) e A. Vivaldi (1678-1741). Nella serata denominata "Handel vs. Vivaldi" particolare l'dea di prefigurare quattro momenti musicali dove movimenti di noti concerti dei due musicisti venivano eseguiti in alternanza, formando una sorte di quattro ampi nuovi concerti. Gli eccellenti strumentisti della compagine cameristica barocca hanno trovato la giusta dimensione volumetrica nel delineare l'essenza dell'arte settecentesca, tra timbriche dal sapore antico e dinamiche discrete ma ricche di contrasti. I quattro set, usando un termine tennistico voluto da De Lisi, erano volti ha rappresentare una sorta di scontro tra i due grandi protagonisti, scontro che si è domostrato invece un incontro tra modi affini di concepire la musica, spesso con momenti musicali non facilmente riconoscibili per paternità compositiva. Tra i numerosi movimenti tratti dai Concerto grosso op.3 e op.6 del musicista inglese e dai Concerti per archi o per flauto e archi del grande veneziano, segnaliamo almeno l'intervento della bravissima solista al flauto dolce Maria De Martini nei concerti vivaldiani " Il Gardellino" e "La tempesta di mare". Una serata particolarmente riuscita molto applaudita dal pubblico presente in Sala Verdi. 8 febbraio 2024 Cesare Guzzardella Il pianista macedone Simon Trp česki alle Serate Musicali del ConservatorioE la terza volta che ascolto il pianista macedone Simon Trpčeski, sempre alle Serate Musicali del Conservatorio milanese. Gi à nei lontani 2009 e 2010 aveva inserito, nei suoi variegati programmi, molto Chopin e l'ottima restituzione di allora è stata riconfermata nel concerto di ieri sera, vario, con uno solo Chopin iniziale, quello delle Quattro Mazurche op.24 , già ascoltate in un concerto di allora, e ora, dopo quattordici anni, reinterpretate ancora meglio, con una luminosità coloristica più raffinata e con una modalità interpretativa molto "polacca". La presenza di molte "variazioni" ha caratterizzato gran parte della serata. Prima le rarissime Variazioni su "Come un agnello" K 460 attribuite a Mozart, ma con il tema iniziale di Giuseppe Sarti (1729-1802), eseguite dal pianista macedone con una calibrata ricerca delle timbriche nelle numerose possibilità dinamiche. Poi la virtuosistica Suite da "Lo Schiaccianoci" di Čaikovskij nella splendida trascrizione di Pletnev, approciata con notevole sicurezza. I temi dei sette movimenti estratti dal celebre balletto del grande russo subiscono continue variazioni, ben rilevate dall'interprete nei differenti piani sonori. Ottime le variazioni di Beethoven: prima le rarissime Variazioni su una Danza Russa WoO 71 su un tema Allegretto e poi le celebri 32 Variazioni su un Tema originale in do minore WoO 80. Quest'ultime di grande resa espressiva nella corretta e precisa scelta dei tempi e negli eccellenti contrasti. L'ultimo brano in programma, la Sonata n.7 in si bem. maggiore op.83 di Sergej Prokof'ev è nota soprattutto per il terzo e ultimo movimento, un sorprendente Precipitato eseguito con virtuosismo eccelso da Trpčeski nell'esternazione dei contrastati elementi ritmici percussivi. Applausi calorosissimi pienamente meritati e quattro brevi bis concessi dal pianista visibilmente soddisfatto: prima un breve ritmico brano folcloristico macedone, poi una trascrizione pianistica dello Scherzo per 4 fagotti di Prokof'ev, poi l' Humoresque del russo Rodion Shchedrin (1932) e, a conclusione, un recente brano particolarmente melodico di un compositore croato in stile jazz molto americano. Ottima serata.6 febbraio 2024 Cesare GuzzardellaA NOVARA PER IL FESTIVAL CANTELLI RECITAL DELLA PIANISTA VERA CECINO Ieri sera, domenica 4 febbraio, all'Auditorium Olivieri del Conservatorio di Novara, nell'ambito del Festival Cantelli si è tenuto un recital della diciannovenne pianista trevigiana Vera Cecino, vincitrice del Premio Martucci 2022, che si aggiunge ad una nutrita serie di premi in altri concorsi italiani. Il Premio Martucci è un concorso pianistico che si svolge a Novara con cadenza annuale, istituito nel 2015 dalla locale Associazione Amici della Musica e rivolto a giovani e giovanissimi musicisti. Il programma con cui Vera Cecino si presentava al pubblico novarese proponeva autori tra loro assai diversi, per epoca storica e stile compositivo: R.Schumann, S. Rachmaninov, M.Clementi, C. Franck. Vera Cecino ha introdotto il concerto con un pezzo di non frequentissima esecuzione nelle sale da concerto, l'Allegro in si minore op.8 di R. Schumann. Composto nel 1831, nonostante il numero d'opus, è di fatto l'opera prima di Schumann. Si tratta di un primo tempo di una Sonata che Schumann non continuò, pervaso di una sovrabbondanza di idee, di slanci, di una materia ribollente che la forma-sonata a stento contiene entro "il fren de l'arte" di dantesca memoria, peraltro accompagnata da una condotta contrappuntistica delle parti, Non è pezzo di facile interpretazione, sia per questo carattere vario e tumultuoso, sia per alcuni passaggi di notevole difficoltà tecnica, frutto dell'interesse particolare manifestato dall'autore in quel suo periodo giovanile per il virtuosismo violinistico di Paganini, applicato al pianoforte. Ottima l'interpretazione della giovane pianista trevigiana, che rivela subito sicura padronanza tecnica della tastiera, piena scioltezza nel risolvere le difficoltà esecutive della partitura, a cominciare dai numerosi incroci, un uso sempre appropriato del pedale di risonanza. Il fraseggio è nitido, reso fluido dalla limpidezza e precisione del suono e dalle corrette scelte dinamiche, e al tempo stesso assai energico. Lo Schumann proposto da Cecino, è decisamente lo Schumann-Florestano, ovvero uno Schumann tutto slancio impetuoso, che trascina in un torrente appassionato i temi e le cellule motiviche con cui la scrittura musicale del pezzo è costruita, sino alla coda, singolarmente lunga, quasi un secondo sviluppo, in cui il fraseggiare della pianista ci fa sentire un Si maggiore particolarmente caldo e luminoso. Pezzo più conosciuto ed eseguito dell'Allegro di Schumann sono le Variazioni su un tema di Corelli op.42 di S. Rachmaninov (1931). Basate sul tema del Finale della sonata per violino e basso continuo n.6 op.5 di Arcangelo Corelli, tema noto in tutta Europa sin dal XVI secolo con la parola portoghese 'Folìa (col significato di 'idea fissa')', queste Variazioni si caratterizzano, pur nella sempre scintillante qualità della scrittura pianistica del grande maestro russo, per un minor tasso di spettacolarità, di acrobatismo virtuosistico, rispetto alle più vulgate composizioni pianistiche del grande pianista e compositore russo, a favore di un più asciutto e severo impegno formale, soprattutto orientato verso lo studio di soluzioni armoniche abbastanza inusuali per il 'tradizionalista' Rachamaninov. Nell'esecuzione di queste Variazioni, la Cecino mostra di essere in possesso di una duttilità di registri da pianista ormai matura: un'energia di suono appassionata e travolgente per le Variazioni dall'agogica più veloce, ed una delicata dolcezza e leggerezza, venata di sottile malinconia, che si riverbera dal tema della "Folia", nelle Variazioni dai tempi più lenti, tra cui, bellissima, con un fraseggio di emozionante soavità, la Variazione XVI. Una menzione particolare merita l'interpretazione delle Variazioni VIII e IX in cui il tocco sensibile e raffinato della pianista porta in primo piano, nelle scelte timbriche, quelle risonanze misteriose (l'VIII Variazione s'intitola appunto Adagio misterioso) che scaturiscono dal ricorso ad accordi e armonie ai limiti della tonalità canonica da parte di Rachmaninov. La Cecino tende in particolare a conferire particolare rilievo ai registri più bassi della tastiera, quando, ovviamente, previsti in partitura, per ottenere un suono il più possibile scuro: ci pare un'ottima scelta interpretativa, anche perché le registrazioni a noi giunte delle esecuzioni dello stesso Rachmaninov testimoniano proprio un preciso orientamento del grande pianista in questa direzione. Tuttavia in alcuni, sporadici passaggi, si sarebbe desiderato da parte della Cecino un tocco più nitido. Abbiamo comunque ascoltato una interpretazione nel complesso di ottimo livello di un pezzo sicuramente complesso e impegnativo Col pezzo successivo, la giovane pianista , con un'inversione cronologica, torna al primo '800, con una figura di un grande incompreso, Muzio Clementi, di cui ha proposto una delle poche sue sonate per pianoforte che abbiano superato i confini del puro uso didattico nei Conservatori per approdare ad una qualche fama nelle sale da concerto: la Sonata op.25 n.5 in fa# minore. Ora, chi, oggi, suona in pubblico Clementi si assume un compito arduo e, aggiungiamo, una responsabilità piuttosto gravosa: quella di liberare questo compositore dalla condanna inappellabile che sembra averlo per sempre schiacciato nei bassifondi della storia della musica, con l'esiziale accusa di aridità', compendiata nel lapidario, sprezzante giudizio di Mozart, secondo cui la musica di Clementi è quella di un '"semplice mechanicus", parola che non abbisogna di traduzione. Tale giudizio liquidatorio è però quantomeno opinabile, se pensiamo che due giganti del pianoforte, quali Horowitz e Benedetti Michelangeli, non solo introdussero alcune sonate di Clementi nel proprio repertorio, ma giunsero entrambi a giudicare tali composizioni addirittura superiori alla maggior parte di quelle di Mozart. Dunque si tratta di' saper suonare' Clementi come si deve. Nelle note del programma di sala, vergate dalla stessa pianista, si parla di "una sonata particolarmente drammatica e tesa", il che è stato pienamente confermato, soprattutto dell'"Allegro con espressione" iniziale, dalla memorabile interpretazione di V. Horowitz, che giustifica pienamente quanto sostiene Rattalino, quando parla di "scie e strisce fiammeggianti di suono" che solcano gli Allegro delle migliori sonate del Maestro romano. Tuttavia, a noi non pare che sia questa la strada scelta da Vera Cecino nella sua interpretazione. La pianista trevigiana ha scelto un'altra strada, opposta, ma secondo noi altrettanto legittima, per far rivivere i contenuti espressivi di questa partitura: la grazia. La Cecino ha suonato il primo tempo della sonata di Clementi con un suono bellissimo, morbido, delicato, di una dolcezza ricca di sfumature, cui appunto diamo il nome di Grazia. Un Clementi interpretato dunque in una chiave classicistica, ma non di un classicismo marmoreo e algido, accademico; al contrario, un classicismo che contiene già in sé i germi della propria dissoluzione nella nuova sensibilità romantica, una sorta di congedo estremo dal classicismo. Un'interpretazione che si approfondisce nel meraviglioso Lento e patetico centrale, dove il fraseggio della Cecino disegna ampie arcate melodiche d'incantevole tenerezza, senza mai scadere nella retorica di un patetismo ad effetto, ma, come dire, tenuto 'sotto pelle', cioè come soffuso in un'esecuzione sempre controllata e dal suono nitido e luminoso. Semmai un che di 'tensione drammatica', in contrasto coi primi due tempi, affiora nel Finale Presto, di notevole difficoltà tecnica, di cui la bravura della Cecino ha interpretato con un suono sempre nitido e preciso quel 'ritmo ansimante' di cui parla Rattalino. Davvero una bellissima interpretazione, quale da tempo non ascoltavamo di una sonata di Clementi. Infine, il pezzo conclusivo, il Preludio, Corale e Fuga di C. Franck. In questo caso, a nostro giudizio, l'esecuzione di Vera Cecino, oltre a un Preludio tecnicamente impeccabile, raggiunge i suoi risultati migliori nella Fuga, ove il suo splendido fraseggio non solo mette in luce quel "rigore costruttivo" di cui la stessa interprete parla nelle note del Programma di sala, ma accompagna tale rigore con una timbrica e un gioco di dinamiche che arricchisce la struttura del pezzo con un apporto espressivo di notevole sensibilità e finezza. Un po' fiacco ci è sembrato invece il Corale, privo di quella 'tensione mistica' che ne costituisce il nucleo espressivo. A parte qualche appunto del tutto marginale, è stato un gran bel concerto, in cui Vera Cecino ha mostrato di avere tutti i numeri per affermarsi come pianista di notevole spessore e intelligenza interpretativa. In risposta agli applausi prolungati di un pubblico entusiasta, Vera Cecino ha eseguito due bis: dal libro I dei Preludi di Debussy "La serenata interrotta" e un Preludio di Nino Rota, entrambi eseguiti con precisione sensibilità espressiva. Un concerto da ricordare. 5 febbraio 2024 Bruno Busca Il pianista Giovanni Bertolazzi a Villa Necchi Campiglio Un impaginato vario ed interessante quello proposto ieri, nel tardo pomeriggio, dal pianista veronese Giovanni Bertolazzi nella milanese Villa Necchi Campiglio. Il concerto era organizzato dalla Società del Quartetto in collaborazione con il FAI. Virtuoso di sicura resa espressiva, Bertolazzi è stato premiato in importanti concorsi internazionali tra i quali il Franz Liszt di Budapest - secondo premio e cinque premi speciali-, il "Premio Alkan per il virtuosismo pianistico" di Milano, dove ha ottenuto la prima posizione, e ancora molti altri. L'impaginato prevedeva come brano introduttivo la celebre Ciaccona di J.S.Bach nella trascrizione di Ferruccio Busoni, dalla Partita n.2 in re minore BWV 1004. Da questo non semplice brano, circa 15 minuti di musica dove le arditezze del violino originario sono sta traslate a due mani nel virtuosismo del compositore-pianista italiano, Bertolazzi ha rivelato subito la sua cifra interpretativa giocata su una tecnica sicura, robusta, precisa nel sottolineare con chiarezza ogni frangente del brano, ricco di variazioni, inquadrate molto bene nel complessivo dell'esecuzione. Il Beethoven successivo con la nota Sonata n.21 in do maggiore op.53 "Waldstein" ha rivelato ancora grinta, sicurezza e chiarezza nel definire le frasi nei diversi piani sonori. Un ottimo Beethoven quello ascoltato. I due ultimi lavori, entrambi di Franz Liszt, cioè la Parafrasi da concerto sull'opera Ernani di Verdi e la conclusiva Rapsodia ungherese n.12 in do diesis minore, hanno evidenziato il frangente più virtuosistico di Bertolazzi, quello per il quale l'interprete ha da alcuni anni una più intensa predilezione. La sicurezza espositiva dei lavori e l'evidente espressività raggiunta, anche nei momenti di più ardua tecnica, sono indice di qualità per un pianista di ancora giovane età che sta già ottenendo importanti successi internazionali. L'avvincente performace del programma ufficiale ha avuto come coda due ottimi bis con un Valse triste in do minore del violinista- compositore ungherese Franz von Vecsey, nella trascrizione di Georges Cziffra e quindi la celebre Danza ritale del fuoco di Manuel De Falla. Un interprete tra i migliori della sua generazione che speriamo di riascoltare presto. Applausi fragorosi in una sala al completo. 4 febbraio 2024 Cesare Guzzardella Giuseppe Albanese diretto da Pietari Inkinen per il concerto di Schumann L'ottimo concerto ascoltato in anteprima al Teatro Dal Verme per I Pomeriggi Musicali prevedeva due capavori quali il Concerto in la minore op.54 di Robert Schumann e la Sinfonia n.3 in mi bem. maggiore op.55 "Eroica" di L.v. Beethoven. Alla direzione dell'Orchestra de I Pomeriggi c'era il finlandese Pietari Inkinen, direttore spesso presente nel territorio milanese. Protagonista del celebre concerto di Schumann il pianista calabrese Giuseppe Albanese è una realtà altrettanto continua nelle nostre sale da concerto. Il suo pianismo, in questo virtuosistico lavoro, è stato caratterizzato da un deciso impatto timbrico dovuto a evidente sicurezza nel gestire ogni frangente dei tre movimenti. L'ottima sinergia con Inkinen e con gli orchestrali de I Pomeriggi è stata utile per un'interpretazione di qualità. Anche nella non breve Cadenza dell'Allegro iniziale Albanese ha rivelato un'eccellente interiorizzazione del materale, restituito poi con chiarezza e valida discorsività. Applausi fragorosi da parte del numeroso pubblico intervenuto alla mattinata musicale. Il gesto preciso di Inkinen nel gestire la corposa "Eroica" beethoveniana ha, anche in questo celebre lavoro, portato ad un ottimo traguardo. Un'esecuzione energica e ricca di contrasti per i validi Pomeriggi. Il concerto ufficiale è previsto per questa sera alle ore 20.00 con replica per sabato alle 17.00. Da non perdere. 1 febbraio 2024 Cesare Guzzardella Daniil Trifonov incanta il Teatro alla Scala Un programma variegato e ben strutturato ha accolto al Teatro alla Scala il pianista trentaduenne russo Daniil Trifonov. Da alcuni anni alla ribalta internazionale, probabilmente il massimo pianista della sua generazione, l'interprete, anche compositore, mancava da Milano da alcuni anni avendo "saltato" alcune serate importanti per motivi di salute. Molto atteso, ha trovato un pubblico al completo venuto alla Scala per ascoltare di Jean- Philippe Rameau la Suite in la min. RCT 5, di Wolfgang Amadeus Mozart la Sonata n. 12 in fa magg. K. 332, di Felix Mendelssohn-Bartholdy le Variations sérieuses in re min. op. 54 e dopo l'intervallo, di Ludwig van Beethoven la Sonata in si bem. magg. op. 106 "Grosse Sonate für das Hammerklavier". Non è facile trovare parole che definiscano il sorprendente pianismo di Trifonov, un fuoriclasse che uscendo da situazioni interpretative consolidate entrate nella storia, sa personalizzare la musica dei grandi musicisti attraverso una mediazione creativa unica e di grande varietà espressiva. La caratterizzazione dei brani, scelti secondo un ordine intelligente, ha esaltato ogni compositore. L'interiorizzazione della bellissima e corposa Suite in la minore di Rameau, sette movimenti completati con una serie di sei variazioni legati alla Gavotta conclusiva, ha trovato un' esternazione dai colori antichi, in una sintesi discorsiva unica per dettaglio e contrasti dinamici vari nella discreta volumetria delle timbriche. L'enunciazione delle sei variazioni finali ha poi raggiunto un frangente apicale di bellezza. La successiva Sonata in fa maggiore mozartiana, di evidente estroversione rispetto il più antico Rameau, ha trovato ancora un grandissimo Trifonov proiettato nel migliore classicismo del genio di Salisburgo. Il contrasto tra l'Allegro iniziale, eseguito con rapida andatura, il finale rapidissimo dell'Allegro assai, con il centrale Adagio, dall'andatura riflessiva, con note quasi centellinate, ha creato un gioiello di raro ascolto. Le Variations Sérieuses op.54 mendelssohniane, rapidissime e in crescendo nei contrasti, di una modernità sorprendente, hanno concluso la lunga prima parte della serata. Con la Sonata n.29 "Hammerklavier" op.106 siamo poi entrati in un altro territorio musicale, dove la creatività dell'interprete, unita al genio del compositore, porta alla realizzazione di un lavoro ampio e complesso che al primo ascolto sembra rinnovare e rendere contemporanea l'opera del grande di Bonn. Visionaria, ricca di luce, l'op.106, autentico capolavoro, ha trovato una resa stupefacente nelle mani del pianista russo con momenti di rapida escursione coloristica alternati ad altri di infinita riflessione. Un' esecuzione memorabile, unitamente agli altri lavori. Tre i bis: il primo jazz, con rapide escursioni timbriche per Johnny Green/ Art Tatum in I cover the Waterfront, il secondo di Scriabin e per ultimo un valzer dalle Variazioni su Chopin di Mompou. Memorabile! 1 febbraio 2024 Cesare Guzzardella
GENNAIO 2024 Avi Avital e Omer Klein alle Serate Musicali È raro ascoltare un duo formato da un mandolinista e da un pianista. Ieri sera, chi era presente nella Sala Verdi del Conservatorio per Serate Musicali ha trovato l'occasione ghiotta di ascoltare uno dei maggiori mandolinisti classici, Avi Avital, insieme ad un pianista di formazione jazz come Omar Klein. Avital ha inciso molti dischi con musiche di Vivaldi e Bach, vincendo anche premi discografici, e Klein ha un ampio repertorio nel classico trio jazz con contrabbasso e batteria. Entrambi israeliani, hanno da alcuni anni unito le loro qualità, passando dal folclore mediorientale e mediterraneo al mondo classico e al jazz. Un'unione di generi che ha portato ad un'interessante integrazione di modi di concepire la musica, tra precise annotazioni di partitura e luminosa improvvisazione. Ieri sera, nell'originale e applauditissimo concerto, l'intreccio tra i generi ha rivelato le personali qualità dei due eccellenti interpreti e, per quanto concerne Klein, anche le sue ottime capacità compositive. L'impaginato variegato prevedeva almeno sei brani di pregnante vena melodica folcloristica, nel dialogo tra ritmiche di mandolino e pianoforte. Brani di Omer Evital -violoncellista e compositore del trio di Klein da non confondere con Avi- e di Omer Klein si sono alternati, rivelandoci lo spessore artistico di entrambi i musicisti. Zamzama, Niggun, la profonda ballata Lonely Girl, Avi's song, Sleepwalker e altri ancora sono stati intervallati anche da un frangente più classico, dove il mandolinista ha interpretato i primi quattro movimenti (non la Ciaccona) della celebre Partita n. 2 in re minore per violino solo di J.S.Bach, in una sua trascrizione per mandolino solo. Al termine di ogni movimento- Allemande, Courante, Sarabande e Gigue- l'intervento al pianoforte di Klein, che partiva da Bach per trovare raffinate e delicate improvvisazioni jazz di notevole espressività . Prima di Bach anche un ottimo Fauré con Aprés un reve con un preciso mandolino. Un connubio certamente riuscito che, oltre a rivelare le qualità classiche di Avital, ha mostrato le abilità improvvisatorie di Klein, giocate su genuine, semplici e raffinate idee. Applausi fragorosi al termine e tre bis, -uno dei quali l' originale Espagna e anche l'ottimo Yemen hanno concluso la splendida serata. ( Foto in alto di Alberto Panzani- Stampa Serate Musicali )
30 gennaio 2024 Cesare Guzzardella Alta qualità per il pianista Daniele Martinelli allo Spazio Teatro 89 L'ottimo concerto di ieri pomeriggio al Teatro Spazio 89, introdotto come sempre in modo accurato da Luca Schieppati, ha rivelato le eccellenti qualità del giovane pianista bergamasco Daniele Martinelli. La denominazione azzeccata "Con fuoco" - Passioni e visioni, dal Romanticismo al Novecento - era motivata dalla presenza di noti brani di Schumann, Berg, Scriabin e Messiaen. Partendo dal romanticismo più evoluto della Kreisleriana op. 16 (1837-38) di Robert Schumann , si è passati a tre lavori del Novecento eseguiti senza soluzione di continuità, mostrando una relazione stilistica molto vicina della Sonata op.1 (1907) dell'austriaco Alban Berg, con Vers la flamme op.72 (1915) del russo Alexander Scriabin e con Île de Feu I (1949) del francese Olivier Messiaen. È la rilevante interpretazione di Daniele Martinelli, vent'anni compiuti proprio ieri, che ha esaltato le qualità dei lavori da lui scelti per dare un senso unitario allo splendido impaginato. La sua sicurezza esecutiva, esternata con evidente immedesimazione nella sua matura gestualità, ha prodotto un taglio deciso nel produrre sonorità chiare, dettagliate e ben rilevate nei piani sonori particolarmente riconoscibili. Partendo molto bene dalle otto Fantasie che compongono la poetica Kreisleriana, rese con pregnante e riflessiva discorsività, la resa estetica è risultata ancor più di valore nella sonata giovanile di Berg e nel visionario Scriabin di Vers la flamme op.72, per rangiungere un momento alto e di grande impatto timbrico nel virtuosistico e ritmico brano Île de Feu I di Messiaen, tratto dai suoi "Quatre Études de rythme". Una rivelazione interpretativa di alta qualità quella di Martinelli, molto applaudità dal pubblico presente nell'elegante teatro periferico milanese. Due i bis classici concessi: prima un Allegro con spirito dalla Sonata in Re maggiore n.9 K311 di Mozart e quindi lo Studio Op.25 n.5 di Chopin, entrambi di pregio. Il prossimo concerto allo Spazio Teatro 89 sarà domenica 18 febbraio alle ore 17.00 con il pianista Pier Francesco Forlenza. Da non perdere! 29 gennaio 2024 Cesare Guzzardella Francesco Libetta al MaMu per il compleanno di Mozart Il pianista Francesco Libetta ha tenuto un concerto al MaMu - Magazzino musica, in via Soave a Milano per festeggiare il compleanno di "Amadè". Wolfgang Amadeus Mozart era nato infatti il 27 gennaio 1756. Il noto spazio musicale milanese, dove tra spartiti, dischi, libri preziosi, strumenti musicali e incontri di presentazione, è diventato un luogo spesso affollato di concerti, ha ieri trovato insieme al noto pianista pugliese anche la piccola Orchestra MaMu Ensemble, diretta per l"occasione dal pianista-direttore Emanuele Delucchi. L'impaginato, di straordinario interesse, prevedeva prima una rarissima trascrizione per pianoforte solo del Concerto in do maggiore K. 503 nella versione di Friedrich Kalkbrenner. Una trascrizione in senso virtuosistico del celebre brano composto nei classici tre movimenti che Libetta ha in modo estemporaneo eseguito molto bene, mettendo in rilievo con grande capacità tutte le parti non solo pianistiche ma anche orchestrali del corposo lavoro. Dopo il breve intervallo il Concerto in sol maggiore K 453 ha trovato oltre a Libetta anche l'Orchestra MaMu. La parte pianistica di Libetta è stata sostenuta armonicamente con passione dagli orchestrali e gli applausi del pubblico che gremiva per l'occasione la sala non sono mancati. Libetta ha voluto poi proporre due sorprendenti bis solistici, prima con un omaggio a Verdi che moriva il 27 gennaio 1901, con una straordinaria interprerazione dal quintetto da Rigoletto nella celebre trascrizione di F. Liszt e poi ancora Mozart con il movimento centrale di una tra le sue più celebri Sonate. Grande successo. 28 gennaio 2024 Cesare Guzzardella GRANDE SERATA DI MUSICA A VERCELLI CON IL QUARTETTO ADORNO Il ViottiFestival ha proposto ieri sera, sabato 27/01, al Teatro Civico di Vercelli, al suo affezionato e numeroso pubblico, un’altra bellissima serata di musica che ha visto protagonista uno dei migliori quartetti d’archi oggi in Italia, il Quartetto Adorno, nato nel 2015 e formato da quattro talentuosi giovani che rispondono al nome di Edoardo Zosi (primo violino), Liù Pellicciari (secondo violino), Benedetta Bucci (viola) e Stefano Cerrato (violoncello). Il programma con cui il Quartetto Adorno si è presentato a Vercelli comprendeva tre quartetti per archi di Beethoven, che rientrano in quel progetto di esecuzione integrale dei diciassette (comprendendo nel calcolo la Grande Fuga op.133 come opera autonoma) quartetti del Maestro di Bonn, progetto che sta ormai volgendo a termine e che gli ‘adorniani’ hanno portato in diverse sale da concerto italiane, oltre che a Vercelli. Ad essi si aggiungeva, come doveroso omaggio a G.B. Viotti nel bicentenario della morte, un quartetto del grande violinista e compositore vercellese. Già nella disposizione degli strumentisti, il Quartetto Adorno dimostra originalità e ricerca di una particolare sonorità: infatti inverte le posizioni di viola e violoncello, spostando all’esterno la prima e all’interno il violoncello, per consentire maggior proiezione all’arco grave. Questa inusuale disposizione della formazione quartettistica funziona al meglio, naturalmente, a condizione che si abbiano due eccellenti violinisti e un altrettanto eccellente viola, capaci tutti di una cavata di buon volume, com’è certamente nel caso del Quartetto Adorno. L’impaginato del programma intelligentemente proponeva tre quartetti, appartenenti alle tre ‘epoche’, o ‘stili’, in cui si è soliti distinguere l’opera beethoveniana. Il primo quartetto proposto, il n.1 in Fa maggiore op.18 (1798, ma in realtà è il secondo della serie di sei quartetti dell’opus 18), appartiene ancora al c.d. ‘ primo stile’ di Beethoven, che ancora risente di influenze settecentesche, soprattutto di Haydn, pur con il progressivo emergere di caratteri originali, soprattutto in direzione di un’accentuazione dei contrasti espressivi. E subito il Quartetto Adorno dimostra tutto il suo valore, fornendo un’interpretazione di alto livello di questa composizione sprizzante, salvo il tempo lento, quell’energia che, in un suo memorabile saggio, Quirino Principe individua come il principio ‘cosmico’ di tutta l’opera beethoveniana, di cui i quartetti costituiscono il vertice assoluto. Con tecnica perfetta e sintonia ormai pienamente collaudata tra gli strumentisti, i quattro dell’Adorno danno voce al carattere assertivo, dalla linea tematica concentrata quasi esclusivamente su un’ unica cellula motivica, dell’Allegro con brio iniziale, in cui il suono più incisivo del violoncello risalta a contrasto con quello più meditativo del primo violino. Ma è nello sviluppo, dalle dimensioni inusitate per l’epoca, che i quattro giovani Maestri hanno dato prova della qualità di questa compagine musicale, con una polifonia trasparente e trascinante, sorretta da una cavata complessiva di forte intensità espressiva: grazie anche ad una scelta sempre efficace delle dinamiche, ne usciva esaltato l’alternarsi di momenti robustamente drammatici ad altri di più distesa eleganza ancora settecentesca, in cui spiccava il timbro brillante dei violini, in particolare del primo, cui in questo primo gruppo di quartetti, Beethoven conferisce ancora un ruolo dominante. Di alta qualità artistica è stata anche l’esecuzione dell’Adagio affettuoso e appassionato, di cui l’Adorno ha interpretato con una forte carica espressiva, virata su un pathos intenso, ma senza retorica, il tema principale in minore, mentre ha dimostrato una cura sapiente dei dettagli timbrici nella sezione centrale del movimento, dominata dal primo violino e dal violoncello. Bravi, i quattro giovani musicisti, anche nel dar voce a quella vena di umorismo che impronta il terzo movimento in Allegro (non più un Minuetto, non ancora uno Scherzo) con il giocare incessante tra legato e staccato, e alla vivacità ritmica dell’Allegro finale. La maturità del Quartetto Adorno, la qualità e la serietà della ricerca dei valori espressivi della partitura si è confermata pienamente nel secondo dei quartetti della serata, noto come ‘Quartetto delle Arpe”, il n.10 in Mi bem. Maggiore op.74 (1809) Questo quartetto, non tra i più eseguiti tra i diciassette beethoveniani, segna, all’interno del ‘secondo’ stile, la ricerca di nuove strade, da parte di Beethoven, una nuova forma del discorso musicale. Qui l’interprete non ha più a che fare col Beethoven ‘eroico’ e drammatico, tipico del secondo stile, ma con un Beethoven che tende a portare in primo piano altri elementi della costruzione musicale, tra cui, assolutamente centrale, il timbro, il colore dell’impasto strumentale, di cui chi interpreta questo magnifico pezzo è chiamato a illuminare tutte le sfumature. A questa esigenza l’esecuzione del Quartetto Adorno ha corrisposto a un livello tecnico ed estetico che merita una valutazione di eccellenza. Impossibile, ovviamente soffermarsi su tutti i dettagli, ma per noi momenti memorabili di questa interpretazione rimarranno la delicatezza e ricchezza di sfumature del Poco Adagio introduttivo, con la paletta timbrica dei quattro strumenti che intreccia, fonde, sfuma l’inciso melodico dallo strano tono interrogativo che apre questo capolavoro; la finezza dei pizzicati, che sembrano espandersi, fino a spegnersi nella conclusione della sezione in Allegro del primo movimento (e cui si deve il titolo dato al quartetto);la dolcezza dell’Adagio, in forma di Rondò, quasi attonita nella sospensione arcanamente suggestiva delle pause, con la terza enunciazione del Refrain in cui la tessitura musicale arrivava all’ascoltatore come un miracolo di echi e rimandi tra quattro linee sonore diverse, eppur sfumate l’una nell’altra, come un meraviglioso arcobaleno sonoro; e il culmine di questa accuratissima e raffinatissima ricerca timbrica, il Finale Allegro, in forma di Variazioni (sei) su un dolce tema di lieder, sulle quali s’innalza, come incantesimo sonoro, la seconda, dove è la viola a procurare l’emozione più vibrante con il suo sommesso mormorio in legato. Una vera immersione in un mondo di suoni che richiama alla mente quella frase di Kierkegaard, tanto cara a quell’Adorno che i membri di questo quartetto hanno consacrato a loro nume tutelare: “Dove i raggi del sole non giungono, pur giungono i suoni”. Il terzo e ultimo quartetto di Beethoven in programma era il n.14, in Do# min. op.131, in pieno ‘terzo stile’ beethoveniano (1826). Eseguire uno degli ultimi quartetti di Beethoven, e in particolare, diremmo, proprio questo monumentale op.131, significa proporsi una sfida da far “tremar le vene e i polsi”. Già la tonalità comporta, con le sue quattro alterazioni in armatura di chiave, più di una complicazione nell’intonazione e nella diteggiatura, specie per gli archi ( e non parliamo del sol# min. del sesto movimento, che di alterazioni ne presenta ben cinque!). Aggiungiamo gli sforzi che Beethoven chiede agli strumentisti e in particolare al primo violino, con salti vertiginosi dal grave all’acuto e al sovracuto e difficoltà ritmiche d’ogni sorta: il Presto, cioè il quinto movimento dell’op.131 era, ai tempi di Beethoven, giudicato per gran parte ineseguibile, persino da uno dei più validi violinisti del tempo come Schuppanzigh, che Beethoven mandò semplicemente al diavolo. Vero banco di prova della qualità di un quartetto, suo ‘esame di maturità’, è stato affrontato dal Quartetto Adorno con un piglio e una bravura davvero ammirevoli, e con un esito interpretativo di notevole qualità, con intonazione pregevole e sincronismo rigoroso negli attacchi. Indicheremo anche in questo caso i momenti per noi più alti di questa esecuzione: il primo movimento, nella forma della fuga, forma amatissima dall’ultimo Beethoven, che i quattro giovani talenti hanno interpretato con chiarezza e nettezza apollinee, in cui l’intreccio polifonico delle quattro linee strumentali è parso spesso fondersi in un unico flusso, dai timbri diversi, e soprattutto quello che è un po’ il centro dell’intera opera, il quarto movimento, l’Andante ma non troppo e molto cantabile’ , un Tema con variazioni (anche questo un genere onnipresente nel ‘terzo stile’ beethoveniano). Man mano che le variazioni procedono, il Quartetto Adorno ne sottolinea il carattere sempre più armonicamente e tematicamente complesso, con una sottile cura dei dettagli armonico- contrappuntistici e timbrici, in cui ogni strumento sembra farsi portatore di un mondo d’idee musicali proprie, ora addensando il suono, ora rarefacendolo, con un gioco vario e incantevole di dinamiche, veramente bello a sentirsi. e l’Allegro finale, l’enigmatica esplosione con cui si conclude questo immenso (in tutti i significati dell’aggettivo) quartetto, che l’Adorno ha suonato con una intensità di suono straordinaria, corrusca di quei sinistri bagliori, che fecero dire allo scrittore romantico russo Alexander Bestujev che “nel finale del quartetto 14 di Beethoven s’acquatta l’ombra del diavolo”. Intelligenti pauca, dice un adagio latino: a chi capisce bastano poche parole: è stato un quartetto op.131 tra i più esteticamente riusciti da noi ascoltati recentemente. Davvero complimenti a questi giovani talenti. Tra il quartetto op.74 e quello op.131, che chiudeva la serata, è stato inserito l’omaggio a Viotti, il quartetto in Mi maggiore WII:6. Viotti compose sedici quartetti, come Beethoven, sempre che non conteggiamo la Grande Fuga come pezzo indipendente. Quello presentato ieri sera appartiene ad una raccolta di sei quartetti pubblicata nel 1783 ed è in soli due movimenti, entrambi in Allegro, il secondo in forma di Rondò. L’interpretazione che il Quartetto Adorno ne ha offerto colloca molto bene l’arte di Viotti nel suo appropriato contesto, cogliendone i caratteri peculiari: come bene dice la nota di presentazione del programma di sala, l’essenza dei quartetti di Viotti consiste in una garbata conversazione tra i quattro archi in uno stile concertante, in cui il dominio del primo violino è nettamente limitato a vantaggio degli altri tre archi. Questa conversazione si esprime in un linguaggio che unisce, in originale ed efficace sintesi, l’eleganza limpida dello stile galante con un lirismo che, lontana eredità barocca della scuola corelliana e della ‘musica degli affetti’, sa attingere talora un’intensità che presente il romanticismo, in particolare nel primo movimento, in cui la serenità del tema principale s’incrina in alcuni passaggi di ombroso ripiegamento. Valida, dunque l’interpretazione del Quartetto Adorno nel cogliere quella limpidezza e quella vena più pensosa ed elegiaca che scorre, per così dire, sotto di essa, grazie ad una cura meticolosa di dinamiche e timbri. Un concerto che ha riscosso un grandissimo e strameritato successo e davvero tra i più coinvolgenti della stagione, salutato da un prolungato e fragoroso applauso del pubblico accorso al Teatro Civico, che ha strappato il bis ai quattro protagonisti della serata: lo Scherzo dal quartetto di F. Schubert ‘La morte e la fanciulla’, eseguito con la finezza e la sensibilità espressiva di cui il Quartetto Adorno ha dato abbondante prova nel corso di tutta la serata. Da ricordare. ( Foto Ufficio Stampa Vercelli) 28 gennaio 2024 Bruno Busca Marie-Ange Nguci diretta da Alexander Briger in Auditorium con l'Orchestra Sinfonica di Milano L'interessante concerto sinfonico ascoltato ieri sera in Auditorium con l'Orchestra Sinfonica di Milano prevedeva due ultimi lavori di due grandi musicisti quali W.A.Mozart e J.Brahms. Il classico e in apparenza "facile" Concerto in si bem. maggiore n.27 K. 595 del grande salisburghese, del 1791, si opponeva all'ultima fatica sinfonica del musicista amburghese Brahms, un lavoro romantico evoluto che ritrova una sintesi espressiva del musicista più maturo, che ha terminato il genere sinfonico con la sua Sinfonia n.4 in mi minore op.98, composta nel 1884-85. Alla direzione della valida Sinfonica milanese, il direttore australiano Alexander Briger ha dato sfoggio delle sue qualità interpretative in entrambi i lavori. Nel delizioso concerto mozartiano, protagonista della serata e per la prima volta da me ascoltata, la giovane pianista franco-albanese Marie-Ange Nguci ha rivelato doti pianistiche di eccellente resa stilistica attraverso un tocco sicuro, chiaro, ben delineato nei piani sonori e certamente importante per lo svolgimento complessivo delle sonorità orchestrali. Il rapporto tra tutti e solista è stato di ottimo equilibrio volumetrico e di corposa miscela timbrica. L'apparente semplicità discorsiva del concerto di Mozart abbisogna di riempire con spessore interpretativo le semplici ed espressive frasi musicali delineate dalla successione di poche ma pregnanti note e la Nguci ha dato un grande prova di alta qualità discorsiva. Il virtuosismo più complesso della pianista è poi emerso nei due bis concessi di cui il primo era per la sola mano sinistra. Dopo l'intervallo, un cambio totale di registro ha definito la Quarta Sinfonia di Brahms per una direzione ed una esecuzione di ottimo livello, mediata da un'energica sintesi ben chiarificata dalle sezioni orchestrali e dai validi interventi solistici. Un concerto complessivamente valido che troverà la replica domenica alle ore 16.00. Da non perdere! 26 gennaio 2024 Cesare Guzzardella La Filarmonica della Scala diretta da Ingo Metzmacher per Luigi Nono e Dmitrij Šostakovič Meritato successo al Teatro alla Scala alla seconda replica del concerto sinfonico che prevedeva alla direzione della Filarmonica scaligera il tedesco Ingo Metzmacher per un omaggio a Claudio Abbado che oltre cinquant'anni fa, proprio alla Scala nel 1972, esegui l'importante brano del compositore veneto Luigi Nono “Como una ola de fuerza y luz“. Quest'anno ricorre il centenario dalla nascita di Nono, uno dei grandi esponenti italiani delle avanguardie musicali post anni '50 - insieme a Berio e Maderna- che cambiarono i modi di concepire la musica facendo anche uso della musica elettronica e unendo i linguaggi registrati in laboratorio, nello storico centro di Fonologia Musicale della Rai, con le esecuzioni strumentali dal vivo. Ricorre anche il decennale dalla morte di Claudio Abbado. Il brano di circa trenta minuti che ha anticipato l'esecuzione della Sinfonia n.4 di Dmitrij Šostakovič, era per Soprano, pianoforte, orchestra e nastro magnetico e ha trovato la voce di Serena Sáenz e il pianoforte di Pierre-Laurent Aimard, uno dei massimi interpreti del repertorio contemporaneo. Regista del suono Paolo Zavagna. Il suggestivo impatto del corposo lavoro di Nono ha riempito di stratificazioni sonore il Teatro scaligero attraverso la perfetta miscelazione della parte registrata, quella originale di allora, alle sonorità orchestrali dirette in modo eccellente da Ingo Metzmacher, direttore specialista nella musica del Novecento e contemporanea. L'alternanza tra i registri alti della limpida voce di Serena Sáenz, sia nel canto che nella lettura del testo di Nono tratto dal poema di Julio Huasi Luciano, e l'incisiva componente percussiva dove anche il pianoforte, suonato in modo impeccabile da Aimard soprattutto nei registri gravi in modo da fondersi con i roboanti effetti delle percussioni, ha ricreato quell'atmosfera magica e rivoluzionaria di quel particolare periodo storico del quale Nono fu tra i più autorevoli rappresentanti. Splendida esecuzione. Dopo il breve intervallo, un'esemplare interpretazione della Quarta Sinfonia di Šostakovič in Do minore op.43 (1937) ha rivelato il personalissimo linguaggio del compositore russo. Il lungo brano in quattro movimenti - Allegretto poco moderato, Moderato con moto, Largo e Allegretto - ricco di contrasti, cambiamenti di tempo, momenti raccolti e altri di fragorose esternazioni timbriche, è stato espresso con maestria dalla Filarmonica della Scala e dalla dettagliata direzione di Metzmacher. Successo inevitabile.26 gennaio 2024 Cesare Guzzardella LA LIRA DI ORFEO AL CONSERVATORIO CANTELLI DI NOVARA Il Conservatorio Cantelli di Novara da anni ha avviato una sezione di corsi strumentali dedicata specificatamente alla musica barocca, il cui frutto è la creazione di un Ensemble Barocco, formato dai migliori allievi dei corsi, nonché periodici e interessanti concerti dedicati a particolari aspetti di questo affascinante periodo della Storia della musica. Quest’anno vedrà una serie di concerti intitolata ‘La lira di Orfeo’, dedicata alla scoperta degli strumenti della musica barocca, il primo dei quali, dedicato al clavicembalo e al violino barocco, si è tenuto ieri, giovedì 25 gennaio, nella Sala Tognatti del Conservatorio, in cui l’Ensemble Barocco del Cantelli vedeva la partecipazione degli allievi delle classi della Professoressa Centurioni (violino) e del Maestro Bonizzoni (clavicembalo). Va precisato che per ‘violino barocco’ s’intende uno strumento, in uso grosso modo tra metà’500 e primi del’700, un poco diverso dal violino moderno: leggermente più piccolo nelle dimensioni, con manico e tastiera più corti, ma soprattutto con una montatura diversa, un’anima più corta, dal suono particolarmente chiaro e trasparente, ricco di armonici e risonanze, di minor volume rispetto ai violini moderni (il che lo rende più adatto ad un accompagnamento del clavicembalo), ma piuttosto brillante. Ad iniziare il concerto sono stati i tre giovani violinisti Michele Alziati, Gabriele Cervia, e Federica Rolli, accompagnati dal basso continuo, affidato alla classica coppia violoncello (Andrea Alziati) e clavicembalo (Luca Canneto). Il brano presentato era di Fabrizio Caroso (1530 ca. – 1605), autore poco noto anche agli studiosi, tant’è che e ne ignorano quasi del tutto le vicende biografiche. Si tratta di una versione per soli strumenti di una composizione destinata ad accompagnare una danza con un madrigale a due voci, ‘Celeste giglio”. Buona l’esecuzione, con il suono brillante dei violini che, intrecciandosi al timbro più scuro del violoncello e a quello secco e quasi metallico del clavicembalo, ha animato con varietà di colori il vivace ritmo di danza di questo tipico pezzo da festa di corte. Alessio Platinetti ha poi eseguito al cembalo la Toccata prima, dal Primo libro di toccate (1615) di Girolamo Frescobaldi (1583-1643). Davvero apprezzabile la bravura con cui Platinetti ha saputo dare voce alla tipica espressività della musica barocca, quella musica degli ‘affetti’, che si realizza nella caratteristica varietà toccatistica con la sua sapiente alternanza di passi lirici e polifonici, col frequente cambiamento di temi, dei ritmi, della scrittura, qui imitativa e in libero contrappunto, con rapidi passaggi. Una festa per le orecchie, creata da un grandissimo musicista e ottimamente eseguita da un giovane già dotato del pieno controllo tecnico della tastiera. A Frescobaldi, uno dei più importanti tastieristi del Barocco musicale, seguiva nell’impaginato del concerto, una sonata del bresciano Biagio Marini (!587-1665), forse meno noto di Frescobaldi, ma non meno importante storicamente, perché fu tra gli inventori della sonata per violino: in assoluto, fu il primo violinista a noi noto a scrivere per il suo strumento. Il pezzo di Marini in programma era la Sonata IV sopra due corde dall’Opus VIII. Come Frescobaldi con la Toccata per clavicembalo, così anche Marini nella Sonata per violino adotta una forma strutturalmente molto libera nell’alternanza di movimenti lenti e veloci, senza alcuno schema vincolante di successione, perseguendo lo scopo di variare i movimenti a seconda degli affetti. Il giovane violinista Gabriele Cervia, accompagnato al basso da Alessio Platinetti, si fa davvero ammirare per la bravura con cui, dando smalto al suono brillante delle sue quattro corde, interpreta in modo convincente il ricco mondo di affetti di questo bel pezzo, dimostrando un virtuosismo tecnico già maturo nei passaggi più rapidi, nelle doppie corde , nei trilli, che abbondano nella scrittura di Marini, a potenziare la linea espressiva delle composizioni. Dall’Italia alla Francia con Francois Couperin (1668-1733) con una Courante, in cui ha dato ottima prova di sé il clavicembalista Gioele Cantalovo, nel valorizzare le diverse soluzioni timbrico-armoniche, secondo una tecnica di cui Couperin fu maestro alle generazioni successive di clavicembalisti, a cominciare dal suo più diretto erede, Philippe Rameau (1683-!764), come dimostra la sua Dauphine (1747), l’ultima composizione accertata per clavicembalo di Rameau. Pezzo isolato, non appartenente ad alcuno dei tre libri dei Pièces de clavecin, scritto in occasione delle nozze del Delfino di Francia, donde il titolo, presenta un carattere spiccatamente toccatistico, con il libero alternarsi di sezioni lente e altre veloci, con notevole tasso di virtuosismo tecnico nei passaggi rapidi e densità contrappuntistica, banco di prova, una volta di più, della piena maturità tecnica di Cantalovo. Di nuovo Couperin con La Piemontoise, dal IV Ordre,” Le Nations”, qui in versione per due violini (Gabriele Cervia e Federica Rolli), col basso continuo del violoncello (Andrea Alziati), e del clavicembalo (Gioele Cantalovo). Brano ‘descrittivo’, vive tutto dei diversi timbri dei tre strumenti, nella contrapposizione tra il brillante suono dei violini e il sottofondo caldo e scuro del violoncello e della vivacità ritmica che contraddistingue gran parte del pezzo, aspetti resi entrambi al meglio, con ottima intesa tra le parti, dai quattro esecutori. L’Ensemble Barocco del Cantelli affida al clavicembalista Luca Canneto l’esecuzione della Ciaccona del tedesco Johann Caspar Ferdinand Fischer, pezzo che risente chiaramente dell’influenza francese, in particolare per la ricchezza dell’ornamentazione, unita peraltro ad una scienza contrappuntistica tipicamente tedesca. Chiamato a confrontarsi con queste caratteristiche, Canneto se la cava egregiamente, mostrando anche lui di aver già raggiunto una valida padronanza tecnica dello strumento. Questo concerto barocco non poteva non concludersi con un omaggio a due protagonisti assoluti di quella lunga stagione musicale, e tra i grandissimi della musica di ogni tempo: Arcangelo Corelli, e, ovviamente, J.S. Bach. Apprezzatissimo, per la cantabilità lirica di limpido melodismo del violino di Michele Alziati l’Adagio dalla sonata terza dal Libro V per violino e clavicembalo di Arcangelo Corelli, con Matteo Cotti al cembalo. Con una scelta di grande interesse il pezzo è stato suonato in due versioni: la prima è quella contenuta nel manoscritto autografo, molto asciutta e priva di ornamentazione. Si sa che per Corelli e per molti compositori e musicisti dell’epoca l’ornamentazione non era obbligata, ma affidata all’estro dell’improvvisazione e quindi la partitura era poco più che un canovaccio. E’ stata quindi proposta una seconda versione di questo Adagio di Corelli, da un’edizione olandese delle sue sonate, caratterizzata dalla presenza di ricche ornamentazioni (trilli, acciaccature e mordenti), che si presume riproducesse la pratica esecutiva di Corelli: ne è risultato un brano di affascinante ‘belcantismo’ italiano, trasposto per il violino. I primi due movimenti della Sonata per violino e clavicembalo di J. S. Bach in Mi maggiore Adagio/Allegro BWV 1016 sono stati eseguiti da Gabriele Cervia al violino e Matteo Cotti al clavicembalo. Com’è risaputo , nel gruppo di Sonate BWV 1014-1019, il cembalo ‘obbligato’ acquista un peso strumentale che va ben oltre la semplice funzione di basso continuo, dialogando alla pari con il violino. Purtroppo, forse per la stanchezza, forse per l’emozione o la difficoltà tecnica del pezzo, l’esecuzione del pur bravo Cervia, con qualche stecca e note ‘sporcate’ di troppo, non è stata impeccabile, mentre Cotti al clavicembalo ha dato ottima prova di sé, sia nell’Adagio, in cui la mano destra (la sinistra ha un puro compito di sostegno accordale), è chiamata, in dialogo col violino all’elaborazione di un motivo ostinato, piacevolmente cantabile e ornato di varie fioriture ‘belcantistiche’, sia nell’Allegro, che presenta un severo contrappuntismo, con un impegnativo stile fugato, eseguito con trasparenza e precisione: stile ‘italiano’ e ‘stile tedesco’, si uniscono esemplarmente nel momento più alto e conclusivo della musica barocca, il genio bachiano. Gli applausi scroscianti del pubblico presente in Sala Tognatti testimoniano il pieno successo di questo concerto e il riconoscimento di una nuova realtà che si sta affacciando sulla scena musicale di Novara: l’Ensemble Barocco del Cantelli. 25 gennaio 2024 Bruno Busca L' ottimo Mozart con il clarinetto di Dimitri Ashkenazy e la direzione di Beatrice Venezi Il concerto ascoltato in anteprima questa mattina al Dal Verme aveva come brano di maggior attesa il Concerto per Clarinetto e Orchestra in la maggiore K. 622 di W. A. Mozart e come solista di riferimento il clarinettista Dimitri Ashkenazy. A completare il programma due lavori ispirati dal Settecento mozartiano o da epoche barocche più lontane quali Le Tombeau de Couperin di Ravel e la Sinfonia n.1 in re maggiore op. 25 "Classica" di Prokofiev. Alla direzione dell'Orchestra dei Pomeriggi Musicali c'era Beatrice Venezi. Di rilevante qualità, il celebre concerto mozartiano -una delle sue ultimissime composizioni ( ottobre 1791) - è stato ottimamente sostenuto da Ashkenazi, orientato da una direzione che, in questo capolavoro di scrittura, si è rivelata più che all'altezza. Le sonorità trasparenti e ben miscelate degli orchestrali de "I Pomariggi" hanno trovato una precisa ed espressiva risposta nel solismo del clarinettista. Dopo la breve pausa, i due lavori orchestrali di Ravel e di Prokoviev composti entrambi attorno al 1915, hanno trovato una buona esecuzione. Il riferimento al barocco in Ravel, con le quattro parti- Préludes, Forlane, Menuet e Rigaudon- che compongono il lavoro di Ravel e la classicità del brano di Prokofiev meritavano una definizione più netta delle timbriche e maggiori contrasti tra i rispettivi andamenti. Un concerto comunque complessivamente valido che avrà la prima ufficiale questa sera alle 20.00 e la replica sabato prossimo alle 17.00. Si consiglia la partecipazione. 25 gennaio 2024 Cesare Guzzardella Slancio, rigore e passione per Anna Tifu e Giuseppe Andaloro Decisamente azzeccata la denominazione "Slancio, rigore e passione" data al concerto della violinista sarda Anna Tifu e dal pianista siciliano Giuseppe Andaloro nella serata organizzata dalla Società dei Concerti. Da moltissimi anni suonano in duo e preparano impaginati particolarmente variegati e ricchi di virtuosismo. Nelle pagine ascoltate ieri sera i musicisti scelti erano Grieg, Schumann e Prokofiev per complessivi quattro brani, almeno due dei quali molto eseguiti. La celebre Sonata n. 3 in do minore op. 45 di E. Grieg ha introdotto il concerto rivelando da subito l'alta cifra espressiva e l'intesa di questa coppia in musica, che è andata in questi anni via via migliorando nel corso dei numerosi concerti sostenuti. Lo slancio, il rigore tecnico e la passione generata da una naturale capacità di unire ragione e sentimento ha avuto una conferma nei tre movimenti che compongono una sonata ricca di elementi folcloristici, scritta dal musicista norvegese nel 1887. Con la Fantasia in do magg. op. 131 di Robert Schumann, composta nel 1853 e di rarissima esecuzione, il mondo romantico è stato ancor più delineato da un'esecuzione apparentemente estemporanea ma che in realtà rivela uno studio approfondito di ogni dettaglio. Con il Prokofiev della rara Sonata n.1 in fa minore op.80, un lavoro cupo e tormentato, estremamente vario e sfaccettato, composto dal grande russo tra il 1938 e il 1946, è emersa la prorompente abilità di Andaloro di ricreare la struttura del brano con giusta enfasi per esternare timbriche ricche di energia e d'impatto scultoreo. La sua è una naturale abilità di esprimersi alla tastiera in modo chiaro, mettendo in risalto le parti più nascoste del difficile brano. La parte violinistica, altrettanto importante, espressa con precisione dalla Tifu, ha creato l'atmosfera unitaria della sonata, caratterizzata dal riconoscibile linguaggio del compositore. Un' interpretazione di alta levatura estetica. Con l'ultimo lavoro dell'impaginato, rimanendo in Sergej Prokofiev, la scelta della Suite da Romeo e Giulietta del 1937 ci ha permesso di riascoltare i dieci celebri brevi brani di questo capolavoro destinato al balletto, ma particolarmente diffuso anche nella versione orchestrale e cameristica. Il bellissimo vibrato del voluminoso violino di Anna Tifu, espresso con una precisa intonazione dello strumento anche nei più impervi sopracuti e con un'accattivante modalità di fraseggio, si è unito alle corpose armonizzazioni e al virtuosistico modo di melodiare di Andaloro. Ancora una volta la resa interpretativa è risultata altamente espressiva ed è stata apprezzata dal pubblico presente in Sala Verdi attraverso fragorosi applausi. Ottimo il bis concesso con un esemplare Blues, secondo movimento dalla Sonata n.2 (1923-27) di Maurice Ravel, interpretato dal duo con grinta jazzistica. 25 gennaio 2024 Cesare Guzzardella Meritato successo alla Scala per la Médée di Cherubini Successo per la Médée di Luigi Cherubini alla quarta rappresentazione scaligera. Prima dell'inizio il sovrintendente Dominique Meyer ha annunciato la sostituzione del soprano Marina Rebeka, influenzata, con Claire de Monteil nel ruolo di Médée. Per la prima volta l'opera in tre atti del compositore italiano su libretto di François-Benoît Hoffmann è stata eseguita al Teatro alla Scala nella versione in francese. Resa celebre nella versione italiana dalla Callas con le direzioni di Leonard Bernstein e di Thomas Schippers negli anni '50 e '60 del secolo scorso, Medea trovò nel teatro milanese la sua ultima rappresentazione nel maggio del 1962. La nuova produzione scaligera ha visto la regia di Damiano Michieletto sulle scene moderne e minimali di Paolo Fantin, i costumi recenti di Carla Teti, le luci, particolarmente rilevanti, di Alessandro Carletti e la drammaturgia di Mattia Palma. . È un'unica scena per tutti i tre atti - raggruppati in due parti- che mostra un ambiente moderno della ricca borghesia in sostituzione di quello che era il palazzo di Crèon a Corinto. Una modernizzazione che nulla toglie al ruolo ambiguo, tra amore e odio, della protagonista Médée. Michieletto con la sua regia essenziale, probabilmente ha voluto mettere a nudo i protagonisti utilizzando modalità teatrali attuali, partendo dall'idea che la triste vicenda, ispirata dalla tragedia classica di Euripide, da quella di Seneca e poi da quella seicentesca di Corneille, è quella che purtroppo comunemente accade ai nostri giorni. L'eccellente orchestrazione di Michele Gamba ha dato unità al lavoro. Il suo approccio alla musica di fine Settecento di Cherubini, proiettata però verso il Romanticismo, ha sintesi discorsiva con timbriche spesso energiche, ricche di ritmo. Il suo approccio è ideale per rendere attuale una partitura ricca di idee, moderna e in sintonia con la modernizzazione operata dal regista. Le parti recitate sono molto ridotte rispetto la versione originale francese andata in sc |