LA CAMERA DI CONSIGLIO

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In neppure due ore di film, la regista e sceneggiatrice romana Fiorella Infascelli, classe 1952, è riuscita con grande efficacia a richiamare alla memoria collettiva il cosiddetto maxiprocesso contro la mafia, o meglio contro Cosa nostra, svoltosi a Palermo – in un’enorme aula bunker costruita appositamente a lato del carcere dell’Ucciardone – dal 10 febbraio 1986 al 16 dicembre 1987 (ma in realtà fino al 30 gennaio 1992, data in cui fu emanata dalla Corte di Cassazione la sentenza finale).

Per la prima volta erano alla sbarra uomini accusati di associazione mafiosa, omicidio, traffico di stupefacenti, estorsione e altri delitti: ben 475 imputati, poi scesi a 460, con circa 200 avvocati difensori e 600 giornalisti di moltissimi Paesi.

Il processo penale – il più grande al mondo – fu possibile grazie alle fondamentali testimonianze di Tommaso Buscetta, estradato nel 1984 in Italia dal Brasile, mafioso cui i Corleonesi avevano assassinato ben undici parenti. Interrogato più volte dal giudice Giovanni Falcone, in poco più di due mesi Buscetta aveva rivelato la struttura gerarchica di Cosa nostra, l’organizzazione della “Cupola”, le regole interne, i nomi di mandanti e di esecutori di numerosi omicidi.

Falcone predispose via via controlli sull’attendibilità delle dichiarazioni di Buscetta, ossia indagini bancarie (“Follow the money”) e revisioni di rapporti di polizia, per avere riscontri effettivi: e li ebbe. Furono dunque spiccati 366 ordini di custodia cautelare che portarono in un blitz all’arresto, il 29 settembre 1984, di oltre due terzi dei ricercati. Anche le deposizioni del mafioso Totuccio Contorno, che aveva avuto trentacinque amici e parenti assassinati da Cosa nostra ed era scampato a sua volta a un attentato, furono preziose per produrre altri 127 mandati di cattura e 56 arresti, non solo a Palermo ma anche a Roma, Bari e Bologna. In quei mesi furono uccisi diversi “collaboratori di giustizia” o presunti tali; il 23 dicembre 1984 fu Pippo Calò a organizzare, insieme alla banda della Magliana legata al terrorismo nero, la strage del treno 904, in modo da deviare l’attenzione dei mass-media da quanto stava succedendo. Nel 1985 furono assassinati il commissario Beppe Montana e il vicequestore Nino Cassarà, che si dedicavano con coraggio e intelligenza alle indagini in corso. Per sicurezza, Falcone e il giudice Paolo Borsellino, insieme alle loro famiglie, furono trasferiti nell’isola di Asinara a trascorrere l’estate per scrivere l’ordinanza, in circa 8000 pagine, di rinvio a giudizio di tutti gli indagati, da Abbate Giovanni a Zito Benedetto.

La vicenda narrata nel film parte dall’11 novembre 1987, giorno in cui si ritirò in camera di consiglio la giuria del processo di primo grado, costituita da otto membri, quattro donne e quattro uomini, di cui sei erano giudici popolari e due giudici togati. L’attenzione è quindi centrata completamente su queste figure, di grande valore umano e civile, con qualche interessante spezzone documentaristico del processo reale. I giurati restarono isolati dal mondo, in alcune stanze – davvero claustrofobiche – predisposte all’interno del carcere dell’Ucciardone, per ben 35 giorni; avevano solo un piccolo cortile murato dove uscire a prendere un po’ d’aria. Di fatto, vivevano come prigionieri, senza nessun contatto con l’esterno, in una vera clausura.

Presidente era Alfonso Giordano, interpretato dal bravissimo Sergio Rubini; giudice a latere era Pietro Grasso (l’ottimo Massimo Popolizio). Della giuria popolare facevano parte Francesca Agnello (Anna Della Rosa), Maria Nunzia Catanese (Betty Pedrazzi), Lidia Mangione (Roberta Rigano), Francesca Paola Vitale (Stefania Blandeburgo), Luigi Mancuso (Claudio Bigagli) e Renato Mazzeo (Rosario Lisma).

Validissima la recitazione di tutti – spicca l’eccellente Betty Pedrazzi – in grado di far rivivere preoccupazioni, sofferenze, dubbi, paure, crisi di panico, senso di solitudine di chi si era assunto una responsabilità davvero gigantesca, senza precedenti nella storia della giustizia italiana.

La sentenza fu letta da Giordano in circa un’ora e mezza: 114 assolti, 346 condannati; 19 ergastoli e pene detentive per complessivi 2665 anni di carcere. È da ricordare che la Corte d’Appello, tre anni dopo, ridusse considerevolmente le pene e mandò assolti altri 86 imputati; e che addirittura, l’11 febbraio 1991, quaranta imputati già condannati, tra cui Michele Greco, furono scarcerati per scadenza dei termini di custodia cautelare a seguito di un ricorso in Cassazione, presieduta dal magistrato Corrado Carnevale (un decreto legge urgente, il 60/1991, modificò tali termini e riportò poi tutti in carcere). E nessuno può dimenticare quanto purtroppo avvenne il 23 maggio e il 19 luglio 1992.

Film da non perdere.

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