Un concerto di alto livello espressivo quello ascoltato alla Fabbrica del Vapore ieri nel tardo pomeriggio, avente come protagonista il pianista californiano Jeffrey Swann. Il recital, nell’ambito della rassegna Suoni Trasfigurati, curata da Luisa Longhi e Luca Carnicelli e realizzato anche grazie alla Fondazione Paquale Battista, si è aperto con una delle vette assolute del repertorio pianistico: la Sonata n. 21 in do maggiore op. 53 di L. v. Beethoven, nota con il soprannome di Waldstein. Swann ha voluto introdurre questo corposo lavoro — e poi anche i brani successivi — facendo un parallelo con altri linguaggi, soprattutto con l’architettura, nella quale lo spazio trova il corrispettivo musicale nel tempo. È una pagina monumentale e visionaria, la Sonata Waldstein, che già nel primo movimento sprigiona un’energia propulsiva inarrestabile. L’Introduzione dell’Adagio molto prepara con respiro quasi orchestrale il terreno al Rondò conclusivo, dove la materia sonora si fa trasparente, vibrante, fino al vertiginoso Prestissimo finale. In questa sonata, Beethoven guarda decisamente oltre i limiti del pianoforte del suo tempo, e ne trasforma le possibilità espressive in visione quasi sinfonica. Jeffrey Swann ha restituito un’interpretazione di alto livello, sia espressivo che costruttivo, in cui — oltre alla bellezza dei colori, emersi nella sua visione ricca di dettagli — anche l’equilibrio architettonico dei movimenti è risultato perfetto. Dal titanismo beethoveniano si è passati poi alla voce più intima e poetica di Franz Schubert, con l’Improvviso in do minore op. 90 n. 1. Una pagina dal carattere solenne e meditativo, dove il ritmo puntato e l’andamento processionale evocano un senso di marcia interiore, come un rito laico del dolore. Schubert qui intreccia forza e fragilità, costruendo un paesaggio musicale che sembra farsi e disfarsi sotto le dita del pianista. Ottima l’interiorizzazione dell’interprete per una restituzione meditata e di qualità.
La seconda parte del programma si è mossa nel territorio del Novecento e del contemporaneo, mantenendo tuttavia una coerenza timbrica e narrativa. Luciano Berio, con 3 dei suoi Six Encores, offre brevi epigrammi sonori: miniature dense, riflessive o giocose, in cui l’ironia, la memoria e l’invenzione convivono in perfetto equilibrio. Swann ha colto con leggerezza e raffinata eleganza l’essenza di questi brevi capolavori. China Gates di John Adams, uno dei pezzi più emblematici del minimalismo americano, ha rivelato la capacità dell’interprete di passare da un genere all’altro mantenendo un livello espressivo eccellente. Nel brano, una calma apparente domina il paesaggio: arpeggi fluidi e simmetrie quasi ipnotiche creano un senso di sospensione, come un paesaggio acquatico attraversato da leggere increspature.
Il programma ufficiale è terminato con Touches di Leonard Bernstein, variazioni per pianoforte su un tema originale. È un omaggio alla varietà di tocco, di colore e di spirito che il pianoforte può evocare, nonché un tributo al compositore, direttore e pianista americano che ha trovato il suo personale linguaggio intrecciando infinite influenze musicali. Ogni variazione è un mondo a sé, eppure tutte si tengono assieme con una coerenza strutturale e teatrale tipica dello stile di Bernstein. Applausi fragorosi dal numerosissimo pubblico intervenuto e due eccellenti bis concessi da Jeffrey Swann con due brani di Chopin: prima un Valzer, poi un Notturno. Un concerto da ricordare a lungo.