GENNAIO 2024
DICEMBRE 2023 –L’Anima Latina con Mariangela D’Abbraccio al Teatro Parenti
Una serata particolarmente riuscita quella dell’attrice e chanteuse napoletana Mariangela D’Abbraccio, arrivata al Teatro Parenti accompagnata dal valido pianista Massimiliano Gagliardi per lo spettacolo “Anima Latina”. Il lavoro è ottimamente costruito dalla regia di Francesco Tavassi, che mette in risalto il talento della protagonista, in grado di passare dalla recitazione al canto in modo unitario e coinvolgente. Una sorta di pastiche che unisce, senza soluzione di continuità, numerosi brani provenienti soprattutto dal mondo latino, napoletano e del Sud America – in particolare Argentina e Brasile – ma con incursioni anche più a nord, grazie adautentici piccoli capolavori della cosiddetta scuola di Genova, di Tenco (“Vedrai, vedrai”) , De Andrè (“Amore che vieni, amore che vai“), Endrigo (“Canzone per te”), o di quella romana di Bruno Martino (“Estate”) e pugliese di Domenico Modugno. Non solo brani cantati, quindi, ma anche poesie ed extrapolazioni di testi teatrali ben recitati, spesso ad introduzione delle canzoni. Borges, Pessoa, Neruda, Lorca o Eduardo, si sono intrecciati con il tango argentino di Piazzolla, con i testi di Vinicius De Moraes, con canzoni classiche napoletane di Salvatore Di Giacomo e di Libero Bovio, ma anche con Pino Daniele e con i testi di numerosi cantautori letti poeticamente e cantati in modo personale e convincente. Ottimi gli arrangiamenti pianistici, che hanno unito la recita e il canto: il M. tro Gagliardi è stato preciso e attento alle inflessioni verbali e vocali della D’Abbraccio, rivelando una musicalità autentica, dal carattere improvvisatorio, e adeguato alle apparentemente spontanee incursioni della protagonista, ricche di coordinate gestualità e fisicità, studiate alla perfezione. Uno spettacolo che alla prima rappresentazione di ieri sera al Teatro Parenti, in Sala A, non troppo grande e per questo adattissima al lavoro proposto, ha trovato un successo davvero meritato. Due i bis, tra i quali lo splendido ” Dicitencello vuje”. Numerosi e calorosi gli applausi del pubblico, presente al completo. Lo spettacolo verrà replicato fino al 7 gennaio, con una recita speciale per il 31 dicembre, che si concluderà con un brindisi per festeggiare l’arrivo del 2024. Assolutamente da non perdere.
29 dicembre 2023 Cesare Guzzardella
Il Quartetto Indaco e Emilio Aversano ai concerti di Serate Musicali
Avevamo ascoltato il Quartetto Indaco nell’ottobre di quest’anno allo Spazio Teatro89 di Milano in Beethoven ( op.74 )e in Schubert ( D 810- La morte e la fanciulla) rimanendo sorpresi delle ottime qualità interpretative di Aleonora Matsuno e di Ida Di Vita ai violini, di Jamiang Santi alla viola e di Cosimo Carovani al violoncello. Ieri sera i quattro recenti vincitori del prestigioso Osaka International Competition,hanno bissato il successo in Sala Verdi, al concerto organizzato da Serate Musicali, nel Conservatorio milanese dove i quattro hanno anche studiato. Proponendo prima il Quartetto d’archi n.15 in sol maggiore D 887 di Schubert, hanno poi continuato allargando la formazione a quintetto con pianoforte, con il noto Quintetto n.2 in la maggiore op.81 di Antonin Dvorač. Al pianoforte l’affermato Emilio Aversano ha sostenuto in modo disinvolto il suo importante ruolo. Come giàevidenziato lo scorso ottobre, la formazione esprime un equilibrio delle timbriche giocato su una unione esemplare degli intenti musicali che permette una fusione melodico-armonica di alto livello. L’eccellente ultimo quartetto del viennese, il D 887, ha trovato quindi ancora degni interpreti. Il più folclorico quintetto del musicista ceco, l’op.81, era ricco di richiami alla tradizione popolare e particolarmente vario nei marcati contrasti dei rispettivi movimenti, con un secondo movimento, Dumka- Andante con moto, di straordinaria intensità melodica. Valida l’integrazione del pianoforte con i colori omogenei dei quattro strumentisti ad arco. L’ottima resa espressiva e la perfezione formale e sostanziale dei cinque interpreti ha determinato un evidente apprezzamento del pubblico presente in Sala Verdi. Come bis hanno concesso la ripetizione dello Scherzo-Furiant del quintetto, brano di particolare estroversione che ha decretato il successo del gruppo cameristico nella splendida serata musicale. Applausi calorosi. (foto di Alberto Panzani – Uff. stampa Serate Musicali)
22 dicembre 2023 Cesare GuzzardellaI Solisti Aquilani alla Società dei Concerti
Un concerto vario e ricco di ottima musica ha concluso in Conservatorio l’anno concertistico 2023 della Società dei Concerti per la pausa natalizia e la ripresa stagionale di gennaio. I Solisti Aquilani e il loro violino di spalla Daniele Orlando hanno eseguito le celebri “Le quattro stagioni” di Antonio Vivaldi, anticipate però dal bellissimo timbro dell’arpa di Valerio Lisci impegnato, con la formazione cameristica, in due lavori: il primo di Claude Debussy con la rara Danse sacrée et Danse profane per arpa e orchestra d’archi; il secondo con il Concerto in si bem. maggiore n.6 HWV 294 per arpa e archi. Due brani diversi, ma riuniti da una musicalità straordinaria nelle mani di Lisci, un arpista che nelle discrete volumetrie dell’antico strumento riesce a dare spessore coloristico con una gamma infinita di dinamiche. Dai suoni quasi impercettibili e quelli più decisi, inseriti nell’ottimo contesto cameristico dominato dagli archi e con la presenza del clavicembalo in Händel. Le straordinarie danze di Debussy hanno nell’arpa lo strumento più adatto a rapprentarle, ma è proprio il genere del grande francese che ben si addice ai colori vellutati, morbidi e nascosti dell’arpa. Sonorità spesso lontane ma individuate con maestria dell’eccelente interprete. Ottimi entrambi i brani e di impatto virtuosistico il bis concesso con un valida trascrizione per arpa dal brano pianistico Le rossignol di Franz Liszt. Dopo il breve intervallo i sedici strumentisti impegnati in Vivaldi- quindici archi più il cembalo- hanno regalato un’interpretazione delle Quattro Stagioni certamente particolare e personalizzata. La rilevanza data all’ottimo violino di Daniele Orlando, spesso in primo piano, e l’orchestrazione reinventata trovando nuovi elementi di contrasto tra i tutti e il solista, hanno determinato una nuova modalità interpretativa con elementi timbrici a volte trasgressivi, ma coerenti con ad un’idea precisa di esecuzione che nulla ha tolto al genio vivaldiano. Un lavoro particolarmente valido che ha visto frangenti sonori definiti da “colori antichi” contrastanti con altri molto “moderni”, per un’unità espressiva di alta resa estetica. La Stagione concertistica riprenderà il 10 gennaio con la Camerata Ducale di Guido Rimonda. Ma anticipiamo il concerto straordinario che il grande pianista Evgeny Kissin terra il 20 gennaio per ricordare Antonio Mormone, presidente della Società dei Concerti e scopritore del talentuoso pianista russo. Da non perdere!
21 dicembre 2023 Cesare Guzzardella
I trii di Brahms per Lonquich, Kelemen e Altstaedt alle Serate Musicali del Conservatorio
A metà novembre ai concerti di Serate Musicali il pianista Alexander Lonquich aveva portato in Conservatorio, sul palcoscenico di Sala Verdi, due ottime strumentiste per i trii con violino e violoncello di Robert Schumann, tre interpretazioni di ottima qualità. Ieri sera, sempre in un concerto organizzato da Serate Musicali, il noto interprete ha avuto due compagni, nei nomi diBarnabás Kelemen, al violino e di Nicholas Altstaedt, al violoncello per i trii di Johannes Brahms. Sono tre lavori musicalmente particolarmente densi, dove gli intrecci melodici, armonici e i dialoghi tra i tre strumenti avvengono con una tensione emotiva tipica dello sviluppo che la musica romantica ha avuto a partire dal secondo Ottocento. Il Trio per pianoforte ed archi in si magg. op.8 (versione n.2) ebbe la prima stesura nel 1850 ma fu modificato in meglio alla fine degli anni ’80, quando il compositore amburghese aveva scritto da poco il Trio n.2 in do maggiore op.87 – del 1882- e Il Trio n.3 in do minore op. 101, del 1887. Le tre non facili composizioni, che meritano numerosi ascolti per definirne le particolarità, hanno trovato nei tre protagonisti interpreti d’eccezione. La parte pianistica di Lonquich, armonicamente più complessa e struttura portante del tutto, ha trovato ottimi interpreti in Kelemen e in Altstaedt. La perfetta coesione degli intrecci tematici ha definito un’eccellente sinergia nel restituire in modo particolareggiato i tre capolavori, partendo dall’op.87 e dall’op.101 e concludendo, dopo il breve intervallo, con la più corposa e probabilmente più celebre Op.8. Come anche nel concerto di metà novembre, anche in Brahms, compositore certamente debitore prima di Beethoven e poi di Robert Schumann, sono apparsi pregnanti d’espressività tutti i movimenti, con andamenti di profonda resa anche nei momenti più riflessivi dei rispettivi trii. Un’interpretazione complessiva molto piaciuta al pubblico presente in Sala Verdi, che al termine del programma ha tributato fragorosi applausi. Nel bis la ripetizione di uno dei movimenti più profondi dell’op.87: l’Andante con moto, reso ancora splendidamente. Applausi fragorosi ai protagonisti.
19 dicembre 2023 Cesare Guzzardella
Un pomeriggio di serate rossiniane allo Spazio-Teatro 89
“Un pomeriggio di Serate” quello visto ieri allo Spazio Teatro 89 con le Soirées musicales di Gioacchino Rossini proposte dal soprano Manuela Bisceglie, dal mezzosoprano Külli Tomingas e dal pianista Luca Schieppati. Composte tra il 1830 e il 1835 dal musicista pesarese, quando aveva già smesso di produrre opere liriche per dedicarsi nel periodo parigino alla sola musica da camera,le Soirées musicales sono otto Ariette e quattro Duetti concepiti da Rossini per lo studio del canto, ma divenuti poi celebri per la deliziosa e varia resa qualitativa. La popolarità della Tarantellarossoniana è indiscussa, ma anche le Canzonette, la Barcarola, la Tirolese e i Notturni dei duetti, trovano diffuse esecuzioni. Raramente vengono eseguite tutte insieme. Quella di oggi è stata quindi una rarità d’ascolto di straordinario interesse. L’alternanza delle ottime voci ascoltate e l’unione dei due timbri nei duetti hanno rivelato le qualità espressive della materana Bisceglie e
della estone Tomingas, coadiuvate con chiarezza coloristica dalle note pianistiche di Luca Schieppati, interprete e anche organizzatore e presentatore del pomeriggio musicale. Essendo presenti solo voci femminili e mancando quelle maschili in due brani, Li marinari e La serenata, Schieppati ha eseguito il primo brano al pianoforte nella trascrizione solistica di Franz Liszt, ed è stata sostituita la voce tenorile mancante con quella da mezzosoprano della Tomingas per una resa di La serenata comunque ottima. Le valenti interpreti, in perfetto accordo nei duetti hanno rivelato anche indubbie qualità nel porsi in scena e al termine delle deliziose Soirées musicales è stato concesso un altrettanto valido bis a due voci con il celebre Prenderò quel brunettino dal Così fan tutte di W.A.Mozart. Un pomeriggio domenicale di eccellente qualità. (Foto di Alberto Panzani – Serate Musicali)
17 dicembre 2023 Cesare GuzzardellaLA BOHEME CHIUDE LA STAGIONE LIRICA DEL TEATRO COCCIA DI NOVARA
Ieri sera, domenica 17 dicembre, si è chiusa a Novara, al Teatro Coccia, la stagione lirica, che, da un paio d’anni, coincide coll’anno solare. A chiudere la stagione è stata la Bohème di Puccini, che rappresenta anche un’anticipazione dell’imminente anno pucciniano, il 2024, centenario della morte del grande Maestro lucchese: già a gennaio, all’inizio della nuova stagione, il Coccia comincerà le celebrazioni con la Butterfly. Questa Bohème è una coproduzione del Teatro Coccia e del Teatro del Giglio di Lucca, di cui viene ripreso, con alcune modifiche, uno storico allestimento. La regia di questa Bohème è affidata a Marco Gandini, allievo di Zeffirelli, che rifiuta risolutamente un’interpretazione in chiave ‘veristica’ del capolavoro pucciniano, individuando come tema di fondo, drammaturgico e musicale, “la reminiscenza” (è una parola dello stesso Gandini), il ricordo. Secondo tale interpretazione la morte di Mimì segna (come quella della Silvia leopardiana, ci verrebbe da commentare), la fine della giovinezza, con l’approdo dei personaggi alla consapevolezza della morte e dunque l’intera vicenda viene presentata in una dimensione mnemonica, come il ricordo di un’illusione di felicità, di sogni, dissoltisi per sempre. Questa interpretazione registica viene tradotta in due modi nella scenografia curata dal bravo Italo Grassi: anzitutto, essendo lo spazio del dramma lo spazio del ricordo della giovinezza finita per sempre e fissatasi sempre eguale a se stessa nella memoria, la scena, ridotta all’essenziale, rimane sostanzialmente invariata nei suoi elementi portanti, appena adattati e mutati il minimo necessario alle diverse situazioni dei quattro quadri. Una scenografia che negli ultimi due quadri si va facendo sempre più spoglia, a simboleggiare il progressivo avanzare della consapevolezza della morte nella coscienza dei personaggi: se la scena della Barriera d’Enfer ha un che di cimiteriale, la scena del quarto quadro, che torna al punto in cui tutto è cominciato, la squallida soffitta di Rodolfo e Marcello, rispetto al primo quadro è uno spazio quasi completamente vuoto, lo spazio, davvero, in cui tutto finisce, una sorta di tomba. La seconda caratteristica di questa scenografia è il fatto che i diversi ambienti, compreso quello più ‘festoso’ del Quartiere Latino nel secondo quadro, si staccano da un fondo di tenebroso buio, quasi che l’intera vicenda si svolgesse nel buio della notte. Si tratta di un buio anch’esso chiaramente simbolico della morte e del nulla cui l’effimera vita dell’uomo, coi suoi vani sogni di felicità, è condannata. Dunque una regia e una scenografia in cui il dettaglio realistico non manca (come la neve alla Barriera d’Enfer), tuttavia non ha alcun sapore di quotidianità realistica, ma proietta la vicenda su un piano simbolico, quasi onirico. La regia di Gandini si fa apprezzare molto anche per la gestione del movimento dei cantanti e del coro sul palcoscenico, sempre efficace: per citare un solo esempio, molto bello l’episodio del terzo quadro, il breve duetto tra Rodolfo e Marcello in cui è evocata la morte ormai imminente di Mimì, mentre questa è lontana, appoggiata al muro, e ascolta quanto dicono i due uomini; Mimì, a questo punto, è già morta, la morte è entrata nella coscienza dei giovani, che cessano per questo di essere tali; è il vero punto di svolta del dramma. Se a tutto questo aggiungiamo i bei costumi di Laura Biagiotti avremo il risultato di una rappresentazione registico-scenografica di notevole bellezza e intelligenza. Un altro autentico punto di forza di questa Bohème è la direzione orchestrale. Il Maestro José Luis Gomez, venezuelano d’origine, ma ormai naturalizzato spagnolo, alla guida dell’Orchestra Filarmonica Italiana, ha la Bohème nel suo repertorio e ieri ha dimostrato una conoscenza perfetta della partitura. La direzione di Gomez si è distinta per la grande cura dei giusti colori espressivi per ogni scena, per un melodismo molto raffinato e sensibile, ma mai sentimentaleggiante, sempre aderente alla situazione drammaturgica. Brilla, la direzione di Gomez, anche per l’attenzione davvero ammirevole al palcoscenico, non solo nel rapporto coi solisti, ma anche relativamente alle parti corali, complesse soprattutto nel Quadro del Quartiere Latino, ove Gomez, coadiuvato dal Direttore del Coro Massimo Fiocchi Malaspina, ha gestito benissimo entrambi i cori, l’As.Li.Co. e le Voci Bianche del Teatro Sociale di Como, nonché la Banda Filarmonica di Oleggio, dando vita ad un insieme vocale veramente suggestivo. Buono anche il livello complessivo dei cantanti. Su tutti ha primeggiato la Mimì del soprano Valentina Mastrangelo, che a Novara ha debuttato la parte. Ha una voce vellutata, armonica, e con un bel legato: non ha ancora raggiunto la perfezione nella morbidezza del suono e qualche acuto è ancora un po’ troppo forzato, ma si fa facilmente ‘perdonare’ grazie all’intensa espressività del fraseggio, che si manifesta subito nella sua prima aria “Mi chiamano Mimì” molto delicata e in “Donde lieta uscì” del Quadro terzo, dove la Mastrangelo dà a nostro avviso il meglio di sé quanto a fraseggio e linea espressiva del canto. Di livello decisamente alto anche la recitazione di questo soprano, che ormai è ben più di una promessa. Dobbiamo invece confessare che non ci ha per nulla entusiasmato il Rodolfo del tenore messicano Mario Rojas. Possiede voce ben timbrata, calda e vellutata, ma di limitata proiezione e talora in difficoltà negli acuti: il suo “Che gelida manina” non è stato precisamente tra quelli indimenticabili, denunciando un altro limite di questo cantante che senz’altro deve ancora maturare: la debolezza della linea espressiva del canto. La sua interpretazione ci è parsa piuttosto scialba anche sul piano drammaturgico, persino nella scena finale della morte di Mimì, salvo l’urlo straziante che getta quando prende consapevolezza di quanto è avvenuto. Ci permettiamo di far nostra un’intelligente osservazione di un nostro competente vicino di posto: questo Rojas è più adatto, per il momento, a parti come quella di un Nemorino, che non a ruoli pucciniani ( e non parliamo di quelli verdiani). Un buon giudizio merita invece l’altro soprano della Bohème, la giovane Eleonora Boaretto, anche lei al debutto nel ruolo di Musetta, ruolo non facile, sia dal punto di vista musicale, sia da quello drammaturgico, perché si tratta di un personaggio complesso, che evolve da una carattere frivolo e di superficiale edonismo, alla carica di dolente umanità con cui partecipa alla tragedia di Mimì. Potremmo dire che la Boarello ha saputo, su entrambi i piani, dominare molto bene la parte, con una vocalità di buona proiezione, un bel vibrato, calibrato secondo necessità espressive, validi centri della tessitura e un acuto che, pur avendo ancora bisogno di qualche miglioramento, è già apprezzabile. Abbiamo ritrovato volentieri, sul palcoscenico del Coccia Simone Alberghini, che avevamo ammirato circa un anno fa nel bellissimo “Le convenienze e inconvenienze teatrali” di Donizetti, nella parte per lui più consueta di basso. Qui, nel ruolo di baritono, (Marcello) raggiunge comunque risultati sempre di alto livello, con una tessitura
vocale densa e di eccellente proiezione, di musicalità precisa e sicura, unite ad una bravura scenica che ha pochi termini di paragone in questo momento in Italia. Hanno assolto appieno al loro compito le parti di fianco: validi sia il Colline di Abramo Ròsalen, basso, vecchia conoscenza del pubblico novarese, che strappa un meritato applauso colla sua unica aria “Vecchia zimarra”, sia lo Schaunard del baritono Italo Proferisce. Impeccabile vocalmente e comicamente efficace il basso Matteo Mollica, nel duplice ruolo di Benoit e di Alcindoro, così come ben eseguita è stata la breve parte di Perpignol dal tenore Zheng Hui, allievo della AMO, l’Accademia dei Mestieri dell’Opera, aperta da qualche anno presso il Coccia, come scuola di perfezionamento per giovani che intendano dedicarsi a tutti i mestieri legati al teatro d’Opera, dai cantanti ai registi ai tecnici. Un’ altra bella rappresentazione d’Opera al Coccia, che possiamo ormai considerare un teatro lirico di qualità. Il pubblico ha giustamente applaudito a lungo cantanti, direttore, orchestra e regista, dimostrando il suo gradimento. Una sola osservazione: questo pubblico impari però a moderare il proprio entusiasmo e a non applaudire prima che la musica sia davvero finita: coprire con gli applausi gli accordi finali della Bohème, è un vero delitto di lesa musica!
18 dicembre 2023 Bruno BuscaThomas Guggeis dirige Schumann e Brahms in Auditorium
Un impaginato tutto romantico, con importanti lavori orchestrali quello offerto dall’Orchestra Sinfonica di Milano per l’occasione diretta ieri sera in Auditorium dal giovane direttore tedesco Thomas Guggeis. In programma prima la Sinfonia n.3 in Fa Maggiore op.90 di Johannes Brahms, poi la Sinfonia n.3 in Mi bem. Maggiore op.97 “Renana” di Robert Schumann. Secondo un ordine cronologico inverso, con una distanza di oltre trent’anni dalle date di composizione -quella brahmsiana del 1883 e quella schumanniana del 1850- abbiamo ascoltato prima la musica del discepolo poi quella del Maestro in una continuità di costruzioni armoniche ben evidenziate dalla gestualità produttiva di Guggeis. I quattro movimenti dell’Op.90 dell’amburghese, hanno trovato una valida resa espressiva, maggiormente evidenziata nel noto Poco allegretto e nell’incisivo e scultoreo Allegro finale; mentre nell’Op.97, in cinque movimenti, del sassone di Zwickau abbiamo assistito ad una sintesi discorsiva ancora più unitaria nell’evidenziare l’intreccio dei diversi piani sonori che anticipano tutte le architetture brahmsiane e che diventano esemplari nella polifonia corale degli ultimi due movimenti: il Solenne quarto movimento e il Vivace-Presto quinto, espressi con maestria e chiarezza dal gesto sicuro di Guggeis e dagli ottimi orchestrali della Sinfonica milanese, validi in tutte le sezioni strumentali. Ricordiamo che Guggeis sarà prossimamente alla direzione dell’orchestra scaligera nel Ratto dal serraglio di Mozart. La replica del concerto è per domenica alle ore 16.00. Da non perdere!!!
16 dicembre 2023 Cesare GuzzardellaLuca Scarlini, Danae Rikos e Maurizio Carnelli nel ricordo di una giovane Maria Callas al MaMu
Un ottimo incontro quello cui abbiamo assistito ieri nel tardo pomeriggio al MaMu, il magazzino musica di via Soave 3. Luca Scarlini, scrittore, drammaturgo e storyteller, ha condotto l’incontro “Maria Callas.Ritratto dell’artista da giovane” che prevedeva oltre all’accurato intervento del simpatico attore, anche l’ascolto di cinque brani tratti dal repertorio giovanile della celebre cantante di origine greca, nell’interpretazione del soprano italo-greco Danae Rikos accompagnata al pianoforte da Maurizio Carnelli. Gli efficaci interventi di Scarlini, in alternanza ai brani, hanno delineato ottimamente la figura della Callas giovanissima, dal debutto ad Atene in Cavalleria Rusticana nel 1938, all’età di 16 anni, sino al successo del ’49 all’Arena di Verona con Semiramide. Sono stati messi in luce i problemi legati al suo pessimo rapporto con la madre e le difficoltà iniziali nel trovare la giusta strada per il successo. La Rikos ha cantato arie tratte da opere di Rossini, di Suppé, di Beethoven, di Romberg e anche la celebre e conclusiva “La Paloma” di Sebastián Iradier . Accompagnata in modo disinvolto da Carnelli ha rivelato un ottimo timbro, corposo, ben particolareggiato e ricco di espressività. Tra i brani più noti ottimi Bel raggio lusinghier da Semiramide di Rossini, Hab ich nur deine Liebe da Boccaccio di Suppé e O wär ich schön dal Fidelio di Beethoven. Un tardo pomeriggio interessante, piacevole e molto applaudito dai numerosi intervenuti.
15 dicembre 2023 Cesare GuzzardellaAL FESTIVAL CANTELLI DI NOVARA TRA VIVALDI E BACH TRIONFA IL TANGO DI ALESSANDRO QUARTA
Ieri sera, 14/12, al Teatro Faraggiana di Novara, il nuovo appuntamento della stagione del Festival Cantelli ha proposto un concerto all’insegna dell’originalità, con protagonisti musicisti tra i più noti nel mondo italiano della ‘classica’, ma non solo, del momento. Anzitutto i due fratelli Massimo e Alessandro Quarta, entrambi violinisti, che da qualche tempo hanno deciso di ‘fare coppia’. Coppia che, già di per sé, si presenta come piuttosto singolare, per formazione, personalità, figura professionale. Massimo Quarta, già noto al pubblico novarese, è uno dei violinisti più quotati in Italia e all’estero, secondo (dopo Accardo) a vincere, nel 1991, il prestigioso premio Paganini. Da alcuni anni alterna i recital al violino con la direzione d’orchestra, con buon successo anche in quest’ultima. Alessandro Quarta, di undici anni più giovane di Massimo, è, oltre che un violinista, un ‘personaggio’, che ha acquisito da qualche tempo anche in Italia quella notorietà di cui già gode all’estero. Fondamentalmente è la presenza di questo ‘personaggio’ a imprimere alla serata quel carattere di originalità che l’ha contraddistinta. Alessandro Quarta esibisce la propria personalità singolare già col suo abbigliamento, poco ‘concertistico, a differenza del fratello. Ma la particolarità che più colpisce di Quarta junior è la varietà, che sfiora l’eclettismo, della sua attività: oltre che musicista (violinista e compositore), Alessandro Quarta è anche attore, teatrale e cinematografico, nonché doppiatore; tra l’altro, dal 1995 è il doppiatore della voce di Topolino di Disney. Infine la sua originalità sta anche nella sua figura stessa di musicista: vanta infatti una rigorosa formazione di violinista, con studi con Salvatore Accardo e altri grandi violinisti, accompagnata da severi studi di filologia musicale e musica medievale a Cremona. Ma su questa base di studi altamente qualificati, Alessandro Quarta ha poi innestato l’apporto di altre esperienze, dal jazz al rock alla collaborazione con una cantautrice di razza come Giovanna Marini. ‘Estro armonico’, il titolo della raccolta di concerti di Vivaldi da cui è tratto il primo brano in programma, ben si adatta a presentare la personalità musicale di Alessandro Quarta. Il terzo protagonista di questo concerto è un musicista altrettanto celebre dei primi due: Simonide Braconi, violista tra i più grandi oggi in Italia, prima viola alla Scala, e compositore, soprattutto, ma non solo, per il suo strumento. A Novara era presente in veste di Direttore cui per l’occasione era affidata l’orchestra dei Solisti Aquilani, che, nati con il contributo decisivo di Goffredo Petrassi nel 1968, vantano ormai una presenza consolidata e di ottimo livello sulla scena musicale italiana. L’impaginato della serata presentava due concerti tra i più belli e famosi per due violini e orchestra, il Concerto in La minore per due violini, archi e basso continuo op.3 n.8 RV522 di Antonio Vivaldi (1711) e il Concerto in Re minore per due violini, archi e basso continuo BWV 1043, di J.S. Bach (1718-23). Accanto a questi due capolavori del passato, tre pezzi contemporanei, anch’essi per due violini e archi, scritti da due dei musicisti protagonisti della serata: S. Braconi e Alessandro Quarta. I due fratelli Quarta si avvicendano nel ruolo di primo e secondo violino, mentre Braconi sale sul podio per dirigere i tre pezzi contemporanei. Il concerto di Vivaldi vede il secondo violino (Alessandro Quarta) con una funzione non solo di sostegno e accompagnamento, ma con un sua voce ‘autonoma’, specie nell’Allegro finale dove è proprio il secondo violino ad imprimere, in uno dei principali episodi melodici, il suo dolcissimo profilo sonoro, con una vena di nobile pathos, mettendo in luce le qualità interpretative del più giovane dei due fratelli Quarta, mentre Massimo dà prova ancora una volta della sublime eleganza e della chiarezza della sua cavata di suono, particolarmente adatta al luminoso mondo musicale di Vivaldi. In generale è stato un bellissimo Vivaldi, questo eseguito dai Solisti aquilani e dai due Quarta, che del mondo sonoro del grande veneziano hanno espresso al meglio la solare vitalità, col ritmo trascinante dei ritornelli dei tempi veloci, affidati al ‘tutto’ orchestrale, e con gli episodi eseguiti dai due violini ( secondo la tipica struttura del Concerto Grosso barocco), anch’essi su tempi molto rapidi e con varie figurazioni di abbellimento, per entrambi i violini solisti., eccellenti nel mettere a fuoco i dettagli timbrici e nel calibrare le dinamiche, in particolare nell’Allegretto, che è un autentico duetto cantabile da brano d’opera, dove i due violini raggiungono una dolcezza espressiva che incanta l’ascoltatore. A Vivaldi è subito seguito il pezzo di Braconi, che pure, nel titolo sembra rimandare al mondo musicale barocco: Suite, ma una Suite di Contrasti, come sempre suggerisce il titolo. In effetti brusco è il contrasto tra il primo movimento della Suite,” Preludio”, in cui i due violini evocano volute sonore di raffinata dolcezza, su un accompagnamento quasi in sordina dell’orchestra, e il successivo Danza. E’ questo un pezzo fatto di brevi incisi tematici, nervoso ed inquieto, di una certa complessità armonica e tecnica, ricco di passaggi in doppie corde e pizzicati per i violini, da cui si viene come delineando gradualmente un ritmo puntato di danza, affidato all’orchestra, che presto coinvolge i violini in una tensione agogica crescente, con passaggi sempre più rapidi. La bravura tecnica di Massimo e Alessandro Quarta, unita alla perfetta direzione orchestrale di Braconi, calibratissima nelle dinamiche, ha offerto una bella interpretazione del pezzo. Si torna di nuovo al passato con il concerto per due violini BWV 1043 di J.S. Bach. Il modello del concerto per violino di Bach è, notoriamente quello vivaldiano, ma con un irrobustimento contrappuntistico della parte orchestrale ignoto a Vivaldi. Ne consegue un ritornello più complesso strutturalmente e una sonorità più compatta della composizione, in quanto l’orchestra, a differenza di quanto avviene in Vivaldi, non si ritira in buon ordine quando vengono in primo piano gli strumenti solistici coi loro episodi, ma intreccia le sue linee musicali con quelle dei solisti, a loro volta chiamati a confrontarsi con una scrittura più densa di quella assegnata loro dal Maestro veneziano e con un ruolo paritario, tanto che Bach li chiama “violini concertanti”. Proprio questa più robusta densità di scrittura interpretano benissimo, ancora una volta I Solisti Aquilani. Nel Vivace iniziale, che è niente di meno che una Fuga, di cui i ritornelli orchestrali presentano il soggetto, sono bravissimi Massimo e Alessandro Quarta a dare piena corposità al suono dei due violini, sfruttando tutte le risorse della scrittura imitativa loro assegnata, spesso inseguendosi a canone e riprendendo materiale ‘fugato’ del ritornello. Sempre secondo una tecnica compositiva a canone, i due Quarta nel Largo, ma non tanto centrale, intrecciano con perfetta calibratura di tempi e dinamiche, le morbide tessiture sonore di una melodia dalla tranquilla cantabilità, accompagnati dalla pulsazione ritmica dell’orchestra, centellinata con rara finezza dai Solisti Aquilani. La fusione tra stile contrappuntistico e quello concertante raggiunge poi il suo culmine con l’Allegro finale, ove l’intesa assoluta tra orchestra e solisti, e la chiarezza luminosa del suono dell’insieme, presentano all’ascoltatore un mondo sonoro di compiuta coesione formale, e di sublime razionalità. Concludevano la serata due pezzi di Alessandro Quarta. Il primo, MassiTango, dove quel ‘Massi” sta per ‘Massimo’, cui l’opera è affettuosamente dedicata., è un pezzo di musica brillante, una sorta di ‘invito alla danza’ rivolto a un numeroso pubblico. Introdotto da una breve serie di accordi strappati dell’orchestra, questa svolge poi un motivo ostinato su cui i due violini intessono le loro linee melodiche di sapiente varietà agogica, ritmica e dinamica, in cui si esprime tutta la bravura dei due fratelli Quarta. Il secondo, la suite dal titolo vagamente alla Dario Argento “Dysturbia”, è diviso in tre movimenti. Nei due esterni, Dysturbia e Tarantula (in quest’ultimo titolo è ovvia l’allusione al delirante romanzo di Bob Dylan del 1971) abbondano acrobazie virtuosistiche per i due solisti, quasi una sfida tra i due violinisti, all’insegna della spettacolarità, mentre il brano centrale, “Romeo e Giulietta”, è un Andante di melodiosa cantabilità, in cui il G. A. Rocca 1840 di Massimo e non sappiamo se il Gagliano 1723 o il Guadagnini 1761, i due strumenti coi quali abitualmente suona Alessandro, intrecciavano i loro limpidi e calibrati fraseggi con finezza e alta sensibilità espressiva. Il concerto è piaciuto molto al pubblico, che ha applaudito a lungo solisti, direttore e orchestra, che hanno concesso un bis, naturalmente un altro tango (crediamo di Alessandro Quarta), al termine del quale gli applausi sono esplosi ancora più lunghi e scroscianti. Un altro concerto di successo offerto dagli Amici della musica al pubblico novarese.
15 dicembre 2023 Bruno BuscaL’orchestra WPR di Reutlingen diretta da Ariane Matiakh alla Società dei Concerti
Doveva esserci al pianoforte Antonio Chen Guag al concerto di ieri sera in Conservatorio. Problemi seri famigliari hanno costretto la Società dei Concerti ad un urgente cambiamento solistico trovando la disponibilità della pianista Ying Li. Recentemente Ying Li ha effettuato un giro concertistico in Italia e, a Vercelli ha tenuto uno splendido concerto recesinto nel nostro giornale nei paragrafi sottostanti. Il programma classico di Sala Verdi prevedeva musiche di Haydn, Mozart e Beethoven, i maggiori esponenti del classicismo musicale. La Württembergische Philharmonie Reutlingen (WPR) ha dallo scorso anno il nuovo direttore musicale in Ariane Matiakh, una direttrice francese affermata e per la prima volta in una direzione a Milano. Il brano introduttivo di F.J. Haydn, l’Ouverture “L’isola disabitata” (1779) ha introdotto il concerto rivelando nello spirito classico di grande equilibrio, le doti dell’orchestra e del direttore. Il secondo brano di W.A.Mozart, tra i più eseguiti al mondo, era il Concerto in re minore K 466 per pianoforte e orchestra (1785) . La notorietà di questo lavoro interpretato dai più grandi pianisti della storia, la si deve alla profonda espressività dei temi nell’esprimere una drammaticità che anticipa di alcuni decenni modalità tipiche del romanticismo. Il taglio iniziale, particolarmente riflessivo nella direzione della Matiakh è stato accolto dalla pianista attraverso un’esecuzione lineare, chiara e ben articolata nell’adeguata espressività. Di rilievo le corpose cadenzesolistiche dell’ Allegro iniziale e del Rondòfinale, movimento quest’ultimo che alternando il minore con il maggiore trova frangenti d’ottimismo in contrasto con i primi due movimenti. Ottima l’interpretazione complessiva e di raffinato virtuosismo il bis concesso da Ying Li con il celebre Tic Toc Choc di François Couperin. Dopo il breve intervallo l’arcinota pacata Sinfonia n.6 in fa maggiore op.68 (1807-1808) di L.W. Beethoven ha trovato un equilibrato sviluppo tra i cinque movimenti che formano la celebre composizione. Applausi calorosi in una serata che ha visto anche un momento di piacevole intrattenimento con gli eccellenti cioccolatini offerti dal maestro pasticcere Enrico Rizzi.
14 dicembre 2023 Cesare Guzzardella Il violinista Augustin Hadelich alle Serate Musicali del Conservatorio
Per la prima volta a Serate Musicali, il violinista Augustin Hadelich è nato in Italia da genitori tedeschi. L’ottimo impaginato prevedeva lateralmente due Partite per violino solo di J.S. Bach e centralmente, due brani contemporanei seguiti da una Sonata di Ysaýe. La Partita n.3 in mi maggiore BWV 1006 ha introdotto la serata rivelandoci da subito la cifra stilistica del trentanovenne virtuoso che abitualmente usa il violino Guarneri del Gesu del 1744 “Leduc ex Szeryng”. Il primo brano bachiano ha messo in evidenza non solo la timbrica profonda del prezioso strumento, ma anche le doti virtuosistiche di Hadelich, giocate su una luminosità coloristica e una discorsività di fraseggio che hanno esaltatato i sette movimenti che compongono la Partita ad iniziare del noto Preludio, per terminare alla Giga. Il secondo brano, interessantissimo, denominato Blue/s Forms è un lavoro del 1972 dello statunitense Coleridge-Taylor Perkinson (1932-2004), un compositore-pianista classico molto legato al jazz, che ha trovato nei tre momenti musicali – Plain, Just e Jettin Blue/s– un modo per delineare le marcate e raffinate sonorità di un mondo apparentemente lontano dal classicismo ma che invece, come già in passato fece Ravel col suo celebre Blues dalla Sonata n.2 , è particolarmente vicino alla musica colta. Mirabili le raffinate timbriche esternate in questo valido lavoro. Il successivo brano di David Lang – statinitense del 1957- , Before Sorrow, è estrapolato dalla Sonata n.3 “Mystery Sonatas” ( 2014) e rivela una costruzione dal sapore minimalista che utilizza poche note ripetute e variate. Un buon lavoro che Hadelich ha voluto legare, senza interruzione, alla più celebre Sonata n.3 in re minore op.27- Ballade, del grande compositore e virtuoso del violino Eugène Ysaýe. Un unico tempo che partendo da esperienze paganiniane esalta sia le qualità del compositore belga che quelle virtuosistiche dell’interprete. Anche in questi brani, Hadelich ha esternato un virtuosismo ridotto all’essenziale da una leggerezza di cavata che apporta sensibili contrasti ben delineati. Dopo il breve intervallo, la Partita n.2 in re minore BWV 1004, quella più nota di Bach per via del geniale ultimo movimento – la celeberrima Chaconne– ha concluso il programma ufficiale. La limpida discorsività dei primi quattro movimenti – Allemande, Courante, Sarabande e Giga– ha trovato conclusione con la contrastata e ricca di variazioni Choconne, un lungo movimento esaltato dalla pregnante resa espressiva di Hadelich, attento ad ogni dettaglio e perfetto nei minimi cambiamenti coloristici. Un’interpretazione di altissimo livello la sua, molto apprezzata dal pubblico, purtroppo non numeroso in Sala Verdi, che al termine ha tributato in piedi applausi prolungati e calorosi. Di ottima qualità il bis bachiano proposto con l’Andante dalla Sonata n.2 in la minore. Un grande virtuoso Augustin Hadelich.
12 dicembre 2023 Cesare GuzzardellaStraordinario successo alla seconda rappresentazione di Don Carlo al Teatro alla Scala
Si è già molto parlato in questi giorni del Don Carlo verdiano che il 7 dicembre ha inaugurato al Teatro alla Scala la nuova stagione operistica: le recensioni apparse già dalla mattina successiva online e sui quotidiani cartacei non ne hanno fornito opinioni univoche. Dopo aver seguito l’ottima ripresa televisiva in diretta, trasmessa in 4K e con un audio forse migliore del solito ma ancora non adeguato, ed essere stato presente alla Seconda rappresentazione, nel pomeriggio di domenica 10, di fronte al medesimo cast vocale, in un teatro ancora al completo, ho potuto cogliere aspetti differenti e al contempo coesi. Ritengo che la versione italiana voluta da Verdi nel 1884 in quattro atti, presentata con la direzione musicale di Riccardo Chailly e la regia di Lluìs Pasqual, sia stata ottima: l’entusiasmo del pubblico di ieri, in un teatro ancora al completo, non ha lasciato dubbi sull’efficacia dell’orchestrazione di Chailly, che ha esaltato, in questa non facile opera dalle tinte scure, le timbriche più gravi dell’eccellente compagine scaligera. Alcuni aspetti non del tutto convincenti della messinscena, oggetto di critiche eccessive di qualche loggionista alla Prima, ieri sono stati dimenticati; si è assistito ad un Don Carlo di altissimo livello, con un cast di voci esemplare, anche più sicuro rispetto al 7 dicembre. Il Coro preparato da Alberto Malazzi è stato come sempre straordinario. La direzione di Chailly, analitica, particolareggiata, legata anche alla componente recitativa degli attori-cantanti, ha trovato un ottimo equilibrio nei tempi, nelle timbriche ottenute in modo esaustivo da tutte le sezioni orchestrali. Valido anche il contesto scenico di Daniel Bianco, adeguati i costumi di Franca Squarciapino perfettamente inseriti nel contesto storico dei personaggi. L’operazione minimale registica di Lluís Pasqual è da non sottovalutare come scelta drammaturgica, in grado di esaltare i singoli artisti, tutti con lo stesso peso e con una suddivisione di parti cantate molto equilibrate. Il risultato complessivo è certamente dato dalla media di tutte le componenti dello straordinario lavoro collettivo, e ad ognuno si deve il merito di aver realizzato un lavoro molto unitario, cosa che non sempre accade. Tra i validissimi protagonisti, eccelle Anna Netrebko, una Elisabetta di Valois dalla voce stupenda, di grande naturalezza, con frangenti eccelsi ricchi di sfumature nei due atti finali. Di grande pregio le voci di Elina Garanča, la principessa d’Eboli e di Luca Salsi, Rodrigo il Marchese di Posa. Applausi meritatissimi a Michele Pertusi, Filippo II , ieri in perfetta forma, e a Francesco Meli, un Don Carlo di alto livello. Migliore che alla Prima la voce di Jongmin Park nel doppio ruolo del Grande Inquisitore e del Frate. Naturalmente bravissimi gli altri. Ricordiamo le prossime repliche previste per il 13-16-19-22-30 dicembre e 2 gennaio. Nelle ultime due recite Maria José Siri sostituirà la Netrebko e Veronica Simeoni la Garanča. ( Foto di Brescia e Amisano da Ufficio Stampa Teatro alla Scala)
11 dicembre 2023 Cesare Guzzardella
PER IL FESTIVALVIOTTI A VERCELLI RECITAL DELLA PIANISTA YING LI
Ieri sera, 9 dicembre, il Teatro Civico, abituale sala da concerto per il FestivalViotti, ha visto il gradito ritorno a Vercelli della venticinquenne pianista sino-americana Ying Li. Nascita e formazione in Cina, perfezionamento negli Usa, presso Istituti di assoluto prestigio come il Curtis e la Julliard School, Ying Li è stata ‘lanciata’ in Italia dalla Società dei Concerti di Milano, che due anni fa l’ha insignita del primo premio al concorso Antonio Mormone. Da quel momento la sua fama nel nostro Paese, e non solo, non ha fatto che aumentare. Il programma con cui Ying Li si è presentata al pubblico di Vercelli era vario e ben assortito, abbracciando un arco temporale che dal ‘700 di Couperin e G.B. Viotti, attraverso l’800 di Liszt, si estendeva sino al ‘900 di Ravel, Prokofiev, Bartok .Ottimo il biglietto di presentazione della giovane pianista: i due Pieces de Clavecin di Couperin, con cui è cominciato il recital, Soeur Monique e Le Tic-Toc-Choc, entrambi dell’Ordre 18, sono stati eseguiti da Ying Li con un fraseggio di squisita limpidezza, di eleganza trasparente e leggera, che ha interpretato alla perfezione l’incantevole grazia e l’esprit de clarté che sono i caratteri tipici di questa musica. Che Ying Li abbia un suo stile interpretativo e non si confonda con la folla crescente di pianisti ipervirtuosi, ma privi di uno stile interpretativo personale, è stato confermato dal successivo Le Tombeau de Couperin di Ravel. Ying Li con un tocco di sorvegliata pulizia e centellinato con sicurezza e precisione, ha messo a fuoco ogni dettaglio di questa complessa partitura, da quelli strutturali, come i nervosi incisi ritmici del Prelude, a, soprattutto, quelli timbrici, creati dalla meravigliosa orchestrazione raveliana e presenti in ciascuno dei sei pezzi che compongono il brano, in cui, si può dire, quasi ogni soluzione armonica ha, prima di tutto, una funzione essenzialmente coloristica. Il fraseggio della Ying asseconda perfettamente, con la sua finezza ed eleganza ,e con uso assai espressivo del rubato, la limpidezza neoclassica, quasi asciutta del disegno tematico dei vari pezzi, senza però rinunciare mai ad arricchire il suono con un uso efficace del pedale di risonanza, che le permette di realizzare un bellissimo legato, fluido e nitido. L’interpretazione della giovane pianista si carica anche di una sottile e suggestiva espressività, dando voce a quella venatura elegiaca che affiora soprattutto nella Forlane e ancor più nel Menuet, un pezzo in cui il rubato di Ying Li raggiunge vertici di rara finezza. Una gran bella interpretazione, insomma, di questo gioiello raveliano, che culmina nella Toccata finale, ove la compostezza neoclassica dei cinque pezzi precedenti lascia il posto all’esuberanza scintillante, all’impulso ritmico incessante e quasi ossessivo, in cui si mette in mostra il virtuosismo di Ying Li, il suo controllo perfetto della tastiera anche in passaggi di ardua difficoltà tecnica. La caratteristica di questa stagione del ViottiFestival, consiste nell’omaggio a Viotti, contenuto nel programma di ogni appuntamento concertistico, in occasione del bicentenario della morte del grande violinista e compositore vercellese, che cadrà precisamente nell’ormai imminente 2024. Come nel concerto inaugurale, anche in questo, tale omaggio è consistito nell’esecuzione di una trascrizione per pianoforte, opera del pianista Jean Louis Adam (1758-1848), dell’Adagio dal Concerto di Viotti per violino e orchestra in re minoreWla:6. Dopo un attacco marziale, questo Adagio si distende in una melodia di pretto sapore violinistico, ricca di abbellimenti, in cui risplende in tutta la sua luminosa trasparenza il fraseggio di Ying Li, brava, sul piano espressivo, nel cogliere quella sottile venatura elegiaca che soffonde i momenti più belli del pezzo. “Giulietta, giovane ragazza”, “Mercuzio”, “Montecchi e Capuleti”, sono tre dei Dieci pezzi per pianoforte op.75 che nel 1937 Prokofiev trasse dal balletto “Romeo e Giulietta”, composto pochissimi anni prima. Qui le virtù pianistiche di Ying Li debbono fare i conti con una scrittura pianistica assai lontana da quelle dei pezzi precedenti, un mondo sonoro fatto di prorompente vitalismo, di suoni taglienti, , che però non ignora anche momenti di tenera cantabilità e di ‘descrittivismo sentimentale’ dei personaggi del balletto. Sono inoltre composizioni dalla tessitura armonica e tematica spesso molto complessa, che in alcuni casi sembra rimandare a Liszt, senz’altro uno dei compositori di riferimento per il Prokofiev pianista. In effetti Ying Li si dimostra non solo in possesso di un virtuosismo superbo, ma anche, sul piano espressivo, efficace e attenta nel mettere a fuoco i momenti più seducenti di questi tre pezzi: in “Giulietta, giovane ragazza”, l’interpretazione della Li coglie, adattando il fraseggio al continuo mutare ritmico e tematico del brano, il graduale trasformarsi di Giulietta dalla freschezza e vivacità dell’adolescenza alla maturità, attraverso l’esperienza dell’amore. L’agile fraseggio della pianista sinoamericana ha buon gioco nel rendere la scrittura scintillante e briosa di Mercuzio, e raggiunge il suo esito più coinvolgente per l’ascoltatore con Montecchi e Capuleti, ove il suono di Ying Li, di buon peso, sa pennellare suggestivamente il martellante ritmo ossessivo, che, col suo timbro grave, esprime tutta la tragicità del destino ormai incombente dei due giovani amanti. Dominio virtuosistico di tutti i piani sonori, timbrici e dinamici, valida tecnica del legato, ottima pedalizzazione, sensibiltà espressiva raffinata e suggestiva. Queste, in sintesi le qualità che emergono a questo punto del concerto di Ying Li e che il brano successivo, la Ballata n. 2 in si minore S171 di Liszt ha confermato pienamente. Anche questa composizione, come la precedente di Prokofiev, e come molte dello stesso Listz, ha un’ispirazione letteraria, in questo caso uno dei racconti più celebri e toccanti della mitologia greca, quello dei due infelici amanti Ero e Leandro, e anche in questo caso il musicista aspira a esprimere in forme musicali situazioni e personaggi della fonte letteraria. Il pezzo, notissimo, ruota, in forma rapsodica e variata su due temi fondamentali: la lotta di Leandro contro la tempesta di mare che l’annegherà e il sentimento d’amore tra Ero e Leandro. La tecnica perfetta di Ying Li, trova modo di dare ulteriore prova di sé nei passaggi dedicati al primo tema, con il solito listziano vorticare di scale, ottave staccate e spezzate, salti bruschi di ottava, incroci rapidissimi e quant’altro, che la pianista domina addirittura con disinvoltura, tornendo le note, anche nei passaggi più rapidi, con precisione assoluta e con un uso sempre misurato del pedale. Ma trova anche modo di esprimere tutto il toccante lirismo del tema degli amanti, con un tocco che sa farsi di aggraziata dolcezza, senza esagerare nell’effusione emotiva, con un senso davvero ‘classico’ della misura. Il concerto di Ying Li chiudeva alla grande con il Bela Bartòk della Sonata per pianoforte BB88 SZ 80. Ying Li ha dovuto sfoderare tutta la sua capacità di controllo dei ritmi e dell’attacco del suono per eseguire al meglio una sonorità percussiva e massiccia quale quella che caratterizza i due tempi esterni della composizione, l’Allegro moderato e l’Allegro Molro. In questi momenti della sonata bartokiana la difficoltà tecnica, che Ying Li supera con lode, consiste nel conciliare la secca nettezza delle linee portanti della scrittura, con l’ardua densità contrappuntistica che la caratterizza. Col suo suono energico e limpido a un tempo, Ying Li disegna con perizia da consumata interprete, con il suo tocco luminoso e incisivo, il tessuto ritmico, armonico e tematico dei due Allegro della sonata. Bellissima l’interpretazione del lunare Sostenuto e pesante centrale, sviluppato su larghi accordi, a sostegno di una melodia che si ripete ossessiva e ostinata, secondo i moduli di quella musica popolare di area magiaro-rumena, carissima al compositore ungherese. Qui è davvero brava la giovane pianista cinese a variare i registri dinamici, con un gioco chiaroscurale che avvolge il movimento in una suggestiva aura di inquietante mistero, in cui riecheggia qualcosa del sommo Bartok della “Musica della notte”. Abbiamo dunque ascoltato ieri sera, in un concerto degno di essere ricordato, una pianista che, nonostante la giovane età è già ben più di una promessa. I lunghi applausi tributati dal pubblico accorso come sempre numeroso al Teatro Civico di Vercelli hanno espresso l’apprezzamento per il concerto, cui Ying Li ha risposto con almeno due bis (l’avverbio’ almeno’ si deve al nostro timore per la nebbia prevista dai meteorologi, che ci ha indotto a lasciare il Civico a concerto non ancora terminato): un pezzo di Chopin e un brano sulla cui attribuzione siamo incerti.
10 dicembre 2023 Bruno BuscaUn omaggio a Luciano Chailly con nuovi brani di giovani compositori al Museo del Novecento
Ottima l’ iniziativa nel nome di SIGNUM- L’umano, la poesia e il sogno nella scrittura musicale,svoltasi ieri nella Sala Fontana del Museo del Novecento milanese. Organizzata da SIMC (Società italiana di musica contemporanea) nel centenario della sua fondazione, ha voluto omaggiare Luciano Chailly, importante compositore del ‘900 al quale sono stati dedicati i brani dei giovani compositori ascoltati ieri pomeriggio. Musiche di Chailly erano state eseguite nel luglio dello scorso anno sempre in un concerto di SIMC. Andrea Talmelli, Presidente della SIMC, e Michele Fredrigotti, noto pianista e compositore, hanno presentato cinque giovani musicisti e i numerosi strumentisti e cantanti interpreti delle loro composizioni. L’Achrome Ensemble, gruppo cameristico specializzato in musica contemporanea, ed alcuni allievi della Civica Scuola di Musica “Claudio Abbado”, con l’ausilio, in alcuni lavori, delle voci di Eleonora Colaci, soprano, Marco Pangalli, baritono e Bo Shimmin, tenore, hanno eseguito complessivamente sei nuovi brani. I compositori stessi li hanno presentati, ad iniziare da Cristina Maria Noli col suo Sogni che tramutano i pensieri, per flauto, clarinetto e violoncello, un lavoro costruito in modo efficace nel dialogo espressivo dei tre strumenti, ottimamente interpretato rispettivamente da Antonella Bini, Stefano Merighi e Martina Rudic. Il brano successivo di Giuseppe Gammino, Planctus- dramma per ensemble, prevedeva anche una regia per i movimenti del soprano Eleonora Colaci e del baritono Marco Pangallo realizzati nel contesto strumentale da Demetrio Colaci. Un lavoro particolarmente incisivo, molto attuale, che narra la triste vicenda di un femminicidio. L’ottima voce della Colaci e la parte, soprattutto recitata, di Pangallo, sono state sottolineate dalle timbriche incisive e suggestive dagli strumentisti dell’ Achrome Ensemble e dalle percussoni di Marco Martignoni, tutto diretti con precisione di dettaglio da Marcello Parolini. Una pièce musicale particolarmente riuscita, quella di Gammino che andrebbe certamente replicata in sale da concerto o luoghi adatti. Il terzo lavoro, di Diego Petrella, pianista e compositore, era denominato Tre frammenti di Zürau, per pianoforte, voce e cordiera. I testi di Franz Kafka hanno trovato l’ottima parte pianistica affidata alle decise mani di Michele Rinaldi, mentre la voce e gli effetti integrativi sulla cordiera del pianoforte erano dello stesso Petrella. Una performance, quella di Petrella, che trova ispirazione dalle pièce di Sylvano Bussotti e che riesce a piacere per l’ottima integrazioni delle varie componenti, la valida parte pianistica cui si aggiunge l’intonatissima aria fischiata nel finale dallo stesso compositore-interprete. I due brani successivi, When I have fears e Three screenshots erano di Giorgio F. Dalla Villa. Il primo per tenore e pianoforte con la valida voce di Bo Shimmin e l’ottima parte pianistica interpretata con sicurezza ed incisività da Alessandro Lotto. Il secondo con l’Achrome Ensemble nel duo di clarinetto/clarinetto basso e violoncello che ha sottolineato in modo efficace i tre quadri musicali di Dalla Villa ben delineati dagli ottimi strumentisti Merighi e Rudic. L’ultimo brano in programma, Trasfigurazioni, di Filippo Scaramucci, per cinque strumentisti dell’Achrome Ensemble, sempre diretti da Parolini, ha ritrovato ancora una valida resa compositiva ed interpretativa. Tutti i brani ascoltati ieri erano scritti con un linguaggio articolato e chiaro nelle intenzioni, eseguiti con grande professionalità e qualità di restituzione, e -cosa non scontata nel mondo della musica contemporanea- sono risultati accessibili all’ascolto ottenendo meritati applausi dal numeroso pubblico intervenuto in Sala Fontana. Un’iniziativa di valore che aggiunge un altro mattone alla maggiore diffusione della musica contemporanea.
06-12-23 Cesare Guzzardella
L’Orchestra di Stato del Kazakistan e Gabriele Carcano alle Serate Musicali
Un sabato diverso per Serate Musicali, la società concertistica milanese che ha nel lunedì il suo giorno privilegiato per i concerti. Un sabato, quello di ieri sera in Conservatorio, dove si è potuto ascoltare una compagine strumentale di ottima qualità quale l’Orchestra di Stato del Kazakistan diretta benissimo da Kanat Omarov, per tre lavori, ad iniziare dal rarissimo Poema sinfonico Dudar-ay del compositore Evgeny Grigorievich Brusilovsky ( 1905-1981), autore, tra le numerose sue composizioni, dell’Inno nazionale kazako. Un brano tonale composto poco dopo il 1950 e diretto molto bene, che ritrova nella musica folcloristica del suo popolo le radici, partendo dalla canzone popolare di Mariyam Zhagorkyzy e trovando spunti nei canti della steppa euroasiatica. Gli altri brani erano di Liszt e di Rachmaninov. Per il non troppo frequentato Concerto n.2 in la maggiore S.125 di Franz Liszt abbiamo trovato come protagonista il pianista torinese Gabriele Carcano. Il concerto è in un unico ampio movimento suddiviso in numerosi andamenti sviluppati nell’originale lavoro, tutto lisztiano, dove l’influenze tra Chopin e Wagner vengono assorbite per una restituzione esemplare ricca di contrasti, tra la dolcezza delle melodie pianistiche e gli interventi di grande impatto sonoro sia dell’orchestra che del solista. Eccellente il pianoforte di Carcano, preciso, delicato e sicuro, mai eccessivo nelle volumetrie e ottima la direzione e l’esternazione orchestrale molto importante in questo lavoro. Efficace per leggerezza ed espressività il bis solistico concesso da Gabriele Carcano con Zart und singend ( tenero e canterino), N.14 dall’Op.6 di Robert Schumann, eseguito con dolcezza e passione. Dopo il breve intervallo abbiamo assistito ad una coinvolgente interpretazione della corposa Sinfonia n.2 in mi minore op.27 di Sergei Rachmaninov. Un’idea delle eccellenti qualità della compagine orchestrale – con molti giovani strumentisti- e del suo direttore, è stata riconfermata all’ascolto di questo capolavoro purtroppo poco eseguito ma di grande pregio per la forte personalità espressa dal grande compositore russo. Un concerto quello di ieri che meritava una Sala Verdi al completo e che ha trovato invece un pubblico limitato.
3 dicembre 2023 Cesare GuzzardellaAL CONSERVATORIO DI NOVARA CONCERTO DEI VINCITORI DEL CONCORSO“SERGIO FIORENTINO PIANO COMPETITION”
Tra le numerose iniziative di cui si è fatto promotore in questi anni il Conservatorio G. Cantelli di Novara, c’è, da tre anni, un concorso pianistico intitolato a quello che fu, nel breve giro d’anni tra il dopoguerra e i primi anni ’50 uno dei più grandi pianisti italiani, massimo rappresentante della gloriosa ‘scuola napoletana’: Sergio Fiorentino (1927-1998) di cui pare che A. Benedetti Michelangeli, dopo averlo ascoltato, abbia detto: “E’ il solo altro pianista”. Il destino avverso troncò assai presto la carriera, che si annunciava folgorante, di questo grande Maestro: nel 1953 scampò per miracolo ad un incidente aereo, ma ne riportò uno schiacciamento vertebrale, che, provocandogli lancinanti e crescenti dolori alla schiena, gli impose di lasciare le sale da concerto, dedicandosi all’attività didattica presso il Conservatorio di Napoli. Riprese, in verità, l’attività concertistica nel 1991, riguadagnando una qualche popolarità anche all’estero, ma ancora la sorte si abbatté su di lui stroncandolo con un infarto nel 1998. Di lui è rimasto molto materiale registrato, ma certo il ricordo di Sergio Fiorentino è sbiadito o addirittura cancellato nella memoria dei più, e dunque benissimo ha fatto il Cantelli a rinverdirlo, istituendo la “Sergio Fiorentino Piano Competition”. Tale concorso prevede due premi distinti, lo Junior per gli under 19 e il Senior per gli under 30 ( benché in questa edizione si sia alzata l’asticella anagrafica a 32 anni): la giuria, che contava al suo interno ben due membri che furono tra gli ultimi allievi di Fiorentino, Giuseppe Andaloro, presidente e Mario Coppola, stimato e autorevole docente al Cantelli, ha assegnato il primo premio della categoria Junior a Massimo Urban, milanese diciottenne e il secondo premio a Giulia Falzarano, coetanea di Urban, da Airola, provincia di Benevento, entrambi già con un’esperienza significativa di concerti e concorsi. Il primo premio per la categoria Senior non è stato assegnato. Il vincitore, col secondo premio, è risultato il trentaduenne ucraino, Danylo Saienko, anche lui naturalmente con una abbondante serie di concorsi, tra i quali il prestigioso Horowitz di Kiev, in cui ha vinto un premio, e certo non alle prime armi nelle sale da concerto. Questi tre vincitori sono stati i protagonisti del concerto di ieri, sabato 2/12, all’auditorium del Conservatorio Cantelli. Ha dato inizio al recital la Falzarano, che ha presentato l’Andante spianato e grande polacca brillante op.22: massima padronanza della tastiera, uso assai sobrio del pedale, suono elegante che sa passare efficacemente dalla delicatezza dell’Andante, all’energia dirompente della polacca. Un po’ rigido il fraseggio e non sempre impeccabile la gestione delle dinamiche, ma la sua è stata un’esecuzione nel complesso più che apprezzabile. Urban ha invece puntato tutto sul pianismo di scrittura più ardua e acrobatica: Rachmaninov, con l’Etude Tableau op.39 n.6 e Liszt con la notissima Rapsodia ungherese n.12. C’è davvero da restare stupefatti di fronte alla straordinaria tecnica di questo ragazzo, in particolare nell’esecuzione di Rachmaninov: Urban supera in scioltezza i passaggi più impervi della partitura, sgranando con perlacea precisione raffiche di note o suonando gli accordi più complicati, con un virtuosismo da pianista maturo. Anche da parte di Urban abbiamo notato un uso molto contenuto del pedale. Complimenti davvero al giovanissimo talento milanese, ma ci piacerebbe risentirlo su pezzi magari meno acrobatici, ma che sollecitano un fraseggio a maggior tasso di espressività. Infine, il senior Solienko, che proponeva un programma più ampio rispetto a quello dei due juniores. Solienko si presentava al pubblico con due raffinatissime composizioni dai Pièces de Clavecin di Couperin, La Couperin e l’Engageante, che ha ben interpretato nel vario alternarsi dei timbri e delle armonie, con suono preciso e duttile nel restituire il mutevole spessore sonoro dei due pezzi. Elegante e preciso, fluido nel fraseggio nei due successivi Preludi op.80 del pianista e compositore polacco Ignaz Friedman (1882-1948), per poi virare anche lui sul virtuosismo di uno Studio Trascendentale di Liszt, il n. 8 ( e non 12, come riportato dal programma di sala) “Chasse Neige” (Caccia selvaggia): Di questo scatenato Presto furioso abbiamo ascoltato certamente interpretazioni più coinvolgenti, ma diremmo che Solienko abbia raggiunto l’obiettivo interpretativo di questo complesso pezzo: con potenza fisica più che rispettabile della mano e del polso, e un controllo sempre adeguato del suono, porre in evidenza le nervose e sovreccitate figure che attraversano il fraseggio, con incalzante progressione, a imitazione del caos che accompagna la battuta di caccia, con qualcosa di vagamente demoniaco. Meno convincente ci è sembrato il fraseggio di Solienko quando a questa ‘scena’ musicale ne subentra un’altra di natura completamente diversa, costruita su una sognante melodia, ove, a nostro avviso, la scelta dinamica sugli accordi ribattuti che sostengono la melodia non ha reso in modo efficace l’estrema delicatezza, quasi un pizzicato di un violino, che tali accordi debbono presentare, sciupando l’effetto espressivo che Liszt si proponeva. Ottima invece, sotto il profilo tecnico ed espressivo l’interpretazione de Los Requiebros dalle Goyescas di Granados, così come quella dello Studio op. 63 di Lutoslawski, una sorte di Chopin rivisitato in chiave novecentesca. Un bel concerto, con tre giovani concertisti sicuramente dotati di talento, cui è aperto un futuro ricco di soddisfazioni. Il lungo applauso del folto pubblico che si assiepava all’Auditorium testimoniava il successo del recital.
3 dicembre 2023 Bruno Busca
Janine Jansen, Mischa Maisky e Martha Argerich al Teatro alla Scala
Un successo straordinario per un trio straordinario nei nomi di Janine Jansen, Mischa Maisky e Martha Argerich. Un violino, un violoncello e un pianoforte per Haydn, Šostakovič e Mendelssohn, tre grandissimi musicisti interpretati come raramente si ascolta. La disposizione non cronologica dei brani, con il Trio in sol maggiore n.39 Hob XV:25 (1795) di Joseph Haydn seguito dal Trio in mi minore n.2 op.67 (1944) di Dmitrij Šostakovič e, dopo l’intervallo, dal Trio in re minore n.1 op.49 (1839) di FelixMendelssohn, trova probabilmente senso nella durata dei lavori, con quello mendelssohniano di relativa maggior lunghezza, e nel contrasto complessivo tra i brani. Certo passare dal perfetto classicismo del compositore di Rohrau della bassa Austria, al segno forte ed incisivo dello strepitoso trio del russo di San Pietroburgo, composto in piena guerra nel 1944, è un bel salto stilistico ed emotivo. Ma la duttilità del trio Jansen- Maisky-Argerich, eccellente in tutti gli ambiti, ha permesso di far apprezzare al pubblico, al completo nel Teatro alla Scala, tutti e tre i noti lavori, con standing ovation al termine della celebre Op.49 dell’amburghese. Musica in perfetto equilibrio di ruolo per i tre interpreti, con le sicure mani dell’ottantaduenne pianista argentina che delineavano armonicamente i tre brani, dettando spesso gli andamenti più rapidi, come il coinvolgente Rondò all’Ongarese, finale del trio di Haydn, eseguito rapidamente e in modo esemplare, ma anche nel bellissimo Scherzo del trio di Mendelssohn, ripetuto anche nel terzo bis. Stupefacente l’intesa dei due archi, entrambi con vibrato eccellente e simmetrica espressività, e con i dosati volumi timbrici della Argerich, capace, come i colleghi, e ancor più, di passare da i pianissimo impercettibili a suoni di grande intensità. Di notevole espressività le timbriche di Janine Jansen e di Mischa Maisky, soprattutto nel brano più difficile, per varietà di contrasti e per molteplicità stilistica, quello di Šostakovič , un capolavoro iniziato con dei sorprendenti armonici del violoncello di Maisky, che rivela in toto, insieme a molta sua musica sinfonica, il suo tipico linguaggio sempre denso di espressività, lontana dal romanticismo e vicina al mondo reale della sua terra. Un successo meritatissimo quello dei tre grandi interpreti e artisti. Pienamente soddisfatti degli infiniti applausi del pubblico entusiasta, hanno concesso poi tre bis. Oltre al ripetuto Scherzo mendelssohniano già citato, le splendide melodie distribuite trai i tre strumenti del celebre Du bist die Ruh’ , lied di Franz Schubert adattato a trio, e del Duetto dai Phantasiestücke op.88 di Robert Schumann. Un concerto certamente memorabile!
2 dicembre 2023 Cesare GuzzardellaMusica all’Archivio di Stato di Milano
Una valida iniziativa quella organizzata e riproposta all’Archivio di Stato di Milano da Annalisa Rossi, Soprintendente archivistico e Direttore dell’Archivio stesso che ha introdotto l’incontro, e da Silvia Leggio, docente di pianoforte al Conservatorio milanese. Ieri nel tardo pomeriggio alcuni allievi di Conservatorio particolarmente dotati hanno tenuto un concerto in via Senato 10 rivelando indubbie qualità musicali. Tutti giovanissimi, con età tra i dieci e i diciassette anni, frequentano corsi musicali avanzati essendo già molto avanti negli studi musicali. Francesco Avesio, Camilla Stimolo, Anita e Beatrice Baldissin, Patrizia Amane Di Lella e Martina Meola sono stati presentati dalla prof.sa Leggio e hanno scelto alcuni brani di notevole difficoltà tecnica per rivelare le loro qualità strumentali. La Fantasia Ungherese di J.K.Mertz ha trovato timbriche raffinate nella chitarra di F. Avesio; la difficile post-romantica Sonata n.2 op.19 (Andante) di Scriabin ha visto al pianoforte l’ottima Patrizia Di Lella; molto efficace la resa pianistica per Camilla Stimolo nell’Introduzione e Rondò Capriccioso di F. Mendelssohn; il primo movimento della complessa Sonata n.1 op.105 di Robert Schumann e Introduzione e Tarantella di P.de Sarasate sono stati affrontati con grinta e ottima resa dalle sorelle Anita, al pianoforte, e Beatrice Baldissin al violino. A conclusione, la più giovane, un talento pianistico indiscutibile quello di Martina Meola – undici anni compiuti il 28 novembre- ha eseguito i brani più virtuosistici del programma con Allegro de Concerto di Granados prima, la Rapsodia Ungherese n.11 di Liszt dopo, e in aggiunta al programma ufficiale, anche il celebre Liebesträume n.3 (Sogno d’amore) sempre del grande ungherese. Interpretazioni quest’ultime che superano di gran lunga quelle di decine di pianisti, anche di livello, in carriera da decenni. La Meola è stata l’ultima vincitrice del Premio del Conservatorio milanese e pur avendo superato i dieci anni d’età solo due giorni fa, è già in carriera concertistica anche se gli ulteriori studi che deve fare non possono che affinare ancor più le sue già eccellenti qualità. Applausi meritatissimi dal numeroso pubblico a tutti i giovani protagonisti e ottimo aperitivo finale.
1 dicembre 2023 Cesare GuzzardellaAL FESTIVAL CANTELLI DI NOVARA PROTAGONISTI L’ORCHESTRA FEMMINILE DEL MEDITERRANEO E IL GIOVANE VIOLONCELLISTA ETTORE PAGANO
Non poteva cadere in un momento più opportuno il secondo concerto della nuova stagione del Festival Cantelli, tenutosi al Teatro Coccia ieri sera 30/11. In un momento in cui, anche per recenti tragici episodi di violenza, la condizione delle donne nella società del nostro tempo si è imposta al centro del dibattito pubblico, l’Associazione Amici della musica V. Cocito, quasi “di spirito profetico dotata”, come il Gioacchino da Fiore dantesco, ha affidato il secondo appuntamento del Festival Cantelli 2023-24 ad un’orchestra formata da sole donne, diretta da una donna. Parliamo dell’Orchestra Femminile del Mediterraneo (OFM), fondata nel 2009 e diretta dalla sua fondatrice Antonella De Angelis, flautista, diplomata in direzione d’orchestra, avendo avuto Donato Renzetti come suo mentore e con un’esperienza ormai abbastanza lunga sul podio, che ha messo pienamente in luce il suo valore, non solo in Italia, ma in giro per il mondo. L’OFM, residente in Abruzzo, è un’orchestra dal marcato carattere internazionale: una parte significativa delle strumentiste proviene infatti, oltre naturalmente che dall’Italia, da ogni angolo della Terra, dalla Grecia alla Germania, dalla Corea al Brasile, per menzionare solo una parte di un elenco molto più lungo. Come riportato dal programma di sala, il riferimento al Mediterraneo, luogo per eccellenza di contrastanti diversità culturali, è ispirato dal desiderio di fare di quest’orchestra uno spazio per il confronto e lo scambio di diverse esperienze in campo musicale, sottolineando come sulle sponde di questo mare si affacciano Paesi in cui le donne sono vittime di gravi condizioni di diseguaglianza. Insomma un’orchestra che è di per sé simbolo di uno dei problemi più importanti dei nostri non proprio felici tempi, ma anche della volontà delle donne di affermarsi e resistere ad ogni tentativo di emarginarle od opprimerle. Il programma del concerto proposto dall’OFM è stato di grande interesse e vedeva, accanto a tre compositori, anche la presenza di due compositrici: Marianna Martines apriva la prima parte del concerto, con l’Ouverture in Do maggiore per due oboi, due corni e archi, e Grazyna Bacewicz apriva la seconda con il Concerto per orchestra d’archi. Nella prima parte del concerto alla composizione della Martines seguiva di F. J. Haydn il Concerto n. 2 in Re maggiore per violoncello e orchestra Hob:VIIb:4, in cui la parte solistica era affidata ad uno dei migliori e più celebri violoncellisti della ‘generazione zero’, il ventenne Ettore Pagano. Nella seconda parte, dopo il pezzo della Bacewicz, seguiva Fratres di Arvo Part, nella versione per violoncello, archi e percussioni, e di Giovanni Sollima Aquilarco : Preludio per violoncello e orchestra, in un arrangiamento dello stesso Sollima per l’OFM (l’originale è per violoncello solo) con, naturalmente Ettore Pagano ancora solista al violoncello. Un programma, come si vede, impaginato con un disegno logico rigoroso: due compositrici al posto d’onore delle due parti del concerto, la prima parte con due pezzi del tardo settecento, la seconda tutta novecentesca, entrambe chiuse da una composizione per violoncello. Ma vi sono anche legami meno evidenti, ad esempio quelli che collegano le due composizioni della prima parte, l’Ouverture di Martines, e il concerto di Haydn. Marianna Martines, chi era costei? Sospettiamo che non sarebbe solo don Abbondio a porsi questa domanda, perché la Martines (1744-1812) è una compositrice tanto celebre alla sua epoca, quanto scivolata oggi nell’ombra. Figlia di un alto diplomatico spagnolo, trascorse gran parte della propria vita e morì a Vienna, ove divenne una protagonista della vita musicale della città: pupilla di Metastasio, e grazie a lui introdotta a corte, ove fu assai apprezzata dall’imperatrice Maria Teresa, amica di Haydn, che le impartì i primi insegnamenti del pianoforte (di qui il collegamento col concerto di Haydn) e soprattutto di Mozart, col quale suonava spesso il pianoforte a quattro mani e che le dedicò, appunto, alcune composizioni per pianoforte a quattro mani. Ammirata come cantante, apprezzata come clavicembalista e pianista, fu anche compositrice, e nel suo catalogo, in cui prevalgono composizioni sacre, quali Messe, oratori e mottetti, vi è anche posto per composizioni profane, quali questa Ouverture. In realtà più che di una Ouverture nel significato che la parola assunse a partire dall’800, si tratta di una sinfonia, divisa in tre tempi, un Allegro moderato in forma sonata, un Adagio centrale e un Rondò Allegro finale. E’ una composizione chiaramente improntata al linguaggio musicale della Vienna di Haydn e Mozart, ma con un tocco di sapienza compositiva che si riconosce in particolare nei raffinati impasti timbrici dell’Adagio tra oboi e corni, sul tappeto sonoro degli archi, e sui chiaroscuri con passaggi repentini al minore nel Rondò finale. In generale si tratta di una composizione di elegante grazia, opera di un’autrice di gusto raffinato e che si è appropriata con intelligenza del linguaggio musicale della sua epoca. Ottima l’interpretazione di De Angelis, che ha guidato con finezza la sua orchestra nella resa migliore delle qualità di questo pezzo, staccando i giusti tempi per esprimere quella vena briosa e brillante che impronta i tempi veloci e il disteso lirismo, coi suoi effetti coloristici piuttosto originali, del tempo lento. Con il successivo concerto di Haydn entra in scena Ettore Pagano, ormai affermatosi nelle nostre sale da concerto e in un numero impressionante di concorsi, di cui menzioniamo almeno il prestigioso Khaciaturjan, come uno dei più validi violoncellisti italiani del momento, nonostante la sua giovanissima età. Il secondo concerto per violoncello di Haydn (1783) è un banco di prova ideale per consentire a Pagano di esprimere il proprio talento, in tutti gli aspetti, tecnici e interpretativi, della sua personalità musicale. Subito, l’esposizione del primo tema dell’Allegro moderato iniziale, un aggraziato cantabile, affascina l’ascoltatore per le qualità del suono di
Pagano, un bellissimo suono omogeneo e pieno, di cristallina musicalità negli acuti, che nel secondo tema, esposto su un registro grave, si carica di una tinta calda e di seducente morbidezza. Il particolare sviluppo di questo movimento, molto libero, è eseguito dal giovane solista con un fraseggio di estrema fluidità, che sa essere elegante e al tempo stesso intensamente espressivo, grazie alla sensibilità raffinata della gamma variegata dei registri dinamici, esplorata con rara perizia, in tutta la ricchezza dele sue sfumature, ma sempre guidata da una cantabilità ‘violinistica’ di grande suggestione emotiva. Il violoncello di Pagano sa raggiungere vertici espressivi di grande suggestione nell’Adagio, che è in sostanza un assolo per violoncello, in particolare quando attinge le zone acute, in cui il suono perde ogni ‘meccanicità’ di un virtuosismo puramente tecnico, per farsi pathos vibrante, scavato alle radici stesse del suono. Il finale Rondò, col suo rapido tema danzante di robusto sapore popolareggiante tipicamente haydniano, fa emergere infine tutta l’energia di suono e il controllo tecnico di cui Pagano è capace: ardue doppie corde, spiccati e quant’altro diventano, nelle arcate sempre limpide e precise del giovane Maestro, non mero esibizionismo esteriore, ma mezzi espressivi che intensificano lo splendore sonoro di questo movimento, coinvolgendo emotivamente l’ascoltatore. Grazie anche ad un’intesa perfetta con l’orchestra, impeccabilmente guidata da De Angelis nella scelta dei tempi e nell’accurato controllo dei colori orchestrali, Ettore Pagano ha offerto al pubblico una bellissima esecuzione di questo gioiello del classicismo viennese, che ha suscitato gli applausi scroscianti e prolungati del pubblico. La seconda parte del concerto è stata nuovamente introdotta da una compositrice, la polacca Grazyna Bacewicz (1909-1969), poco conosciuta fuori dei confini della Polonia, ove è al contrario una delle musiciste più amate e stimate del ‘900: notevole violinista e compositrice, soprattutto di musica per il suo strumento, ma ieri sera presente con il suo Concerto per orchestra d’archi (1948). Composizione aliena da ogni sperimentalismo avanguardistico seriale, allora in gran voga, che pure si veniva affacciando anche in Polonia con Lutoslawsky, di impianto fondamentalmente tonale, questo concerto, diviso nei tradizionali tre tempi, si caratterizza per il sapiente gioco timbrico tra le diverse sezioni degli archi, in cui talvolta il gruppo degli archi gravi sembra proporsi quasi come il concertino del Concerto grosso barocco, mentre si staccano talora dal tutto orchestrale delicati assoli del violino, della viola e del violoncello. I tre tempi disegnano una sorta di percorso spirituale ascendente, con un primo tempo ricco di contrasti, nei temi, nelle dinamiche e nei timbri, col ripetersi di un breve inciso tematico che sembra esprimere tensione e angoscia, al tempo lento centrale che è un canto elegiaco di dolore, al finale più disteso e luminoso. Il raffinato trattamento delle varie sezioni degli archi, il gioco stupendo di colori che la compositrice polacca riesce a ottenere (forse retaggio di certi capolavori del compatriota Szymanowsky, quali la sua Sinfonia n.3) sono stati realizzati al meglio dall’impeccabile esecuzione dell’OFM, sotto la sapiente bacchetta di De Angelis,. Un plauso particolare, oltre alla direttrice, va tributato al primo violino, Patrizia De Carlo, alla prima viola Olga Moryn e al primo violoncello Elisa Pennica. A seguire uno dei più noti brani, di uno dei più celebri autori contemporanei: Fratres di Arvo Pärt, in una delle sue tante versioni, quella per violoncello, archi e percussioni. E’ nei suoi momenti di più rarefatta ed estatica sospensione, quando l’orchestra e il violoncello sembrano ‘sfiorare’ il suono, che la tintinnabulazione di Part sortisce gli effetti di più alta suggestione, quasi ipnotica, sull’ascoltatore. Il suono del violoncello di Pagano, venando il tappeto sonoro degli archi e il ritmo appena scandito delle percussioni di un sommesso respiro dal timbro vellutato e sfumato all’estremo, crea un ‘aura di mistero, che avvolge lo spettatore in una dimensione indefinita. Eccellente prova e del solista e dell’OFM con la sua direttrice, per la scelta dei tempi, delle dinamiche dei colori, di questo capolavoro. Il concerto si chiudeva con un pezzo di quello che attualmente è il violoncello stesso in Italia, all’estremo limite delle sue possibilità sonore, cioè Giovanni Sollima di cui è stato proposto, come detto sopra, il Preludio di Aquilarco, arrangiato per orchestra e violoncello. Come spiega lo stesso Sollima, aquilarco è una parola che nasce dalla fusione (crasi) di due parole, aquilone e arco, quello del violoncello. Indica dunque una musica che si libra come in volo, simile ad un aquilone, la storia musicale di un volo insomma. Nell’interpretazione di questo pezzo, Pagano ci dà un’altra prova delle sue straordinarie qualità d’interprete cavando dal suo violoncello un suono che è energia pura, ritmicamente travolgente, sostenuta da uno stile compositivo, qui adottato da Sollima, molto vicino al minimalismo: non a caso l’opera nacque su commissione di un’etichetta musicale diretta allora (1998) da Philipp Glass, uno dei padri del minimalismo. E proprio l’energia pura del violoncello di Pagano, abbandonandosi al ritmo incalzante nella sua iteratività minimalistica e sostenuto dall’orchestra, sempre efficacemente diretta da De Angelis, ha davvero evocato coi suoni la forza di un volo che non conosce ostacoli, che libero da ogni limite spazia in una sorta di ‘quarta dimensione’, quella magica del suono e delle emozioni che essa sola sa suscitare nella mente dell’uomo, quando l’ascolta. Davvero un bellissimo concerto, che non dimenticheremo, tra i più affascinanti ascoltati a Novara negli ultimi anni e che ha ricevuto dal pubblico, affollato in platea, il giusto tributo di applausi, premiato con un bis, il primo movimento della Suite per violoncello e orchestra della compositrice contemporanea finlandese Viktoria Yangling: un pezzo molto bello, costruito su un tema melodico di struggente dolcezza.
1 dicembre 2023 Bruno Busca
NOVEMBRE 2023–La Nürnberger Symphoniker di Darlington e il pianista Masleev in Conservatorio
La Nürnberger Symphoniker diretta da Jonathan Darlington è stata protagonista della serata organizzata dalla Società dei Concerti con brani di Stravinskij, Rachmaninov e Schumann. Il neoclassicismo stravinskijano, uno dei molti modi di esprimersi del grande compositore russo, ha introdotto il concerto attraverso Jeu de Cartes- Ballet en trois Donnes, una musica per balletto scritta per il grande coreografo Balanchine nel 1936 che rivela l’abilità di Stravinskij nell’ utilizzare le esperienze passate per ricostruire un mondo musicale fatto di timbriche geometriche, oggettive nello sviluppo architettonico, adatte agli equilibri simmetrici dei danzatori. Una resa ricca di energia quella fornita da Darlington e dalla sua orchestra. Il secondo brano in programma, la celebre Rapsodia su un tema di Paganini per pianoforte e orchestra op.43 ha trovato un protagonista d’eccezione nel nome di Dmitry Masleev,
un virtuoso del pianoforte venuto alla ribalta dopo la prestigiosa vittoria del Concorso Internazionale Čaikovskij di Mosca nel 2015. Le 24 variazioni sul noto tema paganiniano, che il secondo grande musicista russo della serata prese da uno dei più celebri Capricci del virtuoso genovese, sono state esaltate dall’incredibile tecnica del giovane pianista russo che sembra rendere semplice ogni difficile passaggio del brano. Coadiuvato dall’ottima orchestra e dal direttore, Masleev ha deliniato con chiarezza ogni dettaglio delle variazioni, esprimendo, oltre che sicurezza, palpabile espressività. Ancora in ambito virtuosistico il bis solistico concesso con un noto brano di Nicolai Kapustin: uno dei suoi studi più noti tra il classico e il jazz, il Concert Étude op.40 n.1, eseguito senza un minimo cedimento nella rapida successione ritmica e con rigore stilistico impeccabile. Applausi fragorosi dal numeroso pubblico presente in Sala Verdi. Dopo l’intervallo, andando a ritroso nel tempo di oltre cento anni dal brano di Rachmaninov, siamo arrivati a Robert Schumann con la sua Sinfonia n.2 in do magg. op.61. Un’interpretazione chiara, dettagliata e ancora energica quella di Darlington, tra i rapidi movimenti laterali, due Allegri, un delizioso Scherzo di grande equilibrio formale e un intenso Adagio espressivo, il movimento più caratterizzante dello splendido ampio lavoro. Ancora intensi gli applausi e come bis orchestrale la celebre Danza ungherese n.5 di Johannes Brahms. Grande successo.
29 novembre 2023 Cesare Guzzardella
Le compositrici da ri-scoprire al Museo del Novecento milanese
Un pomeriggio musicale di grande interesse quello di ieri a Milano, nella Sala Fontana del Museo del Novecento: musiche “al femminile” di compositrici da scoprire o riscoprire, che ci hanno rivelato qualità di scrittura musicale assai importante, sono state eseguite in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Brani di Mélanie Bonis (1858-1937) e Cécile Chaminade (1857-1944), e della vivente Simona Simonini (1943) sono stati interpretati con espressività da Katia Caradonna e Silvia Leggio, al pianoforte, e da Sergio Bonetti al flauto. Un impaginato introdotto dal prof. Enrico Reggiani, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, il quale ha evidenziato l’importante ruolo delle prime due compositrici francesi nel contesto musicale del periodo storico nel quale sono vissute, avendo spesso anticipato modalità di scrittura di musicisti entrati nella storia quali Debussy, Ravel, Franck, Fauré ed altri ancora. Partendo da due Valzer per pianoforte a quattro mani da “Suite en forme de valses” della Bonis e continuando con i “6 Pièces romantiques” della Chaminade, sempre a quattro mani, si è passati poi al duo per flauto e pianoforte di Bonetti-Caradonna (duo col nome d’arte Art Music Youkali) per la “Sérénade aux etoilés”, sempre della Chaminade. Valido il brano “Lamento” in Prima Esecuzione Italiana della compositrice Simonini. Per concludere, una più complessa “Sonata in do diesis minore per flauto e pianoforte” della Bonis. Le valide interpretazioni dei brani francesi, hanno rivelato una musica abilmente costruita, particolarmente delicata e trasparente, rivelatrice di una forma d’eleganza tipicamente francese che noi conosciamo dai compositori più celebrati. Costruito molto bene, il lavoro di Simona Simonini è un esempio di ottima scrittura musicale con un segno forte nel dialogo tra pianoforte e flauto mirabilmente interpretato dal duo. Rilevante il bis con un Notturno per flauto e pianoforte di Lili Boulanger preceduto dalla lettura di due poesie di Emily Dickinson. Applausi fragorosi dal folto pubblico.
28 novembre 2023 Cesare Guzzardella
Giovanni Sollima e le Suites per violoncello solo di Bach alle Serate Musicali
Siamo abituati ad ascoltare il violoncellista palermitano Giovanni Sollima in programmi diversificati, con brani classici in alternanza a rivisitazioni o a suoi brani, essendo, oltre che tra i migliori violoncellisti sulla scena internazionale, anche rinomato compositore. Ieri sera, al concerto di Serate Musicali, ha voluto impaginare un programma tutto dedicato a J.S.Bach, con una delle opere più note del genio tedesco, le Sei Suites per Violoncello solo, lavori composti presumibilmente nel periodo di Köthen tra il 1717 e il 1723. Un concerto impegnativo di circa due ore e tranta minuti di musica, dove i sei brani sono stati eseguiti con una non breve interruzione dopo le prime tre suites. Questi capolavori rappresentano un cavallo di battaglia per tutti i grandi interpreti, oltre ad essere brani di importante valenza didattica per gli studenti dei conservatori di musica. La forte personalità interpretativa di Sollima non è mai disgiunta dalla sua voglia di ri-creare. Anche eseguendo Bach ha voluto dire qualcosa di suo, sia introducendo prima di ogni suite una sorta di sua aria introduttiva di poche note, sia mediante una linea interpretativa dove la personalizzazione del materiale bachiano risulta evidente. La sua sintesi discorsiva, con tempi spesso rapidi, ha rivelato un Bach perfettamente interiorizzato per un’esecuzione tutta a memoria e per una restituzione di particolare valore espressivo. La capacità di Sollima di ritrovare colori antichi, con una tecnica atta a produrre un carattere improvvisatorio risulta evidente. Seguendo le direttive del grande di Eisenach, Sollima ha eseguito la penultima suite, quella in do minore utilizzando una “scordatura” delle corde più basse ed interpretando l’ultima suite, quella in re maggiore, con un violoncello a cinque corde, ritrovando qui colori diversi in registri più alti e mettendoci ogni tanto qualcosa di suo. L’originalità delle sue interpretazioni non si discute e l’apprezzamento del pubblico è risultato caloroso con applausi fragorosi continuativi. Dopo il lungo Bach, il cellista siciliano ha voluto omaggiare i numerosi presenti in Sala Verdi con due sorprendenti bis, il primo un Fandango di Sollima-Boccherini e il secondo un classico di Sollima con un’ antica melodia popolare resa in modo straordinario dall’infinita quantità di abbellimenti. Un grande. (prime due foto di Alberto Panzani Uff.stampa Serate Musicali)
28 novembre 2023 Cesare GuzzardellaAi Lieti Calici milanesi Andrea Trovato e Michele Fontana interpretano Galuppi
Una mattinata molto interessante quella seguita ieri agli Amici del Loggione del Teatro alla Scaladi via Silvio Pellico 6. La musica del veneziano Baldassare Galuppi (1706-1785) è stata evidenziata da due ottimi pianisti quali Andrea Trovato e Michele Fontana alla rassegna Lieti Calici. Attualmente i due interpreti sono impegnati in un’integrale d’incisioni del musicista di Burano per strumenti a tastiera. Due incisioni sono già recentemente uscite con alcune sonate eseguite al pianoforte da Fontana e all’organo da Trovato. Il concerto, organizzato da Mario Marcarini, è stato anticipato da una sua introduzione alla musica del grande compositore-tastierista, quindi alcune sonate sono state eseguite al pianoforte prima da Fontana e poi da Trovato, con rilevanti qualità interpretative. Ascolti registrati di alcune di esse sono stati anche presentati nella versione organistica, completate da una particolareggiata spiegazione di Trovato che ha reso ancor più completa la presentazione alla musica di Baldassare Galuppi. Compositore fecondo nel campo strumentale e operistico è purtroppo molto trascurato ai giorni nostri. Un importante musicista che andrebbe recuperato alle esecuzioni in sala da concerto. I due interpreti hanno anche concesso un fuori-programma con una Sonata sempre di Galuppi eseguita a quattro mani. Applausi calorosi e, come al solito, al termine un brindisi con ottimi vini ben accompagnati da cibi caldi.
27-11-23 Cesare GuzzardellaORGANO E MUSICA DA CAMERA PER I CONCERTI DEL SABATO DEL CONSERVATORIO G. CANTELLI DI NOVARA
I ‘Concerti del Sabato’, la lunga stagione, da novembre a maggio, di concerti del Conservatorio G. Cantelli di Novara, ha come sua caratteristica accattivante quella di proporre all’ascolto opere e autori in genere non molto eseguiti nelle nostre sale da concerto ,ma, quasi sempre, di notevole interesse e valore musicale. Così è stato anche per il concerto di ieri, Sabato 25/11, impaginato su due composizioni di sorprendente qualità, cui non ci pare corrispondere adeguata fama presso il pubblico. Parliamo della Sonata per organo n.11 in re min. op.148, una delle venti sonate composte da quello che fu uno dei più grandi organisti e compositori per organo del secondo ‘800, Josef Gabriel Rheinberger (1839-1901), nativo del Lichtenstein, ma la cui vita musicale si svolse prevalentemente in Germania. A suo tempo, fu considerato il miglior compositore ottocentesco per organo, dopo Mendelssohn. L’esecuzione della sua Sonata n.11 era affidata al giovane organista Giulio De Consoli, uno dei migliori allievi della classe di organo del Cantelli, che ha fornito un’ottima interpretazione di questo gioiello della musica per organo a canne. Si tratta di una composizione complessa, in quattro movimenti, che riproducono lo schema classico della Sinfonia che, sul tappeto sonoro di un contrappunto talora denso e complesso armonicamente, svolge una trama musicale inquieta, ricca di contrasti, tipicamente romantica, ma sempre espressa con quella particolare nobiltà di suono che è caratteristica di questo strumento. De Consoli, con una gestione notevole, per sensibilità e gusto, dell’agogica, dei piani dinamici e della timbrica, unita ad una padronanza completa della tecnica organistica, ha interpretato al meglio questo pezzo, dall’Allegro molto iniziale, col suo ritmo inquieto e incalzante, smorzato da rare pause di quieta meditazione, e il cui tema principale, variamente trasformato, ritorna in tutta la sonata, alla bellissima Cantilena del secondo tempo, il momento più affascinante della sonata, un tempo lento (come vuole appunto, lo schema della Sinfonia) in cui si sviluppa una melodia di estatica cantabilità, che sembra espandersi all’infinito e a cui l’interpretazione di De Consoli ha dato il carattere di una dolcissima preghiera. Impeccabili, per precisione tecnica e finezza di gusto interpretativo, anche l’esecuzione dell’Intermezzo ( lo Scherzo della sinfonia), con un Trio particolarmente suggestivo per il carattere spigoloso e nervoso che lo impronta, e infine quella della bella Fuga conclusiva, in cui culmina il tessuto contrappuntistico della Sonata. Si tratta, secondo una tendenza tipica dell’800, di una fuga che subisce fortemente l’influsso della forma sonata, sia per gli sviluppi armonici, esclusi dalla forma classica, bachiana, della fuga, sia per il maggior spazio che acquistano materiali tematici e motivici estranei allo schema soggetto-risposta-contrasoggetto. Tutto questo complesso mondo sonoro è stato evocato da De Consoli con limpidezza nel disegno formale dell’architettura del movimento, riscuotendo un notevole successo di pubblico, che gli ha tributato un lungo applauso. La seconda parte del concerto ha invece proposto un Trio di Carl Maria von Weber, quello in Sol min. op. 63, per pianoforte, flauto e violoncello. Al pianoforte sedeva Sofia Ripoldi, al flauto Martina Soffiati, al violoncello Eleonora Sassone, tutte, anche loro, apprezzate allieve del Cantelli. Questo Trio op.63 (1819) di von Weber è un delizioso cammeo zampillante di melodie ispirate da grazia e da garbata eleganza, con qualche sentore schubertiano qua e là: il sol minore di Weber è certo altra cosa dal sol minore mozartiano. Le tre giovani esecutrici, molto precise e sicure nelle entrate e nel vario intreccio dei rispettivi strumenti, sono state decisamente brave nella resa dei suggestivi impasti timbrici della composizione, che raggiungono il risultato più alto nel Finale Allegro, di impagabile felicità melodica. Bravi tutti e tre, ma un plauso particolare va rivolto a Martina Soffiati, davvero eccellente nelle parti in assolo che le toccano nella sezione centrale dello Scherzo, con un tema tra i più luminosi dell’intero pezzo, e nel successivo Andante espressivo, lo Shlafer Klage, il lamento del pastore, un’aria bucolica di stampo francese, eseguita da Soffiati con finezza ed eleganza perfette. Un piacevolissimo concerto, che ha strappato prolungati applausi al pubblico di fedeli frequentatori dei Sabati del Cantelli, non ripagati da alcun bis.
25-11-23 Bruno BuscaArthur & Lucas Jussen in Auditorium per il concerto di Roukens
L’ottima serata musicale dell’Auditorium con l’Orchestra Sinfonica di Milano ha visto protagonisti una coppia di pianisti di fama internazionale quali Arthur & Lucas Jussen per un concerto in prima esecuzione italiana di Joey Roukens denominato In Unison: Concerto per due pianoforti e orchestra. Alla direzione orchestrale Martijn Dendievel si è impegnato successivamente anche nella Sinfonia n.4 in fa minore op.36 di Čajkovskij. L’olandese Roukens ha composto il concerto nel 2017 dedicandolo ai due fratelli che lo eseguirono l’anno successivo. È un brano in tre parti che rivela influenze variegate da ricercarsi nel mondo musicale classico, contemporaneo e anche pop. L’impatto volumetrico iniziale di forte resa, con i due pianoforti spesso all’unisono contrapposti alle timbriche coinvolgenti dell’orchestra, ha rivelato sonorità che ricordano certa musica da film statunitense, pur esprimendo il lavoro una qualità costruttiva ed espressiva rilevante, giocata non solo sul virtuosismo dei due pianisti ma anche sulle timbriche spesso percussive dell’orchestra e sui continui cambiamenti ritmici e di tempo. Particolarmente significativo il riflessivo movimento centrale costruito su un gioco di risonanze ottenute con poche note sovrapposte dei pianoforti. Un brano nel complesso di grande effetto, molto coinvolgente, che è piaciuto al numeroso pubblico presente in Auditorium. Valido il bis solistico concesso da Arthur & Lucas Jussen con un Bach trascritto per pianoforte a quattro mani, precisamente Schafe können sicher weiden BWV 208. Ancora fragorosi applausi al termine del riuscito brano . Dopo il breve intervallo, valida l’esecuzione della Sinfonia n.4 op.36 di Čajkovskij mediata dall’ottima direzione di Martijn Dendievel e con una resa rilevante d’insieme e di ogni sezione orchestrale. Domenica alle 16.00 ci sarà la replica. Da non perdere.
25 novembre 2023 Cesare GuzzardellaUltime repliche per Onegin al Teatro alla Scala
Penultima replica quella vista ieri sera al Teatro alla Scala di Onegin, balletto in tre atti ispirato al poema di Aleksandr Puškin su musica di Cajkovskij per la coreografia di John Cranko. L’avvincente coreografia di Cranko è presente alla Scala dal 1993 e da allora per molti cicli di rappresentazioni ha ottenuto sempre un meritato successo per la classicità della messinscena – costruita sulle scene di Pierluigi Samaritani e con i costumi di Samaritani e Roberta Guidi Di Bagno – che trova sempre una rinnovata freschezza di stile. Tra i protagonisti dell’ottava rappresentazione, tutti bravi, segnaliamo: Gabriele Corrado, Onegin, Mattia Semperboni, Lenskij, Francesca Podini, la Vedova Larina, Alice Mariani, Tat’jana, Alessandra Vassallo, Ol’ga Edoardo Capolaretti, Il Principe Gremin, Serena Sarnataro, La nutrice. Interessante ricordare che le musiche di scena di Čajkovskij sono rialaborazioni orchestrali di Kurt-Heinz Stolze, collaboratore di Cranko tratte soprattutto da brani pianistici del grande russo come le Stagioni, ma anche su poemi sinfonici quali Francesca da Rimini e Romeo e Giulietta oltre che dall’opera I capricci di Oksana o Vakula il fabbro. La sintonia tra danza e musica risulta sempre perfetta e i momenti topici sono rappresentati dalle musiche più celebri. Di ottima qualità la direzione orchestrale di Simon Hewett alla guida dell’Orchestra del Teatro alla Scala. Ultima rappresentazione per il 25 novembre. Lo spettacolo risulta già tutto esaurito. ( Foto di Brescia e Amisano dall’Archivio Scala)
23-11-2023 Cesare GuzzardellaAlessandro Bonato e Federico Colli ai Pomeriggi del Dal Verme
Di ottima qualità l’anteprima del concerto sinfonico ascoltata questa mattina al Teatro Dal Verme con I Pomeriggi Musicali diretti da Alessandro Bonato. In programma brani di Rossini, Šostakovič e Mozart. Una scelta classica con lavori molto differenti che hanno messo certamente in risalto le qualità del giovane direttore d’orchestra. Dopo il brano introduttivo, con una trasparente ed equilibrata Sinfonia dall’opera La Cenerentola di Gioachino Rossini, è entrato in palcoscenico il pianista bresciano Federico Colli che insieme al trombettista Sergio Casesi, ha sostenuto l’importante parte pianistica del Concerto per pianoforte, tromba ed archi in do minore op.35 di DmitriŠostakovič, non disgiunta dai fondamentali e pregnanti interventi solistici di Casesi. Le ottime sinergie dei due solisti con la direzione di Bonato e gli ottimi I Pomeriggi, hanno permesso una resa espressiva complessiva di alto livello estetico. La minuziosa e dettagliata resa del pianoforte di Colli, ha rilevato una cura timbrica precisa per un lavoro molto contrastato sia melodicamente che ritmicamente, ma risolto con efficace e luminosa discorsività e resa sonora dall’interprete. Efficaci anche le inserzioni melodiche della tromba di Sergio Casesi nel contesto orchestrale altrettanto curato e anche nel dialogo con il pianoforte di Colli. Applausi calorosi al termine. Valida poi l’interpretazione della celebre Sinfonia n.41 in do maggiore K.551 “Jupiter” , sostenuta con accurato equilibrio delle sezioni orchestrali e con una ottima resa nel celebre Molto allegro finale, apoteosi contrappuntistica nella vasta produzione sinfonica mozartiana. Questa sera alle 20.00 il concerto ufficiale e Sabato alle 17.00 la replica. Da non perdere.
23 novembre 2023 Cesare Guzzardella
Il pianoforte di Viacheslav Shelepov all’Accademia di Musica Antica di Milano
Di qualità il concerto ascoltato ieri sera, nella bellissima Sala del Cenacolo del Museo “Leonardo da Vinci”, in una serata avente come protagonista il pianista russo Viacheslav Shelepov , con indiscusse qualità d’interpretazione e con una scelta d’ impaginato che oltre al barocco italiano di Cimorosa e Scarlatti inseriva, all’inizio e alla fine del concerto, due ampie sonate di un’altro italiano molto importante per l’evoluzione della scuola tastieristica quale Muzio Clementi. Nelle opere dei citati compositori, la prevalenza musicale era quella legata a timbriche dal sapore antico, in linea con la serie di concerti organizzati dall’Accademia di Musica Antica di Milano. Una scelta che ha cercato di esprimere un percorso adatto al luogo e certamente rappresentativo dei modi interpretativi del trentaduenne pianista, nato a Barnaul in Russia nel 1991 e allievo anche di Alexei Lubimov importante interprete e didatta. Abituato all’uso dei pianoforti storici, con i quali ha vinto prestigiosi concorsi internazionali, qui si è trovato invece con uno strumento recente di ottima qualità, il classico Steinway & Sons. Clementi, Cimarosa e Scarlatti si sono alternati in un’ambiente particolare, dove la ridondanza acustica della sala favoriva le sonorità più “semplici”, definite da linee melodiche non coperte da più complesse armonie, conferendole quel senso “antico” particolarmente godibile. Le armonizzazioni più complesse di Clementi probabilmente meritavano un ambiente meno riverberante. Estrapolando le situazioni acustiche migliori per il pianoforte, abbiamo comunque assistito ad un eccellente concerto iniziato con Muzio Clementi e la sua Sonata in fa minore op.13 n.6, proseguento con tre Sonate di Domenico Cimarosa ( in Sol min., La min. e Si bem.maggiore) alternate a quelle di Domenico Scarlatti (K 35, K 147, K 77) e terminando con l’ evoluta Sonata in Sol minore op.34 n.2 di Clementi, lavoro questo – ma anche la prima – non minore per qualità della produzione sonatistica beethoveniana. Ottimo il pianismo di Shelepov, giocato su una sintesi discorsiva ottenuta da una totale interiorizzazione di ogni elemento musicale, con contrasti volumetrici e dinamici adeguati e approfondita esternazione nei momenti più riflessivi, unita ad una cura dei dettagli non comune. Di valore le due più corpose e contrastate sonate di Clementi, autentici capolavori che andrebbero eseguiti spesso nelle sale da concerto. Applausi sostenuti e come bis un’ottima interpretazione di un brano del russo Michail Ivanovič Glinka.
23-11-2023 Cesare GuzzardellaSuccesso per gli “Artisti in Residenza” della Società Dei Concerti milanese
Grande successo per il progetto Artisti in Residenza all’estero promosso dalla Fondazione La Società dei Concerti, che prosegue il proprio impegno a sostegno delle nuove generazioni di musicisti. Dopo i concerti in Germania, Islanda, Marocco, è stata l’Arabia Saudita a ospitare per quattro concerti tra Gedda (11 e 12 novembre) e Riad (14 e 15 novembre) gli Artisti in Residenza e in particolare i giovanissimi componenti del Quartetto Goldberg. Il tour è stato possibile grazie all’ accordo con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale e al lavoro congiunto con l’Ambasciata d’Italia a Riad e il Consolato Generale d’Italia a Gedda. A dare ancor più valore ai concerti del quartetto Goldberg è stata la partecipazione alla European Music Week che ha riunito musicisti e ensemble europei durante una settimana di grande musica nel prestigioso contesto del Saudi Music Hub a Riad. La European Music Week, organizzata dalla Delegazione dell’Unione Europea in collaborazione con le Ambasciate europee in Arabia Saudita è novità assolta e fin con la sua prima edizione, vuole introdurre e diffondere la ricchezza musicale europea al pubblico Saudita, ponendo le basi per collaborazioni culturali future tra Europa e Riad.Applauditissimi i musicisti del Goldberg, richiamati più volte sul palco dal numeroso pubblico presente e che hanno eseguito, tra l’altro, brani di importanti autori italiani da Boccherini a Verdi. La trasferta in Arabia Saudita è solo uno dei tanti momenti artistici che i ragazzi si trovano ad affrontare in questo percorso: ogni lunedì al Teatro Rosetum di Milano ospita a turno le esibizioni di questi giovani e promettenti talenti che si esercitano al contatto con il pubblico. Un grande successo anche per la Fondazione La società dei concerti che da oltre 40 anni lavora per la promozione e visibilità dei giovani talenti italiani. Una missione che ormai è il carattere fondamentale dell’organizzazione guidata con grandissimo impegno da Enrica Ciccarelli Mormone. ( Dall’Ufficio Stampa Società dei Concerti )
22 novembre 2023 dalla redazione Fedor Rudin e Boris Kusnezow alle Serate Musicali
Erano già venuti nel luglio del 2021 il violinista Fedor Rudin e il pianista Boris Kusnezow, entrambi moscoviti. Allora dicevamo:”un duo cameristico particolarmente classico, dove già dalle prime note è emerso un equilibrio interpretativo di alto livello: chiarezza espressiva, controllo delle dinamiche e rispetto dei rispettivi ruoli, sono emersi in modo evidente in tutti i brani“. Anche ieri sera, nel concerto ancora organizzato da Serate Musicali, ribadiamo queste caratteristiche, in un repertorio questa volta ancora più moderno. Due brani di Edison Denisov (1929-1996) – nonno del violinista Rudin – e uno di Prokofiev (1891-1953), erano la parte più preponderante della serata. In aggiunta, a metà percorso, un Mozart (1756-1791) con la Sonata per violino e pianoforte in sol maggiore n.18 KV 301 eseguita con grande equilibrio e rigore classico. Ma è nei brani del ‘900 che abbiamo trovato uno spessore interpretativo ancora più interessante. In Denisov con la Sonata per violino e pianoforte, brano del 1960, e con i Tre pezzi da concerto del 1958, abbiamo trovato influenze che vanno da Stravinskij, soprattutto nella sonata, a Prokofiev, in antrambi i lavori. Una scrittura varia, a volte melodica e spesso ricca di ritmica incisiva, dai colori molto russi, espressa in modo impeccabile dal duo, con un’intesa ottima e con volumetrie mai eccessive. Anche la rara ma efficace Sonata per violino e pianoforte in fa minore n.1 op.80 di Prokofiev è stata resa con efficace espressività dal duo. Un brano nel tipico stile del grande musicista russo Applausi sostenuti dai pochi fortunati ascoltatori presenti in Sala Verdi e due bis concessi: prima ancora Mozart con un elegante movimento centrale della Sonata KV 454, poi un omaggio del nipote Fedor al nonno Edison Denisov con l’esecuzione di una breve ma deliziosa Sonatina manoscritta ritrovata solo tre anni fa e restituita con intensa espressività. Splendida serata. ( Foto di Alberto Panzani- Uff. Stampa Serate Musicali)
21 novembre 2023 Cesare GuzzardellaTra due grandi compositori classici la musica di Orazio Sciortino allo Spazio-Teatro 89 di Milano
Un concerto di ottima qualità musicale quello offerto ieri pomeriggio allo Spazio Teatro 89 di Via Fratelli Zoia a Milano. Un programma pianistico classico con brani di Schubert e Haydn è stato inframmezzato da un lavoro recente del compositore siciliano Orazio Sciortino. Al pianoforte lo stesso Sciortino- nella vita anche direttore d’orchestra e appassionato di cucina- , ha rivelato timbriche raffinate e profondità di pensiero nei classici ed elevate qualità compositive nella sua valida composizione. La denominazione “Percorsi diversi- viandanti e viaggiatori fra realtà e immaginazione” scelta per il concerto ha correttamente individuato il percorso intrapreso che partendo dai noti Drei Klavierstücke D 946 di Franz Schubert (1797-1828), composti nell’ultimo anno di vita del genio viennese, e terminando con l’ultima Sonata di Franz Joseph Haydn (1732-1809), quella in mi bem maggiore Hob 52, ha trovato a “metà viaggio” le Promenades: 7 passeggiate immaginarie per sopravvivere a una quarantena, un ottimo lavoro in sette parti composto nel 2020 da Sciortino (1984) durante il primo anno di pandemia. Pianista classico in Schubert e Haydn, Sciortino ha rivelato un pianismo di alto livello, molto attento all’equilibrio complessivo delle composizioni, riflessivo ed espressivo nel bel suono controllato e dimamicamente ricco di delicati contrasti. Le sue Promenades hanno rivelato varie influenze dei maestri del ‘900, da Massiaen a Ligeti ad altri ancora, ma con un impronta complessiva personale giocata su evidenti contrasti dinamici: dalle timbriche più scandite di Awakenin-Risveglio e di Unconscious Rag– Inconscio Rag, alla pacata circolarità di Circular Waltz e ai ritmi ben scanditi di Saltarello. Maggiore riflessività negli ultimi tre lavori: Pain Chain, A day dies dancing darkening e Circular thoughts. Sette momenti musicali di raffinata musica che anche al primo ascolto si rivelano di ottima qualità. Applausi meritatissimi e come bis un rarissimo ed intenso brano del compositore boemo Josef Suk, la prima dalle Summer Impressions op.22b, At Noon.
20 novembre 2023 Cesare GuzzardellaL’Atelier musicale alla Camera del lavoro
Prosegue settimanalmente la stagione musicale alla Camera del lavoro milanese presso l’Auditorium “G.Di Vittorio”. Ieri per L’Atelier musicale, rassegna concertistica arrivata al XXIX° anno, con programmi particolarmente vari che spaziano dalla musica jazz, alla classica, alla contemporanea, abbiamo ascoltato un valido duo formato dal giovane violinista Roberto Arnoldi e dal pianista Fabio Locatelli. L’impaginato prevedeva musica di compositori viventi quali Mauro Porro (1956), Natale Arnoldi (1960), Edoardo Bruni (1975) e Andrea Talmelli (1950), ad eccezione di Franco Alfano (1876- 1954) del quale è stata eseguita ad introduzione la sua corposa Sonata in re (1923), rara composizione di indubbia qualità che trova riferimento ad autori suoi contemporanei quali Debussy o Ravel. L’ottima esecuzione del duo ha rivelato la valida cifra espressiva dei due strumentisti. Ma è con i brani contemporanei, introdotti da Paolo Repetto, ma anche approfonditi da due dei compositori presenti in sala quali Arnoldi e Talmelli, che il duo cameristico ha rivelato l’ottima attitudine alla musica dei nostri giorni. Prima il brano “Poi si illuminò” di Porro, quindi tre brevi ed interessanti lavori di Natale Arnoldi – padre del violinista-, hanno dato un’impronta di valida qualità al concerto. Sia i Capricci IV e V per violino solo , brani di Arnoldi che si rifanno ai noti capricci paganiniani, che Praeludium per pianoforte, sempre di Arnoldi, e tratto dal Preludio n.12 del bachiano Clavicembalo ben Temperato (Volume II), hanno rivelato l’ottima fattura costruttiva ed espressiva del compositore. Valida anche La Suite Modale per violino solo di Bruni ai confini tra tonalità e atonalità, e il conclusivo brano di Talmelli, Composizione VIII 2.0 per violino e pianoforte, presentata dal compositore stesso e resa ottimamente dal duo. Un brano questo di particolare interesse, dalle timbriche marcate che ricordano certo espressionismo. Applausi fragorosi dai presenti in Auditorium e un ottimo bis con Ottorino Respighi e la sua nota originale Humoresque. Prossimo appuntamento per Sabato 25 novembre con l’Umberto Petrin Trio.
19 novembre 2023 Cesare GuzzardellaAPERTO A VERCELLI CON BENEDETTO LUPO IL VIOTTI FESTIVAL DEL BICENTENARIO VIOTTIANO
Ieri sera, sabato 18/11, al Teatro Civico di Vercelli, è stata inaugurata la stagione del Viotti Festival 2023/24, la XXVI. Una stagione speciale: nel 2024 ricorre infatti il bicentenario della morte appunto di G.B. Viotti, nato in un borgo vicino Vercelli, Fontanetto Po, e perciò considerato a tutti gli effetti vercellese. Dunque una stagione che si preannuncia ‘stellare’, per dovizia di concerti di alto livello, con solisti prestigiosi, che sono comunque sempre più, col volgere degli anni, divenuti prerogativa di questo meraviglioso cantiere musicale che è il ViottiFestival, con la sua orchestra, la Camerata Ducale, sempre più ringiovanita in tutte le sezioni strumentali, coi suoi impareggiabili Cristina Canziani, pianista e infaticabile Direttrice artistica della Camerata Ducale e il Maestro Guido Rimonda, violinista, Direttore d’orchestra, nonché studioso appassionato dell’opera di Viotti, di cui si può considerare oggi uno dei più esperti conoscitori a livello internazionale. Grazie a loro il ViottiFestival è diventato oggi un insostituibile punto di riferimento per gli amanti della musica del Piemonte orientale, e non solo, come riconosciuto autorevolmente da un’importante trasmissione radiofonica quale Radio Rai tre Suite, che ha dedicato alla Ducale una recente trasmissione in prima serata. E questo XXVI Festival omaggia Viotti con una particolarità nella programmazione dei concerti: in tutti i concerti previsti vi sarà almeno un‘opera o un brano di un’opera del grande Vercellese. Di notevole interesse e intelligente impostazione il programma di questa serata di debutto del Festival: un programma che, in primo luogo, comprendeva, com’era da attendersi, una composizione di G.B.Viotti, rappresentata ieri sera dall’Adagio del Concerto per pianoforte e orchestra in Sol maggiore Wla:7. In verità si tratta propriamente di una trascrizione per pianoforte di un concerto per violino, opera del compositore ceco Dussek, coevo e amico di Viotti: non si tratta, per quanto ne sappiamo, dell’unico esempio di trascrizione di un concerto di Viotti: altre ve ne sono, a testimonianza della popolarità di cui godé il musicista di Vercelli ai suoi tempi. Questo brano è stato sapientemente contestualizzato nella sua epoca, proponendo composizioni di autori come L. Cherubini, con l’Ouverture da concerto in Sol maggiore (1815), L.van Beethoven, col Concerto per pianoforte e orchestra in Do maggiore n.1 op.15, e M. Clementi con la sua Sinfonia più nota, anche se raramente eseguita, la n.3 in Sol maggiore, conosciuta come “The Great National”. Dunque un percorso che si snoda attraverso la musica strumentale italiana in un periodo cruciale, tra Rivoluzione e Restaurazione, subito prima che essa ceda il primato alla musica vocale del Teatro d’Opera, e, pur con la sua irriducibile peculiarità, capace di influenzare la contemporanea musica europea, anche grazie alla fitta rete di contatti che i nostri musicisti ebbero con l’Europa: ne sono esempio proprio i tre autori eseguiti ieri sera, due dei quali , Viotti e Clementi, morirono in Gran Bretagna, Cherubini a Parigi, nientedimeno che come Direttore del Conservatorio. Non certo a caso Beethoven, il geniale esponente di quell’altra cultura musicale che dominerà in Europa per circa un secolo nel campo della musica strumentale, non nascose la propria ammirazione per Viotti e per la musica pianistica di Clementi . Ma la serata regalava al pubblico un altro dono prezioso: uno dei più grandi pianisti italiani d’oggi, quel Benedetto Lupo, che ormai dal lontano 1989, quando ottenne un’importante affermazione al prestigioso concorso van Cliburn, è divenuto uno degli interpreti più ammirati, anche fuori d’Italia, della musica pianistica. Il XXVI ViottiFestival si è dunque aperto con l’Ouverture da Concerto di Cherubini, perfettamente adeguata a tale ruolo di apertura, col suo tono di scultorea solennità neoclassica, soprattutto nel tema introduttivo. Ma la compostezza neoclassica vibra dei primi fermenti di un nuovo clima musicale, romanticamente ispirato, che imprime a questa Ouverture un andamento fatto di contrasti tra momenti di impeto quasi beethoveniano e altri di più limpida e distesa melodiosità. Guido Rimonda, alla testa della Camerata Ducale ha fornito di quest’opera del compositore fiorentino un’ottima interpretazione, valorizzandone i suggestivi chiaroscuri con una efficace gestione dei piani dinamici e della timbrica., con puntuali scelte agogiche, sostenute da una energia ben calibrata nei momenti di maggior tensione emotiva. L’interpretazione che Lupo ha fornito del Concerto n.1 di Beethoven ha toccato vertici di rara bellezza. La sensibilità infallibile che guida il suo fraseggio e l’equilibrio perfetto tra dominio tecnico della tastiera ed abbandono emotivo, hanno illuminato questa partitura di una bellezza davvero coinvolgente. Il suono di Lupo, sempre timbricamente vario e finissimo nelle dinamiche, è subito apparso in tutta la sua meravigliosa tessitura fin dal suo ingresso nell’esposizione dell’iniziale Allegro con brio, un ingresso delicato, di limpida calma, che nel fraseggio di Lupo si carica di dolce distensione e di un colore di raffinata tessitura, che nel corso del successivo sviluppo sa farsi densa e brillante, con una ricchezza e ‘rotondità’ di suono piacevolissimi all’ascolto, anche nel tema principale, di schietto sapore ‘militare’, secondo una moda tipica dell’età napoleonica. Per riconoscimento unanime, il vertice di questo concerto beethoveniano è il Largo centrale, uno degli esiti più alti del c.d. ‘primo stile’ del grande di Bonn. Tutte le qualità dello stile interpretativo di Lupo vengono esaltate dal colore morbido e suggestivo che nasce dal dialogo coi fiati e in particolare coi clarinetti, su cui Beethoven impernia il movimento. Il primo tema di questo magico Largo è esposto proprio dal pianoforte, con un’arcata melodica, abbellita da gruppetti e trilli, che Lupo sfrutta sapientemente per colorire di una delicata aura lirica lo splendido motivo. E’ proprio questo carattere introspettivo del secondo movimento, che Lupo esplora in tutta l’iridescente varietà delle sue sfumature e ombreggiature, timbriche e dinamiche, che tocca vertici di ineffabile lirismo nel ‘notturno’ successivo alla ripresa e nel rinnovato dialogo tra pianoforte clarinetto, in una delle più memorabili ‘code’ che Beethoven abbia scritto per i suoi concerti. La perfezione di tutti i parametri di un’esecuzione pianistica, con cui Lupo interpreta il finale, gioioso Rondò, conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che con Benedetto Lupo ci troviamo di fronte ad un pianista che, con un’ espressione oggi di moda, dobbiamo considerare ‘di riferimento’. Sappiamo bene che ogni confronto e richiamo a grandi esempi di un passato ormai lontano lascia il tempo che trova, però ci sentiamo di dire che in alcuni momenti ci è parso di risentire almeno l’eco del suono di A. Benedetti Michelangeli. Ovviamente l’eccellente qualità interpretativa di questo concerto n.1 di Beethoven è stata anche dovuta all’ottima direzione di Rimonda, che ha saputo valorizzare al meglio sia la scintillante coloratura timbrica dell’Allegro con brio e del Rondò,, sia il colore più attenuato e sfumato del Largo, con scelte agogiche e dinamiche sempre pienamente azzeccate e guidando con la sapienza dello scaltrito interprete il dialogo tra orchestra, e in particolare i fiati, e il pianoforte. L’Adagio del concerto per pianoforte di Viotti-Dussek è un pezzo molto breve, di luminosa melodiosità , soffusa di una sottile vena di malinconia, appena increspata da un inciso ritmicamente più mosso, quasi un sussulto dell’anima. Non essendo stato disponibile un programma di sala (come mai?), ignoriamo a quale concerto appartenga questo Adagio e dunque la sua datazione, tuttavia ci sembra l’opera di un Viotti che unisce cantabilità italiana e i primi fermenti di un sorgente romanticismo. Lupo non ha concesso bis e dopo l’intervallo la serata si è chiusa con la sinfonia n.3 Great National. Essa appartiene al gruppo delle 4 sinfonie c.d. ‘della maturità’, perché composte a Londra (dopo i due soggiorni di Haydn tra 1791 e 1795). Le partiture di queste sinfonie ci sono giunte in condizioni precarie e ciò che oggi ascoltiamo si deve in gran parte alla ricostruzione del pianista e musicologo Pietro Spada. Al di là dell’impeccabile esecuzione di G. Rimonda e della Camerata Ducale, questa sinfonia di Clementi ci è parsa francamente mediocre: improntata ad una pomposità tutta esteriore, sottolineata dai frequenti interventi del trombone, e culminante nella insistita evocazione dell’inno nazionale inglese (da qui il titolo) si svolge in un succedersi dei temi prolisso e ripetitivo sino alla monotonia, senza che il materiale musicale e il suo svolgimento siano mai illuminati da un guizzo di fantasia, da un qualche momento di invenzione e di originalità. Di un certo interesse è, in questa sinfonia, la presenza di frequenti passaggi in contrappunto, tecnica che Clementi ebbe sempre cara. Per il resto, si tratta di una composizione che conferma pienamente, a nostro avviso, lo sprezzante giudizio di Mozart sulle sonate pianistiche di Clementi ( e in questo caso un po’ troppo duro): “mecanicus”, definì Mozart il musicista italiano, e il termine non abbisogna, crediamo, di spiegazioni. Di fronte a questa sinfonia sorge spontanea la domanda: perché una cultura musicale ancora viva nella musica strumentale, che fornisce ancora modelli a un genere quale il concerto, soprattutto per violino, una volta esauritasi la forma del Concerto grosso, non fu capace di misurarsi col nuovo genere della Sinfonia? Gli applausi del pubblico, vicino al ‘tutto esaurito’ e con molti giovani e giovanissimi in platea, hanno indotto Rimonda a concedere un bis, il Minuetto della ‘Great National’. E’ stato un concerto di grande successo, il primo di una lunga serie.
19 novembre 2023 Bruno BuscaBookcity Università 2023 in Conservatorio tra letteratura e musica
Ottima l’iniziativa che ha unito il Conservatorio milanese con Bookcity Milano 2023, la fortunata rassegna di lettura e libri che da alcuni anni ritorna puntualmente a Milano. In Sala Puccini Luca Schieppati e Stefania Mormone hanno introdotto la lunga serata musicale presentando alcuni dei migliori studenti del Conservatorio milanese in un percorso di brani legati al tema di quest’anno scelto per Bookcity: Il tempo del sogno. Schieppati ha spiegato bene la scelta dei brani in programma legati ad un tema che unisce con coerenza il mondo della lettura a quello dei suoni. Lavori di Schumann, Liszt, Ravel, Debussy, Čaikovskij, Brahms, Pärt, Ligeti sono stati ottimamente interpretati dai giovani protagonisti rispettivamente nei nomi di Guercio, Fadda, Terulli, Billone, Pilotti, Busani, Nascimbene, Petrella, Pusterla, Lorenzo e Canino. Circa due ore e mezza d’ intensa musica eseguita ininterrottamente. Segnaliamo almeno alcune interpretazioni dei giovani, tutti comunque meritevoli d’attenzione. Di Schumann Papillons op.2 eseguita con trasparenza dalla giovanissima Emma Guercio; di Ravel Une barque sur l’ocean interpretata con leggerezza timbrica da Bruno Billone e Alborada del Gracioso eseguita con incisività da Giovanni Pilotti. Di eccellente e meditata resa coloristica sia Variationen zurGesundung von Arinuschka di Avo Pärt eseguita da Diego Petrella che Arc en Ciel, Studio di György Ligeti interpretato da Renzo Pusterla. Ottime anche le tre Images dal libro 2 di Debussy scelte da Gaia Lorenzo e la selezione da Kreisleriana di Schumann di Andrea Canino espressa con valida sintesi discorsiva. Una serata di qualità che meritava una sala stracolma di pubblico.
17 novembre 2023 Cesare GuzzardellaIl Quartetto Noûs e la pianista Golda Vainberg-Tatz per la Società dei Concerti
“Tesori rivelati”, questa la denominazione data al concerto ascoltato ieri sera in Conservatorio per la Società dei Concerti. Due rarità cameristiche quali il giovanile Quartetto in la minore op. 13 di Felix Mendelssohn (1809- 1847) e il Quintetto con pianoforte in fa minore op. 18 di Mieczyslaw Weinberg (1919-1996) sono stati eseguiti dal giovane Quartetto Noûs , nel secondo brano insieme alla pianista lituana Golda Vainberg-Tatz. Scritto a soli diciasette anni, l’op13 di Mendelssohn non ha ancora il linguaggio personale e inconfondibile del precoce compositore, ma rivela una capacità costruttiva notevole in tutti i quattro movimenti. Ottima la resa del quartetto Noûs, formazione nata nel 2011 e da allora con intensa attività concertistica in tutta Europa. Di maggiore resa emotiva, a mio avviso, il Quintetto con pianoforte del polacco, naturalizzato russo, Weinberg, musicista da alcuni anni moderatamente eseguito in Italia sia nel repertorio cameristico che in quello sinfonico. Influenzato dalla scuola russa, soprattutto dalla musica di Šostakovič, Weinberg ha composto il quintetto- probabilmente in prima esecuzione milanese -nel 1944, influenzato dal triste momento storico e certamente dal suo musicista prediletto, il citato Šostakovič. I cinque movimenti che compongono il brano presentano rilevanti contrasti accomunati da un linguaggio tonale ricco di idee timbricamente innovative con riferimenti anche alla più autentica musica popolare. La parte pianistica è stata sostenuta con perfezione tecnica e chiarezza espressiva da Golda Veinberg-Tatz, integrata molto bene nei tessuti timbrici degli archi. Il lavoro, anche se risente molto, specie per la ritmica incalzante, del grande compositore russo, ha un equilibrio complessivo ottimo e frangenti melodico-armonici piacevoli già dal primo ascolto. Applausi sostenuti dal pubblico, purtroppo in una Sala Verdi non al completo. Come bis la ripetizione di un raffinato momento centrale del Quintetto.
16 novembre 2023 Cesare GuzzardellaGrande direzione di Chailly nei Quattro pezzi sacri di Verdi e nella Sinfonia “Tragica” di Schubert
Meritato successo alla Scala alla seconda replica del concerto diretto da Riccardo Chailly. Gli attesi Quattro pezzi sacri di Giuseppe Verdi per Orchestra e Coro sono stati anticipati dallaSinfonia n.4 in do minore D 417 “Tragica” di Franz Schubert. Riccardo Chilly ha deciso d’inserire una sinfonia “giovanile” del grande musicista viennese che rappresenta un punto di contatto evidente con la melodicità lirica delle opere verdiane, essendo il lavoro ricco di melodie che sembrano appartenere al mondo dell’opera. La splendida direzione di Chailly e l’altrettanto resa degli orchestrali scaligeri è emersa soprattutto nei due movimenti laterali l’Adagio molto- Allegro vivace iniziale e l’Allegro finale, autentici gioielli per costruzione classica e liricità. La tragicità che denomina la sinfonia, è in realtà presente nell’incipit e nel tema pricipale del primo movimento, poi nel corso di tutti gli altri tempi il clima cambia in senso più positivo. Chailly ha trovato i giusti andamenti, spesso particolarmente sostenuti per delineare il percorso musicale e anche un ottimo equilibrio complessivo per esaltare la ricchezza di una sinfonia non molto eseguita, che abbisogna di un direttore di alta qualità per essere valorizzata. Dopo il breve intervallo, l’opera corale verdiana concepita dal Maestro di Busseto negli ultimi anni della sua vita, quando aveva concluso il ciclo operistico con il Falstaff, è reppresenta dai Quattro pezzi sacri. Due di essi sono per solo Coro – il primo, l’Ave Maria, è a Cappella per quattro voci miste, e il terzo, Laudi alla Vergine Maria, per sole voci femminili di soprano e contralto – , mentre il secondo, lo Stabat Mater, e il quarto, il Te Deum, necessitano del potenziamento volumetrico dell’orchestra. Chailly, coadiuvato nella preparazione corale da Alberto Malazzi, ha prodotto un risulto complessivo di altissimo livello, creando un equilibrio coloristico perfetto, anche nei rapporti volumetrici tra le voci polifoniche e la rilevante componente strumentale sostenuta benissimo da tutte le sezioni dell’orchestra nella quale primeggiano gli ottoni, spesso a sostegno delle sorprendenti voci del Coro. L’apprezzamento generale del pubblico che riempiva il Teatro alla Scala, ha generato interminabili applausi e numerose uscite in palcoscenico del direttore ed anche del Maestro Malazzi. Applausi a tutti i protagonisti, ed anche al soprano Barbara Lavarian, con parte solistica nel finale del Te Deum. Memorabile.
15 novembre 2023 Cesare Guzzardella
INAUGURATA LA NUOVA STAGIONE DEL FESTIVAL CANTELLI Al TEATRO FARAGGIANA DI NOVARA CON UN RECITAL DI SIMONE PEDRONI
Il festival Cantelli n.43 di Novara, promosso dall’Associazione Amici della musica V. Cocito, giunta al più che rispettabile settantasettesimo anno di attività, è stato inaugurato ieri sera, martedì 14 novembre, sul palcoscenico del Teatro Faraggiana, da un concerto di quello che possiamo considerare, dopo il Maestro Cantelli, il più affermato musicista novarese della storia recente, il pianista e direttore d’orchestra Simone Pedroni, primo e sinora unico italiano ad aver vinto la Gold Medal al concorso pianistico van Cliburn nel 1993. Il fatto che la serata inaugurale della nuova stagione del Festival Cantelli sia stata affidata al Maestro Pedroni è certamente dovuto alla sua fama e statura artistica, oltre che all’affettuosa stima di cui gode nella sua città natale, ma a questi, ovvi, si aggiunge un ulteriore motivo: il Maestro cui Pedroni si è sentito più legato sotto il profilo professionale e umano, vero suo punto di riferimento per la propria carriera pianistica, è stato il grande Piero Rattalino, venuto a mancare, ultranovantenne, ad aprile di quest’anno. Rattalino, proprio di questi tempi, lo scorso anno, inaugurava, con una coinvolgente lezione-concerto, insieme con la pianista Ilia Kim, sua moglie, la passata stagione del festival e il fatto che al suo posto, quest’anno, ci sia il suo miglior allievo, è una circostanza non certo casuale. Pedroni eredita da Rattalino e naturalmente interpreta con personale originalità, una concezione del pianismo ( e in generale della musica), che il Maestro scomparso espose con toni appassionati anche in occasione del concerto novarese di un anno fa: un pianismo che non si risolve in pura abilità tecnica, ma sappia dare voce al mondo delle emozioni, degli stati d’animo, dei nodi esistenziali dell’uomo, di cui ogni arte, e la musica in grado supremo, è espressione. La dice lunga, a tal proposito, il titolo prescelto (immaginiamo) da Pedroni per il concerto di ieri sera: “Alla ricerca delle emozioni perdute”. Il programma proponeva, com’ è nelle abitudini del Maestro novarese , un percorso molto ampio, attraverso numerosi autori dal ‘700 all’età contemporanea, un percorso pensato con intelligente coerenza, il cui filo rosso era appunto la capacità del pianoforte, e soprattutto del pianista, di aderire, col suono, ai moti vari e mutevoli, nella ricchezza infinita di sfumature, di quell’esperienza interiore che siamo soliti definire ‘emozione’. Questo percorso di ‘ricerca delle emozioni’ presentava un altro punto d’interesse: esso proponeva, infatti, accanto a compositori tra i più celebri della Storia della musica, tra i quali spiccava per numero di pezzi Rachmaninov, cui era dedicata l’intera seconda parte del recital di Pedroni, in buona compagnia con Bach, Gluck, Mozart, Grieg, anche autori consegnati dal tempo a un oblio che li ha resi assai rari, per non dire assenti, nelle nostre sale da concerto, quali Louis Daquin (1694-1772) che pure a suo tempo fu un celebre tastierista, cioè organista e clavicembalista, tanto da rivaleggiare con Rameau, o Louis Moreau Gottshalk (1829-1869), pianista e compositore statunitense, che pure ebbe il suo quarto d’ora di celebrità, l’inglese Cyril Scott (1879-!970). Benissimo ha fatto a nostro parere Pedroni a trar fuori questi c.d. ‘minori’, includendoli nella sua ‘ricerca’, perché un concerto deve anche proporsi come occasione di scoperte, di recupero di opere e autori che il tempo, non sempre giustamente, ha consegnato alle tenebre dell’ignoto. Per completare il quadro di questo vasto programma, diremo che esso proponeva all’inizio uno dei compositori italiani d’oggi più celebri, non solo per la qualità della sua opera, ma anche per la sua presenza radiofonico-televisiva in importanti trasmissioni musicali e per la direzione del festival MITO: parliamo, naturalmente di Nicola Campogrande. Noi però, non rispettando l’ordine di esecuzione previsto dal programma, partiamo con l’autore che abbiamo detto essere stato il più eseguito della serata, S. Rachmaninov. Il grande pianista e compositore russo fa la sua prima comparsa già nella prima parte del concerto, una lunga serie di pezzi brevi, tra cui la Gavotta dalla partita per violino solo n.3 in Mi maggiore BWV 1006, di J. S. Bach, nella nota versione pianistica composta, appunto, da Rachmaninov. Il pezzo è di quelli fatti apposta per esaltare la qualità peculiare del pianismo di Pedroni: il suo tipico tocco, morbido, duttile nella resa delle sfumature e diremmo delle venature del suono, accompagnato da un sapientissimo uso del pedale, e dal talentuoso dominio dei piani dinamici. In questa breve composizione la tavolozza dei colori emotivi virava decisamente su un tono di delicata dolcezza, con una sottile vena di patetismo, che la sensibilità del tocco di Pedroni e la sua capacità di illuminare le più segrete risonanze emotive del brano hanno reso particolarmente coinvolgente per lo spettatore. Ma Rachmaninov, si diceva, è stato il protagonista esclusivo della seconda parte del concerto. Dapprima con l’Elegia op.3 n.1, la composizione che apre i cinque Morceaux op.3 giovanili. Tipicamente tripartito, questo breve brano ha i suoi momenti di più alta ispirazione emotiva nelle due sezioni estreme, dove, su un ritmo meditativo, il tocco di Pedroni si carica di una tensione dolente, che conferisce alle note del canto un che di quel ‘pessimismo cosmico’, che lo stesso Pedroni, nella sua bella introduzione a questa parte del concerto, riconosce come tratto peculiare della musica del grande russo. La parte del leone, anche per la sua durata, in contrasto con tutti i brevi pezzi precedenti, l’ha avuta la Sonata n.2 op.36 in Si bem. Minore. Questo arduo capolavoro, che porta, come quasi sempre in Rachmaninov, a un grado estremo l’impegno tecnico dell’esecuzione, non è stato, nell’interpretazione del pianista novarese solo spettacolo virtuosistico, ma diremmo piuttosto un incanto di suoni. Pedroni ha proposto una particolare interpretazione del primo tempo di questo capolavoro, in netto contrasto con alcune interpretazioni ‘di riferimento’, come, per citare un esempio relativamente recente, quella di Lugansky: il Maestro novarese ha illimpidito e alleggerito il primo tema, fondendolo quasi con il secondo, più lento e cantabile e concentrando invece tutta l’energia agogica e timbrica sul terzo tempo, che, con il suo tono maggiore s’impone con il suo tono assertivo e quasi vittorioso. Pedroni ha spiegato che questa sonata va interpretata in chiave simbolico-allegorica, come la vicenda di un re che parte per la guerra, della regina in malinconica attesa e infine del trionfale ritorno dell’esercito e del re: non possiamo non confessare la nostra forte perplessità circa interpretazioni drammaturgico-allegoriche della musica; noi abbiamo ascoltato una splendida interpretazione della seconda sonata di Rachmaninov e tanto ci basta. E’ certo nel Lento centrale che Pedroni raggiunge l’apice della sua interpretazione, dando voce all’estrema varietà di ritmi, atmosfere, dinamiche e colori, di cui questa sezione della sonata è intessuta, ma sempre con quella splendida morbidezza di tocco, capace di far emergere da questa pagina l’emozione dominante di un delicato spleen, che non può non rapire l’ascoltatore. Una grande prova davvero, che ha degnamente coronato la serata. Continuando coi grandi, il nostro massimo apprezzamento va all’esecuzione della trascrizione per pianoforte, opera del nostro pianista e compositore ottocentesco Sgambati, di un celeberrimo pezzo settecentesco, la Danza degli spiriti beati nell’”Orfeo ed Euridice” di Gluck.Il titolo preciso indicato dal programma di sala è “Melodia da Orfeo ed Euridice” di Gluck-Sgambati.. L’ interpretazione di Pedroni sa tenere ben a freno ogni componente di facile sentimentalismo, cosa che non riesce a tutti gli interpreti, e rimane saldamente coerente col suo pianismo, che ce lo fa tanto apprezzare: dalla tastiera il Maestro novarese trae un suono sempre lucido, la cui morbidezza non si estenua mai in languore, ma va in profondità, a estrarne le più sottili venature emozionali, qui attraverso un gioco chiaroscurale sull’arcata melodica di rara suggestione. Sorprendente il balzo ad un pezzo di tutt’altro genere, anch’esso notissimo, e forse per questo un po’ banalizzato e cui difficilmente attribuiremmo particolari valenze emotive: stiamo parlando della Marcia alla Turca che chiude la sonata in La maggiore KV 331 di Mozart, presentata ieri sera come “Rondò alla Turca”. Dovrebbe però mettere in guardia l’ascoltatore, ad evitare letture banalizzanti e puramente scolastiche del brano, già il fatto, abbastanza singolare per l’epoca, che il brano finale di una sonata in tonalità maggiore, la concluda in tonalità minore. Ci aiuta a capire meglio questa ‘turcheria’ mozartiana, proprio l’interpretazione di Pedroni. In particolare le scelte ritmiche e timbriche, a nostro modesto avviso mirabilmente azzeccate, che conferiscono un qualcosa di lontanamente manieristico alla Marcia, richiamandoci alla memoria una bella pagina di Beniamino Dal Fabbro di molti anni fa, il quale, a proposito di questo finale Rondò, parlava di “un pianoforte tramutato in orchestrina orientale fitta di campanelli e di tamburelli” (citazione testuale). C’è insomma, in questo Rondò in ritmo di Marcia un qualcosa di straniante, di vagamente sinistro, alleggerito dalla misteriosa ironia mozartiana. Ancora una volta la musica evoca un’esperienza interiore indicibile se non coi suoni; ci sentiamo afferrati, trascinati non sappiamo verso dove da un flusso di suoni, dall’avanzare allegro, ma di un’allegria inquietante, di qualcosa di indefinito.. Non poteva mancare, in questa carrellata alla ricerca di emozioni perdute, ma conservate nella musica, un angolo riservato a Chopin. Quello di Pedroni è uno Chopin delicato, fatto di figurazioni melodiche che, anche nei casi di maggior brillantezza, come il jeu perlé che avvia a conclusione il primo valzer, in Re bem. Maggiore, tende alla figurazione melodica ripiegata in se stessa, e in cui il mondo sonoro è piuttosto affidato ai cromatismi, alle modulazioni che trasportano a tonalità lontane da quella d’impianto, quasi disegnando, al ritmo appena evocato della danza, il volo di una fantasia che tende a mete indefinite, come avviene in particolare nel terzo e ultimo valzer, in La bemolle maggiore. Diversa l’aura emotiva cui Pedroni dà voce con “Giorno di nozze a Troldhaugen”, uno dei pezzi lirici op.65 per pianoforte di E. Grieg. L’interpretazione di Pedroni, facendo leva sulla ricchezza di colori del brano, gioca sul contrasto tra l’atmosfera gioiosa delle due sezioni estreme, che a ritmo di marcia piena di sincera allegria popolare cantano la felicità delle nozze e dei riti ad esse collegati e la dolcezza intima e affettuosa della sezione centrale, in cui la delicatezza e la duttilità del tocco dell’interprete raggiungono risultati davvero alti. Accanto ai grandi e grandissimi, i ’minori’ hanno avuto il loro posto nell’ampio programma del recital di Pedroni. “Le coucou” di Daquin è un pezzo, di chiara natura clavicembalistica, che comporta un’esecuzione concentrata prevalentemente nelle zone centrali della tastiera, secondo le abitudini del tempo, con agilità, in particolare per la mano sinistra, che con il suo fitto tappeto sonoro, fa da sfondo al rintocco del verso del cuculo, con un gusto naturalistico tipicamente barocco. La limpidezza del suono di Pedroni, che sa raggiungere effetti di un’ avvolgente luminosità, dà qui voce ad un altro volto dell’emozione, il fresco, spontaneo abbandono alla natura Il brano di Gottshalk proposto ieri sera era “The Dying Poet (il poeta morente)”, sottotitolato “Meditation” E’ anche questo un pezzo breve, come tutti i precedenti, che risente palesemente dell’influenza di Chopin, senza grande originalità e consiste nella ripetizione di un motivo melodico-base, d’ispirazione inevitabilmente malinconica, con crescenti abbellimenti, che Pedroni suona con la consueta bravura tecnica e ispirazione, senza peraltro poterlo riscattare dalla sua insuperabile mediocrità. . A inizi ‘900 Cyril Scott venne considerato una specie di Debussy inglese per alcune caratteristiche del suo linguaggio musicale, indubbiamente innovative rispetto alla tradizione britannica. In realtà di Debussy, perlomeno in questo “Lotus Land”, il pezzo del 1905 proposto da Pedroni, c’è assai poco, dal punto di vista tecnico, se non qualche superficiale somiglianza. Il brano presenta il suo centrale motivo di attrazione per l’ascoltatore nel suo carattere sognante, rarefatto timbricamente e ritmicamente statico, salvo un’accelerazione agogica di glissando nella parte finale, che poi va gradualmente spegnendosi per sprofondare nel silenzio. Il tutto in un linguaggio ancora d’impianto tonale, ma avvolto come da una sottile nebbia che sembra avvolgerne il mondo sonoro. Pedroni esegue magicamente, osiamo dire, questo pezzo, sottolineandone proprio la sospensione estatica, le delicate sfumature di un suono che talora pare perdere, sotto le dita del pianista, ogni consistenza fisica. Qui l’emozione si fa sogno fuori dal mondo, contemplazione di un’altra dimensione, quasi visione da paradiso artificiale di baudelairiana memoria. Chiudiamo con l’opera presentata all’inizio, i “Tre Preludi” da viaggio, di Nicola Campogrande. Del 2021, tre brevi ‘schizzi’, intitolati rispettivamente “Appello urgente”,” L’arte di prendere posto”, “Elogio della discrezione”. Composizioni sostanzialmente legate alla tonalità, vivono della sapiente costruzione di ritmi e piani dinamici, che intendono aderire strettamente a esperienze interiori,quelle di chi sta per mettersi in viaggio, e che Pedroni rende mirabilmente con il suo tipico tocco, sensibile e delicato, e il talentuoso dominio delle dinamiche: il ritmo sostenuto e incalzante dell’Appello, quello al contrario lento, quasi sospeso, del secondo pezzo, o il tono sommesso, vagamente ironico dell’Elogio della discrezione, sono stati interpretati da Pedroni con una raffinata capacità di adesione ai vari stati d’animo che il mondo sonoro costruito dall’autore ha saputo efficacemente evocare. Un bellissimo concerto, che ha pienamente raggiunto il suo obiettivo di coinvolgere il pubblico in una continua avventura emotiva, attraverso il mondo dei suoni. Trascinato dal tributo di applausi del pubblico, Pedroni ha proposto due bis: il ‘Tema d’amore’ dalla colonna sonora di Nino Rota per il film di Zeffirelli Romeo e Giulietta, e una mazurka di Chopin, entrambi, quasi inutile dirlo, splendidamente eseguiti. Un concerto da ricordare, come tanti di quelli organizzati dagli Amici della Musica novaresi.
15 novembre 2023 Bruno BuscaIl trio di Lonquich per i trii di Schumann alle Serate Musicali del Conservatorio
Un programma di raro ascolto ma di grande interesse quello ascoltato ieri sera al concerto organizzato da “Serate Musicali” in Conservatorio. La produzione per trio di violino, violoncello e pianoforte di Robert Schumann è stata interpretata dall’ottima formazione cameristica formata da Lorenza Borrani, violino, Ursina Braun, violoncello e Alexander Lonquich al pianoforte. Sono tre trii, l’Op.63, l’Op.80 e l’Op 110, composti dal musicista tedesco in età matura, a partire dal 1847, quando Schumann aveva oltre trentacinque anni e aveva già composto straordinari capolavori. I tre trii, naturalmente nei classici quattro movimenti, rappresentano un’ulteriore sviluppo della poetica romantica schumanniana in termini di complessità con varietà melodiche e soprattutto armoniche ardite, in contesti di forti contrasti che vanno dalle più esplicite esternazioni timbriche, alle più profonde situazioni intimistiche. L’ottimo livello del trio, con la componente armonica delineata dall’esperienza consolidata del noto pianista tedesco Lonquich, ha portato ad una valida resa interpretativa anche dalle più giovane soliste in situazioni di ampia creatività. L’esuberanti esternazioni della Borrani al violino e della Braun al violoncello, ottimamente inserite nelle sonorità del pianoforte, hanno esaltato le geniali architetture musicali di Schumann. Molto pregnanti d’espressività tutti i movimenti, con andamenti di profonda resa timbrica nei momenti più riflessivi dei rispettivi trii. Un’interpretazione complessiva molto piaciuta al pubblico presente in Sala Verdi che ha tributato al termine fragorosi applausi. Altrettanto di qualità il bis concesso ancora di Schumann con un brano, il n.3, dai Pezzi fantastici.
14 novembre 2023 Cesare GuzzardellaEliana Grasso ai Lieti Calici degli Amici del Loggione del Teatro alla Scala
La fortunata rassegna musicale denominata Lieti Calici organizzata da Mario Marcarini agli Amici del Loggione di via Silvio Pellico 6 ha visto questa mattina protagonista la pianista torinese Eliana Grasso. L’impaginato scelto prevedeva brani di Bach, Chopin, Liszt e Casella, un percorso pianistico in ordinato senso storico che dal primo Settecento barocco arrivava, passando per il Romanticismo, al primo Novecento con un compositore un po’ dimenticato quale Alfredo Casella. La maggior parte dei brani erano certamene noti ai più appassionati di musica per tastiera, come i due Preludio e fuga dal Clavicembalo ben temperato di Bach (dai volumi 1 e 2) che hanno introdotto il breve concerto. La pianista stessa ha presentato con competenza i brani e dopo l’ottimo Bach, ben scandito dalla Grasso con indubbie qualità tecnico-espressive, tre lavori di Fryderyck Chopin hanno rivelato l’attitudine dell’interprete al periodo romantico. Prima il noto Notturno postumo in do diesis minore, reso ancor più celebre dal fortunato film di Roman Polanski “Il Pianista”, è stato eseguito con notevole espressività e perfetto equilibro formale; quindi due virtuosistici Studi di Chopin dall’op.10 e dall ‘op.25, i rispettivi n.ri 12 in do minore, hanno rivelato l’ottima impalcatura discorsiva della torinese e la sua minuziosa attenzione al dettaglio. Il brano successivo, di maggiore respiro e altamente virtuosistico era di Franz Liszt con Vallée d’Obermann tratto da una serie degli Annees de pelerinage. La complessità lisztiana è stata ben sostenuta per una resa analitica ben definita ed inquadrata nel complessivo delle variegate dinamiche. Il brano conclusivo di Casella, tra i più (relativamente) conosciuti, era ancora all’insegna delle abilità tecniche: la sua Toccata in do diesis minore op.6 , orientata tra stile romantico e stile neoclassico. Meritati gli applausi al termine e ancora Chopin nel bis concesso con il celebre Valzer Op.69 n.1. Il classico brindisi con vini di eccellente qualità e piacevoli stuzzichini annessi ha concluso la bellissima mattinata.
12 novembre 2023 Cesare GuzzardellaLa Filarmonica Arturo Toscanini diretta da Omer Meir Wellber al Festival Mahler milanese
Il “Festival Mahler” procede all’Auditorium milanese. Questa volta abbiamo ascoltato l’Adagio in fa diesis maggiore dalla Sinfonia n.10, i Ruckert-Lieder per voce e orchestra e a conclusione una trascrizione del compositore boemo-viennese della Sinfonia n.4 in re minore di Robert Schumann. La Filarmonica Arturo Toscanini – formazione parmense ospite del Festival – ha trovato nel tardo pomeriggio di ieri la bacchetta di Omer Meir Wellber , mentre la parte solistica per cinque lieder composti da Mahler tra il 1901 e il 1904, hanno rivisto in palcoscenico il baritono tedesco Christoph Pohl, dopo il successo ottenuto nell’altro ciclo liederistico , quelli de “Il corno magico del fanciullo”. Il quarantaduenne direttore israeliano ha ottimamente introdotto il concerto con l’Adagio della Decima, primo e unico movimento interamente completato da Mahler tra il 1910 e il 1911, ultimo anno di vita del compositore-direttore Un’interpretazione quella di Omer Meir Wellber di qualità, restituita con minuziosa resa dalla Filarmonica parmense. I Ruckert-Lieder hanno poi ritrovato la voce baritonale ben impostata e raffinata per chiarezza timbrica di Pohl, coadivato benissimo dagli orchestrali. Applauditissimo il cantante uscitoripetutamente in palcoscenico. Dopo il breve intervallo notevole qualitativanente la Sinfonia n.4 “Renana” schumanniana rivisitata da Mahler. Ultima delle sinfonie del compositore tedesco, la “Renana” è certamente la più eseguita. Omer Meir Wellber l’ha diretta con tempi piuttosto rapidi ma rivelando un eccellente equilibrio complessivo per una restituzione chiara e dettagliata dei quattro movimenti eseguiti senza soluzione di continuità. Un’interpretazione di alto spessore musicale apprezzatissima dal numeroso pubblico presente in Auditorium. Applausi calorosissimi e un inaspettato bis con un’esemplare Intermezzo Sinfonico dalla Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni. Successo stra-meritato.
12 novembre 2023 Cesare GuzzardellaL’amore dei tre re di Italo Montemezzi alla Scala
A distanza di settant’anni dalla precedente messinscena il Teatro alla Scala ha ripescato un titolo sconosciuto ai più, quel “L’ amore dei tre re” che il musicista veronese Italo Montemezzi compose nel 1913 e il direttore Tullio Serafin portò nello stesso anno al successo proprio alla Scala. L’opera tragica, in tre brevi atti, è su libretto di Sem Benelli e narra una vicenda oscura che si conclude con la morte di tre dei quattro principali protagonisti. Un dramma certamente lontano da una visione attuale del mondo più evoluto, ma non lontano da certi fatti accaduti anche recentemente in situazioni di “possesso” della vita altrui. Il libretto, un po’ povero, anche linguisticamente, di Benelli ha trovato un regista noto come Àlex Ollé del gruppo La Fura Dels Baus che con l’ausilio delle scene di Alfons Flores, i costumi di Lluc Castells e le luci di Marco Filibeck, ha cercato una soluzione espressiva alla cupa vicenda. Ma è probabilmente la valida musica di Montemezzi, orchestrata molto bene dal direttore Pinchas Steinberg, che rende nel complesso accettabile l’opera di Montemezzi. Con il suo sinfonismo operistico, trova riferimenti a Puccini, Wagner, Debussy e certo Respighi, e pur non avendo una spiccata personalità, rivela comunque capacità compositive non indifferenti che andrebbero riscoperte nella sua produzione più ampia . È la musica che, a mio avviso, sorrege strutturalmente il lavoro. Le voci protagoniste, complessivamente valide, hanno assolto al non facile compito di gestire una vicenda che si dipana spesso con monotonia. Evgeny Stavinsky, Archibaldo, delinea molto bene anche attorialmente l’anziano cieco, padre di Manfredo, l’ottimo Roman Burdenko. La voce femminile protagonista, Chiara Isotton, Fiora, svolge bene il suo ruolo di donna costretta a convivere con un marito – Manfredo- che non ama. L’amante di Fiora, Avito nella voce timbricamente valida di Giorgio Berrugi, a volte manca di voluminosità. Buone le altre voci. Il contesto scenico risulta migliore nel terzo atto, mentre nei primi due, quella serie infinita di catene in verticale soffocano i protagonisti in un labirinto, simbolicamente valido, ma esteticamente nebuloso e claustrofobico. Ottima l’ampia parte corale del terzo atto preparata da Alberto Malazzi. Ultima replica prevista per il 12 novembre. ( Foto di Brescia e Amisano – Archivio Scala)
11 novembre 2023 Cesare GuzzardellaIl pianista spagnolo Josu de Solaun all’Università Cattolica milanese
“Il Pianoforte in Ateneo”, la manifestazione musicale dedicata al pianoforte è tornata all’Università Cattolica del Sacro Cuore con l’ultimo appuntamento della Stagione. Ieri sera abbiamo ascoltato alla tastiera del prestigioso Shigeru Kawai le mani dello spagnolo Josu de Solaun. La Kawai Italia e l’Università Cattolica e i promotori della rassegna, il Maestro Davide Cabassi e il Prof. Enrico Reggiani, direttore dello Studium Musicale di Ateneo, sono ancora riusciti a portare un talentuoso protagonista degli 88 tasti, questa volta poco conosciuto in Italia e per la prima volta presente a Milano, pur essendo un virtuoso di alto profilo come dimostrato nell’esaustivo concerto proposto. L’impaginato sembrava costruito a misura della sua sensibilità d’interprete. Josu de Solaun, pianista iberico è salito sulla scena internazionale vincendo il prestigioso Concorso George Enescu di Bucarest. L’eccellente pianoforte, purtroppo nelle timbriche non assistito pienamente dai volumi riverberanti della bellissima Aula Magna, ha comunque messo in risalto le qualità dell’interprete che ha inserito nel programma brani di Chopin, Liszt, Debussy, Granados e De Falla. Una serie di lavori di grande virtuosismo dove l’elemento coloristico ha una valenza preponderante. Il potente impatto iniziale con l’Allegro de concierto in do diesis maggiore op.46 di Granados ha da subito rivelato la valenza interpretativa di un virtuoso schietto, dotato di evidente estemporaneità nel delineare gli intrecci melodico-armonici del brano, suffragato da una appariscente sicurezza digitale che risolve con facilità ogni difficoltà tecnica. Le ottime escursioni dinamiche e la valida resa espressiva si sono riscontrati in tutti i brani. Dopo l’estrovera Granados, il Notturno op.62 n.1 di F. Chopin ha creato un’atmosfera più riflessiva, interrotta dalle magie virtuosistiche del Mephisto Waltz n.1 di Franz Liszt, reso con accurata precisione di dettaglio. Ottime poi le timbriche dei tre brani di Claude Debussy, estrapolati dai Preludes, quali Ondine, Feux d’Artifice e Minstrels e concludendo con una stravolgente e rara Fantasia Bética di Manuel de Falla dove è ancora emersa, dopo il primo Granados, l’evidente affinità di Josu de Solaun con i musicisti della sua terra. Un concerto pieno di pathos, applauditissimo dal numeroso pubblico presente. Una serata che inizialmente era stata introdotta dal M.tro Cabassi, con un esaustivo approfondimento musicologico del prof.Reggiani. Di ottima qualità anche l’eccellente bis concesso con ancora un brano di Granados da Goyescas op.11, il n.4.
10 novembre 2023 Cesare GuzzardellaOlga Kern alla Società dei Concerti per un tutto Rachmaninov
Ha scelto il suo amato Rachmaninov la pianista moscovita naturalizzata statunitense Olga Kern. L’impaginato ascoltato ieri sera in Conservatorio, denominato “Omaggio a Rachmaninov”, ci ha riservato il virtuosismo del grande compositore russo, mediato da una pianista che da moltissimi anni è ospite privilegiata della “Società dei Concerti” milanese e ottiene da sempre il meritato successo. Dopo il suo concerto pomeridiano, tenuto sempre in Sala Verdi, ha ripetuto il programma alla sera completandolo con altri brani: complessivamente 17 i lavori dell’impaginato ufficiale, cui si aggiungono due bis, per delineare in modo completo la statura di un compositore e di un virtuoso del pianoforte che ha fatto la storia dello strumento a tastiera attraverso musiche che uniscono la romantica melodicità che l’ha reso popolare, ad una costruzione armonica complessa ed evoluta molto rivalutata negli ultimi decenni. Nella prima parte della serata la Kern ha iniziato con una scelta di tre dagli Études tableaux dall’ op.39 (n.9)e dall’ op.33 (n.8 e 5), quindi Cinque Preludidall’op.32 (1-5-10-12) e dall’op.23 (n.7) per arrivare alla Sonata n.2 op.36 nella versione del 1931. Dopo il breve intervallo un Momento musicale (op.16 n.4), una Barcarola ( op.10 n.3) e Polichinelle op.3.n.4, hanno preceduto le raffinate Variazioni su un tema di Corelli op.42 e quindi tre trascrizioni da Musorgskij ( Hopak), Rachmaninov stesso (Romanza op.21) e Kraisler col celebre Liebeslied, concludendo il programma ufficiale con la Polka de W.R., un cavallo di battaglia del grande Horowitz.Le indiscusse qualità della Kern non sono solo legate al suo innarivabile virtuosismo, espresso con apparente facilità e riscontrabile al primo ascolto, ma anche da un legame autententico con la musica del grande compositore russo che la porta ad esprimersi con evidente passione per una restituzione di profonda e di autentica espressività. Tutti valide le interpretazioni ascoltate, ma segnaliamo soprattutto, a titolo d’esempio, l’eccellente resa delle Variazioni Corelli op.42 che nello splendore interpretativo della Kern sintetizzano le qualità di un’interprete che vive la musica di Rachmaninov secondo modalità completamente interiorizzate, profonde e raffinate, da autentica virtuosa. Applausi fragorosi dal pubblico presente in Sala Verdi e due i bis concessi, tutti eccellenti: di Rachmaninov il celebre Preludio op.3 n.2 e di Korsakov/Rachmaninov l’altrettanto noto Il volo del calabrone. Bravissima!!!
9 novembre 2023 Cesare GuzzardellaOttavio Dantone e l’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento al “Festival Mahler”
Siamo arrivati alla Settima Sinfonia al “Festival Mahler” di Milano. L’alternanza delle orchestre intervenute in Auditorium ha proposto ieri sera l’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento diretta da Ottavio Dantone. Il sessantatreenne direttore e clavicembalista pugliese, specializzato in musica barocca è da anni alla guida della nota compagine di musica antica “Accademia Bizantina”. Si è cimentato ieri nel lavoro composto da Mahler tra il 1904 e il 1906. Cinque movimenti per un’esecuzione di oltre settanta minuti di musica curati nei dettagli da Dantone e resi ottimamente dalla compagine orchestrale. La vasta sinfonia, interamente strumentale, nello stile consolidato mahleriano, presenta frequenti frangenti “cameristici” con interventi solistici ben delineati dai bravissimi interpreti in un lavoro dove la partitura prevede strumenti inusuali come la chitarra, il mandolino, il filicorno baritono e il campanaccio. Ottima la resa complessiva orchestrale con una qualità coloristica mirata a far emergere maggiormente il carattere più “popolare” dell’articolato e complesso lavoro. Ottime tutte le sezioni orchestrali ben amalgamate da Dantone nei momenti di maggiore volumetria. Successo di pubblico in un Auditorium pieno di appassionati mahleriani. Ricordiamo il ritorno della Sinfonica di Milano, con i relativi Cori e con il direttore Claus Peter Flor per l’Ottava Sinfonia “dei Mille”. Sarà eseguita in Duomo questa sera alle ore 20.00. Da non perdere!
8 novembre 2023 Cesare GuzzardellaIl sempre inarrivabile Mikhail Pletnev alle Serate Musicali del Conservatorio
Da moltissimi anni il celebre pianista russo Mikhail Pletnev torna in Conservatorio ai concerti organizzati da Serate Musicali. Sempre, al termine della serata, è acclamato dal pubblico presente in Sala Verdi e sempre, il sessantaseienne interprete – anche direttore d’orchestra e compositore- riserva degli attesissimi bis. Ieri sera la scelta d’impaginato ha accostato il grande polacco Fryderyk Chopin (1810-1849) al grande russo Aleksandr Scriabin (1872-1915), entrambi autori di Preludi. Certamente i 24 Preludi op.28 del primo sono più celebri dei 24 Preludi op.11 del secondo, che pur essendo un’opera giovanile di Scriabin – composti tra il 1988 e il 1996 – sono stati ispirati dal polacco è hanno frangenti di grande valenza compositiva. Pletnev ha preferito eseguire prima i Preludi del russo e, dopo l’intervallo quelli di Chopin, probabilmente anche per ottenere un effetto di maggiore apprezzamento da parte di un pubblico che conosce e riconosce maggiormente la musica del genio di Żelazowa Wola. L’approccio interpretativo del pianista, in una Sala Verdi volutamente poco illuminata, ha trovato subito una resa efficace sin dai primi preludi, ma è soprattutto con Chopin che sono emerse maggiormente le infinite qualità dell’interprete: il controllo totale del materiale sonoro, la sua completa memorizzazione, la restituzione di esso con i più evidenti parametri esecutivi si sono rivelati in un processo di sintesi discorsiva che riesce a mettere in risalto dettagli nascosti, contrasti volumetrici infinitesimali che colgono l’elemento poetico più intimo e più profondo di Chopin, ma anche di Scriabin. Moltissime le vette raggiunte da Pletnev nel suo personalissimo linguaggio estetico ed è inutile fare una cernita dei preludi, alcuni brevissi, altri meno, anche per il significato unitario delle due serie di opere che vanno considerate nel loro completo svolgimento. Tra i fragorosi applausi e l’evidente soddisfazione del pianista, al termine anche sorridente, sono emersi tre splendidi bis, i primi due, celebri cavalli di battaglia di Horowitz, ancora di Scriabin con lo Studio in do diesis minore op.2 n.1 e con lo Studio op.8 n.12 in re diesis minore e come ultimo il noto Studio op.76 n.6 di Moszkowski. Interpretazioni naturalmente ancora di esemplare livello estetico.
7 novembre 2023 Cesare GuzzardellaAndrea Carcano allo Spazio Teatro 89
“Mentale e monumentale – da Bach-Busoni al Novecento sovietico”, questa la denominazione ideata da Luca Schieppati per il concerto tenuto dal pianista Andrea Carcano allo Spazio Teatro89 di via Fratelli Zoia. Un programma che partendo dal padre del contrappunto e della fuga, J.S. Bach, ha trovato varianti musicali nei nomi di Ferruccio Busoni, Dmitri Shostakovich, Rodion Ščedrin e Alexandr Fliarkovsky, musicisti parecchio debitori al genio tedesco per la loro formazione musicale. Un’impaginazione di brani certamente rari ma di straordinario interesse scelti da Andrea Carcano, pianista e docente di pianoforte al Conservatorio “G. Verdi” di Milano. La Fantasia nach Bach e le Variazioni canoniche sul Thema Regium dall’Offerta musicale di Busoni (1866-1924) hanno introdotto il concerto pomeridiano rivelandoci un clima sonoro improntato su colori scuri ma ricco di costruzioni contrappuntistiche che il grande musicista e virtuoso del pianoforte italiano Busoni ha inventato partendo da brani bachiani assemblati con una tecnica tipica del periodo barocco, ma con una reinvenzione molto personale del compositore. L’evidente debito del primo russo Shostakovich (1906-1975) al Sommo di Bonn lo abbiamo trovato nel Preludio e Fuga in mi minore op.87 n.4. La capacità di rielaborazione del musicista vissuto in regime sovietico, nasce dalla sua profonda conoscenza dell’opera bachiana, quella che maggiormente l’ha ispirato per realizzare i suoi 24 Preludi e fughe, il Clavicembalo ben temperato. Dal Quaderno polifonico del vivente Rodion Ščedrin (1932), Carcano ha estrapolato sei brani – i numeri 10, 12, 15, 16 e 21 -, tra Ciaccone, Mottetti, Toccate e Passacaglia. Abbiamo quindi ascoltato l’originalità di un russo novantenne ancora attivo, troppo poco eseguito in Italia, ma di grande intelligenza musicale-architettonica. Dell’ultimo russo in programma, Fliarkovsky (1931-2014), Carcano ha scelto il Preludio e Fuga n.20, un omaggio ancora al Sommo, ma con un piglio melodico maggiormente evidenziato, quello di un compositore noto anche per la sua produzione di colonne sonore. Carcano ha penetrato con sicurezza e precisione di dettaglio tutti i brani eseguiti, dimostrando una maturità interpretativa di elevato spessore musicale, che ha messo in risalto tutte le linee melodiche ben evidenziate nei rispettivi piani sonori, in un complessivo coloristico di ottima resa estetica. Ottimo poi il bis concesso con ancora un brano di Busoni da una Fantasia e fuga di Bach. Applausi sostenuti dal pubblico presente nell’elegante ed accogliente sala. Ricordiamo il prossimo concerto dello Spazio Teatro89 previsto per il 19 novembre alle ore 17.00 con il pianista-compositore siciliano Orazio Sciortino: in programma brani di Haydn, Schubert e Sciortino.
6 novembre 2023 Cesare GuzzardellaL’ OSN Rai e Robert Treviño per la Quinta Sinfonia di Mahler
E siamo arrivati alla Quinta Sinfonia al “Festival Mahler” di questi giorni in Auditorium. L’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai diretta da Robert Treviño ha sostenuto ottimamente la monumentale Sinfonia in do diesis minore (1901,1902), oltre settanta minuti di grande musica, quella celebre soprattutto per il formidabile Adagietto utilizzato da Visconti per il suo “Morte a Venezia” e che è stato anche interpretato da molti coreografi del Novecento. Una lenta progressione melodica degli archi inserira in un’ampia intelaiatura armonica che sembra fermare il tempo e che ci rivela ancora una volta le formidabili capacità creative del grande compositore e direttore boemo-viennese, soprattutto negli andamenti riflessivi. L’Auditorium milanese al completo, nel tardo pomeriggio di ieri ha trovato un pubblico entusiasta che ha applaudito con fragore l’interpretazione dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai diretta con determinazione dal direttore texano. La grande sinfonia era stata introdotta da un breve, espressivo e frequentato brano del compositore statunitense Charles Ives (1874-1954), The Unanswered Question (1908), un Adagio di pochi minuti di profonda riflessione, un dialogo tra un espressivo tappeto di archi, una tromba solista e quattro flauti. Un breve capolavoro che ha anticipato il capolavoro più celebre. Oggi, alle 16.00 verrà eseguita la Sesta Sinfonia. Non perdetela.
5 novembre 2023 Cesare GuzzardellaSophia Harmsen diretta da Markus Stenz per il Festival Mahler milanese
Due orchestre insieme per il concerto mahleriano di ieri sera in Auditorium: l’Orchestra della Toscana e l’Orchestra Giovanile Italiana hanno unito molti dei validi strumentisti per affrontare due importanti lavori di Gustav Mahler quali i Kindertotenlieder (1901-1904), ciclo di cinque lieder per voce e orchestra su poesie di Friedrich Rückert, e la Sinfonia n.4 in sol maggiore composta da Gustav Mahler tra il 1899 e il 1901, ma con il quarto movimento, un celebre lied per soprano tratto da Des Knaben Wunderhorn, originariamente scritto nel 1892. Sul podio Markus Stenz ha diretto la corposa compagine orchestrale guidando anche l’ottima voce da soprano di Sophie Harmsen, presente in entrambi i lavori. Le ottime interpretazioni rese con pacato vigore dall’appariscente gestualità di Stenz, hanno rivelato i colori caldi, precisi e articolati della voce sopranile della Harmsen, ben sottolineati dalla rispettosa direzione di Stenz nei cinque lieder mahleriani, evidenziando poi, dopo il breve intervallo, un’approfondita esecuzione della Quarta Sinfonia, tra le più eseguite di quelle mahleriane, e giocata su timbriche morbide, ben delineate in ogni sezione strumentale in tutti i quattro movimenti che la compongono . Il ritorno, nell’ultimo movimento – Das Himmlische Leben (La vita celeste)- , della Harmsen ha poi completato degnamente la serata strappando ripetuti applausi dal numerosissimo pubblico presente in Auditorium. Il Festival Mahler procede oggi alle 18.00 con la Quinta Sinfonia diretta da Robert Trevino alla guida dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai. Da non perdere!
4 novembre 2023 Cesare GuzzardellaMeritato successo all’ultima replica di Peter Grimes al Teatro alla Scala
Ancora un meritato successo al Teatro alla Scala per l’ultima replica dall’opera di Benjamin Britten Peter Grimes. È certamente una delle migliori messinscene della Stagione 2022-23. In passato in solo quattro altre occasioni (1947,1976, 2000, 2012 ) il palco scaligero aveva ospitato il capolavoro del grande musicista inglese, uno dei massimi compositori del ‘900. Prima opera importante di Britten- se non contiamo l’operetta Paul Bunyan (1941)- Peter Grimes venne rappresentata per la prima volta a Londra nel giugno del 1945. Un Prologo e tre atti, intervallati da quattro Interludi Marini e una Passacaglia notissimi in campo sinfonico. Il capolavoro di Britten, su libretto di Montagu Slater da un poemetto di George Crabbe, è un esempio di grande musica per un grande teatro, dove la recitazione, tra canto e recitativi, è parte integrante del personalissimo linguaggio del grande compositore inglese. Unitamente all’eccellente cast vocale trova ruolo di protagonista il Coro, parte fondamentale del contesto scenografico. L’ottima messinscena del regista Robert Carsen ha trovato il fondamentale supporto dello scenografo e costumista Gideon Davey in una visione cupa completata dalle luci dello stesso Carsen e di Peter Van Prate, con i video di Will Duke. Importanti anche le coreografie di Rebecca Howell presenti soprattutto durante gli Interludi marini. Protagonista musicale del lavoro la direttrice d’orchestra Simone Young – recentemente anche impegnata e ascoltata in un programma sinfonico – ha in modo esemplare condotto l’Orchestra scaligera penetrando in profondita i caratteri musicali e scenici del capolavoro britteniano, coadiuvata dall’eccellente coralità preparata da Alberto Malazzi. Di rilievo il cast vocale con un eccellente Peter Grimes nella voce di Brandon Jovanovich, ottimo anche attorialmente, e ottima la vocalità e la recitazione di Nicole Car in Ellen Orford. Altrettanto bravi tutti gli altri protagonisti. Ricordiamo che è già in scena l’opera di Italo Montemezzi L’amore dei tre re con repliche previste per questa sera e il 7-10-12 novembre. Da non perdere. (Foto in alto di Brescia- Amisano dall’Archivio della Scala)3 novembre 2023 Cesare GuzzardellaLavinia Bertulli ai Pomeriggi Musicali del Dal Verme
La pianista fiorentina Lavinia Bertulli, classe 1999, è oggi impegnata con James Feddeck, direttore principale dell’Orchestra I Pomeriggi Musicali, nel Terzo Concerto di L.V. Beethoven. Il programma ha come primo brano l’Op.37 in do minore per pianoforte e orchestra e quindi la Sinfonia n.1 in do maggiore op.21 sempre del genio di Bonn. L’anteprima ascoltata questa mattina è risultata valida e il numeroso pubblico presente ha tributato applausi convinti. Il Terzo di Beethoven è certamente tra quelli più eseguiti e pur risentendo ancora delle influenze costruttive di Haydn e Mozart per la classicità dello svolgimento, ha un taglio stilistico tipico beethoveniano. La Bertulli ha donato un’ottima interpretazione giocata su un equilibrio formale ben pesato nei volumi e con grande scorrevolezza di svolgimento. La classicità, con giusti contrasti, mai eccessivi, rispecchia una visione storicizzata del lavoro che punta sulla bellezza delle sonorità e delle melodie, e su questi aspetti l’interprete è stata convincente. Ottima la sinergia con I Pomeriggi Musicali e con la direzione di Feddeck. Dopo il breve intervallo valida l’esecuzione della Prima Sinfonia beethoveniana, lavoro di un Beethoven trentenne che aveva assimilato in toto la lezione dei classici che lo hanno preceduto. Di grande impatto il delizioso Allegro molto e vivace finale, il momento più caratterizzante del brano. Questa sera alle ore 20.00 il concerto ufficiale con replica per sabato alle ore 17.00. Da non perdere.
2 novembre 2023 Cesare GuzzardellaOTTOBRE 2023Il pianista Freddy Kempf alle Serate Musicali del Conservatorio milanese con l’Orchestra Antonio Vivaldi
Sono tutti molto giovani gli strumentisti dell’Orchestra Antonio Vivaldi, realtà musicale che svolge un’intensa attività sin dal 2011, anno di fondazione. Ieri sera in Sala Verdi, ai concerti organizzati da SerateMusicali, il direttore trentasettenne Ernesto Colombo ha ben diretto la compagine in brani di Beethoven e di Stravinskij. Del grande musicista tedesco sono stati eseguiti il Concerto per pianoforte e orchestra n.1 in do maggiore op.15 e il Concerto n.3 in do minore op.37, due noti capolavori che hanno trovato come solista al pianoforte il londinese Freddy Kempf, interprete da molti anni ospite di Serate Musicali Tra i due concerti pianistici, un momento diverso, non proprio legato alle sonorità dei concerti, era quello delle Danses concertantes di Igor Stravinskij, cinque momenti musicali in stile neo classico con un Tema centrale ricco di variazioni. Kempf, grande virtuoso della tastiera ha trovato un ottimo adattamento alla classicità beethoveniana pesando molto bene le sonorità di entrambi i brani e cercando frangenti più estroversi laddove era possibile. Le ottime sonorità espresse erano ben integrate e in sinergia con i giovani dell’orchestra e con la direzione di Colombo. I momenti più riflessivi dei due brani, come i due splendidi Largo centrali, hanno trovato un pianista luminoso e di sicura espressività. Il bisogno di una maggiore esternazione virtuosistica è apparso soprattutto nei Rondò finali resi con sicurezza ed energica esternazione e nelle Cadenze di ogni concerto rese con decisa determinazione. L’ottime qualità di Kempf hanno poi trovato un frangente solistico nel bellissimo bis concesso con un Preludio di Nikolaj Girševič Kapustin d’ispirazione jazz. Applausi fragorosi e numerose uscite in palcoscenico per il protagonista. Ottima la resa orchestrale nelle Danses concertantes di Igor Stravinskij, cinque momenti musicali composti tra il 1941 e il ’42 negli Stati Uniti nel tardo stile neo-classico tipico del grande compositore russo. Applausi calorosi ai giovani strumentisti e al bravo direttore.
31 ottobre 2023 Cesare Guzzardella
Al “Festival Mahler” la Sinfonia n.3 diretta da Peter Claus Flor
Ieri pomeriggio al Festival Mahler dell’ Auditorium milanese abbiamo ascoltato la Sinfonia n.3 in Re minore di Gustav Mahler. In palcoscenico ancora una volta l’Orchestra Sinfonica di Milano, – dopo l’esordio con la Sinfonia n.2 “Resurrezione” – diretta però questa volta da Claus Peter Flor, l’abituale direttore della Sinfonica milanese. Ancora una bacchetta italiana quindi, dopo quella di Riccardo Chailly impegnato la sera scorsa nella Sinfonia n.1 “Il Titano” . La monumentalità della Terza, analogalmente a quella della seconda sinfonia, presenta ancora una scenografia non indifferente per la presenza di una grande orchestra, il coro di voci femminili, quello di voci bianche e una voce solista, affidata all’ottimo contralto tedesco Anke Vondung. Le Voci femminili preparate da Massimo Fiocchi Malaspina e le Voci bianche, preparate da Maria Teresa Tramontin, come la voce solista, sono intervenute a metà brano, un lungo lavoro strutturato in sei parti e dalla durata complessiva di poco meno di cento minuti. È un mondo musicale sfaccettato quello della sinfonia, che trova relazioni melodiche e timbriche riferibili sia alla musica popolare e folcloristica boema che a quella raffinata e colta del migliore stile viennese. Ottima la lettura operata da Flor che ha dovuto scontrasti con una partitura complessa, dove i continui cambiamenti coloristici nel passaggio tra un movimento musicale ad un altro avvengono costantemente. La delicatezza degli archi, il fragore degli ottoni, la dolcezza della voce della Vonding, i timbri più decisi delle voci femminili e quelli eterei delle voci bianche, si sono alternati trovando un valido equilibrio complessivo.La mediazione di Flor per ottenere i capovolgimenti timbrici e le giuste dinamiche di questo articolato brano, hanno rivelato la sua esaustiva direzione, chiara nelle intenzioni, precisa nei dettagli, con modalità ben scandite nel lunghissimo primo movimento, Kräftig Entschieden, dove gli interventi quasi da “banda di paese” degli ottoni e dei legni danno volutamente un carattere meno classico e più popolare alle estroverse sonorità. Momenti di maggiore interiorizzazione emotiva sono avvenuti negli altri movimenti, con frangenti di chiara luminosità nella voce della Vondung. Bravissimo il Coro sia delle voci bianche che quello femminile. Grandissimo successo in un Auditorium ancora al completo a dimostrazione della riuscita di questo “Festival Mahler”. Applausi interminabili e uscite più voltedi tutti i protagonisti sul grande palcoscenico. Prossimo appuntamento sinfonico con Mahler previsto per il 3 novembre con la Quarta sinfonia e i Kindertotenlieder con l’Orchestra della Toscana diretta da Markus Stenz. Il 31 ottobre invece musiche di Schumann riorchestrate da Mahler per le Sinfonie n.2 e n.3 dirette da Feddeck alla testa dei suoi “I Pomeriggi Musicali”. Da non perdere.
30 ottobre 2023 Cesare GuzzardellaSpira Mirabilis in Auditorium al Festival Mahler
Spira Mirabilis non è solo un’ottima orchestra giovanile ma anche un “progetto”, un gruppo di ricerca interpretativa fondato da giovani strumentisti nel 2007. Non avendo un direttore d’orchestra, costruisce le interpretazioni dei brani prescelti attraverso lunghe sedute di discussioni e di prove continue che oltre a realizzare il brano, forma e migliora il singolo strumentista attraverso anche incontri periodici con esperti di linguaggio barocco o classico. Una vera scuola musicale d’interpretazione che ha trovato riscontro già in 76 progetti realizzati in tutta Europa. Ieri nel tardo pomeriggio per il “Festival Mahler” abbiamo avuto l’opportunità di ascoltare la formazione in Auditorium in una concertazione di Mahler della Sinfonia n.3 in mi bem. maggiore op.97 “Renana” (1850) di Robert Schumann, un lavoro in cinque movimenti reso con fluidità e ricchezza di contrasti dai giovani orchestrali che oltre ad una passione smisurata hanno rivelato ottime qualità interpretative. Un solo brano cui ha fatto seguito una breve discussione sul lavoro eseguito e sull’ attività dei giovani professionisti.
29 ottobre C.G.Manfred Honeck e Christoph Pohl con l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia per il Festival Mahler
Dopo la Filarmonica scaligera diretta da Chailly, ieri sera un’altra orchestra tra i vertici delle formazioni italiane, l’ Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, era presente al Festival Mahler dell’Auditorium milanese. Questa volta con uno dei cicli di lieder più noti del grande compositore-direttore austriaco, Des Knaben Wunderhorn ( Il corno magico del fanciullo). I canti hanno trovato in contrasto, nella seconda parte della serata, la Sinfonia n.3 “Eroica’ di L.v. Beethoven. Alla testa della celebre orchestra romana il direttore austriaco Manfred Honeck, tra i più affermati internazionalmente, ha espresso un’eccellente qualità direttoriale in tutti i lavori trasmettendo evidente espressività, a iniziare dai canti mahleriani dove la voce baritonale del protagonista Christoph Pohl ha rivelato una raffinata resa timbrica ben accostata al perfetto equilibrio volumetrico orchestrale. Della serie dei 24 canti di Des Knaben Wunderhorn, composti da Mahler tra il 1887 e 1890 su testi curati da Achin von Arnim e Clemens Brentan sono stati estrapolati quelli più noti a partire dalla poetica “Piccola leggenda del Reno”, passando per l’intensa riflessiva “Luce delle origini”, per terminare col suadente ritmo militare di “Risveglio” e con il conclusivo straziante “Tamburino”. La traduzione dei testi dal tedesco all’italiano, proiettati sullo schermo, era di Quirino Principe. Applausi fragorosi egli interpreti. Dopo il breve intervallo ottima l’interpretazione della celebre “Eroica” beethoveniana, ricca di sintesi e fluidità discorsiva a dimostrazione dell’alto livello comunicativo di ogni sezione orchestrale e delle qualità direttoriali di Manfred Honeck, applauditissimo al termine. Oggi alle 18.00 sempre in Auditorium Schumann riorchestrato da Mahler nella Sinfonia “Renana”.
28 -10 2023 Cesare GuzzardellaLa Filarmonica della Scala diretta da Riccardo Chailly per il Festival Mahlerin Auditorium
Continuano i concerti del “Festival Mahler” in Auditorium che vedono impegnate tra il 22 ottobre e il 13 novembre diverse orchestre, oltre naturalmente alla Sinfonica di Milano. Ieri sera siamo arrivati al secondo appuntamento dedicato alla sinfonie del compositoreaustriaco con un’orchestra importante quale la Filarmonica della Scala e con il suo direttore, il milanese Riccardo Chailly. Era da molti anni che il noto direttore musicale del Teatro alla Scala non saliva sul podio in Auditorium, pur essendo stato tra il 1999 e il 2005 tra i primi direttori dell’Orchestra Sinfonica di Milano. È tornato per questa importante occasione per dirigere la Sinfonia n.1 in re maggiore “Il Titano”, probabilmente il lavoro sinfonico mahleriano più conosciuto ed eseguito. Di particolare rilevanza il breve brano che ha preceduto la celebre sinfonia, il Preludio Sinfonico in do minore (1876). È un lavoro giovanile attribuito a un Mahler (1860-1911) sedicenne, ottimamente ricostruito da Albrech Gürsching e ascoltato in un’ ottima esecuzione ricca di energia e trascinante discorsività. Dopo il brano introduttivo, la Sinfonia n.1 “Il Titano” composta tra nel 1888 e rivista sino al 1894, – insieme alla n.4 tra le più brevi pur raggiungendo quasi un’ ora di musica- era nei classici quattro movimenti. L’orchestrazione di Chailly, d’intensa luminosità, ha esaltato i frangenti di maggiore energia timbrica con trascinante discorsività e brillantezza espressiva. Il gesto preciso, sicuro ed essenziale del direttore ha evidenziato un’eccellente sintesi discorsiva nelle grandi volumetrie sonore e profonda riflessione nei momenti più pacati, situazioni esaltate con trasparenza da tutte le sezioni orchestrali. L’eccellente qualità timbrica di tutti gli strumentisti, con una brillante sezione di ottoni, sotto la direzione di un mahleriano come Chailly, ha trovato un’esemplare restituzione che certamente ha appassionato il pubblico presente in Auditorium, in una sala al completo. Applausi fragorosi con il direttore visibilmente soddisfatto. Ricordiamo che questa sera alle ore 20.00 il Festival Mahler continuerà con la presenza in Auditorium dell’Orchestra Nazionale dell’Accademia di Santa Cecilia diretta da Manfred Honeck per Des Knaben Wunderhorn – Il corno magico del fanciullo- , interpretato dal baritono Christoph Pohl in sostituzione di Matthias Goerne indisposto. In programma anche la Sinfonia n.3 “Eroica” di L.v.Beethoven. Da non perdere.
27 ottobre 2023 Cesare GuzzardellaAlexei Volodin in Conservatorio per la Società dei Concerti
Il quarantaseienne pianista russo, di San Pietroburgo, Alexei Volodin è tornato in Sala Verdi per la Società dei Concerti impaginando un programma che dai classici Schubert e Beethoven arrivava poi ai russi Medtner e Musorgskij. Il Klavierstücke n.2 D 946, secondo dalla serie di tre del compositore viennese, introduceva la serata rivelando un interprete sciolto, dalla timbrica limpida ed estroversa, come anche evidenziato nella successiva Sonata n.24 in fa diesis magg. op.78 “À Thérèse” del musicista di Bonn. In entrambi i lavori i frangenti di contrasto esaltati con forza dal pianista anticipavano la cifra stilistica dei due lavori successivi. Sia in Medtner con la rara Sonata- Ballata in fa diesis magg.op 27, che nel celebre anteriore Musorgskij dei Quadri di un’esposizione, Volodin ha dato il meglio della serata rivelando più che ottime qualità interpretative nel repertorio della sua terra. La contrastata sonata del russo meno noto, scritta tra il 1912 e il 1914, in tre movimenti uniti in continuità -tra situazioni di rara luminosità e altri d’intensa drammaticità- è stata completamente interiorizzata e restituità degnamente dall’interprete decisamente in sintonia con la musica russa. Dopo l’intervallo i celebri Quadri ( 1874) del compositore russo più noto, hanno trovato un ottimo equilibrio coloristico nelle dieci parti che compongono l’opera. I momenti più pacati e quelli più voluminosi sono stati evidenziati con maestria da Volodin che attraverso un virtuosismo spesso definito da potenti masse sonore ha ricreato una visione orchestrale tipica del lavoro che verrà ripreso da Ravel per la sua celebre orchestrazione. Applausi fragorosi dal pubblico presente in Sala Verdi e due ottimi bis: lo Studio op.25 n.1 di Chopin e un breve ed intenso brano ancora di Medtner dai Fairy Tales, l’ op.34 n.2 in mi minore. Ancora intensi gli applausi.
26 ottobre 2023 Cesare GuzzardellaRoberto Cappello alle Serate Musicali del Conservatorio
Torna puntualmente in Sala Verdi, nel Conservatorio milanese, il pianista pugliese Roberto Cappello. Con la vittoria del Concorso Internazionale Busoni, nel lontano 1976, è stato tra i primi interpreti che salivano in palcoscenico nei concerti organizzati da Serate Musicali. Le qualità interpretative di questo virtuoso non si discutono, emergono subito dal suo profondo approccio melodico. Anche nei brani più complessi, ricchi di armonizzazioni, Cappello è alla ricerca della cantabilità attraverso un’ evidente impegnativa penetrazione del totale sonoro. L’ottima scelta dell’impaginato, tutto russo, prevedeva ieri sera musiche di Čajkovskij e di Rachmaninov. Brani che spaziavano dalle strutture più semplici, con melodie sempre in primo piano, come nei primi tre brani del primo grande russo e cioè la Romanza op.5 in fa minore, la Romanza op.51 in fa maggiore e la Canzone d’autunno dalle Stagioni op.37a, sino ai più complessi brani di Rachmanonov degli eseguiti cinque Morceau de Fantasie op.3 o i tre dei sei Moments Musicaux op.16 ai quali si aggiunge anche il celebre Preludio op.23 n.6. Rimanendo nella complessità, segnaliamo anche l’ottimo arrangiamento pianistico realizzato dallo stesso Cappello sulla Fantasia- Ouverture dal Juliette e Romeo di Čajkovskij eseguito dopo i tre più brevi lavori. È una lunga esplorazione sonora la Fantasia, tra intimità e voluminosa estroversione, che ha rivelato ancora le qualità virtuosistiche di un interprete che riesce a evidenziare ogni dettaglio anche nei frangenti armonicamente più complessi. Nella sua versione è rimasta inalterata la coloristica orchestrale del brano che ha spesso impatti timbrici esasperati ma molto espressivi. I brani del secondo russo sono stati resi con grande efficacia tecnico-espressiva per una trasparenza coloristica non comune. Applausi meritatissimi dal pubblico presente in Sala Verdi e un bis di pregnante e armoniosa resa melodica.
24 ottobre 2023 Cesare GuzzardellaIl pianista Igor Levit al Teatro alla Scala
Il pianista trentaseienne russo, naturalizzato tedesco, Igor Levit ha tenuto un concerto alla Scala impaginando un programma con musiche di Liszt, Wagner e Mahler. Una scelta di rari accostamenti dove il breve e noto primo brano, Liebstraum S 541/ 3 di Franz Liszt, il più celebre Sogno d’amore, introduceva la serata mostrandoci un pianista disinvolto nell’interpretare il noto lavoro. Il suo approccio stilistico impostato su un tempo rapido d’esecuzione del Sogno si è rivelato in contrasto con i tempi meditati e riflessivi dei più corposi altri brani. Il brano successivo e conclusivo della prima parte del recital, l’Adagio dalla Sinfonia n.10 di Gustav Mahler, nel particolare e moderno arrangiamento di Ronald Stevenson, ha trovato una dilatazione e rarefazione al limite della comprensione d’insieme, dove le note venivano anche centellinate per allungare i tempi. È quasi impossibile con la tastiera del pianoforte imitare le note lunghe degli archi dei celebri Adagio di Mahler, ma Levit è riustito in questo lavoro a dare originalità all’esecuzione restituendo la migliore interpretazione della serata. Dopo l’intervallo, l’accostamento tra il noto Preludio da Tristan un Isolde di Richard Wagner, nella trascrizione di Zoltán Kocsis, alla più eseguita Sonata in si minore di Franz Liszt, avveniva senza soluzione di continuità, unendo le ultime note del primo lavoro alle prime del secondo. Una omogeneità esecutiva complessiva quella di Levit in uno sviluppo dilatato che ci ha lasciato un po’ perplessi, non riuscendo all’ascolto ha comprendere il senso unitario di brani resi celebri dalle migliori prassi interpretative entrate nella storia. Il pianista ha comunque ottenuto un evidente successo da parte del numeroso pubblico intervenuto in teatro uscendo più volte in palcoscenico per i fragorosi e continuativi applausi ricevuti e concedendo poi un bis brahmsiano, l’Intermezzo n.2 , di valida resa espressiva.
23 ottobre 2023 Cesare GuzzardellaL’eccellente Quartetto Indaco allo “SpazioTeatro 89”
Un piccolo ma elegante teatro periferico milanese, lo “Spazio Teatro 89” di via Fratelli Zoia, ha ospitato un concerto per Quartetto d’archi di alto livello. Stiamo parlando del Quartetto Indaco, un gruppo quartettistico nato nel 2007, formato da Aleonora Matsuno e Ida Di Vita ai violini, Jamiang Santi alla viola e Cosimo Carovani al violoncello. Dopo aver vinto numerosi concorsi meno importanti, quest’anno hanno meritato il primo premio in uno dei più importanti concorsi internazionali: l’ Osaka International Competition.Le possibilità di esibirsi nelle più importanti sale da concerto mondiali sono certamente aumentate. La fortuna di averli ascoltati oggi nel tardo pomeriggio, nel decentrato teatro milanese, ci ha permesso di constatare di persona, in un concerto live, le loro eccellenti qualità. Ottimo l’impaginato scelto che prevedeva due lavori importanti della letteratura quartettistica: prima Beethoven con il Quartetto per archi op.74 ” Delle arpe”, poi quello ancora più celebre di Schubert il D. 810 “La morte e la fanciulla”. L’esaustiva presentazione dei brani di Luca Schieppati, pianista e organizzatore musicale, ha introdotto in sala i quattro strumentisti. In entrambi i lavori, con alcuni deliziosi movimenti nel segno delle variazioni, l’alto livello interpretativo era giocato su un equilibrio perfetto delle parti, timbriche precise, escursioni dinamiche appropriate e intensa espressività, rilevata nell’insieme e ancor più nei frequenti momenti melodici del primo violino della Matsuno e in quelli del violoncello di Carovani, ma anche gli interventi meno frequenti ma comunque appariscenti degli altri due strumentisti si sono rilevati di primo livello. Il meritatissimo successo, con fragorosi applausi al termine e continue uscite dei protagonisti ha permesso un bis molto bello con un brano folcloristico danese particolarmente dolce ed espressivo. Bravissimi!
22 ottobre 2023 Cesare Guzzardella Corrado Greco e Luca Schieppati per “Musica Maestri!” in Conservatorio
Danze, Arie, Rapsodie nel bellissimo concerto organizzato in Conservatorio per la serie Musica Maestri!. I docenti dell’importante istituzione musicale milanese, ma anche i migliori allievi, sono impegnati da alcuni anni in questi rilevanti momenti musicali di Sala Puccini. Nella tarda mattinata di oggi due affermati pianisti quali Corrado Greco e Luca Schieppati, da alcuni anni con cattedra di pianoforte al “Giuseppe Verdi” milanese, hanno impaginato un programma particolarmente vario, che prevedeva musiche di Ravel, Galante e Čaikovskij. Tutti brani per due pianoforti, eccellenti trascrizioni da originali orchestrali o per altri strumenti. Iniziando dalla Rapsodia spagnola (1907) di Maurice Ravel (1875-1937) e rivelando da subito l’ottima cifra interpretativa dovuta anche ad un’ntensa collaborazione del duo di oltre cinque lustri, si è passati poi ad una novità del compositore milanese Carlo Galante (1959). Una selezione di tre parti – la prima, la quarta e la quinta (quella completa è in cinque brani)- , nella versione per due pianoforti dall’originale per pianoforte e organo della Gioacchiniana: Arie concertanti su frammenti rossiniani. Brani particolarmente riusciti che nascono dall’unione di arie rossiniane meno note costruite in un linguaggio tonale anche in stile neoclassico, molto indicativo dei modi compositivi di Galante. Situazioni di estroverse sonorità sono ottimamente interpretate dal duo per una varietà di timbriche che meriterebbero anche un’orchestrazione. Applausi dal numeroso pubblico anche al compositore salito sul palcoscenico. Come ultimo brano c’era il celebre Schiaccianoci di Čajkovskij in una bellissima trascrizione di N. Economou: otto momenti della Suite dal balletto che i due pianisti ricostruiscono perfettamente ritrovando le atmosfere coloristiche dell’orchestra. Applausi meritatissimi e come bis un eccellente valzer di Francis Poulenc. 22 ottobre 2023 Cesare Guzzardella La chitarra di Giulio Tampalini per la Società dei Concerti
Finalmente una chitarra ai concerti serali del Conservatorio milanese. Lo strumento a sei corde viene in genere molto sacrificato nelle serate concertistiche dei teatri italiani pur godendo di un repertorio molto vasto e pur essendo uno strumento completo dal punto di vista armonico e melodico. Ieri sera, grazie alla “Fondazione la Società dei Concerti”, abbiamo ascoltato la chitarra di Giulio Tampalini- tra i massimi virtuosi dello strumento- nel più celebre dei concerti chitarristici, il Concierto de Aranjuez di Joaquín Rodrigo, composto dal musicista spagnolo nel 1938/39 . Il brano del compositore di Sagunto era stato anticipato da un lavoro orchestrale di un altro musicista spagnolo, Joaquín Turina, nato a Siviglia e della generazione precedente quella di Rodrigo. La NWD Philharmonie ottimamente diretta da Jonathon Heyward ha introdotto molto bene la serata con La oración del torero op.34, rivelando ottimo equilibrio nel definire i colori caldi di un lavoro di Turina di rara frequentazione. Il clima spagnolo è quindi rimasto per tutta la prima parte del concerto. Il chitarrista Tampalini è salito sul palcoscenico con la chitarra per l’occasione un po’ amplificata, cosa che ultimamente si usa fare nei grandi spazi, come la nostra Sala Verdi, per sopperire alla mancanza di volumetria timbrica dello strumento. Il concerto di Rodrigo, in tre parti, ha il frangente più conosciuto nel movimento centrale, un Adagio tra i più penetranti della storia concertistica, per la bellezza della celebre melodia, ricca di tensione emotiva, che alterna lo strumento a sei corde con il corno inglese. Di elevato spessore interpretativo la chitarra di Tampalini, eccellente anche nella corposa cadenza dell’Adagio e ben diretto dalla bacchetta di Jonathon Heyward. Applausi calorosi al termine dell’esecuzione e ben due i bis solistici concessi dal cinquantaduenne strumentista bresciano: prima un intenso Capriccio arabo di Francisco Tarrega che ha ancor più rivelato la maestria del chitarrista e poi un celebre Tango armonizzato “alla Piazzolla”. Cambio di clima musicale con la Sinfonia n.5 in mi minore op.64 di P.I. Čajkovskij. Il popolare lavoro del grande musicista russo ha trovato un’ottima resa estetica dalla compagine orchestrale tedesca nella direzione di Heyward. Di grande impatto il conclusivo Allegro vivace , finale sorprendente per costruzione armonica e ancora ottimamente reso dalla NWD Philharmonie. Bellissimo il bis orchestrale concesso con l’adagio “Nimrod” di Edward Elgar dalle Enigma Variations. Applausi fragorosi. Ricordiamo che nel corso della serata Enrica Ciccarelli, Presidente della società concertistica, ha segnalato i giovani studenti vincitori del Concorso dedicato alle nuove tecnologie video. Tra le tre scuole premiate, delle numerose partecipanti alla realizzazione di un video di grafica-musicale, è risultato vincitore l’Istituto Superiore Carlo Dell’Acqua di Legnano per il video denominato “Piantala!”, realizzato da alcuni studenti della quarta classe .
19 ottobre 2023 Cesare GuzzardellaIl flautista Matteo Cesari alle Gallerie d’Italia in un concerto itinerante tra le sculture e le pitture contemporanee
Milano Musica ha organizzato un interessante intervento musicale presso le eleganti sale delle Gallerie d’Italia mediante un breve ma efficace concerto itinerante del flautista Matteo Cesari. Attualmente nel rinnovato museo milanese la mostra “Una collezione inattesa” vede soprattutto sculture e pitture di artisti del secondo Novecento e contemporaneo quali Marino Marini, Giacomo Manzù, Arturo Martini, Fausto Melotti, Lucio Fontana, Alberto Burri, Toti Scialoja, Enrico Castellani, Robert Ryman, Pietro Consagra e ancora altri. Il flautista trentottenne Matteo Cesari, specialista di musica contemporanea, con un percorso professionale di altissimo livello, ha scelto brani di cinque noti compositori quali Berio, Kurtág, Murail, Posadas e Sciarrino per evidenziare tutte le potenzialità timbriche del flauto. I brani, dal primo eseguito di Luciano Berio (1925-2003) con la sua Sequenza I del 1958, sino a quello più recente Prónomo del 2010/20 di Alberto Posadas (1967), hanno trovato luoghi diversi d’esecuzione, un vero itinerario negli spazi quasi ad inserire le diverse composizioni in luoghi scultorei e di opere pittoriche differenti, per ottenere situazioni sonore diversificate. Tutti i lavori hanno messo in risalto le qualità sorprendenti dell’interprete che riesce con il flauto ad ottenere un’infinita gamma di possibilità timbriche, usando lo strumento secondo una modalità che nasce dalle ricerche fatte sullo strumento in questi ultimi settant’anni. Dopo la Sequenza I di Berio, Doloroso (1992) di György Kurtág (1926), Unanswered questions (1995) di Tristan Murail (1947), tutti efficaci, il corposo e virtuosisticamente penetrante Prónomo di Alberto Posadas ha riempito ancor più di sonorità la sala espositiva più grande. L’incredibile quantità di effetti ottenuti dal flauto, amplificati dall’ottimo riverbero del salone, hanno trasformato lo strumento a fiato in una sorte di orchestra sonora. Anche molti elementi di gestualità del protagonista sono stati utili per penetrare maggiormente il non facile lavoro. Particolarmente ricercati gli ultimi tre brani di Salvatore Sciarrino (1947) e precisamente L’orologio di Bergson (1999), Immagine fenicia (1996-2000) e Come vengono prodotti gli incantesimi? (1985). Sciarrino più degli altri compositori si è dedicato ad un’attenta ricerca sulle sonorità del flauto ampliando ancor più le potenzialità dello strumento. Ancora eccellente la resa espressivo-gestuale di Cesari. Applausi fragorosi meritatissimi dal numeroso pubblico intervenuto.
18 ottobre 2023 Cesare Guzzardellall pianista-improvvisatore Yakir Arbib al Teatro Parenti
Nella rassegna del Teatro Parenti denominata “Dalla tradizione ebraica all’energia di Tel Aviv”, riguardante teatro, musica, danza e incontri con noti personaggi, la prima serata ha visto sul palcoscenico della Sala grande il pianista, improvvisatore e compositore Yakir Arbib. Il musicista italo-israeliano, non vedente, ha una capacità improvvisativa al pianoforte assai rara. Il suo pianismo trasparente e timbricamente ottimo ha rivelato la scuola classica di provenienza, accostata al bisogno di trasformazione continua del materiale sonoro. Nel non breve programma ha trovato riferimenti a Bach, a Beethoven e a Bartók, unitamente a idee completamente sue, costruendo quindi brani dove l’improvvisazione utilizza un substrato melodico-armonico saldamente legato alla musica del passato, sia barocca che classica, che del Novecento, con uno sguardo anche al folclore medio-orientale. Improvvisazioni ottimamente costruite le sue, diverse da quelle del mondo jazzistico, ma altrettanto interessanti. Momenti pacati, molto melodici e riflessivi, come quelli del primo brano – ispirato dalla lettura di un testo di Anna Frank- hanno trovato altre situazioni con maggiori costruzioni armonico-melodiche, come i due riusciti lavori dove il punto di partenza bachiano – con due Preludi dal Clavicembalo ben temperato – hanno subito un’ottima trasformazione. Il primo preludio, il celebre n.1 in Do maggiore , dal primo libro, era completato con la relativa Fuga completamente modificata e ricostruita con ricca espressione. Il secondo Preludio, in Do minore dal secondo libro, con una ritmica irregolare in nove ottavi, quasi jazzistica, ha creato contrasti particolarmente marcati e ricchi di tensione. Molto interessante poi il tema dalla Sinfonia Eroica di Beethoven, riproposto con diversificate variazioni ben articolate nella loro aggregazione. Ancora valido il momento bartòkiano, dove l’elemento ritmico, dissonante e d’intensa volumetria ha trovato in Arbib ancora grande creatività costruttiva. Pacata e profonda la melodia dell’ultimo intimo lavoro. Applausi calorosi meritatissimi al termine del concerto, per un pianista improvvisatore di eccellente musicalità. Questa sera al Teatro Parenti si torna al teatro con la pièce “Pizzeria Kamikaze”, un lavoro basato sul libro di Etgar Keret, per la regia di Mario De Masi.
17 ottobre 2023 Cesare GuzzardellaIl Quartetto Sincronie ai Lieti Calici degli Amici del Loggione
La rassegna Lieti Calici degli Amici del Loggione del Teatro alla Scala è ripresa in via Silvio Pellico 6 per presentare il Quartetto Sincronie, un giovane gruppo cameristico per il quale è in corso l’uscita del loro primo Cd Stradivarius dedicato a musiche di Monteverdi e Malipiero. Mario Marcarini, a introduzione della mattinata musicale-gastronomica, ha ben spiegato l’importanza di Gian Francesco Malipiero (1882-1973) nel panorama della musica del Novecento. Il musicista veneziano legato al repertorio antico, a cominciare proprio da Claudio Monteverdi (1567-1643), ha composto numerose opere liriche, spesso dimenticate e la sua vena melodica la ritroviamo anche in molte composizioni strumentali, come ad esempio i suoi Quartetti d’archi, tre dei quali sono presenti nel Cd che tra poco troveremo nei negozi e in rete. L’ottima formazione quartettistica Sincronie, ci ha donato un assaggio delle loro qualità proponendoci parte dell’incisione con un Quartetto d’archi di Malipiero – il n.3– e alcune trascrizioni dalla Messa a quattro voci di Monteverdi. Le valide interpretazioni per entrambi gli autori, ci hanno immerso in un contesto musicale decisamente interessante e profondo, con i canti a quattro voci di Monteverdi e il neoclassicismo moderno del grande musicista veneto che andrebbe riscoperto nei teatri e nelle sale da concerto almeno italiane e non solo. Il linguaggio di Malipiero nei quartetti varia tra la vena più melodica riferita al passato ad una esuberante modernità espressa con ritmiche ben accentuate. Dopo il breve intervento musicale e un breve bis ancora di Monteverdi fragorosi gli applausi meritatissimi e il classico ottimo brindisi con vini di qualità e rilativi eccellenti assaggi gastronomici.
15 ottobre 2023 Cesare GuzzardellaTurangalîla-Symphonie, con Yuja Wang al Teatro alla Scala
Ieri sera abbiamo ascoltato la seconda e ultima replica del concerto sinfonico della Filarmonica della Scala diretta da Simone Young. La direttrice d’orchestra australiana ha sostituito all’ultimo momento il celebre direttore indiano Zubin Mehta, indisposto. La grande sinfonia di Olivier Messiaen, Turangalîla-Symphonie, ha trovato come soliste la celebre pianista cinese-statunitense Yuja Wang e alle Onde Martenot la francese Cécile Lartigau. Il corposo lavoro venne composto dal musicista d’Avignone tra il 1946 e il 1948. È uno dei grandi capolavori del ‘900 ed è suddiviso in dieci parti per una durata che può arrivare anche ad ottanta minuti. Trovò la prima direzione a Boston, nel 1949, con Leonard Bernstein sul podio. L’ampio lavoro di Messiaen da decenni non veniva eseguito alla Scala, ma recentemente, nell’aprile di quest’anno, è stato eseguito a Milano per un’ottima interpretazione dell’Orchestra Sinfonica di Milano con Luca Buratto al pianoforte e la Lartigau alle Onde Martenot. Il brano del francese è stato preceduto dalla Sinfonia n.38 in re maggiore K. 504 “Praga” di W.A.Mozart per una interpretazione energica e ricca di equilibrio molto applaudita. Con l’ingresso delle due soliste è iniziato il momento più atteso della serata. Come scritto nell’articolo di aprile, la vastissima orchestra utilizzata, alterna momenti di voluminose esternazioni che possono incontrare sonorità caotiche e altre di profonda meditazione. In quest’alternanza di situazioni, a volte di enorme voluminosità sonora, a volte di pacata riflessione, espresse anche con sovrapposizione di piani sonori spesso apparentemente discordanti, si realizza la filosofia musicale, molto personale e profondamente religiosa, di Messiaen che ricordiamo essere stato oltre che compositore anche organista e naturalista ornitologo. La complessità di questo lavoro ricco di luminosità ha visto l’utilizzo di tutti le potenziali timbriche della compagine orchestrale e l’importante parte pianistica a volte con vistoso virtuosismo percussivo ed effettistico, risulta essere solo una componente del tutto, come anche le soavi sonorità prodotte dalle Onde Martenot di Cécile Lartigau, eccellente strumentista già presente nell’esecuzione milanese di aprile. L’interpretazione ascoltata è stata certamente di ottima fattura, con una timbrica precisa e dettagliata in ogni sezione orchestrale. La Young ha rivelato un’ottima intesa con la Filarmonica scaligera per una definizione complessiva brillante e di grande equilibrio. Precise e ben inserite le Onde della Lartigau, e di perfetta resa la componente pianistica della Wang. Pubblico entusiasta al termine dell’eccellente lavoro e applausi fragorosi a tutti i protagonisti in un teatro quasi al completo.
15 ottobre 2023 Cesare GuzzardellaMischa Maisky inaugura al Dal Verme la Stagione de I Pomeriggi Musicali
La settimana di inaugurazioni di stagioni concertistiche ha interessato anche I Pomeriggi Musicali. Al Teatro Dal Verme la prima ha avuto un protagonista d’eccezione nel nome di Mischa Maisky, il celebre violoncellista estone, di Riga, che fortunatamente spesso abbiamo l’occasione di ascoltare a Milano. Ieri sera il noto Concerto per violoncello e orchestra n.1 in la minore op.33 di Camille Saint-Saëns è stato preceduto da un noto brano del vivente Arvo Pärt (1935) anche lui estone, di Paide. Il suo lavoro,Fratres (1977) viene eseguito costantemente in tutto il mondo. Un successo internazionale, cosa rarissima per la musica contemporanea, che nell’interpretazione dell’Orchestra I Pomeriggi diretta da James Feddeck ha trovato una degna restituzione. Un lavoro quello di Pärt dove la ripetizione di sequenze timbriche assume il carattere contemplativo tipico della sua musica, ricca di pregnanza religiosa. L’ingresso del violoncellista sul palcoscenico ha portato ad un’anticipazione degli applausi sostenuti e interminabili che saranno elargiti al termine dell’eccellente Concerto in la minore. È un lavoro tardo romantico, del 1873, che certamente trova riferimento alla musica di Mendelssohn per la discorsività e l’immediatezza delle costruzioni. Il violoncello di Maisky, centrale nel brano, ha esternato timbriche intense ed espressive ben inserite nell’ottima concertazione di Feddeck. La resa solistica, notevole per incisività, unita ad una naturale dolcezza del tocco del violoncellista, è stata di altissimo livello. Il pubblico ha notevolmente apprezzato lo straordinario concerto nella restituzione di Maisky e dei validi orchestrali. Due i bis solistici concessi dal cellista con due movimenti bachiani dalle celebri suites per violoncello solo, il Preludio della Suite n.2e il Preludio della Suite n.1, quest’ultima espressa in modo estemporaneo ma con rinnovata tensione emotiva. Applausi interminabili. Dopo il breve intervallo, in programma l’immensa Sinfonia n.5 in do minore op.67 di L.v. Beethoven. Un’ interpretazione energica e ben scandita quella da James Feddeck, con tempi piuttosto rapidi ma efficaci. Pubblico entusiasta. Bravissimi. Ricordiamo la replica di domani, sabato alle ore 17.00. Da non perdere.
13 ottobre 2023 Cesare GuzzardellaInaugurata la nuova Stagione della Società dei Concerti con la pianista Ying Li
Ieri sera in Sala Verdi, nel Conservatorio di Milano, è iniziata la nuova serie di concerti organizzati dalla “Fondazione la Società dei Concerti”. Interpreti noti e orchestre importanti sono impegnati ogni mercoledì sera alle ore 20.45 o nel pomeriggio alle ore 17.00 nelle tre serie previste: le due serali, Smeraldo e Rubino, e quella pomeridiana, Zaffiro. Il primo concerto ha visto la Deutsche Staatphilharmonie Rheinland-Pfalz diretta dallo svizzero Mario Venzago in un programma che prevedeva brani di Schubert e di Bartók. L’ Ouverture D796 dall’opera Fierrabrasdel grande viennese ha introdotto la serata rivelando da subito l’ottima cifra stilistica della compagine orchestrale e del suo direttore. Il secondo brano in programma, il Concerto per pianoforte e orchestra in mi maggiore n.3 di Bela Bartók , ha ritrovato al pianoforte solista la cinese-statunitense Ying Li, pianista venuta alla ribalta internazionale proprio in questo palcoscenico nel 2021 con la meritata vittoria del Premio Internazionale Antonio Mormone. Tornata più volte in Sala Verdi, ieri si è cimentata con il virtuosismo di Bela Bartòk in un lavoro composto dal musicita ungherese nel 1945, a pochi mesi dalla sua dipartita. Ying Li si è trovata perfettamente a suo agio nel brano giocato su una non semplice componente tecnica che pur dimenticando le asprezze percussive dei primi lavori, ha una grande varietà d’intrecci: da quelli più lirici, con riferimenti al folclore ungherese con certe influenze orientali, alle situazioni dissonanti con ritmiche irregolari tipiche del compositore, tutti restituiti dall’interprete in modo mirabile dal punto di vista della chiarezza dei dettagli, in una visione complessiva unitaria. Di grande nitore espressivo, ad esempio, le scandite note dell’Adagio religioso centrale. Ottima anche la rilevante componente orchestrale, con una restituzioni ricca di timbriche espressive ben delineate da ogni sezione strumentale. Di qualità il bis solistico di Ying Li con il noto verdiano “Bella figlia dell’amore” da Rigoletto nella virtuosistica rivisitazione di Franz Liszt. Applausi fragorosi meritati. Dopo il breve intervallo il ritorno musicale di Schubert prevedeva la Sinfonia in mi maggiore D 729 “Incompiuta”, da non confondersi con la più celebre “Sinfonia Incompiuta in si minore”. Questo lovoro è stato ricostruito partendo da frammenti lasciati incompiuti nel 1821 e completati da R.Dünser e dallo stesso Venzago. L’ottima interpretazione ascoltata è stata di particolare interesse per la qualità, la quantità e la varietà delle brillanti idee musicali, molto orecchiabili e ben ricostruite nei quattro classici movimenti sinfonici. Applausi calorosi al termine e come bis un noto valzer di J. Strauss.
12 ottobre 2023 Cesare GuzzardellaIl duo Lozakovich-Redkin alle Serate Musicali del Conservatorio milanese
Secondo appuntamento stagionale di alta qualità quello cui abbiamo assistito ieri sera in Conservatorio. L’ottima programmazione di Serate Musicali in Sala Verdi, prevedeva infatti il duo formato dal ventiduenne violinista di Stoccolma Daniel Lozakovich e dal pianista russo Sergei Redkin. L’impaginato comprendeva brani conosciuti di Dvorak, Grieg, Franck e Ravel. Un programma all’insegna del vurtuosismo con lavori che hanno fatto emergere le qualità del giovane violinista, per l’occasione con uno Stradivari ex-Sancy 1713 in prestito dal gruppo LVMH. Uno strumento timbricamente splendido che ha trovato un degno utilizzatore nelle mani di Lozakovich. Insieme all’ottimo pianista siberiano trentaduenne Redkin, hanno iniziato il concerto con i Cinque pezzi romantici op.75 di Antonin Dvoràk, lavori intensamente lirici delineati con evidente espressività dell’archetto del solista. L’appariscente cifra timbrica, giocata da un colore sottile, delicato e nello stesso tempo incisivo è da subito emersa, per poi evidenziarsi maggiormente nella Sonata n.3 in do minore op 45 di Edvard Grieg, tre movimenti con molto virtuosismo nell’Allegro molto appassionato iniziale e maggiore cantabilità nella Romanza centrale e nell’Allegro finale ricco di riferimenti folcloristici. Ottima l’integrazione sinergica dei due strumenti, con una tastiera ben rispettosa delle quattro corde. Il pezzo corposo e forse ancor più noto di Cesar Franck, la Sonata in la maggiore, ha visto un’interessante personalizzazione del duo, con un’esucuzione di ampio respiro, quasi brahmsiano, particolarmente efficace. Un capolavoro, quello di Franck che ha trovato un’eccellente resa dai due valenti interpreti con incisività e nitore timbrico in tutte le quattro andature che compongono la mirabile sonata ciclica. Ancor più appariscenti le qualità di Lozakovich nella celebre Tzigane di Maurice Ravel. L’introduzione solo violinistica, ricca d’incisività, ha trovato un solista capace di ottenere contrasti dinamici chiari e d’ eccellente resa, e quindi la continuazione ancora stupefacente del brano con l’entrata dei colori pianistici, altrettanto pregnanti e brillanti. Un’ esecuzione di raro ascolto per qualità raggiunta dal duo che evidenzia l’alto spessore del violinista, coadiuvato benissimo dalle precise e ben delineate armonie pianistiche. Applausi fragorosi al termine e due splendidi bis con due toccanti melodiosi brani. Prima un delizioso Salut d’amour di Edward Elgar e poi un altrettanto delicato Aprés un Rêve di Gabriel Fauré. Serata memorabile.
10 ottobre 2023 Cesare GuzzardellaTatiana Larionova allo Spazio Teatro 89 di Milano
Lo Spazio Teatro 89, il piccolo, accogliente ed elegante teatro da alcuni anni attivo in via Fratelli Zoia 89, ha ospitato ieri la pianista Tatiana Larionova per un impaginato tutto russo con brani di Čajkovskij e di Rachmaninov. L’interprete, classe 1979, ha affrontato con disinvoltura ed espressività entrambi i compositori. Partendo dal Thème original et variations, op. 19 n. 6 del primo russo, compositore celebre nel repertorio sinfonico e trascurato in quello pianistico, la Larionova ha trovato un giusto equilibrio nell’esprimere con timbrica chiara l’opera giovanile di un autore che pur risentendo delle influenze dei grandi dell’Ottocento sviluppa già una personalità certamente riconoscibile. Il brano successivo di Sergej Rachmaninov con le sue Variazioni su un Tema di Corelli op. 42, rappresenta un esempio di grande maturità del secondo compositore russo, celebre anche come virtuoso del pianoforte. La semplice melodia originaria del compositore barocco italiano Arcangelo Corelli, viene mirabilmente modificata con una sequenza di venti varianti particolarmente ricche di contrasti, da quelle più virtuosistiche, spesso rapide e di breve durata, a quelle maggiormente melodiche e più distese, che hanno nel genio di Rachmaninov una personalizzazione di smisurato livello costruttivo e creativo. Qui la Larianova ha fornito la migliore resa, con una vitalissima interpretazione giocata su un luminoso virtuosismo e su una evidente chiarezza espressiva. Di ottimo livello i brani successivi: prima di Čajkovskij, Dumka, scena rustica russa op. 59, opera matura del russo ben delineata dalla pianista e, a conclusione, i Six Moments Musicaux op. 16 di Rachmaninov, lavoro giovanile ma con alcuni momenti già caratterizzanti la personalità dell’autore. Ottima l’interpretazione e valido il bis concesso con il noto Preudio op.3 n.2 in do diesis minore. Applausi sostenuti. Ricordiamo che Tatiana Larionova riproporrà musiche di Rachmaninov il 12 ottobre a Milano presso l’aula magna dell’Università cattolica nei concerti denominati “Pianoforte in Ateneo”. Da non perdere.
9 ottobre 2023 Cesare Guzzardella
Lilya Zilberstein diretta da Alondra de la Parra in Auditorium
Il concerto di ieri sera con l’Orchestra Sinfonica di Milano ha trovato due donne protagoniste per le musiche di Rachmaninov e di Brahms. Del primo abbiamo ascoltato la Rapsodia su un tema di Paganini per pianoforte e orchestra Op.43 (1934); del secondo la Sinfonia n.1 in do minore Op.68 (1855-77). Certo il riferimento al grande virtuoso Niccolò Paganini in una serata per l’occasione denominata “Paganini al piano”, era lecito anche se nella stupenda Rapsodia Op.43abbiamo ritrovato soprattutto la personalità del virtuoso Sergej Rachmaninov e meno quella del grande virtuoso dell’archetto genovese. Quasi un pretesto da parte del pianista-compositore russo quello di utilizzare il celebre tema del Capriccio n.24 di Paganini per far emergere invece tutta la sua fantasia e la sua capacità di variare e costruire il lavoro. Un brano dalla durata di otre venti minuti, che ritrova contrasti accentuati tra virtuosismi incredibili e momenti d’intensa riflessione sonora. Il tutto è stato reso in modo eccellente dalla Zilberstein, pianista moscovita salita alla ribalta nel lontano 1987 vincendo il Concorso Internazionale F. Busoni e da allora considerata tra le massime interpreti della scuola russa e non solo. Diretta bene dalla direttrice d’orchestra messicana Alondra de la Parra, la Zilberstein ha dominato la tastiera evidenziando sicurezza assoluta nei passaggi più impervi, delicatezza e sensibilità espressiva nei momenti più pacati ed equilibrio complessivo di primo livello. Un’interpretazione qualitativamente di raro ascolto, per efficacia non solo virtuosistica ma anche d’espressione. Nessun bis solistico al termine. Nella seconda parte della serata la nota Sinfonia n .1 di Brahms, lavoro nei classici quattro movimenti che ebbe lunga gestazione, ha visto una valida interpretazione dalla Sinfonica di Milano, compagine che ha trovato una direttrice sensibile, dal gesto efficace. Interpretazione in crescendo con un ottimo Finale nell’Adagio- Più andante- Allegro non troppo,ma con brio, il movimento più atteso per la coralità del tema più noto. Applausi fragorosi dal numeroso pubblico intervenuto in Auditorium. Domenica 8 ottobre, alle ore 16.00, la replica. Da non perdere!
7 ottobre 2023 Cesare Guzzardella
La pianista Elisabetta Galindo Pacheco in concerto presso il Shigeru Kawai Center di Cesano Boscone
Tra i concerti che si stanno svolgendo alla rassegna musicale “Primavera di Baggio”, nel tardo pomeriggio di ieri abbiamo avuto l’occasione di assistere, nell’elegante Shigeru Kawai Center di Cesano Boscone, ad una bella esibizione della giovane pianista milanese Elisabetta Galindo Pacheco. Presentata da Davide Cabassi, ideatore della fortunata rassegna musicale dello storico comune del milanese, e da Andrea Carcano, entrambi docenti di pianoforte principale al Conservatorio milanese, la Galindo Pacheco ha impaginato un ottimo programma con brani di Mozart, Brahms, Dusman e Berg. La Sonata in re maggiore K 576, ultima del genio salisburghese, ha introdotto il concerto: la valida esecuzione ha avuto il momento migliore nell’Adagio centrale. Con Brahms e la scelta degli Intermezzi n.1, n.2 e n.4 dai celebri Klavierstüke op.118, abbiamo trovato un’interprete più determinata e a suo agio in un mondo sonoro molto vicino alla sua sensibilità. Ottima la resa timbrica complessiva, corposa, decisa e ben delineata nei dettagli. La compositrice statunitense Linda Dusman, classe 1956, scriveva nel 2002 quattro brevi brani – “States”- dedicati a giovani pianisti. La Galindo Pacheco ha rivelato disinvoltura nell’eseguirli, collegandoli poi all’ultimo brano in programma, la nota Sonata n.1 di Alban Berg. Notevole l’interpretazione del brano che Berg compose nel 1908 su suggerimento del suo maestro Arnold Schönberg. La pianista ha qui dimostrato indubbie qualità nella non facile sonata anticipatrice della più evoluta musica novecentesca, rivelando eccellente sintonia con il repertorio più moderno. Applausi meritatissimi dal numeroso pubblico intervenuto e ottimo il bis concesso con la ripetizione del primo Intermezzo brahmsiano. Al termine, un simpatico brindisi tra i magnifici pianoforti Kawai esposti nel grande salone.
6 ottobre 2023 Cesare GuzzardellaIl grande Bach per due, tre e quattro pianoforti alle Serate Musicali
Non capita pressochè mai di ascoltare un concerto come quello visto e ascoltato ieri sera in Conservatorio per Serate Musicali. La grande musica di J.S. Bach ha brillato con la compagine strumentale L’Appassionatae con ben quattro ottimi pianisti quali Leonora Armellini, Zlata Chochieva, Anton Gerzenberg e Mattia Ometto. In programma i Concerti per due tastere e archi BWV 1060- 061-1062, i Concerti per tre tastiere BWV 1063-1064– e il Concerto per 4 tastiera in la minore BWV 1065. Quest’ultimo in realtà è un concerto di Antonio Vivaldi trascritto da Bach dall’originale per quattro violini. I solisti si sono alternati in diverse combinazioni, sino a suonare tutti insieme nell’ultimo splendido lavoro, con l’ultimo movimento ripetuto poi come bis. Tutti i brani, sempre in tre movimenti, datano 1735 e rappresentano un esempio di grande architettura musicale resa molto bene nelle attuali versioni con pianoforte. I quattro interpreti, ben inseriti nel contesto strumentale, ottimamente diretto dal maestro orchestratore e primo violino Lorenzo Gugole, hanno trovato il giusto dosaggio timbrico esternando ciascuno una differente personalità non facilmente distinguibile visto il continuo cambio delle parti, ma certamente di ottima qualità. L’ottima resa complessiva sia dei pianisti che degli strumentisti ad arco ha portato ad un successo meritatissimo da parte del pubblico presente in Sala Verdi. Una serata unica nel genere barocco che rimarrà nei ricordi di chi ha avuto la fortuna di essere presente. Lunedì prossimo, 9 ottobre, il violinista Daniel Lozakovich ed il pianista Dmitri Shishkin eseguiranno musiche di Dvorak, Grieg, Franck e Ravel. Da non perdere
3 ottobre 2023 Cesare Guzzardella
SETTEMBRE 2023
Il violino di Giuseppe Gibboni per la Sinfonica di Milano diretta da Joel Sandelson
È iniziata “alla grande” la Stagione sinfonica all’Auditorium di l.go Mahler. Ieri sera sul palcoscenico milanese l’Orchestra Sinfonica di Milano, diretta per l’occasione dall’inglese Joel Sandelson, ha trovato nel primo concerto stagionale il violino solista di Giuseppe Gibboni, classe 2001, per il Concerto n.1 per Violino e Orchestra in re maggiore op.35 di Čajkovskij. Dopo l’intervallo, un altro capolavoro in programma quale la Sinfonia n.5 in re minore op.47 di Šostakovič. Due brani russi a confronto quindi, iniziando con una celebre composizione nei classici tre movimenti che trasuda dei modi occidentali d’intendere la musica. Il lavoro è stato composto dal primo grande russo nel 1878 con un evidente riferimento alla musica romantica; il brano successivo , più complesso del 1937 è tra i migliori del secondo russo ed è legato in profondità alla sua terra. Nell’Op.35 di Čajkovskij, probabilmente il concerto violinistico più eseguito al mondo, Gibboni, vincitore del prestigioso Concorso Paganini di Genova nell’ottobre 2021, ha ancora una volta dimostrato le sue splendide qualità interpretative giocate su un’espressività di primo livello ottenuta con una tecnica precisa, dettagliata, con intonazioni perfette anche nei sopracuti e un vibrato ricco di colore. Ottima poi la direzione del giovane Sandelson che ha dato un taglio energico alla celebre composizione con incalzanti volumetrie sonore come quelle emerse nell’Allegro vivacissimo del finale. Applausi calorosissimi dal numeroso pubblico presente. Due ottimi bis solistici concessi da Gibboni con un esemplare Capriccio n.5 di Paganini intriso di virtuosismo ed espressione ed un intenso Adagio da una Sonata per violino solo di Bach. La nota Sinfonia op.47 di Šostakovič ha poi rivelato l’alto spessore interpretativo della Sinfonica di Milano attraverso la direzione orchestrale minuziosa, attenta e di grande equilibrio di Sandelson. I quattro movimenti che compongono probabilmente il lavoro sinfonico più conosciuto del russo, sono stati delineati penetrando la partitura in ogni frangente, a partire dal contrastato Moderato iniziale, passando per il brioso Allegretto e quindi il profondo terzo movimento Largo e arrivando all’ancora volumetrico Allegro non troppo finale. Una direzione quindi in perfetta sintonia con le grandi potenzialità dell’Orchestra Sinfonica milanese. Ricordiamo che il ventinovenne Sandelson nel 2021 ha vinto il prestigioso Premio Herbert von Karajan Young Conductors del Festival di Salisburgo. Ancora applausi calorosi e interminabili al termine della splendida serata. Si ricorda la prima replica del concerto prevista per questa sera alle ore 20.00 e quella di domenica alle ore 16.00. Da non perdere!!
29 settembre 2023 Cesare GuzzardellaSuccesso per Beethoven in Vermont di Maria Letizia Compatangelo e del Trio Metamorphosi
Conosciamo bene il Trio Metamorphosi, ossia il violinista Mauro Loguercio, il violoncellista Francesco Pepicelli e il pianista Angelo Pepicelli: i loro Cd dedicati ai Trii di Beethoven sono un vero successo discografico. Non li conoscevamo invece come attori: lo diventano, restando contemporaneamente strumentisti, nella riuscita pièce teatrale vista e ascoltata ieri sera al Teatro Lirico “G.Gaber” di Milano. Un lavoro pensato e organizzato dalla drammaturga e saggista Maria Letizia Compatangelo, intitolato “Beethoven in Vermont”, in programma al Gaber per la rassegna Musical Square. Un racconto in musica che vede protagonisti tre esuli dalla Germania nazista, arrivati nel Vermont, dove fondano nel 1951 una scuola musicale e il Festival di Marlboro. Si trattava di Adolf Busch, grande violinista, Hermann Busch, cellista e Rudolf Serkin, pianista, il celebre trio che ha segnato la storia dell’interpretazione. Il lavoro è stato preceduto da un breve concerto del giovane pianista Francesco Spiri che ha suonato l’Arabesque e Papillon di Robert Schumann con delicato ma profondo spessore espressivo. Un valore aggiunto dello spettacolo è certamente la novità di unire musica e recitazione senza che ci sia frammentazione o mancanza d’unità. I protagonisti alternano l’esecuzione di movimenti beethoveniani dei celebri trii per violino, violoncello e pianoforte a dialoghi ottimamente recitati: si assiste a un serrato scambio di idee sulla scelta del programma per il concerto che dovrà essere tenuto al primo Festival di Marlboro. La scelta andrebbe fatta tra Haydn, Mozart, Schubert o anche Ravel, ma cadrà poi sul grande genio di Bonn. Al termine dello spettacolo il più celebre Trio dell’Arciduca verrà parzialmento eseguito con il movimento più noto, interpretato mirabilmente. La maggiore tensione del dialogo si avverte quando emerge il ricordo della Germania nazista, con la conseguente decisione dei Busch, tedeschi, e di Serkin, ebreo austriaco, di lasciare l’Europa per gli Stati Uniti. Nell’ottima regia della Compatangelo, autrice anche dei dialoghi, i tre passano dalla staticità di alcune esecuzioni al movimento, sia recitando che suonando, in un armonioso legame tra teatro e musica. Il pubblico che occupava interamente la platea ha saputo apprezzare lo spettacolo, che meritava assolutamente di essere visto e ascoltato. Applausi fragorosi ai tre protagonisti e alla regista salita sul palcoscenico.
28 settembre 2023 Cesare GuzzardellaAL CONSERVATORIO DI NOVARA PROSEGUONO I CONCERTI DEL PIANOVARA FESTIVAL CON IL GIOVANE JIHUA LIU
Nato in Cina nel 1997, formazione pianistica in patria, una messe di concorsi vinti in Cina e in generale in Estremo Oriente, ora in Italia, a Novara, per un biennio di perfezionamento al Cantelli col Maestro Coppola. Questo il ritratto sintetico del protagonista della nuova serata concertistica per pianoforte solo, in programma al Cantelli ieri sera, mercoledì 27 settembre, nell’ambito del Pianovara festival, la novità di inizio stagione a Novara. Il biglietto di presentazione di Liu dinanzi al pubblico dell’Auditorium Olivieri erano i primi sei Preludi del Libro I di C. Debussy. L’interpretazione di Liu è stata decisamente di buon livello. Questo giovane pianista cinese è fornito di un tocco che si distingue per morbidezza e dolcezza, oltre che per estrema precisione, che nelle zone acute e sovracute della tastiera attinge una chiarezza cristallina di rara suggestione. Per questo Liu raggiunge il livello più alto sul piano espressivo nei Preludi in cui più accentuato si fa il carattere incantatorio, una grazia formale sospesa in una rarefatta immobilità, in cui il Debussy ‘impressionista’ sembra anticipare il Debussy ‘astratto’ di “Pelléas et Melisande”; come nel primo, la lenta, misteriosamente ieratica danza processionale delle “Danseuses de Delphe” o il secondo “Voiles”, dove le dita sapienti di Liu incidono l’arabesco e la melodia affidati alla mano destra e l’arcano rintocco al basso per la sinistra, sovrapponendoli con una delicatezza e una sensibilità finissima nelle minime variazioni, che raggiunge livelli espressivi di intensità superiore a esecuzioni di ben più titolati interpreti. Perfetta, a nostro avviso, l’esecuzione del sesto Preludio, i celebri “Passi sulla neve”, in cui il duttile tocco di Liu fa risuonare la gamma delle sfumature e i vari colori di questo pezzo meraviglioso, in una gamma di sottilissime variazioni che vanno, secondo le indicazioni dello stesso Debussy, dall'”espressivo e doloroso”, all'”espressivo e tenero”, al “tenero e triste rimpianto”. Le Variazioni su un tema di Corelli op.42 di S. Rachmaninov erano il secondo pezzo in programma nel recital di Jihua Liu. Questa composizione è sempre stata considerata una sorta di eccezione nel corpus della musica di Rachmaninov, per l’assenza, o quantomeno la drastica riduzione, di quell’enfasi sentimentale, sostenuta da un estremo virtuosismo, tipicamente tardoromantica, che contraddistingue notoriamente la sua produzione musicale. Queste Variazioni, su uno dei temi più celebri della storia della musica, quello della “Follia” sfruttato da molti compositori, tra cui Corelli, presenta invece una sorprendente economia di mezzi espressivi, una più approfondita elaborazione formale e armonica, che talvolta raggiunge i confini del sistema tonale e in generale una ‘severità’ di impianto che a taluni ha richiamato addirittura Reger. Liu imposta la propria interpretazione scegliendo di portare in primo piano la ricerca coloristica, con un calibratissimo controllo delle dinamiche e una sottile varietà di tocco, soprattutto nelle zone estreme della tastiera. Ai valori ‘costruttivi delle Variazioni, insomma, Liu preferisce la sottigliezza delle sfumature timbriche, riuscendoci perfettamente e dando di queste Variazioni un’interpretazione piuttosto originale. Il concerto era concluso da quella che presumiamo la prima esecuzione assoluta in Italia di una composizione di Zhang Zhao, sessantenne compositore tra i più affermati oggi in Cina: si tratta di un breve pezzo per pianoforte intitolato” Pi Huang”, che è il nome di un giovane e affermato pianista contemporaneo, naturalmente cinese. Il pezzo articolato in quattro sezioni, alternatamente lenta e veloce, presenta un impianto tonale, con alcune zone di politonalità, e, nelle sezioni veloci, passi di agilità e virtuosismo, e in generale, frondosa ricchezza di abbellimenti, a simboleggiare musicalmente, immaginiamo, il virtuosismo di Pi Huang, di cui esistono testimonianze su You Tube. Qui diremmo che emerge soprattutto la personalità del Liu virtuoso, in possesso di una tecnica solidissima, che sgrana con assoluta precisione torrenti di note nelle sezioni agogicamente più sostenute del pezzo di Zhao, ma che sa anche restituire in modo suggestivo l’atmosfera sospesa e misteriosamente lenta delle sezioni prima e terza. Un ottimo concerto, il migliore senz’altro dei tre sinora da noi ascoltati nell’ambito del Pianovara Festival, come ha confermato il lungo e caloroso applauso tributato dal pubblico. Neppure in questo caso, tuttavia, il solista ha concesso il bis: che sia una regola dei concerti del Pianovara Festival?
28 settembre 2023 Bruno BuscaMusica Futurista e d’intorni al Museo del Novecento con Diego Pretella e Giorgia McKenzie
Un concerto di raro ascolto, ma interessante e piacevole, quello ascoltato ieri pomeriggio nella scenografica Sala Fontana del Museo del Novecento, organizzato da NoMus e con il sostegno della Società del Quartetto. Il pianista Diego Petrella e il soprano Giorgia McKenzie si sono cimentati in un repertorio che aveva come riferimento centrale il Futurismo. La corrente letteraria-artistica ideata da Filippo Tommaso Marinetti ha una declinazione anche musicale con musicisti che vanno da Antonio Russolo, l’ideatore, insieme al più noto fratello Luigi dell’intonarumori, a compositori come Francesco Balilla Patrella, Franco Casavola, Aldo Giuntini e altri ancora. Nel variegato impaginato ideato dal giovane pianista Diego Petrella, interprete coraggiosamente orientato nel mondo della musica contemporanea – ma anche ottimo pianista nei classici- ai nomi già detti si aggiungono compositori come Leo Ornstein, Arthur Lourié, George Antheil e il nostro Sylvano Bussotti, tutti accomunati da modalità compositive nuove e vicine alle esperienze futuriste. Tra la dozzina di brani eseguiti abbiamo trovato situazioni fortemente ricche di contrasti come in alcuni brani tratti dalle Tre sintesi musicali futuriste di Aldo Giuntini o nell’avvincente Sonata Suicide in an airplane del compositire russo-statunitense Leo Ornstein, resa ottimamente dal pianista; ma anche situazioni altamente melodiche come in Tankas per voce e pianoforte di Franco Casavola dove è emersa la luminosa voce di Giorgia McKenzie. Originali anche le Variazioni Russolo di Sylvano Bussotti, rese con creatività nella parte improvvisata da Petrella e il brano conclusivo di Pratella/Marinetti, una Marcia futurista per voce e pianoforte particolarmente originale. Originali anche Ode to a Nightingale per pianoforte e voce narrante di George Antheil e la trascrizione pianistica tratta dal secondo atto di La caduta dell’aviatore Dro ancora di Pratella. Un pomeriggio ricco di rarità, apprezzato dal numeroso pubblico che affollava Sala Fontana. Applausi fragorosi ai due bravissimi protagonisti.
27 settembre 2023 Cesare GuzzardellaAL PIANOVARA RECITAL DI FLORIAN KOLTUN
Ieri sera, martedì 24 settembre, il festival pianistico Pianovara, alla sua prima edizione, vedeva, nell’auditorium del Conservatorio G. Cantelli, un recital del pianista tedesco Florian Koltun, non molto conosciuto in Italia, ove pure si è esibito in alcune sale da concerto in anni passati, ma di una certa fama in Germania, ove ha esordito una decina di anni fa, e vanta già una nutrita serie di concerti, di premi in concorsi più o meno importanti in patria e in Europa; suona sia come solista, sia in duo con la pianista cinese Xin Wang. Il programma della serata proponeva tre pezzi: le 32 Variazioni in Do minore WoO 80 di Beethoven, la Ciaccona in Re minore di Bach/Busoni e la Sonata in Fa diesis minore op.2 nr. 2 di Brahms. Le variazioni beethoveniane WoO 80 richiedono qualche considerazione preliminare: nonostante siano stranamente prive di numero d’opus, sono tutt’altro che un’opera minore del corpus del Maestro di Bonn. Concepite nel 1806, anno tra i più creativi della vita musicale di Beethoven, riscossero subito un grande successo e furono frequentemente eseguite per gran parte dell’800, salvo uscire dal repertorio dei grandi pianisti nel secolo successivo. Presentano, dal punto di vista compositivo, un motivo di interesse, il fatto che sono impostate come variazioni su un basso ostinato, un tema discendente per gradi cromatici, che si ripete costantemente nelle Variazioni, secondo il principio delle forme barocche della Ciaccona e della Passacaglia (nel 1802 era stata pubblicata per la prima volta e resa nota all’Europa musicale, con le altre Sonate e Partite per violino, di J. S. Bach, anche la oggi celeberrima Partita in Re minore con la sua Ciaccona). In questo senso le Variazioni WoO 80 si possono accostare alla fuga nel finale del contemporaneo terzo Quartetto Razumovskij, a segnare l’inizio di una ricerca che sfocerà nel ‘terzo stile’ degli ultimi quartetti e delle ultime sonata pianistiche. Stilisticamente, queste variazioni vedono prevalere la figurazione ornamentale rispetto all’elaborazione armonica, il che forse può spiegare la non grande considerazione in cui Beethoven ostentò di tenerle. Questo brano può essere interpretato in due modi opposti, entrambi, sia chiaro, legittimi: o dando maggior risalto al piano espressivo-sentimentale, dando voce a quel colore patetico e malinconico che la tonalità di Do minore imprime al tema, lasciando in secondo piano il basso ostinato ( magistrale al riguardo l’incisione di Barenboim), o portare in primo piano la struttura architettonica delle variazioni, dando pieno rilievo anche al basso ostinato di Ciaccona nella sua dialettica con la melodia del tema, ‘asciugando’ completamente, o quasi, l’aura espressiva del brano. E’ precisamente questa la scelta fatta da Koltun: dotato di un suono di grande energia, ha presentato queste variazioni di Beethoven come pura architettura di suoni, che sorge dall’incrociarsi continuo e incessante del basso ostinato e del tema. Un’immagine di grande e robusta compattezza formale, peraltro sapientemente screziata dalle ombreggiature dei diversi piani dinamici, gestiti con abilità da Koltun. Una buona interpretazione, anche se la scelta della tonalità di Do minore da parte di Beethoven ne esce in gran parte azzerata nei suoi effetti sul colore del suono. La stessa poderosa compattezza strutturale, la stessa predilezione per un’interpretazione in chiave meramente formale, del resto pienamente giustificata dalle dichiarazioni stesse di Busoni, sono alla base dell’esecuzione, da parte del pianista tedesco, della Ciaccona in Re minore di Bach nella trascrizione, appunto, di Busoni: pezzo in perfetta continuità con il precedente. Sfruttando al massimo la poderosa energia del suo tocco, Koltun cerca, riuscendovi quasi sempre, di dar vita a a quella sonorità ‘organistica’, che Busoni intendeva conferire a questa trascrizione: ascoltando le ‘volatine’ trascinanti della nona variazione o il moto discendente verso registri di abissale oscurità nella trentesima e ultima variazione, si aveva l’impressione che sotto il pianoforte ci fosse la pedaliera di un organo. Nel complesso anche questa sarebbe stata una apprezzabile esecuzione, se qualche nota un po’ sporca di troppo non fosse affiorata qua e là nei passaggi più impervi. Più di una perplessità ha suscitato in noi l’esecuzione dell’ultimo brano in programma, la seconda sonata di Brahms. Qui sono a nostro avviso venuti a galla tutti i limiti di Koltun nel dare voce alle pieghe espressive più intimistiche e liriche, che non mancano neanche nel primissimo Brahms, quello ultraromantico e fervido ammiratore di Schumann delle prime opere, soprattutto quelle pianistiche. Qui il suono energico e possente di Koltun è diventato un rullo compressore, piuttosto monocorde e inespressivo, che ha spianato le delicate sfumature del secondo tema dell’Allegro iniziale, il lirico e trasognato secondo episodio dello Scherzo, la delicata coda che chiude la sonata. In generale, è l’atmosfera da ballata nordica, eroica e delicata, impetuosa e sognante a un tempo, che ispira l’insieme della sonata, a essere dissolta dall’interpretazione tutta slancio eroico e potenza sonora, del pianista tedesco. Un concerto così e così insomma, al termine del quale gli applausi un po’ freddini, di cortesia, del pubblico, non hanno ricevuto il ‘regalo’ del fuori programma.
26 settembre 2023 Bruno BuscaIncontro stampa per i 250 anni del Teatro Fraschini di Pavia
Oggi a pranzo, un incontro-stampa con importanti rappresentanti delle istituzione musicali del territorio pavese è avvenuto in un noto ristorante milanese. Il sindaco di Pavia, Fabrizio Fracassi, il Presidente della Fondazione Banca del Monte di Lombardia prof. Mario Cesa, il direttore generale della Fondazione Teatro Fraschini Francesco Nardelli , e rappresentanti importanti della nota formazione strumentale I Solisti diPavia, hanno anticipato il grande concerto-evento che si terrà per festeggiare i 250 anni del Teatro Fraschini e che avrà luogo il 14 ottobre 2023. Insieme ai Solisti di Pavia, fomazione capeggiata dal noto direttore-violoncellista Enrico Dindo, tra i protagonisti ci saranno il celebre cantante lirico Ambrogio Maestri, pavese di nascita, (per alcuni minuti in collegamento video con i partecipanti) e la violinista Laura Marzadori, primo violino della Filarmonica della Scala. L’intervento del prof. Mario Cera ha voluto sottolineare il ruolo chiave della Banca del Monte di Lombardia nel sostenere finanziariamente l’importante e storico Teatro Fraschini – dopo la Scala tra i maggiori teatri lirici lombardi- e la compagine strumentale de I Solisti di Pavia. L’eccellente sinergia con l’amministrazione comunale è stata sottolineata dal Sindaco Fracassi che ha anche valorizzato le risorse culturali ed artistiche della città; l’ottimo rapporto tra la Fondazione Banca del Monte con il Teatro Fraschini è stata messa in rilievo anche dal direttore Nardelli, che ha anche illustrato la prossima stagione lirica e di concerti della Fondazione teatrale. Il potenziamento del legame con l’area milanese è stato uno dei motivi conduttori del bellissimo incontro avvenuto in un clima di cordialità attorno ad un tavolo tra ottimo risotto ed eccellente vino bianco. Non dimentichiamo di essere presenti all’importante evento del 14 ottobre a Pavia.
Milano, 21 settembre 2023 Cesare GuzzardellaCarlo Guaitoli conclude a Milano il Festival MiTo con un ottimo Debussy
L’ultima giorna del Festival MiTo ha visto la presenza al Teatro Bruno Munari di Milano di un musicista a 360° quale il pianista, arrangiatore e direttore d’orchestra Carlo Guaitoli. Il pubblico italiano lo conosce soprattutto per la collaborazione quasi trentennale con Franco Battiato, cantautore e compositore scomparso nel 2021, con il quale Guaitoli ha realizzato centinaia di concerti nel quale, sia al pianoforte che alla direzione di gruppi strumentali, esprimeva il mondo musicale del grande artista siciliano. Guaitoli, formatosi classicamente, premiato in importanti Concorsi pianistici internazionali, è anche docente di pianoforte principale in Conservatorio. Ha un’attività rilevante anche nel mondo della musica classica e contemporanea che esplica attraverso un’ntensa attività concertistica. Ieri sera ha presentato un impaginato tutto dedicato a Claude Debussy eseguendo prima il Libro Secondo dei Préludes (1912-13) e poi la suite in tre movimenti Pour le piano (1900). Il concerto è stato introdotto con competenza musicologica da Corrado Greco che ha ben inquadrato la musica del grande compositore francese. Il pianista di Carpi ha rivelato un’eccellente sintonia estetica con il mondo di Debussy esaltando la sua musica attraverso timbriche estremamente pesate nelle componenti melodiche ed armoniche e attraverso un virtuosismo calibrato non invadente e ben controllato nelle dinamiche. La bellezza delle sonorità dei dodici Preludi è stata esaltata da una gestualità corretta che trova nelle mani di Guaitoli la migliore scuola pianistica italiana. Di ottima qualità anche Pour le piano con un eccellente finale nella nitida Toccata. Applausi fragorosi dal numeroso pubblico presente in sala e due ottimi bis concessi dall’interprete. Prima un arrangiamento-improvvisazione pianistico dello stesso Guaitoli sul movimento centrale, Romanza, dalla Sonata per clarinetto e pianoforte di Francis Poulenc. Di eccellente qualità la resa di questo lavoro con armonizzazioni legate anche al mondo del jazz. Quindi ancora Debussy con la celebre Arabesque n.1 eseguita con evidente espressività. Ancora calorosi gli applausi.
21 settembre 2023 Cesare GuzzardellaAlexandre Tharaud incanta il Festival MiTo
È un pianista di qualità Alexandre Tharaud, in Francia molto conosciuto anche dal grande pubblico televisivo. La sua predilizione per il repertorio francese, dalla musica di fine Seicento o primo Settecento di Couperin e Rameau, a quella di tardo Ottocento e primo Novecento di Satie, di Debussy e di Ravel, lo ha portato ad una ricerca stilistica personale, dove la melodia francese scritta con virtuosismo dai rispettivi compositori, è mediata da modalità anche eleganti d’espressione. Ieri sera, il cinquantaquatrenne pianista parigino in una serata denominata “Un pianoforte a Parigi” e presentata con sintesi ricercata da Gaia Varon, ha impaginato un programma originale nel quale a brani di Satie, Debussy e Ravel ha accostato, a conclusione, alcuni brani melodici della canzone francese in sue trascrizioni, con elementi d’improvvisazione, tutti particolarmente in linea con il suo stle pianistico. L’ottimo inzio della serata con Erik Satie (1866-1925) con tre Gnossienne – n.1, 3 e 4– e una celebre canzone quale Je te veux, ha individuato la cifra stilistica di Tharaud giocata qui su sottili sonorità ben esternate nei differenti piani sonori nella discreta volumetria timbrica. I cinque brani scelti dal Libro n.1 dei Préludes di Claude Debussy (1862-1918) e i cinque da Miroirs di Maurice Ravel (1875- 1937) hanno portato alla maggiore complessità dell’impressionismo musicale francese esternato con timbriche chiare ed espressive nelle sonorità di Tharaud che ha eseguito i brani -alcuni più noti come De pas sur la neige o La Cathédrale engloutie del primo francese o Alborada del gracioso del secondo- in modo introspettivo con frangenti intimi alternati a più estroverse e virtuosistiche esternazioni. Molto apprezzate dal numerosissimo pubblico intervenuto al Teatro Dal Verme, le canzoni conclusive, tra cui Sous le ciel de Paris, J’attendrai, J’aime Paris au mois de mai e altre portate al successo da celebrità quali Charles Aznavour, Édith Piaf, Juliette Gréco, Jean Sablon, Dalida e altri ancora, ed arrangiate sapientemente dalla mani delicate, ma anche decise del virtuoso. Ottimo il bis concesso con un omaggio a Domenico Scarlatti, con una Sonata, la K 141, resa con spettacolare accentuazione dei contrasti timbrico-dinamici e con abbellimenti aggiunti con coerenza dal bravissimo interprete. Applausi lunghi e fragorosi.
20 settembre 2023 Cesare Guzzardella