venerdì, Maggio 9, 2025
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ANTONIO SALIERI A NOVARA COL REQUIEM IN DO MINORE E ALBERTO CARA CON UNA PRIMA ASSOLUTA

In un periodo che ha visto una singolare presenza di Requiem nelle sale da concerto italiane, dal bellissimo e nuovissimo Requiem di Filidei alla Scala, allo splendido e raggelante War Requiem di B. Britten al Maggio Musicale Fiorentino, anche il Teatro Coccia di Novara sembra aver voluto recare un proprio contributo con l’esecuzione, ieri sera Giovedi’ 8 Maggio, nelle imponenti architetture antonelliane del Duomo cittadino, del Requiem in do minore di Antonio Salieri.

Di Salieri, ricordiamo, ricorre il bicentenario della morte, e questo Requiem, preceduto dalla prima assoluta di un’altra composizione sacra, “Ad Te, Domine, clamabo”, del compositore contemporaneo Alberto Cara (n.1975), rientrava nelle celebrazioni di tale anniversario. Il tutto è frutto di una coproduzione col Teatro A. Salieri di Legnago, località ove Salieri nacque nel 1750. A parte l’arcinota, quanto assurda leggenda dell’avvelenamento di Mozart da parte di un Salieri roso dall’invidia sino alla follia omicida, sul maestro legnaghese grava lo stigma  di mediocre pedante della musica, che ha confinato la sua opera, piuttosto vasta, in un oblio quasi totale: rare le composizioni di Salieri che si siano affacciate negli ultimi due secoli alle sale da concerto, circostanza abbastanza paradossale per un compositore una cui opera, “L’Europa riconosciuta”, inaugurò il Teatro alla Scala e che ebbe come allievi Beethoven, Schubert, Liszt. Giunge dunque opportuno questo anniversario e l’iniziativa del Teatro Coccia, di far conoscere quel Requiem in do minore per soli coro e orchestra che viene considerato dagli studiosi una delle composizioni più significative e riuscite di Salieri, scritta nel 1804, secondo la tradizione, per le proprie stesse esequie, a quella data, peraltro, ancora lontane  Il Requiem di Salieri, per noi al primo ascolto assoluto, è una composizione musicale tutt’altro che banale, di ascolto decisamente interessante e piacevole, anche se non è neppur pensabile un paragone con l’abissale profondità del Requiem mozartiano. Appartiene, diremmo, a quella produzione media (che non significa, almeno in questo caso, mediocre) di più che dignitosa qualità, che caratterizzò la musica tardo settecentesca e del primissimo ‘800, non senza qualche cauta apertura ai nuovi fermenti romantici che andavano sorgendo agli orizzonti della cultura europea. La direzione di Giancarlo Rizzi, alla guida dell’Orchestra Filarmonica Italiana, coadiuvato da Marina Malavasi, alla direzione del Coro Iris Ensemble, valorizza di questo Requiem le caratteristiche di fondo. Anzitutto l’eleganza e la chiarezza del classicismo settecentesco, con una conduzione del fraseggio, sia vocale, sia strumentale, improntato a chiarezza e nitido equilibrio formale, illuminando con le opportune scelte agogiche i momenti di più distesa e melodiosa cantabilità, come nel Benedictus o nell’Agnus Dei. Non mancano peraltro, nella scrittura di questo Requiem, momenti in cui la chiarezza dello stile classico si fonde con un denso contrappunto, con parti fugate fugati, come nel Quam olim Abrahae dell’Offertorium o nel Sanctus: tessitura contrappuntistica di cui la direzione di Rizzi, sempre molto attenta all’architettura dell’opera, mette in limpida luce le linee portanti. 

Da apprezzare la direzione di Rizzi anche per un altro aspetto decisivo della musica di Salieri, che in questo Requiem assume un ruolo di grande importanza e che la bacchetta valorizza con finezza ed efficacia: la tensione drammatica che non cade quasi mai in tutto lo svolgimento dell’opera e che scaturisce sia dai forti contrasti tematici, di cui è, ovviamente, esempio sommo il Dies Irae, sia dal  sapiente gioco sulle dinamiche, già nell’Introito, per poi ombreggiare, coi suoi taglienti chiaroscuri, l’insieme della partitura. Nei momenti più alti del Dies Irae o dell’Offertorio, questa tensione drammatica, che si traduce in vero e proprio pathos, innerva la musica di un’inquietudine presaga dei futuri sviluppi romantici.  Il mondo sonoro di questo Requiem è esplorato con notevole bravura da Rizzi nella cura dei colori strumentali e delle linee vocali. La strumentazione prescelta da Salieri è chiaramente finalizzata a un gioco vario e talora singolare di intrecci e impasti timbrici, giocati soprattutto su un contrasto interno al gruppo dei fiati, dove, esclusi dall’orchestra flauti e clarinetti, si ha un continuo oscillare tra il suono vellutato ed elegiaco di oboi e corno inglese, screziato dalla tinta scura e velata dei fagotti e il clangore esultante e solenne degli ottoni (trombe e tromboni): esemplare il Sanctus, coi suoi ottoni che celebrano nella maestosità del Do maggiore la vittoria sulla morte, per cedere il posto, nel Benedictus, alla linea trepidamente elegiaca dei legni. La parte vocale integra suggestivamente questa atmosfera sonora con arie quasi sempre di un lirismo elegante ed espressivo, che sfuma il carattere solenne e devozionale del Requiem, immettendovi una buona dose di sensiblerie settecentesca, sempre, peraltro, misurata, ma che la direzione di Rizzi mette nel dovuto rilievo. Buona prova di sé ha dato il quartetto solistico, formato dal soprano Maria Mudryak, eccellente per sonorità ricca di armonici, dal contralto Arlene Miatto Abelda, voce mezzosopranile di buon timbro e ed energica proiezione, dal tenore Gianluca Moro, dal timbro chiaro e limpido, e dal basso Alberto Comes, dotato di un’emissione ricca di sfumature. Ottimo il coro, impeccabile anche nelle parti di più difficile costruzione contrappuntistica, e soprattutto nell’intensità espressiva delle sezioni più inquiete e drammatiche del Requiem.  Come detto, a mo’ d’introduzione al Requiem di Salieri, il Concerto Sacro ha avuto inizio con una composizione, commissionata ad hoc dal Teatro Coccia al compositore Alberto Cara, sui primi sette versetti del Salmo 28 “Ad te Domine clamabo”, per orchestra e basso solista. Lo stesso Cara, nella breve presentazione del suo lavoro, lo ha definito come un’interrogazione sul ‘dopo-vita’, di cui il Requiem è la risposta religiosa. Questo suo pezzo rappresenta il Cara che più apprezziamo, quello che ha il suo esito musicale più riuscito e suggestivo, secondo il nostro avviso, nella composizione per orchestra “Forse semila miglia”, ispirata ad un verso del Paradiso dantesco: una musica come sospesa in una rarefazione di estatico stupore, di fronte al mistero dell’essere, quasi immobile. D’impianto sostanzialmente tonale, è venata di suggestive variazioni timbriche e di sottili sfumature dinamiche, che la bella voce di basso di Comes asseconda con una linea vocale

espressivamente perfetta, accompagnato al meglio dalla direzione orchestrale di Rizzi. Davvero una bella serata di musica, che purtroppo non ha avuto il pubblico che meritava: raccolti nella faraonica architettura del Duomo, gli ascoltatori sembravano davvero pochini. Ma gli happy few presenti, al termine del Concerto sacro, hanno tributato a tutti, cantanti, orchestra, direttori, autore contemporaneo, un applauso scrosciante e strameritato, per una serata di musica che non dimenticheremo.

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