APPIANI. Il Neoclassicismo a Milano

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Una mostra raffinata, di grande interesse sia artistico che storico, è quella dedicata ad Andrea Appiani (1754-1817), a Palazzo Reale.

Milanese, figlio di un medico, Appiani rifiutò fin da giovanissimo di dedicarsi agli studi del padre e preferì rivolgersi all’arte per la quale si sentiva più affine, e nella quale eccelse per un raro talento: la pittura. Ebbe modo di frequentare scuole private e accademie, come quella di Brera, che lo avvicinarono ai capolavori rinascimentali e alle tecniche di Raffaello, Giulio Romano, Leonardo, Bernardino Luini. Nel frattempo, stringeva rapporti di amicizia e sodalizio culturale con l’architetto Giuseppe Piermarini (1734–1808) e con letterati e poeti di fama, quali Giuseppe Parini (1729–1799), docente di belle lettere a Brera, e più tardi con il coetaneo Vincenzo Monti (1754–1828) e con il più giovane Ugo Foscolo (1778-1827).

Nel periodo della prima dominazione asburgica, che coincideva con la diffusione dell’Illuminismo lombardo, il suo prestigio si allargò e consolidò. Dipinse scene e costumi per il teatro alla Scala, e accettò commissioni da ecclesiastici e aristocratici per eseguire affreschi in chiese e palazzi nobiliari. Nella Villa Reale di Monza decorò splendidamente – sul tema di Amore e Psiche suggerito dal Parini – la Rotonda delle Serre (1791), per l’arciduca Ferdinando d’Asburgo, figlio dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria, che ne fece dono alla moglie Maria Beatrice d’Este, in occasione del loro ventesimo anniversario di matrimonio.

La sua fama di pittore neoclassico si amplificò in epoca napoleonica e divenne comparabile a quella dei francesi David e Ingres, e dello scultore Canova. Napoleone, fin dal 1796, gli conferì incarichi per disegni di importanti medaglie commemorative e per affreschi nel Palazzo Reale di Milano (distrutti durante i bombardamenti inglesi del 13 agosto 1943). Appiani fu nominato da Napoleone, negli anni della Repubblica Italiana (1802 -1805), premier peintre, ossia pittore ufficiale. Il suo stile armonioso, elegante, fondato sui canoni pittorici rinascimentali che sapeva fondere con il rigore classico, insieme alla sua versatilità artistica, gli valsero riconoscimenti in tutta Europa, ed era già considerato il più grande pittore del Settecento lombardo.

Nel 1813, proprio mentre proseguiva la decorazione della sala di corte del Palazzo, fu colpito da un attacco apoplettico che lo portò a una paralisi invalidante; i lavori s’interruppero e Appiani morì dopo quattro anni di sofferenze. Ebbe al funerale anche l’elogio funebre di Giovanni Berchet.

La mostra espone bellissimi ritratti – di Giuseppe Parini, di Napoleone, di Madame Hamelin, di Antonio Canova, di Ortensia e di Giuseppina di Beauharnais, di Madame Pétier con i figli, per citarne alcuni – e tele con soggetti soprattutto mitologici, ma anche religiosi.

Davvero splendidi Diana ed Atteone (1801) e i dipinti precedenti dedicati al mito di Europa, datati nel biennio 1784-1786, come Europa si asside sul dorso del toro ed Europa consolata da Venere che le presenta Amore.

Il dipinto murale l’Apoteosi di Napoleone (1808) è un affresco sopravvissuto alla distruzione; si trovava nella Sala del Trono, insieme alle quattro lunette con le altrettante Virtù della Giustizia, della Temperanza, della Fortezza e della Prudenza.

Nella Sala delle Cariatidi, collocate dove erano originariamente, ossia come decorazioni della lunga balconata (non più esistente ma “ricostruita” virtualmente con apposite strutture) le copie dei famosi Fasti di Napoleone (1803 -1807), ciclo di 39 dipinti monocromi a tempera su tavole, che illustravano in particolare battaglie e momenti della Campagna d’Italia: considerati da Stendhal un meraviglioso unicum, erano un capolavoro assoluto del neoclassicismo. Perduti nel già citato bombardamento, restano oggi le stampe incise dallo stesso Appiani e da altri incisori, risalenti al periodo 1807–1817.

La mostra, da non perdere, si può visitare fino all’11 gennaio 2026.

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