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DICEMBRE 2024
Andrea Bacchetti,
Tetyana Fedevych e Yakov Zats a Villa Litta
Modignani
Un pomeriggio musicale di
grande qualità è stato quello offerto ieri a
Villa Litta Modignani, ad Affori, grazie
all’organizzazione di Gianfranco Messina,
pianista, violinista, compositore e promotore di
eventi musicali. Sul palco si sono alternati il
celebre pianista Andrea Bacchetti, la violinista
Tetyana Fedevych e il violista Yakov Zats, che
hanno regalato al pubblico un vero
viaggio
musicale, spaziando dal Settecento ai giorni
nostri. La prima parte del concerto, introdotta
da un intervento dello stesso Messina, ha visto
Andrea Bacchetti protagonista con un programma
dedicato principalmente a Johann Sebastian Bach,
compositore verso cui il pianista genovese nutre
un interesse profondo. Bacchetti ha eseguito con
maestria cinque Preludi e Fughe dal
Secondo libro del Clavicembalo ben temperato,
per poi passare a Mozart, di cui ha interpretato,
prima, la breve e intensa Kleiner
Trauermarsch in Do minore K453a, e poi, la
celebre Fantasia in Re minore K 397. La
sua interpretazione si è distinta per
virtuosismo ed espressività, e ha messo
in
luce il consolidato talento dell’artista. A
seguire, accompagnato ancora da Bacchetti al
pianoforte, il moscovita Yakov Zats ha eseguito
una selezione di brani per viola e pianoforte,
tra cui il suggestivo Kaddisch di Maurice
Ravel, il delicato Après un rêve di
Gabriel Fauré e il celebre Salut d’amour
di Edward Elgar. L’intenso brano di Ravel,
raramente eseguito, ha introdotto con grande
impatto emotivo i successivi due pezzi, più noti
ma non per questo meno coinvolgenti. Zats ha
saputo restituire, con la bellezza del suono del
suo strumento, grande eleganza e profondità ad
ogni sfumatura delle opere. La violinista
Tetyana Fedevych ha poi catturato l’attenzione
del pubblico con una brillante esecuzione della
vivace Malagueña di Sarasate, seguita da
un’interessante novità: Frammenti francesi,
una composizione di Gianfranco Messina.
Questo
lavoro, basato sulla rielaborazione di cinque
sequenze armoniche tratte da "Children’s Corner"
di Claude Debussy, culmina con un rimando alla
"Sonata per violino e pianoforte" dello stesso
compositore. La scrittura, caratterizzata da una
raffinata costruzione armonica e melodica, è
stata interpretata con sensibilità e precisione
sia dalla Fedevych che da Bacchetti. Il concerto
si è concluso con un ritorno al classicismo
settecentesco: il Duo per violino e viola K
423 di Mozart, interpretato con grande
intesa dal duo d’archi. La discorsività e
l’espressività messe in campo dai due musicisti
hanno suggellato un pomeriggio musicale di
ottimo livello, che ha saputo unire tradizione e
innovazione in un’esperienza resa ancor più
affascinante dalla cornice del bellissimo Salone
delle Arti.
28 dicembre 2024 Cesare
Guzzardella
La flautista Alessia
Scilipoti in
Conservatorio per "Musica Maestri!"
L'ultimo concerto del 2024
per la rassegna "Musica Maestri!" ha trovato
nella Sala Puccini del Conservatorio milanese la
vincitrice per la Categoria A - strumenti a
fiato- del Premio Conservatorio "G.Verdi" 2024,
la flautista Alessia Scilipoti. L'impaginato per
flauto solo, particolarmente vario, prevedeva
brani di compositori prevalentemente
contemporanei quali Jolivet,
Takemitsu
Saariaho, Maresz, Hersant e, con un brano
novecentesco di Debussy. La giovane interprete,
oppena diplomata nel livello più alto di
Conservatorio e vincitrice di altri prestigiosi
Concorsi, ha presentato il suo impaginato in un
valido contesto scenografico, ben studiato
nell'illuminazione, cambiava colorazione in
relazione alle timbriche dei lavori presentati.
Il brano del francese André Jolivet (1905-1974),
le Cinq incantantions, nelle sue cinque
parti, è stato eseguito unendo ogni parte con i
brani degli altri compositori: Voice di
Töru Takemitsu(1930-1996), Dolce tormento
- per flauto piccolo- di Kaija Saariano
(1952-2023),
Cirumambulation
di Yan Maresz (1966), Syrinx di Claude
Debussy (1862-1918) e Cinq miniatures
,per flauto in sol, di Philippe Hersant (1948).
La bravissima interprete si è espressa con gran
virtuosismo tecnico ed espressivo, unitamente ad
una sicura gestualità nel penetrare ogni
possibile effetto timbrico che i tre flauti
moderni utilizzati - con quello piccolo e in
sol- riescono a produrre. Valide tutte le
interpretazioni nell'ottima scelta del programma.
Applausi dal numeroso pubblico intervenuto in
Conservatorio e molto bello il bis concesso con
un brano di un compositore americano.
23 dicembre 2024 Cesare
Guzzardella
CON IL PIANOFORTE DI GABRIELE
ANGLANI E IL DUO PONGILUPPI-ZANFORLIN I
SABATI DEL CANTELLI SALUTANO IL 2024
Ieri,
sabato 21/12, il Conservatorio G. Cantelli di
Novara ha offerto l’ultimo concerto del 2024,
che nella sua prima parte proponeva un recital
di Gabriele Anglani, giovane pianista, tra i più
talentuosi formatisi al Cantelli, che già
avevamo avuto occasione di ascoltare ed
apprezzare nell’ambito del Pianovara, il
Festival pianistico novarese di fine estate.
Siamo tornati con vivo interesse ad ascoltare
Anglani in un programma dedicato a pezzi
originariamente non destinati al pianoforte, ma
trascritti per la tastiera da un qualche
pianista famoso. Tra questi pezzi Anglani ne
riproponeva tre di J.S.Bach già eseguiti per il
Pianovara, il BWV 147, il BWV 208 e il BWV 855
(come bis): per questi rimandiamo alla
recensione del concerto del 22/09/2024 su questo
giornale. Nuovo rispetto a quel recital è stato
invece, sempre di Bach, il Siciliano dalla
Sonata in Mi Bemolle maggiore per flauto
traverso e clavicembalo BWV 1031, trascritta per
pianoforte dal leggendario Wilhelm Kempff. Con
il suo tocco delicato, la sua sensibilità
espressiva che qui si esprime soprattutto nella
raffinatezza delle dinamiche, Anglani crea un
suono di sublime ed elegante malinconia, da
apparentarsi a certe pagine delle Passioni
bachiane.
Anglani non appartiene certo a quella cerchia di
“bachiani puri e duri” che considera un peccato
mortale suonare Bach al pianoforte usando il
pedale di risonanza. Al contrario, il pianista
pisano usa il pedale con grande frequenza, ma
con un tocco appena accennato, così da conferire
al suono una sottile, quasi evanescente
alonatura, che contribuisce non poco ai
suggestivi esiti espressivi dell’esecuzione.
Nella stessa tonalità del Siciliano di Bach, il
sol minore, il successivo Minuetto HWV 434/4 di
Handel, sempre in una trascrizione di Kempff, ha
sollecitato nel giovane pianista pisano le
medesime corde espressive del brano precedente,
offrendo un altro luminoso esempio di quella
poetica degli affetti cara all’età barocca, qui
virata sulla gamma della struggente malinconia.
Con un balzo di un secolo e mezzo circa,
l’impaginato di Anglani trasportava gli
ascoltatori nel 1878 di “Après un rève, op..7
n.1, di G. Fauré, nella versione d’autore la
prima delle cinque Mèlodies per voce e
pianoforte, qui presentata nella trascrizione
per solo pianoforte, opera del pianista italiano
S. Fiorentino, uno dei grandi della scuola
napoletana. Anglani interpreta questa
celeberrima romanza di Fauré creando
un’atmosfera sonora dai toni intimistici, di
rarefatta eleganza, con un tocco davvero di gran
classe e un gioco di chiaroscuri dinamici,
soprattutto per la mano sinistra, carichi di
suggestione. La tecnica di alto livello di
Anglani esce confermata, se mai ce ne fosse
stato bisogno, dall’ultimo pezzo in programma,
la trascrizione per pianoforte, sempre di
Fiorentino, del Lied “Widmung” di Schumann, in
cui la varietà di fraseggio e una tesa linea
espressiva tipicamente schumanniane sono
cesellate mirabilmente dal tocco di Anglani. Un
programma dunque tutto improntato
all’espressione, senza alcuna concessione al
virtuosismo, quello con cui questo giovane
pianista ha dimostrato tutta la sua classe,
davvero di gran livello. La seconda parte del
concerto vedeva in scena il duo Andrea
Pongiluppi, clarinetto, e al pianoforte Andrea
Zanforlin, Maestro collaboratore di fama. Ottima
l’esecuzione del primo dei due pezzi in
programma, la Première Rapsodie L 124a, di C.
Debussy, nell’originaria versione per i due
strumenti (successivamente Debussy ne presentò
una versione orchestrata). Molto bravi i due
interpreti nello sfruttare al meglio le sezioni
espressivamente contrastanti del pezzo, con il
clarinetto di Pongiluppi che dà voce sia al
registro più oscuro e meditativo, sia a quello
più brioso e ritmicamente vivace dello strumento,
mentre Zanforlin è bravissimo a creare con la
tastiera impasti timbrici
di
una sfumata delicatezza da acquerelli sonori, in
un gioco continuo e affascinante di rimandi ed
echi col clarinetto. Chiudeva il concerto, in
netto contrasto, un pezzo notissimo, la Sonata
per clarinetto e pianoforte di Poulenc, eseguita
in modo esemplare dai due interpreti, che ne
hanno valorizzato la linea architettonica
antidebussyana e antiwagneriana, costruita su
campiture sonore improntate a linearità e
purezza incantevoli: una tela di Mondrian contro
una di Monet. Il pubblico, ancora una volta
assai numeroso, ha applaudito con entusiasmo
questo bel concerto, senza bis.
22 dicembre 2024. Bruno Busca
I Valzer viennesi diretti da
Alessandro Bonato per
l'Orchestra "I Pomeriggi Musicali"
Una serata piacevolissima
quella che ha visto l'Orchestra "I Pomeriggi
Musicali" impegnata nel Concerto di Natale.
Sul podio del Teatro Dal Verme il giovane
direttore veronese Alessandro Bonato ha portato
Vienna a Milano, con un impaginato incentrato
sui Valzer degli Strauss. Precisamente quelli di
Johann Strauss Jr (1825-1899) il più prolifico
degli Strauss, con 479
numeri
d'opus, e del più giovane fratello Josef Strauss
(1827-1870). Brani che da decenni vengono
eseguiti dai massimi direttori nel celebre
Concerto di Capodanno viennese del Musikverein,
li abbiamo potuti ascoltare interpretati con
elegante resa stilistica dagli orchestrali de
I Pomeriggi. La formazione, abituata a
repertori diversificati, ha rivelato tutte le
sue qualità nell'eseguire questi celebri
capolavori di leggerezza, non disgiunta da una
raffinata costruzione musicale.
Quattordici
i titoli proposti nell'impaginato, ad iniziare
da Früblingsstimmeng op.410 di J.Strauss
Jr, inframmezzati da numerose e notissime Polke
come la Jokey Polka op. 278 di Josef
Strauss o Annen-Polka op. 117, la
Bauern-Polka op. 276, la Vergnügungszug-Polka
op. 281 di Johann Jr, dalla folkloristica
Ritter Pàzmàn, Csàrdàs op.441, e terminando
con il più noto An der schönen blauen Donau
(Il bel Danubio blu) ancora di Johann
Strauss Jr. Bis d'obbligo con la tradizionale
Marcia
di Radetzky di Johann Baptist Strauss
-padre- (1804-1849), dove anche qui, come a
Vienna, il numerosissimo pubblico entusiasta ha
battutto il tempo con le mani. Divertenti i
numerosi interventi del giovanissimo
percussionista Filippo Pelucchi che, tra spari
di pistola, colpi di martello sull'incudine e
buffi travestimenti, ha dato al concerto quella
simpatica ironia tipicamente "viennese", cui ha
contribuito anche il breve scambio di ruoli tra
il direttore e la giovane violista Giulia
Panchieri. Ottima la direzione, accurata ed
elegante, di Bonato. Splendida serata! Sabato
21, alle 17.00 la replica. Da non perdere.
20 dicembre 2024 Cesare
Guzzardella
Il ritorno di Olga Kern
alla Società dei
Concerti di Milano
La pianista moscovita Olga
Kern, naturalizzata statunitense, è ospite
privilegiata della "Società dei Concerti"
milanese e ottiene da sempre grande successo.
L'impaginato ascoltato ieri sera in
Conservatorio, particolarmente
corposo
e classico, era denominato “Olga is back”
ed è stato introdotto da due brani di L.v
Beethoven: le 10 Variazioni in si bemolle
maggiore su un tema di Salieri WoO 73 e la
Sonata in do maggiore op. 53 “Waldstein”.
Meno note le Variazioni, più popolare la Sonata:
entrambi i lavori sono stati resi con chiarezza
espressiva dalla Kern, che ha anticipato la
parte più "romantica" del concerto con questi
riferimenti alla tradizione haydniana e
mozartiana, specie nell'arte delle "variazioni
su un tema", che ritroviamo in modo eccelso nel
brano
introduttivo.
Dopo la precisa, energica e trasparente "Waldstein"
dai virtuosistici trilli finali, il ritorno
al mondo delle trasformazioni si è ripetuto con
le Variazioni su un tema di Paganini op. 35
–
primo libro di J. Brahms, un lavoro
particolarmente difficile costruito sul celebre
Capriccio n.24 del grande violinista genovese.
Tutto Schumann nella seconda parte della serata,
dove la splendida Kern - che ha cambiato l'abito,
sempre elegantissimo, passando da un rosso
acceso a un blu turchese - ha evidenziato
assoluta
sicurezza e straordinaria sensibilità nel
cogliere i colori di entrambi i lavori: prime le
celebri Kinderszenen op.15, destinate
dall'Autore ai più giovani - ma portate a una
vastissima popolarità dalle memorabili
interpretazioni di Horowitz e della Argerich -
rese con profonda riflessione; a seguire il
Carnaval op.9, dove l'alternanza di momenti
di estrema rapidità ad altri più meditati
caratterizza i ventidue momenti musicali che
compongono l'opera giovanile - quasi "autobiografica"
- del musicista tedesco. La Kern si è mostrata
perfettamente a suo agio nel trovare un ottimo
equilibrio interpretativo, con frangenti di
altissimo valore estetico. Un concerto quindi di
qualità con applausi meritatissimi al termine e
ben tre bis concessi: il Preludio n.24 "Feux
d'artifice" di Claude Debussy, Spinning
Wheel dello svizzero Charles Lisberg, e per
finire, di Moritz Muszkowski, Etincelles
(Sparks). Da ricordare!
20 dicembre 2024 Cesare
Guzzardella
A NOVARA L’HARMONIE ENSEMBLE
INCANTA CON LA ‘GRAN PARTITA’ DI MOZART
Ieri
sera, 18/12, al Teatro Coccia di Novara il terzo
concerto della stagione del Festival Cantelli ha
visto protagonista il complesso di fiati (più un
contrabbasso) dell’Harmonie Ensemble: Harmonie
va qui inteso come parola tedesca che nel ‘700
identificava appunto una formazione cameristica
di soli fiati, precisamente quella che nel 1784
eseguì a Vienna la Serenata Gran Partita di
Mozart, il pezzo previsto dal programma della
serata, capolavoro assoluto stranamente poco
eseguito del grande Salisburghese. Composto da
musicisti che fanno o hanno fatto parte di
importanti orchestre italiane o internazionali,
l’Harmonie Ensemble è diretto dal Maestro
Alessandro Carnelli, anche lui con una
significativa carriera sul podio. Dunque il
programma del concerto prevedeva un solo pezzo:
la mozartiana Serenata per 13 strumenti a fiato
n.10 in Si bem. maggiore KV 361, detta ‘Gran
Partita’, probabilmente per il numero di
movimenti in cui è suddivisa, sette,
insolitamente alto per questo genere di
composizioni e che lo avvicina alla Suite di
barocca memoria e inusuale per la sua durata,
quasi un’ora, rispetto alla tradizionale musica
d’intrattenimento: evidentemente Mozart
intendeva andare oltre i confini del genere, pur
conservandone tutta la freschezza e la sublime
serenità. L’Harmonie Ensemble, sotto la sapiente
guida del Maestro Carnelli, ha dato
un’interpretazione davvero eccellente sotto il
profilo esecutivo ed espressivamente
coinvolgente, sfruttando con raffinatezza i
colori delle diverse coppie strumentali (oboi,
clarinetti, corni di bassetto, fagotti, corni a
quattro), e mostrando una davvero squisita
finezza nel trattamento delle dinamiche, nelle
scelte agogiche e ritmiche, un’abilità
virtuosistica che ha dato piena voce alla
freschezza inventiva di questo gioiello
dell’immenso scrigno mozartiano e infine e
soprattutto un’elegante leggerezza che è la
cifra
essenziale
di tanta incantevole musica mozartiana. Come
vertici esemplari di questa riuscitissima
esecuzione, indicheremmo l’Allegro Molto del
primo movimento, in cui i fiati dell’Harmonie
dispiegano in tutta la sua iridescente
suggestione la straordinaria ricchezza di colori
di questa Serenata e, naturalmente lo splendido
Adagio Romanza del quinto movimento, in cui
l’ascoltatore è stato emotivamente coinvolto
dall’atmosfera notturna d’indicibile dolcezza e
struggente malinconia, che i fiati dell’Harmonie
hanno saputo così bene esprimere, nel dialogo
incessante tra le coppie degli strumenti, capaci
dei più suggestivi impasti timbrici. Nel timore
che l’elenco degli strumentisti di cui
disponiamo non sia corrispondente alla
composizione dell’Ensemble di ieri sera, non
facciamo nomi, ma fermo restando che a tutto
l’Ensemble va tributato un giudizio di
eccellenza, vorremmo qui segnalare in
particolare la coppia dei clarinetti e il primo
oboe, per l’energia e la bellezza del suono, e i
quattro corni per la delicatezza del suono in
sordina, evocato con sensibilità raffinata ove
la partitura lo richiedeva. Al chiudersi del
festoso ritmo alla turca del settimo e ultimo
movimento, un delizioso Rondò che era un ‘invito
alla danza’ di weberiana memoria, il pubblico è
esploso in un fragoroso applauso, a testimoniare
il pieno successo di quest’altra bella serata di
musica, intensissima, che il Festival Cantelli
ha regalato ai suoi affezionati musicofili. Pur
affaticati da un pezzo lungo e molto impegnativo,
i bravissimi fiati dell’Harmonie Ensemble hanno
concesso due bis, i due Minuetti della Serenata.
Un concerto da ricordare.
20 dicembre 2024 Bruno Busca
L'Orchestra e il Coro
UNIMI
per il Concerto di Natale alla Statale
L'Orchestra e il Coro UNIMI
diretti da Marco Berrini hanno partecipato alla
Stagione Concertistica 2024 con il tradizionale
Concerto di Natale eseguito nell'aula Magna
dell'Università degli Sudi di Milano. L'Oratorio
de Noël op.12 di Camille Saint-Saëns è una
composizione del 1858 che prevede anche cinque
voci soliste per dieci
movimenti
ad iniziare da un Preludio in stile bachiano.
L'oratorio venne eseguito proprio in quell'anno
da un compositore- organista ventitreenne e
naturalmente oltre alle influenze del
genio di Eisenach troviamo anche quelle di
Händel, autori che hanno molto dedicato la loro
attività alle produzioni liturgiche. La valida
esecuzione è stata sostenuta anche da Monica
Bertolini, soprano, Giovanna De Marcellis,
mezzosoprano, Claudia Tocco,
contralto, Nunzio Borra, tenore e
Marco Cazzuffi, baritono. Ad integrazione
del lavoro liturgico sono stati eseguiti Tre
Carole natalizie per Coro misto e orchestra
d'archi (2015), rielaborazioni di Mauro
Zuccante (1962) di tre brani tipici del Natale:
Ecco la nuova stella, da un canto
popolare veneto,
O little tewn of Bethlehm,
tradizionale canzone natalizia da Brooks e
Vaughan Williams, e il noto Jingle
Bells. Zuccante ha operato una valida
rielaborazione dei tre lavori volta a
evidenziare un suo stile compositivo decisamente
riuscito nella chiarezza delle efficaci
orchestrazioni. Tutte e tre rilevanti i brani
con un Jingle Bells finale trasformato ma
di sicuro apprezzamento. E' stato anche ripetuto
come bis. Ottima la direzione di Berrini e
valide le cinque voci soliste. Applausi
sostenuti in un aula colma di pubblico.
18 dicembre Cesare
Guzzardella
Pavel Berman e
Roberto Arosio ai
concerti di Serate Musicali
È un duo di eccellente
qualità quello ascoltato ieri sera in Sala Verdi
al Conservatorio milanese per l'organizzazione
concertistica Serate Musicali. Il
violinista moscovita Pavel Berman e il pianista
italiano Roberto Arosio hanno proposto un
impaginato ad alto tasso virtuosistico
introducendo la serata con la celebre Sonata
n.9 in La maggiore op.47 "A Kreutzer", un
brano di grande energia timbrica relativamente
all'Adagio sostenuto. Presto iniziale e
al Finale.Pesto,
ultimo movimento della
Sonata. Piu contenuto nelle volumetrie l'Andante
con variazioni centrale, con la delicata
parte pianistica sempre in primo piano. Ottima
l'interpretazione fornita, giocata su un
perfetto equilibrio delle dinamiche,
rispettosissimo delle parti strumentali. Berman,
violinista di fama internazionale, ha ancor più
messo in risalto le sue qualità nella seconda
parte della serata con tre brani propriamente "violinistici"
quali "Baal Shem".Tre quadri di vita
Cassidica di Ernst Bloch, Sérénade
mélancolique in si minore.op.26 di P.I.
Čaikovskij
e con la
più virtuosistica Tzigane. Rapsodia da
concerto di Maurice Ravel.
L'intensa
espressività del violino Stradivari di Berman è
stata implementata dal pianismo, di grande
rilevanza coloristica, di Arosio, interprete
attentissimo a non prevaricare nelle volumetrie
di Berman, e altrettanto capace di muoversi tra
le corrette dinamiche, ricche di contrasti e di
raffinate timbriche. Tre interpretazioni di
eccellente qualità quindi, applauditissime dal
pubblico non numeroso presente in Sala Verdi.
Gli interpreti, visibilmente soddisfatti, hanno
poi concesso ben quattro splendidi bis: di Pablo
De Sarasate la Romanza Andaluza, di Fritz
Kreisler Liebesleid, di Johannes Brahms
la Danza ungherese n.2 e di Richard
Wagner Albumblatt, le ultime due, eccellenti trascrizioni per violino e
pianoforte. Una serata che meritava una Sala
Verdi al completo. Da ricordare.
17 dicembre 2024 Cesare
Guzzardella
Un omaggio a Puccini
con "Mi
piaccion quelle cose" allo Spazio Teatro 89
Uno spettacolo ben congegnato,
e unitario nella sua complessità, quello
presentato ieri pomeriggio allo Spazio Teatro
89 di via Fratelli Zoia a Milano. L' "Omaggio
a Puccini fra musica e letteratura" -
nell'anno che ne celebra il centenario della
morte - ha trovato nel canto di Külli Tomingas,
nel pianismo di Luca Schieppati e di Agnese
Nascimbene, e
nella
voce recitante di Sonia Grandis, alti livelli
artistici che hanno reso tutto il lavoro
piacevolissimo e di ottima qualità. Il programma
è ruotato magistralmente intorno alla figura di
Giacomo Puccini (1858-1924), alla sua produzione
pianistica e vocale meno conosciuta e a note
biografiche, spesso divertenti ma anche
drammatiche. Molto valido il Melologo musicato
dal compositore Carlo Galante (1959), presente
in sala, riferito ad un testo dello scrittore
napoletano Giampaolo Rugarli (1932-2014),
"La
divina Elvira", recitato benissimo dalla
Grandis. Elvira Bonturi, prima amante e poi
moglie del geniale musicista toscano, viene
considerata come l'ispiratrice dei personaggi
femminili delle opere pucciniane, da Manon
Lescaut a Butterfly, a Tosca e Turandot. Luca
Schieppati ha introdotto il pomeriggio musicale
spiegando e motivando le scelte e la struttura
dello spettacolo, che ha quindi iniziato
suonando cinque pezzi per pianoforte di Puccini:
Piccolo Valzer, seguito dai meno noti
Piccolo tango, Foglio d'Album, Calmo e molto
lento, Scossa elettrica. Eseguiti con grande
espressività da Schieppati, si sono
avvalsi
anche di interventi da parte di Sonia Grandis,
che ha fatto precedere l'esecuzione pianistica
con la lettura dell'Aria di Musetta dalla
Bohème (1896) , riferita al Piccolo Valzer. Con
l'entrata in palcoscenico del mezzosoprano Külli
Tomingas, accompagnata da Schieppati, abbiamo
ascoltato tre splendide romanze per canto e
pianoforte - vere rarità- quali Sole e amore,
Terra e mare, E l'uccellino, brani
interpretati dal duo con efficace espressione
coloristica. Corposa e intonatissima la voce
della Tomingas, unita anche ad un'eccellente
capacità gestuale. L'ingresso della giovane
pianista Agnese Nascimbene ha quindi portato
all'esecuzione per pianoforte a quattro mani,
insieme
a
Schieppati, di una bellissima trascrizione di
Carlo Carignani dal celebre Intermezzo da
Manon Lescaut (1892) e di un'altra ottima
trascrizione di Giulio Castronovo, La
Tregenda, dalla prima opera pucciniana, Le
Villi (1884). Entrambi i brani sono stati
interpretati con precisione ricca di forza
espressiva e di carica emotiva, comunicate anche
grazie all'intensa lettura scenica della Grandis.
Il duo Komingas-Schieppati ci ha poi donato l'Aria
di Tigrana, da Edgar (1889), e l'Aria di
Frugola, da Il Tabarro (1918). Le qualità
attoriali oltre che canore del mezzosoprano si
sono qui ancor più rivelate mediante il
suo
efficace impatto melodico. Sonia Grandis è stata
molto convincente nel Melologo, dove
Galante, realizzando una composizione chiara ed
espressiva, oltre a sottolineare il testo di
Rugarli, ha trovato una splendida mediazione tra
il suo stile compositivo e quello pucciniano.
Puccini è sempre riconoscibile nelle note di
Galante, e il testo ripercorre alcune vicende
legate alla vita sentimentale del Maestro e alla
sua complicata relazione con Elvira. Era
presente in sala, tra il pubblico intervenuto
nell'elegante piccolo teatro, anche un figlio di
Rugarli. Lunghi applausi meritatissimi a ogni
protagonista di questo prezioso e originale
omaggio pucciniano.
16 dicembre 2024 Cesare Guzzardella
Il pianista Antonio Chen
Guang nel ricordo di
Antonio Mormone in Conservatorio
Siamo arrivati alla settima
edizione del "Concerto per Antonio" ,
dedicato ad Antonio Mormone (1930-2017),
fondatore e Presidente della "Fondazione La
Società dei Concerti". In Sala Verdi,
introdotto da Enrica Ciccarelli Mormone, attuale
presidente e organizzatrice della nota società
musicale, abbiamo ascoltato il pianista cinese
Antonio Chen Guang, nato nel 1994, una delle
numerose scoperte di Antonio Mormone che, con
sorprendente intuizione, ne comprese le
potenziali
qualità
e dal 2010 - anno del loro primo incontro - ne
seguì costantemente il percorso artistico,
costellato di premi e riconoscimenti prestigiosi.
Chen Guang, poi anche Antonio, come forma di
riconoscenza al talentuoso organizzatore, ha
impaginato un programma virtuosistico con due
capisaldi della letteratura pianistica: prima
gli Studi op.10 di Fryderyk Chopin e poi
la Sonata in Si minore di Franz Liszt.
Interpretazioni di ottimo livello per entrambi i
lavori. I dodici Studi op.10, prima serie di un
complessivo di 24 brani, considerando i 12 Studi
dell'op.25, sono stati resi con estrema
scioltezza attraverso un virtuosismo tecnico
completamente interiorizzato per una
restituzione ricca di dettagli.
Interessante
il collegamento di alcuni Studi con elementi
armonici, probabilmente dello stesso Chen Guang,
per rendere il complesso dei brani ancor più una
sorta di suite. Di pregnante resa espressiva la
Sonata lisztiana. L'interprete ha creato
un'infinità di contrasti nella corposa e celebre
Sonata, esternando con grinta e chiarezza ogni
frangente del complesso brano ciclico, dove
situazioni di limpida esternazione melodica si
scontrano con armonie cariche di tensione
emotiva. Applausi calorosi dal numeroso pubblico
di appassionati intervenuti in Sala Verdi. Ben
quattro i bis concessi, alcuni dei quali
dedicati ad Antonio Mormone. Dopo il Momento
musicale n.5 di Rachmaninov, un ottimo brano
dal folklore cinese, "Il Tempo Gioioso",
poi un eccellente Chorale Prelude BWB 639 "Ich
ruf zu dir, Herr" di Bach-Busoni, e a
conclusione uno Scott Joplin con una parte del
celebre Maple Leaf Rag. Da ricordare.
15 dicembre 2024 Cesare
Guzzardella
MUSICA RARA E SQUISITA AL
CONSERVATORIO CANTELLI DI NOVARA
Ieri,
14/12, nell’ Auditorium del Cantelli è stata
eseguito un concerto che presentava più di un
motivo d’interesse: anzitutto due formazioni di
tipo quartettistico piuttosto singolari nella
storia della musica da camera; in secondo luogo
gli autori, del primo o dell’avanzato ‘900, di
rarissimo ascolto nelle nostre sale da concerto,
benché meritevoli di maggiore attenzione;
classico last but not least, gli esecutori,
tutti giovani, neodiplomati e/o perfezionandi
presso il Cantelli stesso, in buon numero già
con una significativa esperienza concertistica
alle spalle. Insomma la conferma che al
Conservatorio di Novara i programmi sono spesso
sorprendenti per originalità delle proposte, che
escono dal prevedibile. Il concerto è stato
inaugurato dal Quartetto per clarinetto, violino,
violoncello e pianoforte op.1 del viennese
Walter Rabl (1873-1940): Direttore d’orchestra e
soprattutto insegnante di musica vocale, si
dedicò solo in età giovanile alla composizione,
con un linguaggio chiaramente influenzato da
Brahms, suo grande estimatore. Una curiosità:
pare che l’oggi totalmente
dimenticato
Rabl sia stato l’inventore di questo tipo di
quartetto, portato in auge da Messiaen con il
suo meraviglioso Quatuor pour la fin du Temps.
Lucia Nardacci al clarinetto, Simone Restuccia
al violino, Aurora Sciammetta al violoncello e
Valeria Aiazzi al pianoforte hanno eseguito il
quartetto, una volta superato qualche affanno
nei raddoppi, in particolare tra violoncello e
clarinetto, con buona intesa d’insieme e cura
più che apprezzabile dei dettagli compositivi.
In particolare i quattro giovani strumentisti
hanno saputo valorizzare appieno quello che è
forse l’elemento più interessante di questo
Quartetto di Rabl, il continuo trascolorare di
uno strumento nell’altro, col frequente ricorso
alla tecnica del canone, dando vita a impasti
timbrici variegati e sempre mobili, di raffinata
carica espressiva. Un plauso particolare è
dovuto al clarinetto di Lucia Nardacci, che nel
movimento più bello dell’opera, l’Adagio molto,
ha suonato la melodia lunga affidata al suo
strumento con una intensità espressiva davvero
notevole. La successiva formazione
quartettistica è certamente ancor più rara e
curiosa della prima: un quartetto di soli
clarinetti, il Quartetto Gama, formatosi presso
il Cantelli composto da Gaia Zecchini, Andrea
Pongiluppi, Manuel Ticozzi e Alberto Viganò. Il
loro esordio, ottimo, è stato il Divertimento,
per tre clarinetti e clarinetto basso, affidato
a Viganò, del compositore austriaco Alfred Uhl
(1909-1992), che lo compose nel 1942,
dedicandolo alla Filarmonica di Vienna e che è
forse la sua unica opera a non aver conosciuto
l’oblio totale. I ragazzi del Gama ne hanno
proposto, con bravura e finezza, l’inventiva
ritmica vibrante, venata di frizzante verve
umoristica e un linguaggio di lucidità e humour
dello Stravinsky neoclassico. Un brano
tecnicamente non semplice, in cui i quattro
giovani clarinettisti hanno dato prova
dell’ottima preparazione di ciascuno di loro e
della ben oliata compattezza del gruppo.
Tutt’altra musica quella del successivo pezzo
del francese Henry Tomasi (1901-1971), orbitante
nel Gruppo dei Sei,
i
Trois Divertissement, dove il Gama è stato
chiamato ad eseguire, con pieno successo, tre
pezzi improntati a un accentuato melodismo, con
una ricerca di differenziazione timbrica tra i
quattro strumenti identici molto abile, anche
sfruttando esperienze e linguaggi musicali tra
loro assai eterogenei, come i ritmi zingareschi,
a forte impronta orientaleggiante, nella
Mascarade centrale. Concludevano il concerto le
Cinque Danze popolari ungheresi di Ferenc Farkas,
compositore magiaro vissuto tra 1905 e 2000, ben
eseguito nel suo gradevole e fresco melodismo
perfettamente tonale, agli antipodi di Bartok,
che innovava profondamente il linguaggio della
musica appropriandosi delle scale e dei ritmi
della musica folklorica ; e l’arrangiamento,
opera di Pongiluppi, dell‘aria dalla Tosca “E
lucean le stelle”, che il Quartetto Gama ha
suonato, ancora col clarinetto basso, con il
dovuto pathos lirico, ennesimo omaggio all’anno
pucciniano, ormai giunto a scadenza solare. Un
concerto d’indubbio interesse, ben eseguito, che
ha riscosso il meritato successo di un pubblico
numeroso e plaudente, cui è stato regalato un
simpatico fuori programma, una originale
rielaborazione di Stille Nacht.
15-12-24 Bruno Busca
Un'intensa giornata musicale
in Conservatorio per la Società dei Concerti
La diversificata attività
della Società dei Concerti organizzata
dalla Presidente Enrica Ciccarelli ha trovato
ieri due concerti: quello del pomeriggio, per la
Serie Zaffiro, con il pianista
classico-jazzista Michele Di Toro e quello
serale, per la Serie Smeraldo, con il duo
formato dal pianista-compositore turco Fazil
Say, consolidato ospite della società
concertistica da decenni, e dal violinista
tedesco Friedemann Eichhorn.
Di Toro, conosciuto
da un vasto pubblico preminentemente jazzistico,
ha realizzato un programma "a sorpresa"
rivelando una solida preparazione classica
nell'eseguire tutta una serie di brani di vario
genere, mediati da una valida capacità
trasformativa in una sorta di _pastiche_, con
armonizzazioni consolidate dal sapore jazz. La
caratteristica di "Musica d'intrattenimento",
nel senso migliore, è emersa in toto. Iniziando
da un melodico e piacevole suo brano, Di Toro ha
voluto prima reinterpretare tre pezzi di Lucio
Battisti, riassunti in una breve "suite". Quindi
è passato ad una trasformazione di brani
classici come il Notturno op.9 n.2 di
Chopin o il celebre 'Alla turca'
mozartiano, secondo modalità piuttosto uniformi
ma certamente piacevoli. Incrociando classici di
Scott Joplin o alcuni brani tipici della cultura
melodica statunitense, è riuscito a farsi
apprezzare del numeroso pubblico intervenuto in
Sala Verdi che ha tributato fragorosi applausi.
Di buona fattura il brano da Piazzolla e il bis
da Bacalov dal film "Il postino".
Più legato alle sale da
concerto il duo serale. Fazil Say, oramai
una celebrità anche per il pubblico milanese, ha
organizzato insieme all'eccellente violinista
Friedemann Eichhorn un impaginato
interessantissimo, ad iniziare dalla nota
Sonata n.1 in la minore op.105 di Robert
Schumann.
Un'interpretazione di ottimo livello
quella ascoltata, particolarmente energica, che
ci ha rivelato una straordinaria intesa tra i
due interpreti. Di rilievo la trascrizione per
violino e pianoforte di Say del celebre
Vorspiel und Isoldes Liebestod dal
Tristano e Isotta di Richard Wagner. Anche
in questo secondo lavoro la simbiosi tra i due
concertisti ha generato un'esecuzione incisiva,
ricca di espressività. Nella seconda parte della
serata le celebri Danze popolari rumene
di Belà Bartók, nell'arrangiamento per duo di
Szekely, ha rivelato l'anima popolare di Say,
che insieme all'incisivo violino di Eichhorn ha
portato ad un'ottima resa sinergica alla "zigana".
L'ultimo brano era una composizione di Say, la
Sonata n.2 op.82 "Kaz Daği-
Mount Ida"
(2019),
scritta pochi mesi dopo la tragedia ecologica
del Monte Ida, nella Turchia nord-occidentale.
Furono abbattuti circa 200.000 alberi, con il
permesso del governo, da parte di una società
canadese che cercava oro. Oltre alla
deforestazione, la zona fu interessata anche
dallo sversamento di cianuro, usato per estrarre
l'oro dai minerali, con rischio di avvelenamento
delle falde acquifere.
Say ha quindi unito la
sua voce, in forma di musica, alle proteste: ne
è nata una composizione geniale ed
emozionante.Tre movimenti - Massacro della
natura, Uccello ferito e Rito di speranza-
rivelano ancora una volta lo stile
personalissimo di Say, giocato su un sapiente
uso del pianoforte, e qui anche del violino -
una scrittura eccellente per lo strumento a
quattro corde. L'uso anche percussivo degli
strumenti, i riferimenti al folclore turco e
dell'est Europa, e una naturale melodicità,
soprattutto nella parte pianistica, con colori
delicati, hanno determinato la straordinaria
qualità di un validissimo lavoro.
Applauditissimi dal folto pubblico, tra cui
anche centinaia di giovani turchi, i due
musicisti hanno concesso come bis un ottimo
Andante dalla Sonata n.1 per violino
e pianoforte, sempre di Say. Ancora applausi
meritatissimi.
12 dicembre 2024 Cesare
Guzzardella
Ancora un grande
successo per
La Forza del destino al Teatro alla Scala
Pubblico entusiasta ieri sera
al Teatro alla Scala, alla seconda
rappresentazione de La forza del destino,
dopo la prima del 7 dicembre. Il capolavoro
verdiano che precede il Don Carlos, l'Aida e
l'Otello, è la versione completa del 1869, su
libretto di Ghislanzoni. È un titolo che mancava
da oltre vent'anni nella programmazione della
Scala: era infatti il 2001 quando venne allora
proposta la versione russa, quella del 1862 per
la direzione di Gergiev. Ciò che maggiormente
colpisce è la sinergia complessiva di tutte le
componenti artistiche-musicali, che hanno
portato alla riuscita di un'opera certamente
complessa, strutturata in situazioni diverse,
anche con limiti nella coerenza dei contenuti,
ma che diventa di grande profondità espressiva.
La rappresentazione musicale geniale di Verdi,
mediata dalla direzione eccellente di Riccardo
Chailly e da un cast vocale complessivo di alto
livello -unitamente all'eccellenza della
componente corale preparata da Alberto Malazzi-
si è avvalsa anche della singolare scenografia
di Federica Parolini. Una struttura circolare girevole,
infatti, ha il vantaggio di estendere la scena
in uno spazio maggiore, costringendo i cantanti
ad andare forzatamente contro il senso anti-orario
di rotazione: certamente è una valida soluzione
che ha reso dinamica l'ambientazione, mantenuta
tradizionale come i costumi di Silvia Aymonino,
nel contesto registico di Luca Moscato.
Opinabile, ma accettabile, la frammentazione
temporale in più periodi, in modo da creare un
rapporto di similitudine con il nostro momento
storico. Riccardo Chailly, attraverso una
lettura precisa, lucida e di energica
discorsività, ha potenziato gli ottimi
protagonisti: Anna Netrebko è una Donna
Leonora perfetta nel suo ruolo.
La sua forza
espressiva, sia vocale che attoriale, non ha
avuto minimi cedimenti, e insieme alla bellezza
dei suoi colori ha portato ad un unanime
consenso del pubblico, in un teatro al completo.
Di alto rilievo la voce baritonale di Ludovic
Tézier, un Don Carlo con timbro profondo
e vellutato. Ottimo Brian Jagde in Don Alvaro,
una voce tenorile con colori morbidi ed incisivi
e all'occorrenza ricca di volumetrie. Tutti i
comprimari sono stati di notevole livello e si
sono distinti nei non pochi frangenti utili:
Fabrizio Beggi nel Marchese di Calatrava,
Vasilisa Berzhanskaya, valente Preziosilla,
Alexander Vinogradov, Padre Guardiano,
Marco Filippo Romano, un incisivo, anche
attorialmente, Fra Melitone, e gli altri.
Applausi lunghi e fragorosi a tutti i
protagonisti, con numerose uscite in
palcoscenico. Ricordiamo le prossime repliche:
13-16-19-22-28 dicembre e 2 gennaio. (Foto di
Brescia & Amisano dall'Archivio del Teatro alla
Scala)
11 dicembre 2024 Cesare
Guzzardella
L'Orchestra Filarmonica
Italiana diretta da Diego
Montrone per Serate Musicali
Un numeroso pubblico ha
accolto l' OFI- Orchestra Filarmonica
Italiana-, e il suo direttore Diego Montrone
nel concerto organizzato da Serate Musicali.
Era una serata a favore della "Fondazione
Fare Welfare", un'organizzazione che
attraverso il Progetto DALIT, sviluppa
attività lavorative e programmi di sostentamento
in diverse parti del
mondo,
come nel Sud-Ovest del Bangladesh. L'impaginato
prevedeva brani particolarmente celebri quali la
Sinfonia in mi minore op.95 "Dal Nuovo Mondo"
di Antonin Dvořàk
(1841-1904) e la Marcia n.1 in re maggiore
da Pomp and circumstance di Edvard
Elgar (1857-1934), lavori entrati
nell'immaginario sonoro popolare per
l'orecchiabilità dei temi presenti e per un
certo uso avvenuto nel mondo del cinema. La più
corposa Sinfonia del musicista ceco, quattro
ampi movimenti con l'energico e popolare
Allegro con fuoco finale,
ha trovato un' ottima resa dall'OFI nella
decisa direzione di Montrone. Ricordiamo che l'OFI
è una formazione con molti giovani, una
compagine che ha proposte musicali diversificate
nei generi ed è aperta anche
al
repertorio contemporaneo. Il più breve lavoro
del musicista inglese, la nota Marcia n.1 in
re maggiore, utilizzata come inno
patriottico inglese nel canto Land of Hope
and Glory, è stata espressa molto bene dagli
strumentisti, in ogni sezione della grande
orchestra, con rilevanza particolare degli
ottimi ottoni. Applausi meritatissimi e come bis
ancora una celebre composizione, questa volta di
Sergej Prokof'ev con l'energica e scultorea
Danza dei cavalieri tratta dal balletto
Romeo e Giulietta. Applausi fragorosi
meritati. Ricordiamo il prossimo concerto di
lunedì 16 dicembre, con il violinista Pavel
Berman e il pianista Roberto Arosio. Tra
i brani in programma la Sonata per
pianoforte e violino n. 9 “A Kreutzer” di
L.v.Beethoven e Tzigane Op. 76 di Maurice Ravel.
Da non perdere.
9 dicembre 2024 Cesare
Guzzardella
"Infiniti mondi"
con musiche di Reich,
Andriessen e Nono in Conservatorio
Il concerto serale di Sala
Puccini in Conservatorio, conclusivo della
giornata di Studi per i Cento anni dalla
nascita di Luigi Nono, prevedeva brani di
Steve Reich (1936), di Louis Andriessen
(1939-2021) e di Luigi Nono ( 1924-1990) , tre
compositori che hanno in modo diverso avuto
molta importanza nel mondo della musica del
secondo
Novecento e Contemporanea. I primi due lavori
sono inquadrabili nel contesto minimalista,
anche se il compositore olandese ha più
riferimenti stilistici, mentre lo statunitense
Reich, con il brano ascoltato Music for
pieces of wood, è uno dei padri del
minimalismo. Entrambi hanno messo in evidenza
uno stile che mette in risalto i continui
cambiamenti ritmici in ambito percussivo. Il
brano più corposo, Workers Union, per
nove esecutori, di Andriessen, ha anche
strumenti a fiato (tre sax), utilizzati
soprattutto in senso ritmico.
Interessanti
tutte due le esecuzioni, nel gioco di
costruzione architettonica, con sequenze
ripetute nei minimi cambiamenti eseguiti con
precisione e in modo efficace dall'Ensemble
del Conservatorio di Milano. Il terzo brano
era invece un importante lavoro di Luigi Nono
denominato Polifonica, Monodia, Ritmica,
realizzato da un compositore ancora giovane, nel
1951, ma qui eseguito nella versione più ampia,
di
quasi venti minuti di durata. Ottima la
direzione di Takahairo Maruyama e la resa dei
giovani dell'Ensemble. Un lavoro molto
interessante di un Nono diverso, che risente
l'influsso del Primo Novecento - Schönberg,
Webern, ecc.- eseguito benissimo oltre che dalle
percussioni dai numerosi strumenti a fiato -
Flauto, Clarinetto, Clarinetto basso, Sax alto,
Corno- e il pianoforte. Una serata interessante,
molto applaudita dal numeroso pubblico
intervenuto in Sala Puccini che ha coronato la
giornata di Studi dedicata al grande
compositore veneziano.
7 dicembre 2024 Cesare
Guzzardella
Il violinista Ning Feng
diretto da Lang-Lessing alla Società dei
Concerti
Un concerto con brani
particolarmente noti e molto frequentati nelle
sale di tutto il mondo, quelli proposti in
Conservatorio nella serata organizzata dalla
"Fondazione La Società dei Concerti".
Musicisti come Richard Strauss, W.A.Mozart e
L.v.Beethoven - nell'ordine d'esecuzione-' sono
stati proposti dalla Deutsche
Staatsphilharmonie Rheinland-Pfalz, diretta
da Sebastian Lang-Lessing, rivelando una
spiccata
qualità interpretativa. Un concerto inizialmente
virtuosistico con lo straordinario poema “Don
Juan op.20" di Richard Strauss, proposto ad
introduzione. È un brano altamente energico, uno
dei migliori e tra quelli più celebri del
musicista tedesco, che ha rivelato subito gli
ottimi colori delle sezioni orchestrali e la
precisione nei dettagli della direzione di Lang-Lessin.
Il brano successivo era particolarmente atteso
per la presenza del violinista solista, il
quarantaduenne cinese Ning Feng, vincitore nel
2009 del prestigioso Premio Paganini di
Genova. In pieno contrasto con il brano
precedente, il Concerto per violino n.5 in la
maggiore K 219 di Mozart, denominato anche “Türkish”
per
la presenza nell'ultimo movimento di un evidente
riferimento folcloristico "alla turca"- come
nella celebre sonata pianistica- , è
probabilmente il più celebre del genere del
genio salisburghese, pieno di eleganza definita
con raffinati colori da Feng, un virtuoso dal
tocco delicato e nello stesso tempo di sottile
incisività. Inserito benissimo nel tessuto
strumentale di un'orchestra quasi cameristica,
ha ricreato con sapiente dosaggio timbrico, quel
clima galante tipico dell'epoca. La
ricchezza dei temi, sino alla splendida "danza"
conclusiva, rendono il brano molto
riconoscibile
ad un vasto pubblico. Splendida interpretazione.
Due i bis solistici concessi da Feng, prima un
delicato Andante bachiano da una Sonata
per violino solo e poi un vurtuosistico
Capriccio n.1 di Paganini che ha rivelato in
toto tutte le qualità del grande interprete.
Invidiabile la quantità di "pesi volumetrici"
individuati nel breve ma sostanzioso
"capriccio". Dopo l'intervallo, ancora un clima
"di paesaggio" con la celebre Sinfonia n.6 in
fa maggiore op.68 "Pastorale" di Beethoven.
Il suono bucolico e naturalistico del brano è
stato reso molto bene dagli eccellenti
orchestrali in tutte le sezioni. Ancora meglio
negli ultimi due movimenti, con una splendida
scena di tempesta e quell'infinita serenità del
Finale. Applausi fragorosi dal numeroso
pubblico intervenuto.
5 dicembre 2024 Cesare
Guzzardella
Brani di compositori viventi
al Museo
del Novecento per le sonorità del flauto e
della chitarra
L'interessante pomeriggio
musicale di musica contemporanea ascoltato ieri
al Museo del Novecento era titolato
"Eco di suoni italiani: nuove voci per flauto e
chitarra". Il musicologo prof. Renzo Cresti,
anticipato dal presidente di SIMC (Società
italiana di musica contemporanea) Andrea
Mannucci, ha presentato i protagonisti del
concerto, il flautista Roberto Fabbriciani e il
chitarrista Vincenzo Saldarelli impegnati
nell'interpretazione
di ben dieci recenti brani, la maggior parte con
la presenza dei rispettivi compositori: Riccardo
Piacentini, Simone Cardini, Maurilio Cacciatore,
Fabrizio De Rossi Re, Carlo Galante, Andrea
Mannucci, Leonardo Marino, Nicola Sani,
Alessandro Sbordoni, Fausto Sebastiani. Brani
per chitarra e flauto, per flauto solo o per
chitarra sola, che hanno rivelato una panoramica
assai diversificata sul modo di comporre e di
rivelare nuovi modi d'intendere la musica.
Certamente i noti strumentisti,
sia
Fabbriciani che Saldarelli, hanno mostrato
un'indubbia capacità d'interpretazione
utilizzando gli strumenti in tutte le
potenzialità che offrono. Tra gli interessanti
brani, spesso commissionati da SIMC per
il Festival d'autunno 2024, segnaliamo
almeno E più in alto le stelle.Nuove per
flauto e chitarra (e foto-suoni su cellulari
sparsi in sala) di Riccardo Piacentini; Un
souffle per flauto e chitarra di Nicola Sani,
Riflessi per flauto e chitarra di Andrea
Mannucci, Nestled within faded leaves per
chitarra sola di Simone Cardini, L'isola
delle figlie dell'acqua per flauto e
chitarra di Fabrizio De Rossi Re e Marsia e
le Muse di Carlo Galante. Applausi sostenuti
dal numeroso pubblico presente.
4 dicembre 2024 Cesare
Guzzardella
Roberto Cappello
tra "Oriente
ed Occidente" per Serate Musicali in
Conservatorio
Un titolo pienamente
azzeccato quello scelto per il bellissimo
concerto pianistico di ieri sera alle "Serate
Musicali" del Conservatorio milanese. "Incantesimi
e incanti, da Oriente a Occidente" ci ha
portato in uno straordinario mondo di immagini,
di racconti e di esperienze sonore che solo un "mago"
del pianoforte quale Roberto Cappello poteva
evocare.
L'importanza
del concerto ascoltato non era data solo dal
fatto di avere un grande virtuoso italiano sul
palcoscenico di Sala Verdi, o dalla scelta
accurata dei brani proposti - Korsakov e Borodin
per "l'Oriente", Gershwin per "l'Occidente" - ma
anche dal fatto che quei brani erano
trascrizioni/arrangiamenti dello stesso Cappello.
Quindi musica mai ascoltata, timbriche
pianistiche che, soprattutto per i russi, hanno
ricreato perfettamente quel clima coloristico
tipico della grande orchestra. Ci riferiamo a
Sherazade di Rimskij-Korsakov (1844-1908),
alle Danze polovesiane di Aleksandr
Borodin (1833-1887) e alla Rapsody in Blue
di George Gershwin (1898-1937), rivisitata
potenziandola di splendide armonizzazioni.
Cappello (1951), pianista salentino con una
padronanza tecnica assoluta, ha approfondito
ogni dettaglio coloristico nei due russi,
ricostruendo con i tasti del pianoforte quel
clima fantasioso ricco di temi e di sviluppi
armonici che ben conoscevamo dalle esecuzioni di
grandi orchestre. La sua lunga esperienza
d'interprete, consolidata con la vittoria nel
prestigioso Concorso Internazionale
pianistico "Ferruccio Busoni" di Bolzano del
1976,
ci
ha ancora una volta rivelato che ci troviamo di
fronte ad uno dei massimi interpreti della sua
generazione, sia in Italia che a livello
internazionale. L'impalcatura architettonica
molto solida della lunga "suite" di
Sherazade, giocata su dinamiche ricche di
contrasti, che evidenziano con chiarezza le
linee melodiche nei differenti piani sonori,
potenziate da corpose armonizzazioni ricche di
colori, ha reso la prima parte del concerto di
alto livello estetico. Ottima la sintesi
discorsiva nelle Danze polovesiane di
Borodin, quattro Danze riprese più volte e una
coda dai colori esotici ed evocativi di
esemplare bellezza. Notevole il contrasto con il
modo di melodiare d'oltre oceano del grande
Gershwin, reso magnificamente da Cappello nella
celebre Rapsody in Blue, fantasioso brano
reso ancora più celebre da l
film della Disney, Fantasia 2000.
Applausi calorosissimi dal pubblico intervenuto
e due ottimi bis, con ancora una melodia di
Gershwin, Embraceable You, ...a occidente..,
rivisitata da Cappello, e un Rachmaninov doc,
...ad oriente..con il Momento musicale op.16
n.6. Davvero indimenticabile.
3 dicembre 2024 Cesare
Guzzardella
Lucas Macías
dirige l'Orchestra
Sinfonica di Milano in Mozart e in Bruckner
Un accostamento interessante
tra Mozart e Bruckner ha visto il
direttore-oboista Lucas Macías interpretare
prima il Concerto per oboe e orchestra in Do
maggiore K 314 del genio salisburghese e
poi, solo alla direzione dell'Orchestra
Sinfonica di Milano, la Sinfonia n.1 in Do
minore
di Anton Bruckner. Composto nel 1777 da un
Mozart ventunenne, il concerto per oboe, poi
trascritto anche per flauto, ha trovato una resa
ottimale dal direttore-oboista spagnolo che poi
ha concesso come bis una pagina profonda di
J.S.Bach, con un timbro d'oboe straordinario
nell'Oratorio di Pasqua. Un cambio di
organico, con un deciso maggior numero di
orchestrali, per la prima delle Sinfonie di
Bruckner . Il compositore, impegnato anche come
organista e direttore d'orchestra, iniziò a
comporre le sue Sinfonie a una certa età. La
prima è del 1865-66, aveva già quarant'anni, ed
è tra le più brevi pur durando quasi cinquanta
minuti. Ha già quelle caratteristiche tipiche
del compositore austriaco, giocate su contrasti
tra
timbriche tenui e frangenti molto voluminosi.
Ottima l'interpretazione del direttore spagnolo
e la resa degli orchestrali in ogni sezione di
strumenti. Alla replica vista nel pomeriggio
domenicale, applausi fragorosi meritatissimi.
2 dicembre 2024 Cesare
Guzzardella
Simone Caserta
vince il Premio Nazionale delle Arti 2024 di
Composizione
Il Premio Nazionale delle
Arti 2024 per la categoria "Composizione"
ha portato nella Sala Puccini del
Conservatorio milanese cinque finalisti,
provenienti da differenti Conservatori italiani.
Il Direttore del Conservatorio "G. Verdi"
Massimiliano Baggio ha introdotto la serata di
musica contemporanea dove una valente giuria
composta da Alessandro Melchiorre (Presidente),
Fabio Vacchi e Gabrio Taglietti, ha deciso il
brano meritevole di vincere il Premio della
XVIII° edizione.
La
nota formazione cameristica di musica
contemporanea "mdi ensemble" ha eseguito
i cinque brani dei compositori finalisti, dalla
durata di circa dieci minuti ognuno. La stessa
ottima formazione strumentale ha voluto fare
ascoltare anche il brano vincitore della
rassegna dello scorso anno: Inner/Outer
di Jacopo Petrucci. In attesa dei risultati, in
omaggio a Bruno Bettinelli (1913-2004),
compositore milanese e per parecchi decenni
insegnante di Composizione del Conservatorio "G.Verdi",
sono stati
interpretati
due suoi lavori. Prima lo Studio da concerto
per fagotto, eseguito molto bene da Stefano
Ottomaniello e poi il più corposo Musica per
sette, interpretato ottimamente
dall'Ensemble del Conservatorio di Milano
diretta da Federica Di Vaio. La moglie del
celebre compositore, Silvia Bianchera, sul palco
insieme al Maestro Baggio, ha ricordato
Bettinelli e le lezioni date anche a lei nelle
aule del Conservatorio. Di ottima fattura i
brani in gara, presentati con perfezione tecnica
ed eccellente timbrica dai musicisti del mdi
ensemble diretti da Dario Garegnani
ed
eseguiti senza sapere la rispondenza con i
rispettivi autori. La giuria ha indicato come
vincitore della rassegna il terzo brano in gara,
quello di Simone Caserta, del Conservatorio
milanese. Caserta è allievo del compositore e
docente Federico Gardella. Il suo brano era
intitolato "Agavi, sentinelle di infiniti
confini". Congratulazioni al vincitore e a
tutti gli altri finalisti.
1 dicembre 2024 Cesare
Guzzardella
NOVEMBRE 2024
Davide Alogna con l'Insubria
Chamber Orchestra diretta da G.R. Marini
alle Serate Musicali
È tornata la Insubria
Chamber Orchestra diretta da Giorgio Rodolfo
Marini in Conservatorio per i concerti
organizzati da Serate Musicali. Un
programma variegato con brani di quattro
compositori. Viotti, Mannino, Cavallone e Rota
attendevano, in parte, il violino solista di
Davide Alogna. Il noto strumentista siciliano,
classe 1980, era infatti presente nei primi due
brani quali il Concerto per violino e
orchestra n.4 di Giovanni Battista Viotti e
il Concerto per violino e orchestra n.2
di Franco Mannino. Due lavori nei classici tre
movimenti, molto differenti anche se composti
entrambi in scrittura tonale. Viotti
(1755-1824),
grande compositore e virtuoso del
violino piemontese, ha composto questo
melodicissimo concerto ispirandosi certamente a
W.A.Mozart (1756-1791). Il Maestoso
introduttivo, la Romanza centrale e
l'efficacissimo Allegro finale- il più
mozartiano- hanno trovato un'ottima resa
interpretativa con il bel timbro violinistico di
Alogna, ottimamente coadiuvato dell'Insubria
Chamber Orchestra. Certamente una sorpresa lo
sconosciuto ma validissimo brano del palermitano
Franco Mannino (1924-2005), pianista e
compositore che andrebbe rivalutato. Un concerto
il suo con due movimenti laterali, l'Andante
mosso e appassionato iniziale e il Presto
finale, ricchi di trovate armoniche
particolarmente interessanti e certamente
novecentesche nella felice scrittura; una parte
centrale, Ode, di orecchiabile
melodicità
che può ricordare certi Rota o Puccini nel modo
chiaro di melodiare tipicamente italiano.
Eccellente la resa interpretativa di Alogna con
il suo timbro dolce e nello stesso tempo
incisivo, in perfetta sintonia con il direttore
Marini e gli orchestrali. Interpretazione
complessiva di ottima qualità. Alogna ha inoltre
dedicato la Ode centrale a Puccini, nel
centenario dalla dipartita. Ottimo il bis
solistico di Alogna con un movimento di Bach
dalla Partita in re minore eseguito con
espressività. Altrettanto validi gli altri due
brani. Prima un lavoro di Paolo Cavallone (1975)
in stile händeliano e bachiano denominato
Deux études couplées:Händel-Bach. Sono un
Largo, un Allegro, una Gavotta
e una Giga che
ricordano in toto i due
grandi musicisti nella loro energica scrittura.
L'ultimo brano era di Nino Rota (1911-1979) con
il suo Concerto per Archi. Un'ottima
composizione , tipica di Rota ma anche con un
sapore neoclassico alla
Šostakovic,
eseguita benissimo dalla compagine cameristica
in tutti i quattro movimenti: Preludio,
Scherzo, Aria e Finale. Il Maestro
Marini come
fuoriprogramma
ha voluto omaggiare
Giacomo
Puccini,
per
i
cento anni
dalla dipartita
proprio ieri, con una splendida trascrizione per
archi dell'Intermezzo da Manon Lescaut.
Splendida interpretazione. Applausi dai
fortunati
presenti
in Sala Verdi.
30 ottobre 2024 Cesare
Guzzardella
Anna Tifu e la Stuttgarter
Philharmoniker
diretta da Adrian Prabava
Un concerto di qualità quello
di ieri sera organizzato in Conservatorio dalla
Società dei Concerti milanese. La
Stuttgarter Philharmoniker, diretta dal
tedesco-indonesiano Adrian Prabava, ha eseguito
tre importanti brani dimostrando una qualità
interpretativa di eccellente livello. Merito
degli oltre ottanta strumentisti ma anche del
bravissimo Prabava, che ricordiamo aver lavorato
a stretto contatto con direttori come Masur e
Haitink. L'impatto iniziale con l'Akademische
Festouvertüre in do minore op.80 di Johannes
Brahms ha segnato lo spessore interpretativo
della compagine orchestrale, attraverso
un'esecuzione di evidente intensità espressiva.
Il secondo brano
dell'impaginato
era probabilmente il più atteso dal numeroso
pubblico in Sala Verdi, per la presenza della
violinista cagliaritana Anna Tifu. Affermata
internazionalmente da numerosi anni, la Tifu ha
proposto uno dei concerti solistici cui è più
legata, il Concerto n.1 in la minore op.77
per violino e orchestra di Dmitri
Shostakovich. Un brano dove la parte solistica,
quasi sempre presente, si fonde con un
sinfonismo orchestrale generando un lavoro
intensamente espressivo nella complessiva
drammaticità introdotta dallo scuro Notturno
iniziale. La Tifu, coadiuvata dall'ottima
direzione e dalla precisa resa orchestrale, ha
rivelato una profondità interpretativa di alto
livello, penetrando la fondamentale componente
melodica con intensa drammatizzazione, anche nei
momenti dove semplici e singole note venivano
elargite nel cupo tappeto sonoro dell'orchestra
o nella lunga
Cadenza
prima della ritmata Burlesca finale. Una
resa complessiva assolutamente adeguata alla
potenza espressiva del brano del grande
compositore russo. Applausi fragorosi
meritatissimi e ottimo il bis solistico con un
brano di George Enescu - Lautarul - di
eccellente fattura ed esecuzione. Dopo
l'intervallo l'Orchestra tedesca ha voluto
omaggiare l'Italia eseguendo Aus Italien,
Fantasia Sinfonica in sol maggiore op.16 di
Richard Strauss. Un lavoro in più movimenti che
rivela le virtuosistiche capacità
d'orchestrazione del compositore tedesco. I
riferimenti, prima a Roma e poi a Napoli, con la
celeberrima Funiculì funiculà, sono
legati al viaggio compiuto da Strauss nel Bel
Paese nel 1886, con la conseguente realizzazione
del corposo lavoro, scritto quando aveva solo
ventiquattro anni. Di alta qualità
l'interpretazione ascoltata. Applausi
meritatissimi e ancora un omaggio italiano nel
bis concesso, l'Intermezzo dalla
Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni.
Bravissimi!
28 novembre 2024. Cesare
Guzzardella
DOMENICO NORDIO E L’ORCHESTRA
DEL FRIULI OSPITI DEL FESTIVAL CANTELLI A NOVARA
Ieri
sera, 27 novembre, al Teatro Coccia di Novara la
seconda serata del Festival Cantelli ha avuto
come protagonista uno dei più grandi violinisti
italiani del nostro tempo. Domenico Nordio,
nella veste di solista e Direttore della neonata
(2019), ma già affermata, Orchestra del Friuli
Venezia Giulia. L’impaginato del concerto
proponeva monograficamente tre pezzi di Mozart,
i primi due dei quali tra loro strettamente
legati: infatti l’Adagio per violino e orchestra
in Mi maggiore Kv 261, che apriva la serata, fu
composto per sostituire il movimento lento (ritenuto
troppo difficile dal violinista della corte di
Salisburgo, tal Brunetti)), del Concerto che
segue nel programma, quello per violino e
orchestra n.5 Kv 219 in La maggiore. L’ Adagio
Kv 261, breve ma di grande intensità lirica,
viene eseguito da Nordio con quella luminosa
chiarezza di suono e quella intonazione che sa
unire precisione a intensa
carica
espressiva, che hanno reso celebre la sua cavata.
All’orecchio dell’ascoltatore giunge una linea
solistica di trasparente levigatezza, che
sviluppa con estrema finezza il mondo espressivo
lirico e soffuso, già introdotto dalle battute
iniziali dell’orchestra. Volendo confrontare
questo Adagio, con quello originale, e oggi
eseguito senza eccezioni, del Concerto Kv 219,
l’interpretazione esemplare di Nordio ci aiuta a
comprendere la maggior forza espressiva e lo
spessore tecnico di quest’ultimo (da qui, forse,
le lamentele del Brunetti). L’arco di Nordio
sfrutta infatti con mirabile sensibilità i
cromatismi del melodico tema unico di questo
Adagio, ottenendone morbide sfumature
coloristiche, una sonorità vellutata di tenera e
avvolgente bellezza. Ma su questo Adagio del Kv
219, così superbamente interpretato,
aggiungeremmo un’osservazione: Nordio evita di
fondere le note in un tutto indifferenziato di
grazia e bellezza formale, come si ascolta in
molte esecuzioni, che accarezzano l’udito e
nulla più. Al contrario il grande violinista
veneto scava quanto di inquieto e quasi timoroso
è presente in questo Adagio, facendo ben sentire
l’ombra del passaggio in minore della parte
centrale del movimento: gli acuti si fanno
pungenti, i trilli sembrano leggeri tremiti,
sulla dolce e incantata bellezza trascorre un
fremito di un non so che di doloroso, come un
presagio. Abbiamo insistito su questo movimento,
perché ci pare esempio splendido del modo di
suonare di Nordio, ma naturalmente anche i tempi
estremi del concerto hanno trovato nel suo
violino un interprete di altissimo livello,
nella festosità trascinante che ispira gran
parte dell’Allegro
aperto
iniziale, come nella delicatezza galante del
Minuetto -Rondò finale. Se i primi due pezzi
sono opera di un Mozart ancor ventenne e in
cammino verso la piena maturità (1776), il terzo
e ultimo pezzo in programma, la Sinfonia n.38,
Kv 504 in Re maggiore, nota come “Praga”,
appartiene invece agli anni finali del genio
salisburghese (1787). Nordio guida con bravura
l’Orchestra del Friuli ad un’interpretazione di
intensa qualità espressiva, sin
dall’Introduzione lenta, che sembra alzare il
sipario su un mondo carico di contrasti e
tensione, per poi proseguire con una condotta
calibratissima dell’elaborazione
contrappuntistica dell’Allegro, il rilievo dato
ai cromatismi della scrittura dell’Andante, che
fa affiorare un che di oscuro nell’amabile
grazia del movimento e infine il ritmo
incalzante dal tono gaio e frizzante, del Finale
Presto, Gesto sicuro, valida scelta di tempi e
ritmi, cura raffinata del dettaglio timbrico e
dei mutamenti nelle dinamiche, il tutto
ricondotto ad una precisa linea espressiva:
questo il Nordio Direttore ascoltato ieri sera,
coadiuvato da un’orchestra di ottimo livello in
tutti i reparti. Meritato successo di pubblico
che ha espresso il suo giudizio con un lungo e
fragoroso applauso. Non sono stati concessi ‘fuori
programma’.
28 novembre 2024 Bruno Busca
L'Orchestra UNIMI
diretta da Sebastiano Rolli in musiche del "Settecento"
all'Università Statale milanese
Per la Stagione concertistica
2024 "del Centenario", l'Orchestra UNIMI
e il suo direttore
Sebastiano Rolli hanno portato nell'Aula
Magna dell'Università Statale milanese un
impaginato Settecentesco con brani di Corelli,
Bach e Vivaldi, anche se il primo brano, in
Prima esecuzione assoluta, era un'innovativa
trascrizione per archi di Sylvano Bussotti
(1931-2021) della Folia (o Follia) di Arcangelo
Corelli,
originariamente
per violino e basso continuo (cembalo).
L'originale scrittura di un Bussotti diciottenne
- è stata scritta nel 1949- rivelano un
compositore, allora ancora studente, orientato
alle trasformazioni in senso novecentesco, con
cambiamenti nelle armonie del celebre brano, per
una resa particolare ma decisamente valida in
tutte le variazioni del noto tema. Ottima
l'interpretazione della giovane orchestra. Il
brano successivo era il
Concerto
per Clavicembalo n.1 in Re minore BWV 1052
di J.S.Bach, più frequentato nella versione
pianistica, ma eseguito molto bene nella parte
solistica dall'ottimo cembalista Francesco
Melani. Di ancora rilevante valore il
Concerto per violino in La minore BWV 1041
ancora del musicista sassone. Nella parte
solistica il giovane violinista Julian Kainrath,
classe 2005, ha affrontato con efficacia
coloristica, eccellenti sonorità e attenzione ai
dettagli, la sua parte, coadiuvato molto bene
dalla direzione di Rolli e dall'orchestra.
Un'esecuzione decisamente valida che ci ha
rivelato un talentuoso interprete. L'ultimo
brano in programma era il breve
Concerto
per archi in re minore "Madrigalesco" RV 129
di Antonio Vivaldi, con la presenza evidente di
polifonia contrappuntistica
su linee cromatiche particolarmente interessanti.
Ottima la resa espressiva. Applausi a tutti i
protagonisti. Prima del concerto Stefano Jacini,
studioso, romanziere e anche autore di libretti
d'opera - suo il libretto dell'opera lirica
Jeanne Dark di Fabio Vacchi- , ha intervistato i
protagonisti della serata.
27 novembre 2024 Cesare
Guzzardella
Eduard Kunz alle Serate
Musicali del
Conservatorio
Il quarantaquattrenne
pianista russo Eduard Kunz è tornato per
Serate Musicali in Conservatorio. L'ultima
volta l'avevo ascoltato, sempre per Serate,
nel 2014 in due concerti di
Čaikovskij,
quello celebre e il secondo poco frequentato. Mi
era piaciuto molto, al contrario che nel 2012
dove ero rimasto molto perplesso. Ieri sera ha
impaginato un programma decisamente breve, con
brani molto conosciuti. Ljadov,
Rachmaniniv,
Scrjabin, e Čaikovskij hanno trovato brevi
esecuzioni,
a parte la corposa Sonata in mi bemolle
maggiore XVI/49 di F.J. Haydn eseguita ad
introduzione, mancante però del primo
ritornello. Nella esigua durata complessiva,
dobbiamo constatare che è stata espressa
un'ottima qualità interpretativa. Ad iniziare
dalla Sonata haydniana, tra le più celebri,
eseguita in modo personale, con varianti negli
abbellimenti e alcuni altri piccoli cambiamenti,
ma con un'idea precisa nella realizzazione e una
resa certamente alta, ricca di espressività
e
di bellezza coloristica. Andando poi nel mondo
romantico degli altri musicisti, con il
Preludio n.1 op.11 di Ljadov e poi una seria
di brani di Rachmaninov, i più celebri: l'op.32
n.12, l'op.21 n.5, l'op.32 n.5,
l'op.16 n.3, abbiamo riscontrato una
chiarezza espositiva ottima, con un meditato e
corretto uso delle dinamiche nei rispettivi
piani sonori e una bellezza autentica dei colori.
Questo ancora nel celebre Studio in do diesis
minore op.2 n.1 di A.Scrjabin e nei due
brani di P.I.
Čaikovskij:
la
celeberrima
Barcarola "Giugno" da "Le Stagioni"
e il meno frequentato ma eccellente
Valzer op.39 n.8 dall'Album della gioventù,
tutti interpretati poeticamente. Applausi
fragorosi da un pubblico poco numeroso e un solo
breve bis con il celebre Preludio in si
minore di Bach-Siloti eseguito benissimo.
Meno di un'ora la durata totale senza intervalli,
ma un'ottimo concerto per qualità.
26 novembre 2024 Cesare
Guzzardella
Emanuele Delucchi allo
Spazio Teatro
89 per Busoni e Godowsky
Particolarmente interessante
il concerto che ha visto protagonista allo
Spazio Teatro 89 di via Fratelli Zoia, a
Milano, il pianista ligure Emanuele Delucchi. Il
virtuoso ha voluto fare un confronto tra due
compositori-interpreti quali Ferruccio Busoni
(1866-1924) e Leopold Godowsky (1870-1938).
Entrambi celebri per le loro qualità di
virtuosi-pianisti, hanno in questi ultimi
decenni riscosso un' importante rivalutazione come
compositori, pur rimanendo noti soprattutto per le
trascrizioni e le rielaborazioni di brani
di grandi musicisti quali Bach o Chopin.
Delucchi, classe 1987, sin da ragazzo ha avuto
una forte attrazione musicale nei confronti dei
due virtuosi. Ieri la scelta d'impaginato
prevedeva soprattutto brani di Bach rivisitati
da entrambi i musicisti, con un finale dedicato
a rielaborazioni di Godowsky su alcuni Studi
di Chopin, ma anche due lavori originali dei due
compositori e una dello stesso Delucchi,
interprete ma anche compositore. Luca Schieppati ha
introdotto il pomeriggio musicale, ma è
soprattutto Delucchi che ha spiegato le ragioni di questo concerto inquadrando molto
bene i due protagonisti. I brani introduttivi,
un Adagio e fuga dalla Toccata BWV 564
di Bach-Busoni e un altro Adagio e fuga
dalla Sonata BWV 1001 di
Bach-Godowsky, hanno rivelato le eccellenti
qualità d'interprete di Delucchi, ma anche le
diverse modalità di rielaborazione dei due
compositori. Di grande rilevanza estetica l'Elegia
III di Busoni e il Preludio e Fuga su
B.A.C.H. di Godowsky, ottime composizioni
che hanno sottolineato il meno noto settore
compositivo degli autori. In seguito Delucchi ha
eseguito due brani tra i più noti dei due
trascrittori: il Preludio-Corale Nun komm,
der Heiden Heiland di Bach-Busoni e l'Andante
dalla Sonata BWV 1003 di Bach-Godowsky.
La notorietà di questi lavori ha ancora più
esaltato le
qualità
dell'interprete.Terminato il confronto, Delucchi
ha voluto mettere in rilievo un altro lato del compositore
Godowsky, quello legato a Chopin. Tre dei ben
più numerosi "Studi sugli Studi di Chopin",
hanno reso il concerto ancor più interessante e
Delucchi, uno tra i pochissimi pianisti che
hanno eseguito tutti gli Studi sugli Studi
del polacco, ha elargito un resa
interpretativa di alto livello. L'ultimo brano del
programma ufficiale era dello stesso Delucchi con
Ricercare VII - Carmen Chromaticum, un breve
lavoro che ha nel cromatismo più esasperato un
elemento per una valida realizzazione compositiva,
resa con nitore dall'autore. Bello il bis
concesso con il delizioso Valzer Alt Wien di
Godowsky, tra i suoi brani più noti. Applausi
fragorosi dal numeroso pubblico intervenuto.
Ricordiamo il prossimo incontro del 15 dicembre
con un "Omaggio a Puccini tra musica e
letteratura" con Sonia Grandis, voce recitante,
Külli Tomingas, mezzosoprano e i pianisti Luca
Schieppati e Agnese Nascimbene. Da non perdere!
25 novembre 2024 Cesare
Guzzardella
IL TURCO IN ITALIA AL COCCIA
DI NOVARA
U n
altro spettacolo d’opera di buon livello, tra
quelli da noi visti a Novara, quello andato in
scena venerdì 22 e ieri domenica 24 al Teatro
Coccia con identico cast: l’Opera buffa di G.
Rossini “Il Turco in Italia” (1814),
coproduzione di un folto gruppo di teatri,
quelli di Rovigo, di Ravenna, di Jesi, di
Rimini, di Pisa, oltre, naturalmente, al Coccia:
per realizzare spettacoli di alto livello, unire
le forze è d’obbligo per Teatri che non siano La
Scala o ad essa paragonabili. La regia di questo
Turco in Italia è stata affidata a Roberto
Catalano, con la collaborazione di Guido Buganza
per la scenografia, di Ilaria Ariemme per i
costumi e di Oscar Frosio per le luci. Le scelte
registiche di Catalano puntano ad
un’attualizzazione della vicenda del libretto,
che, lungi dall’apparire gratuita e fuor di
luogo, esplora con intelligenza uno dei
possibili e più interessanti ‘livelli di senso’
di quest’opera rossiniana. Catalano trasporta la
storia del libretto e l’atmosfera di svagato
edonismo che la permea in un luogo indefinito
degli anni’60 del ‘900, in piena esplosione del
consumismo e della ‘dolce vita’. Il mondo in cui
vivono i personaggi di questo “Turco in Italia”
è il mondo della compulsiva accumulazione di
oggetti, di beni di
consumo,
reclamizzati da dépliants pubblicitari, un
vortice di cose, cui partecipa ogni personaggio
e di cui è simbolo e dunque personaggio-chiave
Fiorilla, che solo nella brama del consumo
sembra trovare un’alternativa alla noiosa
routine coniugale col marito Geronio, noia che
la spinge ad accumulare non soltanto cose, ma
anche amanti. Tale interpretazione si annuncia
fin dall’ouverture a sipario alzato, con la
coppia seduta inebetita a guardare la Tv e
Fiorilla che, come spinta da una molla, comincia
a ricevere pacchi su pacchi, consegnati da
fattorini che si presentano continuamente alla
porta di casa, ad un ritmo sempre più
grottescamente frenetico. La scenografia
sviluppa coerentemente questo tema: in una
cornice essenziale, appaiono e scompaiono
oggetti, ambienti, vetrine, luci, fattorini (tutti
gli elementi del coro vestono da fattorini),
soubrettes da sketch pubblicitario vanno e
vengono. Fiorilla legge spesso un catalogo di
offerte promozionali intorno a cui sembra
ruotare la sua intera attività mentale. In
questo mondo alienato l’amore non può che essere
fatuo e superficiale possesso di un oggetto di
piacere tra i tanti. In questa interpretazione
del Turco in Italia, tuttavia, resta poco
integrata una delle più geniali invenzioni di
Romani e Rossini, il personaggio metateatrale
del poeta Prosdocimo. Nel libretto di Felice
Romani è l’accorto burattinaio della vicenda a
scopi puramente artistico-creativi, osservatore
della realtà per dare vita a un nuovo genere di
dramma buffo e non si vede bene quale ruolo
dovrebbe avere in questo mondo dei consumi senza
freno. Forse quello di chi ne trae una
conclusione morale, in cui si riconosce alla
fine Fiorilla: quando non viene più desiderata
da nessuno, scopre il vuoto di quella vita e con
amara coscienza la rifiuta. La regia di Catalano
è un perfetto congegno teatrale, con tempi
comici gestiti magistralmente e uno scavo
convincente nel dramma di Fiorilla, consumista
alienata per noia e, in fondo, solitudine.
All’ottimo livello della regia corrisponde
quello della parte musicale. La direzione
affidata nella rappresentazione novarese al
bravo Maestro
di
origini iraniane Hossein Pishkar, ha dominato
con gesto chiaro e deciso la partitura
rossiniana, mostrando una qualità tecnica
encomiabile nelle dinamiche più sfumate e nei
timbri più morbidi, come l’attacco del quintetto
dell’atto secondo. Secondo noi deve calibrare
meglio il rapporto col palcoscenico: più di una
volta, specie nel primo Atto, il volume
dell’orchestra ha coperto le voci dei cantanti.
Diretta da questa comunque valente bacchetta, ha
mostrato le sue migliori qualità la brava
Orchestra Giovanile Cherubini. Buona la
prestazione del Coro lirico Veneto, diretto da
Flavia Bernardi. Di buon livello anche le
prestazioni dei cantanti. Fiorilla era il
soprano Elena Galitskaja: le sue non perfette
condizioni di salute sono state forse
all’origine, nei numeri di agilità, di un acuto
non ineccepibile, ma in compenso ha mostrato un
apprezzabile fraseggio, sempre vario ed
espressivo, con mezze voci di notevole bellezza
espressiva e una dizione di perfezione rara per
una non italiana, il tutto accompagnato da
un’efficace presenza scenica. Un graditissimo
ritorno al Coccia è stato quello del basso
Simone Alberghini nel ruolo di Selim: al cui
servizio ha messo il suo strumento vocale caldo
e avvolgente, di ampia estensione, preciso nella
coloratura, con acuti impeccabili, brillante nei
numeri d’assieme per frizzante vivacità di
buffo. Don Geronio, l’infelice marito di
Fiorilla, altro basso buffo dell’opera, è stato
interpretato come meglio non si potrebbe da
Giulio Mastrototaro, dal fraseggio perfettamente
tornito sia nelle parti buffe, sia in quelle
sentimentali (di toccante espressività il duetto
con Fiorilla “Son la vite sul campo appassita”
del II Atto), sostenuto da un luminoso canto
sillabato e da una voce di notevole ampiezza.
Chiude la serie dei bassi il Prosdocimo di
Daniele Terenzi, di voce ben timbrata, e ottima
presenza scenica, per quanto, come detto, il suo
significato nella vicenda, così come impostata
dalla regia di Catalano fosse tutt’altro che
chiaro. Riuscitissimo il don Narciso cantato dal
tenore Francisco Brito, anche lui provvisto di
una voce bella per timbro ed estensione, con
fluida e precisa ascesa agli acuti, sempre
sicuro, anche nei numeri più difficili, come
l’arioso “Perché mai se son tradito”, dell’Atto
I. Più che valida anche la sua presenza scenica,
di fatuo latin lover. Del 2°tenore Antonio Garés,
nella parte di Albazar, non possiamo che dire
bene, per la sua voce dal timbro chiaro, ma
sempre espressivo, anche lui ottimo attore.
Zaida, parte di mezzosoprano, è chiamata a dare
voce alla componente più sentimentale e
passionale presente in quest’opera buffa: l’ha
interpretata Simona Gardina, che ci è parsa un
tantino sottotono tanto nella linea vocale,
quanto nella dimensione attoriale. Buon successo
di pubblico, come sempre assai numeroso, che ha
applaudito a lungo, com’era giusto per un
allestimento decisamente ben curato e ben
realizzato.
25 novembre 2024 Bruno busca
Il violinista Sergej Krylov
diretto da Simone Young
alla Scala
Ho assistito all'ultima
replica della Filarmonica della Scala con la
direzione di Simone Young. In programma due
importanti brani: il Concerto in re maggiore
op.77 di Johannes Brahms e il poema
sinfonico Ein Heldenleben op.40 di
Richard Strauss. Protagonista del concerto era
il russo Sergej Krylov
che ha sostenuto in modo eccellente la celebre
pagina musicale, permeando con il suo incisivo
virtuosismo anche la componente orchestrale. Krylov,
tra i massimi violinisti della scena mondiale,
ha mostrato una discorsività tipica di chi ha
assorbito
ogni
dettaglio del brano per un'interpretazione
estemporanea di grande effetto e di superlativo
rilievo espressivo. Attraverso una gestualità
perfettamente integrata con le sonorità ottenute,
sin dal corposo Allegro non troppo
iniziale, il virtuoso moscovita ha rivelato un
segno marcato con timbriche scavate e di
pregnante resa espressiva, ben assecondato dalla
direzione della Young. Ottimo anche il
melodicissimo Adagio centrale ed
esuberante l'Allegro giocoso, ma non troppo
vivace conclusivo. Un'interpretazione
eccellente anche nella componente sinfonica
della splendida Filarmonica della Scala. Di alto
spessore il bis solistico concesso da Krylov:
dalla Sonata n.2 di Eugène Ysaÿe il
movimento conclusivo Les furies.
Applausi
fragorosi. Rilevante sotto ogni profilo
l'interpretazione del poema sinfonico Vita
d'Eroe di Richard Strauss. Composto
esattamente venti anni dopo il brahmsiano
concerto, nel 1898, è un lavoro ciclico in sei
parti, eseguite senza soluzione di continuità,
che rivelano il virtuosismo orchestrale del
grande compositore tedesco giocato su sonorità a
volte sostenute dalla volumetrie della grande
orchestra, a volte evidenziate in modo
cameristico, con anche il solo violino
dell'eccellente spalla Francesco De Angelis
spesso in primo piano con le sue nitide
timbriche. Un'
interpretazione di ottima qualità quella della
Young espressa con maestria da tutte le sezioni
orchestrali e dalle fondamentali parti
solistiche. Applausi fragorosi meritatissimi.
24 novembre 2024 Cesare
Guzzardella
La Filarmonica Arturo
Toscanini diretta da
Yi-Chen Lin al Teatro Dal Verme
Un impaginato particolare
quello scelto dalla cinese di Taipei Yi-Chen
Lin, ieri alla direzione della Filarmonica
Arturo Toscanini. Una scrittura tonale di
Mascagni e un neoclassico Stravinskij,
inframmezzati dall'atonalità di Arnold Schönberg
con il suo Pierrot Lunaire op.21. Il tema delle
"maschere" scelto per l'ottimo concerto
del pomeriggio accomunava i tre brani: quello
introduttivo, il Preludio da "Le
maschere"
di Pietro Mascagni, sembrava orientare la serata
nel mondo della bella melodia italiana con
un'interpretazione luminosa realizzata dalla
compagine emiliano-romagnala, ottimamente
diretta dalla Lin. La svolta nel modo di
comporre e nel recepire la musica, è avvenuta
subito dopo, con il celebre Pierrot Lunaire
op.21 di Arnold Schönberg, un brano del 1912
che portò il musicista viennese ad un radicale
cambiamento nella maniera di esprimere sonorità, con un
riferimento all'atonalità e ad un uso
particolare della voce tra recitato e cantato.
Pierrot Lunaire si basa su un ciclo di 21
lieder su testi del simbolista Albert Giraud (scelti
dalle oltre 50 poesie del poeta). A sostenere
l'importante parte vocale, Cristina Zavalloni,
cantante
proveniente dal Jazz e dalla musica
contemporanea, si è destreggiata benissimo anche
attorialmente, muovendosi tra gli strumentisti
della piccola formazione cameristica: otto
complessivamente gli strumenti impiegati
compreso il fondamentale pianoforte. La resa
ottimale del brano, diretto con efficaci gesti
dalla Lin, ha portato al meritato successo e
certamente i movimenti dell'avvenente e
bravissima Zavalloni, vestita in rosso, hanno
avuto un ruolo fondamentale nella resa
complessiva. L'ultimo brano d'impaginato, la
Suite Pulcinella, è un ritorno al passato,
al periodo neoclassico di Igor Stravinskij, il
più eclettico dei musicisti del '900. Ottima
l'interpretazione della Filarmonica A.
Toscanini, con la direzione precisa e
dettagliata della Lin che ha mediato col gesto
ottimamente le numerosi parti che compongono il
celebre lavoro. Ancora applausi meritatissimi.
24 novembre 2024 Cesare
Guzzardella
TRA SQUILLI DI FLICORNO È
COMINCIATO A VERCELLI IL VIOTTIFESTIVAL N.27
Ieri
sera, 23 novembre, sul palcoscenico del Teatro
Civico di Vercelli, ha preso avvio il
ventisettesimo ViottiFestival, per la gioia
degli amanti della musica del Piemonte orientale
e non solo. Questa gioia si è come
materializzata nelle note straordinarie del
‘Paganini della tromba’, com’è comunemente
definito oggi Sergej Nakarjakov,, trombettista
russo nato nel 1977 e considerato il più grande
virtuoso della tromba oggi. Per la verità
Nakarjakov ieri ha suonato un flicorno, dal
timbro più scuro e dolce rispetto alla tromba.
La tecnica esecutiva davvero stupefacente di
questo trombettista ha avvinto il pubblico con
due pezzi: le ‘Variazioni su un tema rococò per
violoncello e orchestra’ op.33 di P.
I.Ciajkovskij, nella apparentemente
inconcepibile versione per ottone e le ‘Variazioni
su un tema di Norma di V. Bellini’, del grande
trombettista francese dell’800 J. B. Arban. La
tecnica brillante, elegante e raffinata, con un
velocissimo staccato di lingua, e con una ‘respirazione
circolare’ semplicemente prodigiosa, che
permette di inspirare col naso, assicurando
fluida
continuità
anche a frasi molto lunghe, consentono a
Nakarjakov di realizzare al meglio l’impresa di
riprodurre con il suo flicorno Courtois la
morbidezza del suono e la sensuale cantabilità
del violoncello, alternando nel tema e nelle
sette variazioni del pezzo ciajkovskijano,
momenti di fresco e gioioso zampillare di
melodie dalla sonorità pastosa, e momenti di più
ripiegata interiorità, suonati con una sfumatura
di cui, prima di aver ascoltato Nakarjakov, non
si crederebbe capace un ottone. Nel pezzo di
Arban, concepito già ab origine per tromba, le
note di ‘Casta Diva’ risuonano con un fine
vibrato sentimentale, per lasciare poi il posto
al tema più brillante della Marcia guerriera,
dove il Paganini della tromba trova lo spazio
per tutta una serie di pezzi di pirotecnica
bravura, che non mancavano certo nelle
Variazioni di Ciajkovskij, ma nel pezzo di Arban
sono la ragion d’essere della composizione,
eseguita alla fine della serata Se in questi due
brani protagonista assoluto è stato il grande
trombettista russo, negli altri tre pezzi
dell’impaginato è tornata a dominare il
palcoscenico del Civico la Camerata Ducale. Per
la prima volta in ventisette anni il fondatore e
direttore della Camerata Ducale, Guido Rimonda
mancava ad un concerto della sua orchestra, in
quanto impegnato in tournée a Lisbona, con
un’altra parte della Ducale. La parte che
suonava ieri a Vercelli è tornata all’antico: ha
suonato senza direttore sul podio, ma guidata da
quell’eccellente Konzertmeister che è Giulia
Rimonda, vero punto di riferimento, soprattutto
per tempi, ritmi e dinamiche per tutti i
colleghi. L’eleganza e la trasparenza di suono,
il controllo suggestivo di dinamiche e timbri,
che sono ormai patrimonio acquisito di questa
compagine orchestrale e dello stile
interpretativo che il suo Direttore le ha
impresso, hanno dato voce suadente al linguaggio
aristocratico e alla rarefatta tessitura di
controllata malinconia della ‘Serenata per archi
in mi minore’ di Elgar. Bellissima anche
l’esecuzione del celebre ‘Adagio per Archi’ di
S. Barber, in cui la Camerata Ducale, sfrutta al
meglio la strumentazione raffinata e suggestiva
del pezzo, con la progressione crescente per
archi divisi e l’aumento graduale e
inarrestabile dell’intensità e dello spessore
del suono, in un gioco di richiami timbrici tra
le diverse linee strumentali, cui la Camerata
Ducale dona una sottile iridescenza. Le “Antiche
danze ed arie per liuto, Suite n.3”, composte da
O. Respighi nel 1932,
trascrivendo
per orchestra di soli archi arie rinascimentali
per liuto, sono un pezzo che par scritto apposta
per esaltare le migliori qualità della Camerata
Ducale. Una signorile e sempre controllata
sensibilità per il suono ‘ben riuscito’, trova
qui il modo d’impreziosirsi nell’atmosfera
rinascimentale ricreata dal neoclassicismo del
compositore bolognese, ora facendosi garbata
melodia nel primo movimento, ‘Italiana’, ora
limpido e dolce canto, venato di una ‘mezzavoce’
malinconica nella’ Pastorale, infine
impennandosi nelle note più austere e severe
della Finale Passacaglia. Un gran bell’inizio di
stagione, questo concerto, che ha ottenuto il
meritato successo di pubblico, come sempre
numeroso, con prolungati e scroscianti applausi
cui davano un che di deliziosamente gioioso i
fanciulli e i ragazzi presenti in sala,
centoventi, secondo quanto comunicato dalla
Direttrice Artistica della Camerata Ducale
Cristina Canzani. Citiamo questo dato perché in
Italia ci pare più unico che raro! Nakarjakov
concedeva un fuori programma che non abbiamo
identificato: è stato comunque un pezzo molto
bello, di pensosa mestizia, suonato
meravigliosamente. Un’altra serata vercellese da
ricordare. (Foto Ufficio Stampa di Vercelli)
24-11-24 Bruno Busca
Daniel Lozakovich
diretto da Emmanuel
Tjeknavorian in Auditorium
Emmanuel Tjeknavorian è
tornato ieri sera alla guida dell'Orchestra
Sinfonica di Milano per un impaginato
classico-romantico che prevedeva brani di
Mendelssohn, di Schumann e di Schubert. L'Ouverture
in si minore op.26 "Le Ebridi" di
Mendelssohn ha introdotto con espressione la
serata anticipando il brano probabilmente più
atteso: il Concerto per violino e orchestra
in re minore di Robert
Schumann,
affidato al violino solista di Daniel Lozakovich,
un giovane interprete svedese da alcuni anni
alla ribalta per le sue qualità virtuosistiche
che lo pongono tra i violinisti più richiesti
della scena internazionale. La stupefacente resa
virtuosistica e di qualità espressiva, l'abbiamo
constatata nel Concerto di Schumann, tra i meno
frequentati ma di assoluta raffinatezza
musicale. Lavoro maturo del grande compositore
tedesco, è stato scritto nel 1853 nei classici
tre movimenti, con un Energico non troppo
iniziale assai corposo e con un'ottima
integrazione del violino con le sonorità
orchestrali. L'Adagio centrale e l'Allegro
ma non troppo finale sono uniti in un
unicum sonoro. La bellezza dell'ultimo
movimento è stata rimarcata splendidamente da
Lozakovich con il suo dolce violino, uno
Stradivari "ex-Sansy" del 1713 dai timbri
raffinati
e
di tenue incisività. Interpretazione di alto
livello nella sinergia della direzione di
Tjeknavorian e degli ottimi orchestrali. Di
insuperabile qualità il bis solistico concesso
da Lozakovich con una Sonata di Ysaÿe, la
N.3 in Re minore op.27 "Ballade",
espressa con virtuosistica e nitida espressività.
Applausi calorosissimi dal numerosissimo
pubblico intervenuto. Dopo il breve intervallo,
ottima l'esecuzione della Sinfonia n.6 in do
maggiore D859 "La piccola" di Franz
Schubert. Non molto eseguita, ha una freschezza
giovanile con un Allegro moderato finale
delizioso. Di qualità la resa orchestrale.
Domenica alle ore 16.00 la replica. Da non
perdere.
23 novembre 2024 Cesare
Guzzardella
Martina Meola
allo Steinway &
Sons di Milano
Compie tra una settimana
dodici anni Martina Meola, la pianista
originaria della Moldavia che da alcuni anni
studia a Milano e attualmente frequenta i corsi
del Conservatorio avendo come insegnante di
pianoforte Silvia Limongelli. Recentemente
ha vinto il Primo Premio 2023, "Categoria H
Giovani talenti" dell'importante Istituto
musicale
milanese. Ieri, nel tardo pomeriggio, l'abbiamo
ancora ascoltata nell'elegante Flagship Store
Steinway & Sons, in occasione dell'ultimo
concerto stagionale che la nota casa di
pianoforti, in collaborazione con il
Conservatorio "G. Verdi," dedica ai giovani
talenti. L'impaginato prevedeva brani di
Beethoven, di Chopin, di Ravel e di Liszt. Ci
stupisce sempre di più il talento di questa
giovanissima interprete: serissima, concentrata
e di una precisione impressionante nel
concedersi alla tastiera dell'eccellente
pianoforte Steinway messo a disposizione. Ha
iniziato con la Piano Sonata No.17 in Re
minore, Op.31 No.2 "La tempesta"
di
L.v. Beethoven eseguita con una chiarezza
esemplare e con un movimento finale,
Rondò.Allegretto, di una forza espressiva
stupefacente nella bellezza di colori. I tre
brani proposti di F. Chopin, il Notturno Op.9
n. 1, le Mazurke Op.30 n. 1 e n. 4
e la Ballata n.1 Op.23 sono stati
altrettanto definiti con candore espressivo e,
specie nella Ballata, Martina ha rivelato
un'incredibile capacità espressiva giocata su
contrasti dinamici articolati e con particolare
bellezza timbrica definita da matura sicurezza.
Valida anche, per fluidità, la Sonatine
di Maurice Ravel. Sorprendente il brano
conclusivo
dell'impaginato con una virtuosistica e perfetta,
nell'equilibrio complessivo, Hungarian
Rhapsody No.11, S.244/11 di Franz Liszt. Eccellente il bis
concesso con una delle più note Sonate di
Domenico Scarlatti, quella in Re minore L
366. Applausi fragorosi dal numeroso
pubblico intervenuto e brindisi finale. Brava
Martina!
22 novembre 2024 Cesare
Guzzardella
Beatrice Rana per la
Società dei Concerti nel Concerto in Sol
di Ravel
È tornata in Conservatorio la
pianista salentina Beatrice Rana ai concerti
organizzati dalla "Fondazione La Società dei
Concerti", l'organizzazione milanese che l'aveva
accolta per la prima volta nel lontano 2011. Una
Sala Verdi colma di pubblico, anche di
giovanissimi, è venuta per ascoltarla nel
Concerto in Sol per pianoforte e orchestra
di Maurice Ravel. L'Orchestra Haydn di Bolzano e
Trento, diretta dal
Michele
Spotti, ha introdotto la serata con la versione
orchestrale, dall'originale pianistico del 1899,
della Pavane pour une infante défunte, un
brano, sempre del musicista francese, eseguito
con adeguata profondità espressiva dai giovani
orchestrali. L'ingresso di Beatrice Rana per il
noto concerto raveliano, composto tra il 1929 e
il 1931, ha creato un clima di grande attenzione.
Il brano, ispirato dal mondo del jazz americano
sebbene nobilitato da un classicismo di
scrittura ricercata, definito in ogni nota e
giocato su un'orchestrazione perfetta tipica del
grande compositore francese, è nelle consuete
tre parti. La Rana lo ha interpretato con
assoluta chiarezza timbrica, perfezione di
dettaglio e notevole espressività. Iniziando con
un
Allegramente eseguito in sinergia
ottimale con la direzione di Spotti, passando
per un bellissimo Adagio assai centrale,
con quell'inizio in a solo ben sostenuto nel
corretto tempo; arrivando al virtuosistico
Presto elargito con un'eccellente sintesi
discorsiva, mediata da un uso perfetto delle
mani nella prorompente ritmica, molto accelerata,
e sapientemente coordinata con i colori
orchestrali. Un'interpretazione complessiva di
altissimo livello apprezzata dal pubblico che ha
elargito lunghi e fragorosi applausi. Due i bis
concessi da Beatrice Rana: prima una Romanza
senza parole di Mendelssohn, l'Op.67 n.2,
poi di Claude Debussy l'Isle Joyeuse,
entrambi
elargite in modo energico, con chiarezza
coloristica ed evidente espressività. Dopo il
breve intervallo è stata interpretata molto bene
la giovanile Sinfonia in do maggiore di
Georges Bizet. Scritta dal compositore francese
a soli diciassette anni, resta l'unico lavoro
del genere. La quantità di belle melodie, alcune
nello stile che anticipa le grandi opere liriche
del musicista, si ritrovano in tutti i quattro
movimenti, tra i quali citiamo almeno quello più
frizzante, il Finale.Allegro vivace.
Ottima la direzione di Spotti e di rilievo la
resa dei bravissimi strumentisti dell'Orchestra
Haydn. Applausi fragorosi meritatissimi.
21 novembre 2024 Cesare
Guzzardella
Alexandre Kantorow
al Teatro alla Scala
L'ultimo concerto pianistico
della stagione "I Grandi pianisti alla Scala"
ha trovato nella sala del Piermarini
l'interprete francese Alexandre Kantorow.
L'avevamo ascoltato l'ultima volta al
Conservatorio milanese nel 2022,
rimanendo sbalorditi per le sue qualità
virtuosistiche. L'impaginato scelto per il
recital di ieri sera era ancora all'insegna
del virtuosismo, con brani di Brahms, di Liszt,
di Bartók, di Rachmaninov e di Bach/Brahms. Un
programma
particolarmente
corposo che, con il bis concesso, un
Wagner/Liszt, ha raggiunto quasi due ore di
durata effettiva musicale, cosa assai rara per
un concerto pianistico. La Rapsodia in Si
minore op.79 n.1 di
Johannes Brahms ha introdotto la serata
rivelandoci la facilità del pianista
d'impossessarsi completamente della materia
sonora. Un'ottima interpretazione che ha
anticipato i primi due brani del grande
ungherese. Di Liszt ha infatti eseguito prima lo
Studio d'esecuzione trascendentale n.12 S 139
"Chasse-neige" e poi, dal primo Années de
Pèlerinage, Suisse S.160, il n.6 "Vallée
d'Obermann". Due brani particolarmente
frequentati che hanno
trovato
un'interpretazione di estrema lucidità, giocata
su una leggerezza di tocco non disgiunta da
chiarezza discorsiva nei ricchi contrasti
dinamici. I due lavori successivi,
particolarmente corposi, erano invece di rara
esecuzione: prima la Rapsodia op 1 Sz26
di Béla Bartók e, dopo la pausa, la Sonata
n.1 in re minore op.28 di Sergej Rachmaninov.
Entrambi di straordinaria difficoltà tecnica,
sono stati resi con incredibile facilità dalle
mani controllate di Kantorow. Un equilibrio
coloristico dominato da una digitazione
acrobatica che ha cercato e trovato grande
espressività. Una visione complessiva la sua
"perfettamente calibrata nelle dinamiche e nelle
timbriche, e con una sicurezza nel definire
efficacemente ogni frase, anche quelle di
maggiore difficoltà tecnica", come già
espresso nella recensione passata.E non
dimentichiamo la straordinaria Ciaccona
di J.S.Bach ricostruita per la sola mano
sinistra da Brahms, ultimo brano del programma
ufficiale reso con completa visione d'insieme
dal virtuoso. Straordinario
il bis concesso, ancora all'insegna del
virtuosismo, con il Wagner-Liszt di Liebestod
da Tristan und Isolde. Un'
esecuzione esemplare.
Applausi interminabili in un Teatro alla Scala
quasi al completo.
20 novembre 2024 Cesare
Guzzardella
Alle Serate Musicali
l’Orchestra
Cupiditas e la pianista Anna Caterina Binda
È nata nel 2016 l’Orchestra
Cupiditas. Sempre diretta da Pietro Veneri, è
tornata in Conservatorio per Serate Musicali
con un impaginato decisamente classico che
prevedeva brani di Cimarosa, di Mozart e di
Beethoven. Formata da orchestrali molto giovani,
ha mostrato entusiasmo, ottimi potenziali e
valida resa in tutti i brani proposti. Ad
iniziare dall'Ouverture da Il
matrimonio Segreto di Domenico Cimarosa,
(1749- 1801) i giovani strumentisti, ottimamente
diretti da
Veneri,
hanno rivelato equilibrio ed espressività nelle
diverse sezioni orchestrali e nell'insieme. Di
Mozart (1756-1791)- contemporaneo di Cimarosa- è
stato poi proposto uno dei Concerti per
pianoforte e orchestra più noti nel suo stile
galante, il n.12 in la maggiore K414. Al
pianoforte solista la ventenne Anna Caterina
Binda ha mostrato di possedere un fraseggio
preciso, chiaro e in sintonia con quel clima
settecentesco che emerge nel delizioso lavoro
del salisburghese. Significativa, nel profondo
Andante centrale del concerto, la
citazione tratta dall'Ouverture "La calamità
dei cuori" di Johann Christian Bach, uno dei
figli del genio tedesco molto apprezzato dal
musicista salisburghese. Certamente di valore la
resa complessiva.
Molto
bello e splendidamente interpretato il bis
solistico concesso dalla Binda, la Toccata
di Maurice Ravel, un brano che ha spostato in
avanti di molti anni la classicità
dell'impaginato complessivo. Applausi meritati
alla giovane interprete e ai giovani orchestrali.
Dopo il breve intervallo la Sinfonia n.1 in
do maggiore Op. 21 di L.V.Beethoven ha
concluso degnamente la serata. È una
composizione che risente ancora della scuola
classica di Mozart e di Haydn ma che ha anche
molti frangenti tipicamente beethoveniani, come
quelli dello splendido quarto movimento, un
Allegro molto vivace conclusivo - preceduto
da poche note in Adagio- che ha rivelato
ancora la grinta degli orchestrali e l'ottima
direzione di Pietro Veneri. Applausi sostenuti
dal pubblico presente in Sala Verdi. Ricordiamo
il prossimo concerto di lunedì, 25 novembre, con
il pianista Eduard Kunz in un programma
particolarmente variegato. Da non perdere.
19 novembre 2024 Cesare Guzzardella
Corrado Giuffredi e
Federico
Nicoletta agli Amici del Loggione di via
Silvio Pellico per Lieti Calici
Un duo ottimo quello
ascoltato questa mattina ai Lieti Calici
di via Silvio Pellico a Milano. Il clarinettista
Corrado Giuffredi e il pianista Federico
Nicoletta hanno colto l'occasione per presentare
un eccellente CD uscito da poco e dedicato
interamente a Puccini per i cento anni dalla
scomparsa. Uscito per Fluente e MM,
l'incisione propone Fantasie
per
clarinetto e pianoforte su opere del grande
musicista toscano quali La Boheme, Tosca, Madame
Batterfly e Turandot, realizzate dal compositore
Michele Mangani. Il duo ci ha proposto una
selezione da queste opere rivelando oltre alle
indubbie ottime capacità strumentali, anche
l'efficacia delle riuscite trascrizioni
cameristiche di Mangani. La sintesi, ad esempio,
di Tosca, dà una visione
precisa
dei frangenti più importanti e celebri del
capolavoro pucciniano, fornendo una sintesi
strumentale che assume contemporaneamente un
significato musicale autonomo, utile ad una
diffusione maggiore delle arie del grande genio
toscano. La fluidità del clarinetto di Giuffredi
e le precise armonizzazioni di Nicoletta, hanno
trovato una
sinergia
efficace piaciuta moltissimo al numeroso
pubblico intervenuto nella grande sala degli
Amici del Loggione. Applausi fragorosi e a
conclusione il celebre Nessun Dorma da
Turandot e un brindisi finale con vini
eccellenti e connessi. Una mattinata di qualità
presentata come sempre con passione e
professionalità da Mario Marcarini, l'ideatore
di Lieti Calici.
17 novembre 2024 Cesare
Guzzardella
I Virtuosi Italiani
e la pianista Jin Ju al Dal Verme
I Pomeriggi Musicali hanno
ospitato giovedì sera e ieri pomeriggio al
Teatro Dal Verme l'Orchestra d'archi de "I
Virtuosi Italiani", compagine cameristica
diretta da Alberto Martini, anche primo violino.
L'impaginato prevedeva pagine di
Čaikovskij,
di Di Marino e di Chopin. L'introduzione
orchestrale con un' Elegia di Čaikovskij
ha anticipato il brano probabilmente più
atteso dal numeroso pubblico presente alla
replica di sabato pomeriggio. Il Concerto per
pianoforte e orchestra n.2 in Fa minore op.2 1
di Fryderyk Chopin, in una versione
più
cameristica con orchestra d'archi, ha trovato
come solista al pianoforte la cinese Jin Ju,
virtuosa premiata in importanti concorsi
internazionali. L'accompagnamento solo con archi
dei Virtuosi Italiani, funzionale alle timbriche
pianistiche, dà
la possibilità al solista di
evidenziare ancor più le sue qualità, per una
resa più intimista. Jin Ju, perfetta nel
determinare con sicurezza l'intensa melodicità
di questo secondo concerto chopiniano -che in
realtà è stato composto qualche mese prima della
più celebre Opera 11-, ha trovato una
corretta e personale cifra interpretativa
mettendo in risalto
molto
bene le voci nei diversi piani sonori.
Un'esecuzione certamente di ottima qualità,
specie nello splendido Larghetto centrale,
eseguito con una riflessiva e profonda resa
coloristica e ripetuto anche come primo bis.
Applausi calorosissimi e come secondo bis un
ottimo Notturno op.55 n.2. La seconda
parte del concerto, affidata interamente ai
Virtuosi, prevedeva prima un breve brano del
trentino Roberto Di Martino, classe 1956. Un
lavoro tonale in stile classico, ben orchestrato
con frangenti alla "Piazzolla". A seguire,
ottima l' interpretazione della Serenata per
archi op.48 di
Čaikovskij,
un brano celebre per l'intensa melodicità
resa con maestria dagli archi. Applausi
fragorosi pianamente meritati.
17 novembre 2024 Cesare
Guzzardella
Emmanuel Tjeknavorian
torna sul podio dell'Orchestra Sinfonica di
Milano
È tornato a dirigere
l'Orchestra Sinfonica di Milano il direttore
austriaco Emmanuel Tjeknavorian per un concerto
sinfonico che prevedeva musiche di Berlioz, di
Chopin e di Brahms. Un programma articolato che,
dopo il brano introduttivo, la Rákóczi March
da La Damnation de Faust op. 24 di
Hector Berlioz, per una direzione energica che
ha
delineato
l'ottima cifra direttoriale di Tjeknavorian, ha
visto l'atteso brano di Fryderyk Chopin: il
Concerto n. 1 per pianoforte e orchestra in Mi
minore op. 11. Solista al pianoforte Kiron
Atom Tellia n. Il pianista
austriaco - anche compositore- è stato
ottimamente coadiuvato dalla Sinfonica di
Milano, ed ha delineato un'interpretazione
giocata su colori delicati e raffinati, specie
nello splendido movimento centrale, una
Romanza: Larghetto, di particolare
leggerezza e con colori trasparenti ben
rispettati dalla direzione orchestrale. Un
concerto, il primo e quello più celebre
del
polacco, molto apprezzato dal pubblico presente
in Auditorium. Due i bis solistici concessi da
Kiron Atom Tellian, ancora di Chopin: prima un
energico Studio n.12 Op. 25 e poi un'
ottima Mazurca Op.33 n.4, brani ancora
molto applauditi. Dopo l'intervallo un corposo
lavoro tutto per la Sinfonica con la splendida
orchestrazione di Arnold Schönberg fatta nel
1937 del Quartetto per archi e pianoforte in
sol minore op.25 (1861) di Johannes Brahms.
Il compositore viennese ha perfettamente colto
lo spirito brahmsiano per una resa molto "sinfonica"
del noto Quartetto. Sembra quasi una "quinta
sinfonia", definita con fluidità da Tjeknavorian
con evidenza di dettagliato e con raffinata
restituzione coloristica. Ottime tutte le
sezioni dell'orchestra
e
l'impasto timbrico complessivo. Eccellente il "folcloristico"
Rondò alla zingarese.Presto, ultimo
movimento del brano strutturato nelle classiche
quattro parti. Applausi fragorosi meritatissimi
al direttore e all'Orchestra Sinfonica di
Milano. Domenica alle ore 16.00, la replica. Da
non perdere!
16 novembre 2024 Cesare
Guzzardella
La pianista Rachel
Breen a "Il Pianoforte in Ateneo"
dell'Università Cattolica milanese
Si è conclusa all'Università
Cattolica del Sacro Cuore milanese la Stagione
musicale de "Il Pianoforte in Ateneo" , una
rassegna pianistica ideata dal Maestro Davide
Cabassi e dal Prof. Enrico Reggiani ( direttore
dello Studium Musicale di Ateneo) con la
collaborazione della Shigeru Kawai Italia che ha
messo a disposizione, per i concerti allestiti
nella prestigiosa Aula Magna, un eccellente
pianoforte a coda. Ieri sera la giovane pianista
statunitense Rachel Breen ha strutturato un
programma intelligente e particolare che aveva
come "piatto forte" i
Quattro
Improvvisi di Fryderyk Chopin (1810-1849),
precisamente il N.1 op.29, il N.2 op.36, il
N.3 op.51 e il N.4 “Fantasie Impromptu”
op. 66. Questi sono stati inframmezzati da
alcuni brani di altri musicisti: di Luciano
Berio ( 1925-2003) Wasserklavier (dai Six
Encore), di Modest Mussorgsky (1839-1881),
Impromptu Passioné, di A. Schönberg
(1874-1951), da Fragments, Leicht, mit
einiger, Unruhe, Rasch, Fast durchaus leise
e, a conclusione, di N.K.Medtner (1880-1951), la
Sonata op. 22 in sol minore. A parte la
corposa Sonata di Medtner eseguita dopo i primi
calorosi applausi, , gli altri lavori sono stati
interpretati senza soluzione di continuità, come
se si trattasse di un unico lavoro dalle
caratteristiche improvvisatorie. Il concetto d'improvvisazione
era stato anche il tema del valido discorso
introduttivo del Prof. Reggiani.
L'ottima
scelta di continuità della Breen ci ha rivelato
una pianista di ottimo livello, che ha
perfettamente in testa l'equilibrio complessivo
delle sue restituzioni. Il tocco preciso, la
chiarezza nei dettagli - pur nell'accentuato
riverbero della sala- e la discorsività del
fraseggio che mette in rilievo molto bene i
piani sonori, ci hanno fatto apprezzare ogni
autore, anche le autentiche rarità di Mussorgsky
e di Schönberg, con due brani diversi dal
consueto, con il russo particolarmente romantico
e l'austriaco tonale e vicino al
tardo-romanticismo. Eseguito benissimo Berio con
la Wasserklavier, e con piglio virtuosistico,
ricco di espressività, la splendida Sonata op.22
di Medtner, lavoro in un unico corposo movimento
di un compositore moscovita che andrebbe
proposto con maggiore frequenza. Grande successo
di pubblico e come bis un trasparente e meditato
J.S.Bach (1685-1750) con la celebre Aria
iniziale delle Goldberg. Bravissima!
15 novembre 2024 Cesare
Guzzardella
Piercarlo Sacco e Andrea
Dieci a San Bernardino
alle Monache per Giuliani e Rebay
“Suoni trasfigurati“,
una serie di concerti organizzati in luoghi
diversi con la partecipazione di Serate
Musicali, prevedeva, nel tardo pomeriggio di
ieri, un concerto particolarmente interessante
nella chiesa di San Bernardino alle Monache di
via Lanzone. Il violinista Piercarlo Sacco e il
chitarrista Andrea Dieci hanno proposto brani di
Giuliani e di Rebay, musicisti nati in secoli
secoli diversi che hanno gravitano in
territorio
viennese. Ìl Gran Duo Concertante op. 85
di Mauro Giuliani (1781-1829), chitarrista e
compositore pugliese, è un brano di avvincente
melodicità, tipico della tradizione mediterranea
italiana, composto per flauto o per violino e
chitarra. E' stato
interpretato con nitore espressivo da Sacco e da
Dieci, un duo di consolidata esperienza che ha
nella perfetta coesione melodico-armonica un
punto di forza. La bellezza coloristica del
violino, reso riverberante nell'acustica della
chiesa, ma comunque particolarmente seducente,
ha trovato le precise armonizzazioni della
chitarra. Molto valida poi la Sonata in mi
minore per violino e chitarra del viennese
Ferdinand Rebay (1880-1953), nell'ottima
scrittura per entrambi gli strumenti. Il compositore, anche
cantante, Rebay
è
un musicista poco eseguito che merita una rinascita di frequentazione per la raffinatezza
delle idee melodiche delineate in un contesto
armonico di sicura modernità. La Sonata
ascoltata, giocata anche su una serie di
variazioni, ha trovato degli interpreti ideali.
Ricordiamo che il duo Sacco-Dieci ha realizzato
un importante CD con musiche di Rebay che ha
vinto la prestigiosa "Chitarra d'oro"
come migliore CD dell'anno. L'interpretazione
sicura e ricca di timbriche delicate e pregnanti
d'espressione, ha evidenziato il prestigio del
duo, confermato anche dagli applausi fragorosi
degli intervenuti. Di qualità il bis concesso
con un delicato Valzer ancora di Rebay.
Il duo, con il medesimo programma, terrà un
concerto domenica 17 novembre alle ore 17.00
allo Spazio Teatro 89 di via Fratelli
Zoia. Da non perdere.
14 novembre 2024 Cesare
Guzzardella
IL VIOLONCELLO DI ENRICO
DINDO CON I SOLISTI DI PAVIA APRE LA STAGIONE
N.44 DEL FESTIVAL CANTELLI DI NOVARA
Ieri
sera al Teatro Faraggiana si è alzato il sipario
sulla quarantaquattresima stagione della più
importante manifestazione di musica classica di
Novara, il Festival Cantelli, promosso
dall’Associazione Amici della Musica. Ospite di
lusso e per la prima volta a Novara, il grande
violoncellista Enrico Dindo, nel doppio ruolo di
solista e di direttore, alla guida dei Solisti
di Pavia, orchestra da camera fondata dallo
stesso Dindo nel 2001, e ormai famoso complesso,
che da più di un ventennio ottiene meritato
successo in Italia e all’estero. Il pezzo che ha
introdotto la serata è quello forse più noto del
violoncellista e compositore praghese David
Popper (1843-1913): si tratta del Requiem per
tre celli op.66, composto nel 1891, Il pezzo non
è stato presentato nella sua forma originaria,
ma in una versione con accompagnamento di archi,
arrangiata da E. Dindo, secondo un’abitudine
esecutiva divenuta frequente per questo brano.
Dunque un Requiem per tre celli e archi. Grazie
all’orchestrazione e alla direzione di Dindo il
Requiem di Popper è stato eseguito con raffinata
calibratura di timbri e dinamiche, il cui
risultato è stata una suggestiva successione
delle lente volute sonore del tema principale,
intrise
di una sfumata malinconia tardoromantica, ma non
cupe. Il raffinato colore strumentale dei
Solisti di Pavia e la particolare sensibilità
interpretativa di Dindo hanno reso al meglio
l’atmosfera tardo romantica che avvolge la
scrittura di Popper, centrandone pienamente i
valori espressivi e confermando una volta di più
la caratteristica fondamentale dello stile di
questo grande violoncellista: una volontà di
canto, che è anche esplorazione e scavo nelle
profondità spirituali di un mondo sonoro. Quando
il suono del violoncello di Dindo si staccava
dall’insieme, si levava dalle sue quattro corde
un suono di una tale purezza e dolcezza, di una
così trepidante e pur sommessa tensione
sentimentale, da farlo parere una preghiera,
soprattutto nei momenti di moto melodico
ascendente dalle zone gravi all’acuto. Un altro
arrangiamento per orchestra, sempre ad opera di
Dindo seguiva il Requiem di Popper: ad essere
orchestrata era in questo caso la Sonata in Do
magg. per violoncello e pianoforte di S.
Prokofiev op.119. Nell’esecuzione di questo
pezzo, il violoncellista torinese ha dato
un’ulteriore grande prova della cifra espressiva
del suo modo di suonare: fin da subito,
nell’Andante grave l’ascoltatore è coinvolto
emotivamente dalle vibrazioni misteriose con cui
le note gravi del violoncello solo suonano il
tema introduttivo, per poi assecondare con un
fraseggio di magnifico respiro e luminosità
l’ampia arcata melodica successiva, in cui
consiste il primo tema del movimento, di un
colore romantico di cui Dindo è tra i più grandi
interpreti oggi. Davvero incantevole il velluto
baritonale con il quale il violoncello di Dindo
dona morbidezza al canto della sezione centrale
del secondo tempo Moderato, mentre nel Finale
allegro ma non troppo emerge il
Dindo
virtuoso, dal suono elastico e potente, ma
sempre al servizio dei valori espressivi della
pagina, una continua evoluzione melodica, che
tocca il suo culmine in una serie di variazioni.
L’eccellente qualità di questa interpretazione
deve molto, naturalmente, anche alla musicalità
profonda e limpida, al finissimo lavoro sul
colore e l’impasto timbrico del suono. A
concludere il concerto, la Sinfonia da Camera
n.1 per orchestra d’archi Op. 145, un pezzo di
Mieczyslaw Weinberg, (1919-1996), compositore
ebreo-polacco, salvatosi dall’Olocausto grazie
alla fuga in URSS, ove trascorse il resto della
sua vita, legandosi di stretta amicizia a
Shostakovich e Prokofiev. Ottima l’esecuzione
dei Solisti di Pavia, guidati dalla sapiente
bacchetta di Dindo: un bel suono compatto e al
tempo stesso chiaro e trasparente nelle sue
linee strumentali, che hanno valorizzato al
massimo i contrasti tra archi scuri e violini,
costantemente presente nel vario intreccio delle
linee melodiche. Il momento più bello, per noi,
il secondo tempo, Allegretto, col suo tema
iniziale, preparato da un pizzicato, su valori
lunghi, sospeso in un’atmosfera di vago mistero,
tra il buio dei bassi e la luce dei violini, e
seguito per contrapposizione da un tema dal
vitale ritmo danzante, talora vorticoso. La
bravura di Dindo e dei Solisti di Pavia ha
riscosso applausi prolungati e scroscianti di un
pubblico numeroso ed entusiasta. Dindo ha
concesso due bis, entrambi da Ciajkovskij,
giusto per completare una serata tutta ’slava’:
la trascrizione per violoncello e orchestra di
uno dei Morceaux per pianoforte op.19, con
l’orchestra arrangiata per soli archi, perché
l’originale prevede anche i fiati, e l’Andante
Cantabile dal Quartetto n.1 op.11, anch’esso in
trascrizione per violoncello e orchestra. Due
pezzi stupendamente eseguiti, valorizzandone la
dolcezza e la delicatezza delle melodie. Un gran
bel concerto, che apre come meglio non si
potrebbe la nuova stagione del Festival Cantelli.
14 novembre
2024 Bruno Busca
Il Quartetto Werther
all'Università Statale di Milano per "Chamber
UniMi"
L'ottimo Quartetto Werther ha
proposto brani di Schumann e di Fauré nell'Aula
Magna dell'Università Statale milanese. È una
formazione cameristica di rilievo, vincitrice
del prestigioso XXXIX Premio "Abbiati" e del
Premio "Farulli" nel 2020. Il Quartetto, attivo
a livello nazionale ed internazionale, è formato
da Misia Iannoni Sebastianini al
violino,
Martina Santarone alla viola, Vladimir
Bogdanovic al violoncello e Antonino
Fiumara al pianoforte. Il Quartetto
per pianoforte in mi bem.maggiore op.47 di
Robert Schumann, ad introduzione del concerto, è
un brano del 1842 nei classici quattro movimenti
già ascoltato in Conservatorio nel maggio scorso
per la Società dei Concerti. Adesso si è
aggiunta la novità del bellissimo Quartetto
n.2 in sol minore op.45 di Gabriel Fauré.
Ribadiamo l'analisi della scorsa recensione: "L'eccellente
sinergia tra la componente pianistica e quella
dei tre voluminosi e nitidi archi, ha generato
interpretazioni di alto livello espressivo in
entrambi i corposi lavori che segnano
l'evoluzione straordinaria del romanticismo
musicale. La componente armonica pianistica,
scorrevole,
incalzante
e precisa di Antonino Fiumara, ha ben
stabilizzato le accurate e scorrevoli note del
violino, della viola e del violoncello, per un
equilibrio timbrico di grande valore espressivo.
La tensione discorsiva nel delineare le
timbriche nei diversi movimenti ha portato ad
un'interpretazione di eccellente resa espressiva
in entrambi i lavori". Decisamente rilevante il
non facile brano del francese, composto nel
1886, oltre quarant'anni dopo quello di
Schumann, e proiettato nella musica del
Novecento per quei cambiamenti repentini di
tensione armonica e quei spostamenti di
baricentro tonale che rivelano colori
tardo-romantici. Ottima, anche in questo
Quartetto, l'interpretazione dei protagonisti
che hanno voluto concludere il concerto
concedendo un bis splendido con l'intenso
Quartetto con pianoforte in la minore di
Gustav Mahler. Bravissimi. Applausi
meritatissimi.
13 novembre 2024 Cesare
Guzzardella
Steven Isserlis
e Connie Shih alle
Serate Musicali
È un duo di qualità quello
ascoltato ieri sera ai concerti organizzati da
Serate Musicali. Il violoncellista
inglese Steven Isserlis, classe 1959, da anni è
ospite dell'importante società concertistica e
da alcuni suona in duo con la pianista canadese
Connie Shih. Ha certamente trovato una compagna
musicale alla sua altezza. L'impaginato classico
prevedeva
lateralmente
due Sonate beethoveniane, l'op.5 n.2 e l'op.69,
inframmezzate da una splendida rarità di
Bohuslav Martinu (1890-1959) con la Sonata
per violoncello e pianoforte n.1 H 277 e
poi con una trascrizione violoncellistica di
Isserlis dei Quattro pezzi romantici per
violino e pianoforte op.75 di Antonin Dvořàk
(1841-1904). La classicità delle sonate di
L.v.Beethoven (1770-1827) , tra le più eseguite,
ha visto non solo il timbro deciso, rotondo, con
fraseggio legatissimo del grande cellista ma
anche armonizzazioni perfette, ricche di colore
ed equilibratissime della pianista,
un'interprete di alto livello che ha mostrato le
sue qualità ancor più nella fondamentale parte
pianistica della Sonata di Martinu. Un lavoro
del 1939 del grande musicista ceco nei
classici
tre movimenti - Poco Allegro, Lento e
Finale, Allegro con brio- dove il taglio
netto, a volte quasi percussivo del pianoforte
si lega in modo sinergico alla voce del
violoncello. La precisione dei dettagli del
duo - in un brano che meriterebbero una
maggiore diffusione nelle sale da concerto- ha
esaltato le qualità di entrambi i protagonisti.
Validi poi i Pezzi romantici di Dvořàk,
resi con pacato nitore melodico dal violoncello
di Isserlis. Straordinario il bis concesso con
una Siciliana di Gabriel Faurè di grande
eleganza e di profonda espressività. Due
strumentisti che meritavano una Sala Verdi al
completo. Applausi fragorosi meritatissimi.
Lunedì, 18 novembre, musica di Beethoven con
l'Orchestra Cupiditas diretta da Pietro Veneri.
Da non perdere.
12 novembre 2024 Cesare
Guzzardella
Il Melologo
Enoch Arden di
R.Strauss per Musica Maestri!
Ieri, nel tardo pomeriggio,
per Musica Maestri! - il consueto appuntamento
di Sala Puccini, che però si è tenuto nella Sala
Verdi del
Conservatorio
milanese - , abbiamo ascoltato il noto melologo
di Richard Strauss Enoch Arden op.38, dal
poema di Lord Alfred Tennyson. L'adattamento del
lavoro e l'introduzione al concerto era di
Matteo Salimbeni. La musica di Strauss è stata
eseguita al pianoforte dalla bravissima Stefania
Redaelli, che ha "raccontato" la vicenda
recitata splendidamente dalla giovane attrice -
anche cantante- Maria Luisa Zaltron.
Il
triste racconto, ricco di sentimenti certamente
intrisi di romanticismo, ha trovato spessore
nella riflessiva declamazione della Zaltron, con
momenti anche commoventi per il comportamento
dignitoso di Enoch. Il protagonista ritrova la
moglie sposata con un altro uomo e per il bene
della nuova famiglia e dei suoi figli, decide di
non farsi riconoscere dopo i lunghi anni passati
in lontananza. Un successo molto applaudito dal
numeroso pubblico presente. Ottimo il bis
concesso con un lied di R. Strauss " Riposa,
anima mia " cantato dalla Zaltron con
intenso sentimento. Bravissime!
11 novembre 2024 Cesare
Guzzardella
Case Scaglione con
l'Orchestra Sinfonica di Milano per la Sinfonia
n.11 di
Šostakovic
Decisamente di alta qualit à
l'interpretazione ascoltata della rara
Sinfonia n.11 in sol minore op.103 di
Dmitrij
Šostakovic.
Alla guida dell'Orchestra Sinfonica di Milano il
talentuoso Case Scaglione ha
diretto
con sensibilità,
competenza ed espressività l'ampio lavoro
sinfonico che il compositore russo terminò nel
1957, con una prima esecuzione a Mosca nel mese
di ottobre del medesimo anno. I frangenti più
riflessivi, scuri e di profonda pacatezza, si
alternano a voluminosità estreme creando
contrasti anche inaspettati che rivelano un
mondo tragico espresso in continuità nei quattro
movimenti chiamati La Piazza del Palazzo, Il
9 gennaio, In memoria e Tocsin, per
un lavoro chiamato anche L'Anno 1905.
Questi raccontano, in uno stile narrativo,
caratterizzante del linguaggio musicale di
Šostakovic, situazioni che vanno dalla protesta
dei lavoratori
sino
alla rivoluzione. L'Orchestra Sinfonica di
Milano, in tutte le sezioni e nella miscela di
tutte le timbriche, ha mostrato un livello
espressivo pregnante e ricco di trasparenti
particolari. La direzione del quarantaduenne
direttore americano ha quindi espresso
trasparenza nei piani sonori ricchi di contrasti
coloristici. Particolarmente ridondanti, ma
efficaci le fondamentali percussioni. Applausi
fragorosi al termine dello splendido concerto.
Da ricordare.
11 novembre 2024 Cesare
Guzzardella
A Palazzo Marino
il violinista Emmanuel Coppey
È
certamente un talentuoso violinista il
venticinquenne francese Emmanuel Coppey. Lo
abbiamo ascoltato in occasione dell'ultimo
concerto della serie organizzata a Palazzo
Marino, nella prestigiosa Sala Alessi. La
mattinata era particolare, in quanto Coppey si
presentava anche come semifinalista per il
Concorso "Antonio Mormone". Questo era uno
dei tre concerti che i semifinalisti devono
sostenere in Italia e nel Mondo per accedere
alla
selezione
finale del 2025. Il vincitore del prestigioso
concorso terrà un concerto al Teatro alla Scala.
L'impaginato, per violino solo e di valenza
virtuosistica, prevedeva di G. Kurtag da “Game
signs and messages“: “In nomine“; di
J.S.Bach la Sonata n. 3 in do maggiore per
violino BWV 1005, di B. Bartòk
dalla
Sonata per violino BB124 il Tempo di Ciaccona
ed infine di E. Ysaÿe la Sonata n. 3 in re
minore op. 27 “Ballade”. "Il talento
rivelato", come recita l'elegante libretto di
sala, ha mostrato un violinista di altissimo
livello dove l'eccellente discorsovità giocata
su agogiche e dinamiche sottili, senza mai
eccedere, la tenuta costante in tutti i
complessi brani e l'espressività evidente, hanno
determinato interpretazioni di alta qualità che
certamente la giuria del "Premio A.Mormone"
terrà presente. Due splendidi bis concessi
con ancora Bach. Applausi fragorosi nella sala
stracolma di attenti appassionati. Da ricordare.
10 novembre
2024 Cesare Guzzardella
LA PIANISTA LAVINIA BERTULLI
INAUGURA LA NUOVA STAGIONE CAMERISTICA DEL
CONSERVATORIO G. CANTELLI DI NOVARA
Ieri, 9 novembre, ha preso
avvio a Novara la nuova stagione 2024/25 de ‘I
Sabati del Conservatorio’, con un recital della
pianista Lavinia Bertulli. Fiorentina, nata nel
1999, Lavinia Bertulli vanta una ormai nutrita
esperienza concertistica e di partecipazione a
concorsi, con importanti affermazioni, che le
sono valsi una borsa di Studio al Mozarteum di
Salisburgo. Attualmente è docente dello
strumento presso il Conservatorio Cantelli di
Novara. A soli venticinque anni, questa pianista,
per quello che ieri abbiamo ascoltato nel suo
recital, ci è apparsa aver già pienamente
maturato uno suo stile e un suo gusto esecutivo,
decisamente appaganti per l’ascoltatore. Un
suono brillante, di vibrante energia e sempre di
nitida precisione, un fraseggio di raffinata
eleganza, con un bel legato e un sapiente
controllo delle dinamiche, un tocco vario,
capace di captare le varie sfumature di una
partitura, esprimendole con sensibilità
espressiva: queste le
qualità che colpiscono sin
dal primo ascolto della giovane pianista
fiorentina. Qualità mese alla prova dal primo
dei brani in programma, la Sonata op. 81A n. 26
in Mi Bemolle maggiore di L. Van Beethoven,
universalmente nota come la ‘Sonata degli Addii’.
La Bertulli ne ha dato un’interpretazione che ne
ha giustamente valorizzato il carattere
intimistico, con scelte timbriche generalmente
sobrie e contenute, e una coinvolgente tensione
espressiva, che svaria dall’agitata agogica
dell’Allegro iniziale alla tenera frase
cantabile che affiora dall’Adagio centrale, al
ritmo brillante del Finale. Del tutto diversi i
problemi che pone all’interprete il secondo e
conclusivo pezzo del programma, i diciotto pezzi
miniaturistici delle Davidbundlertanze op.6 di
R. Schumann. Di questo gioiello schumanniano
Lavinia Bertulli, con l’energia e il virtuosismo
del suo tocco esalta l’esuberanza della
scrittura, dominando impavida un fraseggio dalle
incessanti soluzioni impreviste, da cui emerge,
con trasparente chiarezza il filo conduttore di
vari temi di danza, cui il virtuosismo della
pianista fiorentina conferisce il carattere di
un moto incessante e travolgente, anche se in
alcuni momenti, specie nei brani agogicamente
molto mossi, l’esecuzione ci è parsa un po’
meccanica, e il tocco smarrire l’’elasticità
necessaria. Si è trattato, comunque, di episodi
sporadici, che non hanno compromesso il buon
risultato dell’insieme. Il pubblico ha accolto
il concerto di Lavinia Bertulli con grande
favore, tributandole un caloroso e prolungato
applauso, ricompensato da due bis, entrambi dal
Carnaval op.9 di Schumann: Clarina e Aveu,
eseguiti con garbata delicatezza e buona vena
espressiva. Un bel concerto, che inaugura sotto
i migliori auspici la nuova stagione del
Cantelli.
10 novembre 2024 Bruno Busca
Pappano e Chamayou con la
COE al Teatro Civico di Rho
La bellissima serata musicale
organizzata al Teatro Civico Roberto De Silva di
Rho, alle porte di Milano, ha trovato il
direttore Sir Antonio Pappano alla guida della
Chamber Orchestra of Europe, una compagine che
annovera i migliori giovani strumentisti
provenienti da tutta Europa. La serata
anticipava quella che si terrà questa sera con
il medesimo programma. La Fondazione Roberto De
Silva e Diana Bracco, quest'ultima presente
nella splendida sala, ha sostenuto la serata in
ricordo dell'industriale Roberto De Silva,
marito della Bracco, mancato nel 2012. Il
concerto è stato preceduto da un incontro stampa
con i protagonisti. Oltre a Pappano, per anni
alla guida dell'Orchestra dell'Accademia di
Santa Cecilia a Roma e ora direttore principale
della
London Symphony Orchestra, la presenza del
noto pianista francese Bertrand Chamayou ha reso
la serata ancor più rilevante. Splendido
l'impaginato scelto dove, tra Jazz e primo
Novecento classico, sono stati scelti brani
molto "americani" proprio per mostrare come la
musica jazz abbia influenzato la cultura
classica proveniente dall'Europa. Lavori di
Milhaud, di Ravel, di Gershwin e di Bernstein
hanno rivelato le alte qualità di questa
Orchestra, quelle del pianista e naturalmente
del direttore, in un approccio di stile che
unisce mondi musicali spesso troppo separati. Il
concerto, denominato "Classico versus Jazz" ,
prevedeva come primo lavoro La creation du
monde op.81 del francese Darius Milhaud
(1892-1974), un compositore aperto a molteplici
modi di fare musica. Nel brano in sei parti
pensato come balletto, usa l'Orchestra in modo
simile a quello di una Big Band jazzistica,
nella quale l'elemento ritmico, molto accentuato,
e la presenza di strumenti come il sassofono o
la batteria ci portano verso il jazz. Ottima
l'interpretazione ascoltata di questa autentica
rarità. Il successivo Concerto in Sol
maggiore per pianoforte e orchestra di
Maurice Ravel (1875-1937) è tra i brani più
celebri del compositore francese e tra quelli
più debitori al mondo jazzistico. La parte
solistica al pianoforte, in ottima sinergia con
la direzione e l'orchestra, ci ha rivelato le
qualità estremamente raffinate di Bertrand
Chamayou. I tre movimenti che compongono il
concerto,
da quelli molto ritmici laterali,
Allegramente e Presto, a quello
intensamente melodico centrale, con un inizio
solo pianistico, un Adagio assai, sono
stati interpretati con chiarezza coloristica ed
estremo dettaglio ben delineato dall'ottima
acustica di questa elegante sala. Il musicista
che nella storia ha trovato un maggiore legame
con il Jazz, lo statunitense George Gershwin
(1898-1937), era presente con un brano raffinato
ma non di grande frequentazione. Le sue
Variazioni su "I Got Rhythm" per pianoforte e
orchestra, sono estremamente interessanti
sia nella componente solistica che per
l'orchestrazione e hanno messo ancora in luce le
qualità del pianista e la bellezza dei colori
orchestrali. L'ultimo brano, quello del grande
direttore- compositore americano Leonard
Bernstein (1918-1990), riassume maggiormente il
connubio del jazz, nella sua componente ritmica,
con la scuola classica europea. Fancy Free,
scritto da un Bernstein venticinquenne e
rappresentato nel 1944 sotto forma di balletto,
è un grandioso affresco orchestrale dove la
poliritmia di Bernstein e il linguaggio europeo
derivante anche da Stravinskij e Sostakovic, si
sommano per uno stile tipico del grande
compositore di "West Side Story". Un lavoro
giovanile, ma già molto indicativo della sua
genialità. Successo straordinario con fragorosi
applausi dal numeroso pubblico intervenuto.
Questa sera alle 20.00 il concerto ufficiale. Da
non perdere!
9 novembre 2024. Cesare
Guzzardella
Deciso successo per
Das
Rheingold al Teatro alla Scala
La quinta e penultima
rappresentazione di Das Rheingold, il
primo del Ring des Nibelungen per la
regia di David McVicar, ha trovato la direzione
musicale di Alexander Soddy, già presente alla
quarta, in alternanza con Simone Young,
impegnata nelle prime tre
rappresentazioni. Il successo meritato attribuito alla messinscena
vista ieri sera, in un teatro al completo, è da
attribuire all'unità degli interventi che hanno
generato quel complesso artistico tanto
desiderato da Richard Wagner. L'eccellente
direzione di Soddy, l'ottimo cast vocale e la
valida regia di McVicar, autore anche delle
scene insieme ad Hannah Postlethwaite, ci sono
sembrati particolarmente sinergiche per
realizzare una prima parte della tetralogia che
va certamente seguita nella sua interezza. Il
Prologo si svolge per due ore e trenta
minuti senza interruzioni. Il clima
cupo complessivo, con i riusciti costumi di Emma
Kingsbury,
le luci di David Finn, i video e gli
effetti di Katy Tucker, le ottime coreografie di
Gareth Mole e le prestazioni circensi di David
Greeves, ci ha trasportato in un mondo fiabesco
e irreale, dove la vicenda, apparentemente
banale ma molto efficace, è un pretesto per
capire caratteri umani che si ritrovano nel
mondo presente, con tutti i difetti e i pregi
che sono descritti nelle cronache di ogni giorno.
La teatralità di Wagner, sottolineata dalle sue
efficaci musiche, un grande leitmotiv che
si dipana sino all'ultima immagine, ha fatto
certamente presa sugli spettatori, tutti rimasti
in teatro sino all'ultima nota, per un racconto
ben evidenziato dalle originali scene, tra
grandi mani nella prima scena, imponenti
scalinate nella seconda e nella quarta e un
grande teschio dorato nella terza.
Senza entrare
nei dettagli, già raccontati nei giorni scorsi
da numerosi recensori, segnaliamo almeno alcune
delle ottime voci protagoniste in ordine di
preferenza con Ólafur Sigurdarson in Alberich ,
con voce ottimamente delineata, ricca in ogni
registro; Olga Bezsmertna, una splendida
Freia, con acuti perfetti nella chiarezza
espressiva; bravissime Andrea Carroll in
Woglinde, Svetlina Stoyanova in Wellgunde
e Virginie Verrez in Flosshilde; valido
l'esperto Michael Volle, con un Wotan non
sempre costante in voluminosità delle emissioni
timbriche. Bravi tutti gli altri. Ultima
rappresentazione per domenica 10 novembre, alle
ore 14.30. Da non perdere.
(Foto di Brescia e Amisano dall'Archivio del
Teatro alla Scala)
8 novembre 2024 Cesare
Guzzardella
Il violinista Kristóf Baráti
diretto da Felix
Mildenberger per la Societa dei Concerti
Un concerto particolarmente
valido quello escoltato
ieri sera in Sala Verdi per la Società dei
Concerti milanese con l'Orchestra da Camera
di Mantova diretta dal tedesco trentaquattrenne
Felix Mildenberger. In programma due lavori
differenti nello spirito musicale: prima il
virtuosismo paganiniano con il Concerto n.1
in re maggiore op.6 per
violino
e orchestra del compositore-virtuoso
genovese sostenuto dall'eccellente violinista
ungherese Krostóf Baráti; poi la giovanile
Sinfonia n.4 in do minore D 417 "La tragica"
di Franz Schubert, sostenuta ottimamente dalla
compagine orchestrale dove si è evidenziato
l'eccellente gesto del direttore d'orchestra.
Nel brano di Niccolò Paganini, nei classici tre
movimenti, Allegro maestoso, Adagio e
Rondó, il voluminoso violino Stradivari del
1703 utilizzato da Baráti ha dominato il
concerto con raffinatezze virtuosistiche di ogni
genere. L'incisività di tocco del violinista ha
primeggiato sulle timbriche orchestrali che
hanno con maestria messo in rilievo le arditezze
timbriche del virtuoso. Un'ottima
interpretazione quindi, applauditissima dal
numeroso pubblico presente in Conservatorio.
Di
qualità il bis solistico concesso da Baráti con
un Largo di J.S.Bach da una Sonata per
violino solo, reso con intensa espressività.
Dopo il breve intervallo, di qualità
l'interpretazione della Sinfonia n.4 di
un Schubert ancora diciannovenne. Diretta con
sicurezza e in modo dettagliato in tutti i
quattro movimenti, la Sinfonia ha trovato una
costante resa espressiva e una discorsività
evidente come quella dell' Allegro,
quarto e ultimo movimento, particolarmente
pregnante di espressività ritmica ed armonica.
Applausi meriratissimi al direttore e a tutte le
ottime sezioni orchestrali della compagine di
Mantova. Ricordiamo per il 20 novembre il
concerto con Beatrice Rana e per il 27 quello
con Anna Tifu.
7 novembre 2024 Cesare
Guzzardella
Francesco Libetta ha
presentato il nuovo CD su Chopin alla
Steinway & Sons milanese
Ieri pomeriggio nell'elegante
cornice della Steinway & Sons di largo
Donegani,
è stato presentato il nuovo CD per Sony
Classical di Francesco Libetta "Chopin
Selon Chopin". Alessia Capelletti di fronte
al numeroso pubblico intervenuto, ha posto
interessanti domande sia al noto pianista
salentino che
allo
scrittore Stefano Jacini. Punti di vista
musicali sul grande compositore polacco si sono
contrapposti ad altri di contemporanei letterati
in una conversazione ricca di aneddoti. Libetta
ha poi eseguito, nell' eccellente Steinway &
sons da concerto, alcuni brani di Chopin.
Brindisi finale con gli artisti e il pubblico
intervenuto.
7 novembre 2024 C.G.
Silvia Chiesa e
Maurizio Baglini
alle Serate Musicali del Conservatorio
È un duo d'eccellenza quello
formato dalla violoncellista Silvia Chiesa e dal
pianista Maurizio Baglini. Il raro impaginato
ascoltato ieri sera per Serate Musicali,
la storica organizzazione concertistica milanese,
è un esempio di come brani molto validi di
differenti musicisti come Busoni, Liszt, Chopin
e Rachmaninov, possano avere un approccio
intensamente espressivo e di valida resa
interpretativa se ad eseguirli ci sono
strumentisti di consolidata importante carriera
concertistica. L'elemento virtuosistico,
presente in tutti gli autori dello splendido
impaginato,
è stato sostenuto con discorsività dal duo,
a partire dal brano probabilmente di più rara
esecuzione quale "Kultaselle, 10 Variazioni
per violoncello e pianoforte su un canto
popolare finnico" di Ferruccio Busoni
(1866-1924). L'integrazione perfetta dei due
strumentisti ha prodotto un'intesa di alto
valore estetico, tra la melodicità dell'ottimo
violoncello- un Giovanni Grancino del 1697-
della Chiesa e le armonizzazioni
precise di Baglini. Ancor più pregnante il tardo
Franz Liszt (1811-1886) con le sue Due Elegie
per cello e pianoforte, dove il virtuosismo
espressivo della cellista ha trovato agio nella
perfetta sinergia pianistica. Un passo indietro
nel tempo con un lavoro ancora di rara
esecuzione di Fryderyk Chopin (180-1849) con il
suo giovanile Introduzione e Polacca
Brillante in do maggiore op.3. La parte
virtuosistica del brillante pianoforte di
Baglini è qui emersa non solo per sottolineare
l'espressività melodica
della
Chiesa. L'Op.3 è un lavoro dove il linguaggio
tipico del polacco è già particolarmente
individuato. Dopo l'intervallo, la Sonata in
sol minore op.19 di Sergej Rachmaninov
(1873-1943), il brano più corposo, in quattro
movimenti, con almeno l'Allegro scherzando
e l'Andante assai noti, ha ancora
rivelato l'eccellenti qualità della coppia
Chiesa-Baglini. Un' intesa di primo livello per
un gioco perfetto di contrasti dinamici, di
evidenziazioni chiare nei piani sonori e di
bellezza timbrica. Applausi fragorosi dal
pubblico non numeroso presente in Sala Verdi e
due ottimi bis con due trascrizioni: prima, di
Leonard Bernstein (1918-1990) Tonight, da
West Side Story; poi un'italianissima
Tarentella di Alfredo Casella (1883-1947).
Bravissimi! Prossimo appuntamento per l'11
novembre con il grande violoncellista Steven
Isserlis e la pianista Connie Shih per
Beethoven, Martinu e Dvorak. Da non perdere.
5 novembre 2024 Cesare
Guzzardella
OTTOBRE 2024
"Prodigio Alexandra":
Alexandra
Dovgan per la
Società dei Concerti
milanese
È finalmente arrivata a
Milano, alle serate organizzate dalla "Società
dei Concerti" in Conservatorio, la pianista
russa Alexandra Dovgan. Classe 2007, quindi
diciassettenne, Alexandra, nata in un ambiente
musicale, all'età di quattro anni inizia lo
studio del pianoforte distinguendosi non tanto
per la precocità, ma soprattutto per le sue
qualità interpretative,
che
già pochi anni dopo suscitavano grande
ammirazione. I primi importanti concorsi
internazionali vengono vinti all'età di undici
anni. La sua fama si diffonde anche grazie alla
rete, dove si possono trovare molti brani
eseguiti in giovanissima età. Ieri ha presentato
un impaginato vario, con brani di Beethoven,
Schumann, Rachmaninov e Scrjabin: molto
contrastanti per stile ma tutti di rilevante
cifra virtuosistica. Partendo dalla penultima
Sonata di Beethoven, la N.31 in La
bemolle maggiore op. 110, la Dovgan ha fatto
una scelta particolarmente coraggiosa per un
lavoro che in genere solo pianisti in età matura
decidono di affrontare. È riuscita a restituirci
un'interpretazione di alto livello, rivelando
un' espressività giocata su un equilibrio
complessivo impeccabile e una chiarezza di
dettaglio in tutti i quattro movimenti che
compongono il celebre brano. Particolarmente
riflessivo l'Adagio ma non troppo ed
equilibrata la Fuga del Finale, con le
parti ben rilevate nei piani sonori. Ottimo
l'approccio al suo Schumann, con la Sonata n.
2 in sol minore op. 22 di impressionante
discorsività, sia nel più complesso primo
movimento che negli altri come l'ottimo
Scherzo e il Rondò finale.
Un'esecuzione
molto contrastante con la classicità del
Beethoven iniziale. Di elevato spessore il
Rachmaninov successivo, partendo da Bach per il
primo brano e da Corelli per il secondo. Dalla
Partita n.3 in mi magg. di Bach, il
Preludio, la Gavotta e la Giga,
nella splendida rivisitazione del grande
musicista russo, e le successive 20
Variazioni su un tema di Corelli op. 42, ci
hanno mostrato il virtuosismo trascendentale
dell'autore nella restituzione accurata della
giovane Dovgan, che ha evidenziato una sicurezza
espositiva sorprendente. Il brano finale del
programma - la Sonata n. 2 in sol diesis
minore di Scrjabin, ha ancora mostrato,
attraverso un'esecuzione ricca di sintesi, i
potenziali di una pianista che, già di alto
livello, deve trovare un'individualità
stilistica che la renda unica. Due i bellissimi
bis concessi, con Études-Tableaux op.33 n.4
di Rachmaninov e un delicato Improvviso
op.90 n.3 di Schubert. Applausi
calorosissimi accompagnati da omaggi floreali.
Da ricordare.
31 ottobre 2024 Cesare
Guzzardella
Musica operistica di
Vivaldi per l' Orchestra
UniMi all'Università
Statale milanese
Una serata perfettamente
riuscita quella di ieri sera con l'Orchestra
UniMi all'Università Statale milanese. Il
concerto, anticipato da una
conversazione
tra Susanna Franchi e i protagonisti della
serata, prevedeva musiche interamente di Antonio
Vivaldi tratte dalle sue opere più famose
raccontate- nei testi di Myriam Zerbi- da
Benedetta Borciani. La storia del Prete rosso è
stata letta con professionalità dall'attrice. Il
direttore Francesco Fanna, dirigendo molto bene
i giovani orchestrali dell'Università, ha
proposto brani tratti La Griselda, Arsilda
regina di Ponto, Orlando finto pazzo, Argippo
e da alcuni Salmi e Mottetti.
Le voci protagoniste di Albertina Del Bo,
soprano,
Ewa
Gubanska, mezzosoprano e Sofia Yuneeva,
mezzosoprano, si sono alternate rivelando
qualità coloristiche decisamente alte con
complete immedesimazioni nelle parti. Alcuni
brani strumentali, come la Sinfonia da
La Griselsa iniziale, eseguita ad
introduzione, hanno rivelato subito l'ottima
qualità della compagine strumentale. Applausi
calorosi dal pubblico che riempiva la capiente
Aula Magna dell'Università Statale.
30 ottobre 2024 Cesare
Guzzardella
Ellinor D'Melon e
Andrea Carcano alle
Serate Musicali
Un impaginato molto
interessante quello proposto nel concerto
organizzato da Serate Musicali. La
violinista 22enne giamaicana Ellinor D'Melon,
vincitrice di importanti concorsi internazionali,
e il pianista Andrea Carcano, -un duo di
recentissima formazione- hanno proposto brani di
Mozart, Brahms, Beach e De Sarate. Il
classicismo della prima parte della serata con
la deliziosa Sonata in sol maggiore per
violino e pianoforte K 379 di Mozart e il
romantico Brahms della Sonata n.2 in la
maggiore op.100, sono stati affrontati bene
dal duo. La parte pianistica, piuttosto
rilevante in entrambi i lavori, ha trovato
un'evidente
chiarezza
espositiva, precisa e ben delineata dall'ottimo
Carcano. Il violino della D'Melon con valida
timbrica ed intonazione, era forse un po'
nascosto nell'equilibrio delle parti. Una
maggiore imposizione volumetrica del dolcissimo
strumento ad arco, un Giovanni Battista
Guadagnini del 1743, l'abbiamo rilevata nella
seconda parte della serata, prima con la rara ma
efficace Romanza in la maggiore della
compositrice americana Amy Beach (1867-1944), un
brano di ottima fattura, debitore del
romanticismo europeo, ben
delineato nelle sinergie del duo. In crescendo
l'ottima prestazione complessiva della giovane
violinista nei lavori di Pablo De Sarasate
(1844-1908), il celebre virtuoso del violino e
compositore spagnolo.
Prima
la Zingaresca op.20, poi la celeberrima
Fantasia da concerto sulla Carmen op.25
di Bizet, hanno esaltato la sicurezza espressiva
della D'Melon, che con pizzicati robusti,
sopracuti intonatissimi e ottima scorrevolezza
nel fraseggio di efficace resa, ha ben
interpretato i virtuosistici lavori. Ottima la
componente pianistica, ben allineata nelle sue
armonie con la più estroversa componente
melodica del violino. Applausi calorosi dal
pubblico presente in Sala Verdi. Lunedì, 4
novembre il violoncello di Silvia Chiesa e il
pianoforte di Maurizio Baglini eseguiranno
Busoni, Liszt, Chopin e Rachmaninov. Da non
perdere.
29 ottobre 2024 Cesare
Guzzardella
Arie celebri di
Puccini con Sandra
Buongrazio per Musica
Maestri! in Conservatorio
Un piacevole tardo pomeriggio
quello organizzato ieri in Sala Puccini nel
Conservatorio milanese, dove per la rassegna
Musica Maestri! abbiamo ascoltato brani di
Puccini interpretati dal soprano Sandra
Buongrazio,
accompagnata al pianoforte da Michele D'Elia. Ma
a rendere ancor più valido l'incontro musicale
c'era la voce recitante di Fabio Sartorelli nel
racconto, anche molto ricco di aneddoti
divertenti, sulla vita di Puccini. Il periodo
degli studi, le prime opere, la fama del
compositore toscano, sono stati presentati in un
modo molto piacevole in alternanza alle valide
interpretazioni della Buongrazio e di D'Elia .
Da Le Villi: «Se come voi piccina», da Manon
Lescaut: «In quelle trine morbide» e poi
l'Intermezzo pianistico sempre di Manon; quindi
da La bohème: «Sì, mi chiamano Mimì»,
da
Tosca: «Vissi d’arte», da Madama Butterfly: «Un
bel dì vedremo», da Suor Angelica: «Senza
mamma»e da Turandot: «In questa reggia». Queste
le celebri arie del grande Puccini cantate con
passione e ottima intonazione dalla Buongrazio.
Il pubblico che gremiva Sala Puccini ha molto
apprezzato il pomeriggio musicale elargendo
applausi fragorosi. Due i brevi ed intensi bis,
ancora pucciniani.
28 ottobre 2024 Cesare
Guzzardella
Don Carlo José Seno
ai
Raggi Musicali del
Teatro Parenti
Per la
rassegna "Raggi musicali” si è tenuto un
concerto pianistico al Teatro Parenti del
sacerdote-concertista don Carlo José Seno.
L'incontro, introdotto da Andrée Ruth Shammah, "padrona
di casa" del Parenti e dal prof. Alberto
Boccotti, presidente del Centro Culturale
Antonianum, era incentrato sul
compositore
Sergej Rachmaninov (1873-1943). Alberto Boccotti,
prima del concerto, a nome del CCA, ha
consegnato una targa alla Shammah per le
attività prestigiose sue e dei collaboratori del
Teatro Parenti. Quindi Carlo José Seno durante
l'esecuzione di nove lavori pianistici del
grande virtuoso-compositore russo -
naturalizzato statunitense-, ha presentato di
volta in volta ogni brano , realizzando una
sorta di lezione-concerto di sicuro valore
culturale. Don Carlo, classe 1958, diplomato al
Conservatorio
milanese, con perfezionamenti di studi musicali
parigini, ha rivelato qualità interpretative di
alto livello eseguendo brani celebri tratti dai
Preludi, dagli Etudes-Tableaux e
dai Momenti Musicali. Gli arcinoti
Preludio in do diesis minore op.3 n. 2,
eseguito ad introduzione, e il Preludio in
sol minore op. 23 n. 5, interpretato a
conclusione dell'impaginato, sono solo un
esempio di come il sacerdote-pianista, da molti
anni organizzatore della rassegna "Raggi
musicali", esprima con
passione ,
con le sue
ottime restituzioni melodiche e virtuosistiche,
la musica di Rachmaninov. L'equilibrio delle
voci nei differenti piani sonori, la qualità
coloristica delineata nella facile discorsività
delle enunciazioni sonore, l'agogica e le
dinamiche ben differenziate, rivelano l'ottimo
livello dell'interprete. Ricordiamo tra gli
altri brani, tutti rilevanti, almeno l'
Etude-tableau in mi bemolle minore op. 39 n. 5
e il Momento musicale in mi bemolle minore
op. 16 n. 2. (gli altri lavori erano le
Opere 23 n.2, 23 n.4, 39 n.3, 32 n.12 e
32 n.5). Splendido il bis concesso con la
nota Ave Maria di Charles Gounod nella
delicata ed espressiva resa melodica. Applausi
calorosissimi dal numeroso pubblico intervenuto.
27 ottobre 2024 Cesare
Guzzardella
La violista Maria
Ronchini e
la pianista Monica Cattarossi all'Auditorium Di
Vittorio
All'Auditorium Di Vittorio di Porta Vittoria,
per la stagione di “Atelier Musicale“,
la violista Maria Ronchini e la pianista
Monica Cattarossi hanno tenuto un interessante
concerto di musica del Novecento impaginando un
programma variegato, con brani di compositori
ungheresi ed inglesi
presentati ad introduzione
da Maurizio Franco. “Sguardi indipendenti a
confronto“, il nome dato al programma,
prevedeva, brani di musicisti magiari
dell'est-Europa come George Enescu, Gyorgy Ligeti, Zoltan Kodaly,Gyorgy
Kurtag - con Belà Bartòk nei bis- e brani dei
britannici Rebecca Clark, Frank Bridge e
Benjamin Britten. Il bellissimo concerto è
iniziato con un eccellente e raro
Konzertstück per viola e pianoforte di
Enescu, quindi due brani per solo viola di
Ligeti, denominati Facsar e Loop ;
per solo pianoforte di Kodaly le Children
Dances nn. 6, 7, 8 e da Játécok, di
Kurtag, "Harmonika
–
Hommage à Borsody László"
e "Aus der Ferne". Le esecuzioni di alto
livello
interpretativo hanno visto un equilibrio
preciso e luminoso dei brani in duo, tra questi
anche quello splendido e rarissimo della
compositrice Rebecca Clarke, Morpheus,
eseguito senza soluzione di continuità con l'Allegro
appassionato di Franck Bridge. Molto belli
tutti i brani solistici
con i colori intensi della viola della Ronchini,
uno strumento ad arco di recente produzione
dalle profonde timbriche antiche. Valida l'idea
della Cattarossi di alternare i brani solistici
al pianoforte di Kodaly, più melodici
e di
immediata comprensione , con quelli di Kurtag,
più astratti ma di efficace resa espressiva.
Tutti questi brevi brani destinati ai
giovanissimi, con linguaggi differenti ma,
nell'alternanza, con contrasti stilistici
decisamente riusciti, hanno trovato
un'espressiva interpretazione. Ottimo poi il
Britten finale di Lachrymae nel
riferimento melodico di grande pregnanza
espressiva ad un brano dell'inglese John Dowland.
Splendide interpreti, applauditussime dal
pubblico intervenuto. Di qualità i bis concessi
di Belà Bartók. Da ricordare.
27 ottobre 2024 Cesare
Guzzardella
Al Teatro alla Scala
le ultime
repliche di Der Rosenkavalier diretto da Kirill
Petrenko
Un successo
ancora meritatissimo alla quinta
rappresentazione di Der Rosenkavalier,
una messinscena già allestita nel 2016 e ora
nobilitata da una direzione ineguagliabile di
Kirill Petrenko. Il vero trionfatore della
serata scaligera è riuscito, con una direzione
esemplare, a mettere in risalto la splendida,
complessa e variegata musica di Richard Strauss,
espressa da un'eccellente Orchestra del Teatro
alla Scala, con l'altrettanto valida
componente vocale,
creando un equilibrio complessivo perfetto. La
messinscena di Harry Kupfer, con le scene di
Hans Schavernoch, i costumi di Yan Tax, le luci
di Juergen Hofmann e i video di Thomas Reimer,
erano quelle della scorsa edizione. Una
realizzazione più che valida, e sufficiente per
contenere la meraviglia musicale di Strauss
nella proporzionata realizzazione di Petrenko,
una direzione giocata su una leggerezza e
scorrevolezza delle timbriche esemplari,
evidenziate con chiarezza negli infiniti
rapporti dinamici. Il gesto di Petrenko, sempre
tra il serio e il divertito, rivela un controllo
totale di quello che accade nella buca e sul
palcoscenico. L'ottima componente attoriale di
un
lavoro molto teatrale - una commedia in tre
atti su libretto di Hugo von Hofmannsthal- con
frangenti di godibile divertimento, ha visto
voci importanti di primo livello nei nomi di
Krassimira Stoyanova, la Marescialla,
Günther Groissböck, il Barone Ochs, Kate
Lindsey, Octavian, Sabine Devieilhe,
Sophie, Michael Kraus, Faninal,
Carolina Wenborne, Duenna, Gerardo
Siegel, Valzacchi, Tanja Ariane
Baumgartner, Annina, Piero Pretti,
Einaudi Sanger, e le altre ottime voci. Non
dimentichiamo il Coro esemplare preparato e
diretto da Alberto Malazzi e quello delle Voci
bianche dell'Accademia del Teatro alla Scala
dirette da Marco De Gaspari. L'ltima replica è
per il 29 ottobre, sempre alle ore 19.00. (Foto
in alto di Brescia & Amisano dall'archivio del
Teatro alla Scala)
26 ottobre 2024 Cesare
Guzzardella
DUE
OPERE PER IL NUOVO OMAGGIO DI NOVARA A PUCCINI:
LA BENEDIZIONE DI CRISTIAN CARRARA INTRODUCE IL
GIANNI SCHICCHI
Ieri sera, 25
ottobre, sul palcoscenico del Teatro Coccia di
Novara è stata rappresentato, per l’anno
pucciniano, Gianni Schicchi, preceduto e
introdotto dalla prima assoluta mondiale di un
atto unico del compositore Cristian Carrara
(n.1977) su libretto dello scrittore Marco
Malvaldi: “La Benedizione”, scritto su
commissione del Teatro Coccia, per uno
spettacolo coprodotto dal Coccia e dalla Società
Lirica Tamagno. “La Benedizione” si propone come
narrazione degli antefatti del pucciniano Gianni
Schicchi: se quest’ultimo ha inizio quando Buoso
Donati è appena morto, “La Benedizione” ci
racconta come Buoso Donati muore, fra i più
cinici e sordidi intrighi dei famigliari,
bramosi di impossessarsi delle sue ricchezze e
decisi ad accelerarne la morte, esasperati da
un’agonia che sembra non voler finire mai: il
problema è come raggiungere questo obiettivo,
con il veleno o con una bella coltellata ad
opera di un sicario, ma l’impresa è resa
comunque difficile dalla diffidenza di Buoso.
Alla fine Buoso muore dopo aver dettato il
testamento ad un frate confessore del monastero
fiorentino di s. Reparata, cui il Donati lascia
tutti i propri beni Più che un’Opera, questo
atto unico di Carrara richiama alla mente le
Farse o gli Intermezzi del teatro musicale
del’700 napoletano, sia per l’argomento, sia per
la brevità (dura poco più di mezz’ora). Anche la
presenza di brani parlati conferma il legame con
questi generi antichi e, al tempo stesso,
avvicina “La Benedizione” all’operetta. Si
tratta in ogni caso di un’opera gradevole, sia
per il libretto, vivace e ben impostato nei suoi
meccanismi narrativi, sia per la musica, dalla
scrittura saldamente ancorata ad un linguaggio
tonale, dal tessuto armonico
equilibrato e di
leggera trasparenza, con ritmi, agogiche e
valori timbrici ben aderenti alle varie
situazioni. La regia, affidata a Teresa Gargano,
ambienta la vicenda di entrambe le opere in una
Firenze di fine ‘900. Questa attualizzazione
dell’opera, che è ormai divenuta una moda,
talora irritante, in questo caso appare
pienamente accettabile, perché questa borghesia
cinica, bramosa di denaro, pronta a calpestare
ogni valore morale pur di appagare la sua
sfrenata cupidigia proprietaria, non era certo
presente solo all’epoca di Dante, ma, ahimè,
sembra celebrare il suo trionfo nel mondo di
oggi, nel quale gli intrallazzatori alla Gianni
Schicchi sono l’emblema di un’ intera società.
Le scene delle due opere, curate da Lorenzo
Mazzoletti sono tra loro collegate. Ne “La
Benedizione” ci sono due ambienti separati,
illuminati dai sempre efficaci giochi di luce di
Ivan Pastrovicchio: un salotto, sfondo al
torbido chiacchiericcio del parentado di Buoso,
che trama per la sua morte e , appunto, la sua
camera da letto ; in “Gianni Schicchi” resta
invece una grande camera da letto, ove il
contrasto fra l’oscurità che avvolge la scena e
i costumi dei cantanti dai colori vivaci, curati
da Silvia Lumes, e la presenza di un ricco
buffet nello stesso spazio del letto funebre,
simboleggiano la cinica e volgare dissacrazione
della morte, che diventa un’allegra festa per i
presunti eredi. In entrambe le scene campeggia
la proiezione di una Firenze medievale, cui si
sovrappongono immagini di una città moderna, su
cui incombe (ne La Benedizione) un’immagine
gotica di Adamo ed Eva: insomma, medioevo o fine
XX secolo, l’umanità è peccatrice
senza rimedio.
Tanto vale allora scherzarci un po’ sopra. Il
movimento scenico dei cantanti attori,
ottimamente diretto, è in perfetta coerenza con
questa linea registica, molto attenta anche a
costruire, con notevole sensibilità musicale,
uno stretto rapporto tra la musica e la
gestualità dei cantanti. In buca una novità
rispetto all’ormai, al Coccia, consueta e
collaudatissima Orchestra Filarmonica Italiana:
esordiva infatti a Novara la compagine bresciana
Bazzini Consort, giovane sia per la data di
fondazione, il 2017, sia per l’età media dei
suoi membri: compagine di buon valore, solida
per affiatamento e compattezza e per un suono
preciso e sicuro in tutti i reparti strumentali.
A dirigere la Bazzini Consort era l’ottimo ed
esperto Vittorio Parisi: una direzione, la sua,
decisamente valida nell’interpretazione delle
due opere. Con il suo gesto preciso ed
essenziale, il Maestro milanese dà il dovuto
risalto alla trasparenza e leggerezza della
scrittura armonica di Carrara, curandone con
attenzione i dettagli timbrici e dinamici, quasi
assaporandoli nella loro vena comica e grottesca.
Altrettanto efficace è
la resa della tagliente
costruzione ritmica del tessuto musicale del
Gianni Schicchi, con i suoi incisivi ‘ostinato’
e movenze da fox trot, dando un ruolo timbrico
quasi protagonistico al tetro e insistito uso
delle percussioni. Insomma la direzione di
Parisi ha saputo integrare bene il piano
musicale con quello della comicità delle
situazioni e degli eventi sul palcoscenico,
accompagnando con puntualità i cantanti. Tra
questi, fra le parti principali, ritroviamo
volentieri il baritono Marcello Rosiello, che
avevamo già avuto modo di apprezzare lo scorso
mese nella Rondine pucciniana, nel ruolo
secondario di Rambaldo. Ieri era Buoso Donati ne
“La Benedizione” e Gianni Schicchi nell’omonima
opera di Puccini; insomma, il protagonista della
serata Ha potuto fare pienamente sfoggio delle
ottime qualità della sua voce, un baritono di
ottima pasta timbrica, densa e nitida, di ampia
proiezione e un efficace fraseggio e legato. Il
tutto al servizio di una energia comica davvero
di gran classe. In due opere corali come queste,
a parte l’indiscusso protagonista, è difficile
distinguere nettamente tra ruoli di primo piano
e parti di fianco. Tra i ruoli maschili di una
certa importanza segnaliamo il Rinuccio del
tenore Nicola Di Filippo dalla voce di ridotta
proiezione e un po’ carente nei registri
medio-alti, tanto che talora il suo canto
risultava coperto dall’orchestra. Senza infamia
e senza lode il Gherardo del tenore Xiao Sen Su,
mentre ha interpretato bene la sua parte
(Simone) il basso Stefano Paradiso, voce ben
timbrata di valida proiezione. Tra i ruoli
femminili la Zita del contralto Francesca
Mercuriali, ci ha dato l’impressione di scarsa
scioltezza nel fraseggio e di una certa
impettita rigidità nella recitazione, mentre il
soprano Beatrice Caterino si è meritata, con la
sua voce morbida e calda, benché un po’ spenta
sugli acuti, la sua brava dose di applausi con
la più famosa aria dello Schicchi. ‘O mio
babbino caro’. Delle restanti numerose parti
secondarie diciamo che hanno sbrigato il loro
dovere con adeguato mestiere. Segnaliamo che
alcune di queste voci, Xiao Sen Su, Mercuriali,
Caterino, oltre ad altre non menzionate escono
dall’Accademia Amo-Accademia dei Mestieri
dell’Opera, una realtà in decisa crescita,
creata dal Teatro Coccia, da cui sta uscendo una
nuova leva di cantanti e altre figure legate
all’opera musicale, che deve ancora maturare, ma
promette bene. Buon successo di pubblico e
meritati applausi per uno spettacolo gradevole,
divertente, preparato con la consueta passione
dal Teatro novarese. Si replica domani, domenica
27, stesso cast.(Foto dall'Ufficio Stampa del Teatro Coccia)
26 ottobre 2024 Bruno Busca
Due concerti:
Simon Zhu,
Premio Paganini
2023, e Francesco Libetta per "Lighting Bosso"
Un'intera giornata
musicale quella proposta nella Sala Verdi del
Conservatorio milanese dalla
Fondazione La Società dei
Concerti, con la
medesima eccellente organizzazione - quella che
fa capo all'instancabile Enrica Ciccarelli
Mormone. Ieri, nel pomeriggio, si è esibito il
vincitore dell'ultimo "Premio Paganini", il
violinista tedesco Simon Zhu,
accompagnato
dall'ottimo pianista russo Vsevolod Dvorkin;
poi, alla sera, abbiamo ascoltato il noto
virtuoso del pianoforte Francesco Libetta. Due
performance successive, dunque, di alto livello,
con una quantità complessiva di brani che
raramente capita di ascoltare. Il 23enne Zhu ha
impaginato un programma dove la componente
violinistica aveva il sopravvento, con un "a
solo" bachiano che ha introdotto il concerto,
due movimenti, il
Grave e la
Fuga,
dalla Sonata n.2
in la minore BWV 1003.
È emerso subito l'alto spessore interpretativo
di Zhu giocato su una sicurezza estrema nel
rendere il fraseggio chiaro e preciso. Con
alcuni Capricci
di Paganini, i numeri
5, 7
e
20,
nella
trascrizione con accompagnamento pianistico di
Robert Schumann, è emersa la sua più alta
qualità virtuosistica, in perfetta sintonia con
le precise armonizzazioni pianistiche di Dvorkin,
espresse ottimamente nel rispetto assoluto della
componente violinistica. Un tale, prezioso
equilibrio tra i due strumenti è davvero raro.
Il brano conclusivo dell'impaginato ufficiale,
la Sonata n.2 in
re minore op. 121 per violino e pianoforte
di Schumann, ha
rivelato le grandi qualità di entrambi i
musicisti, avendo, nella splendida Sonata, la
componente pianistica un ruolo essenziale.
Eccellente il bis con il Capriccio più corposo
paganiniano, il
n.24, quello con
la serie di
Variazioni, sempre
nella trascrizione di Schumann. Un'
interpretazione che ha meritato i fragorosi
applausi tributati dal pubblico.
Sensazioni completamente
differenti alla sera, per il recital del
virtuoso salentino Francesco Libetta, un
pianista affermato internazionalmente che
fortunatamente viene spesso nelle sale da
concerto milanesi. Il titolo del concerto, "Lighting
Bosso", è stato
scelto per dedicare la serata al grande
musicista e compositore torinese Ezio Bosso
(1971-2020), deceduto prematuramente. Libetta,
che recentemente ha inciso un CD con le musiche
di
Bosso, ha voluto realizzare un'impaginazione di
brani classici studiata attorno ai suoi lavori.
Eseguiti senza soluzione di continuità in due
fasi, - separate dall'intervallo - i brani erano
quasi sempre legati tra loro con libere note o
brevi armonie improvvisate da Libetta, in modo
da far sembrare l'evento una sorta di grande,
unica suite. Brani di Bach, Chopin, Glass,
Schumann, Scarlatti, Ravel, Gluck, inframmezzati
da quelli di Bosso, hanno rivelato le
sorprendenti doti di Libetta nel ricercare una
chiarezza espressiva dove la trasparenza delle
sonorità, il limpido contrasto tra i piani
sonori, le volumetrie ricche di minimi
cambiamenti dinamici e la fantasia nel
personalizzare i diversi momenti musicali, hanno
dato corpo ad una serata memorabile. A parte
l'ottimo Bach, con un
Preludio e Fuga in mi
minore BWV 855 dal
Clavicembalo ben temperato e le due
Sinfonie n.7 BWV 793
e n.8 BWV 797,
eseguite nella seconda parte della serata, ed
anche l'eccellente Scarlatti con le
Sonate K 248, K 208
e
K 141 -quest'ultima
di una straordinaria bellezza per chiarezza
delle timbriche con precise note ribattute- nei
brani di Chopin -
Studi op.25 n.5, e
op.10 n.12
e
Notturno op.9 n.2-
e di Schumann - dagli
Studi sinfonici
le
variazioni postume 3-4
e
5-
abbiamo trovato particolari stravolgimenti
rispetto le interpretazioni storicizzate, ma con
un'esecuzione personale di splendida rilevanza
estetica. Le andature spesso molto meditate di
Chopin e di Schumann hanno esaltato la
componente melodica dei lavori nei relativi
incastri armonici. Magnifici poi,
per
nitidezza coloristica, il Ravel di
Oiseaux tristes
da
Miroirs
e la celebre
Melodia da
Orfeo e Euridice
di Gluck. Rilevante l'Étude
n.9 di Philip
Glass, un musicista che certamente influenzerà
molto Ezio Bosso nelle sue modalità compositive.
I lavori di Bosso, compreso il primo bis
concesso, ossia
Emily's Room (il
secondo bis è stato il bel
Valzer in La minore
di Chopin, "alla
Libetta") sono stati interpretati con profonda
espressività. Libetta ha voluto penetrare
nell'anima musicale del musicista torinese
eseguendo i brevi
Before Six e
Following a bird
e due sue ampie
trascrizioni tratte dalla
Sinfonia Ocean,
il quarto movimento
Antartic
e il Finale
"Landfall We unfold".
Momenti di semplicità di
scrittura riempiti di profonda espressione nella
lettura, si sono alternati ad altri di
virtuosismo ritmico reso con sapiente abilità
dall'eccellente interprete. Applausi
calorosissimi dal numeroso pubblico intervenuto
in Sala Verdi. Un concerto da non dimenticare.
24 ottobre
2024 Cesare Guzzardella
Il pianista Freddy
Kempf alle Serate
Musicali milanesi
Dal
1998 il pianista londinese Freddy Kempf è ospite
di Serate Musicali in Conservatorio. È un
pianismo il suo, dove l'elemento virtuosistico
risulta in funzione di una libera visione
musicale che spesso esce dagli schemi
consolidati dalla storia dell'interpretazione
per una ricerca creativa personale. Anche nel
bellissimo impaginato di ieri sera, che
prevedeva
musiche
di Schubert, Chopin e Rachmaninov, Kempf ha
trovato modalità interpretative molto diverse ed
adattate in modo coerente ad ogni composizione.
A partite dai Sei Momenti Musicali op.94 D780
del viennese, eseguiti con grande
riflessione, con una chiarezza dei colori e con
sottili contrasti volumetrici, senza mai
eccedere nelle sonorità, si è passati all'esatto
contrario, con uno Chopin delle Polacche
op.40 n.1 e 2 e della la Polacca
op.53 "Eroica", di grande impatto
volumetrico, di grande rapidità esecutiva, ma
estremamente coerenti nell'equilibrio
complessivo. Specie nei momenti più eroici della
prime e della terza Polacca, Kempf attraverso un
virtuosismo esasperato ha ben evidenziato la
straordinaria forza di queste
composizioni
entrate nella storia della cultura polacca e
mondiale. Ottimo anche il suo Rachmaninov,
quello dei Sei Momenti Musicali op.16
eseguiti con virtuosismo ma anche con frangenti
di luminosa chiarezza, come nel n.4 Andante
cantabile o nel n.5 Adagio sostenuto
dove venivano evidenziati molto bene i piani
sonori con contrasti volumetrici precisi molto
espressivi. Un Rachmaninov intenso e ricco di
colori. Applausi meriratissimi del pubblico di
Sala Verdi con una presenza più numerosa del
solito di appassionati. Bellissimo il bis
concesso con un Preludio
dell'ucraino-russo Nikolaj Girševič
Kapustin (1937-2020)
dal sapore jazzistico di
grande eleganza. Lunedì
prossimo, 28
ottobre, il violino di Ellinor D'Melon e il
pianoforte di Andrea Carcano eseguiranno brani
di Mozart, Brahms, Beach e Sarasate. Da non
perdere.
22 ottobre 2024 Cesare
Guzzardella
Il pianista Rafal
Blechacz in ricordo
di Pollini alla Scala
Un
Teatro alla Scala colmo di appassionati del
pianoforte ha accolto il recital del
pianista polacco Rafal Blechacz in ricordo del
grande Maurizio Pollini. Il 39enne virtuoso ha
iniziato la sua carriera di successo con la
vittoria nel 2005 del prestigioso Concorso
Chopin di Varsavia. Da allora ha portato
soprattutto la musica del grande polacco in giro
per il mondo, venendo anche più volte a Milano
per eccellenti concerti. Ieri sera la musica del
genio polacco era presente nella seconda parte
del recital. Nella prima, due brani
classici tra i più celebri di Mozart e
di Beethoven
hanno introdotto la
serata. La Sonata n.11 in
la maggiore K.331, del salisburghese, quella
del celebre "Alla turca" posto a
conclusione, ha rivelato la chiara discorsività
dell'interprete nell'ottima esecuzione ricca di
contrasti dinamici. La successiva Sonata n.14
in do diesis minore op.27 n.2 nota come "Al
chiaro di luna" per il celebre Adagio
sostenuto iniziale, ha ancora mostrato la
valida formazione classica di Blechacz
nell'interpretazione di ottimo livello. Il
cambio di registro musicale, con le personali
timbriche chopiniane, è iniziato con le Tre
Mazurche op.50. Tre brevi lavori
appartenenti all'ampia serie di brani del genere
composti dal polacco, che nelle mani di Blechacz
hanno
trovato un riferimento di alto livello
nelle modalità esecutive tipiche della scuola
polacca. Una sintesi discorsiva particolarmente
accentuata si è rivelata quella del brano tra i
più caratterizzanti il mondo di Chopin, la
Sonata n.3 in Si minore op.58. Valida la
resa complessiva di Blechacz con contrasti
accentuati tra il dilatato Largo, terzo
movimento dell'ampia sonata, e la sintesi
estrema del Finale, Presto non tanto.
Applausi sostenuti dal pubblico. Tre i bis
concessi con lo Scherzo della
Sonata op.2 n.2 di Beethoven e due celebri
brani di Chopin con il Valzer n.7 in do
diesis op.64 n.2 e il Preludio n.7 in La
maggiore op.28.
21 ottobre 2024 Cesare
Guzzardella
Francesca Bonaita e
Alessandro Commellato allo Spazio Teatro 89
milanese "fra antico e moderno"
"Fra antico e moderno" era il
nome concordato da Luca Schieppati, pianista e
organizzatore musicale, con i due validi
interpreti ascoltati allo Spazio Teatro 89 di
Milano: la violinista Francesca Bonaita e il
pianista Alessandro Commellato. È un duo
particolarmente rodato che esprime un ottimo equilibrio d'insieme. I due compositori in programma,
l'italiano Ottorino Respighi, maggiormente
legato all'antico e il russo Sergej Prokofiev,
maggiormente incline al moderno, hanno composto
due sonate per violino e pianoforte
apparentemente distanti ma, come ben spiegato da
Schieppati ad
introduzione del pomeriggio
musicale, molto vicini negli intenti musicali e
a mio avviso anche nell'evoluzione proiettata al
futuro del loro linguaggio fortemente espressivo.
La Sonata in si minore di Respighi è del
1917, in piena prima guerra mondiale; la N.1
in fa minore op.80 di Prokofiev è stata
composta tra il 1938 e il 1946, ha attraversato
quindi la seconda guerra. I caratteri "forti"
dovuti al periodo storico di riferimento sono
presenti in entrambi i validissimi lavori. I tre
movimenti del brano dell'italiano terminano con
una Passacaglia che è un riferimento al
mondo antico; quella di Prokofiev è in quattro
movimenti e presenta timbriche aspre, taglienti
che rivelano atmosfere combattenti. Il duo, con
la giovane Bonaita e il più maturo Commellato,
ha rivelato un'intesa sorprendente in entrambi i
lavori. La parte pianistica delle due sonate è
particolarmente sviluppata nelle non facili
armonie delle due composizioni, e la componente
melodica del violino, particolarmente legata al
tardo romanticismo in Respighi, presenta
situazioni altamente virtuosistiche in entrambe
le due sonate. La Bonaita, potenziata dalle
timbriche nette, precise e ricche di dettaglio
di Commellato, ha mostrato modalità
interpretative di primo livello, con una
perfetta intonazione e una discorsività ricca di
dettagli. Di qualità quindi le interpretazioni .
Di rilievo il notevole bis concesso con una
trascrizione per violino e pianoforte del
polacco Karol Szymanowski(1882-1937) del
Capriccio n.24 di Paganini che attualizza al
'900 l'ultimo della serie di studi virtuosistici
del grande compositore genovese. Applausi
fragorosi dal pubblico presente. Da non perdere
il prossimo concerto del 17 novembre con
Piercarlo Sacco al violino e Andrea Dieci alla
chitarra.
21 ottobre 2024 Cesare
Guzzardella
Orazio Sciortino alla
"Primavera di Baggio"
L'ultimo concerto stagionale della rassegna
musicale "Primavera di Baggio" ha visto nella
Chiesa Vecchia del vecchio quartiere di Baggio
il pianista e compositore Orazio Sciortino. Il
noto musicista siracusano, ha voluto impaginare
un ottimo programma tra il melodico e il
virtuosistico interpretando tre celebri
compositori-pianisti quali Edward Grieg, Béla
Bartók
e Franz Liszt, ed inserendo all'interno del
programma un suo breve ed interssante lavoro
pianistico denominato Bagg', dedicato
naturalmente a Baggio e all'importante rassegna
musicale che da molti anni viene con passione
organizzata da Davide Cabassi
e Tatiana Larionova. Sciortino nel discorso
introduttivo, ha voluto evidenziare l'influsso
del canto popolare nel mondo compositivo dei
musicisti scelti eseguendo Stati d'animo
op.73 di Grieg, Sei danze in ritmo
bulgaro di Bartók e le Rapsodie ungheresi
n.13 e n.19 di Liszt. I sette brani
più melodiosi del compositore norvegese, tra cui
l'ultimo Canzone del montanaro, una
meraviglia di rara espressività emotiva,
anticipavano le Sei danze bulgare del
grande ungherese -celebre studioso della musica
popolare-, che hanno nel rapido ritmo
vivacissimo, ricco di tempi irregolari,
l'elemento più
appariscente.
Il virtuosismo trascendentale nelle armonie
lisztiane con le due Rapsodie, probabilmente tra
le meno eseguite, rivelavano ancora le qualità
interpretative di Sciortino, pianista di
spessore che con resa analoga, sempre molto
efficace, passava dai frangenti meno complessi
ad altri di incredibile difficoltà tecnica,
sempre con assoluta compostezza, elargendo
profonda espressività in ogni lavoro.
Particolarmente significativo il suo brano
Bagg', costruito su quattro note sempre
presenti e riconoscibili nel non semplice
tessuto armonico-melodico ricco di ricercate
varianti. Un brano quasi enigmatico dalle
timbriche tenui e suggestive. Altrettanto valido
il bis concesso con il luminoso Pezzo lirico
op.43 n.6 "Alla primavera" di Grieg.
Applausi calorosi dal numeroso pubblico
intervenuto al termine del riuscito pomeriggio
musicale.
20 ottobre
2024 Cesare Guzzardella
Davide Cabassi per le tre
ultime sonate
di Beethoven all'Università Cattolica di Milano
Per "Il
Pianoforte in Ateneo" , rassegna pianistica
ideata dal prof. Enrico Reggiani e dal Maestro
Davide Cabassi presso l'Università
Cattolica del Sacro Cuore
di Milano, questa volta abbiamo trovato nella
prestigiosa Aula Magna davanti al pianoforte
Shigeru Kawai -
azienda che sponsorizza la rassegna - insieme ad
un folto pubblico di appassionati, Davide
Cabassi, in
un
impaginato dedicato alle ultime tre sonate di
Beethoven. Il noto pianista milanese ha di
recente realizzato un CD con le opere
109-110-111 del grande tedesco, una
registrazione che sta ottenendo un importante
successo di critica e che certamente consigliamo
a tutti. L'occasione di ascoltare live i
tre ultimi capolavori pianistici di Beethoven
era quindi necessaria. Enrico Reggiani ha come
di consueto introdotto molto bene il concerto,
inquadrando storicamente l'impaginato
beethoveniano. Cabassi ha voluto eseguire i tre
lavori senza soluzione di continuità,
dimostrando di avere una visione unitaria ben
precisa di queste geniali composizioni che
rappresentano un'importante fase conclusiva del
pensiero compositivo del genio tedesco.
L'interprete ha certamente centrato il segno
della qualità, con un' esecuzione
in
crescendo per forza espressiva e certamente
indicativa del mondo complesso e ricco di
contrasti del musicista di Bonn. Il segno deciso
della timbrica di Cabassi, ben delineata dalla
tecnica agguerrita
di chi vuole raggiungere un obiettivo preciso,
ha portato ad una realizzazione musicale dove il
pensiero e l'idea
superano il suono stesso. Un'idea del mondo
molto forte, quella di Beethoven, resa
ottimamente da Cabassi con il suo
timbro robusto, incisivo
e a volte anche luminoso e rarefatto. La
particolare resa sonora, legata anche ad
un'acustica troppo riverberante dell'Aula Magna,
ha comunque creato un'adeguata tensione tra i
piani sonori ben definiti dal pianista con
eleganti e sottili colori nei frangenti più
melodici. Un Beethoven di qualità quello di
Cabassi, che merita di essere ascoltato da tutti
gli amante della musica più profonda. Applausi
fragorosi dal pubblico presente in aula
meritatissimi. Da ricordare.
18 ottobre 2024 Cesare
Guzzardella
Il pianista Arsenii Moon
diretto da Hoffmann al
Dal Verme per l'op.11 di Chopin
Questa sera alle 20.00 -sabato
in replica alle ore 17.00- si terrà un concerto
importante con il vincitore del recente
Concorso
Internazionale
F.Busoni di pianoforte. Il russo Arsenii
Moon, diretto da Niklas Benjamin Hoffmann esegue
il Concerto n.1 in mi minore op.11 di
Fryderyk Chopin. L'Orchestra de I Pomeriggi
dopo l'intervallo eseguirà la Sinfonia
n.3 "Eroica" di L.v. Beethoven. Ho ascoltato
in anteprima, in mattinata, il giovane pianista.
È un virtuoso decisamente valido e personale
nelle timbriche espresse. Il suo Chopin è
delicato, non volumetrico ma ricco di contrasti
nelle sottili dinamiche. Ben coadiuvato
dall'ottima
direzione di Hoffmann, ha trovato con le
sonorità dell'Orchestra de "I Pomeriggi musicali"
il giusto equilibrio per un'interpretazione di
alta qualità. Attendiamo di ascoltare Moon in un
concerto solistico. Ottima poi l'energica
direzione di Hoffmann nella celebre Sinfonia
op.55 "Eroica" beethoveniana, anticipata
anche dall'Ouverture Prometeo, sempre del
genio tedesco. Interpretazioni dettagliate,
sicure, per un direttore che ha una precisa e
completa visione della musica beethoveniana.
Serata o pomeriggio da non perdere. Applausi
calorosi in un Teatro Dal Verme colmo di
pubblico.
17 ottobre 2024 Cesare
Guzzardella
Il
violoncellista Ettore Pagano
diretto da Pier
Carlo Orizio in Conservatorio per la
Società dei Concerti
Una grande compagine
orchestrale quella ascoltata ieri sera in Sala
Verdi nel concerto organizzato dalla Società dei
Concerti. La Stuttgarter Philharmoniker
era diretta da Pier Carlo Orizio per un
impaginato denominato “Mozart Burger” che
prevedeva lateralmente due brani del grande
salisburghese e centralmente un ampio concerto
di Antonin Dovra ķ.
L'Ouverture
K 527 dal Dongiovanni
mozartiano ha introdotto la serata rivelando le
notevoli qualità
dell'orchestra e
del direttore Orizio. Nel secondo brano, del
compositore ceco, al violoncello il ventunenne
Ettore Pagano ha interpretato con sicurezza e
chiarezza espressiva il Concerto n. 2 in si
minore op. 104 per violoncello e orchestra,
brano dove la componente orchestrale ha grande
importanza per la presenza di un' ampia
introduzione particolarmente sinfonica. Ottima
la resa melodica del violoncellista romano,
incisiva e ben inserita nel tessuto orchestrale
spesso definito da un grande impatto volumetrico.
Due i bis solistici concessi da Pagano: prima un
brano folcloristico dal carattere
improvvisatorio su melodie americane eseguite "alla
Sollima", quindi un bellissimo Notturno
per violoncello solo del polacco Krzysztof
Penderecki, lavoro di particolare profondità
espressiva. Applausi calorosi al giovane
virtuoso. Dopo il breve intervallo valida la
celebre Sinfonia n. 40 in sol minore K 550
di Mozart, probabilmente il lavoro sinfonico più
celebre del genio salisburghese per via del
Molto Allegro iniziale. Un regalo
apprezzatissimo il bis poi concesso, con un
capolavoro dello statunitense Samuel Barber: il
suo celebre Adagio per orchestra è stato
splendidamente diretto da Orizio e interpretato
in modo eccellente dalla Stuttgarter
Philharmoniker. Serata ottima e ancora fragorosi
applausi. Segnaliamo per la serie Zaffiro
mercoledì 21 ottobre alle ore 17.00, il concerto
del violinista Simon Zhu -Premio Paganini- e
alle 20.45 per la serie Smeraldo il
grande pianista Francesco Libetta con un omaggio
a E. Bosso . Da non perdere!
17 ottobre 2024 Cesare
Guzzardella
La Musica del
Novecento italiano
di Antonella
Bini e di Gabriele Rota
Un bel
programma sul Novecento italiano quello proposto
ieri dalla flautista Antonella Bini e dal
pianista Gabriele Rota nell’evento organizzato
dall’Associazione NoMus in collaborazione
con la Società del Quartetto di Milano.
Brani di Bettinelli, Chailly, Gentilucci, Testi
e Bussotti si sono
alternati
per rivelare qualità di validi compositori che
meriterebbero una maggiore frequentazione. Il
Museo del Novecento, con la panoramicissima Sala
Fontana, era il luogo preposto dove far risonare
le morbide sonorità della flautista Bini, alle
prese anche con tre brani solistici molto
interessanti quali Oh voce che mi sfuggì
di Luciano Chailly, In acque solitarie di
Armando Gentilucci e Cielo di Flavio
Testi. Brani particolarmente articolati,
ascoltabilissimi, resi con maestria dalla
flautista che ricordiamo essere tra i fondatori
del gruppo cameristico, specializzato in musica
contemporanea, "ACH ЯOME
Ensemble”.
Il concerto pomeridiano era cominciato con un
godibilissimo brano del milanese Bruno
Bettinelli (1913-2004). La sua Sonatina per
flauto e pianoforte
è formata
dai classici tre movimenti in uno stile
eclettico tipico del noto compositore che unisce
certo neoclassicismo alle timbriche più antiche.
Colori rivelati con evidente discorsività,
sono
stati resi molto bene dal duo. Valido il brano
Training Canone del ferrarese Luciano
Chailly (1920-2002) , una sorta di canone a tre
voci: la mano sinistra e la mano destra del
pianista e il flauto. Di grande interesse anche
Figurazioni per flauto e pianoforte del
leccese Armando Gentilucci (1939-1989),
compositore ma anche musicologo e saggista morto
prematuramente all'età di 50 anni. Il brano
conclusivo Couple per pianoforte e flauto
di Sylvano Bussotti (1931-2021), richiede anche
un uso più "aperto" dello strumento a tastiera,
con ausilio di cordiera e percosse sullo
strumento. Un'effettistica integrativa, con la
presenza anche di lunghe pause tipiche della
musica del Maestro fiorentino. Applausi calorosi
ai due ottimi interpreti in una sala colma di
pubblico.
16 ottobre 2024 Cesare
Guzzardella
La pianista Zlata
Chochieva alle
Serate Musicali
Da
alcuni anni la pianista russa Zlata Chochieva
viene ai concerti organizzati da Serate
Musicali. In genere impagina programmi
variegati con la presenza di più autori. Anche
ieri sera, nell'ottimo impaginato, ha voluto
mettere in risalto tre compositori legati al
mondo romantico, con il primo, Fryderyc Chopin,
di riferimento agli altri brani di Rachmaninov e
Reger, musicisti entrambi nati nel 1873. La
pianista ha voluto introdurre la serata con la
Ballata n.1 in sol minore per pianoforte
op.23, forse quella più
celebre
di Chopin. A questa è seguito lo Scherzo n.4
in mi maggiore per pianoforte op.54, quindi
l'Andante Spianato e Grande Polacca Brillante
op.22 e, dopo il breve intervallo, la
Polacca Fantasia in la bemolle maggiore op.61.
Sappiamo che Chopin è probabilmente il
compositore più difficile da eseguire avendo noi
riferimenti interpretativi di altissimo livello
entrati nella storia. Certamente la Chochieva è
dotata di una formidabile tecnica che le ha
permesso di affrontare i passaggi più complessi
del grande polacco con grande facilità e con
un'evidente sicurezza. Ottima nei frangenti più
pacati, ha mostrato una certa omogeneità nei
frangenti più articolati arrivando comunque a
valide esecuzioni, specie nella Polacca
Fantasia Op.61. Il cambio di autori,
partendo da Sergej Rachmaninov (1873 -1943) con
le Variazioni su un tema di Chopin op.22
, ha prodotto un notevole salto di qualità
interpretativa. Le complesse 22 variazioni
che partono dalle prime 8 battute del
celebre Preludio n. 20 in do minore di
Chopin, sono state risolte splendidamente dalla
pianista, certamente una rappresentante della
scuola moscovita che ha utilizzato la sua
tecnica trascendentale in modo particolarmente
espressivo per definire dettagli in modo
trasparente e
ricchi
di significato. Eccellente anche il brano
successivo di Max Reger (1873
–1916)
da
“Fünf
Specialstudien nach Chopin”
il Valse n.2 dall’op.42 di Chopin. La
sorprendente resa costruttiva del celebre valzer
chopiniano reinterpretato dal compositore
tedesco, ci ricorda nello stile certo Godowsky,
per capacità di variare e modificare il tema.
Abbiamo qui ritrovato una Chochieva di grandi
qualità nella sintesi discorsiva e nella
bellezza coloristica. Applausi meritatissimi!
Splendide le interpretazioni dei due bis
concessi: prima un chiaro e rapido Kleine
Gigue in sol maggiore K. 574 e poi un
Adagio dalla Sonata n.3 per organo di
J.S.Bach nella rara e profonda trascrizione di
Belà Bartók. Un'ottima serata. Lunedì prossimo
21 ottobre da non perdere il pianista londinese
Freddy Kempf.
15 ottobre 2024 Cesare
Guzzardella
Beatrice Rana
al Teatro alla Scala
Successo
strameritato ieri sera al Teatro alla Scala al
recital di Beatrice Rana, la pianista
italiana probabilmente più affermata al mondo.
Un impaginato particolarmente articolato il suo,
con brani di Mendelssohn, Brahms e Ravel. Sei le
Romanze senza parole da lei selezionate
in apertura della serata: op.67 n.3, op.30
n.6, op.16 n.2, op.85 n.4, op.19 n.3 e
op.67 n.2. Una sintesi discorsiva accentuata
la sua per dei capolavori, alcuni più noti come
Venetianisches Gondellied e Jägerlied.
Il suo Mendelssohn certamente è personale e
ricco di chiaro-scuri timbrici. Il
successivo
Brahms
era quello di un brano raro, che pochi vogliono
interpretare. La Sonata n.2 in fa diesis
Minore op.2, nei classici quattro movimenti,
alcuni molto articolati, è particolarmente
difficile e un po' diversa dal Brahms più
diffuso, quello degli Intermezzi, delle Ballate
e delle Variazioni, ma presenta spunti di grande
interesse . La
Rana, scavando in profondità, è riuscita a
mettere in luce i notevoli contrasti che si
annidano in questa splendida opera, sempre con
quella sintesi discorsiva esclusiva di chi ha
introiettato ogni dettaglio. Dopo l'intervallo,
due lavori molto conosciuti di Ravel, quali
Gaspard de la nuit con i suoi Ondine,
Le gibet e Scarbo, quindi la
versione pianistica
del
poema coreografico La Valse, hanno ancor
più esaltato le qualità dell'interprete pugliese.
Un Gaspard raffinato, dettagliato e ricco
di sfumature, con la parte centrale, Le
gibet, eseguita molto lentamente, esaltando
i piani sonori e quella celebre nota ripetuta
decine di volte. Questi tre Poèmes per
pianoforte ispirati da Aloysius Bertrand hanno
preceduto, in perfetta sintonia timbrica,
l'estroverso e molto orchestrale La Valse,
un tripudio di vortici sonori che hanno portato
agli infiniti calorosissimi applausi del
numerosissimo pubblico
presente in teatro. Due i bis concessi
dall'elegante Beatrice: prima il Valzer più noto
di Brahms, l'Op.39 n.15 e poi ancora
Mendelssohn con un rapido e vivace Spinning
song. Successo meritatissimo!
14 ottobre 2024 Cesare
Guzzardella
Il Trio Chimera
allo
Spazio Teatro 89
Una sorpresa
questo ottimo trio cameristico di giovanissimi.
Marta Ceretta al pianoforte, Stefano Raccagni al
violino e Giorgio Lucchini al violoncello,
formano il Trio Chimera, un gruppo
strumentale che già dall'mpaginato ha rivelato
una duttilità di scelte tra passato e presente,
mostrando ancora una volte le qualità di queste
ultime generazioni d'interpreti nell'affrontare
anche la non
facile
musica contemporanea. Due classici di Franz
Schubert con il giovanile Allegro della
Sonata D 28 (1812) e quello tardo del
celebre Trio n.2 op.100 D 929 (1827) ha
trovato a metà programma un lavoro del 2019 di
Giorgio Colombo Taccani con il suo Clessidra,
brano appunto per violino, violoncello e
pianoforte. Un problemino tecnico con il pedale
di risonanza del pianoforte, sorto prima che
iniziasse il concerto, ha trovato un'efficace
soluzione con un intervento manuale di Luca
Schieppati, pianista e validissimo organizzatore
di questi pomeriggi musicali, oltretutto da lui
presentati sempre con grande competenza. Il
Trio Chimera ha mostrato in Schubert
un'unità d'intenti di alto livello con i colori
chiari di Marta Ceretta nella sua perfetta
articolazione della rilevante parte pianistica,
con i melodiosi e precisi timbri del violino di
Stefano Raccagni e del violoncello di Giorgio
Lucchini. Decisamente ricco di pregnante
espressività Clessidra di Colombo Taccani,
un brano di quasi dieci minuti
ispirato
all'omonimo romanzo di Danilo Kis, affrontato
benissimo dal Trio e restituito in modo luminoso
e ricco in dettagli nella definizione dei
numerosi contrasti che lo permeano. La sicurezza
esecutiva del trio, nei colori a volte tenui e
spesso aspri del brano, rivelano ancor più le
alte qualità interpretative dei protagonisti.
Applausi calorosi, anche al compositore salito
sul palcoscenico. Decisamente valido il bis
concesso con un brano di Samuel Coleridge Taylor
(1875-1912), un compositore inglese vissuto a
cavallo tra '800 e '900. Domenica prossimo
sempre alle ore 17.00, allo Spazio Teatro 89
un duo importante: quello della violinista
Francesca Bonaita e del pianista Alessandro
Commellato per Respighi e Prokofiev. Da non
perdere!
14 ottobre 2024 Cesare
Guzzardella
Francesca Dego
diretta da Diego Ceretta per il Concerto in Re
maggiore di Beethoven
Il
concerto ascoltato ieri sera in Auditorium con
l'Orchestra Sinfonica di Milano diretta da Diego
Ceretta, prevedeva tre brani, il primo,
contemporaneo, di Nicola Campogrande (1969),
compositore torinese, in residenza al Teatro
Comunale di Bologna e presso l'Orchestra
Sinfonica milanese. Il suo breve lavoro
orchestrale in Prima esecuzione italiana, era
già
stato
eseguito nel 2021 a Madrid e anche in Germania e
in Argentina. È denominato "Cinque modi per
aprire un concerto", un' Ouverture per
orchestra di circa dieci minuti di durata.
Le pagine, ben orchestrate, rappresentano una
sorta di collage di stili, con momenti
più concitati, come quell i
delle prime battute, ed altri più tenui. La
musica, fondamentalmente tonale di Campogrande,
fa rivivere situazioni musicali che vanno dalla
scuola americana di Gershwin o Bernstein, con
sapori jazz, a quella viennese dei valzer
straussiani o di Mahler. Un coacerbo di
timbriche ben delineate e amalgamate nello
"stile Campogrande" per un piacevole ascolto,
cosa non scontata nel mondo contemporaneo.
Ottima la direzione di Ceretta. La salita sul
palcoscenico di Francesca Dego, dopo la valida
Ouverture, con l'atteso Concerto per
violino e orchestra op.61 in Re Maggiore
vedeva la violinista lombarda in un brano tra i
più importanti della letteratura violinistica. I
classici tre movimenti, Allegro non troppo,
Larghetto e Rondò, hanno trovato in
oltre due secoli d'interpretazioni- la
composizione è del 1806- una nutrita schiera di
grandi interpreti. Le qualità della Dego,
sostenute
da
un'ottima coesione con la direzione del
ventisettenne direttore milanese e della
preparatissima compagine orchestrale, sono
emerse sin dalle note iniziali. Abbiamo
riscontrato una progressione di maggiore
espressività nel corso del brano, con un momento
apicale nella stupenda Cadenza dell'Allegro,
resa dalla Dego con stupefacente nitore
espressivo. Ottimo per pregnanza estetica il
Larghetto e particolarmente virtuosistico
nella sicurezza d'esternazione il Rondò
finale. Valida la mediazione orchestrale, con
Ceretta molto attento alle esigenze della
solista. Tre i bis solistici concessi con un
raro ma splendido brano, il Capriccio polacco,
della compositrice polacca Grazyna Bacewicz
(1909-1969), cui ha fatto seguito un ottimo Bach
e un rapidissimo Capriccio n.16 di
Paganini. Interpretazioni superlative
applauditissime dal pubblico presente in
Auditorium.
Le
qualità del direttore milanese, che ricordiamo
avere un incarico di Direttore Principale con L'
ORT -Orchestra della Toscana- , sono emerse in
toto nella Sinfonia n.1 in Sol minore op.13 "Sogni
d'inverno" di
Čaikovskij, primo lavoro del genere del grande
compositore russo, già
straordinariamente
indicativo del suo personale linguaggio.
L'elegante gesto di Ceretta e la totale
interiorizzazione di ogni particolare di questo
primo capolavoro sinfonico del 1866, hanno
portato ad una resa superlativa della Sinfonica
di Milano in ogni sezione orchestrale e
nell'insieme strumentale. Bravissimi! Applausi
fragorosi meritatissimi. Domenica 13 ottobre,
alle ore 16.00 la replica da non perdere.
12 ottobre 2024 Cesare
Guzzardella
Mikhail Pletnev
inaugura la Stagione
N.80 de I Pomeriggi Musicali
Grande inizio
di Stagione per I Pomeriggi Musicali.
Siamo arrivati all'ottantesimo anno di concerti
e abbiamo iniziato molto bene il percorso con un
musicista che ha riempito completamente il
Teatro Dal Verme. Mikhail Pletnev rappresenta
uno dei più prestigiosi pianisti della scena
mondiale e se abbinato al suo nome c'è quello di
Sergej Rachmaninov, con il suo Concerto n.3
in Re minore per pianoforte e orchestra,
l'interesse per l'evento aumenta ancora di più.
L'Orchestra de I Pomeriggi Musicali era
diretta
dallo statunitense Ryan McAdams e a completare
il programma c'era anche l'altrettanto celebre
L'Oiseau de feu di Igor Stravinskij,
nella versione del 1945. Abbiamo ascoltato
moltissime volte il grande pianista russo in
programmi solistici, meno in concerti con
orchestra. Il Rach 3, tra i più difficili
per la parte solistica, specie nel movimento
Finale.Alla breve, d à
molto spazio alle
peripezie del pianoforte che risulta essere
dominante. Pletnev, pianista eccelso per l'uso
delle dinamiche, per la chiarezza dei dettagli e
per la bellezza delle sue timbriche, ha saputo
imporsi in modo molto personale nell'approccio
al noto Concerto, seguito dall'ottima orchestra
e dall'ottimo direttore. Le non poche
imprecisioni, cosa in genere rarissima per
questo genio della tastiera, erano comunque
irrilevanti vista la statura della sua cifra
interpretativa, ed erano
dovute allo stato di salute
non ottimale di ieri sera. Il suo approccio,
molto fantasioso, spesso vario
nella voluminosità, con momenti quasi
impercettibili
e altri di grande incisività, hanno reso unico
un concerto che trova decine di ottime
interpretazioni ma nessuna imprevedibile come
quella ascoltata. Insuperabili i due bis
solistici concessi: prima il Preludio op.23
n.4 di Rachmaninov e poi un suo classico
Moszkowski con l'Étude op.72 n.6, come
solo lui può interpretare. Applausi
interminabili. Efficace e meritevole
d'attenzione L'uccello di fuoco di
Stravinskij. La compagine orchestrale diretta da
McAdams ha rivelato frangenti di evidente
eleganza coloristica e decisa esternazione nei
momenti di grande voluminosità. Un'ottima
interpretazione. Ancora applausi fragorosi. Da
ricordare. ( Foto Lorenza Daverio - I
Pomeriggi Musicali)
11 ottobre 2024 Cesare
Guzzardella
La pianista Ying Li inaugura la
nuova Stagione della Società
dei Concerti
È all'insegna
della classicità il concerto che ha inaugurato
la nuova stagione musicale de "La Fondazione
la Società dei Concerti", una rassegna che
si preannuncia di successo visto la presenza di
importanti strumentisti e di grandi orchestre
nelle tre serie -Smeraldo, Rubino e Zaffiro- che
compongono la programmazione completa. Ieri
sera, in una Sala Verdi del Conservatorio
milanese con molto pubblico, la Nordwestdeutsche
Philharmonie era diretta da Leslie
Suganandarajah per lavori di Mozart, Beethoven e
Mendelssohn. L'Universo classico, il nome
dato alla serata, prevedeva ad introduzione l'Ouverture
K621 dalla mozartiana Clemenza di
Tito
per poi passare ad un capolavoro della
letteratura concertistica quale il Concerto
n. 3 in do minore op. 37 per pianoforte e
orchestra di L.v. Beethoven. L'ottima
direzione e la restituzione orchestrale
dell'Ouverture hanno trovato un'accurata
interpretazione anche nel concerto beethoveniano
grazie alla dettagliata ed equilibrata parte
solistica di Ying Li, la pianista cinese che
vinse nel 2021 il "Premio Internazionale Antonio
Mormone" e poi lo "Young Concert Artists Susan
Wadsworth International Auditions". Il pubblico
della società concertistica la conosce bene per
le sue qualità virtuosistiche e in questo
concerto classico, meno virtuosistico ma
certamente non facile da interpretare, la
sinergia tra l'ottima compagine strumentale e
il
solismo di Ying Li ha visto un valido equilibrio
complessivo per una resa espressiva di ottima
qualità. Applausi calorosi del pubblico e di
alta levatura estetica il bis concesso dalla
pianista con un riflessivo e chiaro Notturno
op.48 n.1 di F. Chopin, un capolavoro di
costruzione melodica e armonica. Dopo
l'intervallo la nota Sinfonia n.4 in la
maggiore op.90 "Italiana" di F. Mendelssohn
ha trovato una felice restituzione
dall'orchestra con una trasparente direzione di
Suganandarajah. Ottimo il bis orchestrale con il
finale Allegro con spirito dalla
Sinfonia in sol maggiore n.88 di J.Haydn, un
movimento ricco di energia e positività. Il
prossimo appuntamento per la Società dei
Concerti sarà il 16 ottobre per la serie
Rubino con l'eccellente violoncellista Ettore
Pagano e la Stuttgarter Philharmoniker diretta
da Pier Carlo Orizio. Da non perdere!
10 ottobre 2024 Cesare
Guzzardella
Tornano le Serate
Musicali del Conservatorio con la violinista
Maria Solozobova
La
ripresa autunnale dei concerti di Serate
Musicali ha trovato sul palcoscenico di Sala
Verdi in Conservatorio la compagine d'archi
L'Appassionata
con il Maestro concertatore Lorenzo Gugole. È
una formazione cameristica certamente di ottima
qualità e nel sostanzioso impaginato che
prevedeva musiche di J.S.Bach, del figlio Carl
Philipp
Emanuel
e di F. Mendelssohn, è emersa la coesione degli
archi in timbriche delicate, scorrevoli e
all'occorrenza ricche d'ncisività. Partendo
dalla nota Suite Orchestrale n.3
del genio tedesco, quella con la celebre Aria
nel secondo movimento, la compagine ha rivelato
tutto il suo spessore espressivo. Con il raro e
ragguardevole Concerto in re minore per
flauto, archi e basso continuo di Bach
figlio, abbiamo ascoltato al flauto un solista
di eccellente qualità, un virtuoso dello
strumento quale Tommaso Benciolini, la cui
bravura è emersa in maniera ancora più evidente
nell'Allegro di molto finale, un
andamento rapido
efficacissimo
dove sia il flauto solista che gli archi, in
perfetta coesione, esternano una musica
incalzante ricca di energia. Bravissimi! Con
Mendelssohn siamo entrati in un altro mondo
musicale, altrettanto splendido. Dalla breve e
freschissima Sinfonia per Archi in si minore
n.10 di un compositore dodicenne, un
Adagio e Allegro già tipici del
linguaggio mendelssohniano, siamo passati al
pezzo clou della serata, il Concerto per
Violino e Orchestra op.64, in una riduzione
numerica strumentale per soli archi. Una solista
di eccellenti qualità come la violinista Maria
Solozobova ha reso memorabile la serata.
La
bellezza delle timbriche, la sicurezza delle
cavate e soprattutto la superlativa espressività
nel definire i tre movimenti del capolavoro di
Mendelssohn hanno portato a meritatissimi
fragorosi applausi dal pubblico- purtroppo non
troppo numeroso- di Sala Verdi. Eccellente
l'integrazione con il gruppo d'archi che, se pur
senza gli strumenti a fiato, ha espletato una
resa rilevante nella valida trascrizione.
Peccato la mancanza di un bis solistico della
Solozobova, in un concerto complessivamente
splendido. Ottima quindi la ripartenza
stagionale per Serate Musicali.
Auspichiamo comunque più pubblico. Ieri sera la
violinista e l'Orchestra meritavano una Sala
Verdi al completo. Da ricordare. Lunedì 14
ottobre in Sala Verdi al pianoforte Zlata
Chocheva. Da non perdere
8 ottobre 2024 Cesare
Guzzardella
Il Trio Kaufman a Palazzo
Marino per
Beethoven e Babadjanian
Successo alla rassegna
musicale organizzata a Palazzo Marino in una
Sala Alessi al completo. Questa mattina è stata
la volta del Trio Kaufman, con Valentina
al pianoforte, Luca al violino e Chiara al
violoncello, tre fratelli ormai celebri per le
loro evidenti qualità interpretative. In
programma il Trio in Re magg. op 70 n.1 “Gli
spettri” per pianoforte, violino e
violoncello di L.v. Beethoven (1770-1827) e il
raro Trio in Fa diesis Minore di Arno
Babadjanian (1921-1983). In entrambi i lavori
cameristici i tre giovani musicisti hanno
ancora
una volta rivelato qualità di primo livello in
termini di intesa complessiva, di carica
espressiva e di definizione di dettaglio. La
visione precisa dei due trii, quello celeberrimo
beethoveniano, Gli spettri, composizione
del 1808, e quello del musicista armeno
Babadjanian, brano del 1952 che richiama la
tradizione folcloristica con influenze che vanno
da Bartòk a
Šostakovic,
ha impressionato per maturità
interpretativa. La sicurezza delle armonie del
pianoforte di Valentina e il nitore melodico dei
due archi esternati con espressione dai due
gemelli Luca e Chiara, hanno portato ad applausi
fragorosi al termine delle rispettive
interpretazioni. Bis splendido con un movimento
dal celebre Trio n.4 in mi minore op.90 "Dumky"
di Antonin Dvorak. Da ricordare.
6 ottobre 2024 Cesare
Guzzardella
Il pianista Emanuele
Delucchi interpreta Ferruccio Busoni al MaMu
milanese
L'interessante incontro cui abbiamo assistito
ieri, nel tardo pomeriggio, al MaMu -
Magazzino Musica- di via Soave 3 a Milano,
riguardava un compositore italiano, vissuto a
lungo in Germania, quale Ferruccio Busoni
(1866-1924). I cento anni dalla sua morte sono
stati un valido motivo per riconoscere a questo
grande pianista-compositore i meriti che gli
spettano, essendo stato Busoni un grande
innovatore di quella scuola pianistica che
deriva
direttamente da Franz Liszt. Emanuele Delucchi,
virtuoso della tastiera, uno dei pochi
interpreti che ha il merito di aver completato
l'esecuzione in pubblico del ciclo di studi
Chopin/Godowsky, ha presentato molto bene la
figura di Busoni, facendo un valido confronto
con il suo amato Leopold Godowsky, altro
fondamentale compositore e innovatore-virtuoso.
L'interpretazione al pianoforte, di fronte ad un
numeroso pubblico di appassionati che gremiva il
MaMu, di una serie di brani di Busoni, ha
messo in risalto lo spessore
compositivo-virtuosistico di questo grande, ma
anche le qualità di Delucchi, pianista raffinato
di mirabile resa estetica. Ricordiamo che la
serata è stata organizzata in collaborazione con
l'editore tedesco Breitkopf & Härtel - per la
"casa editrice Busoni". Delucchi ha iniziato il
concerto con due Elegie, la pacata N.7
e la vivace N.4 "Turandots Frauengemach",
quindi la Toccata, Adagio e fuga BWV 564
dall'originale organistico
di
Bach trascritta mirabilmente per pianoforte dal
musicista empolese e delineata benissimo da
Delucchi nei colori organistici, e la moderna e
innovativa Sonatina n.4. A conclusione
della serata, il Corale e Preludio "Nun komm'
der Heiden Heiland BWV 659" - Vieni ora
Salvatore delle genti- di J.S.Bach nella celebre
trascrizione busoniana. La resa estetica di
Delucchi in tutti i brani, da quelli più tenui
come l'Elegia n.7 o il Corale conclusivo, a
quelli dove il virtuosismo tocca vette altissime,
come la Turandots Frauengemach o la Toccata, ha
rivelato le sue profonde qualità d'interprete:
il suo è un pianismo approfondito da un costante
studio e da una penetrazione espressiva nel
carattere del compositore. Una tardo-pomeriggio
ottimo, da ricordare a lungo.
6 ottobre
2024 Cesare Guzzardella
IL RECITAL DI MARIO
COPPOLA CONCLUDE
IL PIANOVARA
Non poteva
che essere il maestro Mario Coppola, a
concludere, ieri 5/10, il festival pianistico
Pianovara, organizzato dal Conservatorio
Cantelli di Novara. Mario Coppola, napoletano,
gode di grande prestigio, sia come insegnante di
pianoforte attualmente al Cantelli, ove vanta un
alto numero di allievi vincitori di vari
concorsi in Italia e all’estero e apprezzati
pianisti in varie sale da concerto e festival (abbiamo
ascoltato due giorni fa, qui al Cantelli, la
bravissima De Bernardo), sia come pianista,
formatosi nell’ambito della scuola napoletana,
avendo come insegnante uno dei
massimi
esponenti di quella scuola, quel Sergio
Fiorentino che, secondo un noto aneddoto, Arturo
Benedetti Michelangeli riconobbe come unico
altro vero pianista al mondo, oltre,
naturalmente, a lui stesso. Della scuola
napoletana Coppola ha ereditato le due
caratteristiche di fondo: il ‘tocco’, che per i
maestri di quella scuola significa cantabilità,
tecnica del legato e trasparenza polifonica, e
la nitidezza ed equilibrio del suono in velocità,
con una tecnica ferrata, che ci pare guardi
anche ad un altro grande maestro napoletano,
Vincenzo Vitale. Su tutto regnano sovrane una
squisita eleganza e una finissima sensibilità
espressiva per ritmi, dinamiche e timbri. Le
Variazioni in Re maggiore KV 573 di Mozart,
primo pezzo in programma, sono servite
sostanzialmente a Coppola a ‘riscaldare i polsi’
e a dar prova di un suono brillante e capace di
ricreare il gradevole gusto galante di un pezzo
decisamente minore di Amadè. Il maestro
napoletano, grazie ad una fraseggio morbido,
quasi in sordina, ma caldo e avvolgente nella
sua straordinaria finezza di tocco, ha saputo
trasmettere al pubblico tutta l’intensa
poeticità e la soffusa dolcezza, venata di
malinconia’ slava., dei due bellissimi notturni
di Cjaikovskij, il n.1 op.10 in Fa maggiore e il
n.4 op.19 in do diesis minore e soprattutto
della sublime Barcarola Giugno, dalle Stagioni
del grande compositore russo, di esecuzione che
non esitiamo a definire perfetta, per la cura
finissima del dettaglio timbrico e dinamico .In
‘Funerailles’ di Liszt, che chiudeva la serata,
Coppola mostrava tutta la varietà dei suoi
registri espressivi, esprimendo al meglio il
percorso ascensionale disegnato dal sublime
pezzo, dalla morte, col suo cupo ostinato
ribattuto con energia e come inciso nella
tastiera dal pianista, all’inebriante danza
trionfale della salvezza, che trovava la sua
voce sonora nella spumeggiante luminosità di una
marcia trionfale, con i suoi abbellimenti
cesellati da Coppola con la sua caratteristica
trasparenza. Ma il clou dell’impaginato era
rappresentato dalla penultima sonata di
Beethoven (finalmente in questo festival!), la
n.31 in La bemolle maggiore op.110.
L’interpretazione che ne ha offerto Coppola è
stata all’insegna della più tersa cantabilità,
con momenti di intenso intimismo, in un flusso
delicato di idee musicali, fraseggiate con
quell’ “amabilità” che Beethoven prescrive in
partitura per il primo movimento e con una
espressività che sa essere struggente
nell’Arioso dolente, per poi farsi evento sonoro
di incantevole luminosità nella Fuga finale. Il
recital di Coppola è stato accolto da applausi
scroscianti di un pubblico entusiasta, che ha
ottenuto come bis un pezzo di Chopin e uno di
Fiorentino, omaggio di un grande allievo a un
grandissimo maestro.
Davvero un concerto che ricorderemo!
6 ottobre 2024 Bruno Busca
L'Ensemble Vocale
Harmonia Cordis
alla Primavera di Baggio
La rassegna musicale La
Privamera di Baggio, ha accolto nella Chiesa
Vecchia l'Ensemble Vocale Harmonia Cordis
per il "Vespro della
Beata
Vergine". Il Coro diretto da Giuditta
Comerci ha miscelato, per la definizione del
Vespro, momenti in canto ambrosiano con altri
composti da personalità musicali illustri del
'400, del '500 ma anche del Novecento.
Compositori come Guillaume Dufay (1397-1474),
Josquin Deprez (1450-1521), Gregor Aichinger
(1564-1628), Tomás Luis De Victoria (1548-1611),
Cristobal De Morales (1500-1553) e Igor
Stravinskij (1882-1971), si sono alternati nel
definire la straordinaria coralità espressa dal
gruppo. Un Ensemble Vocale nato nel 2008
che
predilige il repertorio polifonico
rinascimentale e il canto gregoriano e
ambrosiano. L'Ensemble, ieri sera presente solo
nella componente corale, ha anche come
complemento strumentisti - con strumenti
originali- che esprimono un repertorio assai
vasto. L'originalità della vocalità ottimamente
riverberata all'interno della Chiesa di Baggio è
stata accolta da applausi meritatissimi dal
numeroso pubblico intervenuto. Questa sera alle
ore 18.00, concerto pianistico di Diego Petrella
sempre nella Chiesa Vecchia.
5 ottobre 2024 Cesare
Guzzardella
Emma Guercio ai
concerti di Steinway & Sons
Presso la Steinway & Sons
di Milano continua la rassegna concertistica
in collaborazione con il Conservatorio "G.
Verdi". Ieri è stata la volta della
sedicenne
torinese Emma Guercio che ha impaginato un
programma con brani di Mozart, Chopin, Schubert
e Liszt. Dopo la valida, equilibrata e
dettagliata Sonata K.333 di Mozart, già
eseguita recentemente al Dal Verme, il
contrastante Scherzo n.1 op.20 in si minore
di F. Chopin ha evidenziato maggiormente il
virtuosismo della giovanissima interprete. La
successiva Sonata n.13 in la maggiore D 664
Di Franz Schubert, interpretata con
equilibrio nei suoi tre movimenti e con evidente
attenzione alla chiarezza di dettaglio , ha
anticipato l'ultimo brano in programma, il
Mephisto Waltz n.1 in la maggiore di Franz
Liszt.
Qui la Guercio ha dato il meglio,
rivelando eccellenti qualità nel superare ogni
difficoltà tecnica che il virtuosistico brano
del grande compositore-pianista ungherese impone.
Un'interpretazione di grande livello espressivo
che ha esaltato i potenziali interpretativi
della Guercio. Una pianista che ha tutti i
requisiti per approfondire lo studio del
pianoforte, per trovare
una sua ancor più personale qualità espressiva.
Applausi calorosi dal pubblico intervenuto
nell'elegante spazio Steinway & Sons.
Valido il bis concesso con un ottimo Studio
n.5 dall'op.25 di Chopin dove la pianista ha
evidenziato molto bene la parte melodica della
mano sinistra. Brindisi finale.
4 ottobre 2024 Cesare
Guzzardella
Successo meritatissimo
per L'Orontea
di Cesti-Carsen
Un'opera rara quale L'Orontea (1656)
dell'aretino Antonio Cesti (1623-1669) ha
trovato una rivitalizzazione in chiave moderna
ottima dal regista Robert Carsen, una firma nel
teatro d'opera celebre, con importanti successi
nei massimi teatri lirici. Mancava da Milano dal
1961, quando venne rappresentata alla Piccola
Scala per la direzione di Bruno Bartoletti e la
regia
di Luigi Squarzina. In questa nuova messinscena
la dedica alla città di Milano risulta subito
evidente dalla moderna scenografia di Gideon
Davey, autore anche dei costumi.
Un'ambientazione in una grande galleria d'arte
che ha come sfondo i grattacieli di Porta Nuova
oltre che una serie di dipinti contemporanei.
Ottimamente illuminata da Peter Van Praet e da
Carsen stesso, la valida scena e il respiro
moderno dei bravissimi cantanti, anche
eccellenti attori, racconta l'antica vicenda
d'Egitto della regina Orontea nelle parole dei
librettisti Giacinto Andrea Cicognini e Giovanni
Filippo Apolloni. È un intreccio d'amore
particolare quello che viene raccontato, che si
risolve positivamente anche
se
nel percorso dei tre atti tutto può accadere, ma
nel finale l'amore di due coppie trionfa: quello
tra Orontea nella voce da soprano di
Stéphanie D'Oustrac e di Alidoro, il
controtenore Carlo Vistoli e quello tra
Silandra, il soprano Francesca Pia Vitale e
Corindo, il controtenore Hugh Cutting. Il
dramma in musica di Cesti, tra i massimi
operisti secenteschi che spesso si associa al
contemporaneo Francesco Cavalli, ha
nell'intreccio tra i recitativi di altissima
qualità e le non numerose ma eccellenti arie un
portato musicale importante, mediato dalle
sonorità "antiche", definite in modo eccellente
nella direzione di Giovanni Antonini - un
esperto nel settore- e dagli strumentisti del
Teatro alla Scala operanti su strumenti
originali. Le timbriche d'epoca,
che
nascono dalla tradizione popolare delle danze in
una definizione raffinatissima, in contrasto con
la moderna scena rotante d'interni nella regia
di Carsen non subiscono alcun danno, anzi la
musica magicamente risulta più moderna
nell'attualizzazione e ricca di espressività. Le
basse volumetrie sonore complessive dovute ad un
orchestra dai timbri cameristici, esaltano gli
interventi vocali dei protagonisti, per
l'occasione di alta qualità. Oltre ai nomi
citati, aggiungiamo Mirco Palazzi in Creonte,
Luca Tittoto in Gelone, Sara Blanch in
Tibrino, Marcela Rahal, Aristea e
Maria Nazarova in Giacinta, tutti
bravissimi. Uno spettacolo di qualità musicale e
teatrale, tra i migliori visti, giustamente
molto apprezzato dal numerosissimo pubblico
presente alla quarta rappresentazione. L'ultime
replica è il 5 ottobre. Assolutamente da non
perdere! (
foto di Vito Lorusso dall'Archivio del Teatro
alla Scala)
3 ottobre 2024 Cesare
Guzzardella
LA PIANISTA LUDOVICA
DE BERNARDO
INCANTA IL PUBBLICO DI NOVARA
Ieri, 2/10,
siamo tornati volentieri ad un concerto della
giovane e talentuosa pianista napoletana
Ludovica De Bernardo, presso il Conservatorio di
Novara, ove svolge attualmente attività
d’insegnamento. Avevamo già ascoltato la De
Bernardo tempo fa, in un concerto
dall’impaginato novecentesco. Da allora ha
intensificato la sua già ampia attività
concertistica, approfondendo anche i grandi
classici del Romanticismo ottocentesco, sotto la
guida di quello che dal 2012 è il suo grande
mentore, il Maestro Mario Coppola, esponente tra
i più autorevoli
oggi
della c.d. ‘scuola napoletana’. E tutto
ottocentesco, salvo un pezzo di Ravel, era il
programma presentato ieri da De Bernardo:
Chopin, Liszt, Brahms. La raffinatezza ed
eleganza squisita del tocco, unita a chiarezza e
solidità di gran pregio, già ascoltata in
precedenza, ci è apparsa nel recital di ieri
arricchita da una più sottile e profonda
esplorazione delle sfumature espressive del
suono, cavato da un tocco morbido, talora quasi
felpato, con legati e rubati che danno elegante
fluidità al fraseggio. Queste qualità
interpretative della brava pianista napoletana
emergono subito sin dal primo pezzo, lo Scherzo
in mi bemolle min. op.4 di J. Brahms, ove alla
tensione ritmica, eseguita con sicurezza ed
energia, si accompagna, soprattutto nel secondo
dei due Trii, un melodismo che il tocco della De
Bernardo soffonde di quella vaghezza malinconica
che poi sarà del maggior Brahms. L’ascoltatore
avverte poi, nello Scherzo in Mi magg. op.54 di
F. Chopin, affidato al talento di questa
pianista, quella sonorità “pastello luminoso e
chiaro” di cui parlava Rattalino, mentre, sempre
del grande polacco, dell’Andante spianato e
Grande Polacca brillante in Sol Magg. op.22, il
pubblico, dopo essere stato rapito dalla dolce
cantabilità dell’Andante introduttivo, ha potuto
apprezzare il suono energico e perlaceo sgranato
dalla De Bernardo anche nei momenti agogicamente
più mossi, e la finezza di gusto con cui è stata
eseguita la ricchissima ornamentazione che
accompagna gran parte della Grande Polacca. Ma
la De Bernardo è pianista davvero completa e lo
ha dimostrato con la n.13 delle Rapsodie
ungheresi di F. Liszt, ove ha sfoggiato un vero
e proprio fuoco d’artificio sonoro, nel ritmo
frenetico della danza tzigana, eseguito però
sempre con sapiente gusto e solida e razionale
misura e soprattutto con una rara capacità di
valorizzarne la splendida orchestrazione, con i
suoi variegati e trascoloranti contrasti
timbrici. La De Bernardo, fuori della serie di
pezzi ottocenteschi ha introdotto nel suo
recital, come detto, la Suite di Ravel “Les
Valses nobles et sentimental” che ha davvero
incantato gli ascoltatori con un’esecuzione di
suprema eleganza, che è sembrata accarezzare
piuttosto che evidenziare le durezze armoniche e
le raffinate angolosità del pezzo, rendendo
soavi anche le dissonanze, sino al gioco di
svaporanti sfumature in cui sembra sciogliersi
questa danza, che il tocco pregevole
dell’interprete ci ha presentato quasi come un
sogno di un mondo perduto, ma ancora capace,
così evocato, di diventare incantesimo sonoro.
Grandissimo il successo di questo bellissimo
concerto, accolto da grandi applausi del
pubblico, che ha ottenuto un bis: un pezzo di
bravura di Debussy, suonato con assoluta
perfezione. Da ricordare!
3 ottobre 2024 Bruno Busca
GRANDE
SUCCESSO DEL
CONCERTO PIANISTICO DI MARCO PASINI AL
CONSERVATORIO DI NOVARA
Ieri,
30/09, il Festival Pianovara ha avuto come
protagonista, all’Auditorium Olivieri del
Conservatorio, il pianista milanese Marco Pasini.
Diplomatosi in pianoforte e organo al
Conservatorio Verdi di Milano, ha ormai alle
spalle una lunga attività concertistica, come
solista e con orchestra, in Italia e nel mondo,
sempre apprezzata da critica e pubblico, cui si
affianca l’insegnamento, che attualmente lo vede
docente di pratica organistica presso il
Conservatorio Cantelli di Novara. Il programma
presentato da Pasini era impaginato sui Sei
Momenti Musicali op-16 di S.. Rachmaninov e sui
Dodici studi trascendentali di F. Listz. Dunque
un recital chiaramente all’insegna del più arduo
virtuosismo. Fin dal primo numero del programma
Pasini ha mostrato i caratteri fondamentali del
suo pianismo: mezzi tecnici eccezionali,
un’energia di suono sprigionata da una forza
eccezionale del
tocco
e dei polsi: Pasini, propriamente, si avventa
sulla tastiera e ne cava un mondo sonoro di
fremente potenza. Tuttavia il suo tocco non è
ignaro di eleganza e ricerca di sfumature, a
partire dal timbro nitido e brillante, con una
tecnica del legato e del rubato capace di dare
al suo suono una significativa espressività.
Insomma, non siamo di fronte a uno scintillante
‘pestone’, per usare un termine caro a Clara
Schumann ma a un virtuoso eccezionale, capace,
quasi sempre, di ricondurre il suo virtuosismo a
una misura espressiva. Dei Momenti musicali di
Rachmaninov, Pasini affronta impavido,
suonandoli con precisione e trasparenza assolute,
la densità di scrittura del Maestoso finale,
come le enormi difficoltà esecutive del Momento
n.4, di cui sa valorizzare con intensa
espressività il carattere fortemente drammatico.
Ma Pasini sa anche dare voce, con morbidezza e
delicatezza di tono, al dolce cantabile del
Momento n.3 , sfumandolo in un modo tutto
particolare con un gioco di rubati e una
finissima gestione delle dinamiche e del pedale,
da grande pianista. Ovviamente questo altissimo
livello esecutivo è stato pienamente confermato
dagli Studi di Liszt di cui ci sono piaciuti in
maniera particolare Vision, tutto suonato su un
registro grave, valorizzato nella sua cupa
drammaticità nell’interpretazione di Pasini,
Wilde Jagd (Caccia selvaggia) in cui il suono
del pianoforte diventa voce di un inquietante
impulso selvaggio e un po’ barbarico con il
continuo vorticare di scalette ascendenti e
discendenti, in tutte le possibili forme, e
Chasse Neige ( Scaccianeve), dove il Maestro ha
animato il tremolo ostinato e le varie scale
brevi di una espressività tutta particolare, che
va al di là della banale riproduzione di una
tempesta di neve, evocando come un’eco di
lontano mistero, quasi un grido della Terra (magistrale
qui l’uso del pedale).. Bellissimo concerto,
senza dubbio, questo di Pasini, che ha riscosso
il meritato successo del pubblico, con
prolungati applausi. Costretti da un impegno,
abbiamo lasciato la sala subito dopo gli Studi
lisztiani e non sappiamo dunque se il Maestro
Pasini abbia concesso dei bis.
1 ottobre 2024 Bruno Busca
SETTEMBRE 2024
Il soprano Manuela
Bisceglie in
Conservatorio per Musica
Maestri!
Per la
nona edizione di MUSICA MAESTRI! al
Conservatorio milanese ieri
abbiamo ascoltato il
soprano Manuela Bisceglie e il pianista Stefano
Giannini. Arie di canto celebri e pezzi
pianistici di Bizet, Massenet e Puccini sono
stati ottimamente interpretati. La parte di
canto, preponderante, era intervallata da pezzi
solistici per pianoforte, rarità dei tre
compositori celebri
per
la loro produzione operistica. Dalla Carmen di
Bizet, l'aria "C'est des contrebandiers... je
dis, que rien ne m'épouvante" ha introdotto
il tardo pomeriggio mettendo in risalto la voce
intonata, chiara ed incisiva della Bisceglie.
Del secondo grande francese, Jules Massenet, è
stato proposto da Manon «Allons! Il le faut...
adieu, notre petite table», con uguale
nitore espressivo e ottima coesione del
pianoforte di Giannini. Tre brani solo
pianistici, sempre del secondo francese tratti
da Improvisations premier livre, cioè il
n. 2 Allegretto con grazia -Con moto, il
n.3 Triste et très lent e il n. 4
Allegretto scherzando, hanno mostrato la
chiarezza coloristica e la precisione di
dettaglio dell'ottimo pianista. Quindi ancora
musica operistica di Massenet con i validi: da
Hérodiade: «ll est doux, il est bon" e da
Thais: «Ah! Je suis seule enfin.. dis-moi que
je suis belle». La seconda parte del
programma
è stata dedicata interamente a Giacomo Puccini,
partendo da un brano pianistico quale Foglio
d'Album che ha introdotto il celeberrimo "Si,
mi chiamano Mimì" da Bohème dove la
Bisceglie ha raggiunto un vertice interpretativo
per bellezza timbrica e perfetta intonazione.
Dopo l'Intermezzo pianistico da Manon
Lescaut ancora canto con «ln quelle trine
morbide», mentre il pianoforte solista ha
poi delineato in modo raffinato il noto Coro
a bocche chiuse e il Preludio orchestrale
da Madama Butterfly in una eccellente
trascrizione pianistica e quindi ancora canto
con un eccellente "Un bel dì vedremo" .
Il brano conclusivo da Turandot con "Tu che
di gel sei cinta" ha completato le qualità
della bravissima Bisceglie. Ottimo il bis
concesso con "O mio babbino caro"
da Gianni Schicchi. Applausi calorosi e
continuati per i due bravissimi interpreti in
una Sala Puccini colma di pubblico.
30 settembre
2024 Cesare Guzzardella
LA
RONDINE DI PUCCINI
VOLA TRA GLI APPLAUSI AL COCCIA DI NOVARA
Il
Teatro Coccia di Novara prosegue le celebrazioni
del centenario pucciniano della stagione 2024
con “La Rondine”, un’opera del grande Maestro
lucchese che ha avuto il singolare destino di
passare da titolo più trascurato del catalogo
pucciniano fino a pochi decenni fa, disprezzata
come ‘volgare’ operetta, a ‘capolavoro’
ingiustamente e ingiustificatamente trascurato,
secondo il giudizio ormai acquisito negli ultimi
anni. Infatti quest’anno parecchie Rondini hanno
garrito nei teatri italiani, a cominciare dal
più prestigioso, La Scala. Per Novara La Rondine
rappresentata venerdì 27 e ieri domenica 29/09
era la prima assoluta, in coproduzione tra
Teatro Coccia e Fondazione Arena di Verona.
Ma
per tutta la compagnia che ha costruito lo
spettacolo, salvo il regista e il tenore Gaetano
Salas, si è trattato di un debutto in
quest’opera pucciniana. La regia, affidata a
Stefano Vizioli, con le scene di Cristian
Taraborrelli e i costumi, splendidi, di Angela
Buscemi, sposta di un secolo l’ambientazione
della vicenda, dalla metà dell’800 alla metà del
‘900. Scelta del tutto accettabile, stante una
certa affinità tra la fatuità e superficialità
di certi ambienti ‘borghesi’ e ‘demi-monde’ del
Secondo Impero con quella dominante in sfere
analoghe della società del pieno XX secolo.
Degne di citazione anche le coreografie di
Pierluigi Vanelli e le luci di Vincenzo Raponi,
che hanno contribuito efficacemente
all’evocazione dell’atmosfera voluta da Vizioli,
quella del salotto di Magda del primo atto che
diventa un sofisticato salotto mondano, mentre
il Ritrovo notturno del secondo si colora di
tinte esistenzialistiche (di dubbio gusto, e non
chiaro simbolismo, peraltro, la grande testa
sdraiata che a un certo punto scivola nella
scena attestandosi alle spalle di Magda e
Ruggero, seduti a dichiararsi il loro amore) e
la Costa Azzurra del terzo è sostituita da una
camera d’albergo dove Magda e Ruggero consumano
la loro effimera storia d’amore lontani dal
mondo. È una buona regia, in cui i vari dettagli
si saldano in un bell’insieme coerente, regolato
da un ritmo teatrale molto ben guidato da
Vizioli, con un occhio alla Traviata,
soprattutto con numerosi riferimenti nel primo e
in parte nel secondo atto. La parte musicale era
affidata alla direzione dello spagnolo Jordi
Bernacer, alla guida dell’Orchestra Filarmonica
Italiana, accompagnato dal Coro Sinfonico di
Milano, diretto da Massimo Fiocchi Malaspina. La
musicalità de La Rondine è molto particolare e
in parte diversa rispetto a quella delle opere
precedenti di Puccini, segnando una sorta di
svolta nel suo stile: su una linea ritmica
fondamentalmente di danza,
che
si trasforma continuamente
da valzer in tango , in
slow fox e altre danze del tempo, a creare
l’atmosfera da operetta, propria dell’ambiente
in cui la vicenda ha luogo, Puccini crea una
musica di aerea leggerezza, in cui la linea
melodica è frantumata in finissimi dettagli,
armonici (con molte dissonanze non risolte e
cromatismi), una timbrica spesso affascinante e
dinamiche di grande efficacia. Su tutto, una
trasparenza straordinaria di questo vario,
miniaturistico tessuto musicale. Bernacer,
dettando i tempi giusti e con una raffinata
attenzione alle timbriche e alle dinamiche della
partitura, realizza in modo adeguato queste
peculiarità stilistiche de La Rondine, con una
buona gestione del rapporto tra buca e
palcoscenico, ben coadiuvato dal coro, ove
eccellente si è dimostrata la direzione di
Fiocchi Malaspina. Di buona qualità la parte
vocale. Magda era il bravo soprano napoletano
Valentina Varriale, vera protagonista dei tre
atti col suo bel timbro, a un tempo pastoso e di
luminosa trasparenza, che la sostiene
efficacemente nella varietà del fraseggio
leggero e brillante. La Varriale ha dato prova
di un buon legato, soprattutto nei passaggi in
mezzoforte e di una musicalità intensamente
espressiva, con buone mezze voci, accompagnata
da valide risorse di attrice, ben sfruttate da
Vizioli. Bella la sua aria del primo atto “Il
sogno di Doretta”, il clou lirico dell’opera,
ove la Varriale fa sfoggio di un acuto morbido e
caldo, venato di suggestiva sensualità,
adattissimo alla parte. Buona l’interpretazione
del tenore messicano-americano Galeano Salas,
nei panni di Ruggero, dotato di uno strumento
vocale morbido ed espressivo, che ha offerto il
meglio di sé, anche dal punto di vista teatrale
nel terzo atto, in cui raggiunge effetti davvero
commoventi (No, rimani! Non lasciarmi solo!),
dovendo cedere alla decisione di Magda di
abbandonarlo (per tornare a Rambaldo? Non è poi
detto...) Alla coppia principale Magda-Ruggero
si
affianca
quella ‘minore’ di due personaggi quali la
cameriera Lisette e il poeta Prunier. Lisette
era il soprano Nofar Jacobi. Se sul piano
teatrale ha recitato bene la parte del ‘mulinello’,
tutta vorticoso movimento avanti e indietro
sulla scena, dal punto di vista propriamente
vocale ha mostrato evidente disagio nelle scene
d’assieme, specie nel primo atto, ove la sua
voce, un po’ debole e opaca nei centri e con un
acuto talora strillato, si è spesso smarrita
nello ‘stile di conversazione’ che domina gran
parte de La Rondine. Un po’ meglio ha figurato
nel terzo atto, ove
l’assenza di scene d’assieme ha senz’altro
giovato al suo canto. Decisamente apprezzabile
il Prunier del tenore Enrico Casari, dal bel
timbro profondo e caldo, con buona proiezione e
di ottimo fraseggio, sostenuto da eccellenti
risorse di attore, accortamente sfruttate dalla
regia.
Di
buon livello anche il contorno a cominciare dal
baritono Marcello Rosiello nella parte di
Rambaldo, corretto nella parte vocale e in
quella teatrale. All’altezza delle loro parti e
particine anche Daniele Cusari (Périchaud),
Sebastiano Cicciarella (Gobin), Giuseppe Serreli
(Crébillon) Vittoria Licostini (Yvette),
Francesca Mercuriali (Bianca) Caterina Dellaerei
(Suzy). Grande successo di pubblico, con
applausi scroscianti, durati una ventina di
minuti per uno spettacolo davvero ben
confezionato, sicuramente tra quelli da
ricordare visti al Coccia. ( Foto Ufficio Stampa
Teatro Coccia)
30 settembre
2024 Bruno Busca
Il pianista Luca
Schieppati alla
Primavera di Baggio
Il
secondo concerto della stagione autunnale di
Primavera di Baggio - iniziativa musicale
organizzata da molti anni da Davide Cabassi - ha
avuto come protagonista Luca Schieppati:
pianista, organizzatore di concerti, divulgatore,
oltre che docente di pianoforte al Conservatorio
"G.Verdi" di Milano. Un ottimo programma quello
ascoltato nella suggestiva Chiesa Vecchia di
Baggio. Dedicato a Puccini, prevedeva cinque
suoi brani, per un totale di quindici minuti
circa di sua musica.
Un
impaginato scelto in modo intelligente da
Schieppati, integrato con brani di Verdi-Liszt,
Rachmaninov, Debussy, Busoni e Gershwin. Lavori
di fine Ottocento o dei primi decenni del
Novecento ben inseriti tra quelli pucciniani,
tutti improntati su una melodicità rilevante che
li accomunava nel non breve percorso sonoro.
Schieppati oltre che a interpretarli in modo
impeccabile per qualità espressiva, ha anche
voluto raccontarli in modo adeguato, da esperto
conoscitore della musica e dei relativi
musicisti. Il brano iniziale, probabilmente il
più virtuosistico, un Verdi rivisitato da Franz
Liszt, le celebri Reminescenze
da Aida, ha subito rivelato la cifra
virtuosistica del pianista, giocata su una
chiarezza espressiva non comune che tende ad
evidenziare con
profondità
la componente melodica all'interno delle
complesse strutture armoniche. I brevi brani
pucciniani, i pochi composti da un musicista
celebre per la sua produzione operistica, erano:
Piccolo Valzer, Foglio d'Album, Calmo e molto
lento, Piccolo tango e Scossa elettrica.
Tutti evidenziati con passione ed eleganza da
Schieppati ed intervallati dalla melodica
Elegia op.3 n.1 di Sergej Rachmaninov,
dall'esotica L'isle joyeuse di Claude
Debussy, dal raro Turandots Frauengemach
di Ferruccio Busoni e dai noti 3 Preludi
di George Gershwin. Ottime tutte le
interpretazioni, molto apprezzate, con applausi
calorosi, dal numeroso pubblico presente. Di
eccellente qualità il bis concesso: un'intensa
trascrizione di un lied di Franz Schubert:
An Die Musik.
29 -09-24
Cesare Guzzardella
Carles Marín
alla rassegna "Il pianoforte in Ateneo"
dell'Università Cattolica milanese
Sono
iniziati gli ultimi concerti stagionali della
rassegna pianistica "Il pianoforte in Ateneo" ,
organizzata dal Maestro Davide Cabassi e dal
prof. Enrico Reggiani con la partecipazione di
Kawai Pianos di Hamamatsu. Dopo una
valida introduzione al concerto fatta da
Reggiani partendo dal pensiero di Adorno, il
pianista spagnolo Carles Marín ha proposto un
impaginato articolato che prevedeva anche sue
composizioni. Brani di Bach,
Marín,
Godowsky, Schumann e Scriabin si sono alternati
rivelando le virtuosistiche qualità del
pianista-compositore. È un virtuosismo, quello
di Marín, che nasce dal bisogno di ricreare le
importanti composizioni dei grandi del passato,
attraverso un linguaggio personale, dove la sua
creatività di "pianista-compositore" possa
intervenire per trovare nuove soluzioni
interpretative avendo come esempio i grandi
virtuosi del passato come, ad esempio, Vladimir
Horowitz. Introducendo l'impaginato con J.S.Bach,
precisamente con l'Ouverture dalla
Suite francese BWV 831, Marín ha rivelato la
sua formazione classica di alto livello,
rivelando un'ottima discorsività. Il brano
successivo, il suo Studio n. 2 "Homenaje a
Nelson Freire" - il grande pianista
brasiliano recentemente scomparso- ha mostrato
la sua capacità di modifica di materiali
esistenti in un complesso compositivo dal gusto
improvvisatorio ricco di contrasti. Quindi il
successivo Godowsky, l'Etude after Chopin n.
13, per la sola mano sinistra, ha espresso
sia la cifra virtuosistica del grande
compositore virtuoso polacco-statunitense, che
quella dell'interprete. Con la Sonata n. 2
op. 22 di Robert Schumann, capolavoro di
armonie, Marín ha trovato una lettura efficace,
attenta ai dettagli, molto virtuosistica ma
anche di grande riflessività, come nell'intenso
Andantino. Di particolare interesse i
brani successivi, composti da lui, lo Studio
n. 3 "Maiden' Wish Variations" e quello
n.4 "Quasi perpetuum". La sua capacità di
trasformazione di frangenti chopiniani per
la
realizzazione di uno studio, è certamente molto
interessante e rivela una qualità costruttiva di
alto livello. Una efficace Sonata n. 5 op. 53
di Scriabin, a
conclusione del programma ufficiale, ha mostrato
doti eccellenti di sintesi discorsiva nel
prodotto del genio russo giocato su elementi
simbolici di grande modernità per l'epoca
compositiva. Applausi fragorisi nella splendida
Aula Magna dell' Università Cattolica del Sacro
Cuore milanese e due i bis concessi: prima uno
Studio ancora di Marìn molto personale e
di particolare espressività; poi un eccellente
Bach-Siloti con un profondo Preludio in si
minore. Applausi calorosissimi
dal numeroso pubblico intervenuto. Prossimo
appuntamento per giovedì 17 ottobre alle 20.45,
con Davide Cabassi che interpreterà Beethoven.
Da non perdere.
27 settembre 2024 Cesare
Guzzardella
Al Dal Verme
un concerto per
celebrare i caduti per mafia diretto da Alfonso
Di Rosa
Il
concerto di lunedì scorso del Teatro Dal Verme,
organizzato dalla Regione Lombardia con
interventi introduttivi degli Assessori Caruso e
La Russa, oltre che a quelli del direttore
artistico de I Pomeriggi Musicali
Maurizio Salerno e del Maestro Angelo Mantovani,
era diretto da Alfonso Di Rosa ed è stato voluto
per celebrare la memoria dei caduti per la lotta
contro le mafie. Sono stati ricordati Giovanni
Falcone, Paolo Borsellino, Carlo Alberto Dalla
Chiesa,
gli uomini delle scorte e tutti i deceduti per
crimini mafios i. L'Orchestra "Il
Clavicembalo Verde" di Milano era diretta
per l'occasione dal direttore siciliano che ha
impaginato un programma diversificato con brani
di Di Rosa stesso, dedicati ai caduti, che
anticipavano musiche di Mascagni e per la parte
più preponderante, di Giacomo Puccini. I quattri
brevi brani di Di Rosa, 57 giorni dopo,
Sognare in fa, Acqua e L'Alba, hanno
rivelato una scrittura tonale particolarmente
semplice nella costruzione pianistica ben
orchestrata dal direttore-compositore. Sono
stati restituiti in modo piacevole, con una
delicata leggerezza timbrica da due giovani
pianiste - Elena Tirrito e Chiara Falcone- e dall'orchestra stessa. Una lettura,
con una recitazione di
ragguardevole
espressività da parte di Corrado Calda, di brevi
testi di Falcone e Borsellino riordinati da
Giusy Càfari Panìco, è stata
musicata al pianoforte dallo stesso Di Rosa. Il
celebre Intermezzo dalla Cavalleria
Rusticana di Pietro Mascagni ha anticipato il
vasto programma pucciniano, anche ricordando i
100 anni dalla morte del compositore toscano. Il
Mio babbino caro dall'opera Suor Angelica
con la valida voce di Noemi Iacono ha anticipato
l'esecuzione
in
forma di concerto del primo atto di
Boĥème,
con un cast di cantanti decisamente di qualità
provenienti dall'Accademia scaligera o dal
Conservatorio milanese. Ottime le voci di Flavio
D'Ambra, Rodolfo, Raffaella D'Ascoli,
Mimì, Paolo Ingrasciotta, Marcello,
Alessandro Ceccarini in Colline e
Benoit e Raffaele Facciolà in Schaunard. Valida la direzione e l'Orchestra
"Il clavicembalo verde". A conclusione della
serata il cast vocale insieme alla bravissima Hilary
Aeschliman, nel ruolo di Musetta, hanno
cantato l'aria Quando men vo. Applausi
sostenuti dal numeroso pubblico intervenuto e a
conclusione l'Inno di Mameli.
25 settembre 2024 Cesare
Guzzardella
Il
Trio L'Incostante
per Musica Maestri!
L’Univers fémin in,
il concerto così titolato ascoltato nella Sala
Puccini del Conservatorio milanese per la
rassegna Musica Maestri!, proponeva brani
soprattutto di compositrici quali Anna Bon
(1738-1767), Anna Amalie von Preußen (1723-1787)
e Élisabeth-Claude Jacquet de La Guerre
(1666-1729), ma anche di Marin Marais
(1656-1728) e di Georg Philipp Telemann
(1681-1767). Donne erano Lucia Rizzello al
flauto traversiere, Noelia Reverte Reche alla
viola da gamba e Chiara Tiboni al clavicembalo,
componenti del
Trio
L'Inconstante, per un repertorio di musica
antica suggestivo, che ci fa tornare lontano nel
tempo per le sonorità degli strumenti d'epoca
come il clavicembalo ben utilizzato come
basso continuo in quasi tutti i brani , ma
come ruolo protagonista nella Suite III in la
minore di Élisabeth-Claude Jacquet de La
Guerre, un brano ricco di delicati movimenti
elargiti con sicurezza dalla bravissima Chiara
Tiboni. Timbri antichi e tenui sono emersi anche
nella viola da gamba,
strumento
a sette corde antenato del violoncello, con
sonorità discrete e sensuali nel Prelude, La
mignone e La minaudiere di Marin
Marais, elargiti con delicata precisione da
Noelia Reverte Reche; mentre i dolci colori del
flauto traversiere si sono ancor più rivelati
nelle sonate di Anna Bon e di Anna Amalie
von Preußen con l'ottima flautista Lucia
Rizzello. Momento di grande qualità estetica
quella con il più celebre compositore tedesco
Georg Philipp Telemann e il suo delizioso
Trio sonata in la minore TWV 42:a7 di cui
dalle bravissime interpreti è stato poi ripetuto
l'orecchiabilissimo Allegro, quarto
movimento della discorsiva e splendida Sonata.
Successo in una sala stracolma di appassionati.
23 settembre 2024 Cesare
Guzzardella
Il pianista Nicolas
Hodges al
Festival MiTo
Il
pianista londinese Nicolas Hodges , classe 1970,
è conosciuto soprattutto per le sue esecuzioni
di musica contemporanea, pur essendo anche
ottimo interprete della musica dei classici
Bach, Beethoven, Brahms, ecc. Ieri sera al
Teatro Munari ha impaginato un programma
particolare, dove la maggior parte di
compositori contemporanei o del Novecento
venivano intervallati da brevi brani di Bach.
Hodges ha voluto realizzare una sorta di
suite unendo tutti i lavori ed eseguendoli
senza soluzione di continuità per una durata
complessiva di circa sessanta minuti. Alexsander
Goehr (1932-2024), Anton
Webern
(1883-1945), Rebecca Saunders (1967), J.S.Bach(1685-1750),
Wolfgang Rihm (1952-2024) e André Boucourechliev
(1925-1977) sono stati riuniti in questo lavoro
eseguito con determinazione da Hodges e con una
adeguata gestualità. Il brano introduttivo,
Surrounding Silences op.108 di Goehr,
scomparso nel mese di agosto di quest'anno, era
in Prima esecuzione assoluta. E' la sua
ultima composizione pianistica e certamente
rappresenta un sereno "schiaffo" alla tastiera
per l'infinita serie di cluster che con
diverse modalità di voluminosità, dalle leggere
carezze dei tasti alla estrema percussività,
coprono tutti i registri dello strumento per una
definizione sonora di particolare suggestione
timbrica. Le successive storiche Variazioni
op.27 di Anton Webern, esempio tra i più
rilevanti di dodecafonia, hanno interrotto il
senso aleatorio del brano precedente per una
costruzione ben articolata costruttivamente.
Maggiore melodicità, pur nell'atonalità, per il
brano To an Utterance, study, della
Saunders, che ha
portato
poi al primo Bach con il Duetto n.1 in Mi
minore BWV 802 eseguito con leggera
discorsività in modo impeccabile. L'ordine
architettonico della musica del grande genio
tedesco ha trovato poi un contrasto evidente con
il brano più corposo del concerto, Zwei
Linien di Rihm. In Prima esecuzione italiana,
il lungo lavoro del secondo compositore tedesco,
recentemente scomparso, è stato certamente
interessante per la varietà dei contrasti tra i
frangenti più riflessivi e i repentini andamenti
melodici. Il Duetto n.4 in La minore BWV 805
di Bach ha ancora una volta riportato
razionalità e certezza al concerto che poi ha
trovato conclusione con l'aleatorietà del brano
Archipel 4 di Boucourechliev. La
partitura grafica circolare del lavoro ha dato
molto spazio all'interpretazione di Hodges per
suggestioni che ricordavano il primo brano
ascoltato, quello posteriore di Goehr, anche per
un certo utilizzo di brevi cluster.
Un'interpretazione complessiva certamente
efficace quella di Hodges nella non semplice
scelta d'impaginato. Applausi frarogosi dal
numeroso pubblico presente in teatro.
22 settembre 2024 Cesare
Guzzardella
IL PIANOFORTE DEGLI ZOOMERS
IL
GIOVANE GABRIELE ANGLANI IN CONCERTO AL
CONSERVATORIO DI NOVARA
Ieri,
21/09, era di scena all’Auditorium del
Conservatorio Cantelli di Novara, per il
Festival PiaNovara, il giovane pianista pisano
Gabriele Anglani, che sta attualmente
perfezionando i propri studi musicali al
Cantelli. Quello proposto da Anglani, più che un
programma era una vera lenzuolata di autori, che
si snodava da J.S. Bach fino a Skrjabin,
attraverso l’800 romantico. Programma
impegnativo, eseguito interamente a memoria, a
testimoniare un’autorevolezza e capacità
mnemonica già da pianista maturo. La sfida che
un simile fluviale impaginato pone al solista è
quella di trovare una varia e sempre diversa
forma espressiva per mondi musicali così diversi
e anche, in parte, lontani nel tempo. Una sfida
che diremmo Anglani abbia superato con successo,
dando prova non solo di ottime basi tecniche, ma
anche di una sensibilità e di gusto e di
comprensione del pezzo che ne fanno un
promettente, giovane talento. Il tocco preciso e
potente interpreta con solennità ieratica e
cristallina trasparenza di suono le Cantate
bachiane BWV 147 nell’arrangiamento pianistico
di Myra Hess,e la BWV 208, arrangiata da Petri,
con un ottimo controllo delle dinamiche e dei
chiaroscuri
timbrici, ma l’interpretazione più profonda
nello scavo espressivo è quella del Corale
“Jesus bleibet meine Freude”, suonato da Anglani
con una linea espressiva di suggestiva intimità
religiosa, colta nella sua purezza spirituale
con grande finezza. Nell’Arabesque op.18 in DO
Maggiore di Schumann, la purezza apollinea del
pezzo è ben resa da un suono trasparente ed
esatto, ma un po’ freddo e che sa ancora di
scuola. Decisamente apprezzabile è invece
l’interpretazione dell’Intermezzo op.118 n.2 in
LA Maggiore di J. Brahms, dove il tocco delicato
e sensibile di Anglani calibra perfettamente le
dinamiche e le timbriche e con sapiente tecnica
dei rubati e un uso finissimo del pedale dà voce
a quella vena di autunnale malinconia, a quel
suono brunito carico di suggestione che è
caratteristico dell’ultimo Brahms. Nel vasto
programma della serata seguivano due pezzi
celebri di Chopin: lo Scherzo op.31 n.2 in Si
bemolle minore e la Ballata op.23 n.1 in sol
minore. Del primo, composizione sfuggente e
indefinibile, Anglani sceglie la soluzione
interpretativa più scontata, quella di fare
della stupenda melodia del secondo tema la
chiave di volta della composizione, e la
realizza con grande purezza di suono e dolcezza
timbrica davvero notevole. Del secondo, Anglani
si mostra all’altezza delle incredibili
arditezze disseminate nel brano, tra i più “selvaggi”
di Chopin, secondo il giudizio di Schumann,
sfoggiando un virtuosismo ed una potenza di
suono di grande efficacia espressiva. Il gran
finale vedeva protagonista lo Skrjabin della
Sonata Fantasia n.2 op.19 in Sol diesis minore
(1897). Diremmo che Anglani ci abbia dato un
bell’esempio del suo valore e della sua
sensibilità di interprete: ricorderemo di questo
‘suo’ Skrjabin il perfetto controllo
dell’intreccio dei vari e mutevoli piani sonori,
la calibratura sicura di un materiale tematico
difficile da dominare per il suo carattere
estremamente frammentario, la capacità di creare
un’atmosfera evocativa e remota, che sviluppa in
direzione decisamente simbolista un pianismo
certamente già inventato dall’estremo Chopin.
Grande il successo di questo concerto, che
consacra Gabriele Anglani come una delle giovani
promesse del pianoforte italiano. Anglani ha
proposto un bis, un altro pezzo bachiano nella
trascrizione di Siloti, ribadendo la limpida
fluidità del suo
fraseggio e la precisone assoluta del tocco.
Un’altra bella serata di musica di cui siamo
grati al Conservatorio Cantelli, che va
imponendosi, ogni anno di più, come il più
autorevole punto di riferimento e promozione
della musica cameristica a Novara, com’è giusto
che sia. Chiudiamo con un’osservazione: ci
stupisce che, a quanto è dato constatare dalla
brochure col programma, tra tutti i concerti del
Festival, incentrati in gran parte sull’800,
dobbiamo attendere l’ultimo, quello del Maestro
Coppola, per ascoltare un pezzo di Beethoven; ce
ne chiediamo il perché.
22 settembre 2024 Bruno Busca
Successo alla rassegna
pianistica del Festival MiTo
Successo al Dal Verme per la
rassegna organizzata da Davide Cabassi per il
MiTo, dedicata a giovani talenti pianistici. Gli
ultimi tre incontri delle ore 13.00 sono stati
riservati alla musica del Novecento, oltre
all'anticipo su Ravel di cui abbiamo già detto.
Diego Petrella, già ascoltato in Chopin,
Emanuele Scaramuzza e Michele Calia, si sono
alternati negli ultimi incontri. Petrella ha
proposto un'assoluta rarità quale la Sonata
H.160 del
compositore
inglese Frank Bridge (1879-1941). Un brano
complesso e corposo -oltre trenta minuti la
durata- nei classici tre movimenti che riassume
gli stilemi del tardo-romanticismo e soprattutto
dell'espressionismo musicale in una sintesi
esemplare e con un linguaggio personale che ha
solo qualche riferimento con la musica inglese
alla Elgar. L'interpretazione determinata e
ricca di timbriche di Petrella, pianista molto
impegnato nella musica novecentesca e
contemporanea, ha trovato un'espressività di
alto livello con una cura del dettaglio e una
visione complessiva non indifferente nel mettere
in rilievo contrasti diversi tra tonalità e
atonalità. Una composizione quella di Bridge che
dovrebbe rientrare nei repertori di tutti i
migliori pianisti.
Rimanendo
nel medesimo periodo storico di primo Novecento,
Emanuele Scaramuzza ha affrontato con sicurezza
e riflessione prima la celebre Sonata Zulice
1.X.1905 di Leós Janà ček
(1854-1928), compositore ceco poi, il giorno
successivo, la corposa Sonata n.2 in si
minore op.61 del russo Dmitri Šostakovic. Ha
rivelato una notevole profondità
di pensiero in entrambi i lavori, elargendo una
tessitura timbrica riflessiva, trasparente e di
ottima discorsività. Gli elementi tardo
romantici ancora presenti nella splendida breve
e profonda Sonata di Janaček
tendono a sparire nella Sonata di Šostakovic
(1906-1975),
un
lavoro più
corposo del 1943, di oltre venticinque minuti e
in tre movimenti, con una tessitura spesso
semplice, con prevalenza melodica ben riempita
di espressione da Scaramuzza. Michele Calia ha
ben affrontato la nota Sonata SZ80
dell'ungherese Béla Bartók (1881-1945) . Sono
tre movimenti colmi di riferimenti folcloristici
definiti dalla tipica ritmica irregolare
bartókiana ricca di contrasti.
Un'interpretazione in crescendo qualitativamente
per il giovane Calia, pianista ben orientato ad
un'ottima carriera concertistica. Un grande
successo di pubblico per una rassegna che
speriamo trovi per MiTo un seguito il
prossimo anno.
21 settembre
2024 Cesare Guzzardella
UN
BEL CONCERTO DI FIORENZO PASCALUCCI AL PIANOVARA
Nell’ambito del Pianovara,
l’annuale festival pianistico organizzato dal
Conservatorio G. Cantelli di Novara, era di
scena ieri, 20/09, il pianista Fiorenzo
Pascalucci. Molisano, trentasette anni, gode di
una certa fama nelle sale da concerto nostrane e
internazionali, oltre che per le sue qualità,
anche per l’ampia messe di riconoscimenti in
vari concorsi nazionali e internazionali, tra i
quali è doveroso ricordare i Premi Venezia e
Rina Sala Gallo. Nonostante parte cospicua della
sua fama sia dovuta alla sua particolare
competenza nella musica pianistica del primo
‘900, soprattutto italiana, Pascalucci ha scelto
ieri, per il concerto novarese, tutt’altri
autori e tutt’altro mondo musicale, impaginando
un programma rigorosamente ancorato alla grande
linea classico-romantica sette-ottocentesca di
Mozart, con la Sonata KV 311 in RE Maggiore,
Schubert, con la Sonata op.120 D 664 in LA
Maggiore e infine Chopin, di cui il pianista
molisano ha eseguito l’Andante Spianato et
Grande Polonaise Brillante op.22. Si tratta di
un programma in cui ad un dominante carattere di
diffusa musicalità, si affiancano, specie in
Chopin, momenti di agogica intensa e
drammatico-eroica, che richiedono una buona dose
di virtuosismo.
Pascalucci
ha dato voce adeguata ad entrambe le componenti
di questo mondo musicale, grazie ad un tocco di
morbida e duttile sensibilità, un fraseggio
capace di catturare le più delicate sfumature
dei timbri e delle dinamiche e d’altra parte un
virtuosismo mai superficialmente spettacolare,
ma guidato da precise ragioni espressive, dal
suono intenso e ricco di spessore, con perfetto
equilibrio tra le due mani e uso meditato del
pedale e sempre sostenuto da rigorosa
autorevolezza tecnica. Dunque se della sonata
mozartiana Pascalucci dà risalto ad
un’esuberante sonorità e alla brillante
ricchezza di suono del Rondò finale (che lo
stesso Mozart definiva “rumoroso”),con
ineccepibile calibratura dei contrasti dinamici
e agogici, è nell’op 22 di Chopin che convergono
e si succedono i due momenti della dolcezza
cantabile dell’Andante spianato, che il giovane
interprete molisano suona con dinamiche a nostro
avviso forse un po’ troppo alte, che gli
impediscono di realizzare al meglio l’incantata
dolcezza del pezzo. L’alta qualità tecnica
dell’interprete rende invece addirittura
elettrizzante la furente tensione agogica della
Grande Polonaise, senza mai coprire peraltro con
scelte dinamiche eccessive la fine
ornamentazione che accompagna questo capolavoro
dello stile brillante chopiniano, ma anzi
valorizzando la varietà coloristica del pezzo:
gli perdoniamo volentieri un gruppetto di note
un po’ aggrovigliato nella sezione centrale del
pezzo. Ma a nostro giudizio il meglio del
concerto è stata la Sonata schubertiana, in cui
la sensibilità del tocco e lo stile raffinato di
Pascalucci hanno toccato il punto più alto. Sin
dal primo tempo l’ascoltatore è stato avvolto da
un mondo sonoro di ammaliante dolcezza con una
ricchezza di sfumature dinamiche e timbriche
staccate dalla tastiera con rara sapienza: in
questo caso le dinamiche della mano sinistra,
più alte rispetto alla prassi esecutiva a noi
nota, ha prodotto un efficacissimo effetto di
contrasto timbrico. Una dolcezza che Pascalucci
ha poi velato, nel tempo lento centrale, di
quella malinconia tipicamente schubertiana che
ha progressivamente caricato, nel suo infinito
espandersi, di sconsolata mestizia: un mondo
sonoro davvero carico di tensione emotiva, pur
nella precisione ‘tecnica’ assoluta del suono,
che ci richiamava alla mente certe esecuzioni
schubertiane di un Alfred Brendel. Trascinante
l’ovazione del pubblico al termine del concerto,
che Pascalucci ha ricambiato con un bis, un
pezzo pianistico wagneriano dal Preludio del
Tristan und Isolde, tra l’altro utilizzato, se
la memoria non ci tradisce, da L.Visconti nel
suo film Ludwig: pezzo di essenzialità e brevità
assolute, che Pascalucci ha proposto con una
purezza quasi weberniana. In questa bella serata
novarese, Pascalucci si è confermato pianista di
ottime qualità interpretative e di grande
finezza espressiva. Speriamo di poterlo presto
riascoltare in qualche futuro recital da questa
parti.
21 settembre 2024 Bruno Busca
Uno straordinario
Antonio
Alessandri al Festival MiTo
Da
alcuni anni ascolto in concerto il pianista
milanese Antonio Alessandri, classe 2006. Ieri è
stato più che presente al Festival MiTo
eseguendo due volte l'impaginato del concerto -
alle ore 17.00 e alle ore 19.00 - al Santuario
San Giuseppe di via Verdi. Un programma completo
il suo, di settanta minuti senza intervallo.
Sono stati proposti brani di Chopin, di
Capogrosso, di Ravel e di Stravinskij.
Alessandri ha rivelato un controllo del
materiale musicale unico, espresso con una
tranquillità che solo chi ha memorizzato ogni
dettaglio
della partitura può avere. A parte il complesso
brano contemporaneo di Capogrosso (1984), gli
altri lavori, tutti celebri, sono stati
naturalmente eseguiti a memoria. A cominciare
dalla Sonata n.2 in si bem. Maggiore op.35
di Fryderyk Chopin che ha introdotto il
pomeriggio rivelando l'alta cifra stilistica
dell' interprete. Uno Chopin ricco di energia,
sin dal movimento iniziale il Grave.Doppio
movimento. L'ottimo Scherzo, con una
parte centrale di grande riflessione, ha
anticipato una Marche funèbre ricca di
profondità espressiva, mentre il breve
Finale.Presto, di rapidissima leggera
esternazione - sembrava un brano contemporaneo-
è stato eseguito con una chiarezza esemplare.
Dottor Faust, Chapter XXV del perugino Fabio
Massimo Capogrosso è un brano del 2016. Un
lavoro decisamente pianistico che fa riferimento
a molti musicisti del tardo
romanticismo
ma anche del primo e del secondo Novecento.
Alessandri ne ha dato una lettura sicura, ricca
di contrasti, cogliendo certamente, con
straordinaria discorsività, l'essenza misteriosa
del lavoro. Ottimo il Ravel dei Valse nobles
et sentimentales, composizione del 1911
suddivisa in otto brevi parti approfondite con
sicurezza ed eleganza dal diciottenne.
Straordinario il brano conclusivo del programma.
I Trois
mouvementes de Petruška
di Stravinskij hanno
trovato una sintesi discorsiva stravolgente
nella restituzione di Alessandri. Una chiarezza
strutturale di altissimo livello, con dettagli
evidenziati nell'andamento complessivamente
rapido. I continui contrasti dei temi ,
intrisi di ritmiche
definite con precisione dal pianista,
hanno messo in risalto i tre movimenti della
composizione legata al celebre balletto:
Danse russe, Chez Petruška e La samaine
grasse. Grandissima interpretazione.
Applausi calorosissimi nel
bellissimo santuario
colmo
di pubblico.
20 settembre 2024 Cesare
Guzzardella
Ancora giovani
pianisti al
Festival MiTo
milanese
Ancora
giovani pianisti al Dal Verme per una rassegna
che sta ottenendo un grande successo di pubblico.
Gli ultimi ascoltati, come sempre presentati da
Davide Cabassi, noto pianista e organizzatore
musicale, in conversazione con gli interpreti,
hanno affrontato il periodo romantico della
musica,
arrivando
poi anche al primo Novecento. Geograficamente
abbiamo toccato la Polonia, la Norvegia,
l'Italia e la Francia. Diego Petrella, pianista
particolarmente attivo nel repertorio
contemporaneo, ha eseguito con decisione la nota
Sonata in si minore op.58, la terza del
grande pianista e compositore polacco Fryderyk
Chopin (1810-1848). È un lavoro di grande
impatto virtuosistico che abbisogna di sicurezza,
energia e visione complessiva adeguata per
sostenere i quattro corposi movimenti che
compongono la Sonata. Petrella ha avuto tutti i
requisiti per un' ottima
interpretazione, con un movimento finale,
un Presto non tanto agitato,
di eccellente qualità. Il pianista successivo,
Gabriele Buccheri, si è impegnato nella
straordinaria Sonata in mi minore op.7
del norvegese Edvard Grieg (1843-1907). È un
brano di rara esecuzione che Buccheri ha
affrontato con grande equilibrio e con sonorità
trasparenti ben delineate. Lo stato febbrile in
cui si trovavo non ha impedito di evidenziare le
sue ottime qualità d'interprete. Ancora più rara,
non essendoci video completi neanche in rete, la
Sonata scelta dalla pianista cinese Qianyu Guo,
riferita all'italiano Giuseppe Martucci.
È
un brano particolarmente virtuosistico l'Op.34,
nella tonalità di Mi maggiore
e nei
classici quattro movimenti. La Guo ha espresso
una cura del dettaglio con espressività
trasparente del suo bel suono tondo. La pianista
Volha Karmyzava è arrivata al Novecento francese
con due Sonatine, quella di Maurice Ravel e
quella di Darius Milhaud. Sonate a tutti gli
effetti, in realtà sono entrambe caratterizzate
da una maggiore brevità di durata e da una
struttura
in
tre movimenti. La deliziosa
Op.40
del
primo francese è di un'eleganza raffinata e la
pianista russa, naturalizzata italiana, ha
delineato con straordinaria sicurezza e con
massima interiorizzazione il linguaggio
raveliano, per una restituzione di alto livello
estetico. Ottimo anche il Milhaud dell'Op.354
nei tre movimenti
L'aube, La matinée
e
Midì, ben contrastati e ancora
delineati con dinamiche precise in ogni
dettaglio. Pubblico molto partecipe nella sala
minore del Dal Verme spesso al completo.
18 settembre 2024 Cesare
Guzzardella
GRANDE SUCCESSO DEL
PIANISTA GABRIELE CARCANO AL FESTIVAL PIANOVARA
Ieri,
17/09, l’Auditorium del Conservatorio Cantelli
di Novara, nell’ambito del Festival PiaNovara,
ha visto il recital del quarantenne pianista
torinese Gabriele Carcano. Decennale e intensa
carriera concertistica alle spalle, importanti
premi in vari concorsi in Italia e all’estero,
docenza di pianoforte principale all’Accademia
della Musica di Pinerolo e al Cantelli di
Novara, Carcano ha eseguito un programma
impaginato con intelligenza e finezza: le 4
Ballate op. 10 di J. Brahms e i 4 Impromptu
op.90 di F. Schubert. Una scelta, quella di
Carcano, decisamente virata su una musica di
cesellate sfumature, improntata ad una sottile
vena di delicato e suggestivo intimismo. Carcano
è pianista di fraseggio raffinato, fatto di un
suono espressivamente ricco di sfumature e. a un
tempo. Chiaro e trasparente. La Maestria del
pianista torinese si esprime nel respiro della
frase e in un tocco sensibile e timbricamente
vario, unito ad una rigorosa autorevolezza
interpretativa. Sono queste risorse che
permettono a
Carcano
di esaltare la varietà dei registri timbrici e
dinamici delle ballate brahmsiane, offrendo, in
particolare un’interpretazione di livello
altissimo della quarta in Si Maggiore, che il
fine fraseggio del Maestro torinese, sostenuto
da un uso del pedale ispirato da un gusto
squisito, approfondisce nei suoi chiaroscuri
quasi impressionistici e scava in una dimensione
di intima e intensa meditazione poetica: siamo
decisamente già nel clima dei Klavierstucke
op.76, ed è chiaro che la magistrale
interpretazione di Carcano guarda a quell’opera
come imprescindibile riferimento per il pianismo
brahmsiano. Quanto osservato a proposito delle
Ballate di Brahms, non si potrebbe che ripetere
per i quattro Impromptu di Schubert: anche per
questi stupendi pezzi l’ascoltatore non può che
restare davvero ammirato di fronte alla
sensibilità di Carcano nell’interpretarne la
varietà di timbri e chiaroscuri, sostenuta da un
suono che, più che dalle dita, sembra davvero
uscito dal cuore, senza mai un momento di
monotona meccanicità. È soprattutto col terzo
Impromptu in Sol bem. maggiore che il pianista
torinese raggiunge i vertici d’intensità
espressiva del suo recital: è davvero di
meravigliosa bellezza il modo in cui Carcano
suona la lunga melodia, tipicamente schubertiana
nel suo espandersi in un alone sempre più ricco
di sfumature, intensificandone progressivamente
il clima emotivo di intimo raccoglimento, in una
calma estatica, appena ombreggiata
dall’atmosfera fremente e oscura della parte
centrale. Un vero gioiello di interpretazione.
Un tesoro di pezzi brevi di perfetta cesellatura
tecnica ed emotiva: questo il recital di Carcano,
che ha riscosso un meritato straordinario
successo di pubblico, ricambiato col bis: uno
dei Pezzi Lirici di Grieg, interpretato con
tutta la garbata eleganza e ricchezza di valori
timbrici di cui è capace questo Maestro del
pianoforte. Un pianista, Carcano, che non ci si
stancherebbe mai di ascoltare.
18 settembre 2024 Bruno Busca
I
Gurre-Lieder di
Arnold
Schönberg alla
Scala diretti da Riccardo Chailly
Nel
150° della nascita di Arnold Schönberg sono
stati proposti al Teatro alla Scala i Gurre-Lieder,
opera tonale di Arnold Schönberg per una
compagine orchestrale e corale di inconsueta
dimensione. A questa si aggiungono anche cinque
voci soliste che si sono avvicendate nelle tre
parti che compongono il grande lavoro del
primissimo Novecento. Il direttore Riccardo
Chailly alla guida dell'Orchestra della Scala
era coadiuvato per il Coro del Teatro da
Alberto
Malazzi, mentre il Chor des Bayerischen
Rindfinks, che completava la massa delle voci,
era diretto da Peter Dijkstra. È un lavoro
importante quello dei "Canti di Gurre".
Composti da Schönberg in più momenti": la prima
parte era già stata organizzata nel 1903, mentre
i canti rimanenti terminarono nel 1911 per
essere eseguiti in una versione completa nel
1913. È uno Schönberg più tradizionale quello di
questa ampia composizione, non certo
dodecafonico, ma legato alla tradizione
wagneriana, dei tardoromantici e anche di
Mahler. La prima parte del lavoro era nata in
versione cameristica per due pianoforti a otto
mani che accompagnavano un soprano e un tenore.
La
versione definitiva, con la grande orchestra, ha
reso unitarie le tre parti, con quelle laterali
più ampie, e quella centrale più breve. L'ottima
direzione di Chailly ha messo in risalto
l'orchestrazione di Schönberg, particolarmente
articolata, con frangenti cameristici in
alternanza ad altri di grande impatto
orchestrale e corale che rivelano la
straordinaria cultura strumentale del
compositore austriaco. L'utilizzo del Coro,
avvenuto nella terza parte del lavoro, ha
aumentato ancor più la dimensione volumetrica e
spaziale dell'esecuzione. Di qualità il cast
vocale: Andreas Schager in Waldemar,
Camilla Nylund in Tove, Okka von der
Damerau in Waldtaube, Michael Volle in
Bauer e Sprecher e Norbert Ernst in
Klaus Narr. Applausi meritatissimi
interminabili in una Scala colma di pubblico.
Questa sera alle ore 20.00 l'ultima replica. Da
non perdere
17 settembre 2024. Cesare
Guzzardella
A NOVARA E’
COMINCIATA LA SECONDA STAGIONE DEL
FESTIVAL PIANOVARA
Per il
secondo anno consecutivo la lunga e articolata
stagione di musica da camera proposta dal
Conservatorio novarese G. Cantelli è stata
aperta ieri, 16 settembre, dal Festival
Pianovara, una vera ‘festa’ per i musicofili
della città, che, tra master, convegni aperti al
pubblico e concerti pianistici, si snoderà per
un mese, sino alla metà di ottobre, con
appuntamenti quasi quotidiani. Secondo il
programma originario, il concerto inaugurale del
Festival doveva vedere protagonista il Maestro
ucraino
Sajenko (1991), che ha purtroppo dato forfait
per una indisposizione. Tale circostanza ha
offerto l’occasione di ascoltare per la prima
volta a Novara un giovanissimo pianista ‘emergente,
il diciannovenne milanese Massimo Urban, che
conta al suo attivo una nutrita serie di
applauditi recital ed esibizioni, nonché un
impressionante numero di premiazioni, tra
assolute e speciali, in importanti concorsi
nazionali e internazionali. Il programma con cui
Urban si è esibito dinanzi al pubblico novarese
era, soprattutto nei suoi due ultimi numeri, di
notevole complessità tecnica: proponeva la
Sonata n.12 in Fa maggiore op. 332 di Mozart,
l’Uccello di Fuoco di Stravinsky, nella
trascrizione per pianoforte solo di Guido Agosti
(le ultime tre parti della versione 1919 della
Suite), una delle poche composizioni rimaste
ancor oggi in repertorio (Beatrice Rana, Daniil
Trifonov) di questo grande pianista, allievo di
Busoni, ingiustamente caduto nel dimenticatoio,
per concludere con la Sonata in Si minore di
Liszt. Ed è proprio questo il pezzo in cui, a
nostro avviso, Urban ha dato il meglio di sé,
con una esecuzione di alto livello, non solo
sotto il profilo di un funambolico virtuosismo,
ma anche sotto quello espressivo. Il
diciannovenne milanese è dotato di un suono di
grande volume e potenza, sostenuto da un tocco
sempre preciso e ben tornito che nelle zone
acute della tastiera sa attingere un bel nitore
perlaceo. Con una scelta molto bel calibrata di
tempi e ritmi, una sapiente gestione delle
dinamiche e dei contrasti agogici e soprattutto
un ricorso a pause di raffinata espressività,
Urban ha saputo interpretare con intensa
efficacia questa ‘cattedrale’ della musica, come
lui stesso l’ha definita nella bella
presentazione al pubblico. Sia le sezioni di più
accesa e quasi convulsa tensione agogica, sia
quella di più distesa e dolce melodicità, sono
uscite, dal fraseggio eccellente di questo
talentuoso ragazzo, come pagine capaci di grande
impatto emotivo, e di ricchezza sonora
ottimamente realizzata nella varietà delle sue
sfumature. Nei precedenti due numeri del
recital, abbiamo invece avuto l’impressione che
Urban non sempre riuscisse a cogliere, con un
fraseggio un po’ piatto e un suono poco duttile,
la ricchezza di sfumature e la dolcezza tutta
particolare della cantabilità mozartiana,
soprattutto nel meraviglioso Adagio della KV
332, né desse voce adeguata a quella magica
varietà di colori timbrici che caratterizza
l’Uccello di fuoco, anche nella versione per
pianoforte, molto ben adattata e orchestrata da
G.Agosti. Urban ha ricambiato gli applausi
prolungati ed entusiastici del pubblico con un
fuori programma da Schubert, il n.3 dei Momenti
musicali di F. Schubert, impostandolo in chiave
di affabile cantabilità. Pur con qualcosa ancora
da perfezionare, com’è ovvio a 19 anni, Massimo
Urban è un pianista di notevole talento,
pienamente provvisto delle basi per diventare
nei prossimi anni un nome affermato nelle nostre
sale da concerto.
17 settembre 2024 Bruno Busca
L'Orchestra dell'Accademia
Nazionale di Santa Cecilia
al Festival MiTo
Successo straordinario nella Sala Verdi del
Conservatorio milanese per Gianandrea Noseda e
l'Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa
Cecilia. Il concerto organizzato dal
Festival MiTo prevedeva tre lavori: il
primo, Con brio, un brano contemporaneo,
era di Jörg Widmann (1973). Un lavoro di oltre
dieci minuti costruito in territorio tonale ma
ricco di effetti sonori " concreti" ottenuti con
tutti gli strumenti. Il brano orchestrale,
realizzato
ottimamente da Widman -compositore ma anche
clarinettista- ha rivelato notevole creatività
nell'integrare ogni sezione orchestrale in un
discorso unitario di valida resa emotiva. Due
brani celebri hanno continuato la serata: prima
il Concerto per due pianoforti ed orchestra
kV 365 di Mozart e, dopo l'intervallo, la
Sonfonia n.5 op.67 di Beethoven. Solisti al
pianoforte nel brano mozartiano due eccellenti
interpreti quali Jan Lisiecki e Francesco
Piemontesi. Il duo, in
perfetta
sincronia nella divisione delle parti solistiche,
hanno trovato un'eccellente sinergia con
l'Orchestra romana per una resa ottimale dei tre
movimenti. Eccellente la decisa discorsività
nella chiarezza espressiva del Rondò.Allegro
finale. Due i bis concessi dal duo: prima un
eccellente Dvorak a quattro mani e poi,
accompagnando il primo violoncello
dell'orchestra, un ottimo Cigno di
Camille Saint-Saens. Applausi fragorosi. Di
notevole qualità, a conclusione, la celebre
Quinta Sinfonia beethoveniana, diretta con
grinta e chiarezza da Noseda. Soprattutto nei
movimenti laterali, l'Allegro con brio e
l'Allegro-Presto finale la nota compagine di
ottimi strumentisti ha mostrato una qualità di
altissimo livello in ogni sezione dell'ampia
orchestra. Applausi fragorosi in una sala
stracolma di appassionati.
16 settembre 2024 Cesare
Guzzardella
Costanza Principe e il
Catalogue d'oiseaux
di Messiaen per il
Festiva MiTo
Un'impresa interpretativa non indifferente
quella di eseguire l'intero Catalogues
d'oiseaux di Olivier Messiaen. La pianista
Costanza Principe, ascoltata più volte nel suo
amatissimo Schumann, ha voluto spostarsi di un
secolo per dedicarsi ai lavori di un importante
musicista del Novecento, il francese Olivier
Messiaen (1908-1992). È un ricercatore
di
sonorità Messiaen, oltre ad essere stato un
appassionato studioso di ornitologia. Nella sua
ampia opera Cataloguue d'oiseaux, 13 ampi
brani dalla durata complessiva di quasi tre ore,
titolati con nomi di uccelli, il grande
musicista francese - anche eccellente organista
e pianista- ha messo in perfetta sintonia le
timbriche pianistiche con i cinguettii sottili e
rapidi dell'usignolo, del rigolo,
del passero, dell'allocco e di
altri ancora. La Principe ha suddiviso la
raccolta in tre momenti esecutivi: alle ore
9.00, alle 16.30 e alle 20.00, in un luogo
all'aperto, il giardino della Rotonda della
Besana, con il pianoforte localizzato sotto un
grande albero. Un ambiente naturalistico che
unisce perfettamente i due mondi sovrapposti con
passione dal grande musicista d'Avignone. La
monumentale opera gioca sul
caratteristico
linguaggio del francese, un linguaggio molto
personale, ricco di colori, di ritmi e di
effetti di rapida successione di note che, tra
stratificazioni di accordi apparentemente
dissonanti, e successione di veloci sequenze di
frasi/cinguettii, ci immergono in un mondo
naturale costruito da timbriche di efficace resa
espressiva. La Principe, con una sicurezza
inaudita, di chi ha studiato in modo
approfondito il lavoro immergendosi con
passione
nella poetica del francese, ha superato questa
straordinaria impresa eseguendo i brani senza un
attimo di cedimento, anche quando nel concerto
pomeridiano, un evidente disturbo di bimbi che
giocavano nell'area giochi ha parzialmente
compromesso la sua tensione emotiva. Nel
concerto serale, a luci soffuse, la resa già
ottima dell'interprete ha raggiunto situazioni
d'eccellenza che dimostrano le qualità e la
versatilità di un'artista che ha lasciato per
alcune ore il mondo romantico, soprattutto
schumanniano, per quello modale e naturalistico
di Olivier Messiaen. Interpretazioni di alto
livello per la bella e bravissima Principe,
molto apprezzate dal numeroso pubblico
intervenuto al Festival MiTo.
15 settembre 2024 Cesare Guzzardella
L'Orchestre de
l'Opéra
de Lyon per il Festival MiTo
Il Festival
MiTo ha portato a Milano l'Orchestre de l'Opéra
de Lyon e il suo attuale direttore musicale, il
milanese Daniele Rustioni.
L'impaginato
proposto, con due importanti lavori, ha rivelato
tutte le qualità di questa eccellente compagine
strumentale e quelle del suo direttore. Prima
una suite da Roméo et Juliette op.17 del
francese Héctor Berlioz, quindi Pelleas und
Melisande op.5 dell'austriaco Arnold
Schönberg. Due brani particolarmente impegnativi
per la complessità di scrittura nel territorio
orchestrale, portato ad un virtuosismo
esasperato in Berlioz e ad un confine con il
mondo tonale con il poema sinfonico di Schönberg.
Per Berlioz gli esempi virtuosistici strumentali
sono Paganini e Liszt e l'esempio massimo di
costruttore orchestrale è Beethoven; lui vuole
riassumere il mondo virtuosistico e quello
sinfonico realizzando
una
sintesi perfetta tra questi due mondi. Per
Schönberg l'Op.5 rappresenta invece la fase
finale dei riferimenti tonali del tardo
romanticismo e del cromatismo con gli esempi
prediletti di Brahms e di Wagner. Con il
Pelléas in Schönberg iniziano a scorgersi i
primi riferimenti al mondo atonale e a quello
della dodecafonia del quale il musicista
diventerà l'inventore. Ottime le interpretazioni
fornite dall'orchestra francese. Rustioni ha
rivelato una capacità di pesare anche le
timbriche più discrete, dove i volumi sonori
stentano quasi a rivelarsi. Energici molti
frangenti della suite di Berlioz e ben
approfondita e dettagliata la non facile opera
di Schönberg, un lavoro che dimostra la solidità
costruttiva del grande compositore viennese
naturalizzato statunitense. Grande successo di
pubblico al Dal Verme, con Rustioni che al
temine ha voluto ricordare che ieri, 13
settembre, era il compleanno di Arnold Schönberg:
avrebbe compiuto 150 anni! Serata splendida
14 settembre 2024 Cesare
Guzzardella
Alessandro Cadario e
Anna
Tifu per il
Festival MiTo
Al
Teatro Dal
Verme un programma novecentesco e contemporaneo
ha visto sul podio dell'Orchestra "I Pomeriggi
Musicali" Alessandro Cadario, direttore abituato
alle novità, come quella del brano ideato dalla
compositrice Roberta Vacca (1967) su commissione
di MiTo ed eseguito in Prima Assoluta. È
denominato P24 - 5 fotogrammi per
orchestra
- Omaggio a Puccini. Il lavoro, in cinque
parti, precisamente Il toscano, La barca, La
spingarda, La macchina e Le donne,
vuole omaggiare il grande compositore toscano
rivelando anche riconoscibili citazioni dalle
sue opere. La Vacca ha trovato una relazione tra
i cinque oggetti/affetti delle
titolazione con le sonorità della sua musica. È
un brano interessante per l'originalità del
linguaggio, personale nelle timbriche velate,
con volumi spesso sottili: restituzioni morbide
rese molto bene dagli orchestrali, evidenziando
i contrasti dinamici senza bisogno di
accentuazioni volumetriche eccessive.
Il
lavoro orchestrale, di oltre venticinque minuti
di durata, ha comunque momenti di estroversione
ritmica e nell'ultimo fotogramma, "Le
donne", le citazioni di celebri arie pucciniane,
dalle opere più note, risultano evidenti.
L'ottima composizione, presentata dalla stessa
compositrice, è stata particolarmente applaudita
dal numeroso pubblico presente in sala. Dopo il
breve intervallo è salita sul palcoscenico la
violinista Anna Tifu per una rarità quale il
Concerto in re maggiore per violino e orchestra
op.35 di Erich Wofgang Korngold. Questo
brano, nei tre classici movimenti, è stato
scritto dal compositore austriaco-statunutense
nel 1945 e sta subendo da alcuni anni una certa
attenzione per l'originalità delle timbriche
neo-romantiche. La nota violinista sarda,
mediata anche
dall'ottima
resa coloristica de "I Pomeriggi" e dalla
precisa direzione di Cadario, ha trovato
un'ottima resa discorsiva, con intonazione
perfetta anche nei momenti di maggiore
virtuosismo. Di spessore compositivo il
Moderato mobile e la Romanza centrale,
meno rilevante ma comunque interpretato
altrettanto bene il movimento finale, un
Allegro assai vivace molto folcloristico e "americano"
che la Tifu ha risolto con scioltezza espressiva.
Le qualità espressive della virtuosa si sono
ancora rivelate nel bellissimo bis solistico
concesso, con un ottimo Ysaye, quello delle
Furies dalla Sonata n.2 per violino solo.
Applausi fragorosi a tutti i protagonisti.
13 settembre
2024 Cesare Guzzardella
Giovani pianisti al
Festival MiTo milanese
È una rassegna
particolarmente interessante quella in corso per
il Festival MiTo nella sala più piccola
del Teatro Dal Verme. Giovani e preparatissimi
pianisti si succedono alle ore 13.00 per un
breve concerto dedicato al genere "Sonata".
Trenta o al massimo quaranta minuti di musica
sono anticipati da una breve presentazione di
Davide Cabassi, noto pianista e organizzatore
musicale, in conversazione con il rispettivo
interprete. Noi abbiamo ascoltato il giorno 10
settembre Lorenzo Pusterla impegnato
in quattro
Sonate (R90-R21-R88-R117) dello spagnolo Padre
Antonio Soler (1729-1783) e poi di Domenico
Scarlatti (1685-1757) con altrettanto quattro
Sonate, precisamente le K213-K119-K208 e K127.
Il giorno successivo è stato il turno della
giovanissima Emma Guercio impegnata in Sonate
classiche di Franz Joseph Haydn (1732-1808) con
la Sonata XVI: 36 e di Wolfgang Amadeus Mozart
(1756-1791) con la Sonata K 333. Interessante
vedere il passaggio geografico-musicale, come
sottolineato da Cabassi e dagli interpreti, tra
il Barocco della scuola tastieristica
italo-spagnola di Soler e di Scarlatti e il
classicismo dei due austriaci. Valide le
interpretazioni delle sonate di Soler e
Scarlatti, quasi tutte di rara frequentazione.
Pusterla ha rivelato una chiara espressività
giocata su una costruzione particolarmente
razionale.
Di eccellente qualità
l'interpretazione della Guercio dei classici
Haydn e Mozart nelle due differenti sonate
accomunate da un non indifferente sviluppo
costruttivo. La pianista, a soli sedici anni, ha
dimostrato di possedere un'evidente capacità di
pesare le timbriche con una precisione di
dettaglio estremamente sicura e di rara
chiarezza coloristica. Applausi sostenuti ad
entrambi gli interpreti in una sala sempre colma
di appassionati.
12 settembre 2024 Cesare
Guzzardella
Successo alla Scala per Il
cappello di paglia di Firenze di Nino Rota
Il cappello di paglia di
Firenze di Nino Rota, farsa musicale in
quattro atti e cinque quadri, è tornato al
Teatro alla Scala dopo ventisei anni. Nella
terza rappresentazione vista ieri, in una serata
dedicata ai giovani, la riuscita della
divertente messinscena del regista Mario Acampa
è risultata evidente, con applausi fragorosi per
tutti i protagonisti.
Conosciamo tutti Rota per
le straordinarie colonne sonore, meno per la
produzione cameristica e orchestrale anche se da
alcuni decenni è in corso una doverosa
rivalutazione; non lo conosciamo molto per la
produzione lirica, oltre una decina di lavori,
dove l'opera in scena in questi giorni
certamente rimane la più frequentata. Nella
farsa Il cappello di paglia di Firenze
la facilità del musicista milanese di creare
motivi orecchiabili è indubbia, la qualità
d'orchestrazione, nella fattispecie curata molto
bene da Donato Renzetti, è mirabile. Rimaniamo
un po' perplessi sulla qualità musicale
complessiva ritrovata nei quattro atti, mancante
di unità stilistica, con frangenti leggeri ma
per nulla profondi, momenti da avanspettacolo
con altri più impegnati , riferibili
stilisticamente a grandi compositori, specie i
russi, ma inseriti come un collage. È nella
realizzazione teatrale che questo rispettabile
lavoro trae il suo successo. Nell'ottima
messinscena di questi giorni dobbiamo
sottolineare, oltre alla valida
direzione di
Renzetti e alla presenza corale curata
ottimamente da Salvo Sgrò, la resa vocale
dell'ottimo cast con molti allievi
dell'Accademia di perfezionamento del Teatro
alla Scala. Non dimentichiamo che l'ottima resa
strumentale era quella dell'Orchestra e del Coro
dell'Accademia del Teatro scaligero. I
protagonisti, tutti all'altezza anche
attorialmente alla terza rappresentazione erano:
Pierluigi D'Aloia, Fadinard, Huanhong Li,
Nonancourt, Vito Priante, Beaupertuis,
Paolo Antonio Nevi, Lo zio Vézinet,
William Allione, Emilio, Haiyang Guo,
Felice, Laura Lolita Peršivana,
Elena, Greta Doveri, Anaide, Marcella
Rahal, la Baronessa di Champigny, Fan
Zhou, La modista, Daniel Bossi,
Minardi, Tianxuefei Sun, Achille di
Rosalba e Wonjun Jo, Un Caporale delle
guardie. Di qualità le scene rotanti
di Riccardo Sgaramella, i costumi colorati di
Chiara Almatea Sciarelli, le luci di Andrea
Guretti e le coreografie di Anna Olkhovaya. Le
prossime rappresentazioni sono il 14 e il 18
settembre. Da non perdere!( foto
di Brescia e Amisano- Archivio Scala)
11 settembre 2024 Cesare
Guzzardella
Il Diavolo a tutto campo
in prima assoluta
per il Festival MiTo
Da una
collaborazione tra il musicista bolognese Fabio
Vacchi (1949) e il video-artista Lorenzo Letizia
(1980), su commissione del Festival MiTo, è nato
"Il Diavolo a tutto campo" , un ampio
lavoro per video, coro, orchestra e
tromba
concertante. L'idea di celebrare i 125 anni di
nascita della squadra calcistica del Milan -
situazione analoga verrà realizzata a Torino con
la relativa squadra- ha generato questa
particolare e, probabilmente, prima opera
artistica, dove le suggestive timbriche
dell'Orchestra Sinfonica e Coro Sinfonico di
Milano, orchestra per l'occasione diretta
magistralmente dal direttore ventisettenne Diego
Ceretta, e il collage video-grafico di Lorenzo
Letizia hanno portato ad un'interessante
realizzazione artistica. La musica di Vacchi, di
rilevante suggestione timbrica, ha messo in
rilievo la tromba solista del bravissimo
Alessandro Rosi. È un lavoro complesso, diviso
in molte sezioni "Il Diavolo a tutto campo",
che
vuole evidenziare la ritualità del gioco del
calcio senza sminuirne la portata culturale e
sociale. Nella presentazione al brano,
introdotto da Angelo Foletto, con il musicista,
il video-artista e un rappresentante dell'AC
Milan, Vacchi ha evidenziato la valenza
democratica del calcio, gioco che unisce tutte
le culture, tutte le etnie, senza distinzione di
classe. La composizione, oltre settanta minuti
d'intensa musica, è suddivisa in più sezioni e
la tromba solista, spesso a distanza con il "tutto
orchestrale", crea un'atmosfera di profondità
discorsiva definita anche da pregnanti ed
espressive timbriche orchestrali sovente
ampliate dai colori dell'ampio Coro preparato da
Massimo Fiocchi Malaspina. Gli impasti
coloristici delineati da un linguaggio
comprensibile, ben articolato nella solida
impalcatura architettonica, generano situazioni
inquiete ma di indubbia espressività con
richiami alla tradizione migliore del
Novecento
europeo. Le immagini di Letizia scorrono
rapidamente sullo schermo, in bianco e nero, a
colori, con salti nel tempo, dai decenni più
lontani, soprattutto riferiti agli anni '60 e
'70, sino a quelli più vicini a noi mostrando
anche intrecci tra passato e presente della
città di Milano. Il montaggio molto libero,
realizzato dal video-regista, ha una sua
autonomia, e le sequenze filmiche sono spesso
slegate dalla musica di Vacchi, musica che non
vuole avere nessuna valenza descrittiva, ma,
come dice il compositore, solo evocativa. Il
numeroso pubblico intervenuto in Auditorium ha
certamente apprezzato l'originale lavoro,
tributando al termine fragorosi applausi al
direttore, all'orchestra, al coro, alla tromba
solista e anche al compositore e al video-artista
saliti sul palcoscenico. Una suggestiva ed
interessante serata pluridisciplinare.
10 settembre 2024 Cesare Guzzardella
La Filarmonica
della Scala e
Riccardo Chailly inaugurano il Festival MiTo
milanese
È un
omaggio al Novecento il concerto inaugurale del
Festival MiTo di Milano. Il Teatro alla
Scala, l'Orchestra Filarmonica del teatro e il
suo direttore Riccardo Chailly hanno reso
musicalmente pregnante il tardo pomeriggio di
ieri con un impaginato che prevedeva brani di
Luciano Berio, Wolfgang Rihm e Maurice Ravel. I
quattro brevi
brani
sinfonici del musicista ligure, Quatre
Dédicaces, hanno introdotto il concerto
rivelando una forza espressiva di straordinario
livello, giocata su un utilizzo di grande
impatto volumetrico degli ottoni e dei legni.
Fanfara, Entrata, Festum e Encore
sono stati composti da Berio negli anni '80 e
rivelano le qualità del compositore nel tessere
in modo esaustivo chiare ed incisive timbriche,
dove gli impasti delle sezioni orchestrali dei
quattro brevi e raffinati brani trovano punti
coloristici comuni per una prorompente forza
discorsiva. L'ottima resa della Filarmonica ha
trovato un attento e accurato direttore in
Chailly, il quale ha dato una prova di ottima
qualità. Di analoga o forse ancor più
significativa resa espressiva il secondo brano
in programma. Dis-Kontur di Rihm,
musicista tedesco scomparso nel luglio di
quest'anno, è un lavoro per grande orchestra composto nel
1974, all'età di ventidue anni. Era in prima
esecuzione italiana. La complessità del brano,
di quasi venticinque minuti di durata, trova
come protagonista iniziale un percussionista che
con 51 colpi di martello, mediati anche dai
timpani, introduce timbriche definite da
modalità compositive ricche di colori,
suggestive e di grande pregnanza espressiva.
La
lucida è trasparente direzione di Chailly -
direttore che ha voluto rendere omaggio al
compositore scomparso con delle sentite parole
introduttive all'esecuzione del coinvolgente
lavoro- ha portato ad un'interpretazione di
eccellente qualità per una resa sinergica di
ogni sezione orchestrale. Il brano conclusivo,
le note Suite n.1 e n.2 (1911-12) di
Maurice Ravel dal balletto Daphinis et Chloé,
hanno portato poi ad un clima incantato che ha
rivelato tutte le qualità del raffinato
musicista ed eccelso orchestratore francese. La
resa interpretativa dell'ottima Filarmonica
scaligera è stata all'altezza di questo
capolavoro che trova nel movimento conclusivo
della Suite n.2, la Danse générale, il
frangente più affascinante. Applausi calorosi al
termine, in un Teatro alla Scala al completo.
9 settembre 2024 Cesare
Guzzardella
La Serva Padrona
di Pergolesi al
MaMu milanese
Ieri 5
settembre, presso il Magazzino Musica di via
Soave 3 a Milano, sono stati festeggiati i nove
anni di attività del MaMu. Una presenza
sempre più interessante che ha
trovato
una partecipazione sostenuta e di maggiore
frequenza in un luogo musicale che tra vendite
di spartiti, strumenti e iniziative culturali ,
con concerti cameristici e incontri di
presentazione di libri, trova sempre maggiore
importanza nel mondo musicale di Milano. Ieri il
MaMu Ensemble, diretto da Gianni De Rosa
ha proposto il celebre Intermezzo buffo
La Serva Padrona
di
Giovanni Battista Pergolesi, composto su
libretto di Gennaro Antonio Federico nel 1733.
La regia di Pierpaolo Martella e i costumi di
Nicola Olivieri hanno ben delineato i
protagonisti: Serpina nell'incisiva voce
di Martina Saviano e Uberto in quella
altrettanto incisiva di Pierpaolo Martella.
L'ottima recitazione dei due divertenti
personaggi ha trovato anche sinergia con la
mimica di Nicola Olivieri, un ottimo Vespone.
La
riduzione cameristica dell'Ensemble,
diretto in modo preciso e dettagliato da De
Rosa, ha creato un'ambientazione ideale per il
piccolo ma suggestivo ambiente del MaMu, per
l'occasione stracolmo di pubblico. Applausi
sostenuti al termine dei due brevi intermezzi
che compongono il capolavoro di Pergolesi, e
taglio della torta finale per una serata di
musica e festa certamente da ricordare.
6 settembre 2024 Cesare
Guzzardella
AGOSTO 2024
Successo per L'equivoco
stravagante
di Rossini a Pesaro
Un
giovanissimo Giochino Rossini scrisse la sua
terza opera a diciannove anni. L'equivoco
stravagante, come sua seconda opera in scena,
venne rappresentata a Bologna al
Teatro
del Corso il 26 ottobre del 1811 trovando da
subito una contestazione, dopo tre
rappresentazioni, e una decisa censura per il
contenuto ambiguo che già il titolo delineava.
Questo costrinse il librettista Gaetano Gasbarri
a drastici cambiamenti nel testo del suo "dramma
giocoso in due atti". L'opera, ripresa
quest'anno, dopo il successo al Vitrifrigo Arena
pesarese nel 2019, ha trovato un migliore
adattamento ieri sera al Teatro Rossini, sempre
nel convincente allestimento di Moshe Leiser e
Patrice Caurier, ottenendo un rinnovato successo
di pubblico
nella
quarta e ultima rappresentazione.
L''eccellente direzione musicale del giovane
Michele Spotti, l'ottima qualità complessiva
del cast vocale, e la notevole regia
di Leiser e Caurier, hanno determinato lo straordinario
successo di un' opera di rara esecuzione, ma che
rivela già le geniali qualità musicali del
musicista pesarese. L'ottima acustica del
delizioso Teatro Rossini ha permesso di
valorizzare al massimo livello le voci soliste e
la componente corale del Coro del Teatro della
Fortuna di Fano, preparato in modo straordinario
da Mirca Rosciani, nella miscelazione timbrica
strumentale dell'ottima Filarmonica Gioachino
Rossini. Tra le voci, tutte ottime, spicca
quella di Nicola Alaimo,
dettagliata
e di rara potenza timbrica in Gamberotto,
la voce più applaudita. Di ottimo e pari livello
i timbri di Maria Barakova, bravissima
Ernestina, ottima anche attorialmente, di
Carles Pachon, un incisivo Buralicchio;
altrettanto valido per incisività e bellezza
coloristica, Pietro Adaini in Ermanno. Di
valore Patricia Calvache, Rosalia e
Matteo Macchioni, Frontino. Eccellenti i
movimenti corali nell'unica scena di Christian
Fenouillat ben illuminata da Christophe Forey
con i riusciti costumi di Agostino Cavalca. Un
successo strepitoso per una messinscena che
verrà ricordata a lungo.
22 agosto 2024 Cesare
Guzzardella
Daniela Barcellona al
Rossini Opera Festival
IL
ROF di Pesaro ha anche momenti di grande
intensità lirica come quello del recital
ascoltato ieri nel pomeriggio al Teatro Rossini,
prima della serata operistica. Il mezzosoprano
Daniela Barcellona ha deliziato il
numerosissimo
pubblico di appassionati al canto con una scelta
di brani variegati che comprendevano arie di
Manuel De Falla, Francesco Paolo Tosti,
Gioachino Rossini, Ambroise Thomas e Gaetano
Donizetti. Questi sono stati inframmezzati da
due intermezzi eseguiti dal bravo pianista
Alessandro Vitiello: due tra le più celebri
Polacche di Chopin, l'Op.26 n.1 e l'Op.40
n.1, interpretate con valida comunicativa,
specie la seconda, la nota Polacca "Militare".
Ma è nella calda voce della Barcellona,
partendo dalle splendide Sette canzoni
popolari spagnole di De Falla, che il
concerto ha trovato una resa certamente di
evidente qualità. La voce corposa è scura della
cantante triestina ben si è miscelate con le
sonorità spagnole dei sette brani che compongono
le Canciones popolares del grande
compositore iberico. A seguire, quattro rarità
di Tosti hanno trovato toni ancora profondi con
le Quattro canzoni d'Amaranta. Quindi
finalmente il dedicatario del festival, Rossini,
con i tre brani da La regata siciliana da
Péchés de vieillesse, vol.1. Sempre del
pesarese dall'opera Tancredi il
recitativo "O patria!" e la Cavatina
"Di tanti palpiti" hanno ancor più rivelato
le qualità recitative della Barcellona. Un
delizioso Air de Mignon "Connais-tu le pays",
dall'omonima opera Mignon di Ambroise
Thomas,
ha ancora evidenziato la bellezza
timbrica del celebre mezzosoprano. A conclusione
del programma ufficiale un ottimo Donizetti
dalla Favorita con l'Aria di
Leonora "O mon
Fernand" ha portato ai fragorosi applausi
del pubblico. Due i bis concessi: da Carmen di
Georges Bizet " L'amour est un oiseau rebelle"
e da Adriana Lecouvreur "Acerba voluttà,
dolce tortura" di Francesco Cilea. Un
pomeriggio musicale memorabile. Applausi
continuati meritatissimi!!
22 agosto 2024 Cesare
Guzzardella
Il duo pianistico
Ballista-Canino
alla Milanesiana di Elisabetta Sgarbi
Centosettantasei anni in due sono un traguardo
importante per Antonio Ballista, classe 1936 e
88 anni compiuti da qualche mese, e Bruno Canino,
classe 1935 e ancora 88enne. I due noti pianisti,
il primo milanese, il secondo napoletano ma da
sempre a Milano, hanno partecipato con un breve
ma intenso concerto, dedicato al compositore
torinese
Alfredo Casella (1883-1947), all'ultima serata
della Milanesiana, importante vetrina culturale,
giunta alla 25ma edizione e intitolata "La
timidezza (e i suoi contrari)". Organizzata
dalla bravissima Elisabetta Sgarbi, la
manifestazione coinvolge ogni settore
disciplinare, intellettuale ed artistico. Il
duo, nell' elegante cornice del Piccolo Teatro
Grassi di via Rovello, è stato anticipato da un
interessante incontro- ben introdotto dalla
Sgarbi- con due noti scrittori, ossia la
palestinese Adania Shibli (1974) e il romano
Vincenzo Latronico (1984). Entrambi hanno voluto
esaltare l'importanza del romanzo come elemento
creativo, che vive in modo spesso autonomo dal
mondo reale, ma che spesso viene osteggiato dal
potere dei Paesi che vogliono "controllare la
cultura" per convenienze politiche.
L'ultimo
romanzo della Shibli, tradotto in numerose
lingue, "Dettaglio minore" (2020), ha
trovato inizialmente una certa opposizione,
anche in Germania. " Le perfezioni" di
Latronico (2022), è in corso di traduzione in
venti lingue. L'interessante dialogo si è legato
alle più recenti e tragiche vicende della guerra
in corso a Gaza. Si è poi trovato un momento di
elevato spessore artistico con il concerto di
Ballista e Canino che, a quattro mani, hanno
eseguito brani di Alfredo Casella, perfettamente
in tema: Pagine di Guerra e Pupazzetti,
intervallati però da una riuscita trascrizione,
sempre di Casella,
di
Schattenhafl dalla Sinfonia n.7 di
Gustav Mahler. Il duo, coordinato in modo
preciso, ha esaltato con espressività i momenti
spesso drammatici di tutti i brani eseguiti,
quelli di un grande compositore, Casella, che
andrebbe incluso con maggiore frequenza nei
programmi concertistici.Una serata molto valida
quella di ieri sera, con applausi finali a tutti
i protagonisti (anche dell'eccellente
organizzazione), saliti sul palcoscenico.
1 agosto 2024 Cesare
Guzzardella
LUGLIO 2024
Beatrice Rana
in concerto "Aspettando
la Grande Brera"
La
pianista salentina Beatrice Rana, interprete di
fama internazionale, è stata la protagonista del
secondo concerto estivo tenuto presso il Cortile
d'Onore della Pinacoteca di Brera. Queste serate
musicali - nella prima ha suonato Nicola Piovani-
anticipano quella che sarà l'inaugurazione
prevista per il 7 dicembre 2024 della "Grande
Brera", il progetto di ampliamento della
Pinacoteca milanese. Come ha ben spiegato,
introducendo la serata, il neo-direttore Angelo
Crespi, tale progetto ha previsto il restauro,
l’adeguamento e l’allestimento dell’attiguo
Palazzo Citterio
come
spazio espositivo dove ospitare la collezione
d’arte moderna del museo. Di fronte ad un
pubblico numerosissimo, la Rana ha trovato altri
tre ottimi musicisti per un impaginato
cameristico vario, strutturato in modo
intelligente, che prevedeva brani a quattro mani
di Faurè e di Ravel, un brano di Debussy per
solo pianoforte e un trio di Dvorak. Dolly,
suite per pianoforte a quattro mani, op. 56
(1893-97) di Gabriel Faurè ha anticipato
l'ottima intesa della Rana con il pianista e
compagno Massimo Spada, un'intesa musicale di
raffinata sinergia per un lavoro di apparente
leggerezza ma ricco di straordinarie
raffinatezze nei sei momenti musicali che
compongono l'opera, espressa con chiara
riflessività dal duo. Altrettanto valido, ma con
caratteri completamente differenti, il brano
successivo. La Rapsodie Espagnole di
Maurice Ravel nella versione originale per
pianoforte a quattro mani del 1907, ha ritrovato
uno spessore espressivo intenso, meditato e
ancora di straordinaria intesa per il duo
Rana-Spada. Il successivo brano, sempre di un
compositore francese, Claude Debussy, era
L'Isle Joyeuse per pianoforte solo, brano
del 1904. La Rana ha rivelato tutte le sue
eccellenti qualità pianistiche, che hanno fatto
emergere con profondità esternazione coloristica
ogni frangente del celebre lavoro . A
conclusione, si è ascoltato, del musicista ceco
Antonin Dvořàk,
il noto Trio per pianoforte n. 4 "Dumky"in mi
minore, op. 90 (1891).
Insieme
a Beatrice, la sorella violoncellista Ludovica e
la violinista Sayaka Shoji, hanno trovato
un'intesa di alto livello nel delineare le
caratteristiche folcloristiche boeme e slave di
questo capolavoro di Dvorak. Un brano che oltre
a rivelare le ottime armonizzazioni della
pianista, ha individuato straordinarie
melodicità per il violino della Shoji e per il
violoncello di Ludovica Rana. Un lavoro molto
apprezzato dal pubblico che gremiva il cortile,
illuminato molto bene per l'occasione. Ancora
applausi meritatissimi a tutti e quattro i
protagonisti.
26 luglio 2024 Cesare
Guzzardella
Presentato a Milano il
"MONDADIZZA MUSIC WEEK 2024"
Lunedì 22 luglio alle ore
12:00 nella Sala del Gonfalone a Palazzo Pirelli
è stato presentato "MONDADIZZA MUSIC WEEK 2024".
L’iniziativa è patrocinata dal Consiglio
Regionale di Lombardia, da ERSAF e del Comune di
Sondalo; con il contributo di Fondazione
ProValtellina, Comunità Montana Alta Valtellina,
BIM e Provincia di Sondrio. Hanno partecipato
alla presentazione della MMW anche il Presidente
del Consiglio Regionale
di Lombardia Federico Romani, il Consigliere
Carlo Borghetti, il Sindaco di Sondalo Ilaria
Peraldini e il Presidente della Comunità Montana
Alta Valtellina Francesco Cossi.
“La
Mondadizza Music Week" nasce dall’idea di unire
talento e territorio attraverso una sfida di
contenuti che si basa sulla qualità delle idee e
sull’innovazione. L’obiettivo è duplice. Da un
lato promuovere e sostenere i giovani musicisti
di talento, come avviene nella ‘cantera’ delle
squadre di calcio, dall’altro far scoprire o
riscoprire un territorio montano straordinario
come l’Alta Valtellina. È questo il percorso su
cui si sta muovendo con successo da ormai sei
anni la Mondadizza Music Week che è una
bellissima opportunità culturale, ma è anche una
preziosa occasione per riappropriarsi di un
territorio e per sentirsi comunità”. Con queste
parole il Presidente del Consiglio regionale
Federico Romani ha presentato questa mattina a
Palazzo Pirelli la sesta edizione della
Mondadizza Music Week (MMW), laboratorio
musicale che si terrà dal 28 luglio al 4 agosto
nella piccola frazione di Sondalo (SO) in Alta
Valtellina La MMW unisce arte, talento, comunità
locale e turisti: crea opportunità di crescita
per i musicisti, diffonde la musica attraverso
programmi coinvolgenti, valorizza il territorio,
richiama la partecipazione attiva della comunità
favorendo il rilancio della frazione sondalina.
L'importanza della MMW risiede proprio
nell'attenzione alla comunità, al territorio, al
pubblico più decentrato e ai ragazzi, attraverso
il coinvolgimento di giovani professionisti del
mondo della musica. Il territorio sondalino si
anima grazie alla musica, un connubio tra arte,
storia, tradizione e paesaggio, in un'ottica di
turismo sostenibile grazie alla cultura. Musica
e Territorio hanno un legame intimo e antico: i
suoni della natura sono essi stessi musica, gli
strumenti musicali nascono dal legno e da parti
di animali, la natura ha ispirato i compositori
di ogni secolo.
Uomo
e natura sono profondamente interconnessi e
fanno parte di un delicato ecosistema del quale
spesso ci si dimentica” (Eleonora Volpato,
coordinatrice della MMW). L'edizione 2024
prevede la presenza di giovani musicisti e di
tutor di eccezione. I giovani sono tutti under
25 dall'indiscusso talento che prepareranno i
programmi musicali con la supervisione del
pianista Ramin Bahrami e del soprano Ivanna
Speranza, due artisti di grande spessore
internazionale. Vi sarà anche un focus su una
grande artista legata al territorio valtellinese:
la violinista Teresina Tua Quadrio,
straordinaria musicista, antesignana delle
concertiste di oggi, prima artista italiana a
effettuare all'inizio del XX° secolo una tournée
negli USA. “La musica ha il potere di
rivitalizzare l’animo umano, favorire la
condivisione, far vibrare di energia, far
ascoltare il suono della felicità. Grazie a
Mondadizza e ai suoi entusiasti abitanti, ai
volontari e a tutti coloro che rendono possibile
la Mondadizza Music Week 2024” dice Enrica
Ciccarelli, Presidente della Società dei
Concerti. ( foto Davide DiGiorgio dalla
redazione)
23 luglio 2024 dalla
redazione
Terzo incontro-concerto
per "Musica dissidente" alla "Fondazione
Giangiacomo Feltrinelli" di Milano
"Musica
dissidente", a
cura di Carlo Boccadoro, ha avuto la terza e
ultima giornata d'incontro alla Fondazione "Giangiacomo
Feltrinelli" di via Pasubio 5 a
Milano. Boccadoro, compositore, pianista e
direttore d'orchestra, ma anche saggista e
organizzatore musicale, ha come sempre
introdotto i brani in programma in un contesto
tematico
denominato
"No justice, no peace! ". Sono stati
eseguiti quattro brani dalla violinista milanese
Francesca Bonaita, alcuni di questi con
l'apporto del pianista Alessandro Commellato.
Ancora una volta Boccadoro, attraverso la
lettura di testi d'importanti scrittori
americani come Toni Morrison, James Baldwin e
George Jackson, ha voluto sottolineare il tema
dell'oppressione del popolo americano nella
storia, situazioni drammatiche del passato di
discriminazione razziale, ma anche riferimenti
al presente, situazioni che hanno a che fare con
le violenze perpetrate a tutti i più deboli , a
chi non ha il controllo
economico
e politico della società, mettendo in risalto la
sudditanza delle classe sociali svantaggiate
rispetto al potere del grande capitale che
controlla, spesso in modo subdolo, la vita delle
persone. La prima serie di brani, della
compositrice americana Florence Price
(1887-1953), Three Negro Spirituals - in
realtà tre eccellenti trascrizioni per violino e
pianoforte di tre noti spirituals - ha visto la
violinista Bonaita, coadiuvata con altrettanto
efficace espressività da Commellato, delineare
con profonda interiorizzazione coloristica brani
destinati al canto sofferto, per un'esternazione
altrettanto ricca di spiritualità. I due brani
successivi, per violino solo, erano di Giorgio
Colombo Taccani, con il suo Alastor, e di
Fabio Vacchi, con un lirico Respiri.
L'efficace resa tecnico-espressiva della Bonaita,
indicativa della sua indubbia capacità di
affrontare con
disinvoltura
ogni repertorio del passato e del presente, ha
fatto emergere le qualità dei due lavori: il
primo, più aspro e ricco di contrasti ritmici,
ha un virtuosismo solistico che ricorda certo
Ysaye; il secondo giocato su una profonda
tensione lirica ed emotiva, tipica del
compositore bolognese, ha un'espressività che
ricorda Alban Berg. Entrambi i brani, eseguiti
con maestria dalla giovane interprete, hanno
trovato i favori del numeroso pubblico
intervenuto nell'elegante spazio della
Fondazione Feltrinelli, e gli applausi fragorosi
non
sono
mancati anche ai due noti compositori saliti in
palcoscenico. L'ultimo brano in programma,
quello della giovane compositrice di New York
Jessei Montgomery (1981), con il suo
Paece,
per violino e pianoforte,
ha voluto concludere in positivo il tardo
pomeriggio, trascorso soprattutto tra la
drammaticità delle letture scelte da Boccadoro e
i brani riferiti a situazioni introspettive di
indubbia sofferenza. Ottimo il brano della
Montgomery, una compositrice non conosciuta in
Itala ma particolarmente eseguita negli Stati
Uniti. Ancora efficace la qualità espressiva
nella restituzione dell'ottimo duo strumentale.
Applausi meritatissimi a tutti i protagonisti.
17 luglio 2024 Cesare
Guzzardella
Il Quinteto Astor Piazzolla
al Dal Verme per "Worm Up"
L' appuntamento conclusivo
del Festival Worm Up! del Teatro Dal
Verme ha trovato ieri sera l' Orchestra de "I
Pomeriggi Musicali" diretta da Alessandro
Cadario insieme al "Quinteto Astor Piazzolla",
una formazione cameristica che ha come figura
centrale il bandoneon, lo strumento che
ha reso celebre il
grande compositore argentino Astor Piazzolla.
L'impaginato scelto era imperniato sulle sue
composizioni. Una carrellata di brani più o meno
conosciuti è stata programmata nel lungo
concerto iniziato prima con una serie di lavori
per solo Quintetto con il bandoneon di
Pablo Mainetti, il violino di Serdar
Geldymuradov, la chitarra di Armando de
la Vega, il pianoforte di Nicolás
Guerschberg e il contrabbasso di Daniel
Falasca. Poi la sola Orchestra dei Pomeriggi,
diretta molto bene da Cadario con ricerca di
dettaglio coloristico, ha trovato un'eccellente
resa in lavori nei quali è emersa la raffinata
capacità d'orchestrazione di un musicista
geniale come Piazzolla, che dalle melodie
folcloristiche intrise di una ritmica spesso
sincopata, derivante dal tango argentino, arriva
poi ad una seducente ricerca di sonorità
classiche, definite in ogni frangente dalle
sezioni orchestrali,
sonorità che hanno creato
un linguaggio personalissimo, che non trova
analogie con altri compositori. La parte finale
del concerto ha visto il Quintetto insieme
all'Orchestra per ancora numerosi brani eseguiti
con maestria sia dai solisti che dalle sezioni
orchestrali. Eccellenti le parti soliste con il
bandoneon di Mainetti ( Buenos Aires, 1971) in
primo piano in numerosi lavori, ma con anche
interventi del violino, della chitarra
e del pianoforte. Applausi meritatissimi dal
numeroso pubblico intervenuto al Teatro dal
Verme. Parecchi i bis concessi come il celebre
Libertango o uno strepitoso Fugato finale
eseguiti dal solo eccellente Quinteto uscito in
palcoscenico più volte per gli interminabili
applausi del pubblico. Da ricordare.
14 luglio 2024 Cesare
Guzzardella
Presentato a Palazzo
Marino "Milano Cineconcerti Festival 2024"
E'
stata presentata a Palazzo Marino la rassegna di
cinema e di musica "Milano Cineconcerti
Festival 2024". È una grande kermesse di
cinema e di musica che prevede ben 17 spettacoli
all'aperto con proiezioni di pellicole mute con
accompagnamento musicale dal vivo curato da
solisti, formazioni cameristiche e gruppi
d'improvvisazione. Gli
spettacoli live
sono realizzati in due diverse piazze della
città, Piazza Belloveso e Piazza Schiavone, del
Municipio 9. Artefice dell' iniziativa è
Rossella Spinosa, pianista e compositrice
allieva di Azio Corghi, Giacomo Manzoni e Luis
Bacalov. La Spinosa, specialista del settore, ha
realizzato le musiche degli spettacoli in
programma come quelli che citiamo dal programma:
"Sconfiggere la povertà", The Immigrant
di C.Chaplin (1917) e "Sconfiggere la fame",
Il trionfo della vita di A.Gravina (1922).
Ricordiamo però le prime data in Piazza
Belloveso per il 15 luglio con La Casa
Elettrica di B.Keaton (1922) e per il 16
luglio Una locanda di Tokio di Y.Ozu
(1935). Dopo l'introduzione dell'Assessore alla
Cultura Tommaso Sacchi, che tra le molte cose
dette ha sottolineato l'importanza
dell'inziativa fatta anche per portare cultura e
musica nelle zone più periferiche della città,
la Spinosa ha poi motivato le scelte fatte dei
numerosi spettacoli in relazione anche ai due
luoghi dove avverranno le proiezioni.
Importanti
saranno i solisti selezionati per fare musica,
musicisti di primo livello provenienti anche
dalle più rilevanti formazioni strumentali
milanesi. Infine la Presidente del Municipio 9
, Anita Pirovano,
ha concluso la presentazione
raccontando aneddoti su esperienze fatte a
Milano nelle iniziative passate, focalizzando
l'attenzione sull'importanza di ogni esperienza
culturale in ogni zona della
città. Spettacoli di particolare interesse
quindi quelli che ci aspettano tra pochi giorni,
cine-concerti
che consigliamo a tutti.
11 luglio 2024 Cesare
Guzzardella
Secondo incontro-concerto
per "Musica dissidente" alla "Fondazione
Giangiacomo Feltrinelli" di Milano
"Musica
dissidente", a
cura di Carlo Boccadoro, ha avuto la seconda
giornata d'incontro alla Fondazione "Giangiacomo
Feltrinelli" di via Pasubio 5 a Milano. Gli
strumentisti del Teatro alla Scala, Andrea
Piccoli al violino, Francesco Martignon
al violoncello e Andrea Rebaudengo
al
pianoforte, hanno eseguito brani di
Armando Gentilucci (1939-1989) e di Mikis
Theodorakis (1925-2021). Boccadoro, compositore,
pianista e direttore d'orchestra, ma anche
saggista e organizzatore musicale, ha voluto
introdurre i brani dei compositori citati, da
lui segnalati, inserendoli in un ambito storico-politico
particolare, legato a periodi di dittatura, di
assenza di democrazia e di abusi perpetrati
nelle carceri dove compositori non allineati al
regime, come Theodorakis in Grecia, durante il
regime dei "Colonnelli", furono detenuti e
torturati. Attraverso la lettura di testi o di
poesie di alcuni importanti scrittori e poeti,
che hanno messo in risalto le situazioni di
sudditanza ad un potere che controllava
completamente la vita delle persone, Boccadoro
ha quindi introdotto i due lavori in programma.
Il
primo, Come qualcosa palpita nel fondo, per
violino ed elettronica, di Armando
Gentilucci, era nella rara versione originale
del 1973, ripresentata dopo quasi vent'anni,
essendo più frequente la versione solo
strumentale. Il secondo brano, il Trio per
violino, violoncello e pianoforte del
musicista greco Mikis Theodorakis, è invece un
lavoro giovanile del compositore e politico
greco, composto prima del suo arresto. Un brano,
in prima esecuzione italiana, che rivela le
abilità di Theodorakis di comporre in senso
classico, con grande varietà melodica e con
stile anche complesso riferito ai suoi
contemporanei, come
Ŝostakovič
o Prokof'ev.
L'interessante brano di
Gentilucci, musicista deceduto in età
ancora giovane, ha
una parte elettronica realizzata nel famoso
studio di Fonologia della RAI fondato da Luciano
Berio e da Bruno Maderna, con l'ausilio del
grande tecnico Marino Zuccheri. Oltre alle parti
elettroniche registrate su nastro magnetico, con
voci di carcerati e di palestinesi in lotta, si
ascolta una voce femminile registrata che recita
testi di tre brevi poesie. La parte "melodica" è
invece realizzata live dal violino
solista, ieri quello del bravissimo Andrea
Piccoli. La pregnanza di Piccoli nell'elargire
la sequenza melodica atonale, d'intensa
espressività, ben si è inserita nella
sofisticata
realizzazione
elettronica. Un documento importante, come
ricordato da Boccadoro, quello del compianto
Gentilucci. Di ottima qualità per melodicità le
sequenze del Trio per violino, violoncello e
pianoforte del musicista greco. Applausi
sostenuti a tutti i protagonisti, nella
bellissima sala della Fondazione Feltrinelli.
Ultimo incontro previsto per il 16 luglio,
sempre ad ingresso libero con prenotazione, con
la violinista Francesca Bonaita e il pianista
Alessandro Commellato per brani contemporanei di Fabio
Vacchi, Giorgio Colombo Tacconi e di Florence
Price e Jesse Montgomery. Da non perdere
10 luglio 2024 Cesare
Guzzardella
Straordinario successo
per la nuova
Turandot al Teatro alla Scala
Il
Teatro alla Scala ha voluto un nuovo
allestimento di Turandot per commemorare i cento
anni dalla morte di Giacomo Puccini ( 1858-
1924). Ha scelto l'ultima opera, quella che il
musicista toscano lasciò incompiuta a metà del
terzo atto nel 1924. Fu Toscanini, due anni dopo,
nel '26 a
presentare,
proprio alla Scala, Turandot, con l'interruzione
che abbiamo visto ieri sera, alla quarta
rappresentazione (il finale del compositore
Franco Alfano ascoltato ieri fu scritto ed
eseguito successivamente) . Un minuto e oltre di
silenzio sono stati riservati al genio lucchese,
davanti alla sua immagine sferica, con la frase
"Qui Giacomo Puccini morì". In tutto il
teatro tenui ma diffuse luci di lumini,
distribuiti ai presenti, hanno creato
un'atmosfera quasi magica a ricordo del grande
musicista: una commemorazione che ha visto
grande partecipazione emotiva di interpreti,
coro, strumentisti e pubblico. Abbiamo assistito
a una Turandot dove tutte le componenti
artistiche, interagendo in modo perfetto per un
obiettivo unitario, hanno contribuito ad
un'eccellente resa e a un successo pienamente
meritato. Una Turandot di grande impatto scenico
quella voluta dal regista Davide Livermore,
anche scenografo insieme a Eleonora Peronetti e
Paolo Gep Cucco nell' impressionante
integrazione video D-Wok, con costumi di Mariana
Fracasso e luci di Antonio Castro. L'ottima
direzione musicale di Michele Gamba
-che
ancora una volta si dimostra grande conoscitore
della musica operistica, mediata dalle sue
competenze nei repertori antichi e contemporanei
- era giocata su un senso di grandiosità
timbrica, espressa con equilibrio dall'Orchestra
del Teatro alla Scala e dell'imponente Coro. Le
voci coristiche sono determinanti in questo
lavoro e sono state straordinariamente preparate
da Alberto Malazzi. Ottime le scene, ricche di
contrasto, tra la povertà della periferia di
Pechino, dove troneggia l'insegna dell'Hotel
Amour, e lo sfarzo della reggia di Turandot, che
sale in verticale con una lunga scalinata. I
colori forti ricordano indubbiamente la mostra
contemporanea "Dal cuore alle mani", allestita a
Palazzo Reale con le splendide creazioni di
Dolce & Gabbana. Bravissima Anna Netrebko nel
ruolo della Principessa Turandot: voce
potente,
intonata,
di grande impatto scenico, perfetta
nell'esprimere in modo efficace il suo ruolo di
donna crudele, divenuto poi più morbido nel
finale di Alfano. Ottima la performance di Yusif
Eyvazov, in perfetto antagonismo con Turandot,
un Calaf che risulta al termine il
vincitore. Decisamente di spessore la celebre
aria Nessun dorma all'inizio del terzo
atto, iniziata in una parte laterale alta della
scena, e completata in basso nel palcoscenico,
con una penultima nota prolungata
particolarmente incisiva. Eccellente la Liù
di Rosa Feola, probabilmente la voce più bella
nel complesso, molto in crescendo
qualitativamente nel terzo atto nella
conclusione pucciniana. Di alta qualità Raül
Giménez, l'Imperatore Altoum, Vitalij
Kowaljow, Timur, Sung-Hwan Damien Park,
Chuan Wang e Jinxu Xiahou, rispettivamente
Ping, Pang e Pong; ottimi il
Mandarino Adriano Gramigni, le due
ancelle Silvia Spruzzola e Vittoria
Vimercati e il Principe di Persia Haiyang
Guo. Applausi fragorosi per tutti. Prossime
recite per il 6, il 9 , il 12 e il 15 luglio.
Assolutamente da non perdere.( Prime due
foto di Brescia e Amisano - Archivio del Teatro
alla Scala)
5 luglio 2024
Cesare Guzzardella
Alla Scala il Requiem
di Mozart diretto da Thomas Guggeis
Una
direzione ottima quella di Thomas Guggeis per il
Requiem di Mozart al Teatro alla Scala.
Il giovane direttore tedesco è spesso presente a
Milano e ieri sera ha affrontato il capolavoro
del grande salisburghese con piglio deciso e
sicurezza in ogni frangente, dirigendo
l'Orchestra e il Coro
del
Teatro alla Scala. Senza utilizzare la bacchetta,
ha rivelato una gestualità raffinata
nell'anticipare gli interventi dei singoli
strumentisti o delle sezioni strumentali,
elargendo idee chiarissime su come eseguire il
suo Mozart. Un'esecuzione decisa, dove i
contrasti volumetrici tra strumenti, coro e voci
soliste erano ben pesati e in ottimo equilibrio.
L'opera composta dal salisburghese nel suo
ultimo anno di vita, il 1791, è stata eseguita
con la parte completata da Franz Xaver Süssmayr,
il compositore austriaco contemporaneo
di
Mozart, rimasto nella storia solo per questa
importante compartecipazione. Il grande Coro
preparato da Alberto Malazzi ha trovato, a
completamento della componente vocale, quattro
voci soliste: quelle del
soprano Juliana
Grigoryan, del mezzosoprano
Cecilia
Molinari, del tenore Giovanni Sala e del
basso Adam Plachetka, tutte ottime
timbriche che hanno contribuito alla riuscita di
questa eccellente interpretazione. Un'
esecuzione quindi di alto livello, coronata dai
fragorosi applausi del numeroso pubblico
presente in teatro. L'ultima replica è prevista
per domani 5 luglio. Da non perdere!
4 luglio 2024 Cesare Guzzardella
Successo meritatissimo
al
Teatro alla Scala per The Fairy Queen di
Henry Purcell
Una
serata straordinaria quella vista e ascoltata
ieri sera al Teatro alla Scala per l'unica
rappresentazione in forma semiscenica di The
Fairy Queen - La regina delle fate- di Henry
Purcell. L'opera in cinque atti del musicista
londinese tratta da "Sogno di una notte mezza
estate" di William Shakespeare venne
rappresentata a Londra per la prima
volta nel
1692, nel "teatro della regina" Dorset Garden.
Il gruppo strumentale specializzato in musica
antica "Les Arts Florissants" ieri sera
era diretto da un esperto del settore quale il franco-americano
William Christie, (coadiuvato da Paul Agnew)
ideatore e fondatore nel 1979 dell'eccellente
compagine orchestrale . Il gruppo vocale di
solisti e soliste erano del Jardin des voix
2023. Pur essendo in forma semiscenica
rilevante è stata la coreografia e la regia
dello spettacolo di Mourad Merzouki, figura di
spicco della scena Hip-hop dagli anni '90. Il
palcoscenico era continuamente vivacizzato dalla
presenza delle ballerine e dei ballerini della
Compagnie Käfig, abili in situazioni spesso acrobatiche con riferimenti
alle più attuali e popolari movenze dei nostri
giorni. L'inserimento delle otto voci nel
contesto delle danze, con cantanti spesso
partecipanti alla danza, ha creato una
dinamicità che ha arricchito la messinscena
attraverso contrasti particolarmente riusciti
con il susseguirsi delle numerose arie aventi
spesso caratteristiche opposte rispetto ai
movimenti danzanti, essendo a volte di evidente
riflessività, ma comunque di grande fantasia e
ottimamente in sintonia con l'invenzione
coreografica di Merzouki. La scena, molto
colorata, vivacizzata dai costumi di Claire
Schirck e dalle luci di Fabrice Sarcy, è
risultata particolarmente idonea a creare
un'atmosfera giovanile, ricca di energia
positiva. La splendida orchestra con strumenti
originali, diretta magnificamente da Christie,
ha avuto anche un' estensione nel palcoscenico
con la presenza di solisti strumentisti che a
rotazione hanno interagito con i cantanti per
splendidi duetti "strumento-voce" come quello
del rilevante violino di spalla Emmanuel Resche-Caserta
salito sul palcoscenico per interagire con
l'eccellente voce femminile. Ricordiamo le
ottime giovani voci dell'ensemble: il
soprano Paulina Francisco, i mezzosoprano
Georgia Burashko, Rebecca Leggett, Juliette Mey,
i tenori Ilja Aksionov e Rodrigo Carreto, il
baritono Hugo Hermann-Wilson e il basso-baritono
Benjamin Schilperoort. Tra gli straordinari
ballerini: Baptiste Coppin, Samuel Florimond,
Anahi Passi, Alary-Youra Ravin, Daniel Saad e
Timothée Zig. Applausi calorosissimi e alla fine
ancora musica e danza con il direttore William
Christie in palcoscenico. Splendida serata super
applaudita!
1 luglio 2024 Cesare
Guzzardella
GIUGNO 2024
Successo meritato per
il Trittico
pucciniano al Teatro Regio di Torino
Capita
raramente di assistere al Trittico di
Giacomo Puccini. L'ottima proposta del Teatro
Regio di Torino per omaggiare il musicista
toscano, nel centenario della morte, con Il
Tabarro, Suor Angelica e Gianni
Schicchi, in unica soluzione, ha certamente
avuto un grande apprezzamento da parte del
pubblico che ieri sera ha assistito alla quinta
rappresentazione. Tre opere concepite da Puccini
in un lasso di tempo piuttosto breve e confluite
nella prima rappresentazione al Metropolitan di
New York il 14 dicembre 1918. Sono passati
quindi più di cento anni da quel giorno e il
successo al Teatro Regio sicuramente verrà
ripetuto nelle ultime tre repliche previste (30
giugno- ore 15.00- , 2 e 4 luglio - ore 19.30).
Le tre brevi opere, circa 60 minuti di durata
ognuna, sono state portate prima sulla scena del
Théâtre Royal de la Monnaie di Bruxelles, in coproduzione
col Regio di Torino, affidando la regia al
tedesco Tobias Kratzer (ripresa da Ludivine
Petit), con scene e costumi di Rainer Sellmaier
(ripresi da Clara Hertel). Tre lavori
decisamente diversi per genere, per modi
rappresentativi e per resa musicale, anche se
tutti esprimono in ogni sequenza sonora lo
spirito del genio pucciniano. A
dare unità ai
tre lavori è stata certamente l'ottima direzione
di Pinchas Steinberg, che ha saputo plasmare i
colori dell'Orchestra del Teatro Regio, del Coro
e del Coro di Voci bianche - qui insieme a
Claudio Fenoglio e Ulisse Trabacchin- in una
discorsività raffinata, volta a sottolineare in
modo mirabile le voci dei protagonisti. Il
regista Kratzer e lo scenografo e costumista
Rainer Sellmaier sono riusciti a realizzare
lavori differenti per resa visiva e
articolazione spaziale e di movimento dei
partecipanti. Ne Il Tabarro la scena è divisa in
verticale in quattro quadri, due di essi più
utilizzati, che si associano quasi
cinematograficamente al racconto verista della
tragedia sentimentale che coinvolge la giovane
Giorgetta e l'amante Luigi, che
finirà assassinato dal geloso Michele,
marito tradito. I tramonti sulla Senna sono
sostituiti con efficacia da immagini che
ricordano New York. Ottimi i tre protagonisti,
Roberto Frontali, Alena Stikhina e Samuele Simoncini, in
un contesto complessivo di buona resa
drammaturgica. Di maggiore spessore espressivo
Suor
Angelica, insieme a Gianni Schicchi,
l'opera breve generalmente più rappresentata.
L'idea registica e scenica di raddoppiare la
scena- per Suor Angelica - con il supporto
visivo di una proiezione gigante in bianco e
nero, ambientata
nel convento, con le stesse protagoniste, a fare
da sfondo, ha favorito certo la visuale dei
primi piani e ha maggiormente coinvolto gli
spettatori. Protagonista assoluta, Suor
Angelica, ancora nella voce di Elena
Stikhina, ci è sembrata maggiormente centrata,
con particolare intensità vocale nel
meraviglioso Senza mamma, bimbo tu sei morto...inserito
ottimamente nell'orchestrazione di Pinchas
Steinberg.
Bravissime le altre interpreti:
splendide le voci di Anna Maria Chiuri, la
zia Principessa, e Monica Bacelli, la
Badessa. Con netto contrasto scenico e di
carattere, Gianni Schicchi è stato il lavoro che
coralmente e teatralmente ha trovato un maggiore
successo. Il protagonista Schicchi,
ancora nella voce di Roberto Frontali, qui anche
attorialmente di grande levatura espressiva, ha
avuto tutti i compagni di lavoro in perfetta
sintonia scenica. Trovate azzardate
riuscitissime (inserite in un contesto moderno),
come quella di far comparire i personaggi in
costume da bagno, dentro una vasca piena di
schiuma, hanno sottolineato gli aspetti ironici
e divertenti del lavoro. Di ottima resa vocale
Lucrezia Drei, una Lauretta bravissima
anche nell'avvincente O mio Babbino Caro;
applauditissima Elena Zillo, Zita Donati.
Ottimi Matteo Mezzaro, Rinuccio, Roberto
Covatta, Gherardo, Irina Bogdanova,
Nella, e tutti gli altri. Applausi fragorosi
28 giugno 2026 Cesare
Guzzardella
Andrea Bacchetti al
Museo del
Novecento milanese per " I Suoni
trasfigurati e le voci frammentate del '900"
All'interno di una Stagione musicale più ampia
denominata Suoni trasfigurati-nuovi spazi,
curata da Luca Carcinelli e da Luisa Longhi, che
si sviluppa in ben cinque luoghi importanti di
Milano, ieri al Museo del Novecento abbiamo assistito al
concerto del pianista genovese Andrea Bacchetti,
assai noto per il suo eccellente Bach, ma anche
per il suo interesse per la musica novecentesca
e dei nostri giorni. Nella prestigiosa e
panoramicissima
Sala Fontana , il concerto, tenuto davanti ad un numeroso pubblico,
s'intitolava “Voci frammentate. Echi lirici
del Novecento” e spaziava da Bach, a
Debussy, da Schönberg, a Berio e a Peterson, a
Villa-Lobos e anche ad una composizione del
musicista milanese, Filippo Del Corno, presente
in sala. L'omaggio al suo amato J.S.Bach è stata
una scelta quasi obbligata, con una selezione di
Preludi e fughe dal Clavicembalo ben temperato (
BWV 854- 865- 871) , unitamente al
profondo Corale Ich ruf zu dir, Herr Jesu
Christ BWV 639 nella stupenda trascrizione
di Ferruccio Busoni. La musica del genio tedesco è fondamentale per
comprendere le radici di ogni forma musicale,
anche di quelle novecentesche. Dopo l'esaustiva
e dettagliata interpretazione di Bach, Bacchetti
è passato a Claude Debussy, con due brani dalla
raccolta di pezzi per ragazzi Children's
Corner, quindi a due preludi quali
Bruyères e la Cathédrale engloutie.
Un Debussy molto meditato quello ascoltato,
elegante e ricco di colori.
Entrando
ancor più nel Novecento,
Bacchetti è arrivato
prima a Schönberg con i Sei brevi
Klavierstücke op.19 eseguiti con limpidità
nelle complesse architetture rilevate con piani
sonori limpidi. Molto interessante anche
l'interpretazione di due dei Sei Encores
di Luciano Berio, precisamente Brin e
Wasserklavier, brani che il pianista aveva
eseguito anche alla presenza del compositore
ligure alcuni decenni fa. Di ottima valenza di
scrittura e di chiarissima interpretazione il
brano successivo, Un luogo quieto di
Filippo Del Corno, brano del 1994, che
certamente rivela le valide qualità dell'autore
e rle influenze non lontane
di alcuni musicisti appena ascoltati, come forse
Debussy, per una certa componente meditativa e
per la coloristica antica ben rilevata da
Bacchetti. Applausi sia all'interprete che al
compositore. Gli ultimi brani dell'impaginato
erano prima un arrangiamento di Bacchetti di
He has gone del pianista jazz Oscar Peterson
e poi il celebre O Polichinelo di
Villa-Lobos, di grande virtuosismo ed
eseguito con
straordinaria chiarezza espressiva. Applausi
meritatissimi e numerosi i bis concessi: un breve Villa-Lobos, un espressivo
Moon River di H. Mancini, e poi un ritorno
al classicismo con un'ottima Fantasia in re
minore K 397 di Mozart, l' Improvviso n.2
in la bem. maggiore D 935 di Franz Schubert
e ancora una brevissima Fuga di Bach. Applausi fragorosi. Bravissimo!
26 giugno 2024 Cesare
Guzzardella
Una Standing ovation
meritata per
Roberto Alagna al Teatro alla Scala
Il
numerosissimo pubblico di appassionati del
bel canto, presente ieri sera al Teatro alla
Scala, ha accolto con entusiasmo il tenore
Roberto Alagna, sessantunenne francese figlio di
siciliani. Il programma era un omaggio
interamente dedicato a Giacomo Puccini a cento
anni dalla morte, compositore caro al celebre
interprete. I numerosi brani dell'impaginato
sono stati inframmezzati da brani solo
pianistici, sempre da opere pucciniane, eseguiti
bene, con modalità estemporanee, dallo
statunitense Jeff Cohen. In
duo
con il celebre tenore sono stati interpretati
arie da Le Villi, da Elgar, da
Manon Lescaut, da Bohème, da Tosca,
da Madame Butterfly, da Fanciulla del
West, da Turandot e nei bis concessi,
da La rondine, da Il Tabarro e da
Gianni Schicchi. Tutti i brani
hanno rivelato l'ottima tenuta della voce di
Alagna, considerando la sua non giovane età.
Nella prima parte le arie Torna ai felici dì
da Le Villi, Orgia, chimera dall’occhio
vitreo da Edgar, Tra voi belle, brune e
bionde, e poi Donna non vidi mai da
Manon Lescaut hanno riscosso fragorosi applausi;
ma è con i cavalli di battaglia della seconda
parte, con Che gelida manina da La bohème,
E lucevan le stelle da Tosca , arrivando
al gran finale di Nessun dorma da Turandot, che
Alagna ha mandato in visibilio moltissimi dei
presenti in teatro. Prima della celebre aria da
Turandot, aveva anche eseguito Addio, fiorito
asil da Madama Butterfly, dopo la splendida
trascrizione, solo pianistica, del Coro a
bocca chiusa eseguita strabene da Cohen, e
anche Ch’ella mi creda libero e lontano
da La fanciulla del West. Alagna visibilmente
soddisfatto ha poi concesso ben quattro bis:
prima da La Rondine, Parigi! E' la città dei
desideri.. , poi da Il Tabarro Hai ben
ragione...per noi la vita, quindi da
Turandot Non piangere Liù, ed in fine da
Gianni Schicchi Firenze è come un albero
fiorito.. Un' ovazione per Alagna con
interpretazioni in crescendo in qualità e
potenza espressiva, che rivelano tutta
l'esperienza acquisita dal tenore nella sua
lunga carriera. Pubblico tutto in piedi per gli
interminabili applausi finali. Da ricordare
24 giugno 2024 Cesare Guzzardella
Una mattinata
schumanniana
conclude la Stagione di Lieti Calici agli
Amici del Loggione del Teatro alla Scala
L'
ultima mattinata stagionale di "Lieti calici",
la riuscita rassegna musicale di concerti
seguiti da momenti conviviali, organizzata agli
Amici del Loggione del Teatro alla Scala (via
Silvio Pellico 6) da Mario Marcarini, ha trovato
due validissime interpreti, operanti in settori
artistici diversi ma
unite
in un breve ed interessante spettacolo, di
particolare valore musicale-letterario. L'ottima
pianista Clara Schembari, cogliendo l'occasione
della presentazione del suo cd "Der Dichter der
Natur" ("Il poeta della Natura"), insieme
all'attrice Daniela Tusa, ha "raccontato" Robert
Schumann attraverso l'esecuzione della
Waldszenen op. 82, "Scene della foresta" del
genio tedesco, in nove quadri musicali,
composti tra la fine del 1848 e l'inizio del
1849; la Tusa l'ha accompagnata con una lettura
di poesie perfettamente correlate ai pezzi e al
mondo
musicale-poetico schumanniano. La scelta al
riguardo è stata variegata e ha compreso autori
ed autrici di epoche diverse, passando da Ada
Negri ("Prato d'aprile") a Emily Dickinson ("Natura
è ciò che vediamo", 1863), da Charles Baudelaire
("L'anima del vino",1857) all'iraniano Sohrab
Sepehri ("L'uccello dell'enigma", 1954), fino a
Joyce Kilmer ("Alberi", 1914). Lo stesso
Schumann aveva citato, come premessa al suo
quarto pezzo, "Verrufene Stelle" ("Luogo
maledetto"), alcuni versi della lirica "Boser
Ort" ("Luogo del male", 1848) del poeta e
drammaturgo tedesco Friedrich Hebbel. I
versi
di Hebbel sono stati recitati dalla bravissima
Tusa, insieme agli altri, con coinvolgente
intensità espressiva. Sono seguiti, interpretati
validamente dalla Schembari, Des Abends, dalla
Phantasiestucke op. 12, Mondnacht da Liederkreis
op. 39 n. 5, I canti dell'alba dall'op. 133,
Kinderszenen
op.15
n.13 (Der Dichter spricht). Anche questi brani
sono stati preceduti da letture di testi scelti
con cura, come "La sera" (1904) di Rainer Maria
Rilke o "Saluto all'alba" del poeta indiano del
VI sec. d. C. Kalidasa. Applausi calorosi nella
sala colma di pubblico e un brindisi con vini
eccellenti. La rassegna riprenderà a settembre:
sono previste importanti novità.
23 giugno 2024 Cesare
Guzzardella , Anna Busca
Musica di Ludovico
Einaudi con Iris Hond e I
Pomeriggi Musicali diretti da Alessandro Cadario
Il
terzo appuntamento della rassegna musicale
denominata "Panorami Sonori" ha trovato sul
podio dell'Orchestra de I Pomeriggi Musicali il
direttore Alessandro Cadario, per un omaggio al
noto musicista torinese Ludovico Einaudi. Da
oltre trentacinque anni Einaudi ha fama
internazionale per i suoi brani pianistici,
caratterizzati da un'estrema semplicità
costruttiva
derivante da certo minimalismo inglese e
statunitense. Con ispirata vena melodica, dal
carattere "meditativo", ha realizzato decine di
brani inseriti in numerosi cd usciti in questi
anni, che lo hanno reso celebre ad un pubblico
trasversale. La sua ricerca in territorio tonale,
giocata su una sorta di ripetività di semplici
strutture melodiche e armoniche di facile
memorizzazione, - alcune di esse particolarmente
ispirate- lo rendono attrattivo a tutti gli
aspiranti giovani pianisti che desiderano
suonare un brano arrivando con facilità ad una
buona esecuzione. Ieri, di fronte al numeroso
pubblico presente al Teatro Dal Verme, sono
stati eseguiti tre lavori, i primi due per sola
orchestra, certamente meno
conosciuti.
Il primo era denominato Run suite, una
riduzione orchestrale di un brano originario per
pianoforte, caratterizzato da un'ipnotica
ripetitività di strutture melodico-armoniche che
s'intrecciano per oltre trenta minuti.
L'impressione è quella di un brano infinito, un
"tappeto musicale" che ha, in una sorta di
voluta banalità costruttiva con frangenti
interessanti, la sua ragione di essere. Una
sintesi migliore delle sequenze proposte
probabilmente lo renderebbe un lavoro più
convincente. Il secondo brano, Purple Suite,
è una buona fusione di momenti tratti da brani
di Prince, il noto musicista, pluristrumentista
statunitense scomparso nel 2016. È una valida
sintesi, ispirata musicalmente in modo composito
a Stravinskij, Zappa, i Beatles e altri, di
semplici melodie ben rese dall'orchestra dei
Pomeriggi. Il brano più tipico di Einaudi,
Domino, per pianoforte, orchestra d'archi e arpa,
ha trovato come solista al pianoforte la
splendida Iris Hond, pianista e compositrice
olandese,
spesso interprete della musica del
pianista-compositore piemontese e a sua volta
realizzatrice di un genere simile a quello del
più noto collega. Elegante e flessuosa, la Hond
ha l'inusuale abitudine di suonare a piedi nudi,
appoggiando le scarpe vicino al pianoforte (in
questa serata, preziose décolleté di strass
argentato). Domino è un concerto, nei classici
tre movimenti, dal carattere riflessivo, giocato
-nello "stile Einaudi" - su semplicità melodica,
interpretata con espressività dalla Hond, con
valida orchestrazione ben diretta da Cadario. Un
brano piacevole, d'intensa ispirazione. Tre i
bis solistici concessi della Hond, tratti da
celebri brani di Einaudi. Applausi fragorosi dal
numeroso pubblico presente al Teatro Dal Verme.
21 giugno 2024 Cesare
Guzzardella
Il Premio Montale
"Fuori di Casa 2024" alla violinista
Francesca Bonaita
La
violinista Francesca Bonaita, classe 1997,
nell'elegante cornice milanese della Steinway
& Sons, ha ricevuto un premio importante,
quello della 28°edizione del "Premio Montale
Fuori di Casa", avente come motivo
conduttore per il 2024, come nelle due
precedenti edizioni, il tema
della
Pace. Montale nel 1976
intervistato diceva " L'argomento della mia
poesia, credo di ogni possibile poesia, è la
condizione umana in sé considerata, non questo o
quell'avvenimento storico. Ciò non significa
estraniarsi da quanto avviene nel mondo,
significa solo coscienza e volontà di non
scambiare l'essenziale col transitorio" . Da
queste profonde parole del poeta, riferibili ad
ogni settore artistico, assume significato il
premio dato a Francesca Bonaita, violinista di
eccellenti
qualità,
con anche importante formazione umanistica, alla
quale tiene molto. È autrice nel 2020 anche di
un valido saggio, "La musica, Orfeo, Euridice"
che analizza "Il mitema e l'adeguamento al
contemporaneo". La giuria del premio Fuori
di Casa, apprezzando le qualità artistiche
e umanistiche dell'ancor giovane donna, ha
voluto premiare un personaggio completo, che
trova nelle numerose discipline interdipendenti
una ragione per esprimersi in modo profondo. Nel
corso del riuscito tardo pomeriggio, dopo
l'introduzione della Presidente del Premio
Montale Fuori di Casa, dott.ssa
Adriana Beverini,
la violinista, accompagnata al pianoforte
da
Alessandro Commellato, ha eseguito brani
importanti, di rara esecuzione come la Sonata
per violino e pianoforte in si minore P110
di Ottorino Respighi, la Sonata n.1 per
violino e pianoforte in fa minore op.80 di
Sergej Prokof'ev ed infine, in Prima assoluta,
un brano di Fabio Vacchi, la Sonatina III,
originaria del 2019 per solo violoncello e
rivista dal compositore bolognese per violino
solo. Esecuzioni di eccellente qualità quelle
della Bonaita, coadiuvata benissimo da
Commellato, per una scelta di lavori impegnativi
ma di grande spessore compositivo. Dopo i
fragorosi applausi del numeroso pubblico
presente, si è arrivati alla premiazione: il
giornalista e critico Carlo Maria Cella leggendo
la motivazione da lui preparata, ha consegnato
insieme alla Beverini il premio alla
straordinaria violinista. Applausi e brindisi
finali hanno concluso l'ottimo pomeriggio
musicale.
21 giugno
2024 Cesare Guzzardella
Al Teatro alla Scala successo meritato
per Werther di
Jules Massenet
Applausi fragorosi meritatissimi al Teatro alla
Scala per l'opera più romantica di Jules
Massenet, quel Werther creato dalla
fantasia di Goethe nel 1774 che il compositore
francese ha ritrovato più di cent'anni dopo per
renderlo nel 1887, con il libretto di Édouard
Blau, Paul Milliet e Georges Hartmann, il
protagonista assoluto di una delle più belle
opere liriche di fine Ottocento. È un classico
"amore
impossibile" quello tra Werther e
Charlotte, reso evidente subito dalle
parole del protagonista, parole nascoste sino
all'ultima scena del quarto atto, dalla promessa
e poi sposa di Albert. Mancava dalla
Scala da oltre quarant'anni questo capolavoro:
dal 1980, dai tempi del grande direttore
francese Georges Prêtre (1924-2017) e del grande
tenore spagnolo Alfredo Kraus (1927-1999) A
sostenere i medesimi ruoli, in questi giorni,
nell'ottima nuova produzione del Teatro alla
Scala e del Théâtre des Champs-Élysées - vista
alla terza rappresentazione- il direttore Alain
Altinoglu e il tenore Benjamin Bernheim. Il
primo ha esaltato con grande passionalità la
vicenda, trovando il giusto dosaggio timbrico
dell'orchestra scaligera, per un'interpretazione
dettagliata, delicata e ricca di sottili
contrasti coloristici di evidente espressività. Il
secondo è probabilmente il degno successore di
Tito Schipa o di Alfredo Kraus per la
raffinatezza della sua resa tenorile, integrata
in un ruolo che indossa alla perfezione.
Benjamin Bernheim appare perfetto sia
timbricamente, che attorialmente in Werther.
La messinscena complessivamente ci è piaciuta
molto nella valida resa del tedesco
Christof Loy, regista che mette in perfetta
relazione tutti i protagonisti, a cominciare da
quelle eccellenti voci
bianche dei giovanissimi
ragazzi preparati splendidamente da Bruno Casoni.
L'azione si svolge in una porzione di
palcoscenico forse troppo piccola, una scena
fissa di Johannes Leiacker separata da una
enorme parete neoclassica che ripercorre tutto
il palcoscenico, dove attraverso una porta,
neanche troppo ampia, si intravede l'interno del
palazzo. I costumi più recenti, di metà
Novecento, di Robby Duiveman sono in ottima
sintonia con i personaggi e valida è anche
l'illuminazione di Roland Edrich dell'unica
scena. Delle altre voci, tutte di rilievo,
ottima la Charlotte di Victoria Kakacheva,
nel suo ruolo ambiguo fino all'ultimo, tra
protezione del marito e della famiglia e amore
inespresso per Werther. Il suo timbro è
raffinato e intensamente espressivo in un
francese probabilmente non sempre adeguato.
Altrettanto valido il timbro appariscente ed
intonatissimo di Francesca Pia Vitale, una
Sophie che in modo discreto si mostra o si
allontana. Efficaci nella timbrica e
attoriamente sia Jean Sébastien Bou in Albert,
lo sposo di Charlotte, che di Armando Noguera,
il borgomastro Le Bailli , il padre di
lei. Segnaliamo anche le ottime prestazioni di
Rodolphe Briand in
Schmidt,
di Enric Martínez-Castignani in Johann,
di Pierluigi D’Aloia in Bruhlmann e di
Elisa Verzier in Katchen. Prossime
repliche per 24 e il 27 giugno e il 2 luglio.
Assolutamente da non perdere! ( Foto di Brescia
e Amisano dall'Archivio della Scala)
20 giugno 2024 Cesare
Guzzardella
Jean-Marc Luisada
per "Dischi e Tasti"
al Museo della Scala
"Au
Cinema ce soir" è la denominazione di un
riuscito incontro con un valido pianista
francese, Jean-Marc Luisada, tenuto in Sala
Esedra al Museo dell Scala. Lo ricordiamo
premiato al Concorso "Dino Ciani" nel lontano
1983. Da allora Luisada ha fatto molta strada
nel territorio concertistico internazionale,
incidendo anche importanti
dischi
per le maggiori case discografiche. L'ultima sua
incisione è assai particolare, perché unisce la
musica alle immagini di film fondamentali,
grandi capolavori come La dolce vita di
Fellini, Morte a Venezia di Visconti o
Manhattan di Woody Allen, per citarne solo
alcuni. Ieri sera, davanti ad un pubblico che
gremiva l'elegante sala scaligera, il pianista è
stato presentato da Luca Ciammarughi, musicologo,
pianista e organizzatore di eventi musicali,
nonché ideatore della fortunata rassegna
chiamata "Dischi e Tasti", che si svolge
da alcuni anni grazie al supporto di Donatella
Brunazzi. Il timbro voluminoso del pianoforte
utilizzato, appartenuto a Liszt, e stabilmente
presente al Museo della Scala, ha consentito al
pianista francese, classe 1958, di collegare in
modo convincente e fluido alcuni brani- in parte
composti appositamente per celebri film, oppure, famosissimi, solo utilizzati per dare
significato alle sequenze visive più importanti-
ad un originale suo scritto, dove racconta la
sua passione per il cinema, nata in tenera età,
unitamente a quella per il pianoforte. Aiutato
dai genitori, Luisada ha sempre coltivato i suoi
due principali interessi. Nelle pagine, lette
con spirito di partecipazione da Ciammarughi,
emerge la sua smisurata passione per alcuni
capolavori del
cinema italiano e francese, visti
e rivisti da lui moltissime volte. L'ottimo
impaginato pianistico ha messo in evidenza
l'alta personalizzazione dell'interprete, e
l'eccellente resa esecutiva. Iniziando dal tema
di Nino Rota dal felliniano La Dolce Vita,
Luisada è passato poi ad un pregnante Mozart con
la Fantasia K397 in re minore, utilizzata
da John Huston in "The Unforgiven". Quindi un
Brahms doc quello del francese, con i Tre
Intermezzi op.117 per il film "Rendez-vous
à Bray" di Andrè Delvaux, e sempre
dell'amburghese un profondo Tema e variazioni
dal noto Sestetto op.18, utilizzato nel
capolavoro di Louis Malle "Les Amants".
Di qualità la Mazurka in la minore op.17 n.4
di Chopin, scelta per il film di Ingmar
Bergman "Sussurri e grida", e poi il
bellissimo Scherzo n.2 op.31, sempre del
compositore polacco. Ad integrazione
dell'impaginato un brano di Scott Joplin, un
ottimo Gershwin dalla Rapsodia in blue e
alla fine un eccellente "Alla turca" di W
A. Mozart concludevano il pomeriggio musicale.
Applausi meritatissimi per un interprete di
enorme sensibilità.
19 giugno 2024 Cesare
Guzzardella
Un "tutto Beethoven"
per la Sinfonica di Milano e Lucas & Arthur
Jussen
Un
programma interamente beethoveniano quello
ascoltato oggi, nella replica domenicale in
Auditorium. L'Orchestra Sinfonica di Milano
diretta da Patrick Fournillier ha eseguito due
importanti lavori del grande musicista tedesco:
prima
il Concerto n.5 in mi bem .maggiore per
pianoforte ed orchestra op.73 "Imperatore",
quindi la Fantasia
corale per pianoforte, Soli, Coro e Orchestra in
Do minore op.80. Al pianoforte i noti
fratelli Jussen, Luca e Arthur, si sono
avvicendati nella parte solistica. Luca, il più
giovane ha affrontato con grinta, nitore
timbrico e determinazione il celebre Concerto
"Imperatore", definendo con chiarezza
espressiva ogni frangente e trovando naturalezza
espressiva anche nel delizioso movimento
centrale Adagio, un poco mosso. Applausi
sostenuti dopo l'ottima interpretazione
dell'opera.73. Dopo il breve intervallo,
l'Orchestra, il Coro, i solisti e Arthur Jussen,
il fratello meno giovane, sono saliti sul
palcoscenico per la Fantasia op.80. Un
brano del 1808 costruito su una semplice melodia,
variata dal pianoforte di Arthur e
dall'orchestra sino ad arrivare alla dirompente
componente corale e alle
sei
voci soliste che hanno potenziato il tema del
brano beethoveniano sino all'ultimo intervento
pianistico del bravissimo Arthur Jussen.
Pubblico entusiasta al termine con applausi a
tutti i protagonisti e anche al direttore del
Coro Massimo Fiocchi Malaspina. I due fratelli,
a quattro mani, hanno concesso un espressivo bis
con un noto Corale di J.SBach. Applausi
fragorosi a tutti.
16 giugno 2024 Cesare
Guzzardella
Uno Scriabin doc per
Mariangela
Vacatello alla rassegna "Il pianoforte in
Ateneo" dell'Università Cattolica milanese
L'ultimo concerto stagionale della rassegna
pianistica "Il pianoforte in Ateneo"
organizzata da Davide Cabassi e dal prof. Enrico
Reggiani ha trovato una pianista di primo
livello quale la napoletana Mariangela Vacatello
impegnata in alcune sonate del russo Alexander
Scriabin. La Vacatello da alcuni anni si è
specializzata nella musica pianistica di
questo
genio vissuto a cavallo tra Ottocento e
Novecento, incidendo anche recentemente tutte le
sue Sonate pianistiche. Ieri sera, nella
splendida cornice dell'Aula Magna
dell'Università Cattolica milanese ha
selezionato alcune tra le note 10 sonate,
precisamente tre di esse, la n.3, la
n.5 e la n.9 e concludendo poi
l'impaginato ufficiale con il brano Vers la
flamme op.72. Le
interpretazioni di altissimo livello
tecnico-espressivo ci hanno rivelato ancora una
volta una pianista dal virtuosismo impeccabile,
proiettata in modo deciso nel definire un autore
particolarmente sentito e per il quale mostra
un'empatia straordinaria. L'incredibile
articolazione manuale, unita alla capacità di
rilevazione di ogni dettaglio costruttivo delle
difficili Sonate, hanno portato ad
un'espressività tangibile che rendono
l'interprete
probabilmente la migliore pianista italiana nel
definire il mondo immaginifico, simbolico e
astratto della musica del grande russo e
certamente tra le migliori a livello
internazionale. Gli applausi calorosissimi del
numeroso pubblico che gremiva l'Aula Magna
dell'Università, con molti del pubblico in piedi
in segno di grande apprezzamento, hanno portato
a due bis sempre di Scriabin, di grande impatto
espressivo, tra cui il Preludio op.9 n.1 per
la mano sinistra. Splendida serata.
13 giugno 2024 Cesare
Guzzardella
Un "tutto Brahms"
per la Società dei
Concerti con Benedetto Lupo e Gabriel Feltz
L'ultimo concerto della Stagione 2023-2024 della
Società dei Concerti ha avuto come
protagonisti la Dortmunder Philharmoniker
diretta da Gabriel Feltz e il pianista pugliese
Benedetto Lupo. Il programma, interamente
dedicato a Johannes Brahms, prevedeva capolavori
di età matura del grande compositore tedesco
quali il Concerto n 2 in si bem. Maggiore
op.83 per pianoforte e orchestra e la
Sinfonia n.2 in re maggiore op.73. Nel
concerto, Benedetto Lupo al
pianoforte
ha interagito bene con la compagine orchestrale
nei corposi quattro movimenti che compongono
l'ultimo lavoro di Brahms per questo genere.
Lupo ha mostrato una linea interpretativa
giocata su alternanze dinamiche ben rilevate,
con frangenti particolarmente voluminosi
e
altri di leggerezza ben inseriti nel tessuto
orchestrale. La composizione è del 1879, ed è
caratterizzata da un'ampia costruzione ricca di
sviluppi specie nell'Allegro non troppo
iniziale e nel successivo Allegro
appassionato, quasi un doppio primo
movimento che abbisogna di una straordinaria
resa virtuosistica per esprimere alcune
caratteristiche insite nella complessa
composizione, dove anche la componente
pianistica esprime una timbrica quasi "orchestrale"
per via delle armonizzazioni appariscenti
tipiche del Brahms più maturo. La restituzione,
di ottimo livello sia di Lupo che della
compagine orchestrale è stata molto apprezzata
dal pubblico presente in Sala Verdi. Applausi
sostenuti e un ottimo
il
bis con un Intermezzo brahmsiano tra i più
celebri.La prosecuzione della serata con la
valida Sinfonia n.2 in re maggiore op.73
ha rivelato la precisa ed espressiva
restituzione dell'orchestra e una visione del
celebre lavoro brahmsiano da parte di Feltz
molto valida anche nei giusti andamenti dei
movimenti. Ottima esecuzione e ancora decisi
meritati applausi. Come bis l'Orchestra tedesca
ha concesso il celebre Pizzicato Polka di
J. Strauss dai colori molto viennesi. Applausi
ancora sostenuti meritati.
13 giugno 2024 Cesare Guzzardella
Andrea Lucchi
e Sofia
Adinolfi nella Sala Esedra del Museo del
Teatro alla Scala per "Musica con le ali"
Capita
raramente di ascoltare un concerto che abbia
come protagonista la tromba. L'occasione è stata
data da Musica con le Ali, l'associazione che
diffonde la musica aiutando soprattutto le nuove
generazioni di musicisti. L'impaginato
presentato nel tardo pomeriggio di oggi
prevedeva brani del Novecento e i due
protagonisti, Andrea Lucchi, prima tromba
dell'Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa
Cecilia
e la ventisettenne pianista Sofia Adinolfi,
hanno pensato ad un impaginato variegato con
sette brani di sette musicisti differenti quali
Rauber, Enescu, Bozza, Bernstein, Nestico,
Carmichael ed Evans. Lavori uniti solamente dal
periodo storico del secolo scorso ma ben
organizzati nella struttura della scelta
esecutiva e sconfinanti in generi anche diversi,
con alcuni classici del jazz a conclusione. Le
esecuzioni ben delineate dai due ottimi
interpreti, hanno trovato nell'elegante Sala
Esedra il luogo salottiero migliore per gustare
ogni nota di ogni brano.
L'incisività
e la voluminosità della tromba di Lucchi ha
incontrato le ottime armonizzazioni del corposo
pianoforte - appartenuto a Liszt- utilizzato
dalla brava Adinolfi. Dopo il corposo ed
interessante brano iniziale in più parti di
François Rabuer, il Concert "Humeurs",
citiamo almeno gli ultimi due brani in programma
, The Nearness of You di Hoagy Carmichael
e il delizioso Waltz for Debby, entrambi
arrangiati da A.G. Priolo ed eseguiti con
espressività dal duo. Ottimi anche gli altri
lavori con il Caprice op 47 di Eugéne
Bozza, il Rondò for Lifey del grande
Leonard Bernstein, una rarità di Sammy Nestico,
il Portrait of a Trumpet e altro ancora.
Celebre il bis concesso con un prezioso classico
Oblivion di Astor Piazzola in un ottimo
arrangiamento per tromba. Successo meritatissimo
in una Sala Esedra al completo.
12 Giugno 2024 Cesare
Guzzardella
Due concerti domenicali
al
Conservatorio in Sala Puccini
Due
interessanti concerti avvenuti domenica in
Conservatorio, nella più piccola Sala Puccini,
ci hanno fatto conoscere musiche di musicisti
mai ascoltati e/o brani di rara esecuzione. Il
primo, in tarda mattinata, per la rassegna "Il
filo di Arianna", a cura di Rosalba
Montrucchio, era
musica
al femminile particolarmente bella, che
prevedeva brani delle compositrici Louise
Farrenc (1804-1875), Katherine Hoover
(1937-2018), Claude Arrieu (1903-1990), Amy
Beach (1867-1944) e Cécile Chaminade
(1857-1944). Gli interpreti del primo brano,
giovanissimi e di sicura prossima
professionalità, erano Giada Guzzetti al flauto,
Hilary Scuderi all'oboe, Lorenzo Filippa al
clarinetto, Federica Faccini al fagotto, Luca
Magnani al corno ed Emma Guercio al pianoforte
per il Sestetto op.40 della Farrenc, una
musica splendida con un'armonizzazione
pianistica dell'eccellente Emma Guercio.
L'originalissimo Trio per flauti della
Hoover, musicista scomparsa nel 2018, ha
rivelato ancora bravissimi interpreti: Daniele
Cardone, Gabriel Hoek e Chiara Shqepa ai flauti.
Ancora validi i brani successivi: prima
dell'Arrieu il Trio in do con Vittoria
Pedron all' oboe, Massimo Restifo Pecorella al
clarinetto e
Dario
Romano al fagotto; quindi della più nota Amy
Beach, dalla Pastorale in sol maggiore il
Lento tranquillo con Marta D’Aleo al
flauto, Paolo Miraglia oboe, Ivan Schiavon al
clarinetto, Davide Ancona al fagotto e Luca
Magnani al corno. A conclusione della mattinata
un'altra affermata compositrice, la Chaminade
con il suo Scarf dance op. 37 n. 3 era
interpretato ancora con passione e scorrevolezza
da Marta D’Aleo al flauto, Paolo Miraglia all'
oboe, Alice Morali al clarinetto e Davide Ancona
al fagotto. Esecuzioni tutte di valore
espressivo. Nel tardo pomeriggio ancora un
interessantissimo concerto sostenuto da quattro
viole. La formazione denominata Forever Viola
Quartet era composta da Maria Ronchini,
Alessio Lisato , Martina Raschetti e la
giovanissima
Maria
Cecilia Villani. Una perfetta sintonia dei
colori caldi dello strumento con scambio delle
parti efficace e scorrevolezza esemplare, ci ha
permesso di ascoltare musiche di Gioachino
Rossini (1792-1868), Sancho Engano (1922-1995),
Frank Bridge (1879-1941) e York Bowen
(1884-1961). Segnaliamo almeno di Frank Bridge
il Lament per due viole, di York Bowen la
Fantasia op. 41 per quattro viole e la
bellissima trascrizione per i quattro identici
archi di Engano di frangenti conosciuti e
profondi tratti da opere di Puccini. Tutti
bravissimi. Applausi calorosi meritatissimi per
entrambi i concerti.
11 giugno 2024 Cesare
Guzzardella
La pianista Anna Vinnitskaya
diretta da Stanislav Kochanovsky in un programma
interamente russo
Un programma interamente
russo quello ascoltato alla replica domenicale
in Auditorium. L'Orchestra Sinfonica di Milano
diretta da Stanislav Kochanovsky, ha iniziato
con il celebre Concerto per pianoforte e
orchestra n.1 in Si bem. minore op.23 di
Čaikovskij per concludere con la Spartacus
Suite, di Aram Chačaturjan. Al pianoforte la
russa Anna
Vinnitskaya ha dato sfoggio delle sue
alte qualità
d'interprete. Vincitrice
del Concorso Reine Elisabeth di Bruxelles nel
2007, la Vinnitskaya ha messo in evidenza
sicurezza, precisione di dettaglio, discorsività
esemplare, unita a una leggerezza di tocco nel
delineare i tre movimenti del concerto a partire
dal corposo Allegro non troppo e molto
maestoso iniziale intrapreso con grinta ed
espressività. Coadiuvata dall'ottima direzione
del russo e dalla resa precisa di ogni sezione
della Sinfonica di Milano, l'eccellente pianista
ha trovato
il giusto dosaggio coloristico anche
nell'Andantino centrale e nell'esuberante
Allegro con fuoco finale. Un'
esecuzione complessiva di alta resa estetica.
Applausi fragorosi e un pacato bis solistico con
un ottimo breve brano di
Čaikovskij dal sapore chopiniano. Dopo il breve
intervallo, ottima l'esecuzione della
Spartacus Suite di Chačarutjan, sei
movimenti estroversi di grande melodicità
di un compositore
rimasto celebre per la più celebre Danza
delle spade eseguita come bis al termine del
programma ufficiale. Ottimo concerto.
9 giugno
2024. Cesare Guzzardella
Le pianiste Gaia Lorenzo e
Sonia Candellone interpretano brani di
compositrici del Novecento per " Il filo di
Arianna "
Un programma di particolare
interesse quello ascoltato in Sala Puccini, nel
Conservatorio milanese, per la rassegna "Il filo
d'Arianna" . Due ottime pianiste quali Gaia
Lorenzo e Sonia Candellone hanno suddiviso
l'impaginato denominato "In search of lost
time", interpretando brani di compositrici del
Novecento o ancora viventi. Lili Boulanger
(1893-1918), Franghiz Ali-Zadeh (1947) e
Macarena Rosmanich (1981)
per la Lorenzo, Sofija
Gubajdulina (1931) e Galina Ustvol’skaja
(1919-2006) per la Candellone, hanno rivelato
qualità di scrittura eccellenti, significative
delle capacità al femminile di comporre. La
rivalutazione delle compositrici del passato e
del presente - circa seimila - troppo spesso del
tutto ignorate, si sta attuando da alcuni anni
grazie ai numerosi validi interpreti, spesso
donne, come le giovani musiciste che abbiamo
ascoltato. Si porta dunque avanti il dovuto
riconoscimento dell'importante contributo
femminile alla musica e alle arti, che non sono
certo prerogativa dell'uomo. Il Thème et
variations in do minore di Lili Boulanger ha
introdotto la serata, rivelando la modernità
della compositrice francese, vissuta purtroppo
troppo poco - morì a soli 24 anni - e mostrando
le qualità espressive di Gaia Lorenzo, in un
lavoro dominato dalle note gravi della tastiera
per cupe armonizzazioni trasformate molto bene
nelle pregnanti variazioni. Il richiamo alla
musica di fine Ottocento di questo lavoro non
esclude la modernità di un brano del 1913
assolutamente proiettato nel futuro. Il brano
successivo di Franghiz Ali-Zadeh, musicista
dell’Azerbaijan, denominato Music for piano,
è una composizione degli anni '90 per pianoforte
preparato in nove parti, con timbriche spesso
ripetute ben delineate negli originali
cromatismi. Di qualità l'interpretazione della
Lorenzo. La giovane pianista ha concluso la sua
esibizione con Kafka’s Ghost della cilena
Rosmanich. Un brano per pianoforte preparato
composto del nostro millennio, eseguito
prevalentemente in piedi, sull'arpa delle corde
del pianoforte, per una realizzazione dal sapore
"concreto" dove l'effetto timbrico è in risalto
rispetto a quello delle più riconoscibili note.
Una performance efficace molto applaudità. I due
brani eseguiti dalla Candellone hanno
evidenziato le straordinarie qualità di questa
giovane e preparatissima interprete.
Prima la
Sonata n. 5 in dieci movimenti (1986) della
russa, di San Pietroburgo, Galina Ustvol’skaja,
dove incisive sonorità sono costruite attorno ad
una nota scandita con intensa volumetria. Ottime
le capacità della Candellone di penetrare, con
dinamiche molto chiare, ogni frangente della
valida Sonata. Quindi della russa, di Cistopol',
Sofija Gubajdulina, probabilmente la più
importante compositrice vivente, una giovanile
Chaconne (1962), uno splendido brano
ispirato da Bach e da
Ŝostakovič, reso con
esaustiva chiarezza in ogni dettaglio dalla
Candellone. Applausi meritatissimi alle due
bravissime interpreti.
8 giugno 2024 Cesare
Guzzardella
Musica in Archivio con
giovani talenti per l' Appassionato
viaggio musicale
Presso
l'Archivio di Stato di Milano continua la
validissima iniziativa - a ingresso libero - che
sa unire splendida musica e ricerca archivistica
di lavori e spartiti, portando a suonare
giovanissimi interpreti di eccellente qualità,
alcuni già laureati e altri agli ultimi anni dei
Conservatori: molti già vincitori di concorsi
prestigiosi. I concerti, organizzati
musicalmente da Silvia Leggio, docente di
pianoforte al Conservatorio "G. Verdi" di
Milano, trovano da alcuni anni
il
prezioso sostegno di Annalisa Rossi,
Sovraintendente Archivistico e Bibliografico
della Lombardia; ora si possono avvalere anche
dell'appoggio del nuovo Direttore dell'Archivio
di Stato, il giovane dott.Stefano Leardi, che ha
commentato con grande favore l'iniziativa. Dopo
i saluti dei due dirigenti, Silvia Leggio ha
presentato i brani e gli interpreti. Un
impaginato ben costruito, denominato "Appassionato",
che ha voluto unire brani legati al mondo
romantico, ricchi di
passione,
nella splendida cornice del doppio cortile
colonnato dell'Archivio di via Senato. Il
pianista russo Denis Malakhov, recentemente
laureatosi con lode, ha introdotto il tardo
pomeriggio musicale con il 1°movimento Allegro
assai dalla celebre Sonata op. 57 "Appassionata"
di L.v.Beethoven, musicista che in molti
lavori anticipa il romanticismo musicale proprio
del pieno Ottocento: ne ha dato un' esecuzione
grintosa e convincente. Di particolare
espressività il successivo brano, una cernita
dagli Otto pezzi per clarinetto, viola e
pianoforte di Max Bruch. L'Allegro con
moto, le Melodie rumene e l'Allegro
vivace hanno trovato Francesco Garibotti al
clarinetto, Cecilia Villani alla
viola
e Daniele Di Teodoro al pianoforte, con
un'esecuzione di luminosa discorsività. A
seguire, due brani di Franz Liszt hanno visto
impegnati prima Gabriele Castelli per il
virtuosistico Studio trascendentale n.10
e poi Claudia Vento per la Ballata n.2 in sol
minore. Interpretazioni entrambe valide, con
lo Studio di esuberante esternazione e la
Ballata con momenti di grande passionalità da
parte della Vento. Il brano conclusivo di Clara
Wieck,
compositrice,
celebre pianista e moglie di Robert Schumann, ha
trovato un trio di fratelli da alcuni anni in
auge: il Trio Kaufman ( Luca al violino, Chiara
al violoncello e Valentina al pianoforte). Hanno
eseguito i primi due movimenti, l'Allegro
e lo Scherzo, del Trio op.17 in Sol
minore per violino, violoncello e
pianoforte. Un'interpretazione di notevole
equilibrio ed intensa espressività. Applausi
calorosi e meritatissimi dal pubblico a tutti
gli ottimi interpreti; al termine, la gentile
offerta di un brindisi a tutti gli intervenuti.
Prossimo appuntamento il 21 giugno.
7 Giugno 2025 Cesare
Guzzardella
Il Suono Italiano
della compagine
strumentale "L'Appassionata" alle Serate
Musicali del Conservatorio milanese
Un impaginato tutto italiano
quello offerto da Serate Musicali ieri
sera in Conservatorio. Denominato "Suono
italiano" il concerto ascoltato con la compagine
d' Archi "L'Appassionata" con il Maestro
concertatore Lorenzo Gugole, prevedeva brani di
Respighi, Puccini, Rota e Battistoni e la
presenza di un ottimo flautista quale Tommaso
Benciolini. Gli archi sono stati i protagonisti
indiscussi
in tutti i lavori. Partendo da Ottorino Respighi
(1879-1936) con la Suite per archi e flauto
P.57, abbiamo ascoltato piacevoli melodie
ottimamente orchestrate
dal musicista bolognese, forse il più noto della
sua generazione, con validi interventi del
flauto di Benciolini. L'omaggio a Puccini
(1858-1924) con il successivo Crisantemi,
un'Elegia per Quartetto d'archi del 1890
trascritta per orchestra d'archi, ci ha portato
in una profonda esternazione lirica rivelatrice
di un compositore camerista di talento. Di
spessore la resa del gruppo d'archi. Con Nino
Rota (1911-1979) e il suo Concerto d'archi
(1977) siamo passati ad un linguaggio
neoclassico che ricorda certo
Ŝostakoviç,
ma con frangenti
melodici italiani tipici del compositore
milanese. Particolarmente efficace il Finale.
Allegrissimo sostenuto con
straordinaria
grinta dalla compagine strumentale. L'ultimo
brano in programma era una novità in Prima
Esecuzione Assoluta del compositore veronese
Andrea Battistoni (1987): un Concertino per
flauto ed archi nei classici tre movimenti
che recupera il mondo antico e certo folclore
dal sapore irlandese, con un riferimento al rock
progressivo degli anni '70 "alla Jethro Tull".
Una scrittura tonale efficace, con melodie
orecchiabili e un flauto discorsivo ed incisivo
ancora definito dal bravissimo Benciolini. I
folclorici e più ritmici movimenti laterali, due
Allegri, hanno trovato sosta nel
melodioso movimento centrale, un Moderato
cantabile di grande sentimento. Un lavoro
piacevole, che segna un ritorno al passato ma
che, al contrario di molta musica contemporanea,
avrà possibilità di numerose esecuzioni per la
sua facile memorizzazione e per la chiarezza
delle intenzioni. Timbriche ben controllate e
ben miscelate dagli archi e parte solistica con
finale incisivo e virtuosistico dell'Allegro
molto ed energico ottimamente restituito dal
flauto di Benciolini. Applausi sostenuti dal
pubblico presente in Sala Verdi e ripetizione
dell'Allegro finale dell'ottimo Concertino.
4 giugno 2024
Cesare Guzzardella
La straordinaria
Martina
Meola con la Youth Orchestra del
Conservatorio diretta da Giulio Daniele Moles
Il primo concerto del 2024
del ciclo “Il filo di Arianna" del
Conservatorio milanese ha trovato sul
palcoscenico di Sala Verdi la Youth Orchestra
del Conservatorio diretta da Giulio Daniele
Moles per tre brani, due certamente molto
eseguiti. Il primo di Mel Bonis - Mélanie Hélène
Bonis (1858-1937) - la Suite en forme de
valse op. 35, era una
rarità esecutiva
scritta dalla compositrice francese, parigina di
nascita, nel 1898 . Particolarmente melodica, in
uno stile che ricorda certo Fauré e
Čaikovskij,
la Suite ha trovato una valida restituzione dai
giovanissimi orchestrali. Il brano successivo,
il Concerto n. 3 in do minore
per pianoforte e
orchestra
op. 37
di Beethoven, ha visto un'eccellente
protagonista nell' undicenne Martina Meola,
pianista originaria della Moldavia, da alcuni
anni in Italia, e vincitrice nella "Categoria H
Giovani talenti" del Primo Premio 2023 del
Conservatorio milanese.
Del suo straordinario
talento musicale avevamo parlato in articoli
precedenti. Ancora ieri ha esternato qualità
superlative che, riferite poi alla giovanissima
età, destano infinito stupore. L'Orchestra ha
introdotto abbastanza bene l'Allegro
iniziale del celebre Terzo Concerto pianistico
beethoveniano. Con l'ingresso solistico di
Martina, il livello di resa espressiva si è
subito alzato. La chiarezza espositiva , la
sicurezza nel proporre i temi e le
armonizzazioni non semplici di questo capolavoro,
la resa straordinaria definita anche da una
gestualità intensa, seria e grintosa nella
facilità d'esternazione, hanno sbalordito il
numerosissimo pubblico presente. Ottima la
capacità riflessiva del pacato Largo centrale e
bellissimo nella purezza del timbro e nella
discorsività il Rondò-Allegro finale. Applausi
fragorosi dal numerosissimo pubblico presente in
Sala Verdi, e due eccellenti bis concessi da
Martina: prima uno splendido Allegro da
concerto di Granados e poi un delicato ed intenso Alkan con la Barcarola . Dopo il breve intervallo, un Coro di
voci di giovanissimi -
ottimamente preparati -
diretto da Maria Grazia Lascala saliva sul
palcoscenico, insieme all' Orchestra ed al
direttore Moles, per il Requiem in re minore
op. 48 di Gabriel Fauré (1845-1924).
Orchestra e coro hanno rivelato indiscusse
qualità interpretative, con giusti rapporti
volumetrici, dinamiche sottili ed espressive.
Ottime le due principali voci soliste con Lee
Chaeyoung, soprano, e Filippo Fontana,
baritono. Applausi fragorosi al termine a
tutti i protagonisti, con ripetizione del
movimento più celebre dello straordinario
Requiem.
2 giugno 2024 Cesare
Guzzardella
IL PIANISTA RUSSO ILYA
MAXIMOV IN RECITAL PER LA SOCIETA’ DEL QUARTETTO
DI VERCELLI
Classe 1987, vincitore del
Concorso Viotti 2015, di concerto in concerto,
di concorso in concorso, il giovane pianista
russo Ilya Maximov, già affermato all’estero,
comincia a farsi conoscere anche in Italia. Una
buona occasione per ascoltarlo è stata offerta
dal suo recital di ieri sera, 31 maggio, per la
Società del Quartetto di Vercelli, nella
splendida cornice della Sala della Musica di
Palazzo Borgogna, scrigno abbagliante dei
capolavori del Rinascimento pittorico piemontese.
Il programma, impaginato su tre ‘superclassici’
del pianoforte come Liszt, Chopin e Rachmaninov
è stato il banco di prova per saggiare le
qualità ‘tecniche’ e interpretative di Maximov.
Dobbiamo francamente dichiarare che nel pezzo
d’apertura, “Funérailles, il settimo dei dieci
numeri che compongono le Harmonies poétiques e
religieuses di F. Liszt, Maximov non ci ha
convinti: qualche errore dovuto a imprecisione,
piuttosto strano vista l’assoluta padronanza
della tecnica pianistica dimostrata nel
prosieguo del concerto, una certa opacità
espressiva nell’interpretazione. Pensiamo che
questi difetti siano
imputabili
ad un numero insufficiente di prove del pezzo.
Tutt’altra musica, è proprio il caso di dire,
per Chopin e Rachmaninov. Di Chopin Maximov ha
eseguito pezzi tra i più celebri: la Berceuse
op.57, due Valzer dell’op.64, il n.2 in Do
diesis minore e il n.3 in La bemolle maggiore,
il Rondò op.16 e infine la Polacca-Fantasia
op.61 in La bemolle maggiore. Com’è lo Chopin di
Maximov? Il carattere ‘brillante’, che accomuna
gran parte di questi pezzi, oltre che al
virtuosismo, è affidato dal pianista russo ad un
colore particolarmente luminoso e trasparente
del suono, che attinge talvolta (ad es. nel
Rondò op.16) il più raffinato jeu perlé, ed è un
suono sempre controllatissimo nella sua
tornitura, persino con un tratto di eleganza. Le
melodie dello Chopin di Maximov hanno il
carattere di un canto piuttosto introspettivo,
che punta molto su un aspetto caratteristico
della composizione chopiniana, per
sovrapposizione di fasce sonore distinte e
timbricamente differenti, che permettono
all’interprete un’intensificazione delle risorse
espressive del fraseggio, come accade nel Valzer
n.3 dell’op.64, ma anche nella Berceuse op. 57,
dove questa linea espressiva approfondisce
mirabilmente il progressivo dissolversi del tema
che alla fine diventa un etereo pulviscolo
sonoro. Questa chiave interpretativa giova
particolarmente all’esecuzione di un pezzo come
la Polacca-Fantasia, dove, com’è tipico
dell’ultimo Chopin, tende a scomparire la
melodia, sostituita da asciutti e quasi
impalpabili gruppi tematici, fatti di poche
note, appena accennati, ma che ritrova una sua
coerenza e una più profonda unità proprio nel
sotterraneo legame di quelle fasce sonore cui
prima accennavamo. Insomma: uno Chopin ben
suonato, con ottimi legati e un uso efficace del
rubato, con momenti di efficace introspezione ed
esplorato nei suoi ‘principi’ costruttivi più
profondi: questo, ci è parso, lo Chopin di
Maximov. Il recital di Maximov si è concluso con
cinque Etudes-Tableux di S. Rachmaninov:
dell’op.33 il n.2 in Do Maggiore e il n.7 in Sol
minore; dell’op.39 il n. 2 in La minore, il n.4
in Si minore, il n.9 in Re maggiore. Se in
questi ultimi due Maximov esibisce tutte il suo
travolgente virtuosismo, con i più ardui
passaggi in ottava e accordi di complessità e
densità al limite del cluster, per lo più
l’antologia da lui proposta vede la netta
prevalenza di pezzi dominati dall’elemento
melodico, sul quale Maximov lavora, secondo il
suo stile interpretativo, sugli effetti sonori,
sui variegati contrasti di luce e ombra su cui
s’inarcano le linee melodiche tipiche di
Rachmaninov, suonate con fine sensibilità: un
Rachmaninov, quello di Maximov, in cui il gusto
del dettaglio espressivo-coloristico prevale su
quello della spettacolarità. Splendido, nel
gioco sottile e limpido dei colori timbrici,
l’Etude n.2 dell’op.39, alla luce del quale
diremmo che Rachmaninov è l’autore di Maximov.
Al netto dal mediocre Liszt d’apertura, ci è
parso un ottimo pianista, questo Maximov, che ci
auguriamo di riascoltare presto. L’applauso
convinto e prolungato del pubblico del Borgogna
ne ha segnato il meritatissimo successo ed è
stato ripagato da due fuori programma: un pezzo
di Rachmaninov e una sonata di Domenico
Scarlatti, entrambi eseguiti superbamente, per
delicatezza di suono e finezza nelle sfumature
dinamiche e timbriche.
1 giugno 2024
Bruno Busca
MAGGIO 2024
Riccardo Chailly
e la
Filarmonica della Scala nel primo Novecento di
Schönberg, Webern e Berg
Il
bellissimo programma scelto da Riccardo Chailly
ai confini della tonalità, ovvero in quel
periodo nel quale Arnold Schönberg e i suoi due
discepoli Anton Webern e Alban Berg decidevano
di portare a termine le esperienze tonali con i
loro lavori giovanili, prima di stravolgere la
musica con la dodecafonia e l'atonalità più
destrutturata, prevedeva la versione per
orchestra d'archi di Verklärte Nacht
(1943) una Notte trasfigurata dall'originale del
1899 per Sestetto d'archi del più anziano
compositore; quindi la
Passacaglia op.1
(1908) di Webern e a conclusione di Berg Tre
frammenti dal Wozzeck op.7 (1917-21). Il
raffinato brano iniziale,Verklärte Nacht,
giocato su sonorità morbide, penetranti e
visionarie, ha trovato nella direzione di
Chailly l'interprete ideale. Il riferimento a
Brahms e a certe influenze wagneriane risulta
evidente e la capacità degli archi
dell'eccellente Filamonica della Scala di
plasmare il brano con minime differenze
volumetriche, per raggiungere situazioni di
grande espressività, ha portato ad un risultato
complessivo esemplare, ben capito dal numeroso
pubblico presente in teatro alla seconda replica
ascoltata. D'intensa resa timbrica la
Passacaglia di Webern, eseguita con l'Orchestra
allargata ai
fiati e alle percussioni. Un brano
più vicino, rispetto a Notte trasfigurata, ai
cambiamenti nel mondo tonale con quelle notevoli
continue lente variazioni sul tema iniziale.
Ottime tutte le sezioni orchestrali. Nell'ultimo
lavoro in programma, estrapolato dal Wozzeck
op.7, i tre frammenti scelti hanno anche
messo in risalto l'eccellente timbro del soprano
Marlis Petersen, una Marie in risalto in
Soldaten, soldaten dal primo atto e nel
tema dalla prima scena dell'atto terzo.
Mentre il terzo frammento dal finale del terzo
atto ha trovato un'interpretazione
raffinatissima dei Filarmonici con la conclusiva
apparizione del figlio di Marie e la presenza
del Coro di voci bianche preparato dal grande
Bruno Casoni. Applausi fragorosi dal pubblico
per la splendida direzione, la resa della
Filarmonica e dei protagonisti.
31 maggio 2024 Cesare
Guzardella
Presentata alla
Steinway & Sons milanese la Stagione 2025
di Serate Musicali
È stata presentata a Milano
presso la Steinway & Sons di Largo Donegani 3 la
Stagione 2025 di Serate Musicali. Fondata
nel 1971, la storica Associazione culturale per
la divulgazione della Musica da Camera "Serate
Musicali" celebra oltre 50 anni di eccellenza,
vantando un Albo d’Oro
di
artisti e orchestre senza pari, almeno in
Italia. Il Presidente è fondatore M.tro Hans
Fazzari insieme al pianista e organizzatore
musicale Emilio Aversano hanno illustrato la
nuova Stagione dove accanto a storici interpreti,
da decenni presenti alle Serate Musicali, come
Elisso Virsaladze, presente il prossimo anno per
ben due serate, Uto Ughi, Mikhail Pletnev,
Steven Isserlis, Gidon Kremer, Roberto Cappello,
Yevgeny Sudbin, Freddy Kempf, Julian Rachlin e
ancora altri, verrà dato spazio a nuovi
strumentisti o formazioni cameristiche e
orchestrali. Tra i numerosi altri interpreti
presenti
citiamo almeno Cristian Sandrin, Florin Croitoru,
il Quartetto di Venezia, Zatlomir Fung, Sandro
Ivo Bartoli, Paolo Taballione o musicisti
importanti già presenti in altre stagioni come
Carlo Levi Minzi, Enrico Pompili, l'Orchestra
Filarmonica di Bacau, il Quartetto Janacek e
altri ancora. Fazzari, memoria storica delle
Serate, ha poi raccontato la nascita della
Società concertistica, partendo dai primi
concerti presso la Società del Giardino di via
San Paolo 10 e subito dopo di quelli di Sala
Verdi con serate memorabili con i grandi
protagonisti della migliore interpretazione
musicale. Per maggiori dettagli si può
consultare il sito
www.seratemusicali.it
30 maggio 2024 Cesare
Guzzardella
Carlo Guaitoli diretto da
Mario Venzago per il
Concerto in Sol di Maurice Ravel
L'ottimo concerto ascoltato
ieri sera in Sala Verdi, organizzato dalla
Società dei Concerti, prevedeva due celebri
brani quali il Concerto in Sol maggiore
di Maurice Ravel e la Sinfonia n.9 in do
maggiore D 944 "La Grande" di Franz
Schubert, due lavori molto contrastanti resi
molto bene dalla Stuttgarter Philharmoniker
diretta dal direttore
svizzero
Mario Venzago. Nel noto
Concerto in Sol maggiore di Ravel, il
musicista francese trovò un' evidente influenza
legata alle modalità jazzistiche statunitensi e
alla musica di George Gershwin. Quell'eleganza
stilistica classica che nasce dell'integrazione
della musica afro-americana col mondo
occidentale, tipico di Gershwin, lo ritroviamo
in questo breve capolavoro di circa 25 minuti.
Tre movimenti, un Allegramente, un
Adagio assai e un Presto, dove il
movimento centrale, un tema di poche note molto
caratterizzante dell'influenza blues, spezza i
due ritmici movimenti laterali in modo
significativo.
L'
importante parte pianistica ha trovato come
solista al pianoforte Carlo Guaitoli, musicista
a 360°, con una formazione classica di
primissimo livello, ma legato anche al mondo del
jazz e della canzone. La sua notorietà è
certamente anche dovuta alla collaborazione
quasi trentennale con Franco Battiato, musicista,
cantautore ed innovatore , scomparso da pochi
anni, per il quale Guaitoli ha curato decine
d'orchestrazioni e con il quale il pianista di
Carpi ha intessuto un importate rapporto di
frequentazione musicale. La centralità
pianistica nel concerto di Ravel, ha fatto
emergere le qualità interpretative di Guaitoli,
giocate su una chiarezza espositiva di primo
livello, un senso ritmico preciso ben integrato
con la non facile parte orchestrale sostenuta
con efficacia dai bravissimi della Stuttgarter
Philharmoniker e mediati con precisione
dall'ottima direzione di Vanzago. Espressive le
note solo pianistiche che delineano l'inizio
dell'Adagio centrale un movimento ricco
di riferimenti jazz, con dissonanze
caratterizzanti di quel mondo statunitense molto
amato da Ravel. Interpretazione complessiva di
alto livello.
Di
qualità anche il bis solistico concesso da
Guaitoli con un' improvvisazione sui principali
temi dalla celebre Porgy and Bess di
Gershwin -tra cui l'arcinota Summertime-
resi benissimo per sintesi espressiva "alla
Jarret t", a dimostrazione
della creatività di questo eccellente
interprete-compositore. Applausi fragorosi. Dopo
il breve intervallo, la nota Sinfonia n.9 "La
Grande" di Schubert ha trovato una precisa
direzione di Venzago per
una discorsività esemplare del capolavoro del
viennese. Quattro movimenti con un ampio
Andante. Allegro ma non troppo iniziale che
domina per notorietà dei temi l'intera Sinfonia.
Ottime tutte le sezioni orchestrali. Di grande
impatto il bis concesso con un noto valzer del
viennese Johann Strauss nella divertita
direzione del simpaticissimo Venzago.
Ancora fragorosi applausi.
30 maggio 2024 Cesare
Guzzardella
CONCERTO DELL’ORCHESTRA
FILARMONICA TOSCANINI E DEL MAESTRO ALESSANDRO
BONATO AL TEATRO COCCIA DI NOVARA
Il palcoscenico del Teatro
Coccia di Novara ha ospitato ieri sera 29 maggio
un concerto dell’Orchestra Filarmonica
Toscanini. Nata a Parma nel 2002 dalla
rifondazione dell’Orchestra dell’Emilia Romagna
A. Toscanini, è impegnata da più di vent’anni in
una intensa attività sinfonica e lirica, sotto
la guida di alcuni dei più celebri direttori
d’oggi, che le ha guadagnato un prestigio ben
più ampio dei confini della sua regione. Ieri
sera la Toscanini era diretta dal giovane
Alessandro Bonato, classe 1995, dal 2021, a soli
venticinque anni, direttore principale
dell’Orchestra Filarmonica Marchigiana, salendo
inoltre su podi prestigiosi in Italia e in
Europa. Per lo slancio e le energie di un
giovane direttore in piena ascesa nulla di
meglio che iniziare il concerto con un pezzo
spettacolare e trascinante come l’Ouverture
beethoveniana del Coriolano, op.62, in do minore.
Tempi ben serrati, ma senza esagerare, slancio
molto efficace nelle progressive ripetizioni
iniziali del materiale musicale, molta
attenzione ai chiaroscuri dinamici e soprattutto
sapiente valorizzazione emozionale del contrasto
tra i due splendidi temi, quello tutto eroismo e
vibrante energia che scolpisce l’eroe romano e
l’immortale melodia che tratteggia il mondo
degli affetti famigliari e in particolare di
Volumnia.
Un bel Coriolano, questo diretto da Bonato, con
una acuta sensibilità per una sonorità
chiaroscurata dal gioco delle dinamiche e per il
dettaglio timbrico in funzione marcatamente
espressiva. Guidata dalla bacchetta del giovane
Maestro veronese, la Toscanini mette in mostra
un bel suono, omogeneo, brillante e intenso in
tutti i suoi reparti, con un’ottima sezione
fiati, sia nei legni, sia negli ottoni. In
tutt’altra atmosfera musicale è immerso
l’ascoltatore con il pezzo successivo, omaggio
all’anno pucciniano: il Capriccio sinfonico in
fa maggiore SC 55, saggio d’esame finale presso
il Conservatorio Verdi di Milano di un
venticinquenne Puccini, che lo impose
all’attenzione della più autorevole critica
musicale del tempo. La perfetta intesa tra
Direttore e orchestra dona al pubblico un pezzo
di musica di grande effetto: se
nell’Introduzione, un Andante Moderato, la
bacchetta di Bonato appoggia sull’energia di un
ritmo ben calibrato un’ ampia linea melodica,
già tipicamente pucciniana, in cui gli archi e i
legni danno voce ad un’espressività morbida e
velatamente malinconica, anch’essa preannuncio
del Puccini ‘maggiore’, nel successivo ‘Allegro
vivace’, che sviluppa il tema che tredici anni
dopo sarebbe diventato il grande tema d’apertura
della Boheme, Bonato e la Toscanini danno vita
ad un melodismo tutto giocato su un finissimo
gioco di timbri, colori e dinamiche di alta
scuola interpretativa, che culmina, nella sua
curva emozionale, nel meraviglioso finale dalla
sonorità dolcemente sfumata sugli accordi
delicatissimi dell’arpa e sui remoti rintocchi
del timpano. Davvero ogni sezione dell’orchestra
ha dato il meglio di sé, ma ci piace qui
segnalare in particolare i violoncelli e i
fagotti nell’attacco e nella ripresa del tema
della Boheme con un fragoroso applauso e che ha
fatto nascere il desiderio di ascoltare ancora
Bonato e la Toscanini, possibilmente di nuovo
insieme. A questo punto ci si consenta di
esprimere il nostro amareggiato e un po’
scandalizzato stupore per quanto accaduto con
l’ultimo pezzo in programma. La brochure del
programma della stagione del Coccia riportava
come brano conclusivo del concerto di ieri sera
la sinfonia di Schumann n. 2 in do maggiore
op.61. I manifesti affissi all’esterno e
nell’atrio del Teatro riportavano la stessa
indicazione. Per l’occasione non sono stati
distribuiti programmi di sala (!). Ora, la
sinfonia effettivamente eseguita, senza nessuna
comunicazione al pubblico, né da parte del
Coccia né da parte dell’Orchestra Toscanini e
del Maestro Bonato è risultata la n.3 in Mi
bemolle maggiore op.97, nota come “La Renana”,
naturalmente di Schumann. Un fatto che, nella
nostra più che quarantennale frequentazione di
sale da concerto non ha precedenti. Di chi la
colpa di tanto pressapochismo e disprezzo per il
pubblico? Dell’Orchestra Toscanini che non ha
comunicato la variazione del programma alla
direzione del Coccia? Della direzione del Coccia
che s’è fatta una bella dormita? Non sappiamo e
non vogliamo sapere: diciamo solo, citando
Pirandello “Ma non è una cosa seria!” A
confortarci di questo penoso episodio soccorre
la bellissima interpretazione di Bonato e della
Toscanini. Il talentuoso giovane direttore ha
dato di questo capolavoro schumanniano
un’interpretazione lucida e coerente che coglie
come carattere fondamentale della sinfonia la
sintesi tra romanticismo’gotico’ con i suoi
momenti di contrappunto ‘fiammingo’ o il
meraviglioso corale del quarto movimento e il
limpido equilibrio classico, del tutto inusuale
per Schumann,, con i numerosi momenti distesi e
‘descrittivi’, che ci riportano, alla lontana,
al clima musicale della Pastorale di Beethoven,
specie nel secondo dei cinque tempi. Bonato ha
raggiunto i risultati migliori nella
valorizzazione dei variegati e cangianti colori
che imprimono un clima di serena festosità in
particolare nei due tempi estremi e nel ritmo
lento e maestoso, sincopato, su cui è
fraseggiato il quarto tempo, dando
un’espressività emozionante alla solenne linea
ascendente e lavorando con finezza sulle varie
linee contrappuntistiche che si vengono man mano
sovrapponendo. In questa esecuzione la Toscanini
ha mostrato la qualità eccellente di tutte le
sue sezioni, a cominciare da quella dei fiati,
chiamata nei legni a scolpire l’incantevole
secondo tema del primo tempo o con gli ottoni e
in particolare i tromboni, a dare ieratica
solennità al quarto tempo. Questa intensa
interpretazione ha strappato al pubblico un
applauso scrosciante e prolungato: peccato che,
temiamo, molti tra i presenti non sapessero cosa
stessero applaudendo…
30 maggio 2024 Bruno Busca
IL CONCERTO DELL’ORGANISTA
MAURIZIO CROCI A NOVARA
Ieri pomeriggio, 28/05, nella
suggestiva chiesa barocca di s. Marco, a Novara,
su iniziativa dal Conservatorio Cantelli, si è
esibito in concerto uno dei più autorevoli e
affermati organisti italiani d’oggi, il Maestro
Maurizio Croci, attualmente organista titolare
della chiesa del Collegio St. Michel a Friburgo
e della Basilica della SS. Trinità a Berna,
nonché docente d’organo e di clavicembalo presso
la Musikhochschule di Friburgo. Croci suonava un
organo realizzato nel 1956, ma il cui apparato
fonico è stata recuperato in gran parte dal
preesistente strumento ottocentesco,
conservandone alcune canne e registri tra i più
importanti. Con un programma impaginato su
Dietrich Buxtehude (1637-1707), Heinrich
Scheidemann (1596-1663) e J. S. Bach, Croci ha
sfoggiato tutto il suo dominio tecnico dello
strumento, con passaggi di altissimo virtuosismo,
accompagnato e ispirato sempre da una intensa
espressività del suono, magistralmente
interpretando quella ‘musica degli affetti’ che
è carattere essenziale della musica barocca,
specie nel
XVII secolo. Così è stato anzitutto
per Bach nel Preludio e fuga BWV 566, in cui
l’eccellenza tecnica di Croci si è realizzata
nel sapiente dominio dei più complessi sviluppi
contrappuntistici dei numerosi accordi sospesi
del Preludio e nell’intensa espressività
raggiunta nelle cadenze e nelle pedalate
toccatistiche, con una ricchezza di sfumature
raggiunta con un uso raffinato dei registri
principali o di quelli di mutazione, con una
cangiante ricchezza del tessuto timbrico. Una
ricerca espressiva ancora più raffinata nella
seconda sezione della fuga, le cui molte
ripetizioni sono state rese incantevoli dal
ricorso ai registri c.d. ‘oscillanti’ tra i più
dolci e delicati dell’organo a canne. Un Bach un
po’ diverso è quello che ci restituisce Croci
nel Preludio e Fuga BWV 552, in cui l’uso dei
registri vira sulla solennità e la
spettacolarità, creando un suono compatto e
grandioso, che accenna appena a sciogliersi in
una più dolce fluidità melodica nell’alternarsi
vario dei temi delle tre parti della fuga .Croci
ha inframmezzato al Preludio e alla fuga il
meraviglioso corale “O Mensch bewein dein’ Sunde
gross” (= Uomo, piangi il tuo grande peccato)
BWV 622, sul tema della Passione di Cristo: una
scelta, questa di Croci, che crea un contrasto
da lasciare l’ascoltatore senza fiato, tra il
tono spettacolare dei due pezzi estremi e il
tono, al contrario, di intima commozione, che
l’uso dei registri oscillanti da parte
dell’esecutore rende pura, profonda, commovente
poesia. Se per Frescobaldi si deve “sonare con
affetti cantabili” Croci ha pienamente raggiunto
l’obiettivo. Dietrich Buxtehude presenta una
musica organistica orientata verso una
grandiosità architettonica che possiamo definire
‘scenografica’, ma in questa sa integrare
momenti orientati verso il polo degli ‘affetti’,
soprattutto dove a un polifonismo un po’ rigido
subentrano un più sciolto stile concertante e un
più libero andamento toccatistico. Pur senza
raggiungere la coinvolgente intensità espressiva
di un Bach, anche Buxtehude sa regalare
all’ascoltatore, grazie alla bravura di Croci,
momenti di musica gradevole e vicina al mondo
dei sentimenti, ma tale bravura sa anche rendere
emozionanti i momenti di più sublime solennità
cara al compositore e organista di Lubecca,
agendo con efficacia sui registri principali, in
particolare sui bassi d’armonia, come avviene
con i suoi corali ‘Te Deum Laudamus’ BUXWV 218 e
“Nun bitten wir den heiligen Geist ( “Ora noi
preghiamo lo Spirito Santo”) dalla severa e
complessa tessitura contrappuntistica. Anche un
autore ‘minore’, come l’amburghese Scheidemann
con la sua Galliarda e Variatio ex D WV 102, dal
vivace e gradevole ritmo di danza, molto vario
nei colori, esce dall’interpretazione di Croci
come creatore di pezzi di musica ancora oggi
affascinanti per chi li ascolta. Un concerto
molto coinvolgente, reso tale dalla bravura di
un grande interprete. Grande e meritatissimo il
successo, sottolineato dai prolungati applausi
del pubblico.
29 maggio 2024. Bruno Busca
Il ritorno di Cristiano
Burato alle "Serate
Musicali" del Conservatorio milanese per un
"tutto Chopin"
Era da
alcuni anni che il pianista mantovano Cristiano
Burato, classe 1968, non veniva in Sala Verdi.
In passato numerosi concerti, tenuti sempre per
Serate Musicali, ci hanno permesso di
conoscere un interprete di qualità che risulta
essere tra i più rappresentativi della sua
generazione.
La
vittoria, nel lontano 1996, del prestigioso
Premio Ciani (giuria presieduta da Riccardo Muti)
ha permesso una carriera importante, incentrata
soprattutto su repertori classici e avente in
Chopin probabilmente il maggiore riferimento.
Nell'ottobre del 2010 intraprese per Serate
Musicali, e per l'occasione al Teatro Dal
Verme, una "Maratona Chopin” nella quale del
celebre compositore vennero eseguite tutte le
Polacche, compreso l’Andante spianato e Grande
Polacca brillante op.22 e quattro Notturni. Ieri
sera in Conservatorio ancora un "tutto Chopin"
ha ritrovato un pianista di sicura rilevanza
estetica. Prima le Quattro Ballate e poi
i Quattro Scherzi hanno evidenziato la
valida personalizzazione interpretativa di
Burato per un compositore la cui scrittura
pianistica risulta essere unica e autentica in
ogni frangente.
Esecuzioni
di grande equilibrio le sue, con ottime
dilatazioni temporali nei frangenti più intimi
hanno sottolineato uno Chopin raffinato nella
scrittura intensamente pianistica. I numerosi
contrasti presenti in questi celebri capolavori,
giocati su un'alternanza tra riflessione nelle
infinite invenzioni melodiche ed esternazioni
concitate nel loro sviluppo, hanno trovato il
giusto peso nelle mani di Burato. Un interprete
che domina la tastiera elargendo modi
introspettivi ricchi di espressività nei chiari
dettagli rilevati, ma anche con evidente sintesi
discorsiva nelle esternazioni delle maggiori
volumetrie. Pubblico non numeroso in Sala Verdi
ma estremamente soddisfatto al termine del
programma ufficiale. Due i bis concessi: prima
una notevole Danza del fuoco di Manuel De
Falla ( ricordate quella celebre di Arthur
Rubinstein?) eseguita con notevole scioltezza
ricca di pregnanza virtuositico-espressiva;
quindi ancora Chopin con il delizioso
introspettivo Valzer in la minore op.34 n.2
interpretato magistralmente, rivelando
perfettamente le linee melodiche dei vari
registri in un equilibrio dinamico efficace.
Concerto splendido!
28 maggio 2024 Cesare
Guzzardella
Due
soprano per due
concerti a Milano
Due validi incontri musicali,
uno in mattinata, l'altro nel tardo pomeriggio,
hanno riempito la giornata di ottima musica. La
rassegna Lieti Calici, appuntamento
domenicale delle 11.30 agli Amici del
Loggione del Teatro alla Scala, in via
Silvio Pellico 6, ha trovato questa volta un duo
particolare nei nomi di Margherita Tomasi e di
Alberto
Malazzi.
Il primo è un soprano lirico di alto valore, il
secondo è conosciuto per essere l'eccellente
direttore del Coro del Teatro alla Scala.
Malazzi è anche un ottimo pianista, che sa
entrare nella musica in modo profondo, insieme
alle timbriche perfette ed incisive della Tomasi.
Il duo - coppia affiatata anche nella vita - è
stato presentato dal presidente degli Amici del
Loggione, Gino Vezzini, e dal musicologo Mario
Marcarini, organizzatore della rassegna. I brani,
introdotti dalla Tomasi, hanno evidenziato i
legami tra musica e letteratura, come i primi
sette, su testi di Paul Verlaine, di Reynaldo
Hahn:
le
7 Chansons grises (1887-1890),
precisamente Chanson d'automne, Tous d'eux,
L'allée est sans fin, En sourdine, L'heure
exquise, Le Rossignol des Lilas: Paysage triste,
La bonne chanson, rese con una timbrica
precisa nell'elargizione del testo e
nell'evidente espressività della voce. A seguire
Oh! quand je dors di un Liszt giovane e "parigino"
su testo di Victor Hugo e quindi Kennst du
Das Land su testo di Goethe, sia il brano di
Liszt che quello di Hugo Wolf, unitamente a
Verborgenheit sempre di Wolf . Conclusione
splendida con un'aria di Richard Wagner,
interpretata dal duo con grande profondità
espressiva.
Applausi
interminabili e brindisi conclusivo insieme agli
interpreti. Nel pomeriggio, per Musica
Maestri! al Conservatorio milanese, abbiamo
ascoltato l'ottimo soprano Sabrina Macculi,
accompagnata alla chitarra da Leopoldo Saracino,
musicista di spessore e anche trascrittore di
brani pensati originariamente per altri
strumenti. L'impaginato di Sala Puccini ha
esaltato le qualità del soprano e del
chitarrista, che ha anche presentato i brani
partendo da Domenico Puccini (1772-1815), nonno
di Giacomo, e arrivando al grande operista
toscano. Di Domenico Puccini sono state scelte
Tre ariette a voce sola di soprano con
accompagnamento di chitarra , poi di
Dionisio
Aguado ecco il suggestivo El fandango variado“
op. 16 per chitarra, di Fernando Sor ,Quattro
Seguidillas per voce e chitarra e di
Giovanni Paisiello/Fernando Sor da “La molinara“
la celeberrima "Nel cor più non mi sento",
di Gioachino Rossini la Canzonetta
spagnuola, e quindi brani di Mauro Giuliani,
Mario Castelnuovo-Tedesco, Giacomo Orefice.
Infine di Giacomo Puccini tre deliziose arie: “E
l’uccellino“; “Sogno d’or“ e “Sole e amor,
brani trascritti benissimo per chitarra e voce
da Saracino ed eseguiti ancora con nitore
espressivo da Sabina Macculi. Il bis di Puccini,
dedicato da Saracino al padre presente in sala,
era la celebre aria O mio bambino caro,
da Gianni Schicchi, ancora ottimamente reso
dalla Macculi, soprano con anche valide qualità
recitative. Applausi fragorosi dal pubblico che
gremiva Sala Puccini.
27 Maggio 2024 Cesare
Guzzardella
UNO STREPITOSO ETTORE PAGANO
CHIUDE IL XXVI VIOTTI
FESTIVAL DI VERCELLI
Questa stagione n.26 del
Viotti Festival non poteva trovare miglior
conclusione della serata di ieri, sabato 25
maggio, che ha avuto per protagonista quello che
è ormai, indiscutibilmente, il miglior
violoncellista italiano della ‘generazione Z’
Ettore Pagano, il cui talento è confermato dal
primo premio conseguito due anni fa al concorso
Khaciaturjan, una sorta di van Cliburn del
violoncello. Pagano si distingue per un suono
omogeneo e pieno, di cristallina trasparenza
negli acuti, di calda e seducente morbidezza. Il
suo fraseggio è di estrema fluidità, elegante,
mai meccanico, ma sempre assai espressivo, fino
alla più intensa cantabilità, sorretto da una
raffinata calibratura delle dinamiche, da un
efficace vibrato, da arcate sempre limpide ed
esatte, frutto di un dominio assoluto dello
strumento, che gli consente anche di raggiungere
le vette di un virtuosismo funambolico. In
quest’anno viottiano non poteva naturalmente
mancare un omaggio al grande violinista e
compositore di Fontanetto Po: sicché il concerto
prendeva inizio con un delizioso cammeo del suo
catalogo, un Adagio e Allegro per violoncello e
orchestra, pezzo veramente di rarissimo
ascolto,
benché si tratti di un’opera di gusto squisito.
Rimonda e Pagano ne hanno dato
un’interpretazione di notevole intensità
espressiva, valorizzando, soprattutto con le
scelte agogiche e dinamiche, la mesta
cantabilità dell’Adagio, allontanandola dalla
sensiblerie dello stile galante e proiettandola
verso zone preromantiche e dando rilievo
nell’Allegro in forma di Rondò a quelle zone di
appassionata tensione che affiorano talvolta a
contrastare il fresco ritmo quasi di marcia del
refrain. Già in questo primo brano Pagano faceva
sfoggio della sua caratura di solista maturo e
coinvolgente sia nell’approfondimento espressivo,
sia nel virtuosistico dominio dello strumento.
Ma il pezzo che ha costituito un ideale banco di
prova delle qualità interpretative di questo
talentuoso ventunenne è stato il successivo
Concerto per violoncello e orchestra in La min.
op.129 di R. Schumann, che unisce momenti di
incantevole cantabilità e ardente passionalità (i
primi due tempi) a momenti di trascinante
virtuosismo (il Finale). Nei primi due tempi il
violoncello di Pagano ha dato prova di una
sensibilità e finezza espressive davvero
emozionanti, nella delicata cantabilità di
entrambi i temi su cui s’impernia il primo tempo
e nel lirismo da ‘notturno’ che pervade il tempo
lento centrale, ove anche i passaggi
virtuosistici in doppia corda intensificano
questa suggestiva atmosfera. L’impennarsi della
più accesa intensità del pathos schumanniano ha
trovato nel violoncello di Pagano un’espressione
di altissima temperatura emotiva, suggerita
dalle sempre efficaci scelte agogiche e
dinamiche. Nel tempo finale l’atmosfera
marcatamente soggettiva dei primi due è come
lacerata da un tema molto animato ritmicamente,
spigoloso e vagamente marziale, ove il
prodigioso virtuosismo di Pagano si mostra in
una vasta gamma di vari colpi d’arco, tra i
quali dominano le doppie corde, a intensificare
drammaticamente il volume del suono. L’intesa,
sempre inappuntabile, tra solista e orchestra,
la Camerata Ducale diretta da Guido Rimonda, è
naturalmente stata un fattore indispensabile
nella piena riuscita del concerto: lo stacco dei
tempi, il gioco sempre finissimo delle dinamiche
e dei timbri (davvero emozionante il pizzicato
di violini e viole e il controcanto dei
violoncelli che accompagna il violoncello
solista nell’esposizione del primo tema del ‘notturno’
centrale)
hanno
costituito un riferimento fondamentale per il
solista. Una magnifica interpretazione, cui il
pubblico del Teatro Civico ha reso omaggio con
un lungo, entusiastico applauso, premiato da
Pagano con ben tre fuori programma: un pezzo di
Sollima, una trascrizione per violoncello
solista e i quattro violoncelli dell’orchestra (tra
le sezioni migliori della Camerata Ducale) di un
brano di R. Wagner e l’ultimo tempo di una
sonata per due violoncelli di Jean Baptiste
Barriére (1707/1747), tutti e tre eseguiti
splendidamente, con un travolgente virtuosismo
il primo e il terzo. Ma un vivo apprezzamento va
anche al primo violoncello della Camerata Ducale,
Giorgio Lucchini, che formava con Pagano il duo
del pezzo di Barriére Un anno ‘solenne’ come
questo per la Camerata Ducale e il
ViottiFestival non poteva che concludersi con un
monumento del sinfonismo classico, quale la
Sinfonia n.41 in Do maggiore op.551 di Mozart,
nota come Juppiter, proprio per la sua
maestosità monumentale. Esemplare
l’interpretazione di Guido Rimonda e della
Camerata Ducale, contraddistinta da una luminosa
sonorità e da una elaborazione del materiale
tematico di nitida trasparenza, dalla
raffinatezza con cui è dato risalto alla ricca
tessitura armonica, specie nei passaggi
modulanti delle transizioni. Ovviamente il
culmine di questa, come di ogni interpretazione
di questo capolavoro assoluto della storia della
musica, è il gran Finale, ove la bacchetta di
Rimonda e la maturità esecutiva della Camerata
Ducale illuminano il denso materiale
contrappuntistico di una luce che ne porta in
primo piano il gioco vario degli inserti ‘fugati’
in tutte le sezioni del brano, sino al grandioso
canone a cinque voci della Coda. Una lettura
esemplare di un pezzo capitale, in cui lo stile
‘dotto’ si stempera, nella sua austera bellezza
in un tono di garbata eleganza, caratteristico
di Rimonda, che richiama alla lontana un’ultima
eco dello stile galante settecentesco.
Bellissima interpretazione, che chiude
trionfalmente una stagione impossibile da
dimenticare.
26 maggio 2024 Bruno Busca
I Percussionisti di
Strasburgo alla Scala per Milano Musica
Les Percussions de Strasbourg
sono giunti al Teatro alla Scala per
interpretare due lavori di Iannis Xenakis
(1922-2001): Pléiades (1978-79) e
Persephassa (1969), entrambi
per sei
percussionisti. Ospiti del Festival Milano
Musica, gli eccellenti strumentisti hanno
dato prova di sincronia virtuosistica nel
suddividere le complesse parti percussive in
ritmiche regolari e soprattutto irregolari, dove
differenze anche millimetriche del tempo vengono
colte con un'incredibile perfezione di lettura.
Le due performance, dove anche la componente
scenografica ha un significato, prevedevano due
disposizioni differenti in teatro. In
Pléiades i sei Percussionisti, con una
grande quantità
di strumenti - tamburi, xilofoni,
vibrafoni - erano in cerchio sul palcoscenico, e
spesso scambiavano le parti. Momenti più
delicati nell'uso di vibrafoni, marimba e
xilofoni venivano alternati, nelle quattro
sezioni del corposo brano, ad altri di fragorosa
esternazione. In Persephassa, una diversa
distribuzione degli strumentisti, che occupavano
tutta la sala - sul palcoscenico , sul palco
reale e lateralmente in platea, in modo
simmetrico - ha consentito una performance in
cui il concetto di spazialità sonora veniva
invocato anche con
momenti di pacatezza dal
sapore orientale. Un programma certamente non
semplice, ma ben apprezzato dal numeroso
pubblico di appassionati, alcuni molto giovani.
I sei Percussionisti, Alexandre Esperet,
Minh-T ām
Nguyen, Francisco
Papirer, Thibaut Weber, Hsin-Hsaun Wu e Yi-Ping
Yang, hanno
certamente rivelato doti ritmiche stupefacenti
nel definire i due lavori, frutto di profonde
ricerche sonore del celebre compositore greco,
pure ingegnere ed informatico. Applausi calorosi.
25 maggio
2024 Cesare Guzzardella
Lise de la Salle ai
Pomeriggi Musicali
L'anteprima del mattino del Dal Verme prevedeva
due brani particolarmente noti quali il
Concerto per pianoforte e orchestra in La minore
Op.16 di Edvard Grieg e la Sinfonia n.3
in mi bem.maggiore op.97 "Renana"di Robert
Schumanm. Sul podio dell'Orchestra I
Pomeriggi Musicali , James Feddeck era
affiancato nel primo lavoro da una pianista di
fama internazionale quale Lise de la Salle.
Francese, classe 1988, con studi parigini e
vincitrice di numerosi concorsi internazionali,
ha rivelato di possedere ottime qualità
interpretative in un brano di splendida
costruzione formale strutturato nei classici tre
movimenti.
La
sicurezza, mediata da una gestualità classica
perfetta nel proporre il lavoro di tardo
Ottocento, intriso ancora di un romanticismo
evidente, ha sottolineato il lavoro di un
musicista ancora 25enne in un brano ricco di
virtuosismo e con melodie che rimangono
facilmente in memoria. L'interprete, coadiuvata
da un'ottima direzione di Feddeck, nella valida
restituzione orchestrale ha centrato il segno
per espressività, e non sono certo le
imprecisioni iniziali pianistiche del terzo
movimento
Allegro moderato molto e marcato
( era anche l'anteprima) , a inficiare
un'interpretazione di eccellente qualità
complessiva nella parte pianistica, dove Lise de
la Salle ha mostrato un'energia particolarmente
efficace nell'imprimere un suono robusto, molto
espressivo e ricco di dosaggi dinamici. Applausi
meritatissimi! Dopo il breve intervallo, la
celebre Terza Sinfonia "Renana" di
Schumann ha trovato una buona restituzione
musicale, specie nei movimenti laterali dei
cinque che la compongono. Questa sera alle ore
20.00 la prima ufficiale e sabato alle ore 17.00
la replica. Da non perdere.
23 maggio 2024 Cesare
Guzzardella
Il Quartetto Adorno
per La
Società dei Concerti nel "Quartetto
Razumovsky" di Beethoven
Un
programma tutto beethoveniano è stato proposto
dal Quartetto Adorno, compagine cameristica da
alcuni anni affermata internazionalmente per le
indiscusse qualità interpretative e formata da
Edoardo Zosi al primo violino, Liù
Pelliciari al secondo violino, Benedetta
Bucci alla viola e Francesco Stefanelli
al violoncello, quest'ultimo in
sostituzione
di Stefano Cerrato. Da oltre il 2017, anno in
cui ottenne un importante premio al Concorso
Internazionale dedicato a Paolo Borciani, il
Quartetto Adorno è impegnato in repertori sia
classici che contemporanei. I tre quartetti
Razumovsky rappresentano un momento centrale
della produzione del grande tedesco in questo
genere musicale. Il Quartetto n. 7 in fa magg.
op. 59 n.1, quello n. 8 in mi minore op.
59 n. 2 e il Quartetto n. 9 in do maggore
op. 59 n.3 sono stati composti tra il 1805 e
il 1806 su commissione del Conte Razumovsky e
sono un esempio di eccellente scrittura nella
forma consolidata di quel periodo espressa nei
classici quattro movimenti. Le ottime
interpretazioni ascoltate hanno ancora una volta
rivelato la coesione dei quattro archi
nell'esprimere in maniera
compatta il complesso sviluppo della
musica beethoveniana, dove l'incontro
tra
le quattro linee di scrittura avviene secondo
una visione unitaria di timbriche e di
realizzazioni formali. Il colore, spesso appena
accennato, nei frangenti più delicati si oppone
ad una più grintosa definizione nei movimenti
più concitati dei finali, come nell'Allegro
molto del Quartetto in do maggiore, ultimo
della serie, dove la discorsività degli archi
raggiunge arditezze virtuosistiche trascinanti
ed esemplari. Splendide interpretazioni per
tutti tre i brani. Ricordiamo che la formazione,
per la Serie Zaffiro
del concerto pomeridiano, aveva eseguito il
terzo Quartetto dell'op.59 beethoveniano insieme
al noto Quintetto in la minore op.14 di Camille
Saint-Saëns dove la parte pianistica era
sostenuta da Sandro De Palma. Una serata
particolarmente valida quella ascoltata in Sala
Verdi, molto applaudita e meritevole di un
maggior numero di spettatori.
23 maggio 2024 Cesare
Guzzardella
Recital di Lisette
Oropesa al
Teatro alla Scala
Ieri
sera straordinario successo al Teatro alla Scala
per il soprano statunitense Lisette Oropesa
L'avevamo ascoltata insieme al tenore Benjamin
Bernheim, sempre in Scala, tre settimane fa - il
29 aprile- in uno splendido concerto diretto da
Marco Armiliato. Ieri l'abbiamo ancor più
apprezzata in un recital tutto suo,
accompagnata al pianoforte con discrezione e
incisiva sottolineatura della vocalità
dall'ottima
Beatrice Benzi. Un concerto in due parti, dove
la prima era incentrata soprattutto su
composizioni italiane di Mercadante, di Bellini
- con le deliziose Sei ariette per camera-
e di Donizetti, ma con
anche un breve intermezzo solo pianistico di
Chopin ( una Variazione da Hexaméron) e
un brano finale in stile italiano - Vedi
quanto adoro ancora, ingrato- di Franz
Schubert. La seconda parte, con netto cambio di
registro vocale, trovava soprattutto compositori
spagnoli come Rodrigo, De Falla, Sorozabál e
Barbieri, con anche il cubano Joaquín Nin e un
breve intermezzo pianistico di Granados. Un
concerto per un soprano di indiscusse qualità,
dove oltre alla impostata voce nel bel canto
italiano dei primi brani, emergeva il
particolare personalissimo timbro, restituito
con tutta la passione espressiva nella
strepitosa seconda parte spagnola. Lisette, nata
nel 1983 a New Orleans ma di origine cubana, ha
rivelato un carattere solare,
legato
alle sue origini, e vicinissimo alla nostra
natura mediterranea. Ci ha regalato arie di rara
esecuzione come i Quatros madrigales
amatorios di Joaquin Rodrigo, la
Montanara e la Ballata del Conte Sol
di Joaquín Nin, Mio Dio come sono soli i
morti! di Manuel De Falla, Nel paese
delle favole di Pablo Sorozábal e la
straordinaria Canzone della colomba di
Francisco Asenjo Barbieri. Tutti lavori
interpretati con calore ed intensa espressività
dando rilievo anche alla componente attoriale.
Nei bis un omaggio a
Verdi e a Mozart tra applausi fragorosi: prima
il graziosissimo Stornello di Verdi, poi
le mozartiane Nozze di Figaro con Deh vieni,
non tardare o gioia bella, concludendo con
ancora Verdi dalla Traviata con Ah, fors'è
lui che l'anima,...Follie!.. follie!
Sempre libera degg'io. Applausi
interminabili strameritati!!
20 maggio 2024 Cesare
Guzzardella
Paolo Ehrenheim
a Piano City
Il
pianista 23enne Paolo Ehrenheim è stato
protagonista di un eccellente concerto "en plein
air" nel bel cortile del palazzo di Porta
Vercellina 31, luogo del FAI, che ospita anche
gli spazi della Fondazione Somaini. Ehrenheim,
vincitore di importanti concorsi internazionali,
dopo aver iniziato e approfondito lo studio del
pianoforte con Lisa
Vergani,
si è perfezionato con la grande Elisso
Virsaladze e attualmente è allievo di Luca
Schieppati al Conservatorio milanese. Beethoven,
Brahms, Schumann e Chopin sono stati affrontati
con straordinaria leggerezza discorsiva dal
giovane interprete, che ha anche introdotto i
brani in programma inquadrandoli nel loro
contesto storico-musicale. Il primo brano, più
corposo, la Sonata op.101 di Beethoven,
ha trovato un equilibrio inusuale
nella
leggerezza di tocco e nella restituzione chiara
della diversificata Sonata del grande tedesco,
ricca di temi e di contrasti. I tre brani
successivi, dei tre grandi romantici, ad
iniziare dalle
brahmsiane Variazioni op.18b, Variazioni
pianistiche dall'originale Sestetto d'archi,
hanno rivelato l'attitudine dell'interprete per
questo mondo musicale. Una selezione dai
Bunte Blätter op. 9 di Schumann e per finire
lo Scherzo op.39 di Chopin hanno trovato
ancora una straordinaria capacità di dosaggio
delle timbriche. Ottimo il bis scarlattiano.
Applausi meritatissimi dal numeroso pubblico
intervenuto. Al termine del concerto è stato
possibile visitare alla Fondazione, che si
affaccia sul cortile, la mostra "Francesco
Somaini - alle origini del Sacro", con
magnifiche opere del grande scultore originario
di Lomazzo (1926-2005). La figlia Luisa le ha
illustrate ad alcuni visitatori, mettendo in
luce con competenza la straordinaria personalità
del padre e la sua originale e modernissima
concezione creativa di forma, materia ed energia.
Una mattina davvero splendida, all'insegna
dell'Arte!
18 maggio 2024 Cesare
Guzzardella
Per Milano Musica il
concerto di Marco Momi con Michele Gamba e
Mariangela Vacatello
Milano
Musica in
collaborazione con l'Orchestra Sinfonica di
Milano ha trovato ancora un'ottima serata,
questa volta nell'Auditorium milanese, per un
concerto riuscito tra il contemporaneo e il
classico. Prima, in Prima Esecuzione Assoluta
(seconda nella replica ascoltata) il
Concerto per pianoforte e orchestra con
elettronica "Kinderszenen"del
perugino Marco
Momi (1978), quindi la Sinfonia n.1 Op.38 "La
Primavera" di Robert Schumann (1810- 1856).
Momi, compositore affermato internazionalmente,
ha voluto ispirarsi alle celebri Kinderszenen
op.15 schumanniane, lavoro del 1838, per un
brano complesso che ha in comune con l'opera
dedicata ai più giovani del genio tedesco,
probabilmente una sorta di reminiscenze del
passato. Il complesso lavoro di Momi era
affidato per la direzione orchestrale al
milanese Michele Gamba, direttore che ama la
musica più vicino a noi, come quella classica e
antica. Al pianoforte una solista d'eccellenza
come la napoletana Mariangela Vacatello ha avuto
un ruolo privilegiato, non disgiunto dalla parte
orchestrale e quella elettronica preparata da
Serge Lemouton e diffusa in Sala dall'ingegnere
del suono Jérémie Henrot, entrambi dell'Ircam
francese.
Il brano di Momi, di suggestiva
penetrazione timbrica, utilizza il pianoforte in
una rielaborazione sonora amplificata e nell'uso
prevalentemente percussivo della tastiera. La
Vacatello, pianista che ben conosciamo in
repertori classici o del primo Novecento, ha
rivelato notevoli qualità nell'uso più moderno
dello strumento. La parte solistica, con
situazioni timbriche variegate che coprivano
ogni registro della tastiera, era integrata
completamente nelle suggestioni timbriche
orientate con maestria dalla direzione di Gamba.
La componente evocativa legata anche agli
effetti speciali, riferite ad immagini quasi
filmiche, come lo sciacquio delle onde del mare,
le voci dei bambini che
sembrano correre sulla
spiaggia, e altre situazioni che si richiamano
alla musica concreta, esprime certamente una
forte drammaticità piuttosto che un'atmosfera
giocosa. La resa complessiva di tutti i
partecipanti alla realizzazione, con
l'eccellente direzione di Gamba e la precisione
millimetrica della Vacatello ha portato ad un
successo tangibile tra il numeroso pubblico
presente. Dopo il breve intervallo, decisamente
di qualità la Sinfonia n.1 " La primavera"
di Schumann. Gamba ha trovato i giusti tempi
e una gestualità sicura ed energica per una resa
di qualità espressa dagli ottimi orchestrali
della Sinfonica di Milano.
17 maggio 2024 Cesare
Guzzardella
Louis Lortie ai Pomeriggi
Musicali per Mozart
L'ottimo concerto,
interamente mozartiano, ascoltato questa mattina
al Teatro Dal Verme in anteprima, ha trovato un
valente pianista quale Louis Lortie anche alla
direzione dell'Orchestra de I Pomeriggi
Musicali. In programma due
assoluti
capolavori quali il Concerto in Re minore per
pianoforte e Orchestra K466 e quello in
La maggiore K488, anticipati dal Rondò
per Pianoforte e orchestra K.382.
L'ottimo equilibrio tra il solismo pianistico e
la parte orchestrale è stato utile per esaltare
la componente pianistica di Lortie, un
interprete affermato internazionalmente per le
sue sensibili qualità, che nei tre lavori si è
rivelato estremamente
"poetico" nell'elargire i celebri temi
mozartiani inseriti nei movimenti dei rispettivi
concerti. La sua eccellente discorsività
anticipata nel più raro Rondò K 382,
leggera e ricca di sfumature, è emersa sia nei
movimenti laterali dei concerti , Allegro
e Allegro assai, che nelle note più
isolate e centellinate delle parti centrali,
rispettivamente una Romanza e un
Adagio. Il Mozart di Lortie è certamente di
alta qualità e merita di essere ascoltato nella
prima ufficiale di questa sera, alle ore 20.00 o
nella replica di sabato, alle ore 17.00. Da non
perdere!
16 maggio 2024 Cesare
Guzzardella
La "leggenda" Sokolov
è tornata in Conservatorio per la "Società dei
Concerti"
È
passato un anno dal concerto milanese del
pianista russo Grigory Sokolov che nel maggio
2023 interpretava brani di Henry Purcell
(1659,1695) e di W.A. Mozart (1756-1791) e i
suoi classici sei bis. Ieri sera in
Conservatorio, sempre per la rinomata
organizzazione concertistica "Fondazione La
Società dei Concerti", come avviene da
decenni, è tornato per l'atteso concerto, questa
volta più diversificato nelle classiche scelte
d'impaginato. Prima un tutto Bach, poi,
dopo
l'intervallo, Chopin e Schumann. In una Sala
Verdi gremita di pubblico il miracolo è di nuovo
accaduto in termini di personalizzazione e di
qualità interpretativa complessiva. Certamente i
Vier Duette, BWV 802-805 e la Partita
II in do min. BWV 826 di J.S.
Bach, eseguiti senza soluzione di continuità
nella prima parte della serata, hanno rivelato
le capacità del grande interprete ad accostarsi
al repertorio più lontano in modo impeccabile.
Il suo Bach perfetto, senza una minima sbavatura
e ricco di contrasti nei giusti equilibri, è
incontestabile e prezioso. Anche se, per questo
compositore, probabilmente il più grande di
tutti, le possibilità interpretative sono
pressoché infinite, e troviamo nella storia del
brano decine di modi
di affrontare le sue perfette architetture con maniere molto differenti,
per rese sempre di grande
valore. Comunque la chiarezza espositiva
e la capacità di penetrare nelle sonorità da parte
del grande pianisra russo non si discute. Le
4 Mazurche op. 30
e le
3 Mazurche op. 50
di Fryderic Chopin (1810-1849), eseguite
dopo la pausa, ci hanno portato in un mondo
sonoro completamente differente, avente in
comune con Bach solo lo stile personale di Sokolo v,
che accomuna tutte le sue interpretazioni. Il
suo Chopin profondo, chiaro, dettagliato non è
certamente quello polacco, nobile e raffinato di
alcuni interpreti privilegiati entrati nella
storia, ma la chiarezza esplicativa delle sue
Mazurche, con alcune di esse ancor più rilevate
da un'agogica rallentata ricca di riflessione,
hanno una perfezione interiore di evidente
espressività. Di notevole spessore anche
l'ultimo brano in programma, le celebri
Waldszenen -"Scene della foresta” (1848-49)-
, opera non giovanile di Robert Schumann
(1810-1856). Ancora una volta ci troviamo di
fronte a lavori non virtuosistici nelle
difficoltà tecniche da affrontare, ma
virtuosistico è il suo modo di sottolineare ogni
elemento costruttivo dei nove brani che
compongono la deliziosa Op. 82. Applausi
fragorosi e interminabili da parte del pubblico
e ancora una volta sei bis, concessi dal grande
Maestro. Tutti esemplari nelle loro sintesi
discosive: ad iniziare dal
Preludio Op.11 n.4
di Scriabin; procedendo con due Chopin, la
Mazurca op.63 n.3
e
l'Etudè op.25 n.2,
quindi l'amato Purcell con un'incredibile
Chaconne;
poi ancora Chopin con un'incisiva chiarissima
Mazurca op. 68 n.3 E a conclusione un
Bach-Busoni doc
con
lo splendido Corale-Preludio BWV 639 Ich ruf
zu dir, Herr. Concerto, come sempre, da non
dimenticare!
16 maggio 2024 Cesare
Guzzardella
Sudbin alle Serate
Musicali del
Conservatorio milanese
Dal 2001 il pianista russo
44enne, di San Pietroburgo, Yevgeny Sudbin torna
alle Serate Musicali di Sala Verdi in
Conservatorio. Ha sempre impaginati
diversificati, spesso all'insegna di brani
virtuosistici. L'evidente estemporaneità del suo
pianismo ci ha fatto ancora trovare un
interprete che pone al centro di ogni lavoro
modalità esecutive personali di grande impatto
discorsivo. Ieri sera il programma prevedeva
Liszt, Chopin, Debussy, Scriabin e Saint-Saens,
una scelta improntata su esternazioni
tecnico-virtuosistiche di alto livello, a
cominciare dal brano introduttivo.
Funérailles S.173 del grande ungherese, è
tratto da "Armonie poetiche e religiose".
È un lavoro che dalle prime armonie, nei
registri
più bassi e nel loro sviluppo, segnano di
difficoltà trascendentali il percorso da
espletare, risolto con bravura e
personalizzazione dell'interprete. Di grande
impatto espressivo anche la nota Ballata n.4
in fa minore, ultima della serie di Chopin,
formata da due momenti riconoscibili, un
Andante con moto ed un Accellerando
che si concludono con una rapido finale,
certamente di grande difficoltà esecutiva.
Questo finale rivela, come in altre situazioni
di altri lavori del polacco, una proiezione
verso la modernità futura del linguaggio
pianistico novecentesco. Sudbin, se trascuriamo
qualche lieve inciampo riconoscibile, ha fornito
un' interpretazione complessiva ricca di
tensione emotiva e di bellezza melodica. Il
Novecento è arrivato con il successivo Debussy-
conclusivo della prima parte del concerto- con
la celebre L'Ysle joyeuse L.109, lavoro
del 1904. La ricerca coloristica del francese ha
trovato anche qui un interprete idoneo a
esaltare raffinatezze timbriche sottili e ricche
di particolari, anch'esse proiettate nella
futura modernità espressiva. Tra il 1903 e il
1904, anni contemporanei al brano del francese,
il russo Aleksandr Scriabin, componeva la
Sonata n.4 in fa diesis maggiore op.30, e
nel 1913, dieci anni dopo, la sua ultima , la
Sonata n.10 op.70. Due lavori che segnano la
storia del pianismo moderno, con un'evoluzione
stilistica
all'insegna
dell'uscita dai riferimenti di precisa ed
individuabile tonalità. Scriabin, partendo da
Chopin, ne ha stravolto lo stile per un mondo
visionario, in progressiva tensione coloristica,
dove il baricentro della tonalità di partenza
viene spostato in continuazione. Le due sonate,
eseguite con ottima resa espressiva, sono i
lavori più moderni della serata. Un salto
indietro nel periodo storico, il 1875, ma non
nella tensione virtuosistica, si è avuto con
l'ultimo brano del programma ufficiale. La
Danse macrabe op.40, nata come lied per
canto e pianoforte e poi trasformato dal
compositore Camille Saint-Saëns in una splendida
orchestrazione, ha trovato la celebre
trascrizione lisztiana rimaneggiata dal grande
virtuoso Vladimir Horowitz nella versione
ascoltata. Un tripudio di bellezza, di
difficoltà trascendentali esternate con
equilibrio, facilità e maestria irraggiungibile
da Sudbin. Applausi meritatissimi dal pubblico
di Serate Musicali ed eccellente il bis
concesso con un Rachmaninov doc del Preludio
op.32 n.5 in sol maggiore reso con raffinata
trasparenza nei suoi luminosi colori. Splendido
concerto!
14 maggio 2024 Cesare
Guzzardella
CAVALLERIA
RUSTICANA E PAGLIACCI AL TEATRO COCCIA DI NOVARA
Se non ricordiamo male era
più di una decina d’anni che il palcoscenico del
Teatro Coccia di Novara non ospitava, nel
tradizionale abbinamento, le due opere che, agli
inizi dell’ultimo decennio dell’800, segnarono
una svolta nella storia del teatro musicale
italiano: “Cavalleria rusticana” di P. Mascagni
e “Pagliacci” di R. Leoncavallo. Ieri pomeriggio,
domenica 12/05, le due opere sono tornate al
Coccia, in un nuovo allestimento, prodotto dal
teatro novarese, per la terza e ultima replica
(le due precedenti hanno avuto luogo il 10 e
l’11/05). La regia dello spettacolo era affidata
a Matteo Mazzoni, con la collaborazione alla
sceneggiatura di Matteo Capobianco. Le note di
regia vergate da Mazzoni dichiarano il carattere
“tradizionale” della messa in scena, il “rispetto
del contesto storico sociale di fondo di
entrambe le vicende”, cioè di un mondo contadino,
presente in modo più diretto nella Cavalleria,
poco più che sfondo per i Pagliacci: un mondo
che è realtà durissima di un lavoro spesso
ridotto a disumana, abbrutente fatica su una
terra che con la sua durezza è essa stessa
simbolo impietoso di una condizione di vita.
Queste premesse si traducono in un apparato
scenografico che intreccia due componenti: una
di robusto realismo, diciamo pure di ‘verismo’
che , anche attraverso i costumi curati da
Roberta Fratini, stupendi nei loro vari colori,
soprattutto nei Pagliacci, riporta alla memoria
i mestieri del passato, contadini, minatori,
pescatori, persino cordari ( e non importa se
poi questa plebe abbrutita si mette a pregare
nella Cavalleria con versi quali “Ei fulgente ha
dischiuso l’avel); a
questa
prima si aggiunge una seconda componente
registico-scenografica, più improntata a un
carattere simbolistico, che ruota intorno
all’elemento della terra, nella sua durezza,
simbolo della durezza della vita dei personaggi.
Da qui l’idea di ambientare entrambe le opere in
un luogo che evoca oppressione, un estremo grado
di alienazione e miseria, in cui questa umanità
vive come sprofondata in tutta la sua atroce
miseria; nella Cavalleria rusticana si tratta
chiaramente di una cava sotterranea, di chiaro
significato simbolico, dunque, della condizione
dell’umanità protagonista della vicenda. Un
ruolo decisivo ha il ricorso a video, la cui
gestione è affidata al Visual Designer Luca
Attilii e che collaborano non poco alla riuscita
estetica della regia e della scenografia, ancora
una volta tra i punti di forza di una
rappresentazione d’opera al Coccia. Nella
Cavalleria i video creano inizialmente, sopra la
cava, uno spettacolare cielo stellato, sotto il
quale cammina uno smarrito Turiddu, simbolo,
ancora una volta, di un’umanità schiacciata
sulla dura terra e lontana sideralmente da quel
cielo. Successivamente, sopra la cava compare
l’immagine di un bosco-giardino, che assume i
colori di un paradiso terrestre nel quale
s’incontrano e si baciano Turiddu e Lola (scena
naturalmente assente dal libretto della
Cavalleria rusticana), mentre contemporaneamente
la squallida cava si trasforma in una
verdeggiante valletta, da cui zampilla limpida
acqua, immagine di un’impossibile felicità. Il
Visual Designer fa anche miracoli, perché a un
certo punto trasforma la cava in una chiesa, per
la processione pasquale. Diversa è l’atmosfera
creata dagli elementi scenografici per i
Pagliacci. Mazzoni immagina la Montalto in
Calabria in cui Leoncavallo ambienta la vicenda
dell’opera come località marittima e dunque il
mare ha qui un ruolo essenziale, come simbolo
archetipico di una possibile libertà da una
condizione di vita opprimente. La cava della
Cavalleria rusticana diventa qui piuttosto un
miserabile edificio, o complesso di edifici,
destinato a trasformarsi in teatro, quando la
compagnia dei comici dell’arte di Canio e Nedda
darà la sua fatale recita. Immagini del mare
vengono continuamente proiettate dai video, e
dal mare su una onirica barca-teatro arrivano a
Montalto i comici, i Pagliacci. Interessante
l’idea di Mazzoni dell’arrivo dei Pagliacci su
una barca-palcoscenico, come contatto ‘traumatico’
tra due mondi, quello degli attori girovaghi (cioè
l’arte come immagine di una possibile diversa
realtà) e quello dei pescatori, le cui abitudini
tradizionali vengono sconvolte, con lo
scatenarsi di fronte al loro sguardo attonito di
violente emozioni dall’esito mortale. Illuminati
dalle luci, come sempre affidate alla sapienza e
alla sensibilità di Ivan Pastrovicchio,
si
muovono sul palcoscenico del Coccia non solo i
singoli protagonisti, ma anche masse di coristi,
figuranti etc. per un totale di quasi duecento
persone. Merita applausi la perizia con cui
Mazzoni ha fatto muovere questa folla sul
palcoscenico, creando un continuo movimento, che,
con i vivaci colori dei costumi ha davvero
appagato pienamente l’occhio degli spettatori
stipati al Coccia. Nel complesso una scelta
registica e scenografica, che senza inventarsi
strampalate ‘attualizzazioni’, non scade mai nel
banale. Per quanto riguarda la parte musicale,
ci sembra doveroso cominciare dal coro, che per
l’occasione era la Schola Cantorum S. Alberto
Magno, diretta dal Maestro Alberto Sala.
Doveroso perché è noto il ruolo fondamentale che
hanno i cori in entrambe le opere, soprattutto
nei Pagliacci e perché la Schola Cantorum S.
Alberto Magno ha dato una prova di assoluta
qualità, confermando, una volta di più, di
essere diventata un coro di alto livello, che ha
svolto sia nella Cavalleria sia nei Pagliacci un
ruolo non meramente decorativo, ma quasi di un
personaggio, come nell’antica tragedia greca,
contribuendo in misura decisiva all’atmosfera
sentimentale e psicologica, dunque espressiva
delle due vicende. Nei Pagliacci al coro adulto
si è aggiunto il Coro di voci bianche del Teatro
Coccia, diretto dal Maestro Paolo Beretta, anche
in questo caso con ottimi risultati. L’orchestra
era la Filarmonica Italiana diretta dal Maestro
Fabrizio Maria Carminati. Abbiamo ascoltato una
direzione precisa nello stacco dei tempi, che
hanno consentito un rapporto di piena
collaborazione tra buca e palcoscenico, nella
calibratura agogica e dinamica e nella cura dei
dettagli timbrici, il tutto finalizzato a
sostenere al massimo il tipo di vocalità nuova,
ampia, spianata, di espressività densa, propria
di questa particolare stagione. Per quanto
riguarda i cantanti, nell’opera di Mascagni (ma
diremmo in generale) ha decisamente svettato su
tutti/e il soprano Cristina Melis, una Santuzza
da antologia. La Melis è il tipico esempio di
‘soprano sfogato’, cioè un soprano di ampia
estensione dello strumento vocale, con registri
gravi nella prima ottava di brunitura
contraltile, un bel timbro vocale, una fluidità
di passaggio tra i registri e un legato che le
permettono
di salire facilmente all’acuto, che, al netto di
qualche durezza, la Melis possiede solido e
intenso e tiene benissimo, grazie a ottimi fiati
lunghi. Se a questo aggiungiamo mezze voci di
squisita fattura abbiamo il ritratto di un
soprano non solo nel pieno controllo ‘tecnico’
del suo strumento vocale, ma anche di una
notevole forza espressiva, che nel duetto con
Turiddu “Tu qui Santuzza?” (scena V) dà subito
il meglio di sé. Nella parte di Turiddu, che
doveva essere cantata dal tenore del cast
principale, l’argentino Gustavo Porta, è invece
subentrato il tenore del cast della
rappresentazione di sabato, il cinese Zizhao Guo.
Guo è un tenore scolpito con l’accetta: di
timbro piuttosto anonimo nei registri gravi e
centrali della tessitura, dal fraseggio
espressivamente un po’ scialbo e incolore, ha il
suo punto di forza nel volume e nella proiezione
della voce, che sa esplodere in acuti roboanti.
Trova un momento di efficace espressività
nell’ultimo colloquio con la madre, prima del
fatale duello. Mariangela Marini, nel ruolo di
Lola, è un mezzosoprano di non grande proiezione
vocale, di tessitura abbastanza morbida con
qualcosa da perfezionare negli acuti, che le
escono talvolta un po’ troppo strillati. Nel
complesso ha sbrigato con dignità la sua parte.
Brava la Mamma Lucia di Giorgia Gazzola, un buon
contralto (ne esistono ancora!) di cui abbiamo
apprezzato in particolare la sempre tesa ed
efficace linea espressiva del canto. E un
discreto baritono è Marcello Rosiello (Alfio),
il cui tratto caratteristico è l’eleganza con
cui calibra lo spessore sonoro del fraseggio,
restituendone con finezza la sfumatura
espressiva. Nei Pagliacci facciamo la conoscenza
di Gustavo Porta, nella parte di Canio. Una
lunga carriera alle spalle, anche in Teatri di
grande prestigio, Porta è tenore di notevole
presenza scenica, di voce piena e robusta,
amante delle note ampie, in cui carica una forte
tensione espressiva: Canio non può che essere un
personaggio tagliato su misura per lui, e
infatti Porta è, dopo La Melis, il cantante che
ieri ha riscosso il più ampio consenso del
pubblico. Il soprano Alessandra Adorno, cui
toccava il ruolo di Nedda ha mostrato nella sua
aria della scena II “Qual fiamma avea nel guardo”
una voce chiara, capace anche di sfumature e
colori, nelle ottave centrali vellutata; un po’
fragile negli acuti,
sa
comunque dare espressività duttile al suo canto,
dallo sgomento di fronte alla brutalità di Canio,
alla civetteria nella recitazione di Colombina.
Rosiello, qui nella parte di Tonio, non ci ha
convinto molto: il suo è stato un Tonio troppo
poco truce e abietto, quale richiede il
libretto. Hanno fatto il loro dovere il baritono
Andrea Piazza (Silvio) e il tenore Enrico Maria
Piazza nella parte di Peppe-Arlecchino. Lo
spettacolo ha riscosso un grande successo con
numerose chiamate da parte del pubblico per i
cantanti, i cori, il Direttore (il regista era
assente). Il Coccia si conferma buon ‘Teatro di
tradizione’ capace di confezionare
rappresentazioni d’Opera di assoluta dignità. (
Foto in alto Ufficio Stampa del Teatro Coccia)
13 maggio 2024 Bruno Busca
Due incontri
musicali oggi a
Milano
Due luoghi alternativi
milanesi dove spesso avvengono incontri musicali
importanti si trovano in via Silvio Pellico 6 (Amici
del Loggione del Teatro alla Scala) e in via
Fratelli Zoia 89 (Spazio Teatro 89). Il primo,
centralissimo, di fianco alla Galleria Vittorio
Emanuele; il secondo
decentrato, verso Baggio.
In entrambi la musica viene presentata,
raccontata e introdotta da esperti del settore
come Luca Schieppati, ideatore dell'intelligente
rassegna cameristica di via Fratelli Zoia, e
Mario Marcarini per gli Amici del Loggione,
inventore dei "Lieti Calici" (incontri musicali
seguiti da un brindisi, con ottimi vini e non
solo). Due modi intelligenti di diffondere la
musica migliore, dando spazio a validissimi
giovani interpreti, che possono così rendere
pubbliche le loro qualità. Questa mattina in via
Pellico abbiamo ascoltato la pianista calabrese
Ingrid Carbone, venuta più volte in questi anni
per presentare i suoi Cd e per tenere brevi
concerti, arricchiti anche da valide
introduzioni ai brani da eseguire. Oggi ha
tenuto un'interessante Lezione-Concerto sulla
musica di Liszt, speficatamente sulle
trascrizioni virtuosistiche del genio ungherese
di alcuni lieder di Franz Schubert ("La
giovane suora", "Da cantare sull'acqua", "Ave
Maria"). Le rispettive costruzioni musicali,
in funzione anche dei testi, sono state
illustrate con grande competenza, prima delle
valide interpretazioni, molto applaudite. Il bis,
volutamente fuori tema, ma legato al concetto di
virtuosismo lisztiano, è stato il celebre O
Polichinelo del brasiliano Villa Lobos,
eseguito ottimamente dalla Carbone, che
ricordiamo essere anche docente universitaria di
matematica, disciplina che rappresenta l'altra
sua grande passione insieme alla musica. Nel
pomeriggio si è
invece svolto, nel piccolo ed
elegante Spazio Teatro 89, l'ultimo concerto
stagionale organizzato da Schieppati, pianista,
docente, studioso e organizzatore musicale. I
Solisti di Milano Classica - Elisa Scanziani al
violino, Claudia Brancaccio alla viola
e Fabio Mureddu al violoncello - per
l'occasione uniti al pianoforte di Schieppati,
si sono cimentati nel Quartetto per
pianoforte e archi op. 60 di Brahms e nella
Sinfonia n. 4 op. 60 di Beethoven.
L'impaginato del concerto è stato scelto da
Schieppati con la curiosa denominazione "Numeri,
romanzi e trascrizioni". Il numero 60 associato
alle due opere ha un collegamento con i suoi
anni, compiuti da poco. Schieppati si è voluto
regalare, condividendo il bellissimo "dono" con
il pubblico, la musica del Quartetto per
pianoforte ed archi di J.Brahms, uno dei più
celebri, composti in età matura, e quella della
Sinfonia n.4 di L.v. Beethoven, eseguita in una
riuscita trascrizione del 1830 di Johann Nepomuk
Hummel. Quest'ultimo, musicista tedesco
purtroppo un po' dimenticato, era noto
soprattutto per le sua capacità di trascrivere
per ogni strumento, in formazioni cameristiche
ridotte, brani pensati per ampie formazioni
orchestrali. Il Quartetto di Brahms era ispirata
al romanzo epistolare di Goethe "I dolori del
giovane Werther" (1874): e si conclude con un
insieme di note che richiamano il suono di uno
sparo, come per rievocare il suicidio di Werther
nel finale. L'ottima resa interpretativa del
Quartetto brahmsiano è emersa dal valido
equilibrio tra la componente pianistica e le
decise note degli archi. Di qualità anche il
pacato ed espressivo Andante, il terzo
movimento. Il successivo lavoro, la trascrizione
della beethoveniana Sinfonia n.4 in si
bemolle maggiore, ci ha permesso di
apprezzare la qualità trascrittiva di Hummel-
anche se l'originale parte per flauto è stata
sostituita dalla pregnante viola- e la resa
musicale dei quattro interpreti, con ruolo però
privilegiato del pianoforte. Un'esecuzione
ottima, che valorizza il mondo cameristico
capace anche di esternare sinfonie. Applausi
meritatissimi e come bis una toccante Salut
d'Amour di Edward Elgar dedicata a tutte le
mamme nel giorno della loro festa. Splendida
giornata musicale!
13 maggio 2024 Cesare
Guzzardella
UN ECCELLENTE
TRIO GOLDBERG ALL’AUDITORIUM DEDALO DI NOVARA
Tra le formazioni
cameristiche giovanili create dalla Dedalo, una
delle due Scuole di musica di Novara, il Trio
Goldberg, nato nel 2018, è una delle più ‘stagionate’
e delle più apprezzate, da critica e pubblico,
nei sei anni di attività concertistica qua e là
per l’Italia, che lo hanno segnalato come uno
degli ensemble emergenti. Il Goldberg, formato
da Anna Molinari al violino, Lucia Molinari al
violoncello (vanta una significativa esperienza
con La Mahler Orchestra) e Riccardo Bisatti al
pianoforte ha tenuto ieri sera, sabato 11/05,
nell’Auditorium della Dedalo, il concerto
conclusivo della stagione 2024, presentando un
programma impaginato su quattro pezzi. Il brano
iniziale era quel capolavoro che è il Trio di L.
v. Beethoven op.70 n.1in Re maggiore (1808),
noto come “Gli Spettri” per il clima visionario
che pervade il movimento centrale. In effetti
questo Largo assai ed espressivo è davvero il
fulcro dell’intera composizione e il banco di
prova degli interpreti. Il Goldberg dà qui un
altissimo saggio della sua perfetta intesa
d’assieme, della padronanza tecnica
dell’organico strumentale e della raffinata
sensibilità espressiva che lo caratterizzano. La
straordinaria
densità dell’intreccio armonico e timbrico che
viene crescendo dall’ossessiva ripetizione
dell’inciso iniziale, trova una coinvolgente
interpretazione nella cura meticolosa dei
dettagli da parte dei tre strumenti e in
particolare dei due archi, davvero eccellenti,
sostenuti dai tremoli e dagli accordi ribattuti
di un pianoforte di potente suggestione. Il
controllo attento e preciso delle dinamiche, che
svariano dal ppp sino al fff e allo sforzando, è
il presupposto per il ‘colore’ di forte impatto
emotivo, livido, tenebroso, inquietante, che
Anna e Lucia Molinari e Riccardo Bisatti
riescono a realizzare nella loro interpretazione
e che proietta le sue ombre anche sui due tempi
estremi, in particolare l’ultimo, nel quali il
Goldberg dà fondo ad una energia ‘demonica’ di
potenza trascinante, senza perdere una nota.
Dopo una simile interpretazione non si può che
restare ammirati e tributare ai ‘ragazzi del
Goldberg’ l’applauso delle grandi occasioni.
Pezzo conclusivo della prima parte della serata,
il Trio in Sol maggiore di un Debussy
diciottenne (1880), che non è ancora Debussy, ma
un ragazzo geniale che per comporre guarda un po’
indietro, alla grande stagione romantica e in
particolare a Schumann (riconoscibilissimo
nell’Allegro iniziale). Dal punto di vista
esecutivo la caratteristica più appariscente di
questo trio è la sua struttura intensamente
dialogica, che mette alla prova, superata
brillantemente, la coesione e l’intesa del
Goldberg, che non sa cosa sia un’entrata anche
leggermente fuori tempo. I momenti
espressivamente più suggestivi sono stati lo
Scherzo in seconda posizione, suonato con una
sottile e perfettamente romantica forza
evocativa, con i delicati pizzicati degli archi
sopra accordi suonati dal pianoforte con
leggerezza finissima, la limpida melodia del
terzo tempo, l’Andante espressivo, in cui è
decisivo il ruolo del violoncello nel dare il
particolare tono e colore al discorso musicale,
e infine il conclusivo Appassionato, in cui il
Goldberg sa unire, in una linea espressiva di
preziosa raffinatezza, slancio romantico e ed
elegante leggerezza. Dopo un breve intervallo,
il concerto si concludeva con un altro
capolavoro, il Trio in Do min. op.66 di
Mendelssohn (1845), in quattro movimenti.
Questa
è un’opera ricca di contrasti e di violenti
chiaroscuri timbrici e dinamici, espressi al
meglio dal Goldberg, fin dal cupo gruppo
tematico che apre l’Allegro energico e con fuoco
iniziale, ove a segnalarsi in particolare sono i
bellissimi disegni ad arco del pianoforte in
gran spolvero di Bisatti. Ma il culmine di
questo capolavoro è negli ultimi due movimenti.
Dello Scherzo, il Goldberg propone una
interpretazione carica di suggestione, in cui il
tono ‘demonico’ del primo tempo trascolora in
una incantata leggerezza fiabesca, grazie alla
cavata lieve e quasi frusciante con cui i due
archi suonano a canone un moto perpetuo,
accompagnato da un tocco altrettanto lieve e
sommesso del pianoforte. E’, questa, la parte
più virtuosistica del Trio di Mendelssohn, che
impone difficili colpi d’arco su ritmi veloci ai
due archi e veri tour de force di agilità al
pianista, il tutto superato con superba bravura
dai re talenti del Goldberg. Il Finale Allegro
appassionato è poi la cartina di tornasole
dell’eccellente duttilità espressiva di questo
ensemble, capace di passare dall’incisiva
energia del primo tema (ottimo il violoncello di
Lucia Molinari) al cantabile in fff del secondo
tema, all’intenso Corale che il pianoforte
introduce presentandolo con una luminosa
limpidezza di suono e un tocco meditativo e
solenne Da questo gran bel concerto esce
confermata, se mai ce ne fosse bisogno, la
qualità del Trio Goldberg, la sua bravura nella
tecnica strumentale, unita ad una ricerca
espressiva di alto livello. L’applauso
prolungato del folto pubblico presente
nell’Auditorium ha confermato il pieno successo
della serata, ribadito dal fuori programma, il
terzo tempo, Duett, del Trio op.88
Phantasiestucke di Schumann: un delizioso tema
melodico, rimbalzante a canone tra i due archi,
su un tappeto di note staccate del pianoforte.
Serata da ricordare.
12 maggio 2024 Bruno Busca
IL SABATO DEL
CONSERVATORIO DI NOVARA
Il pubblico che, numeroso
come d’abitudine, ieri pomeriggio, 11/05,
affollava l’Auditorium Olivieri del
Conservatorio Cantelli di Novara, per ascoltare
il penultimo concerto della Stagione dei
Concerti del sabato, si vedeva proposto, ancora
una volta, un programma di notevole interesse,
eseguito dai migliori virgulti del Conservatorio
della città piemontese, in genere neodiplomati
già collaudati da esperienze concertistiche e
partecipazioni lusinghiere in vari concorsi
nazionali.
La prima parte del concerto era riservata ad un
Trio di composizione non molto frequente,
pianoforte, oboe e corno. Al pianoforte sedeva
Valeria Aiazzi, ventiduenne diplomata al
Cantelli, vincitrice più volte del Concorso per
musica da Camera della Civica Scuola di musica
C. Abbado di Milano, e docente all’Accademia
musicale G. Mahler. All’oboe Caterina Nonne,
giovane di buon talento, con esperienza già
nutrita di concerti cameristici Infine la parte
del corno era affidata a Jacopo Sacco, elemento
di varie formazioni cameristiche tra cui
l’Orchestra ex Novo, la cui attività
concertistica deve macinare ritmi altissimi se,
fondata nel 2014, nel 2018 già festeggiava i
primi 100 concerti! Questo trio era chiamato a
eseguire un pezzo di Carl Reinecke (1824-1910),
pianista, compositore, didatta, da noi non molto
frequentato nelle sale da concerto: del suo pur
vasto catalogo, che conta quasi trecento numeri,
di tutti i generi strumentali, gode da noi
qualche notorietà la deliziosa Sonata per flauto
e pianoforte “Undine”, il resto è dimenticato. E
appunto dalle tenebre di questo oblio Aiazzi,
Bobbio e Sacco hanno inteso trarre questo
singolare trio op.188, composto nel 1888.
Reinecke è il classico esempio di quella figura
d’artista che si definisce ‘epigono’, senza che
necessariamente tale termine abbia significato
negativo. Formatosi nella Lipsia di Mendelssohn
(di cui fu allievo) e Schumann, ebbe sempre in
questi due campioni del Romanticismo i propri
modelli di riferimento, indifferente a quanto
avveniva nel mondo musicale intorno a lui anche
all’epoca di Brahms, Mahler, R. Strauss,
Debussy… In Reinecke a un’ispirazione ancora
prettamente romantica si unisce un’eleganza
tutta mendelssonhiana per l’invenzione melodica.
Il
Trio è diviso in quattro tempi, con lo Scherzo
in seconda posizione. All’ascolto è apparso un
delizioso morceau romantique, in cui il fitto
dialogo fra i tre strumenti crea un insieme
timbrico dalle tinte e dalle sfumature
incantevoli. Merito anche, naturalmente, degli
interpreti, che hanno, con consapevole scelta
espressiva, orientato la propria esecuzione, con
calibratissima intesa d’assieme, su una sonorità
squisitamente romantica, conferendo uno sfumato
colore elegiaco all’oboe, una risonanza tendente
all’infinito al corno e affidando le parti più
liriche al pianoforte, ora, come nel primo
tempo, con un accompagnamento ondeggiante,
talora sussurrato a mo’ di tremolo, ora con una
più distesa melodia, come nell’Adagio in terza
posizione il tempo più affascinante dell’intero
pezzo. Il tutto sostenuto da un fraseggio che ha
reso al meglio la chiarezza e l’apparente
semplicità delle linee strumentali e la nitida
eleganza dell’insieme. Davvero una bella
esecuzione, sensibile e raffinata, di un pezzo
ingiustamente ignorato. La seconda parte del
concerto vedeva protagonista ancora un trio, ma
in un assetto più consueto nella storia della
musica da camera: pianoforte, clarinetto e
violoncello, con tre promettenti neo diplomati,
tutti e tre impegnati da alcuni anni in concerti
e concorsi: Matteo Bocchetta al pianoforte,
Francesca Bolognesi al clarinetto (entrambi
formatisi al Cantelli) e Clara Ruberti,
diplomata all’Accademia di Pinerolo, al
violoncello. La composizione in programma, a
differenza della precedente, era un pezzo famoso
di uno dei più celebri musicisti di tutti i
tempi: il Trio op.114 in La min. di J. Brahms
(1891). Nel dialogo tra gli strumenti, gli
interpreti hanno urato con sensibilità e finezza
di fraseggio il particolare impasto timbrico di
questo pezzo, ottenendo un perfetto equilibrio
sonoro: l’espressività dolcemente crepuscolare,
proprio ‘brahmsiana’, che Bolognesi ha
realizzato col clarinetto, è stata adeguatamente
sostenuta dal suono vellutato ed ‘elegiaco’ del
violoncello di Ruberti e da quello delicatamente
sfumato del pianoforte di Bocchetta. Ne è uscito
un ottimo trio op.114, di intima cantabilità,
che si colorava di assorta mestizia nell’Allegro
iniziale o di più disteso lirismo nell’Andante,
per farsi delicatamente cullante nello Scherzo e
infine infondere una vena di inquieta
capricciosità al Finale Allegro:
un’interpretazione proposta da giovani in
possesso di una ottima tecnica strumentale e di
una maturità di stile encomiabili. Purtroppo non
è stato esguito quello che, secondo il programma
di sala, doveva essere il pezzo conclusivo del
concerto, un Trio per pianoforte clarinetto,
violoncello, “Metamorfosi”, di Alberto Magagni
(1964), pianista e compositore (da segnalare al
riguardo i suoi studi con Ligeti), attualmente
docente al Conservatorio novarese. Il concerto
ha riscosso comunque un buon successo,
sottolineato dai lunghi applausi del pubblico.
12 maggio 2024 Bruno Busca
Il Quartetto Werther ospite
alla presentazione della Stagione concertistica
2024-2025 della "Società dei Concerti"
Un Concerto Straordinario,
quello del giovane Quartetto Werther, è stato
anticipato dalla presentazione della prossima
Stagione Concertistica della "Fondazione La
Società dei Concerti". La Presidente Enrica
Ciccarelli ha ben sottolineato la ricchezza di
grandi interpreti che si avvicenderanno nelle
tre serie di concerti previste, tra Serie
Smeraldo e Serie Rubino alla sera, e
Serie
Zaffiro pomeridiana. Tra i nomi
presenti, tutti importanti, segnaliamo almeno
Alexandra Dovgan, Beatrice Rana, Rudolf
Buchbinder, Olga Kern, Evgeny Kissin, Arcadi
Volodos, Grigory Sokolov, Hélène Grimaud, Seong
-Jon Cho, Francesco Libetta, Paul Lewis, Simon
Zhu, Luca Geniusas, Eva Gevorgyan, Anna Tifu e
ancora molti altri. Insomma una Stagione
ricchissima che merita uno o più abbonamenti.
Splendido il Concerto cameristico ascoltato. Il
Quartetto Werther è formato da Misia Iannoni
Bastianini al violino, Martina Santarone
alla viola, Vladimir Bogdanovic al
violoncello e Antonino Fiumara al
pianoforte. Sono entrati nel panorama delle
migliori formazioni cameristiche emergenti
internazionali vincendo il XXXIX Premio
"Abbiati, il Premio "Farulli" nel 2020 e molti
altri ancora importanti premi. L'impaginato
prevedeva due
capolavori per Quartetto con
pianoforte, prima quello in Mi bemolle
maggiore op.47 di Robert Schumann, poi
quello in Sol minore op.25 di Johannes
Brahms. L'eccellente
sinergia tra la componente
pianistica e quella dei tre voluminosi e nitidi
archi, ha generato interpretazioni di alto
livello espressivo in entrambi i corposi lavori
che segnano l'evoluzione straordinaria del
romanticismo musicale. La componente armonica
pianista, scorrevole, incalzante e precisa di
Antonino Fiumara ha ben stabilizzato le accurate
e scorrevoli note del violino, della viola e del
violoncello, per un equilibrio timbrico di
grande valore espressivo. La tensione discorsiva
nel delineare le timbriche nei diversi movimenti
ha portato ad un'interpretazione di eccellente
resa espressiva in entrambi i noti lavori.
Applausi fragorosi meritatissimi e come bis prima un breve brano folcloristico con ritmiche mediterranee niente meno che di Richard Strauss e poi l'Andante
del Quartetto n.3 "Werther" di Johannes
Brahms. Bravissimi!!!
11 maggio 2024 Cesare
Guzzardella
Presentata al Teatro Dal
Verme l'80esima Stagione concertistica de
I
Pomeriggi Musicali
Questa
mattina si è svolta la
conferenza stampa di presentazione della nuova
Stagione de "I Pomeriggi Musicali". Una Stagione
di concerti importanti denominata "80 anni
suonati" che segna l'Ottantesimo
anniversario di fondazione della storica
Orchestra I Pomeriggi Musicali. Ottanta anni
da quel lontano 1945 in cui, unitamente alla
ricostruzione di Milano dai bombardamenti della
guerra, si provvedeva a realizzare nuove
istituzioni culturali che dessero avvio ad un
nuovo periodo positivo della vita
culturale
milanese ed italiana. Il critico musicale e
giornalista Angelo Foletto, nell' incontro
iintrodotto con chiarezza da Floriana Tessitore,
ha ben delineato la storia di questa importante
Istituzione musicale milanese raccontando molto
approfonditamente l'evoluzione dell'orchestra da
quel lontano 1945. Il direttore generale e
artistico Maurizio Salerno ha poi illustrato la
splendida programmazione di concerti che attende
l'80esima edizione e che avrà la presenza di
musicisti importanti: dopo l'Inaugurazione del
10 e del 12 ottobre con il pianista Mikhail
Pletnëv interprete del celebre Rach3,
artisti del calibro di Mischa Maisky, Viktoria
Mullova, Julian Rachlin, Alexander Lonquich,
Louis Lortie, Filippo Gorini, Arsenii Moon,
Giuseppe Gibboni, Donato Renzetti, Stefano
Montanari e moltissimi altri ancora, si
alterneranno per una stagione che si annuncia
straordinaria. È previsto anche un Omaggio a
Puccini il 5 ottobre con Le Villi in
forma di concerto dirette da Diego Fasolis e un
convegno organizzato dell’Associazione Nazionale
Critici Musicali.
10 maggio 2024 C.
G.
Filippo Gorini al Festival
Milano Musica
Per i "Percorsi di musica
oggi" del 33° Festival Milano Musica, che
quest'anno è stato denominato "L'Ascolto
inquieto", abbiamo assistito al Teatro alla
Scala all'atteso
recital del brianzolo
Filippo Gorini. Il pianista 28enne da alcuni
anni è tra i migliori esponenti di una scuola
pianistica di ultima generazione che ha nella
serietà di studio, nella straordinaria
preparazione tecnica, e nell'avvicinamento alla
musica del presente i frangenti di maggiore
riscontro espressivo. L'impaginato di ieri sera,
eseguito in un teatro colmo di appassionati di
musica sia classica che contemporanea, era
diviso in due distinti momenti, certamente
diversi per modalità compositiva dei rispettivi
periodi storici, lontani ben due secoli. La
prima parte vedeva brani di un compositore
contemporaneo importante come l'ungherese György
Kurtàg (1926), autore quasi centenario,
realizzatore di ogni genere musicale tra cui i
noti brani pianistici composti tra il 1947 e il
2022 denominati Játékok. Di questi Gorini
ne ha interpretato un'ampia selezione. Quindi
una compositrice giapponese, Mihauru Ogura
(1996) , della quale Gorini ha interpretato, in
Prima Esecuzione italiana, il breve ed intenso
Sillage de lignes
(2022). In contrasto
alla produzione contemporanea, ha poi eseguito,
dopo il breve intervallo, la
Sonata in si
bemolle maggiore D 960
di Franz Schubert,
ultimo capolavoro
sonatistico del genio viennese.
L'intensa partecipazione emotiva ed
intellettuale del giovane interprete, che
ricordiamo essersi perfezionato con pianisti
quali Alfred Brendel, Mitsuko Uchida, Pavel
Gililov e Maria Grazia Bellocchio, quest'ultima
tra le massime esperte d'interpretazione
contemporanea, ha generato esecuzioni di alta
qualità. Nella quindicina di brani tratti da
Játékok, molto diversificati e di straordinaria
estemporaneità compositiva, avevano ruolo
importante sia la timbrica che la componente
gestuale. Gorini ha esternato una musica ricca
di espressione attraverso una lucidissima
riflessione sul materiale sonoro. L'ultimo brano
eseguito della serie, il più recente
Marta
ligatúrája, era dal manoscritto in Prima
esecuzione italiana e anch'esso eseguito a
memoria. Il Sillage de lignes
di Ogura-
circa nove minuti di espressiva ricerca timbrica-
ha permesso a Gorini un approccio anche
virtuosistico delle difficili articolazioni
digitali, per un' interpretazione che ci è
apparsa di ottima resa espressiva. Decisamente
valido il lavoro della compositrice,
applauditissima in palcoscenico insieme
all'interprete. Con Schubert si è giunti ad un
compositore classico che si aggiunge a quelli
più amati da Gorini, come Bach e Beethoven, dove
certamente eccelle. La celebre Sonata
schubertiana è stata eseguita dai massimi
interpreti, tra i quali il suo maestro Brendel,
in formidabili esecuzioni. In Gorini ha trovato
un'esternazione coerente ed equilibrata. Di
altissimo livello i tre bis concessi al pubblico
al termine del programma ufficiale, tra i
meritatissimi applausi. Prima un profondo Bach,
poi un incisivo Brahms ed infine un poetico
Schumann. Serata splendida.
10-05-24 Cesare Guzzardella
Alessandro Bonato e
Davide Cabassi ai Pomeriggi musicali del
Dal Verme
Un'anteprima di particolare qualità quella
ascoltata questa mattina al Teatro Dal Verme.
I Pomeriggi Musicali erano diretti dal
giovane Alessandro Bonato per tre brani di
sicura efficacia compositiva. Dai tempi di
Holberg, suite di Edvard Grieg e la Suite
dal Pulcinella di Igor Stravinskij,
sono
stati inframmezzati dal noto Concerto in Sol
per pianoforte e orchestra di Maurice Ravel.
Le qualità direttive di Bonata sono emerse
certamente nelle due Suite, ma forse ancor più
nel concerto raveliano, brano dove la componente
orchestrale esige una originalissima
organizzazione d'impasti strumentali che con i
bravissimi de I Pomeriggi hanno raggiunto
un
ottimo
livello di approfondimento. Nel Concerto
certamente una delle due parti privilegiate,
oltre l'orchestra, è quella pianistica. Davide
Cabassi, pianista milanese da parecchi anni in
carriera per le sue non indifferenti qualità
interpretative, ha trovato il giusto dosaggio
coloristico in questo capolavoro, orchestrato
benissimo dal grande compositore francese, che
trova nelle influenze jazz d'oltre oceano-
Gershwin prima di tutti- i riferimenti più
immediati. I movimenti più concitati laterali-
un Allegrissimo e un Presto,
avevano
una parte centrale, un Adagio assai,
esternato con riflessione nelle poche note della
melodia e nelle elargizioni anche dissonanti di
straordinario valore estetico, tutte ben
definite dal tocco leggero ed efficace di
Cabassi. Questa sera la Prima ufficiale alle ore
20.00 e sabato la replica alle 17.00. Non
perdetelo!
9 maggio 2024 Cesare
Guzzardella
Straordinario successo
di
Arcadi Volodos in Conservatorio per la
Società dei Concerti
È passato poco più di un anno
dal memorabile concerto tenuto in Conservatorio
dal cinquantaduenne pianista russo Arcadi
Volodos, era il febbraio del 2023. Ieri, sempre
per la nota società concertistica milanese,
Volodos ha bissato il successo di quel febbraio
e ancora una volta ha rivelato di appartenere a
quella ristretta categoria di grandi interpreti
viventi che hanno peculiarità uniche e
inconfondibili.
Stiamo
parlando di pochissimi fuoriclasse che rendono
sbiaditi i colori dei numerosissimi ottimi
pianisti presenti sulla scena concertistica
mondiale. Schubert, Schumann e Liszt sono i
compositori questa volta scelti per delineare
timbriche di rara fattura estetica, dominate da
una perfezione di dettaglio espressa con
sicurezza e semplicità inaudita. La corposa
Sonata in la minore op.42 D845, lavoro
del 1825 del grande viennese, è formata da
quattro movimenti dominati dai primi due di
maggiore durata: un Moderato iniziale di
rara ampiezza, e un disteso e pregnante
Andante poco mosso; gli ultimi due, lo
Scherzo e il Rondò conclusivo sono di più
rapida esternazione. Il controllo assoluto di
ogni elemento costituente lo sviluppo
melodico-armonico della Sonata hanno portato ad
una resa complessiva di esemplare livello,
sostenuta dalla facilità di esprimere una gamma
articolata di volumi sonori, dai pianissimo
quasi impercettibili agli efficaci fortissimo.
Dopo l'intervallo, le brevi diciotto danze
musicali che compongono Davidsbündlertänze
op.6 di Robert Schumann, hanno rivelato ogni
sorta di raffinatezza espressiva. Le andature,
spesso contrastanti, dei rispettivi movimenti
che compongono il
celebre
lavoro venivano enunciati con grande capacità
espressività delineando ogni minimo cambiamento
temporale con un' articolazione digitale di raro
controllo. Il brano conclusivo dell'impaginato
ufficiale, la
Rapsodia ungherese n.13 in la minore di
Franz Liszt, ci ha portato nel versante più
virtuosistico e appariscente della serata. Nel
lavoro lisztiano, rivisitato nella trascrizione
virtuosistica dell'interprete russo, la parte
conclusiva, di trascendentale difficoltà, ha
trovato una chiarezza assoluta ed ha strappato
applausi interminabili dal numeroso pubblico
presente in Sala Verdi. Quattro i bis concessi
dal grande virtuoso: un celestiale Rachmaninov
iniziale rielaborato da Volodos, il celebre Schubert del Momento
musicale op.94 n.3, una virtuosistica
Malaguena del compositore cubano Ernesto
Lecuona ed infine, la Siciliana di
Vivaldi-Bach-Volodos di inverosimile bellezza
coloristica ,
terminata con una pausa di silenzio
prima dell'ovazione conclusiva. Un concerto che
non si potrà dimenticare.
9 maggio 2024 Cesare
Guzzardella
Un grande Luca Rasca
alla
"Primavera di Baggio "
È iniziato da pochi giorni il Festival
Musicale milanese "Primavera di Baggio" e
alla seconda data di programmazione abbiamo
assistito al concerto del pianista Luca Rasca
interamente dedicato a Johannes Brahms
(1833-1897). Tutti lavori giovanili quelli del
grande amburghese, scelti ed interpretati dal
quasi 52enne pianista torinese che
ricordiamo
essere vincitore di importanti concorsi
internazionali. L'impaginato eseguito nella
splendida storica Chiesa Vecchia di Baggio -
capolavoro romanico completamente ricostruito
alla fine dell'800- è stato presentato dal
pianista Davide Cabassi, da molti anni
organizzatore della nota rassegna musicale.
Prevedeva prima le Quattro Ballate op.10
(1854) e poi la Sonata n.3 in fa minore op.5
(1853). Brahms già dai primi lavori rivela
uno stile compositivo tanto personale quanto
complesso nell'originale organizzazione
architettonico-musicale che aggiunge ancora
novità alle geniali innovazioni
melodico-armoniche schumanniane Rasca,
parzialmente favorito dall'acustica dell'ampio
luogo sacro - anche se in alcuni frangenti il
riverbero del grande spazio creava un'originale
piacevole sorta di profondità timbrica- ha
rivelato una straordinaria vicinanza allo stile
compositivo di Brahms, elargendo interpretazioni
analitiche, molto equilibrate nella
distribuzione delle parti, ricche di armonie
pregnanti nelle voluminose masse sonore. Un
pianismo corposo e ricco di espressività il suo,
che sa essere anche molto delicato nei momenti
meno concitati. Complessivamente ha interpretato
in modo eccellente sia le Quattro Ballate che la
corposa Sonata n.3, brano di oltre trentacinque
minuti, suddiviso nella singolare distribuzione
in cinque movimenti. Applausi fragorosi dal
numerosissimo pubblico intervenuto e un
eccellente bis con un il celebre Intermezzo
in la maggiore op.118 n.2. Prossimo concerto
per venerdì 10 maggio alle 20.45 con "La Follia
del Prete Rosso", musiche di Antonio Vivaldi. Da
non perdere.
5 maggio 2024 Cesare
Guzzardella
UN PROGRAMMA STUZZICANTE PER
I CONCERTI DEL SABATO AL CONSERVATORIO DI NOVARA
Accade assai spesso che tra i
principali motivi di attrazione dei concerti,
che si tengono il sabato pomeriggio al
Conservatorio G. Cantelli di Novara, siano i
programmi, che propongono spesso autori e
composizioni assai rari o addirittura
sconosciuti, spesso ingiustamente. È stato il
caso del concerto di ieri pomeriggio, sabato
4/05, che pure si era aperto con un pezzo
celeberrimo, di autore altrettanto celebre, la
versione per violoncello della Sonata in La
maggiore per violino e pianoforte di Cesar
Franck (1886). A eseguirla erano chiamati due
giovani strumentisti, entrambi selezionati tra i
migliori del Conservatorio novarese, già ‘rodati’
da attività concertistica e prove concorsuali:
Elena Lombardo al violoncello, attualmente
specializzanda presso l’Accademia di Musica di
Pinerolo, con la prestigiosa insegnante Marianne
Chen e Enrico Casagrande al pianoforte. La
versione per violoncello del capolavoro di C.
Franck sta conoscendo crescente fortuna nelle
nostre sale da concerto e, avendola ascoltata
ieri per la prima volta, l’abbiamo trovata
assolutamente apprezzabile: il suono del
violoncello dà risalto a certe pieghe di
particolare morbidezza, e a velature
crepuscolari, che, perfettamente coerenti con
l’atmosfera spirituale del pezzo, possono
sfuggire anche al miglior violino.
Proprio per
questo è da lodare l’interpretazione di Elena
Lombardo: un suono morbido e caldo e sottilmente
crepuscolare ha esaltato l’intensità lirica che
pervade l’intera composizione., già a partire
dal tema intonato ad un’ispirazione di berceuse,
sognante e di ampia arcata melodica che apre il
primo tempo e si ripeterà ciclicamente per tutti
i tre tempi. Ma la bravura di questa giovane
violoncellista spicca anche nel successivo
allegro, in cui il perfetto dominio della
tecnica strumentale e la potente energia di
suono le consentono di esprimere con efficacia
l’impeto drammatico del movimento, con una
coinvolgente tensione espressiva, realizzata
anche con una finissima calibratura dei
chiaroscuri dinamici. Siamo dolenti invece di
dover esprimere qualche riserva
sull’interpretazione della parte pianistica:
Casagrande non ci è sempre parso all’altezza dei
compiti esecutivi cui era chiamato, con un suono
di scialba espressività e talora anche impreciso:
deve ancora maturare la capacità di scegliere il
‘suono’ giusto e un più sicuro dominio della
tastiera. La seconda parte del concerto era
dedicata al duo Flauto-Pianoforte: al flauto
Alessandro Orlando, diplomato al Conservatorio
di Novara, con importanti affermazioni in
concorsi nazionali e al pianoforte il
ventiseienne sassarese Luigi Camedda,
attualmente specializzando al Cantelli. E’
precisamente in questa seconda parte che il
programma proponeva autori e brani che non si
possono dire di frequente esecuzione nelle
nostre sale da concerto Il primo dei quattro
pezzi previsti era di Edison Denisov,
(1929-1996), compositore russo-sovietico del
secondo Novecento, della generazione di una
Gubajdullina, di uno Schnittke, di un
Sil’vestrov. Non collegabile a precisi indirizzi
musicali, anche se inizialmente interessato
all’esperienza dodecafonica, è venuto maturando
uno stile che si distingue per una sobria
linearità melodica e di struttura armonica, di
cui è testimonianza la bella Sonata per flauto e
pianoforte del 1960. In un unico tempo, disegna
una struttura ad arco, in cui l’elemento
melodico, di limpida semplicità, enunciato
all’inizio, si fa via via più fragile, per il
continuo contrasto delle dinamiche, e il
sussulto improvviso di una ritmica minacciosa,
affidata nei suoi valori più intensi al
pianoforte, che tende a spezzarlo, sino a
travolgerlo, per poi nuovamente ricomporlo, ma
come esile e in sordina, fino a spegnersi in un
inquietante silenzio. Bravi, davvero, Orlando e
Camedda, che hanno sempre trovato il suono
giusto per dare piena espressione a questo
bellissimo pezzo, con un accurato controllo
delle dinamiche, e soprattutto una scelta dei
ritmi (in cui talora si avvertiva la lontana eco
del Jazz, carissimo a Denisov)
e dei tempi, del
tutto aderente alla linea espressiva del pezzo,
secondo noi il migliore di questa parte del
concerto. Di una certa, sia pur non ampia fama
in Italia, gode l’autore del pezzo successivo
del concerto, la Seconda Ballata per flauto e
pianoforte del 1939: si tratta del compositore
svizzero-francese Franck Martin (1890 —1974);
il suo è infatti uno stile piuttosto originale,
che concilia dodecafonia, intesa in modo non
dogmatico, alla Schonberg, e tonalità.
Ovviamente, l’elemento di contatto e ‘passaggio’
tra i due sistemi è il cromatismo, nonché
l’adozione di successioni particolari della
serie che possono evocare schemi tonali, un po’
come fece Berg. L’esecuzione fornita da Orlando
e Camedda si raccomanda per la pulizia del suono
di entrambi gli strumenti e per l’incisiva
espressività del fraseggio, soprattutto del
flauto, che con un continuo passaggio di
registri e chiaroscuri dinamici, conferisce
un’ombra d’inquietudine al flusso, ritmicamente
sostenuto e incalzante, della composizione. Un
pezzo in effetti ricco di ombre, sin dall’inizio,
col minaccioso ritmo ribattuto del pianoforte e
un recitativo, anch’esso a ritmo ‘puntato’ del
flauto che non sembra quasi trovare una sua
strada melodica: un momento di forte tensione,
che dà la chiave per il successivo svolgimento
del discorso musicale, molto ben eseguito dal
duo di giovani strumentisti. Decisamente
appartenenti al cono d’ombra del semianonimato i
due successivi brani, il ‘Notturno’ e la
‘Romance’ (Romanza), opera di due compositrici,
rispettivamente la francese Lili Boulanger
(1893-1918), sorella della ben più famosa Nadia,
e l’americana Amy Beach (1867-1944) che
all’attività di compositrice (la prima donna
americana a dedicarsi professionalmente alla
musica ‘colta’) affiancò anche quella di
pianista, che la condusse anche a compiere
tournée in Europa. Entrambi i pezzi si
caratterizzano per un melodismo intenso e ampio,
affidato al flauto, un melodismo talora reso
mosso e inquieto da misure più veloci e agitate
nel caso del ‘Notturno’ della Boulanger, più
sommesso e morbido nella Romanza della Beach. In
entrambi i pezzi il duo Orlando Camedda ha
condotto la propria interpretazione impostandola
secondo una suggestiva ricerca espressiva, con
cura attenta dei dettagli dinamici e timbrici e
una perfetta intesa tra i due strumenti. Gli
applausi scroscianti del folto pubblico presente
in Auditorium hanno siglato il pieno successo
del concerto.
5 maggio 2024 Bruno Busca
La direttrice Jessica Cottis
alla guida de I Pomeriggi Musicali e il
violista Timothy Ridout
Un'ottima direttrice d'orchestra quella vista
dirigere all'anteprima de I Pomeriggi
Musicali. Jessica Cottis, quarantaquattrenne
australiana, già nota internazionalmente, ha
impaginato un programma particolarmente
interessante dove tra la poco frequente
Ouverture "Le rovine di Atene" di L.v.
Beethoven e la
conclusiva
celebre Sinfonia
n.3 "Scozzese "
di F. Mendelsshon, c'era il
raro
ma eccellente Rhapsody-Concerto per viola e
orchestra del compositore ceco Bohuslav
Martinu (1890 – 1959), un brano che prevedeva
come solista alla viola il notevole Timothy
Ridout, ventinovenne londinese. Già
dall'Ouverture introduttiva, di particolare
pregnanza espressiva, si è notato il particolare
segno direttivo, preciso e risoluto della Cottis.
Nel brano successivo, la Rapsody-Concerto,
l'equilibrio tra l'evoluta e varia componente
orchestrale nello stile tipico di Martinu -una
calibrata sintesi tra neoclassico e romantico-,
con
riferimenti anche
più lontani nel tempo, e il solismo d'eccellenza
di Ridout, giocato tra il bellissimo timbro
della sua corposa viola e la sua cavata leggera
e nello stesso tempo incisiva, ha portato ad
un'interpretazione di qualità. Dopo il breve
intervallo, la celebre "Scozzese" di Mendelsshon,
terza delle sue diversissime sinfonie, ha ancor
più rivelato la chiarezza di dettaglio della
bravissima Cottis e l'ottima restituzione
dell'Orchestra de I Pomeriggi, brava in ogni
sezione di strumenti. Applausi meritatissimi.
Questa sera la prima ufficiale alle ore 20.00 e
sabato alle 17.00 la replica. Da non perdere.
2 maggio 2024 Cesare
Guzzardella
APRILE 2024
Successo strepitoso
alla Scala per Lisette
Oropesa e Benjamin Bernheim diretti da Marco
Armiliato
Un
concerto straordinario quello scaligero di
ieri sera che ha visto sul podio Marco Armiliato
con i giovani dell'Orchestra dell'Accademia
Teatro alla Scala e con il soprano statunitense
Lisett e
Oropesa e il tenore francese Benjamin Bernheim.
Un impaginato diversificato, che ha trovato
anche frangenti solamente sinfonici che hanno
esaltato le qualità dei giovani strumentisti.
Partendo con la Sinfonia dalla verdiana
Forza del destino, incontrando la
Sinfonia
dei Masnadieri, sempre di Verdi,
arrivando all'Ouverture da Roméo e
Juliette di Charles Gounod, abbiamo
ascoltato l'energica direzione di Armiliato e
l'ottima restituzione degli orchestrali, che
oltre ad avare solisti di talento come Chiara
Rollini, violino di spalla, e Andrea Cavalazzi,
primo violoncello , trovano accordi sinergici di
primo livello. Ma la punta di diamante della
splendida serata è stata certamente quella del
duo solistico. Sia Lisetta Oropesa che Benjamin
Bernheim, in arie e duetti, hanno espresso delle
timbriche che già all'origine rivelano un colore
eccellente. Se a questo si aggiunge la capacità
di esprimere una naturale vocalità, con
l'ausilio di tutti
gli
adeguati elementi tecnici, arriviamo ad un
livello interpretativo che raramente si ascolta.
Nella prima parte della serata hanno eseguito
brani tutti italiani di Verdi, Donizetti e
Puccini , mentre nella seconda le arie
prevalentemente francesi erano di Gounod, Bizet
e Massenet, con anche un brano del tedesco
Meyerbeer. La serata, qualitativamente in
crescendo, ha raggiunto momenti memorabili nella
seconda parte con la romanza di Bizet da Les
pêcheurs de perles "Je crois entendre encore",
interpetrata con maestria da Bernheim e l'aria
di Giacomo Meyerbeer da Robert le Diable "
Robert, toi que j'aime", con una voce della
Oropesa splendida. Le due interpretazioni sono
state accolte da ovazioni da parte del pubblico
che gremiva la Scala. Dopo l'eccellente Massenet
da Manon, con je suis seul!...e
Perdonnez-moi..., entusiasmanti i bis
pucciniani concessi da Bohème. Applausi
conclusivi interminabili. Da ricordare a lungo.
30 aprile 2024 Cesare
Guzzardella
UNA SPLENDIDA MOSTRA A
VERCELLI SU G.B. VIOTTI E I VIOLINI STRADIVARI
Inaugurata il 13 aprile, è in
corso a Vercelli, nello spazio espositivo
dell’Arca, in pieno centro cittadino, una mostra
davvero imperdibile, senza dubbio la più
importante iniziativa non musicale organizzata
quest’anno nella città piemontese per le
celebrazioni del duecentesimo anniversario della
morte del grande violinista e compositore
vercellese G.B. Viotti (1755/1824). La mostra è
articolata in due sezioni: una
‘mostra
immersiva’ e un’esposizione straordinaria di
violini Stradivari, alcuni dei quali di
eccezionale pregio e rarità. La mostra è
concepita per offrire al visitatore una vera e
propria esperienza: attraverso un allestimento
immersivo anche con l’uso sofisticato di
tecniche hi-tech, la mostra racconta la vicenda
umana e artistica di Viotti e il suo rapporto
con gli Stradivari. Dialoghi, monologhi
drammatizzati, voce narrante attoriale (con la
partecipazione dell’attore P.P Spollon), video,
musiche, esperienze immersive e interattive
conducono il visitatore in un evento unico in
cui bellezza e conoscenza sono strettamente
unite. Al termine del percorso narrativo, il “caveau”
dei violini: un’esposizione straordinaria dei
preziosissimi violini appartenuti a Viotti, tra
i quali alcuni Stradivari di particolare
interesse storico-artistico. La mostra chiuderà
domenica 2/06. Orari: dal 13/04 al 5/05 tutti i
giorni dalle 12.00 alle 20.00 Dal 6/05 al 2/06
solo weekend dalle 12.00 alle 20.00- Il prezzo
intero è di 15 euro, ridotto a 12 euro per: over
65, under 20, universitari, gruppi di almeno 5
persone, possessori del biglietto Trenitalia per
Vercelli del giorno. E’ prevista la gratuità per
minori di 6 anni, visitatori disabili con
accompagnatori, possessori della tessera
Abbonamento Musei Piemonte, giornalisti, guide
turistiche. Per informazioni e prenotazioni
info@viottistradivari.it
30 aprile dalla redazione
Il soprano Ingrid Kuribayashi
a Musica Maestri! in Conservatorio
Ingrid Kuribayashi, soprano
americano-giapponese, vincitrice del Premio del
Conservatorio 2023 nella Categoria di Canto F
dedicata al grande baritono Giuseppe
Zecchillo,
e il pianista giapponese Takahiro Maruyama,
hanno tenuto un concerto per Musica Maestri!
, la valida rassegna del Conservatorio che
impegna gli insegnanti e i migliori studenti
dell"importante istituzione milanese.
Eseguendo brani di Rossini, Donizetti,
Verdi, Meyerbeer e Puccini, la Kuribayashi ha
rivelato le sue ottime qualità interpretative,
ben evidenziate dalle
precise armonie
pianistiche di Maruyama. Tra i numerosi brani
eseguiti dei compositori citati, tutti di valida
resa, si sono ancor più rivelati di ottima
qualità quelli di Rossini con «Anzoleta dopo
la regata» da La regata veneziana, «Il
mio ben sospiro e chiamo» da La scala di
seta e, da Semiramide «Bel raggio lusinghier».
Di Gaetano Donizetti «Prendi, per me sei
libero» da L’elisir d’amore e di Giacomo
Meyerbeer da Le pardon de Ploërmel, «Ombre
Légère». Di ottima resa anche i brani
pucciniani da Bohème e da La rondine. Applausi
meritatissimi dal numeroso pubblico di Sala
Puccini.
29 aprile 2024 Cesare
Guzzardella
VIOTTI, MOZART E HAYDN A
VERCELLI PER IL VIOTTIFESTIVAL
Ieri sera, domenica 28/04, la
nuova serata del ViottiFestival ha visto
protagonista il violino di Guido Rimonda,
chiamato anche al ruolo di direttore
dell’Orchestra Camerata Ducale. Per l’occasione
il Maestro non suonava il suo mitico Stradivari
‘Noir’, ma un Vincenzo Panormo, appositamente
costruito dal grande liutaio siciliano a Londra
per G.B. Viotti e anch’esso attualmente in
possesso di Rimonda. Il programma proponeva di
G. B. Viotti il Concerto per violino e orchestra
n.25 in La minore WI:25 (1792-97), di W.A.
Mozart il Concerto per violino e orchestra n.1
in Si bemolle maggiore KV 207 (1773) e la
Sinfonia n.45 in Fa # minore Hob:I 45 (1772),
universalmente nota come “La sinfonia degli
addii”. Programma, come si vede di lineare
compattezza e notevole interesse storico-musicale:
i due ‘dioscuri’ del classicismo viennese e il
loro grande contemporaneo italiano (ma vissuto
per lo più tra Francia e Gran Bretagna), i cui
rapporti coi viennesi sono, a nostro modesto
avviso, ancora tutti da chiarire. Il Concerto
n.25 di Viotti, appartiene al ciclo dei c.d.
‘Concerti londinesi’ (i nn. 21-26) scritti tra
il 1792 e il 1804 nella capitale inglese dove
Viotti decise di
soggiornare
perché l’aria, nella Parigi rivoluzionaria, si
era fatta per lui piuttosto pericolosa. È un
ciclo che contiene alcuni dei capolavori di
Viotti, e questo concerto 25 è tra i suoi
bellissimi. A renderlo particolarmente bello
contribuisce naturalmente il modo di
interpretarlo di Rimonda, col suo splendido
Panormo, che per belllezza di suono non fa
rimpiangere lo Stradivari 1721 Noir. Il suono
che ne cava Rimonda è un suono di brillante
chiarezza, ricco di sfumature, morbido, capace
di dar voce alla più delicata energia, come al
più acrobatico virtuosismo, sempre con signorile
eleganza e con disinvoltura anche dinanzi alle
più ardue difficoltà ‘tecniche’. Il concerto 25
di Viotti ascoltato ieri sera presenta la
consueta varietà dei concerti viottiani,
escludendo peraltro momenti di particolare
intensità drammatica. Bellissimo, per fluidità e
dolcezza di fraseggio l’ingresso, con un tema
melodico, del violino nel primo tempo, dopo
un’introduzione orchestrale a forte intensità
ritmica, variata, com’è tipico del Maestro
vercellese, lungo un ventaglio espressivo che
dal brioso giungono ad improvvise ombreggiature
sottilmente inquietanti. Gli abbandoni melodici
del violino, che affiorano dai ritmi incalzanti
dell’orchestra, alternandosi ad essa, sono
sempre variati nelle sfumature timbriche,
accuratamente calibrate da Rimonda, oltre che
nell’assetto armonico, ed è questa alternanza la
forma del trattamento del materiale musicale che
Viotti propone in luogo della forma sonata
viennese: un’eredità estrema del Concerto grosso
corelliano? Certo, siamo in pieno Made in Italy!
Fatto sta che è, quella di Viotti, una musica
che sa afferrare l’ascoltatore dall’inizio alla
fine. In questo Concerto 25 la linea melodica
tocca naturalmente il suo vertice nel centrale
Andante, con una elegia che, nonostante il modo
maggiore, inconsueto nei tempi lenti di
concerto, tocca il cuore dell’ascoltatore con
quel sottile velo di tenerezza e malinconia,
frequente in Viotti e che Rimonda sa suonare
in
modo così coinvolgente. Il finale è una
successione di ritmi trascinanti, in cui Rimonda
è chiamato a diversi numeri di agilità tra
doppie corde, trilli, colpi vari d’arco su ritmi
iperveloci. Da notare, perché mai ascoltato
prima in Viotti, l’uso del triangolo a dare
spumeggiante risalto ai ritmi puntati
dell’orchestra, accentuando quel vago sapore ‘zingaresco’
del tema principale del Rondò. Eccellente
esecuzione di un concerto che certamente indica
a questo genere musicale strade piuttosto
diverse da quelle che ormai da vent’anni almeno
si andavano imboccando in quel di Vienna. Subito
a seguire il primo dei cinque concerti per
violino e orchestra di Mozart. È interessante il
fatto che, pur nella forma sonata, presente in
tutti e tre i tempi, si tratta di un concerto
ancora legato ad alcuni aspetti della tradizione
italiana, con quell’alternarsi di passaggi
solistici ‘brillanti’ e interventi orchestrali,
che abbiamo visto essere ben presente nei
concerti di Viotti. È un concerto brillante, di
gaio brio salottiero, in cui senti più di un’eco
di Vivaldi e Tartini, e il cui vero centro
d’interesse musicale sono le pur brevi sezioni
di Sviluppo dei tre movimenti. Rimonda col suono
limpido e a tratti squillante del suo Panormo,
ha interpretato al meglio questo carattere di
fondo del KV 207, toccando i punti
espressivamente più alti nella raffinata
delicatezza con la quale ha esposto le
modulazioni e il tema melodico dello sviluppo
del primo tempo, ombreggiato da pregevoli
chiaroscuri delle dinamiche, nell’esposizione ed
elaborazione dell’intenso tema sognante affidato
al violino nell’Andante e infine negli
spumeggianti virtuosismi del Finale . Eccellente
anche la prova della Camerata Ducale, un
ensemble ormai di solida intesa d’assieme e col
solista, efficace in tutte le sezioni
strumentali. Della Sinfonia n.45 di Haydn, la
scelta interpretativa di Rimonda è stata quella
di privilegiarne il carattere “Sturm und Drang”
che indubbiamente è in essa ben presente. Più
che i contrasti tematico-armonici, la bacchetta
di Rimonda cerca il tono emozionale del discorso
musicale, conferendo particolare tensione al
tema dei violini primi su cui è costruito gran
parte dell’Allegro iniziale, o con la sonorità
assorta e un po’ misteriosa degli archi in ppp
coi violini in sordina dell’Adagio e una
timbrica che sfruttando qualche pennellata dei
corni evoca passaggi schubertiani e il
progressivo spegnersi via via delle varie linee
strumentali nello straordinario Adagio finale,
cui si deve il titolo con cui è divenuta
popolare questa sinfonia, sicuramente la più
bella di quelle haydniane prima delle ‘parigine’.
Come talora accade, l’esecuzione di questa
Sinfonia è avvenuta nella più completa oscurità
di palcoscenico e sala, con accesi i soli lumini
dei leggii, con progressivo abbandono dei loro
posti da parte degli orchestrali, riproducendo
ciò che effettivamente accadde al Castello di
Esterazha in quel lontano 1772. Tre autori della
stessa epoca, tre mondi musicali diversi,
esplorati tutti con sensibilità e profondità
interpretativa da Guido Rimonda e dalla Camerata
Ducale. L’esplosione degli applausi alla fine
del concerto ha testimoniato il successo
riscosso presso il pubblico, come sempre
numeroso al Civico.
29 aprile 2024. Bruno Busca
GIOVANI STRUMENTISTI
CRESCONO. BEL CONCERTO PER I SABATI DEL
CONSERVATORIO A NOVARA
Programma interessante e
vario, quello proposto a Novara ieri pomeriggio,
27/04, presso l’Auditorium Olivieri del
Conservatorio G. Cantelli, nell’ambito della
stagione di musica da camera dei Concerti del
Sabato. Protagonisti alcuni dei neodiplomati o
studenti di particolare valore del Conservatorio
novarese, tutti con una già significativa
esperienza di concerti non solo entro i confini
della provincia, tra i quali spicca il ventenne
violoncellista Francesco Barosi, non solo per
numero di pezzi eseguiti, ma anche perché
comincia a godere una certa fama di giovane
talento, consacrata già nel 2021 da un numero
della nota rivista musicale Amadeus. E proprio a
Barosi è toccato, in duo con la flautista Giulia
Vighetti, dare inizio al concerto, con un pezzo
in tre tempi, scritto nel 1950 dal compositore
brasiliano Hector Villa-Lobos, “Assobio a Jato”,
che in portoghese significa “fischio del Jet”,
in quanto nel terzo movimento il flauto suona un
glissando così forte e in un registro così acuto,
da ricordare il fischio di aereo a reazione. La
diversità tra due strumenti così lontani per
suono e registro, permette, quasi impone al
compositore di sfruttare al massimo il contrasto
timbrico tra essi, con effetti spesso
suggestivi e una sonorità lontana da quella più
riconoscibile come ‘musica classica’. I due
interpreti sono stati davvero bravi a riprodurre
i contrasti, richiesti dalla partitura, tra alto
e basso, suono del metallo e suono delle corde
vibranti sul legno, respiro e colpo d’arco,
soprattutto intervallo, per il flauto, e timbro
per il violoncello. Quest’ultima considerazione
ci permette qualche considerazione sul ‘primus
inter pares’ di questo concerto, Francesco
Barosi, che ha esibito un bel suono, equilibrato
tra intensità e morbidezza nella cavata, con un
bel fraseggio fluido e pulito, nonché una
intonazione precisa e una ottima padronanza
della tecnica strumentale, evidente in
particolare nel Vivo finale, dal ritmo
incalzante, con ampi balzi intervallari e vari
passaggi di agilità. Detto tutto il bene
possibile di Barosi, non possiamo trascurare la
flautista Giulia Vighetti, dalla sicura
emissione di fiato, sempre ben tenuta e di buona
proiezione ,il fraseggio pulito e sicuro e
davvero brava nel suo ‘numero’, il glissando
alla fine del pezzo, che per forza ed efficacia
dell’acuto non aveva molto da invidiare a ben
più celebri esecutori. Ritroviamo il violoncello
di Francesco Barosi anche nel seguente pezzo,
un’altra formazione a due piuttosto inusuale,
come la precedente: il Duetto per violoncello e
contrabbasso (affidato a Claudio Mazzeo) in Re
maggiore di G. Rossini, che lo compose a Londra
nel 1824. In tre tempi, col classico tempo lento
centrale, è un pezzo tanto raro all’ascolto in
sala da concerto, quanto sorprendente, per il
vario e sempre efficace gioco contrappuntistico
che lo sostiene, con momenti di vera ingegnosità
armonica. Fondamentalmente in tutti e tre i
tempi questo gioiellino rossiniano si svolge con
l’alternarsi tra i due strumenti di parti di
accompagnamento e di parti melodiche, alcune
delle quali sono vere e proprie arie d’opera.
Non è un pezzo facile, anche se concepito da
Rossini come Hausmusik per dilettanti, comunque
dotati di buona tecnica: numerosi sono i
passaggi virtuosistici, in cui Barosi conferma
la sua piena padronanza dello strumento e una
linea espressiva virata su un suono morbido e
caldo, funzionale ad un fraseggio di bel respiro,
di intensa cantabilità nelle melodie più ‘operistiche’.
E ancora una volta suona molto bene la sua parte
Claudio Mazzeo, che riesce a gestire
efficacemente, con colpi d’arco raffinati e
calibrati con precisione, un ruolo non di solo
accompagnamento per il contrabbasso, variandone
anche con sapienza la timbrica. A Barosi toccava
poi la gran conclusione del concerto con due
pezzi di notevole spessore. La Suite per
violoncello solo n.3 in Do maggiore BWV 1009 di
J. S. Bach (1720 ca.) e la Sonata per
violoncello solo op. 25 n.3 di Paul Hindemith
(1923). Di buon livello l’esecuzione che Barosi
ha fornito della Suite bachiana, dimostrando
ottimo fraseggio, finezza nel rilievo conferito
alle ‘elaborazione contrappuntistica, piuttosto
ricca in questa Suite n.3 e una limpidezza di
suono, sempre morbido e caldo anche nei passaggi
di agilità, numerosi in questo pezzo, come gli
arpeggi e le scale del Preludio, i vari
abbellimenti dell’Allemande, sino agli staccati
e ai picchettati della Giga finale. Ma quello
che ha colpito in particolare l’ascoltatore sono
stati i valori espressivi messi in evidenza da
Barosi, in particolare nella Sarabande:
l’eleganza, la delicatezza e l’intensità
meditativa con cui questa pagina è stata suonata.
Una esecuzione,
questa della Suite bachiana, che
ci autorizza a considerare Barosi già qualcosa
di più di una semplice promessa. La sonata per
violoncello solo di Hindemith pone l’interprete
di fronte ad un pezzo in cinque tempi, piuttosto
avaro di abbandoni melodici, ma molto vario
nell’elaborazione del materiale musicale, che il
giovane solista affronta sfoggiando una buona
dose di duttilità. Questa sua ulteriore qualità
gli consente di comunicare con vivace forza
espressiva la tensione stridente e persino
brutale del Vivace iniziale come del ‘Moderatamente
veloce’ finale, e di rendere invece con
delicatezza e ricchezza di sfumature i tre tempi
centrali, soprattutto il Lento in terza
posizione, in cui il suono del violoncello si
smarrisce in una nebbiosa incertezza e nel
quarto tempo (Vivace alla semiminima) diventa un
sussurro, in cui la densità espressiva si
assottiglia sin quasi ad annullarsi in una
strana dimensione astratta; che ci pare un modo
intelligente di interpretare l’indicazione di
Hindemith, ”senza espressione”. Non c’è dubbio
che Francesco Barosi si stia costruendo un suo
stile, con le sue particolari modalità
interpretative, che certamente richiedono
ulteriore affinamento e approfondimento, ma che
ci appaiono già in avanzata via di maturazione.
Al centro del concerto campeggiava l’unico pezzo
alla cui esecuzione non partecipasse Barosi.
Ancora un’opera di Hindemith, i “Musikalisches
Blumengartlein und leyptziger Allerley” dal
bizzarro titolo (pressappoco: “Fiori di
giardinetto e verdura mista”) per una formazione
inusuale, quale il
duo Contrabbasso (ancora
Claudio Mazzeo) e clarinetto, affidato ad
Alberto Viganò. Si tratta di nove componimenti,
tutti salvo il primo e il terzo con un titolo,
di cui spesso non si vede alcuna connessione col
pezzo e che dunque va considerato come una sorta
di divertita ironia, vagamente surreale
dell’autore sulla propria opera, tra le cose più
stravaganti di Hindemith. È una composizione di
breve. durata (il tutto supera di poco i dieci
minuti). Si tratta di brevi sequenze musicali di
carattere vario, in cui entrambi gli strumenti
sono sfidati ad esprimere le loro potenzialità
tecniche e le loro risorse timbriche in una
forma di estrema concisione. Pezzo di tipica ‘Motorik’
hindemithiana, un geometrismo meccanico in cui
entrano diverse componenti, anche a seconda
delle epoche, è stato eseguito con perfetta
intesa tra i due solisti, e accuratezza nel
rilievo dei dettagli ritmici, armonici dinamici,
ma soprattutto, com’è naturale in composizioni
di tal sorta, timbrici. Bel concerto, che
conferma il Conservatorio Cantelli come una
delle più propositive e attive istituzioni
musicali della città di Novara, pienamente
meritevole degli scroscianti applausi del
numeroso pubblico.
28 aprile 2024. Bruno Busca
PROSSIMAMENTE ARCADI VOLODOS
PER LA "SOCIETÀ DEI CONCERTI" DI MILANO
Mercoledì 8 maggio alle 20:45
presso la Sala Verdi del Conservatorio di Milano
la Società dei Concerti è lieta di
proporre al pubblico milanese un artista
sensibile e raffinato che saprà catturare
l’attenzione
con il suo carisma eccezionale.
Sebbene abbia iniziato i suoi studi nel canto,
Arcadi Volodos è diventato rapidamente uno dei
più importanti pianisti del mondo. Per Volodos
la musica è uno strumento di comunicazione unico
e prezioso che va salvaguardato Il Maestro nutre
un forte distacco con la tecnologia e non
nasconde un certo disagio per il mondo
contemporaneo così oppresso dalla comunicazione
digitale. Può sembrare una contraddizione ma
Arcadi Volods sostiene che la musica, quindi,
non sia elitaria ma per pochi: solo chi ha un
animo e un cuore può riceverla. Il programma
della serata prevede la Sonata in la minore di
Schubert, Davidsbündlertänze di Schumann e
Hungarian Rhapsody di Liszt. Programma della
serata “Arcadi il poeta”:F. Schubert, Sonata in
la minore op. 42 D 845; R. Schumann,
Davidsbündlertänze op. 6; Liszt/Volodos,
Hungarian Rhapsody n. 13 in la minore. Da non
perdere.
26 aprile 2024 Dalla
Redazione
Daniele Gatti dirige la
Filarmonica della Scala nella Nona Sinfonia
di Mahler
Il prossimo direttore
musicale della Scala, probabilmente dal 2026, il
milanese Daniele Gatti, ha diretto la
Filarmonica scaligera nella Sinfonia n.9 in
Re maggiore di Gustav Mahler. È una
composizione interamente strumentale che, nella
sua completezza, conclude il ciclo sinfonico del
grande musicista austriaco, se non consideriamo
la Decima, rimasta incompleta. È stata una
lettura di grande livello interpretativo,
considerando anche l'esperienza di Gatti
maturata in Mahler con le numerose importanti
orchestre internazionali da lui dirette, sino ad
arrivare alla Staatskapelle di Dresda ,
di cui è attualmente il
direttore
principale. La Filarmonica della Scala ha
dimostrato di adattarsi molto bene alle esigenze
interpretative di Gatti, che ha diretto la
Nona senza partitura. La sua visione
mahleriana, chiara, precisa e dettagliata,
coglie gli infiniti momenti di un lavoro
composto nel 1909, in un periodo cruciale per le
radicali trasformazioni nei modi di comporre
musica. La disgregazione della forma operata da
Mahler, soprattutto nelle sue sinfonie
strumentali, trova qui il frangente maggiore,
con quei continui cambiamenti temporali, con
quelle timbriche da pacate a più fragorose, che
anticipano le differenze strutturali,
musicalmente più rivoluzionarie, della Seconda
Scuola di Vienna. Molto indicativo il movimento
finale di questo ampio lavoro, quell'Adagio
dove il tempo sembra fermarsi, tanto viene
eseguito lentamente dagli archi con volumi
sonori quasi impercettibili. Gatti è stato
abilissimo nell'esternare una grande orchestra
compatta che, in moltissimi frangenti, mette in
rilievo le voci soliste dei singoli strumentisti
per soluzioni quasi cameristiche. Una lettura
molto personale, diversa da quelle ascoltate da
altrettanto eccellenti direttori. Alla replica
di ieri il pubblico era entusiasta e ha favorito
le uscite ripetute del direttore in palcoscenico.
Ultima replica prevista per sabato, 27 aprile,
alle ore 20.00. Da non perdere.
25 aprile 2024 Cesare Guzzardella
IL QUARTETTO GOLDMUND A
VERCELLI PER IL VIOTTIFESTIVAL
Il ViottiFestival di Vercelli
ha offerto ieri sera, mercoledì 24/04, presso il
Teatro Civico, un recital di quello che si può
considerare uno dei migliori quartetti d’archi
giovanili attualmente in attività a livello
internazionale, il tedesco Quartetto Goldmund,
formato da Florian Schotz e Pinchas Adt (violini),
Christoph Vandary (viola) e Raphael Paratore
(violoncello). Dal 2009 interpretano con
successo un ampio repertorio, dal classico al
contemporaneo, ottenendo riconoscimenti
prestigiosi anche in diversi concorsi importanti.
Diciamo subito che con il Quartetto Goldmund ci
troviamo di fronte ad un complesso di alta
classe, con una qualità di suono brillante,
cantabile e ricco di sfumature, intonazione
impeccabile, un fraseggio vivo e intenso,
perfezione d’assieme. Queste virtù dei quattro
strumentisti del Goldmund emergono già tutte
nell’esecuzione del primo pezzo in programma, il
Quartetto op.76 n.2 in Re minore Hob. III.76
(1797) di F.J. Haydn, universalmente noto come
il ‘Quartetto delle quinte’, per il ruolo
centrale, strutturale, che vi assume la quinta
discendente,
davvero
onnipresente. Con intelligenza e sensibilità
interpretativa, il Goldmund conferisce risalto
alle sottili mutazioni ritmiche dell’Allegro
iniziale e con un suono caldo ed elegante e un
fraseggio attento a ogni dettaglio timbrico e
dinamico esalta la bellissima coda del movimento.
Mentre nell’Andante protagonista è il primo
violino, con le sue raffinate volute di
carattere virtuosistico, l’ interpretazione del
Goldmund raggiunge il suo apice nei due ultimi
movimenti: nel particolare ‘colore’ con cui i
quattro giovani strumentisti pennellano il ‘Minuetto
delle streghe’ come è talora definito il terzo
movimento di questo Quartetto haydniano: un
colore scuro e inquietante, ottenuto con la
particolare intensità di suono della coppia
viola -violoncello, contrapposta a canone ai due
violini, con effetto timbrico di grande
suggestione; e nel pianissimo del Vivace assai
finale, eseguito con fraseggio di rara finezza,
che accompagna il progressivo, rasserenante
passaggio dal tono minore al maggiore. In
generale possiamo dire che il valore di questa
interpretazione è consistito nel portare alla
luce, al di là dell’apparente semplicità di
scrittura e di struttura dei temi, quella
sottile e straordinaria ingegnosità d’invenzione,
che è la caratteristica fondamentale del genio
haydniano. A seguire, inevitabile nell’anno
viottiano, un quartetto di G.B. Viotti, l’op.1
n.3 in Mi bemolle maggiore, W II:03. È un
quartetto in cui l’espressività del compositore
vercellese, superata l’inquietudine dell’Adagio
introduttivo vira verso una serenità zampillante
di belle invenzioni melodiche e di momenti più
mossi e ritmici. Il Goldmund ha interpretato con
energia ed eleganza, valorizzando in particolare
l’elaborazione timbrica, quello che non ci è
sembrato un capolavoro della produzione
cameristica del grande Vercellese. Con un balzo
che più brusco di così non si potrebbe, il terzo
pezzo proposto era il
Langsamer
Satz (Movimento lento) WoO 6
di Anton Webern , ovvero un lavoro
giovanile di quello che sarebbe divenuto il più
radicale esponente della musica atonale della
Scuola di Vienna primonovecentesca. Composto nel
1905, dunque negli anni di apprendistato con
Schonberg, è una composizione ancora legata alla
tonalità, sia pur allargata, cioè molto ricca di
cromatismi. L’interpretazione fornita dal
Goldmund è stata esemplare per sensibiltà, forza
espressiva, scavo negli strati più profondi di
questa pagina. Ogni singolo strumento sembrava
esplorare una sua strada, fatta di infinite
sfumature dinamiche, di particolari timbrici
anche inusuali, per il ricorso frequente ad una
sordina, che portava il mondo sonoro del brano
ai confini del silenzio, e con continui
cambiamenti di tempo. Indimenticabile la
conclusione in ppp in una dissonanza non risolta,
come sospesa sul nulla, che il Goldmund ha
eseguito caricandola di una misteriosa tensione.
Dalla Vienna del 1905, alla San Pietroburgo del
1882, data della prima esecuzione del Quartetto
per archi n.2 in Re maggiore di A. Borodin, uno
del famoso ‘Gruppo dei Cinque’ che mirò, in
contrasto con l’"occidentalista" Ciajkovskij, a
rinnovare la musica russa attingendo alla viva
linfa della musica popolare dell’immenso Paese.
Anche di questo noto gioiello della musica da
camera russa ottocentesca, i quattro giovani
strumentisti tedeschi hanno saputo offrire al
pubblico una splendida esecuzione ispirata ad
eleganza e intensa carica espressiva, che
trovava il suo apice, naturalmente,
nell’incantevole terzo tempo Notturno, in cui il
Goldmund s’immergeva con delicata sensibilità
nella straordinaria densità timbrica del brano,
guidato in particolare dal primo violino, capace
di acuti di estatica bellezza e dal violoncello,
di fluente morbidezza anche nei registri più
scuri. Ne usciva una musica avvolta da un’ombra
inquietante, molto coinvolgente per
l’ascoltatore. Ma tutta l’infinita ricchezza
delle più varie soluzioni espressive di cui è
intessuto l’intero Quartetto n.2 di Borodin,
sorta di microcosmo musicale in perenne fermento,
è stata eseguita con esito altissimo per qualità
tecnica ed interpretativa dai quattro del
Goldmund, cui è arriso uno strameritato successo
di pubblico, testimoniato dal torrenziale e
prolungato applauso alla fine del concerto. Un
applauso che ha conquistato un fuori programma,
un pezzo di Dvorak, eseguito con accattivante
leggerezza, degna conclusione di una serata di
ottima musica.
25 aprile 2024 Bruno Busca
L'Orchestra Giovanile
della
Svizzera italiana alle Serate Musicali
con Andrea Bacchetti
Sono
giovani gli strumentisti della OGSI, una
compagine che annovera ragazze e ragazzi di un
età compresa tra i 14 e i 18 anni. Capeggiati
dal direttore venezuelano Yuram Ruiz, gli oltre
sessanta strumentisti hanno dato prova di
serietà e
d'mpegno per una restituzione
interpretativa ottima, relativamente alla
giovane età. Il programma scelto prevedeva tre
lavori classici di Haydn, Mozart e Schubert. La
notorietà dei primi due concerti è certa, e i
lavori sono stati eseguiti con l'ausilio di un
noto solista, il pianista ligure Andrea
Bacchetti. Prima il Concerto in re maggiore
per pianoforte e orchestra Hob XVIII di
Joseph Haydn (1732-1809) e poi il Concerto in
do minore per pianoforte e orchestra K 491
di W.A. Mozart (1756-1791) hanno
occupato la
prima parte della serata. L'equilibrio tra
pianoforte e orchestra, ottimamente mediato dal
direttore Ruiz, ha portato ad una valida resa
espressiva, probabilmente più intensa in Haydn.
L'ottimo pianismo di Bacchetti, giocato su una
precisa perfezione discorsiva, espletata con
leggerezza e con una meditata elargizione delle
timbriche, ha dato un'impronta altamente
classica ai due brani. Particolarmente riuscita
la Cadenza dell'Allegro del
mozartiano K 491 composta dal pianista inglese
Stephen Hough. Bacchetti ha poi voluto ripetere
il finale dell'Allegro vivace di Mozart e
poi ha concesso uno splendido Bach con
un affascinante Preludio e fuga: di
straordinaria leggerezza il Preludio e di
preciso rigore tecnico nella chiara polifonia
delle parti la relativa Fuga. Applausi
meritatissimi. Dopo il breve intervallo la
rarità esecutiva della Sinfonia n.1 in re
maggiore D 82 di un Franz Schubert
(1797-1828) sedicenne, ha ancora rivelato le
qualità dei giovanissimi dell'Orchestra della
Svizzera italiana. Applausi meriratissimi al
direttore e all'orchestra.
23 aprile 2024 Cesare
Guzzardella
Giuseppe Grazioli in un
"Viaggio in Italia" con la Sinfonica di Milano
Denominato "Viaggio in Italia",
il concerto cui abbiamo assistito ieri sera in
Auditorium prevedeva un
incontro con i colori italiani di cinque
compositori: Massenet, Melchiorre,
Čaikovskij, Rossellini e Alfano. Nella scelta
dell'impaginato
il
direttore Giuseppe Grazioli, da molti anni
presente con l'Orchestra Sinfonica di Milano, ha
rivelato ancora una volta le sue affinità
con un
repertorio melodico
mediterraneo, repertorio che lui ricerca in modo
intelligente per proporre brani anche di rara
frequentazione, come quelli ascoltati nel valido
concerto. Tra le composizioni dei tre italiani,
quelle del francese Jules Massenet e del russo
P.I.
Čaikovskij sono state dedicate all'Italia: Scènes
napolitaines,
del primo, e Capriccio italiano Op.45,
del secondo, sono lavori ispirati dalle loro
assidue frequentazioni con il Bel Paese. Il
romano Renzo Rossellini (1908-1982) componeva
nel 1954 la rapsodia Canti del Golfo di
Napoli, e Franco Alfano (1875-1954) nel 1909
la sua Suite romantica, una serie di temi
legati a luoghi italiani. In questi quattro
lavori Giuseppe Grazioli ha espresso
un'orchestrazione energica,
con frangenti di esasperata concitazione, dove la sintesi
discorsiva era proiettata all'esaltazione della
ritmica mediterranea, delle tarantelle, delle
altre
danze,
con colori solari molto accentuati. Bravissimi
gli strumentisti della Sinfonica di Milano in
ogni sezione orchestrale. Particolarmente valido
il brano di Franco Alfano, il musicista divenuto
celebre per aver completato la pucciniana
Turandot, ma anche importante compositore che
andrebbe rivalutato anche solo per la maestria
delle sue orchestrazioni e per la modernità
espressiva ricercata. Grazioli,
direttore-ricercatore, uno dei pochi che esegue
la musica del compositore napoletano, ha
realizzato anche un CD con la Sinfonica di
Milano che contiene oltre al brano ascoltato
anche altri quattro validi lavori. Ad inframmezzare
la musica melodica eseguita, abbiamo ascoltato
in Prima Esecuzione Assoluta il nuovo lavoro del
ligure Alessandro Melchiorre (Imperia,1951).
Il
suo Microliti (2024) è stato composto
partendo da aforismi, prose e frammenti
letterari tratte dall'opera omonima di Paul
Celan, ma anche di altri poeti e letterati come
Rilke, Mandel'stam e Kundera. Prevede due voci e
l'orchestra. Le voci erano quelle di Joo Cho,
soprano, e di Nicholas Isherwood, basso,
entrambe ben inserite nel contesto orchestrale e
con ottima resa coloristica. La musica di
Melchiorre, di ottima costruzione formale e di
suggestiva resa timbrica, ha sottolineato il
testo di drammatico significato, adattandosi ai
contenuti specifici in una costruzione unitaria
ed espressiva. Applausi a tutti i
protagonisti. Domani, domenica, replica alle ore
16.00.
20 aprile 2024 Cesare
Guzzardella
In Conservatorio
è iniziata MUSICA MAESTRI INTERNATIONAL
Il
primo appuntamento della nuova rassegna del
Conservatorio denominata Musica Maestri
International ha visto ieri sera in Sala
Puccini il Con Fuoco Duo, con Robert
Walzel
al clarinetto e Steven Michael Glaser al
pianoforte. La nuova iniziativa, ieri introdotta
da Stefania Mormone docente di pianoforte nel
Conservatorio milanese, allarga la rassegna di
successo Musica Maestri! che abitualmente si
svolge in Sala Puccini. Statunitensi, entrambi,
docenti dei rispettivi strumenti in università
americane, il duo ha voluto omaggiare
l'Italia
inserendo nel variegato impaginato denominato
Melodies for many occasions, brani di
Puccini e di Morricone molto popolari,
unitamente ad autori come Bernstein, con la rara
ed efficace Sonata per clarinetto e
pianoforte, di Harlos con “Benniana“,
di Richard Rodney Bennett con “Ballad in
memory of Shirley Horn“ e di Simon A. Sargon
con "KlezMuzik". Ottimi interpreti, i due
strumentisti hanno elargito esecuzioni chiare,
con misurato equilibrio tra le parti strumentali
e di valida resa espressiva complessiva. Bis
ancora di Ennio Morricone. Applausi sostenuti da
un pubblico purtroppo non numeroso in un
iniziativa che meritava una sala al completo.
19 Aprile
2024 Cesare Guzzardella
Il pianista Pietro De Maria
diretto da Alessandro Cadario ai Pomeriggi
Musicali
Il classicismo di due grandi
musicisti quali Beethoven e Schubert è stato
messo in risalto nell'anteprima di questa
mattina da I Pomeriggi Musicali del Dal
Verme con l'orchestra diretta da Alessandro
Cadario e con la partecipazione solistica del
pianista Pietro De Maria. Prima
un brano celebre
con il beethoveniano Concerto n.5 per
pianoforte e orchestra in Mi bem.Maggiore Op.73
"Imperatore"; poi un'assoluta rarità
interpretativa con la giovanile Sinfonia n.1
in Re maggiore D 82 di Schubert. Lo
straordinario concerto del grande tedesco
riassume tutta la forza espressiva del musicista:
dai frangenti più estroversi dell'Allegro
iniziale e del Rondò finale, alla
dolcezza interiore del profondo Adagio poco
mosso centrale, dove le poche note del
pianoforte, eseguite con intensa espressività da
De Maria, e le geniali armonizzazioni
orchestrali definite con eterea precisione e
giusto equilibrio da Cadario e dagli ottimi I
Pomeriggi, hanno portato, insieme ai
corretti ed equilibrati movimenti laterali nel
cosiddetto "stile eroico", ad un'ottima
interpretazione. Applausi meritatissimi ai
protagonisti. Particolarmente interessante la
Sinfonia giovanile di uno Schubert solo
sedicenne, ma che aveva imparato il mestiere
assai bene. Emergono già qui le qualità
melodiche del viennese e poi che delizia quell'Allegro
vivace finale, eseguito con grinta e
passione da Cadario nella valida restituzione de
I Pomeriggi. Ma non è finita qui: il
Maestro Caderio ha voluto regalare al numeroso
pubblico presente una splendida orchestrazione
di Max Reger di Erlkönig, Op.1 di Franz
Schubert e celebre suo lied. Questa sera alle
ore 20.00 la prima ufficiale e sabato alle 17.00
la replica. Da non perdere!
18 aprile 2024. Cesare
Guzzardella
Il pianista inglese Paul
Lewis interpreta Schubert per la Società dei
Concerti
È tornato in Conservatorio il
pianista inglese Paul Lewis per la Società
dei Concerti milanese. Nel marzo dello
scorso anno aveva affrontato tre Sonate
schubertiane, la n.13, la n.15 e la n.16. Ieri
ha continuato l'impresa con altre tre Sonate del
grande musicista austriaco, precisamente la
n.4
D.537, la n.9 D.575 e la n.18
D.894. Ci troviamo di fronte ad un
interprete che ha fatto dei classici la sua
principale cifra interpretativa. L'amato
Schubert, insieme a Beethoven, sono i musicisti
da lui più eseguiti. Come avevamo scritto lo
scorso anno, Lewis, classe 1972, di Liverpool,
ebbe tra i suoi insegnanti anche il grande
Alfred Brendel, dal quale ha ereditato evidenti
modalità interpretative oltre che a una certa
gestualità funzionale ad un'intensa
concentrazione utile per definire in modo
analitico le sue ottime timbriche. La qualità
della sua raffinata esecuzione ha trovato da
subito esplicitazione nella Sonata n.4 in la
minore, eccezionalmente in tre movimenti,
mancante di uno scherzo o di
un minuetto, ma
nell'insieme comunque completa. La resa
espressiva di alto livello ha, in questo lavoro,
ma anche negli altri, rivelato coerenza nel
rapporto tra i differenti movimenti, con
frangenti di eccellente conpenetrazione del
materiale per una resa dettagliata e chiara.
Altrettanto valida la successiva Sonata n.9
in Si maggiore e, dopo l'intervallo, la più
corposa Sonata n.18 in Sol maggiore,
quattro movimenti di cui il primo, Molto
moderato e cantabile di ampia
dimensione e l'ultimo, l'Allegretto, di
una raffinatezza eccellente. Un interprete doc
per Schubert che ha meritato pienamente i
fragorosi applausi del pubblico presente in Sala
Verdi, concedendo, dopo il programma ufficiale,
un bis ancora schubertiano con il profondo
Andante molto dalla Sonata D568.
Splendido concerto!
18 aprile 2024 Cesare
Guzzardella
Il VIOLINISTA E DIRETTORE
SZEPS-ZNAIDER AL VIOTTIFESTIVAL DI VERCELLI
Ieri sera, mercoledì 17
aprile, al Teatro Civico di Vercelli, ospite del
ViottiFestival è stato uno dei più celebri
violinisti d’oggi, nonché apprezzato direttore,
il danese Nikolaj Szeps-Znaider, tra i pochi a
poter vantare il primo premio ai due più
importanti concorsi europei per violino, il
Sibelius e Il Reine Elisabeth. Alla sua prima
vercellese, Szeps-Znaider, sia in veste di
solista, sia in quella di direttore
dell’Orchestra Camerata Ducale, presentava un
programma impaginato su due concerti per violino
e orchestra, il n. 2 in Re maggiore KV 211 di
Mozart (1775) e il n.16 in Mi minore WI: 16 di
Gb. Viotti (1785-89), per concludere, deposto il
violino, con la Sinfonia n.38 in Re maggiore KV
504 “Praga”, ancora di Mozart (1786). Fin
dall’Allegro moderato che apre il Concerto KV
211 il pubblico è stato sedotto dal suono dolce,
caldo, morbido e chiaro dello splendido
Guarnieri del Gesù 1741 Kreisler di
Szeps-Znaider. Questo suono, unito a una
fluidità straordinaria del legato, ha impresso,
alle varie soluzioni melodiche del Concerto, una
soave pacatezza, una sorta di serenità
trascendentale,
che ha contenuto entro la misura
di un lieve brivido anche l’improvvisa
modulazione al minore nello sviluppo del primo
tempo. Un Mozart meravigliosamente classicistico,
ma non di un classicismo marmoreo, soffuso
invece come di ‘un calore di fiamma lontana’, se
ci è lecita una citazione foscoliana, grazie
anche alle sottili e raffinate ombreggiature
chiaroscurali ottenute con il controllo sapiente
delle dinamiche. Un suono, quello di
Szeps-Znaider che sa anche velarsi di suggestiva
tenerezza, come nel primo splendido tema
cantabile dell’Andante centrale, acme espressiva
dell’intero concerto, ma sa anche farsi
capriccioso e brioso, come nel refrain e nei
couplet del finale Rondò, ma sempre con quella
soavità e pacatezza di fondo di cui si diceva e
che avvolge un po’ tutto questo stupendo Mozart
del violinista danese. Il Concerto n. 16 di
Viotti, uno dei più belli in assoluto del suo
catalogo (tanto da suscitare l’ammirazione di
Mozart, che ne curò un’edizione aggiungendo
all’orchestrazione trombe e timpani) porta
all’estremo quella che già individuammo in un
precedente articolo come la caratteristica
fondamentale della musica più alta del
Vercellese, la tensione che la attraversa
costantemente tra temi (e mondi) musicali
lontani tra loro. Questo è un concerto segnato
da una forte inquietudine, che sfiora l’ansia,
subito annunciata dalla emozionante introduzione
funebre, e da un andamento fremente, nervoso,
reso instabile dalla costante oscillazione tra
momenti di intenso virtuosismo e temi cantabili.
Szeps-Znaider
domina questo infuocato materiale
sonoro, con una calibratissima duttilità di
suono, qui spinto ad esplorare zone che il
concerto mozartiano escludeva. L’intervento del
violino dopo l’ampia introduzione orchestrale
del Primo tempo Adagio/non troppo/Allegro si
carica di un’aura più dolente, in generale di
una energia sofferta e inquieta, in cui la linea
talora frammentata dei temi ritmici offre il
banco di prova a Szeps-Znaider per il suo
virtuosismo, come in generale nel Rondò finale e
in particolare nel ritornello, subito introdotto
con le sue cinque note ravvicinate e ribattute,
cui Szeps-Znaider sa dare la giusta carica di
fierezza. Ma nei momenti di più abbandonato
lirismo melodico, il violino del grande solista
danese raggiunge vertici di incantevole bellezza,
di una dolcezza intensa e coinvolgente, come
nell’Adagio centrale, tra le pagine da antologia
di Viotti. Dunque un Viotti tormentato e
dolente, drammatico, che solo nell’ultimo tempo
sembra trovare una qualche luce di riscatto e
speranza, secondo una’ narrazione’ sinfonica che
è già romantica. Veramente un’eccellente
interpretazione, sia per Mozart, sia per Viotti,
questa di Znaider, che ha guidato molto bene la
Camerata Ducale, con una perfetta gestione degli
equilibri e degli intrecci tra le varie linee
strumentali, valida scelta dei tempi e delle
dinamiche, dialogo sicuro tra solista e
orchestra. Gli applausi scroscianti di un
pubblico ammirato non sono valsi a ottenere un
bis. Non ha certamente deluso le attese neppure
lo Szeps-Znaider direttore, che ha ormai una
consolidata esperienza alle spalle e un’ottima
fama, che la ‘sua’ Sinfonia Praga ha dimostrato
essere ampiamente meritata. Questo Mozart è
certo diverso da quello del Concerto KV 211. Son
passati più di dieci anni, siamo al Mozart della
piena maturità, che ha appena composto le Nozze
di Figaro e si accinge alla grande impresa del
Don Giovanni. In generale, possiamo dire che la
chiave di lettura che Znaider offre di questa
quart’ultima sinfonia mozartiana è fondata su un
mirabile equilibrio tra la dolce amabilità del
concerto KV 211 e l’enorme intensificazione
espressiva che, rispetto a quella musica, anima
l’ultimo Mozart e che certo deve molto al Teatro.
Un mondo pieno di contrasti e di tensioni,
questo della ‘Praga’, ma che spesso resta
latente, pronto ad affiorare all’improvviso,
incrinando i più limpidi equilibri formali. Se
la bacchetta di Znaider presenta l’introduzione
lenta già come un dramma, che ha presentimenti
del Don Giovanni, è nel primo tempo che mostra
tutta la sua bravura nel sottile lavoro di scavo
della graduale e calibratissima evoluzione della
tensione drammatica che muove il pezzo. Con una
limpidezza fatta di preziosa precisione timbrica
e ritmica, la bacchetta (si fa per dire, perché
Znaider ieri ha diretto senza podio e bacchetta,
non sappiamo se sia una sua abitudine) del
Maestro danese guida la Camerata Ducale a
inseguire le più varie combinazioni dell’insieme
di motivi che formano il tema principale e che
ricorrono continuamente, spesso urtandosi e
contrastandosi a vicenda per tutto il tempo,
illuminando le diverse linee contrappuntistiche,
in cui il materiale musicale raggiunge un suo
ordine e un suo equilibrio, all’insegna di una
superiore armonia che trionfa di ogni contrasto.
Così, anche nell’Andante centrale la barra della
direzione di Szeps-Znaider tiene saldamente la
rotta di una grazia amabile che ha da combattere
con forze più oscure, qui rese evidenti
dall’abbondanza di cromatismi che caratterizza
il movimento. È infine l’inesausta spinta
ritmica quello che il Maestro danese mette in
maggior risalto nel Finale (com’è noto la
Sinfonia Praga conta solo tre tempi, mancando il
Minuetto), una sorta di slancio verso mete
ignote, che accompagna la gaiezza briosa di
questo Rondò. Un Mozart inafferrabile e ambiguo,
come sospeso in un mondo espressivo sfuggente e
indefinibile, per il quale la luminosa struttura
classicistica è più che altro una forma di
resistenza di fronte a un che di ignoto e
vagamente minaccioso, che si affaccia alla
complessa coscienza di questo genio. Questo il
Mozart di Szeps-Znaider, ottenuto con una
direzione orchestrale sempre attentissima alla
cura dei dettagli ritmici, dinamici, timbrici e
nella scelta calibrata dei tempi. Grandi
applausi del pubblico, che ha salutato con
entusiasmo questo gran bel concerto, decisamente
da ricordare.
18 aprile 2024 Bruno Busca
Presentato ieri al Teatro
alla Scala il 33° Festival "Milano Musica"
Il
33° Festival Milano Musica denominato
quest'anno "L'ASCOLTO INQIUIETO" si
svolgerà tra il 23 aprile all'8 giugno 2024. Con
oltre 25 appuntamenti: concerti sinfonici e
cameristici, musica elettronica e video, teatro
di figura e con 7 prime esecuzioni assolute e 11
prime in Italia comprese 1 commissione e 5 co-commissioni
di Milano Musica, il Festival si rivela anche
quest'anno con un numeroso numero di eventi
musicali e anche nell' obiettivo perseguito
lungo percorsi molteplici: nell’uso di spazi non
convenzionali, il Pirelli HangarBicocca e l’Orto
Botanico di Brera; nella scelta e
nell’accostamento di repertori e autori, da
Schumann a Marco Momi con la prima assoluta del
suo Concerto per pianoforte e orchestra con
elettronica; nella preferenza per brani che
innovano la relazione fra la musica e il
pubblico, come i trii e i quartetti per le
combinazioni strumentali più originali in prima
esecuzione nel Ridotto dei palchi del Teatro
alla Scala in occasione dell’inaugurazione.
L’arco del Festival si apre martedì 23 e
mercoledì 24 aprile con un’anteprima dedicata a
giovani e adulti,
Tierkreis di Karlheinz
Stockhausen nello spettacolo di teatro di figura
di Luciano Gottardi, con intermezzi
elettroacustici al Teatro Menotti, e si chiude
al Pirelli HangarBicocca e al Conservatorio G.
Verdi, con due fondamentali lavori di Fausto
Romitelli, le cui coraggiose scelte musicali
hanno segnato la giovane generazione di
compositori a livello internazionale. Nella
presentazione di questa mattina, dopo il saluto
introduttivo della Presidente di Milano
Musica Rosalina Archinto, l'organizzatrice e
direttore di Milano Musica Cecilia
Balestra ha introdotto il Festival con esaustive
parole, delineando i punti di forza della
nuova rassegna di musica contemporanea e
presentando i numerosi ospiti: il musicologo
Franco Pulcini ha anche illustrato la mostra
presente in Scala con immagini e documenti
dedicati a Luigi Nono, musicista
d'avanguardia
del Secondo Novecento che in modo evidente si
collega alle origini di questa importante
rassegna; musicisti come il
citato Marco Momi;
organizzatori come Mark Madlener, direttore
dell' IRCAM di Parigi che ha rimarcato il legame
privilegiato tra Milano e Parigi nel sostenere
la musica contemporanea. Sono intervenuti anche
il direttore d'orchestra Michele Gamba che è
entrato in merito al lavoro di Momi; interpreti
come il pianista Filippo Gorini che unirà nel
suo concerto alla Scala la figura di Schubert a
quella di Kurtag. Per finire il consulente
artistico Paolo Petazzi è entrato nei dettagli
della programmazione del Festival. Anche
quest'anno si prevede una forte affluenza di
appassionati nei numerosissimi spazi in cui si
svolgerà la manifestazione italiana più
importante di musica contemporanea.
17 aprile 2024 C.G.
L’ ORCHESTRA DA CAMERA DI
LUGANO E LA PIANISTA MARIA GLORIA FERRARI AL
FESTIVAL CANTELLI DI NOVARA
La stagione del novarese
Festival Cantelli si è conclusa ieri sera,
martedì 16/04, con un concerto al Teatro
Faraggiana, che vedeva protagoniste l’Orchestra
da Camera di Lugano e la pianista Maria Gloria
Ferrari. L’Orchestra di Lugano, di formazione
abbastanza recente (2005), è costituita da
strumentisti professionisti di giovane età, che
vantano tutti significative esperienze in alcune
delle più importanti compagini sinfoniche e
filarmoniche europee, sotto la guida di
prestigiose bacchette. Attualmente l’Orchestra
svizzera è diretta dal Maestro Stefano Bazzi,
con un ottimo curriculum di studi tra Svizzera e
Italia e un’esperienza di notevole spessore su
un repertorio assai esteso, dal Barocco alla
musica contemporanea. Maria Gloria Ferrari vanta
una tappa decisiva del suo iter formativo come
pianista in quanto allieva scelta di A.
Benedetti Michelangeli. All’attività
d’insegnamento presso il Conservatorio G. Verdi
di Milano ha accompagnato un’intensa attività
concertistica, sia come solista, sia con
orchestra, un po’ ovunque in Europa. Di notevole
interesse il programma, che aveva un titolo: “Musique
avec charme”, dunque una musica che si propone
il fascino del suono, delibato anzitutto come
fascinosa esperienza sensoriale, come realtà
assoluta, proprio in
quanto
suono. A dare inizio a questo ‘charme’ musicale
sono stati eseguiti i “Two Pieces for Small
Orchestra”, di Frederick Delius (1862-1934),
quello che è forse il compositore inglese del
tardo ‘800-primo’900 meno presente nelle sale da
concerto italiane, del tutto ingiustificatamente,
visto il suo ruolo storico di ‘padre’ tra i più
rilevanti della musica inglese di almeno tutta
la prima metà del XX sec. nonché la qualità
notevole di gran parte della sua produzione.
Delius è stato definito “l’impressionista” della
musica inglese, una specie di traduzione inglese
di Debussy: qualunque cosa s’intenda con questo
controverso termine, una volta che dalla pittura
lo si trasferisca alla musica, certamente il
linguaggio musicale di Delius appare
profondamente e, per rimanere in tema con la
serata, fascinosamente innovativo, per i tempi
in cui la sua attività compositiva si colloca. I
“Two Pieces”, composti nel 1911-12, s’intitolano
“On hearing the first Cuckoo in Spring” (‘Ascoltando
il primo cuculo in primavera’) e “Summer night
on the river” (‘Notte d’estate sul fiume’).
Proprio questi due brevi pezzi vengono di solito
citati come la prova più significativa
dell’impressionismo di Delius. In effetti si
tratta di brani di struttura assai libera,
rapsodica, in particolare il secondo, in cui
domina incontrastata un’armonia, molto allargata
rispetto a quella autorizzata dal sistema tonale
tradizionale, sino ai limiti di leggere, dolci
dissonanze, che screziano soprattutto il primo
pezzo: un’armonia intesa ormai in senso
esclusivamente coloristico-timbrico. Eccellente
l’esecuzione dell’Orchestra Svizzera, diretta
con impareggiabile maestria da Bazzi nel
sottolineare le incessanti fluttuazioni, il
continuo gioco di luci e ombre, lo ‘charmant’
variopinto quadro di impasti timbrici sempre
cangianti, instabili, incantevoli sino
all’estasi, nella ricchezza di armonie di una
sottigliezza che la sensibilità e la bravura di
Bazzi hanno saputo cogliere e donare a noi
ascoltatori, in un’esperienza emotiva e
sensoriale molto coinvolgente, velata di
un’impalpabile malinconica dolcezza, che è un
possibile modo, tra i più suggestivi, di
manifestarsi dello charme nella ‘musica’.
Iniziatosi in Inghilterra, il viaggio musicale
proposto dal programma del concerto di ieri in
Francia si trasferiva, con un contemporaneo di
Delius, quel Gabriel Fauré, che, pur appartato e
indipendente
da
qualsiasi movimento o scuola del momento, veniva
dando anche lui, soprattutto nella musica da
camera, il suo bravo contributo all’apertura di
nuove prospettive musicali. Di Fauré è stata
proposta una composizione orchestrale del 1919,
la “Suite per orchestra Masques et Bergamasques”
0p. 112, nella versione originaria in quattro
movimenti, che purtroppo esclude
l’indimenticabile “Pavane”, aggiunta solo
successivamente. È una composizione, diremmo ‘neoclassica’,
che rivive, attraverso la forma della Suite di
musiche per danza cara al ‘700, con sentimento
ora spiritoso, ora malinconico, il mondo del
salotto aristocratico di quei tempi, sulla
suggestione del ciclo poetico delle “Fetes
galantes” del grande poeta simbolista Verlaine,
a sua volta ispirato da celebri quadri di
Watteau, che col suo pennello aveva immortalato
quel mondo. Queste note sono necessaria premessa
per comprendere l’interpretazione di Bazzi e
dell’Orchestra di Lugano. Nello stacco dei tempi
e nel suono richiesto all’orchestra, sempre
nitido e preciso, Bazzi crea un’atmosfera di
raffinata ed elegante leggerezza, che si declina
ora come ritmo briosamente spiritoso, specie nei
frequenti richiami a Mozart, appena velato di
malinconia nel secondo tema (Ouverture), ora con
una vena di sottile umorismo (Menuet), o come
puro ritmo, nella sua baldanza giocosa (Gavotte)
o infine come lirismo, sempre contenuto entro
una classica misura (Pastorale). Notevole, in
questa esecuzione, anche l’estrema cura,
riservata da Bazzi ai dettagli timbrici, sempre
seducenti nella ricchezza e varietà della
tavolozza, e dinamici. Restando in Francia,
seguiva un pezzo celeberrimo, il Concerto per
pianoforte e orchestra in Sol maggiore di M.
Ravel. Siamo ormai vent’anni dopo i Two Pieces
di Delius, il clima musicale europeo è
radicalmente cambiato, all’impressionismo
debussyano e non solo si è dato il bando, sia
con l’avanguardia viennese, sia con le varie
declinazioni del cosiddetto neoclassicismo. In
quest’ultimo caso, per il Ravel pianista
soprattutto, lo ‘charme’ va cercato nel nitore,
nelle pagine limpide e cristalline in cui anche
il più arduo virtuosismo si viene sgranando
sulla tastiera. L’interpretazione, eccellente,
di Maria Gloria Ferrari, scaturisce da un
fraseggio elegante e di non grande volume, ma di
seducente eleganza, che mantiene intatta la
propria pulizia formale anche nei ripetuti
glissando e nei vari arabeschi del primo tema
dell’Allegramente iniziale o nello scatenato
terzo tempo Presto, ove il tour de force
virtuosistico del concerto tocca il suo apice.
Ma è un fraseggio, quello della Ferrari, di
grande sensibilità, rispettoso degli elementi
strutturali della partitura, e che interpreta
con grande efficacia anche i momenti più
melodici del concerto, come il seducente blues ‘gershwiniano’
del primo tempo o, e soprattutto, la cantilena,
così apparentemente semplice e così potentemente
suggestiva, dell’Adagio assai centrale, in cui
il suo tocco delicato e morbido dà voce a quel
che di sfuggente è in questo meraviglioso pezzo
(‘tecnicamente’ dovuto ad alcune minime
sfasature negli accenti di battuta). Al
fraseggio si accompagna poi un suono che è
l’evidente frutto di un’arte squisita e di uno
studio meditato del concerto di Ravel, che
sappiamo dalle note di sala essere uno dei suoi
autori prediletti (avrà pur contato anche in
questo l’essere stata allieva di Benedetti
Michelangeli!). È un suono che, duttile nel
vario alternarsi delle dinamiche, sa essere di
aerea delicatezza in alcuni momenti-chiave,
quali la ripresa del secondo tema
dell’Allegramente, e soprattutto nel grandissimo
Adagio assai, ove il lunghissimo tema affidato
in cadenza al pianoforte trova, grazie a quel
suono, il ‘volume’ giusto, di dimessa dolcezza,
privo di accensioni, quasi piatto e monotono,
che è il suono puro della malinconia nella sua
quintessenza. Quando poi, dopo l’intervento
dell’orchestra, affiorano i timbri del corno
inglese e del fagotto, il colore del suono del
pianoforte cambia, si fa come vitreo, con un che
di irrigidito nella sua cristallina purezza, per
poi, ci è parso, quasi dissolversi negli
arpeggiati, quasi in un colore liquido che
culmina nel trillo finale. Davvero una
bellissima interpretazione, di rara finezza e
classe nella ricerca espressiva attraverso i
suoni. Ovviamente spetta un alto titolo di
merito all’ottima riuscita di questo concerto
raveliano anche alla valida direzione di Bazzi,
che ha sempre tenuto un perfetto equilibrio dei
piani sonori, con un intenso dialogo strumentale
nelle varie soluzioni timbriche della partitura
e nel dialogo costante con il pianoforte. Gli
applausi scroscianti del pubblico hanno ottenuto
due fuori programma: uno pianistico, chopiniano,
uno Chopin di elegante e delicata misura,
secondo lo stile della Ferrari; e uno
orchestrale, l’Intermezzo della Carmen di Bizet.
Gli Amici della Musica di Novara hanno voluto
salutare il loro pubblico con un concerto
all’insegna della bellezza e dello charme. Sono
stati ripagati da grandi, meritati applausi, che
sono anche applausi di riconoscenza per la bella
musica di cui, anche quest’anno, hanno fatto
dono alla città.
18 aprile 2024 Bruno Busca
Elisso Virsaladze
alle Serate Musicali del Conservatorio
Torna
puntualmente per Serate Musicali la
pianista georgiana Elisso Virsaladze. Dal 1992 è
ospite dell'importante società concertistica e
sempre ha impaginato programmi diversificati in
concerti come quello cui abbiamo assistito ieri
sera. Schubert, Brahms, Liszt e Prokofiev sono
stati interpretati con una facilità discorsiva
tipica di chi ha
interiorizzato
ogni frangente di brani spesso molto complessi e
articolati. I schubertiani Sei momenti
Musicali D780 Op.94 hanno introdotto la
serata rivelando una leggerezza di tocco mediata
da sottili escursioni dinamiche, per una
restituzione espressiva e di ottimo valore
estetico. Il brano successivo , la Sonata per
pianoforte n.1 in do maggiore Op.1 è un
lavoro giovanile di Brahms con i classici
quattro movimenti che rivelano una costruzione
articolata e già costitutiva del linguaggio del
compositore amburghese. La Virsaldze ha eseguito
questa rarità esecutiva con equilibrio,
sicurezza e penetrazione espressiva di
eccellente livello. Di romantica valenza
estetica nella
leggerezza
interpretativa i due noti brani di Franz Liszt:
prima da Consolations il n.3 Lento
placido, quindi da i Tre studi da
concerto "Il Lamento". L'ultimo
brano del programma, la celebre Sonata n.7
Op.83 "Stalingrado" è probabilmente la più
eseguita di Prokofiev, anche per via di quel
ritmico Precipitato, ultimo dei tre
movimenti che la compongono. La Virsalazde con
un'ottima lettura, ha restituito tutte le
caratteristiche della geniale musica di
Prokofiev, ricca di geometrie, simmetrie e
astratte visioni. Un'interpretazione di alto
spessore. Applausi sostenuti e due i bis
concessi, entrambi di Schubert: prima un breve
valzer e poi il celebre ed eccellente
brano da Soirées de Vienne, il n.6 "Valse
caprice". Splendida serata!
16 aprile
2024
Cesare Guzzardella
Alla Scala successo
meritatissimo per La Rondine di Puccini
diretta da Riccardo Chailly
Un successo meritato per La
Rondine, commedia lirica in tre atti di Giacomo
Puccini su libretto di Giuseppe Adami,
presentata alla Scala in una messa in scena
curata da Ditlev Rindom nel 2023 che rivela
alcune differenze rispetto alla prima edizione
del 1917. È un'opera tra il leggero e il
drammatico, come risulta nel finale del terzo
atto, dove la musica pucciniana è
particolarmente piacevole nella genuinità del
personalissimo linguaggio del grande compositore
toscano, inventore di arie anche leggere, ma non
per questo non rilevanti. La sua geniale
capacità di armonizzazione, con le ricercate
timbriche orchestrali, è stata resa in modo
eccellente da Riccardo Chailly, un direttore
affascinato dalla musica pucciniana,
attento ad
ogni dettaglio e ad ogni perfetto inserimento
delle voci nella componente strumentale. È un
gioiello di raffinatezze melodiche questo lavoro
purtroppo eseguito troppo poco rispetto quello
che meriterebbe, che trova come riferimento
quello ben più celebre di Bohème, per la
presenza di numerose situazioni simili. La regia
di Irina Brook, supportata dalle originali scene
e i coloratissimi costumi di Patrik Kinmonth,
dalle luminose luci di Marco Filibeck e dalla
valida coreografia di Paul Pui Wo Lee, ci è
piaciuta molto, soprattutto per
l'ottima
sintonia con la musica e i repentini cambiamenti
dei personaggi in gioco. L'ottimo cast vocale ha
trovato in Mariangela Sicilia, Magda, la
voce più convincente, e nella quinta
rappresentazione da me vista, anche la più
applaudita. Ottimi anche Matteo Lippi in
Ruggero, Rosalia Cid in Lisette,
Giovanni Sala in Prunier, Pietro Spagnoli
in Rambaldo, William Allione in
Perichaud e tutti gli altri. Il coro di
Alberto Malazzi, di grande potenza espressiva
nel secondo atto, è stato come sempre al top.
Uno spettacolo decisamente riuscito che avrà
ancora una replica il 20 aprile. Da non perdere.
(Foto di Brescia e di Amisano -Archivio della
Scala)
15 aprile 2024 Cesare Guzzardella
A VERCELLI UN
GRANDE VIOTTI PER IL BICENTENARIO
Ieri sera, sabato 13/04, il
violinista e direttore Guido Rimonda con
l’orchestra Camerata Ducale, ha degnamente
festeggiato, al Teatro Civico di Vercelli, il
bicentenario della morte di G. B. Viotti, cui è
peraltro dedicata l’intera stagione in corso,
con un concerto che proponeva, su tre pezzi, due
dei ventinove concerti per violino del grande
musicista vercellese: il n. 4 in RE maggiore WI
4 e il n. 28 in La minore WI 28. La serata era
poi conclusa da un capolavoro di F. J. Haydn, la
sinfonia n. 104 in RE maggiore, Hob I: 104, nota
come ‘Londra’. Il Maestro Rimonda ha dedicato
alla figura e alla musica di G. B. Viotti studi
intensi ed approfonditi, che lo hanno reso uno
dei massimi esperti al mondo di questo
violinista e compositore che fu tra i più grandi
e celebri in Europa tra ‘700 e ‘800, ammirato da
geni quali Beethoven e Brahms, ma, abbastanza
inspiegabilmente, caduto in un quasi completo
oblio dopo la comparsa di Paganini, che pure di
Viotti aveva grande considerazione e al Maestro
vercellese deve non poco della sua arte. Un
oblio cui l’indefessa attività di studioso e di
violinista -direttore di Guido Rimonda ha il
sommo merito di aver sottratto in questi anni
uno dei pochi grandi della musica strumentale
italiana dal tardo ‘700 in poi. Sfogliando le
pagine dedicate a Viotti in saggi critici e
storici, a definire la sua musica compare
sovente l’aggettivo ‘accattivante’. In cosa è
precisamente accattivante la musica di Viotti?
C’è un passaggio nel secondo tempo, Romance, del
Concerto
n. 4 che ci appare al riguardo particolarmente
significativo: il tempo si apre e prosegue per
una serie piuttosto numerosa di battute, con una
melodia di limpida serenità, in cui si avverte
più di un’eco del bel canto italiano dell’epoca.
All’improvviso, come un fulmine inaspettato, il
violino introduce un tema inquieto, di un pathos
piuttosto mosso ritmicamente, con un acuto
stridente che spezza quasi brutalmente
l’abbandono incantato alla precedente melodia,
che, dopo poche battute riprende come nulla
fosse accaduto. È questo, secondo noi, il tratto
particolare e affascinante del miglior Viotti,
questa espressività in fondo ambigua e
sorprendente, sospesa tra dolcezza serena del
classicismo del pieno ‘700 e brividi
d’inquietudine che lo pongono sulla linea di
quell’estetica del Sublime, che a fine ‘700
dominava l’arte europea che oggi diremmo
d’avanguardia e irraggiava i primi bagliori
della sorgente sensibilità romantica. Per
rendere al meglio questa musica, le qualità di
Rimonda, sia come direttore, sia come violinista,
sono pienamente adeguate: dotato di una cavata
espressiva ed energica ad un tempo, di un suono
puro e ricco di sfumature, di una tecnica di
rara perfezione nei vari colpi d’arco e negli
effetti che è possibile ottenerne, sino al
virtuosismo più arduo, come nella cadenza del
Maestoso iniziale, di un fraseggio molto duttile
nelle dinamiche, Rimonda ha fornito di questo
quarto concerto viottiano un’interpretazione da
antologia, assecondata da una Camerata Ducale
che ha ormai maturato un suono di raffinata
eleganza e sensibilità timbrica, giocata
peraltro, in questa composizione,
prevalentemente sulla sezione degli archi,
essendo i fiati ridotti all’essenziale, con due
oboi e due corni. Perfetto, in particolare, il
Maestoso iniziale, in cui la solennità del tema
d’attacco è temperata da quella eleganza di cui
accennavamo poc’anzi, e inciso con precisione è
il vario alternarsi dei ritmi, dal canto
spiegato ai momenti di più rapida e robusta
agogica. Facendo del suo arco un pennello capace
di usare al meglio i più diversi colori, Rimonda
dà voce tanto al fluire delle melodie più dolci
della Romance centrale,
quanto
alle ombre che in essa affiorano, così come alla
vena gioiosa, di vago sapore popolaresco,
dell’Allegro finale. Il successivo concerto, il
n.28, databile intorno al 1803-4, appartiene al
periodo del secondo soggiorno inglese di Viotti.
Presenta, a differenza del precedente,
un’orchestrazione molto più ricca, con una
sezione dei fiati con tutti i legni, cui si
aggiungono corni e trombe a due, con una
conseguente tavolozza timbrica assai più estesa
e varia. Il primo tempo, Moderato, è esemplare
di quella ‘poetica del contrasto’, come potremmo
definire l’essenza espressiva della musica di
Viotti: momenti di intimo ripiegamento
espressivo aprono squarci improvvisi in una
linea musicale dominante, a carattere assertivo,
quasi imperioso. Dopo l’introduzione orchestrale
è il violino a reggere il gioco, con energia e
sottile ricerca espressiva, peraltro
interloquendo con l’orchestra in un gioco
timbrico abbastanza vario e raffinato. Il
purtroppo breve tempo centrale Andante sostenuto
è senz’altro il gioiello di questo concerto: lo
avvolge un’atmosfera di cosmica tristezza, che
si declina ora come solenne pensosità, ora come
pathos venato di intima malinconia, in un flusso
melodico che il fraseggio del leggendario
violino Noir di Rimonda interpreta con sapienza,
coi suoi delicati chiaroscuri, accuratissimo
nella calibratura delle dinamiche, puntuale
nelle escursioni lungo la tessitura dello
strumento, dai registri acuti a quelli più gravi.
Senz’altro brioso e gioioso, coi suoi ritmi da
danza popolare, come già nel tempo di chiusura
del concerto n.8, è il finale Allegretto vivo,
dove peraltro il piglio giocoso sembra talvolta
come avvolto in un impalpabile velo di
malinconia. Un bellissimo concerto, interpretato
in modo davvero superbo da un grande Rimonda.
Gli scroscianti appalusi del sempre numeroso
pubblico ottenevano da Rimonda, come fuori
programma, uno dei suoi pezzi di baule Il tema
della Marsigliese con variazioni di Viotti.
Chiudeva la serata l’ultima sinfonia di Haydn,
la 104 , ‘Londra’ , composta nel 1795 subito
prima della sua definitiva partenza dalla Gran
Bretagna, quando anche Viotti vi trascorreva il
suo primo soggiorno, costretto nel 1793 a
fuggire precipitosamente dalla Francia in piena
Rivoluzione, inseguito da un’accusa, poi
dimostratasi falsa, di attività politica
filomonarchica: In questi due anni di comune
soggiorno in terra britannica Haydn e Viotti si
conobbero anche personalmente, presentati dal
loro comune ‘mecenate’ Salomon. Al di là dei
rapporti personali, ascoltando questa sinfonia
di Haydn, sentiamo circolare, pur nelle
differenze del linguaggio musicale dei due
autori, un’aria comune alla musica di Haydn e di
Viotti. Se consideriamo l’Andante della 104,
formalmente un tema con variazioni, siamo
colpiti da quella ‘poetica del contrasto’ che
abbiamo già notato in Viotti, sfruttata dal
Maestro di Rohrau in modo senz’altro più
radicale: lavorando più sulla trasformazione del
tema che sul contrasto tra temi diversi, Haydn
spezza la placida serenità del motivo d’apertura
con continue sorprese armoniche e dinamiche, con
sospensioni improvvise, sino a raggiungere
vertici di potente e suggestiva tensione
drammatica. È evidente che Haydn e Viotti sono
compagni di strada, stanno percorrendo un
cammino comune, che porta fuori dal classicismo
per approdare a nuove soluzioni espressive che
hanno il loro perno nell’imprevedibilità e nella
tensione cui è sottoposto il materiale musicale.
Ancora una volta, la Camerata Ducale, sotto la
guida di Rimonda, offre al pubblico del Civico
un’interpretazione inappuntabile di un
capolavoro, sottolineandone la tensione
dominante già dall’Adagio introduttivo, con un
energico gioco di contrasti drammatici tra
l’inciso motivico a piena orchestra e i
frammenti melodici di violini e fiati. Ottimo il
fraseggio, sempre sorretto da un compiuto
equilibrio dei vari piani sonori, che scolpisce
la tensione dello sviluppo del successivo
Allegro e il suo finale placarsi in un clima più
sereno. Pregevole lo stacco dei tempi del
Minuetto e trascinante il brillante finale su un
tema di una ballata popolare croata, il tutto
diretto con raffinatezza nella valorizzazione
della complessa timbrica del pezzo. Ottima
serata di musica, applauditissima da un pubblico
come sempre accorso numeroso.
14 aprile 2024 Bruno Busca
Il pianista Nobuyuki Tsujii
per Grieg, Maggese di Del Corno e Pini
Romani di Respighi diretti da Sesto Quatrini
Il
concerto ascoltato
all'Auditorium milanese, denominato "Serate
romane", ha visto alla direzione della
Sinfonica di Milano il quarantenne romano Sesto
Quatrini per tre brani diversi, ma aventi in
comune timbriche per alcuni aspetti legati alla
mondo paesaggistico. Il Concerto per
pianoforte e orchestra in La minore Op.16 di
Edvard Grieg, Maggese, recente
composizione per orchestra di Filippo Del Corno
e il celebre Pini di Roma di Ottorino
Respighi, utilizzato
anche per il noto film
Fantasia 2000 di Walt Disney, attraverso
frangenti di efficaci suggestioni coloristiche
non possono non richiamare al mondo
dell'osservazione. Il noto Concerto op.16
(1868) del norvegese Grieg (1843-1907), ha trovato al pianoforte l'affermato pianista
giapponese trentacinquenne Nobuyuki Tsujii, un
eccellente interprete già venuto in Auditorium
per uno straordinario concerto di Rachmaninov.
Ottima l'interpretazione elargita, sia grazie
all'espressività della componente solistica che
alla decisa direzione di Quatrini, che ha
trovato una valida restituzione in ogni sezione
orchestrale. Nobu, applaudito con entusiasmo dal
numeroso pubblico presente, ha ringraziato il
pubblico concedendo ben tre bis: due Pezzi
lirici, op.12 n.1 "Arietta" e
op.65 n.6 "Wedding day" sempre del
compositore norvegese e centralmente,il noto
Studio da Concerto n.1 del
pianista-compositore russo Nikolai Kapustin
eseguito con grinta e chiarezza superlativa.
Un'ovazione con applausi interminabili per Nobu.
Dopo l'intervallo la Prima esecuzione assoluta
di Maggese (2023), recente composizione
del milanese Filippo Del Corno (1970) era una
commissione dell'Orchestra Sinfonica milanese e della Fondazione Arturo Toscanini di Parma.
Il valido
brano ci ha rivelato un compositore
particolarmente sinfonico. Sono circa 15 minuti
d'intensa musica che nascono dopo un lungo
periodo - circa otto anni- nel quale il
musicista aveva lasciato la composizione per
l'impegno politico e amministrativo (Assessore
alla cultura) nella sua e nostra città. Un
ritorno felice alla composizione con un efficace
lavoro che pur nella piacevole titolazione,
risente del difficile periodo storico in cui
stiamo vivendo. Nella varietà d'articolazione
dell'unico movimento, sono riconoscibili quattro
parti contrastanti che alternano timbriche forti
ed incisive ad altre più tenui, in un complesso
di suoni-immagini che ci sembrano adattissime
per il mondo del cinema e che hanno
un'impalcatura compositiva assai solida con una
presenza di una strumentazione molto varia dove
risalta una componente ritmico-percussiva. Un
lavoro scritto molto bene, di non difficile
comprensione
e di valida resa emotiva,
restituito con chiarezza dalla direzione di
Quatrini. Applausi convinti del pubblico agli
interpreti e anche al musicista salito sul
palcoscenico. L'ultimo brano, Pini di Roma
(1924), e diviso in quattro movimenti tanto
celebri quanto splendidi, che ci rivelano ancora
le abilità del grande Respighi (1879-1936), il
più eseguito dei compositori italiani della sua
generazione. Pur essendo nato a Bologna, i
lavori sono spesso legati a Roma, città dove ha
insegnato, dove ha composto le più importanti
opere e dove è vissuto a lungo. Respighi ha
segnato i primi decenni del Novecento italiano
per la qualità compositiva e per l'eccellenza
delle sue orchestrazioni. Un'esecuzione di
ottima qualità quella ascoltata ieri sera, che
ha ricevuto un tripudio di applausi. Domenica
alle ore 16.00 la replica certamente da non
perdere!
13 aprile 2024 Cesare
Guzzardella
Il violoncello di Ettore
Pagano ai Pomeriggi Musicali del Dal
Verme
Tre
brani molto diversi tra loro hanno impegnato
l'Orchestra de "I Pomeriggi Musicali" diretta da
James Feddeck. Il primo dell'aquilana Roberta
Vacca (1947), denominato Poker Face, per
la commissione de I Pomerggi e in prima
esecuzione assoluta, ha introdotto l'anteprima
di questa mattina. Un lavoro tonale molto
sfaccettato nei ritmi e nelle
timbriche che ha
messo in rilievo le qualità di scrittura
dell'affermata compositrice. Un valido lavoro
reso bene da Feddeck e dagli orchestrali.
Applausi anche alla compositrice salita sul
palcoscenico. Il brano più atteso, anche per la
presenza del giovane violoncellista Ettore
Pagano, era il Concerto per violoncello e
orchestra n.1 op.107 di Dmitri
Šostakovic. Un capolavoro di pregnanza timbrica
reso con espressività
da Pagano, un cellista di
grande spessore musicale, che ha saputo
penetrare la
musica del grande russo con
timbriche profonde, incisive e di rara efficacia.
La lunga Cadenza, un vero movimento tra
il Moderato e l'Allegro con moto
ha esaltato le qualità dell'interprete. Applausi
sostenuti ai protagonisti. L'ultimo brano in
programma, la Sinfonia n.4 op.60 di
Beethoven è stato ben delineato nei quattro
movimenti che lo compongono dalla valida
direzione di Feddeck per una energica
restituzione dalla compagine orchestrale. Questa
sera alle ore 20.00 la prima ufficiale e sabato
alle 17.00 la replica. Da non perdere!
11 aprile 2024 Cesare
Guzzardella
Monica Zhang
per la Società dei
Concerti
Ha solo
diciassette anni la pianista milanese Monica
Zhang, l'artista in residenza della
Fondazione La Società dei Concerti che
all'ultimo momento ha sostituito il pianista
Yunchan Lim. Un compito non facile, avendo il
sud-coreano vinto nel 2022 l'importantissimo "Concorso
Internazionale Van Cliburn". Le qualità
superlative di
Monica
hanno comunque soddisfatto il numeroso pubblico
intervenuto in Sala Verdi, nel Conservatorio
milanese, dopo aver ascoltato un impaginato
ricco di brani celebri e virtuosistici. Dal
primo
Čaikovskij con l'Andante maestoso-
Pas de deux
da "Lo Schiaccianoci" , nella straordinaria
trascrizione di M.
Pletnev, la Zhang ha rivelato la sua cifra
interpretativa delineata da una tecnica
straordinaria, ricca di chiarissimi dettagli e
da una sicurezza nell'approccio pianistico da
interprete con anni di carriera. Il successivo
Liszt, con la celebre Parafrasi da Concerto
dal verdiano "Rigoletto", ha ancora
consolidato le qualità
digitali della pianista e
anche
il
più raro Ginastera delle Danzas Argentinas
Op.2 -tre danze con quelle due laterali di
un virtuosismo ritmico scintillante- ha dato
idea di trovarci di fronte ad un'interprete con
potenziali che potranno, nei prossimi anni,
formare una personalizzazione espressiva di
altissimo livello. Dopo l'intervallo sono stati
eseguiti con grande equilibrio e con ottima resa
espressiva i celebri Quadri di un'esposizione
di Modest Musorgskij. Interpretazione di
qualità la sua, specie nei frangenti dove le
volumetrie hanno
un
grande impatto sonoro. Applausi interminabili al
termine del programma ufficiale e ben tre i bis
concessi dalla pianista con un brano iniziale di
Gabriel Fauré e due di F.Chopin. Del polacco ha
eseguito prima lo Studio n.1 op.10 e poi
la Mazurca Op.33 n.1 . Applausi calorosi
dal pubblico presente in Sala Verdi e numerosi
mazzi di fiori anche dai compagni di
Conservatorio e del Liceo Classico Carducci
frequentato dalla bravissima Monica. Grande
serata!
11 aprile 2024 Cesare
Guzzardella
Wolfram Christ e Georgijs
Osokins con l'Orchestra
UNIMI dell'Università Statale milanese
Ieri nell'aula Magna
dall'Università Statale, l'Orchestra UNIMI
ha trovato la direzione di Wolfram Christ,
un direttore d'orchestra che per decenni è stato
la prima viola di eccellenti orchestre
tra cui la leggendaria Orchestra Filarmonica di
Berlino. La più recente attività direttoriale lo
ha portato in giro per il mondo. Per l'Orchestra
universitaria milanese ha scelto un impaginato
tutto beethoveniano con il Concerto n.4 in
Sol maggiore Op.58 per pianoforte e orchestra
e con la Sinfonia n.8 in fa maggiore
Op.93. Il primo brano, il concerto, ha
trovato l'ausilio solistico del pianista lettone
Georgij Osokins, un interprete di ottima
qualità
recentemente ascoltato in Sala Verdi in una
trascrizione del Concerto n.2 di F.
Chopin accompagnato dalla Kremerata Baltica (11
marzo- Serate Musicali) Il Concerto n.4
beethoveniano è stato affrontato con altrettanta
discorsività e chiarezza di dettaglio. L'ampio
Allegro moderato del primo movimento, con
quelle celebri note iniziali solo pianistiche,
ha trovato un'ottima resa anche dai giovani
strumentisti dell'orchestra UNIMI, compagine
universitaria milanese che ha anche quest'anno
una valida programmazione con ottimi direttori e
solisti. La precisa e incisiva direzione di
Wolfram Christ ha permesso di ben rilevare il
pianismo di Osokins, ben evidenziato anche nel
profondo Andante con moto e
nell'esuberante Rondò finale. Applausi
sostenuti dal mumerosissimo pubblico intervenuto
in Aula Magna, pubblico che in buona parte aveva
presenziato all'incontro
con gli
interpreti,
anticipatorio del concerto, in una conversazione
con la collega giornalista-musicologa Gaia Varon.
Splendido il bis solistico di Osokins con il
celebre Carnevale di Venezia in una
rivisitazione di Chopin dalle variazioni di
Paganini. Dopo la brevissima pausa, valida
l'interpretazione di Christ e dell'Orchestra
della breve Sinfonia n.8 (1814) , lavoro
di "passaggio" tra le ben più celebri Settima
e Nona, ma con caratteristiche sempre
molto beethoveniane. Ottimo concerto e ancora
applausi sostenuti .
10 aprile 2024 Cesare
Guzzardella
Uto Ughi alle
Serate Musicali del
Conservatorio
Una
serata di ottima qualità quella di ieri sera
alle Serate Musicali del Conservatorio
milanese. È finalmente ritornato il violinista
Uto Ughi, classe 1944, ottant'anni compiuti a
gennaio. Era in duo con il pianista Leonardo
Bartelloni per un programma di brani classici
affrontati molte volte nelle decine di concerti
tenuti in Sala Verdi, in almeno trent'anni
di
rapporto continuativo con la nota società
concertistica milanese. Per questo, prima dei
bis concessi dal Maestro, è stata consegnata a
Ughi una targa di ringraziamento "per la sua
arte a Milano" a nome di Hans Fazzari, da sempre
organizzatore delle Serate Musicali e che
purtroppo non ha potuto essere presente. Nella
prima parte del concerto un cambio di programma
ha visto Ughi e Bartelloni eseguire la celebre
Ciaccona di Tomaso Vitali, cui ha fatto
seguito l'altrettanto noto cavallo di battaglia
del Maestro , il " Trillo del diavolo"
ovvero la Sonata in Sol minore di
Giuseppe Tartini. Uto Ughi ha ieri espresso, in
questi primi due importanti lavori, un livello
interpretativo poetico. Coadiuvato da Bartelloni,
pianista attento alle volumetrie del violino e
perfetto nel sottolineare le inflessioni
timbriche di Ughi, il duo
ha
fornito una prestazione di altissimo livello.
Non sono certo le lievi imperfezioni
d'intonazione del grande violinista a sminuire
una qualità complessiva eccellente dove la
profonda espressività della "voce" è emersa in
toto, valorizzata dalle armonie pianistiche. Il
momento di "a solo" del violino di Ughi al
termine del Trillo del diavolo è stato
poi entusiasmante per pregnanza espressiva. Dopo
l'intervallo, valida l'interpretazione
complessiva della nota Sonata in la maggiore
del belga-francese Cesare Franck, con
frangenti di profonda espressività. Valida anche
la parte pianistica, di fondamentale importanza,
di Bartelloni, in questo ampio lavoro ciclico.
Straordinari i due bis concessi dal duo. In essi
un violino intonatissimo e molto espressivo ha
fatto emergere i valori musicali sia del brano
di Manuel De Falla, con la Danza spagnola n.1 da
La vida
breve,
che di quello di Fritz Kreisler, Schön
Rosmarin. Applausi meritatissimi in una sala
molto affollata, con un pubblico decisamente
soddisfatto.
9
aprile 2024 Cesare
Guzzardella
I violinisti Houman Vaziri e
Agnese Maria Balestracci ai Lieti Calici
Due
ottimi violinisti, Houman Vaziri e Agnese Maria
Balestracci del Quartetto Sincronie,
hanno tenuto un ottimo concerto ieri mattina
agli Amici del Loggione del Teatro alla Scala
di Via Silvio Pellico 6 per la rassegna
Lieti Calici. La valida resa interpretativa
del duo
cameristico
è stata sostenuta da una scelta d'impaginato di
qualità, con l'esecuzione di autori sia recenti
che del passato e con relativi brani che hanno
ben delineato la particolarità delle
composizioni per "due violini". Al centro del
breve concerto, la figura del ligure Luciano
Berio (1925-2003) e di dieci duetti per due
violini, tra i quasi 40 da lui composti -
eseguiti all'inizio e alla fina della mattinata
musicale- , hanno rivelato le qualità della sua
musica, legata agli stilemi del passato ma anche
alla figura di Bartòk e alle opere dei suoi
contemporanei. I due interpreti, in un gioco di
alternanza delle parti, secondo le modalità
della scrittura a canone, tipica della musica
seicentesca e settecentesca, hanno intervallato
i brevi ma creativi lavori di Berio, dedicati a
Bartók, con altri di Georg Philipp Telemann (
1681
–
1767) , di Jean-Marie Leclair (1697-1764), ma
anche di Paul Hindemith (1895-1963), musicista
tedesco debitore della musica bachiana e, come
il suo geniale connazionale, grande architetto
polifonico. Un concerto interessatissimo,
presentato bene da Mario Marcarini, e con il
gran finale, - dopo il bellissimo bis con la
ripetizione del brano più interiore e melodico
di Berio e gli applausi sostenuti del numeroso
pubblico presente- , del brindisi con eccelsi
vini di superlativa qualità. Ottima mattinata.
8 aprile 2024 Cesare
Guzzardella
Antonio Alessandri in
un concerto in Conservatorio per la
Fondazione Bracco
Il
concerto straordinario organizzato dal
Conservatorio milanese e dalla Fondazione Bracco
ha trovato sul palcoscenico un pianista di 18
anni appena compiuti. Antonio Alessandri,
vincitore del "Premio speciale Diventerò" di
Fondazione Bracco alla XXXIII edizione del
Concorso Pianistico Internazionale Ettore
Pozzoli, è un nome già noto nell'area milanese e
non solo, avendo già
sostenuto
concerti in numerose importanti sale della città,
e avendo vinto molti Primi Premi in concorsi
concertistici internazionali sin da quando era
poco più di un bambino. L'impaginato scelto ieri
sera, degno di un pianista maturo ed in carriera
da decenni, prevedeva brani di Rachmaninov e di
Chopin. Ha iniziato con i virtuosistici
Etudes-Tableaux op.33
del grande russo e ha continuato con gli
Studi op.10 del polacco. Si rimane
certamente sbalorditi della sicurezza con la
quale esegue brani di grande impegno. La
facilità nel superare le difficoltà tecniche è
unita ad una qualità espressiva già consolidata
e di ottima resa. Alcuni dei celebri Studi
chopiniani hanno trovato una rapida
articolazione per un equilibrio discorsivo
eccellente. Una resa così matura di brani
alquanto difficili ha entusiasmato il
numerosissimo pubblico presente in Sala Puccini.
Applausi fragorosi e un bis ancora di Chopin con
lo Studio n.7 op.25
7 aprile 2024 Cesare Guzzardella
La pianista Gala Chistiakova
a "Il pianoforte in Ateneo" dell'Università
Cattolica milanese.
"Il
pianoforte in Ateneo", la rassegna musicale
dedicata al pianoforte, è tornata all'
Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Gli organizzatori delle serate musicali, il prof.
Enrico Reggiani, direttore dello Studium
Musicale di Ateneo e il Maestro Davide Cabassi,
pianista-concertista e
docente al Conservatorio
" G. Verdi" di Milano, hanno portato nella
splendida Aula Magna dell'Università milanese la
moscovita Gala Chistiakova che con il
prestigioso Shigeru Kawai, pianoforte scelto per
tutta la rassegna musicale, ha eseguito due
celebri lavori di Beethoven (1770-1827) e di
Musorgskij (1839-1881): la Sonata op. 27 n. 2
"Al chiaro di luna" e Quadri di
un’esposizione. Brani che, come ricordato
nella valida introduzione di Enrico Reggiani,
non hanno certo bisogno di presentazione in
quanto noti anche
dal pubblico che non frequenta
abitualmente le sale da concerto. La Chistiakova
ha rivelato in entrambi i lavori di possedere un
carattere particolarmente deciso, delineando
strutture musicali ricche di forza espressiva e
discorsività fluida nell'esternare ogni sequenza
melodico-armonica. L'equilibrio complessivo, sia
nella Sonata beethoveniana, sia in quella
suite rappresentata dai Quadri, con quel
ritorno alternato del celebre tema, è stato
valido nel contrasto tra il cambiamento dei
tempi e nelle volumetrie timbriche. Un grande
successo nella Aula colma di appassionati e la
concessione di due splendidi bis da parte
dell'ottima interprete: prima di Piotr I.
Čajkovskij Meditation op.72 n.5 e quindi
di Anatoly Lyadov The Music Box op.32,
che hanno rivelato tutte le raffinatezze del
pianismo della russa.
Il prossimo appuntamento, previsto per il 16
maggio , vedrà al
pianoforte
il noto interprete Boris
Petrushanski con musiche di Mozart, Beethoven e
Brahms. Da non perdere!
5 aprile 2024 Cesare
Guzzardella
La violinista turca
Tchumburidze
diretta da Bisatti ai Pomeriggi Musicali
Brani
tutti in Re Maggiore quelli scelti dal giovane
direttore Riccardo Bisatti per I Pomeriggi
Musicali al Teatro Dal Verme. Ho ascoltato
l'anteprima di questa mattina con un programna
che prevedeva un capolavoro assai noto di
L.v.Beethoven con il suo Concerto in Re
maggiore per
violino
e orchestra op. 61. L'ottima solista era la
ventottenne violinista Veriko Tchumburidze. Dopo
il breve intervallo una rarità giovanile di
Franz Schubert con la Sinfonia n. 3 in Re
maggiore D200 concludeva l'mpaginato. Il
bravissimo direttore ha mostrato una valida
gestualità nel trasmettere con precisione ogni
indicazione ai bravissimi orchestrali de I
Pomeriggi. Il concerto beethoveniano,
splendido sia nei singoli movimenti che
nell'insieme, con un grandioso Allegro ma non
troppo iniziale, ha rivelato le qualità
della violinista turca. Oltre ad una
precisissima padronanza tecnica la Tchumburidze
emergeva nella bellissima prima cadenza,
risolta con straordinaria espressività, così
come anche
in
quella del Rondò finale. Ha colori molto
raffinati il violino della Tchumburidze, espressi
nella tenue ma producente discorsività. Un
equilibrio complessivo ottimo con la direzione
di Bisatti. Il direttore ventitreenne novarese
ha poi rivelato ancora qualità nella valida
Sinfonia di Schubert. Una scrittura ancora non
del tutto personale ma con un Allegretto
e un Presto vivace deliziosi. Di qualità
l'interpretazione. Questa sera alle 20.00 la
prima ufficiale e sabato alle 17.00 la replica.
4 aprile 2024 Cesare
Guzzardella
Successo incompleto per il
Guillaume Tell rossiniano di Michele
Mariotti e Chiara Muti
Un
Teatro alla Scala colmo di pubblico ha accolto
la quarta rappresentazione - da me vista - del
rossoniano Guillaume Tell. Un'opera che
da quasi 35 anni non veniva rappresentata in
Scala - era il dicembre del 1989- e mai lo era
stata nel teatro del Piermarini nella versione
francese. Quattro atti particolarmente corposi
per quasi quattro ore
reali
di musica, ai quali si aggiungono tre non brevi
intervalli. Alcuni spettatori, i meno
appassionati, hanno lasciato il teatro prima,
perdendo l'ultimo atto e altri anche il più
articolato e contestato terzo atto . Una
contestazione rivolta alla regia di Chiara Muti,
che se pur con indubbia creatività, ha
realizzato una rappresentazione attualizzata ai
tristi momenti che stiamo vivendo, mettendo in
scena situazioni spesso violente come nei
frangenti danzanti del terzo atto, buate
da un certo numero di spettatori presenti anche
in platea. Valide comunque le motivazioni di
Chiara Muti scritte nel completo libro di sala
che parte dalla scura messinscena ispirata dal
celebre film del 1927 Metropolis di Fritz
Lang, che profetizza "l'annichilamento della
società e l'umanità automatizzata e asservita al
profitto" e "l'uomo ha imprigionato sé
stesso erigendo muri di schermi ad accecare il
sole". La discordanza tra le splendide
musiche dirette con passione e cura di dettaglio
da Michele Mariotti - un rossiniano doc,
pesarese come Rossini- e le cupe scene di
Alessandro Camera, in sintonia con i costumi di
Ursula Patzak e le luci di Vincent
Longuemare,
hanno creato un contrasto estetico che non è
piaciuto a molti spettatori. Anche le
coreografie originali, articolate e ricche di
situazioni, di Silvia Giordano, non hanno
trovato apprezzamenti da alcuni del pubblico
presente. Ho trovato invece soprattutto il terzo
atto meritevole d'attenzione per la complessa
dinamica e per nulla astrusa realizzazione.
Mariotti è stato al termine della lunga serata
il più applaudito, ad iniziare dalla celebre
Ouverture che riassume nei temi la
particolare vicenda e che ha trovato a
conclusione un'ovazione per l'ottima esecuzione.
Ma anche il valido cast vocale è piaciuto,
ottenendo meritati applausi.
L'ultima opera di
Rossini, drammatica ma a lieto fine, con gli
svizzeri finalmente liberi dal dominio asburgico
, è musicalmente diversa dalle altre opere, con
molto sinfonismo presente nel corso degli atti,
a dimostrazione di una capacità del grande
copositore pesarese di realizzare musica non
solo legata alla sua più celebre vena lirica. In
questo, Mariotti e gli orchestrali scaligeri,
hanno dato prova di eccellente duttilità
timbrica. Tutti rilevanti i cantanti a
cominciare da Michele Pertusi, un Guillaume
Tell notevole nella timbrica e nella resa
scenica; ottime le voce di Dmitry Korchak,
Arnold Melcthal, di Salome Jicia,
Mathilde, di Geraldine Chauvet, Hedwige,
di Evgeny Stavinsky, Melchtal, di
Catherine Trottmann, Jemmy, di Luca
Tittoto, Gesler, e degli altri, tutti
meritevoli degli applausi ricevuti. Di grande
impatto timbrico e di alta qualità il Coro di
Alberto Malazzi. Le prossime repliche sono
previste per il 6 e il 10 aprile, sempre con
inizio alle ore 18.30. Da non perdere. (Prime
due foto di Brescia e Amisan- Archivio Teatro
alla Scala)
4 aprile 2024 Cesare
Guzzardella
Ilaria Baldaccini interpreta
"Corde e
martelletti" di Alessandro Solbiati al Museo
del Novecento
Un
pomeriggio musicale particolarmente interessante
quello visto e ascoltato al Museo del Novecento
per l'organizzazione di NoMus e del "Quartetto"
di Milano. La raccolta di brevi pezzi per
pianoforte del compositore milanese Alessandro
Solbiati, denominata " Corde e martelletti,
cento piccoli pezzi per crescere al pianoforte"
ha trovato un valida esecuzione dalla
pianista Ilaria Baldaccini. Lei ha selezionato
sessanta tra i cento brani
dell'originale
lavoro del noto musicista. Circa un'ora di
musica che ha ben delineato la sequenza di brani
dedicati ai giovani studenti di pianoforte, ma
che, come per le celebri raccolte pianistiche di
Schumann, di Bartok e di altri ancora, hanno una
valenza compositiva più importante, che rivela
anche le profonde modalità creative dei
compositori. Solbiati - come da lui raccontato
presentando anche la bravissima Baldaccini- nei
brani utilizza il pianoforte a 360 gradi, usando
la cordiera, percuotendo lo strumento,
modificando le timbriche preparando il
pianoforte, e chiedendo all'interprete di usare
la voce o fare versi, situazioni che ci hanno
riportato alle lontane ricerche di Cage, di
Bussotti e di altri compositori del "dopo anni
'50" del secolo scorso.
Anche
quando l'uso del pianoforte è tradizionale, con
le mani ben ancorate alla tastiera per chiare e
incisive armonie o per semplici note isolate,
Solbiati esplora le possibilità timbriche dello
strumento con un'articolazione digitale, seppure
non difficile in quanto pensata per i più
giovani allievi, di particolare interesse
compositivo. I brevi pezzi, di una durata
compresa tra i venti secondi e il minuto e
mezzo, sono un condensato di riferimenti
musicali raccontati da una precisa titolazione,
come ad esempio: Invenzione sulle corde,
Corale con riverberi, Campane a festa ,
Fischiettando... una serie, Piccola pantomima,
Scivolando, Trilli e guizzi, e così
via
per 100 titoli. Decisamente brava Ilaria
Baldaccini nell'aver estrapolato sessanta dei
cento brani, in un ordine da lei deciso, per
ottenere una sorta di performance
musicale-gestuale ben articolata, con frangenti
di eccellenti valenze espressive, alternati ad
altri dove la gestualità o l'effetto timbrico
hanno una maggiore prevalenza. Al termine
dell'originale esecuzione i doverosi applausi
all'interprete e al compositore non sono mancati
dal numerosissimo pubblico che gremiva la
panoramicissima e luminosa Sala Fontana del
museo milanese. Successo
meritato in un pomeriggio musicale che voleva
anche presentare l'ottimo Cd uscito nel 2023 per
EMA Vinci Records con l'opera completa di
Solbiati "Corde e martelletti" nell'ottima
interpretazione di Ilaria Baldaccini.
3 aprile 2024 Cesare Guzzardella
MARZO 2024
A
NOVARA LE ULTIME SETTE PAROLE DI CRISTO IN CROCE
DI HAYDN CON IL QUARTETTO IRI DA IRI
Ieri
sera, Venerdì Santo, a Novara, il Quartetto
d’archi Iri da Iri ha eseguito uno dei
capolavori della musica religiosa di tutti i
tempi, “Le ultime sette parole di Cristo in
Croce” op.51 Hob: III di F. J. Haydn. La prima
versione di questo lavoro, per soli, coro e
orchestra, eseguita per la prima volta nel 1787,
venne quasi subito trascritta, già l’anno dopo,
con alcune importanti modifiche, per quartetto
d’archi da Haydn stesso, che, come è risaputo,
attribuiva grande efficacia emotiva alla musica
strumentale in chiesa. La composizione, nella
sua versione per quartetto d’archi, più snella
rispetto a quella per voci, coro e orchestra, è
suddivisa in sette ‘sonate’ (così le chiama
Haydn stesso, in quanto quasi tutte rispettano
lo schema della forma-sonata), tutte in tempo
lento e precedute da un’Introduzione, anch’essa
in tempo lento e concluse da un pezzo,
intitolato “Terremoto”, l’unico in tempo veloce,
un Presto .Le sette sonate sono intervallate da
brevi frasi in latino tratte dai Vangeli,
appunto le ultime sette frasi (‘parole’)
pronunciate da Cristo nella sua agonia sulla
croce. Realizzando le intenzioni dell’autore, il
Quartetto Iri da Iri ha scelto di eseguire le
Sette parole in una chiesa novarese, la
settecentesca (nell’attuale veste architettonica)
S. Andrea, rispettandone integralmente le
modalità esecutive, con la lettura, in italiano
dei brevi brani evangelici tra una sonata e
l’altra. seguiti da un breve commento .Sull’origine
del nome dell’ensemble abbiamo recentemente
parlato in un articolo del 17 marzo, e ci
esimiamo dal ripetere quanto già detto.
Precisiamo solo che il quartetto d’archi è
formato da Anna Molinari e Tea Vitali, violini,
Lara Albesano,
viola,
Lucia Molinari, violoncello, tutte giovani
diplomate e perfezionate negli studi dei
rispettivi strumenti, seguendo corsi di
formazione rigorosi e con un’esperienza
concertistica ormai significativa. Il giudizio
su questa esecuzione non può che essere
ampiamente positivo: il quartetto Iri da Iri è
stato infatti pienamente all’altezza di un’opera
di grande valore, complessa sia sotto il profilo
tecnico, per la presenza di un fitto
contrappunto, sia per i profondi valori
espressivi che lo contraddistinguono. Tutte e
quattro le parti dell’Iri da Iri hanno suonato
con perfetta intonazione, con un suono chiaro e
preciso, con impeccabile intesa, con un
fraseggio ispirato da una cura rigorosa dei
dettagli dinamici, essenziali in quest’opera. Un
compito particolarmente gravoso, e assolto con
risultati eccellenti, toccava al violoncello,
cui era richiesta una particolare energia e
intensità nel volume del suono, in quanto
rappresentava l’unico basso in una composizione
che tende a gravitare su una sonorità cupa e
scura, tanto che alcuni quartetti scelgono di
rafforzare il violoncello, trasformandosi in
quintetti, con l’appoggio di un contrabbasso,
soluzione peraltro non autorizzata da Haydn:
ebbene, la qualità del suono cavato da Lucia
Molinari per volume e proiezione non ha fatto
rimpiangere certo il rinforzo del contrabbasso.
In generale Le sette ultime parole di Cristo
ascoltate ieri sera hanno colpito gli
ascoltatori (che hanno riempito la chiesa), per
il pathos, profondo, ma contenuto da una forma
musicale di classico nitore, e sostenuto da una
linea espressiva alimentata da un suono, in
particolare nelle sette sonate, sussultante, a
tratti quasi sospirato, di una delicatezza
sovente sfumata in pianissimi di eterea levità,
di potente carica suggestiva. I momenti in cui
questo ‘pathos sospirato’ si sono impennati in
una più accentuata tensione drammatica hanno
visto generalmente il primo violino come
strumento protagonista, come nel primo tema
dell’Introduzione, dove Anna Molinari ha dato
alla sua arcata una forza espressiva di alto
impatto emotivo o come nella cadenza solistica
della sonata IV, dove il suono del violino
sembra ricreare con efficacia l’atmosfera di
desolato abbandono e solitudine di Cristo sulla
Croce, a commento delle parole di Marco “Deus
meus, Deus meus, utquid dereliquisti me?” Tutta
l’opera, come abbiamo detto, nell’ora circa
della sua durata, ha incantato ed emozionato il
pubblico, ma se vogliamo indicare i momenti in
assoluto più alti, citeremmo le ultime tre
sonate: la V, la “sonata della sete” che segue
la parola di Cristo “sitio”, “ho sete”, coi
delicatissimi pizzicati degli archi all’unisono,
seguiti dal tema dell’invocazione drammatica; la
VI, il “Consummatum est” dove il sol minore
diventa davvero la ‘tonalità della morte’, con
il suo primo tema scandito su cinque note lunghe
in cui risuonano con tensione indicibile le
cinque sillabe della frase; la VII, infine, col
suo meraviglioso tema principale, di esaltante
serenità, col quale, alla fine del dramma della
passione, Gesù morente affida il suo spirito al
Padre. Le quattro bravissime strumentiste
dell’Iri da Iri hanno offerto di questi
altissimi momenti di straordinaria musica
un’interpretazione pienamente adeguata, che ha
emozionato e commosso il pubblico, che ha
tributato loro un meritatissimo, torrenziale
applauso. Davvero, da ricordare.
30 marzo 2024 Bruno Busca
Le
Sonate per
violino e fortepiano di
Mozart con Isabelle Faust e Alexander Melnikov
per il "Quartetto"
L'impaginato mozartiano scelto dalla violinista
tedesca Isabelle Faust e dal fortepianista
moscovita Alexander Melnikov prevedeva quattro
sonate: la K481, la K296, la
K303 e la K380. Siamo abituati ad
ascoltare Mozart con gli strumenti moderni, il
pianoforte evoluto dei nostri giorni e i violini
che, seppure spesso d'epoca, tendono ad
adeguarsi alle sonorità anche voluminose dei
pianoforti. Tra i vantaggi dei pianoforti
recenti c'è certamente la
maggiore resa
volumetrica, che fa percepire le
sonorità nelle grandi sale da concerto anche a
chi si trova a notevole distanza. Ai tempi di
Mozart i luoghi della musica erano però più
raccolti, il clavicembalo e il fortepiano erano
tra gli strumenti a tastiera più diffusi, e
naturalmente il pensiero musicale dei
compositori si formava con le timbriche più
discrete di questi due strumenti. I due
eccellenti interpreti che abbiamo ascoltato ieri
sera in Sala Verdi per il "Quartetto" hanno
voluto ritrovare le timbriche che verosimilmente
erano quelle di maggior uso ai tempi di Mozart e
dai suoi contemporanei. Il fortepiano,
gentilmente concesso dalla collezione di
strumenti d'epoca di Fernanda Giulini, ha
permesso queste più autentiche interpretazioni
Dalle prime note della Sonata n.33 in mi bem.
maggiore K481 abbiamo riscoperto un Mozart
diverso: raccolto, interiorizzato e restituito
da una timbrica unitaria più "antica" che
nascondeva una gamma infinita di colori
sapientemente espressi dalle armonie del
fortepiano storico di Melnikov e dalle sottili
enunciazioni
melodiche della Faust, una coppia
di strumentisti integrati perfettamente in un
unicum di grande valore estetico. Rilevanti
tutte le quattro sonate con momenti di grande
riflessione nei movimenti centrali delle tre
maggiori, mentre per la più breve, la Sonata
n.20 in do maggiore K 303, in due soli parti,
l' Adagio era posto all'inizio. Una resa
complessiva che ha pienamente soddisfatto il
pubblico presente in Conservatorio. Interpreti
visibilmente soddisfatti e un bis concesso con
lo splendido Tempo di minuetto, movimento
centrale della Sonata in mi minore K304.
Concerto splendido!
27 marzo 2024 Cesare
Guzzardella
La
chitarra di Manuel Barrueco è tornata alle
Serate Musicali del Conservatorio
Ricordando lo splendido
concerto tenuto dal grande chitarrista Manuel
Barrueco nel maggio 2022, siamo tornati a
riascoltarlo ieri sera in Conservatorio, ancora
per l'organizzazione di Serate Musicali.
Un impaginato altrettanto diversificato e
ottimamente progettato attendeva il Maestro con
brani di Negri, Galilei, Bach, Sor, Harrison,
Tàrrega e Turina, più alcuni anonimi della
tradizione più antica. Come avevamo già
sottolineato, si rimane stupiti della
completezza melodico-armonica di questo
strumento a sei corde che abbisogna di un
ascolto adeguato; dove l'attenzione
dell'ascoltatore deve andare incontro ai volumi
contenuti della cassa armonica per comprenderne
la ricchezza delle timbriche. Manuel Barrueco,
chitarrista cubano tra i più noti virtuosi di
questo strumento, eccelle per raffinatezza di
colore. Oscar Chilesotti ha trascritto alcuni
brani di danza anonimi, ma anche Bianco fiore di
Cesare Negri (1535-1604) e il Saltarello di
Vincenzo Galilei (1525-1591). Brani spesso per
liuto, che trascritti per chitarra conservano
ancora quelle timbriche antiche che Barrueco ha
perfettamente restituito con il suo armonioso
strumento. La splendida Suite per liuto n.3
in la minore BWV 995 di J S. Bach
(1685-1750) ha trovato poi un'esemplare
interpretazione nelle sei corde del chitarrista
cubano. Le atmosfere spagnole del
compositore-chitarrista Fernando Sor (1778-1839)
sono quindi arrivate con il Grand solo op. 14
( versione D. Aguado), un lavoro perfetto
formalmente ed espresso con destrezza armonica e
nitore timbrico
da Barrueco. Il brano successivo
ci ha portato al Novecento di Lou Harrison
(1917-2003) con cinque brani tra cui Serenado
por gitaro, Music for Bill and me, Sonata for
Ishartum e le Serenade Air e
Round. Brani scritti molto bene per la
chitarra, di non difficile ricezione. Gli ultimi
brani dell'impaginato erano di Francisco Tárrega
(1852-1909) e di Joaquín Turina ( 1882-1949).
Trent'anni separano le date di nascita dei due
compositori spagnoli, il primo anche chitarrista
e il secondo pianista. Diverse modalità
stilistiche si riscontrano nei due lavori
proposti: il primo, di Tárrega, era il
Capricho Árabe, particolarmente celebre nei
modi tipici ottocenteschi delle sue timbriche
spagnole; il secondo, di Turina, era la più
corposa Sonata in re minore op.61, nei
classici tre movimenti Allegro, Andante e
Allegro vivo . È un brano proiettato nelle
modalità stilistiche novecentesche, ma ispirato
dal flamenco andaluso per una sorta di fantasia
particolarmente riuscita nelle influenze delle
timbriche spagnole. Interpretazioni di rara
qualità, apprezzate dal pubblico presente, con
numerosi giovani amanti e/o praticanti della
chitarra. Tre i bis concessi, due danze antiche
le prime e nel finale il Fandanguillo di
Torroba. Applausi calorosi.
26 marzo 2024 Cesare
Guzzardella
Recital
di Rosa Feola
al Teatro alla Scala
Ieri
sera Rosa Feola ha ottenuto un meritatissimo
successo al Teatro alla Scala. Il soprano, nata
a San Nicola la Strada in provincia di Caserta,
aveva l'eccellente sostegno strumentale del
pianista romano Fabio Centanni, in un repertorio
che includeva brani di Rossini, Martucci,
Respighi, Debussy, Mozart e Donizetti. Nella
prima parte della serata alcuni brani erano
rarità di grande valore, quali i Tre pezzi
op. 84 di Giuseppe Martucci o i Quattro
rispetti toscani di Ottorino Respighi,
anticipati dalla Regata veneziana di
Gioachino Rossini e conclusi con l'intenso
Azael, Azael perche mi hai lasciata, dall'Enfant
prodigue di Claude Debussy. L'ottima
timbrica della Feola ha trovato
precise
armonizzazioni da Centanni, calibrate in ogni
registro per sostenere ogni sottile inflessione
coloristica della voce. Di maggiore
frequentazione i brani della seconda parte del
recital con un' aria dal Don Giovanni di Mozart,
Don Ottavio, son morta! Qui la Feola,
coadiuvata dal tenore Haiyang Guo, allievo del
corsi di perfezionamenti scaligeri, ha esternato
maggiormente tutta la sua intensità vocale con
grande abilità anche attoriale. A seguire sono
state eseguiti Bel raggio lusinghier da
Semiramide di Rossini e Regnava nel
silenzio da Lucia di Lammermoor di
Donizetti, entrambi ancora indicativi delle
qualità del grande soprano. Le capacità
interpretative di Centanni le abbiamo rilevate
anche nei due brani per solo pianoforte,
eseguiti nei momenti di riposo della voce di
Feola: prima il pregnante Debussy con
Poissons d'or, dalla seconda serie di
Images e poi l'efficace e graziosissimo
Petite caprice ( in stile Offenbach) dai
Péchés de vieillesse di Rossini. Applausi
calorosissimi in un teatro gremito di pubblico e
tre bis concessi dalla Feola con Quando men
vò soletta per la via da Bohème, A'
vucchella di F.P. Tosti e Signore ascolta
da Turandot. Voce eccellente e soprano
visibilmente soddisfatto.
25 marzo 2024 Cesare
Guzzardella
A
Musica Maestri! la
giovanissima Martina
Meola
Musica
Maestri!, la
Stagione concertistica dei docenti e degli
studenti vincitori di premi del Conservatorio
milanese, ha ospitato in Sala Puccini la
pianista Martina Meola. Nata nel novembre 2012,
non ha ancora dodici anni e ha vinto il premio
per I Giovani Talenti categoria H. Il non
breve concerto era abbinato ad un incontro
importante con il
CUAMM-
Medici con l'Africa, un gruppo di volontari che
sostengono la formazione del personale sanitario,
finanziando la borsa di studio per un medico
referente per l'ospedale statale Rumbek in Sud
Sudan. La sala, colma di pubblico, ha ascoltato
con attenzione Martina in un impaginato assai
diversificato, che prevedeva brani di Schumann,
Beethoven, Chopin, Liszt e Granados. Un pianismo
perfetto nella classicità di brani importanti
quello ascoltato, con alcuni lavori corposi come
il Tema con variazioni sul nome Abegg op.1
di Schumann o la Sonata n.17 op.31 n.2
"La tempesta" di Beethoven. Brani piu brevi
come lo Studio n.1 op.25 o il Valzer
op.64 n.2 di Chopin o il delizioso
Piccolo Valzer di Puccini, dalla Bohème (
aria di Musetta). D'incredibile virtuosismo il
Liszt della Rapsodia ungherese n.11 o il
Granados dell'Allegro da concerto op.46.
Tra i bis concessi da Martina, il Valzer
Op.64 n.1 di Chopin o il Sogno d'amore
di Liszt. Si rimane davvero sbalorditi per
l'avanzato
livello interpretativo della giovanissima Meola,
che studia in Conservatorio con la docente
Silvia Limongelli: insegnante che ha il non
facile compito di dare indicazioni ad un'allieva
così talentuosa! La pregnante restituzione della
Sonata beethoveniana, la facilità di
esternazione della Rapsodia di Liszt o
dell'Allegro di Granados, la trasparenza
timbrica di tutti i lavori, rivelano doti
naturali di una pianista dalle risorse già
eccezionali, che certamente daranno molti frutti
durante la sua crescita musicale. Pubblico
entusiasta ed applausi calorosi a Martina -
graziosissima nel suo abito bianco - , che ha
ricevuto i complimenti
anche
dal direttore del Conservatorio di Milano "G.
Verdi" Massimiliano Baggio , salito sul
palcoscenico insieme a un rappresentante del
CUAMM. Questo a sua volta ha ringraziato un
giovane medico, Alberto, che è stato lo scorso
anno in Sud Sudan a formare altri medici (per
sostenere l'attività del CUAMM, si può versare
un bonifico con causale "PMB3 Rumbek_FORMAZIONE
Erogazione liberale" Banca Popolare Etica IBAN:
IT 32C 0501812101 000011078904
www.mediciconlafrica.org
).
Un concerto magnifico e importante!
25 marzo 2024
Cesare Guzzardella
IL
VIOLINO DI SERGEJ
KHACHATRYAN ILLUMINA IL
VIOTTIFESTIVAL DI VERCELLI
Ieri sera, al Teatro Civico
di Vercelli, la ventiseiesima stagione del
ViottiFestival, che coincide con il bicentenario
della morte del grande musicista vercellese, ha
avuto come protagonista uno dei più affermati
violinisti della ‘generazione degli anni 80’,
l’armeno Sergej Khachatryan, balzato nel 2000
agli onori della cronaca musicale internazionale
col primo premio al Concorso Sibelius e
definitivamente consacrato cinque anni dopo dal
Concorso Reine Elisabeth di Bruxelles (l’equivalente
per il violino di ciò che è il van Cliburn per
il pianoforte) , come uno dei più importanti
violinisti del nostro tempo. Il programma della
serata, dedicata doverosamente al ricordo di
Maurizio Pollini, lo vedeva solista nel primo
dei due pezzi proposti, uno dei più celebri ed
eseguiti in assoluto tra i concerti per violino
e orchestra, quello di Beethoven in Re maggiore
op.61. Ad accompagnare il solista era, come
d’abitudine, l’Orchestra Camerata Ducale diretta
da Guido Rimonda: dalla collaborazione tra
direzione orchestrale e solista è nata
un’interpretazione di questo capolavoro
beethoveniano che riteniamo di poter annoverare
tra le migliori da noi ascoltate negli ultimi
anni, un’interpretazione capace di dare voce
suggestiva ed emozionante al clima espressivo di
questa partitura, fondato su uno stretto
rapporto dialogico tra solista e compagine
orchestrale, con tutta l’infinita gamma di
sfumature ritmiche, timbriche, dinamiche, cui
esso dà luogo. Ovviamente in primo piano è stata
la prova di Khachatryan, alla sua prima
esibizione a Vercelli. Dire che il trentottenne
violinista armeno
domina
senza problemi le numerose parti virtuosistiche
previste dalla partitura, non solo nelle due
cadenze dei tempi esterni, e in particolare nel
finale Rondò, è, ormai, dire nulla, poiché tutti
i violinisti delle ultime generazioni in genere
possiedono un completo controllo dei mezzi
tecnici, grazie all’avanzato perfezionamento
della didattica dello strumento nei Conservatori
di tutto il mondo. Il valore di un violinista,
come di qualsiasi altro solista, si giudica
dalla capacità di mettere il proprio bagaglio
tecnico al servizio di un’interpretazione, di un
‘esplorazione delle potenzialità espressive del
pezzo eseguito. Ebbene, non esitiamo a definire
‘carismatica’ l’interpretazione del concerto di
Beethoven offerta ieri da Khachatryan.
Sfruttando al massimo il suono particolare del
suo Guarneri del Gesù “Ysaye” 1740, umbratile e
sensuale, il violinista armeno ha creato
atmosfere timbriche di estrema raffinatezza, a
cominciare da quella incantata sospensione
lirica con cui ha subito catturato le menti
degli ascoltatori nella riesposizione del tema
principale dell’Allegro ma non troppo iniziale,
cavando dal registro più acuto un suono di
eterea finezza. Nella lunga linea melodica,
quasi dolcissima cantilena, in cui a un certo
punto si trasforma il tema principale del
Larghetto centrale, Khachatryan esibisce le
migliori qualità del suo fraseggio: intonazione
perfetta, un’articolazione delle singole frasi
che è pura bellezza, precisione assoluta per le
più sottili variazioni timbriche, sensibilità
per le dinamiche e le varie ombreggiature del
suono, con arcate sempre intese ai valori
espressivi, screziate da un vibrato misurato e
amabile. Un suono, in generale, quello di
Khachatryan, che, pur non ignorando certo
momenti di potente energia (tra tutti, l’attacco
del primo couplet del finale Rondò, ma in
generale l’intero terzo movimento), si distingue
prevalentemente per un che di intimistico, di
dolcemente suadente, talora come avvolto da
sottilissime velature, ma che sa farsi raggio di
luce cristallina nei trilli, negli arpeggi e nei
vari abbellimenti, frequenti in questo concerto
in tutti e tre i tempi, tra i quali
indimenticabile il lungo trillo che sembra
illuminare il morbido panneggio dei fagotti e
dei clarinetti, nella ripresa del secondo tema
della seconda esposizione dell’Allegro
d’apertura. Insomma: la ricerca interpretativa
ed espressiva di Khachatryan valorizza al
massimo l’ideale d’intimismo espressivo che è il
centro d’ispirazione di questo concerto
beethoveniano, senza tuttavia rinunciare a
quegli ‘scatti’ e illuminazioni improvvise che
rivelano come una corrente di sotterranea
energia, del resto evocata alle soglie del
concerto dalla misteriosa pulsazione dei
timpani. Dal podio Rimonda ha guidato la
Camerata Ducale in un dialogo costante, preciso
ed efficace con il solista, sempre sostenendo
con coerenza la sua linea interpretativa: di
particolare bellezza gli impasti timbrici,
soprattutto nelle tinte delicate ottenuta dai
legni, e ottimamente gestite le dinamiche,
soprattutto quelle più intimistiche e ‘ in
sordina’: un esempio da antologia di entrambi
questi elementi della direzione di Rimonda è
stata l’introduzione all’Andante, coi suoi archi
in pianissimo, seguiti dalla delicata pennellata
di clarinetti e fagotti, un momento di musica
eseguito con suggestiva finezza e gran classe. I
torrenziali applausi del pubblico assiepato al
Civico ottenevano un lungo fuori programma,
banco di prova del vertiginoso virtuosismo di
Khachatryan: non abbiamo identificato con
sicurezza l’autore del pezzo, azzardiamo Ysaye.
A seguire, e concludere la serata, di Luigi
Cherubini, la Sinfonia in Re maggiore Parc 54.
Nell’impaginato del concerto la presenza di
Cherubini richiama quella di Viotti,
compensandone, in un certo senso, l’assenza:
contemporaneo del grande vercellese, Cherubini
fu anche legato a lui da stretti rapporti di
amicizia; anzi, la sua decisione, nel 1788, di
lasciare per sempre l’Italia per trasferirsi a
Parigi, si deve anche all’invito di Viotti, che
nella capitale francese lo aveva preceduto sette
anni prima. Si aggiunga che entrambi i musicisti
italiani godettero dell’ammirazione di
Beethoven, e si comprenderanno bene le ragioni
del programma di questo concerto. Questa
sinfonia, a parte quelle d’opera, è l’unica
composta da Cherubini, nel 1815. Amata da
Schumann, che paragonava Cherubini addirittura a
Dante (?!), caduta nel più totale oblio nel
secondo ‘800, venne riscoperta nel 1935 e da
allora, pur non godendo di vasta popolarità, è
entrata abbastanza stabilmente nei repertori
delle orchestre, non solo italiane. Nei canonici
quattro tempi, mostra una qualche apertura al
classicismo viennese, in particolare ad Haydn.,
accanto a cui convivono sprazzi di chiara
reminiscenza dell’opera comica napoletana tra
Cimarosa e Paisiello. Al di là dei modelli e dei
riferimenti, sempre opinabili, all’ascolto
questa sinfonia di Cherubini presenta una sua
notevole originalità, che ne fa senz’altro
l’albero
più frondoso e maestoso del povero, limitato
orticello del sinfonismo italiano nell’età d’oro
del classicismo austro-tedesco. Tale originalità
è ben colta e interpretata da Rimonda, come
sempre impeccabile nell’eleganza del suono,
nello stacco dei tempi, nella cura meticolosa di
dinamiche e timbriche in cui peraltro raramente
la partitura crea impasti tra archi e fiati,
preferendo in genere sfruttarli a blocchi
separati . Rimonda mette in pieno risalto quella
che, in definitiva, è la caratteristica
dominante di questa sinfonia: il suo ‘strano’
ritmo, il continuo contrasto tra temi e motivi e
stati d’animo opposti, sottolineando la
singolarità di una architettura che non ha
termini di paragone nella musica dell’epoca:
invece di sviluppare i temi, Cherubini li
frammenta, inserisce spunti secondari, frasi
indipendenti, giustappone motivi eterogenei, ora
solenni, ora grotteschi, ora ironici, ora
percorsi da un brivido d’inquietudine.
Affascinante ne risulta il Minuetto, con il
singhiozzo dei suoi accenti sincopati e con un
Trio intermedio, che, per il modo in cui lo
esegue Rimonda, potrebbe ricordare la giocosa
leggerezza di Bizet, in cui lampeggia a tratti
la divertita malizia di un Rossini. E, a voler
azzardare un paragone, la spavalda e trascinante
vitalità del Finale Allegro assai par quasi
anticipare qualcosa dei Davidsbundler
schumanniani (forse proprio qui stanno le
ragioni dell’ammirazione di Schumann per
Cherubini). Una pregevole esecuzione, che ci ha
fatto venir voglia, tornati a casa, di togliere
dal dimenticatoio in cui l’avevamo confinata
sugli scaffali più remoti della nostra personale
discoteca e riascoltarla, dopo tanti anni,
questa strana, amabile sinfonia. Un’ altra,
bella, interessante, memorabile serata al Civico
di Vercelli: ma ormai, serate così, al
ViottiFestival, non si contano più… (Foto in alto Ufficio Stampa di Vercelli)
24-03-24 Bruno Busca
Il concerto de I Pomeriggi
Musicali, ricordando Maurizio Pollini
Ho
riascoltato volentieri il concerto diretto da
Alessandro Cadario per I
Pomeriggi Musicali, per riassaporare sia
l'ottimo Beethoven che la bravura del pianista
Emanuele Arciuli, alle prese con l'avvincente
Concerto per pianoforte e orchestra "
Luminary" del compositore thailandese
Narong Prangcharoen, un lavoro di particolare
resa, la cui anteprima di giovedì 21 è stata già
da me commentata. La triste notizia, diffusasi
immediatamente, della scomparsa del grandissimo
Maurizio Pollini (5 gennaio 1942-
23 marzo 2024),
che ci ha lasciato questa mattina a 82 anni, ha
purtroppo connotato la giornata. Pollini è
sempre stato un punto di riferimento del
concertismo pianistico, che con lui ha trovato
il modo migliore per un'efficace condivisione
del repertorio classico, grazie ai suoi
amatissimi Beethoven, Chopin, Schubert e ai
compositori del Novecento da lui privilegiati,
come Stravinskij, Bartok, Schönberg,
Stockhausen, Nono. Pollini ha dato meravigliosi
concerti per oltre sessant'anni nelle sale della
nostra città e soprattutto nel suo amato Teatro
alla Scala dove ha voluto suonare fino
all'ultimo, anche quando la malattia gli rendeva
faticosa la tastiera. Oggi, alla
replica
pomeridiana del concerto de I
Pomeriggi Musicali, dopo l'annuncio
iniziale della scomparsa del Maestro,il
direttore Cadario e i Professori d'Orchestra,
unitamente a tutto il pubblico in piedi, lo
hanno omaggiato con un minuto di silenzio. Dopo
l'ottima interpretazione del valido concerto di
Prangcharoen,eseguito ancora una volta molto
bene, Emanuele Arciuli ha voluto ricordare
personalmente Pollini eseguendo come bis uno dei
lavori più cari al grande pianista, i Sei
pezzi op.19 di Arnold Schönberg. Lavori
brevissimi ma intensi, di cui Arciuli ha dato
un' ottima resa estetica.
23 marzo 2024 Cesare Guzzardella
Alessandro Cadario ed
Emanuele Arciuli con
I Pomeriggi Musicali per un
concerto di Prangcharoen
L'interessante impaginato
ascoltato questa mattina all'anteprima dei
concerti de "I Pomeriggi Musicali" prevedeva
brani di due compositori, L.v. Beethoven e il
thailandese Narong Prangcharoen (1973). Alla
direzione dell'orchestra c'era Alessandro
Cadario, rinomato direttore sia dei grandi
classici che del repertorio contemporaneo. I
noti lavori del genio tedesco erano l'Ouverture
"Le creature di Prometeo", eseguita ad
introduzione del concerto, e la Sinfonia n.7
in la maggiore op.92, elargita al termine.
Centralmente, in Prima esecuzione italiana,
il Concerto per pianoforte e orchestra
"Luminary" di Prangcharoen ha visto come
solista Emanuele Arciuli, un esperto nel settore
contemporaneo, sempre alla ricerca di novità
interpretative come la riuscita composizione del
thailandese. Il corposo brano di oltre
venticinque minuti è stato realizzato nel 2016 e
dedicato al maestro del compositore, il pianista
Bennett Lerner. È un unico lungo movimento dove
però si riconoscono tre parti: quella centrale
più lirica in contrasto con la dinamicità di
quelle laterali. La forza espressiva di questa
suggestiva opera, sorretta da una solida
impalcatura dal carattere narrativo, rimane
impressa per il ruolo incisivo, spesso
percussivo del pianoforte, perfettamente
integrato con l'evidente sinfonismo orchestrale
altrettanto acceso. Non mancano i frangenti più
meditativi, come quelli della parte centrale o
nelle brevi cadenze pianistiche. Arciuli ha
sostenuto la non facile parte solistica
con
grande precisione nelle scansioni ritmiche,
spesso una miriade di note ribattute volte a
sostenere la tensione drammatica accentuata.
L'esemplare resa complessiva del solista,
unitamente all'ottima sinergia con la direzione
di Cadario e la valida resa espressiva di ogni
sezione orchestrale, ha generato un successo
entusiasmante nel numeroso pubblico presente al
Dal Verme, pubblico che ha applaudito a lungo un
brano che si spera possa trovare altre
esecuzioni in Italia nei prossimi anni, cosa non
scontata per gli autori contemporanei. Di ottima
qualità sia il Beethoven introduttivo
dell'Ouverture che la celebre Settima
Sinfonia, resa ancor più interessante
dall'eccellente espressività dello scultoreo
Allegretto. Questa sera alle ore 20.00 la
prima ufficiale e sabato alle 17.00 la replica.
Da non perdere!
21 marzo 2024 Cesare
Guzzardella
Il Festival Strings
Lucerne e il violino
di Leia Zhu per la Società dei Concerti
Gli
straordinari colori della compagine strumentale
"Festival Strings Lucerne" sono emersi
nel notevole impaginato scelto per il concerto
organizzato dalla "Società dei Concerti".
L'Orchestra d'archi - ieri sera di sedici
strumentisti - è stata fondata nel 1956, ed è
tra le migliori formazioni di livello
internazionale. Maestro
concertatore
dal 2012 è Daniel Dodds, dal 2000 anche primo
violino. Il brano introduttivo, la
Novelletten n.1 in fa maggiore op.53 per archi,
una rarità di N.W. Gade,
ha introdotto la serata rivelando da subito lo
spessore della compagine orchestrale. La parte
centrale della serata ha riservato un ospite
d'eccezione quale la giovane violinista Leia
Zhu. Non ancora diciottenne, era stata già
ospite della Società concertistica nel 2018.
Impegnata prima nel Concerto per violino e
orchestra d'archi in re minore di
Mendelssohn e poi nella celebre La campanella-
dal Concerto n.2 di Paganini-,
la britannica Leia Zhu, coadiuvata in maniera
eccellente dai sedici archi, ha rivelato
una
musicalità di primo livello, esternando una
leggerezza di tocco straordinaria, unitamente ad
incisività e cantabilità. L'ottima esecuzione
del concerto mendelssohniano ha visto
successivamente un'eccellente resa solistica
nella brillante La campanella, dove la
chiarezza del fraseggio e la solida struttura
complessiva dei tre movimenti, hanno ritrovato
l'elemento virtuosistico con una resa
d'apparente facilità d'esecuzione. Le
intonazioni perfette della Zhu, anche nei più
impervi sopracuti, realizzati con evidente
nitore espressivo e la bellezza delle timbriche
hanno portato ad un tripudio di applausi.
Eccellente il bis solistico concesso, con il
celebre Capriccio n.24 di Paganini,
quello di maggiore lunghezza per via delle
numerose variazioni sul noto tema iniziale.
Ancora
applausi
sostenuti. I potenziali migliori dell'orchestra
d'archi si sono poi rivelati nell'ultimo brano
in programma. La Serenade in do maggiore op
48 di
Čajkovskij
è un gioiello compositivo
assoluto, dove l'equilibrio delle quattro ampie
parti che compongono questo capolavoro, travano
un'evidente bellezza nelle melodie di ogni
movimento, dall'Andante non troppo, allo
strepitoso Valse moderato, all'Elegia
e al Finale con il tema russo. Il
perfetto equilibrio era controllato dalla
straordinaria orchestrazione del
violinista-direttore Dodds, e la chiarezza dei
dettagli è stata di grande rilevanza estetica.
Applausi sostenuti dal pubblico presente in Sala
Verdi e un valido bis interpretato con profonda
espressività: Evening Song op.85 n.12 di
Robert Schumann nella riuscita trascrizione di
J. Svendsen. Eccellente serata!
21 marzo 2024 Cesare
Guzzardella
Il pianista Axel Trolese
per "Musica con le
ali" al Museo della Scala
Ieri,
nel tardo pomeriggio, un nuovo appuntamento
musicale realizzato dall'associazione "Musica
con le ali" si è svolto nella Sala Esedra
del Museo Teatrale alla Scala. Il terzo incontro
dello splendido "Salotto Musicale" milanese, ha
visto un giovane valido interprete al pianoforte
quale Axel Trolese, ventiseienne di Genzano
(RM), che ha offerto un programma di brani
all'insegna del virtuosimo, iniziando con
J.S.Bach (1685-1750), passando per Isaac Albéniz
(1860-1909), arrivando a Maurice Ravel (1875- 1937)
e concludendo con Aleksandr Skrjabin
(1872-1915). Il Concerto Italiano BWV 971
del grande genio sassone ha rivelato la sicurezza
digitale di Trolese nell'imprimere un taglio
deciso e chiaro alle polifonie bachiane. I brani
di Albéniz, dal libro terzo di Iberia,
con i tre lavori El Albaicín, El Polo e
Lavapiés, sono di raro ascolto e di
straordinaria difficoltà esecutiva e
rappresentano una specialità del pianista che ha
già inciso in Cd tutta la serie. Le valide
esecuzioni hanno rivelato ancor più le doti
virtuosistiche di Trolese nell'esprimere con
chiarezza anche le più impervie dissonanze che
sono presenti, specie nel terzo pregnante lavoro.
Il brano successivo, più celebre del
precedente
e molto eseguito nelle sale da concerto,
Gaspard de la nuit, del grande compositore
francese, è stato eseguito, senza soluzione di
continuità,
con Vers la flamme“ op. 72, opera di
straordinaria realizzazione del compositore
russo. Una scelta motivata da Trolese per
l'effettiva consonanza coloristico-timbrica
delle due importanti composizioni realizzate
nello stesso periodo storico, specie con il
conclusivo Scarbo della prima grande
opera. Ottima la discorsività complessiva dei
due lavori, ben delineati dal voluminoso
pianoforte Steinway & Sons, che ricordiamo
essere appartenuto a Liszt dal 1883 e da alcuni
anni utilizzato per i concerti del Museo
scaligero. Applausi calorosi in una Sala Esedra
colma di appassionati. Di profonda espressività
il bis concesso da Trolese, visibilmente
soddisfatto, con il primo, semplice ma profondo
brano tratto da Musica Callada del
catalano Frederic Mompou (1893-1987) e
denominato Angelico. Ancora calorosi
applausi. Il prossimo incontro per "Musica con
le ali" in Sala Esedra è per l'8 aprile con la
pianista Monica Zhang che eseguirà brani di
Beethoven, di Liszt e di Mussorgskij. Da non
perdere.
20 marzo 2024 Cesare
Guzzardell a
Alessandro Deljavan
alle
Serate Musicali del Conservatorio milanese
Per la seconda volta ospite
di Serate Musicali, il pianista abruzzese
Alessandro Deljavan ha voluto impaginare un
programma tutto dedicato a Chopin. I 24 Studi,
tra Op.10 e Op.25, sono stati
anticipati da due Improvvisi, l'Op. 29
e l'Op.36, e le due serie di dodici
studi inframmezzati dall'Improvviso op.51.
È uno Chopin particolare quello del noto
pianista trentasettenne di origine
italo-persiane,
certamente di qualità e
personale nell'estrema sintesi discorsiva che fa
sembrare i numerosi brani appartenenti ad un
unico lavoro unitario. Deljavan ha indubbiamente
le idee chiare su come rendere il suo Chopin. La
sua gestualità, spesso chiarificatrice delle sue
intenzioni, lo porta a definire le timbriche in
modo delicato, senza eccessi, con modalità
espressive molto interiorizzate e
trasparenti
nel rilevare frangenti discorsivi nei diversi
piani sonori, in un gioco di armonie prevalenti
rispetto il canto, che pur riconoscibile, è
sempre legato ad una concezione unitaria del
tessuto armonico. Momenti di straordinaria
raffinatezza sono emersi negli Improvvisi e
nella maggior parte dei celebri Studi. Il
pubblico, purtroppo non numeroso, presente in
Sala Verdi, ha assai apprezzato
l'interpretazione del noto pianista che ha
concesso come bis due splendide Mazurke,
l'Op.67 n.2 e l'Op.17 n.2 del
grande polacco, eseguite con incredibile
profondità estetica. Uno Chopin di grande
qualità quello di Alessandro Deljavan.
19 marzo 2024 Cesare
Guzzardella
L’Orchestre Sorbonne
Université e
Giulia Rimonda per il Concerto op.35 di
Čajkovskij
all'Università degli Studi milanese
L’Orchestre Sorbonne Université, formata da un
centinaio di allievi ed ex allievi della
titolata Università parigina, è stata ospite,
all'Università degli Studi milanese,
dell'Orchestra Unimi per un concerto guidato dal
direttore argentino Nicolás Agulló. Agulló, da
alcuni anni dirige il COSU ovvero il Chœur
& Orchestre -
Sorbonne
Université.
L'impaginato comprendeva
due importanti lavori, il primo, tra i più
popolari internazionalmente, era il Concerto
per violino in Re maggiore op. 35 di
Ciaikovskij, il secondo, meno frequentato ma
estremamente importante, la Sinfonia n. 7 in
Re minore op.70 di Antonín Dvořàk.
Protagonista del concerto del grande compositore
russo è stata la violinista Giulia Rimonda,
formatasi nell'ambiente musicale della Camerata
Ducale vercellese di Guido Rimonda e con
specializzazioni con importanti violinisti del
calibro di Shlomo Mintz, Pavel Berman e ancora
altri. Il Concerto op.35 di
Čaikovskij, composto tra il 1878 e il 1881,
inizialmente non ottenne il successo che
meritava, oggi è
invece quello tra i più eseguiti dai virtuosi di
fama mondiale. Presenta un primo movimento,
Allegro moderato, particolarmente corposo,
sviluppato, ricco di melodie e che sempre al
termine dell'esecuzione,
strappa
gli applausi del pubblico, come è avvenuto anche
ieri. Il movimento centrale, Canzonetta.
Andante, di soave espressività, è
direttamente collegato all'Allegro
vivacissimo, un finale che mostra ancora le
qualità virtuosistiche di ogni interprete. Giulia
Rimonda, coadiuvata da un'eccellente compagine
orchestrale formata da giovani universitari,
quasi tutti studenti del Conservatorio parigino,
ha elargito con nitore espressivo, splendido
vibrato e incisività, ogni dettaglio del celebre
capolavoro, rivelando una comprensione totale
dell'intenso sfaccettato brano in una
convincente visione d'insieme. Eccellente la
direzione di Nicolás Agulló, attento ai rapporti
tra componente orchestrale e volumetrie del
solista. La Rimonda ha poi concesso un ottimo
bis bachiano, l'Allemande dalla
Partita n.2 per violino solo, eseguito con
maestria
nella
sua profonda espressività. Applausi calorosi
nell'Aula Magna universitaria al completo. Di
rilevante spessore l'interpretazione della
successiva Sinfonia n.7 del composiore
ceco. Lavoro del 1885, è tra le più interessanti
costruzioni architettonico-musicali di Dvořák,
anche se meno eseguito e meno popolare della
celebre Sinfonia n.9 "Dal nuovo mondo". La
complessità dei quattro movimenti, con il noto e
più orecchiabile Scherzo vivace, terzo
movimento, è stata affrontata con abilità da
ogni sezione orchestrale e il direttore
argentino ha trovato, mediante il suo gesto
discreto e producente, una restituzione ottimale.
Applausi calorosi e come bis il finale dello
Scherzo. Bravissimi!
18 marzo 2024 Cesare
Guzzardella
Eleonora e Beatrice
Dallagnese a Palazzo Marino per i Ritratti
Musicali
Avevamo ascoltato le sorelle
Dallagnese recentemente nella Sala Esedra
del Museo Teatrale alla Scala e questa mattina
non ci siamo fatti sfuggire un
altro loro
concerto, in un luogo altrettanto prestigioso
quale Sala Alessi di Palazzo Marino.
L'iniziativa era inserita nella rassegna "
Ritratti Musicali" abbinata alla splendida
mostra di Giovan Battista
Moroni ancora in corso
nelle vicine Gallerie d'Italia. Le ventitreenni
sorelle Eleonora e Beatrice hanno ancora una
volta dimostrato le loro straordinarie qualità
musicali in un programma per metà variato
rispetto la scorsa volta. I Six Morceaux
op.11 di Sergej Rachmaninov, opera giovanile
del russo per pianoforte a quattro mani
ascoltata al Museo scaligero, è stata anticipata
da uno Schubert doc per pianoforte a
quattro mani, con due brani celebri quali la
Fantasia in fa minore D 940 e
Lebensstürme, Allegro in la minore D 947. La
concordanza delle Dallagnese
nell'esprimere in
maniera unitaria i due maturi lavori del grande
viennese si è rivelata dalle prime note. La resa
espressiva, attraverso variazioni dinamiche
sottili, incisività di colore nei giusti
frangenti, e leggerezza discorsiva molto
viennese, hanno definito un'interpretazione di
alto livello per entrambi i lavori. Notevole,
forse ancor più del primo ascolto scaligero, i
bellissimi Morceaux del grande russo, e
di ottima resa discorsiva ed espressiva il bis
concesso dal primo movimento di Petruska
di Igor Stravinskij. Applausi calorosissimi
nella Sala Alessi stracolma di appassionati. Una
manifestazione complessiva di grande successo!
17 marzo 2024 Cesare
Guzzardella
VENTO
FRANCESE ALL’AUDITORIUM DEDALO DI NOVARA
Ieri sera, sabato 16 marzo,
l’Auditorium della Scuola di musica Dedalo di
Novara ha ospitato un concerto dedicato a
composizioni per quintetto di fiati (flauto,
oboe, clarinetto, fagotto, corno) soli o con
pianoforte, tutte di autori francesi della prima
metà del ‘900 e ricordiamo che in francese i
nostri strumenti a fiato sono ‘Instruments à
Vent’, da cui il titolo della serata. L’organico
strumentale era formato dalla sezione fiati
dell’Ensemble Iri da Iri, in residence a Novara,
presso la Scuola Dedalo. ‘Iri da Iri’ è
citazione colta, dantesca per la precisione,
dall’ultimo canto della Divina Commedia, quello
in cui, al termine del suo viaggio ultraterreno,
Dante ha la visione del divino : ‘Iri, è forma
antica per ‘iride’, l’arcobaleno e allude alla
bellezza infinita della musica, arcobaleno
straordinario di suoni, emozioni, sentimenti,
che come i colori
dell’arcobaleno
si dispongono in una magica, luminosa
architettura di echi, di corrispondenze
misteriose e sublimi, come la visione del divino
nel poema cosmico di Dante. I cinque
dell’ensemble erano Alessandra Altini (flauto e
ottavino), Francesca Alleva (oboe), Marco Sorge
(clarinetto), Gianmarco Canato (fagotto), Elisa
Giovangrandi (corno). Si tratta di giovani
intorno ai trent’anni, salvo il più anziano
Sorge, che hanno compiuto una ricca e
qualificata esperienza di studi musicali in
importanti istituti in Italia e in Europa, con
una già ampia attività concertistica di buon
livello sia in ambito orchestrale ( alcuni di
loro hanno suonato in orchestre come La
Filarmonica della Scala, la Filarmonica di S.
Cecilia, L’Orchestra del Maggio Musicale
Fiorentino, l’Orchestra Sinfonica Nazionale
della Rai) , sia in ambito cameristico o
solistico. Da segnalare il curioso quartetto di
soli ottavini, fondato da Alessandra Altini,
Alt®e Frequenze, uno dei più originali quartetti,
crediamo, attualmente in Italia. Al pianoforte
sedeva Elena Brunello, il cui curriculum di
concorsi ha il suo momento culminante nel
secondo premio ottenuto nel 2012
all’International Piano Competition di S.
Pietroburgo, e anche le sue esibizioni
solistiche, cameristiche e in orchestra sono
decisamente significative. Il primo soffio di
vento francese è stato il Divertissement op.6
per pianoforte e quintetto di fiati (1906) di
Albert Roussel (1869-1937). Figura piuttosto
defilata nel vivacissimo panorama della musica
francese d’inizio ‘900, Roussel ne è in realtà
uno degli esponenti più interessanti e originali
e questo breve pezzo ne è una testimonianza,
come sintesi molto personale, di neoclassicismo,
fauvismo alla Stravinsky, ma con qualche anno
d’anticipo, e ‘impressionismo’ debussyano’.
L’ensemble Iri da Iri ha offerto, di questo
gioiellino musicale, un’interpretazione di alta
qualità, mettendone in evidenza il ritmo agile e
brillante, soprattutto nell’Animé iniziale, e
toccando il vertice della suggestione musicale
nelle sonorità evanescenti del Lento
centrale
e nel lunare Animando finale. Finissima la cura
dei dettagli timbrici, essenziale per una
partitura di Roussel, in particolare del terzo
tempo, ove i limpidi passaggi del pianoforte nei
registri acuti della tastiera (ottima la
performance di Brunello) si intrecciano con il
fraseggio ampio , ma rarefatto e sospeso ai
limiti di un incantato silenzio, dei fiati, trai
quali il flauto e il corno conferiscono un
colore ‘in sordina’ particolarmente efficace:
davvero un arcobaleno sonoro di potente
suggestione, che ha strappato applausi
meritatissimi da parte del pubblico. La seconda
‘ventata’ è arrivata con un notissimo pezzo di
Ravel, di poco posteriore al Divertissement di
Roussel, ‘Ma mère l’oye’ (1908). È noto che il
brano, composto originariamente per pianoforte a
quattro mani, fu poi trascritto per orchestra
dallo stesso Ravel. Ieri ne abbiamo ascoltato
una versione abbastanza celebre, per quintetto
di fiati, opera di Joachim Linckelmann. Anche
questa seconda composizione ha visto i fiati di
Iri da Iri raggiungere livelli intrepretativi di
notevole valore, con un panneggio sonoro
ottimamente curato e smagliante, sia nella
raffinatezza timbrica e nella gestione delle
dinamiche, sia, più in generale, nell’esprimere
quell’incantevole atmosfera fiabesca e
sottilmente ironica a un tempo che è la
peculiarità di questo capolavoro di Ravel. I
momenti più alti di questa esecuzione sono stati
a nostro parere il primo movimento, ‘La Pavane
de la Belle au bois dormant’, dove il lungo tema
è stato suonato con una dolcezza e una
malinconia struggente eppure alleggerita dalle
oculate e intelligenti dinamiche e dalla
trasparenza del suono dei cinque fiati, compresi
quelli gravi (corno e fagotto) e l’ultimo, ‘Le
jardin féerique’, in cui il graduale trapasso
dalla sommessa sonorità iniziale all’esplosione
timbrica conclusiva è stato condotto con estrema
precisione
e
incisivo disegno dei vari impasti timbrici di
volta in volta selezionati dalla partitura.
Dobbiamo osservare, en passant, che, non certo
per colpa dei bravissimi strumentisti, questa
trascrizione per soli fiati è inadeguata a
rendere al meglio una delle parti più belle de
Ma mère l’oye, il terzo tempo, Laideronnette,
nella sua meravigliosa evocazione dei gamelan
orientali, per la quale i soli fiati non sono
sufficienti nel loro peculiare apporto timbrico,
sicché va inevitabilmente perduto uno dei
momenti musicalmente più suggestivi dell’intera
composizione. L’impaginato proponeva quindi un
breve brano di Jacques Ibert (1890-1962), i
Trois pièces brèves per quintetto di fiati.
(1930). Caratteri dominanti dello stile di Ibert
sono la limpida chiarezza delle strutture e la
sapienza costruttiva: il vario gioco dei timbri
appare subordinato allo scopo di dare rilievo
alla precisione delle forme. Questo aspetto
caratterizzante della musica di Ibert è emerso
con evidenza dall’interpretazione del quintetto
Iri da Iri, che ha sfoggiato un’eleganza e
trasparenza di suono ottimamente calibrate, pur
non rinunciando ai momenti più brillanti, in
particolare il vivace ritmo danzante della
seconda sezione dell’Allegro iniziale. Da
ricordare il duetto, che occupa gran parte
dell’Andante centrale, tra flauto e clarinetto,
per la morbidezza del clarinetto e la fulgida
chiarezza di suono, specie nel registro alto,
del flauto. Il concerto si chiudeva con un pezzo,
anch’esso celebre, di Francois Poulenc, il
Sextet per pianoforte e quintetto di fiati FP
100 (1932-1939). È nota la predilezione che
Poulenc dimostrò sempre per gli strumenti a
fiato, nella cui variegata sonorità trovò una
‘voce’ ideale per esprimere il suo mondo
musicale, sempre mutevole, instabile e
contraddittorio. Di questo mondo musicale il
Sextett FP 100 si può ritenere quasi un
manifesto, ancora una volta eseguito e
interpretato molto bene dall’Ensemble Iri da Iri,
a proprio agio sia con le sonorità delle parti
più ‘motoristiche’ e trascinanti del pezzo, come
il tema principale dell’Allegro vivace iniziale,
un impasto di neoclassicismo stravinskyano nei
suoi momenti più spumeggianti e di musica
jazzistica, sia con quelle dei momenti di più
ripiegata e quasi dolorosa cantabilità, come,
sempre nel primo tempo, la sezione centrale. Ma
un po’ ovunque c’è in questo pezzo, come in
moltissimi altri lavori di Poulenc, questo
strano contrapporsi di euforico e gioioso
abbandono a ritmi vorticosi, di sapore ora
burlesco, ora aggressivo, e di zone di andamento
melodioso-cantabile: il che significa continuo
mutare di ritmi, timbri, dinamiche, tonalità. I
giovani di Iri da Iri dominano questo
incandescente e complesso materiale musicale con
assoluta padronanza e con fine sensibilità. Per
i singoli apporti ci pare giusto qui citare la
bellissima cadenza del fagotto, con una voce
cupa e senza speranza, che apre la sezione
centrale del primo movimento, e il subito
successivo intervento del pianoforte, che
disegna con fraseggio delicato e di notevole
intensità espressiva, la dolorosa melodia
cantabile della sezione centrale. Oppure la
dolcezza intrisa di indefinita tristezza con cui
l’oboe suona il suo tema nel Divertissement
Andantino centrale, un tema che è una citazione
dal Mozart della sonata per pianoforte KV 454 in
Do maggiore. Bel concerto, applauditissimo, con
un programma intelligente e raffinato, che
promette bene per questa nuova stagione di
musica da camera della Dedalus, che va sempre
più affermandosi come un altro polo importante
della vita musicale novarese .Gli applausi
scroscianti di un pubblico che ha riempito ogni
posto dell’Auditorium non hanno ottenuto alcun
petit cadeau: il concerto è finito senza bis, ma
questo nulla toglie, ovviamente,
all’apprezzamento per una prestazione davvero di
alta qualità.
17 marzo 2024 Bruno Busca
PER I
SABATI DEL CONSERVATORIO DI NOVARA IL PIANOFORTE
A QUATTRO MANI DI MOZART CON IL DUO G.
BELLORINI-G. CUCCO
I pianisti Giuliano Bellorini
e Giuliano Cucco hanno formato un duo che, da
circa vent’anni, ha avviato una nutrita attività
concertistica in Italia e non solo, nel cui
repertorio occupano un posto di primo piano le
composizioni per pianoforte a quattro mani di W.
A. Mozart, che i due Maestri hanno anche inciso
in vari CD. Bellorini, all’attività
concertistica, in coppia con Cucco o come
solista o in formazioni cameristiche e con
orchestra, affianca anche l’attività di
compositore, di raffinato musicologo
e
di insegnante, presso il Conservatorio G. Verdi
di Milano. La fama che gli deriva da tali
molteplici attività è rafforzata dalle sue
frequenti partecipazioni a trasmissioni
radiofoniche di argomento musicale di Rai radio
tre. Giuliano Cucco è pianista affermatosi in
vari importanti concorsi italiani e
internazionali e con un’ampia attività di
concertista; attualmente insegna presso il
Conservatorio Cantelli di Novara. Bellorini e
Cucco, i protagonisti del concerto ascoltato
ieri pomeriggio, sabato 15/03, presso
l’Auditorium Olivieri del Cantelli, hanno
presentato un programma monograficamente
impaginato su due sonate per pianoforte a
qua |