Enzo è un sedicenne francese di ottima famiglia: il padre è docente universitario, la madre ingegnere. Ha un fratello maggiore, studente brillante, con cui ha ben poco in comune. Vivono in una bella villa con piscina, su una collina presso Marsiglia, con vista panoramica sul mare. Enzo ha lasciato la scuola superiore per mancanza di motivazioni allo studio; frequenta un corso professionale per diventare muratore, e sta svolgendo da diversi mesi il tirocinio pratico come apprendista operaio, assunto in un cantiere.
Si dice soddisfatto della scelta, ma in realtà lavora male, è lento, costruisce muri storti, si dimostra incapace, tanto che il capocantiere minaccia di licenziarlo e un giorno lo accompagna a casa per parlare con i suoi genitori, restando stupito della loro situazione di benestanti. Già a questo punto, ancora nella parte iniziale del film, si colgono alcune contraddizioni: in famiglia non si discute più di tanto la scelta lavorativa del secondogenito, ancora minorenne, che fra l’altro mostra talento nel disegno e potrebbe quindi iscriversi a un’accademia, a un liceo artistico, aspirando ad un’attività culturalmente valida. Il padre si mostra solo a tratti preoccupato, ma quando Enzo afferma di preferire un lavoro che gli consenta di costruire qualcosa, e che “punta in basso”, non “in alto”, questo sembra bastare.
La madre è sempre sorridente e pare addirittura soddisfatta di come stanno andando le cose. Perfino quando il figlio è in ospedale per una caduta in cantiere non emerge nei genitori alcuna inquietudine, non li sfiora l’idea che possa essere frutto di un tentativo di suicidio, come in effetti è stato; e non esprimono perplessità sulla sicurezza sul posto di lavoro, che evidentemente non rispettava le normative. Padre e madre ostentano serenità ed equilibrio, mentre Enzo è tormentato e solo: passa ore, di notte, sdraiato vicino a un precipizio ad osservare le stelle; si appoggia a due colleghi muratori, ucraini, venticinquenni e molto più maturi; esce con loro la sera, dorme da loro, senza informare la famiglia. Il padre passa la notte sul divano, aspettando il suo ritorno: ma nessuno dei genitori prova a scavare realmente nel suo disagio adolescenziale, i dialoghi restano superficiali.
Per il padre, Enzo è un bambino, un piccolo borghese viziato che detesta i genitori; per la madre, non è più un bambino e bisogna che sia libero di scegliere.
Pure il comportamento anomalo e pericoloso di Enzo durante una festa del fratello a bordo piscina non porta a riflessioni più profonde. Enzo è impacciato con le coetanee, e scopre di provare attrazione per uno dei due giovani ucraini, Vlad, che lo respinge, ma senza molta convinzione, salvo una reazione violenta, in cantiere, a un goffo approccio del ragazzo.
Fra l’altro, Vlad potrebbe testimoniare sul tentativo di suicidio di Enzo dal ponteggio, ma non dice nulla. Il film si conclude con una conversazione telefonica piuttosto assurda tra il ragazzo, che è in vacanza e sta visitando con la famiglia gli scavi di Ercolano, e Vlad, che è andato – di malavoglia- a combattere nella sua terra contro i Russi.
Pur essendo ottima l’interpretazione sia del giovanissimo protagonista, il diciassettenne francese Eloy Pohu, che di Pierfrancesco Favino, che impersona il padre Paolo, di Élodie Bouchez (la madre Marion), di Maksym Slivinskyi (Vlad) e di tutti gli altri, si resta con l’idea che il quadro complessivo della storia sia rimasto in realtà solo una sorta di cornice. Il travaglio interiore dell’adolescente non è stato indagato, così come il rapporto padre-figlio, madre-figlio, padre-madre. Diretto da Robin Campillo, è da considerare l’ultimo film del regista Laurent Cantet, di cui Campillo era lo storico montatore. Cantet, molto stimato per il suo impegno sociale, aveva scritto la sceneggiatura di “Enzo” e avrebbe voluto curarne la regia, ma purtroppo è morto nell’aprile 2024, prima di poter esaudire questo suo desiderio.