AL TEATRO COCCIA DI NOVARA GRANDE SUCCESSO PER UN DON GIOVANNI DIVENTATO VAMPIRO

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Una coproduzione in grande, tra teatri italiani ed europei, ha portato in questo fine settimana (24 e 26 ottobre) a Novara, a meno di due anni dall’ultima messa in scena, il Don Giovanni di Mozart.

Questa nuova edizione del capolavoro mozartiano (noi abbiamo assistito allo spettacolo di ieri 24/10) giunge al palcoscenico del Coccia già ‘rodata’ nello scorso fine settimana, dal debutto al Teatro Pergolesi di Jesi, coinvolto nella coproduzione, col Teatro Marrucino di Chieti, l’Opéra-Théâtre de l’Eurométropole de Metz, il NOF Nouvel Opéra Fribourg – Neue Oper Freiburg. La regia è affidata alla eclettica figura di Paul-Émile Fourny, poeta, sceneggiatore e regista cinematografico e teatrale. La sua interpretazione di Don Giovanni fa di questo personaggio mitico un individuo cui l’eccesso innaturale e insaziabile della brama erotica conferisce un che di mostruoso, di abnorme, che si traduce in tratti vampireschi. Dobbiamo riconoscere che questa immagine ‘mostruosa’ di Don Giovanni non è affatto campata in aria: si pensi alle parole con le quali Leporello commenta nella scena finale il modo in cui il suo padrone mangia: “che barbaro appetito/che bocconi da gigante”, una voracità di cibo, che, metafora del sesso, rimanda all’ascoltatore l’immagine inquietante di un essere dalla natura disumana (va però precisato che la regia di Fourny, intelligentemente, non è sembrata insistere troppo sui doppi sensi erotici).
Tale interpretazione, calata nei momenti comico-grotteschi che in quest’opera straordinaria abbondano, accanto al registro tragico, presente soprattutto all’inizio e alla fine, è resa esplicita dal ricorso al più bolso armamentario vampiresco come, all’inizio del secondo atto, i personaggi che si aggirano portando crocifissi e collane d’aglio o il puntale di legno con il quale Masetto intenderebbe uccidere Leporello, travestito da don Giovanni.  La stessa donna Anna (atto II scena 16) sembra accennare un bacio da vampiro ai danni del povero don Ottavio. Questa donna Anna vampiro implica che tra lei e Don Giovanni ci sia stato qualche momento di intimo contatto e che il suo animo non sia turbato solo dalla morte del padre, ma da qualche passione più inconfessabile (e anche questa ambiguità di donna Anna è presente nel libretto di Da Ponte; forse la forza della mostruosità di Don Giovanni è come un contagio che colpisce prima o poi tutti i personaggi, vampirizzandoli: il fascino del male, insomma.  La regia di Fourny è apprezzabile ed efficace soprattutto nel guidare i movimenti sulla scena e l’interpretazione attoriale dei vari personaggi; è però ai limiti dell’assurdo quando fa saltar fuori donna Elvira dalla tinozza in cui don Giovanni sta facendo il bagno, facendo di donna Elvira un personaggio grottesco, da operetta, quale non è assolutamente, essendo anzi tra i personaggi più tragici del Don Giovanni, nel suo amore spasimante, quanto inesorabilmente frustrato.
Questo mondo vampiresco è poi reso inquietante dalla scena curata con grande finezza da Benito Leonori, coadiuvato sapientemente dal tecnico delle luci Patrick Méeus. Quando la cavatina d’ingresso di Leporello si conclude e il singolare sipario di specchi che riflette, a luci accese, la platea e i palchi, si alza, si spalanca davanti agli spettatori un mondo sinistro, un ambiente  di colonne e timpani prossimo alla rovina, immerso in un’atmosfera tra il notturno tenebroso e il crepuscolare, le cui aperture sullo sfondo sembrano affacciarsi sul nulla. Il movimento, ad opera degli stessi cantanti, di velari e di parti dell’architettura, il fumo che talora si sprigiona misteriosamente a rendere quasi evanescente l’ambiente, le proiezioni video enigmatiche del Video Designer Mario Spinaci, contribuiscono, insomma, a creare lo sfondo ideale di una storia di vampiri, certo, ma anche un mondo in cui tra vivi, con le loro smisurate e pericolose passioni, e morti, i confini sono assai labili, come dimostra il Commendatore.  Un’atmosfera in cui comico, tragico e soprannaturale convivono, intrecciandosi continuamente, in un’opera tra le più sfuggenti, ambigue e affascinanti mai concepite, di cui questa regia ci pare valorizzi l’aspetto onirico-allucinatorio, quasi un succedersi di scene che emergono da un inconscio sconvolto. Completano questa bella messa in scena i costumi raffinati della brava Giovanna Fiorentini, in cui i colori spiccano nelle tenebre che avvolgono il palcoscenico, distinguendo i vari personaggi. Don Giovanni veste, abbastanza ovviamente, un abito rosso sangue, le due coppie Donna Anna/Don Ottavio e Masetto /Zerlina, indossano costumi rispettivamente neri e bianchi e via variando i colori, con un bell’effetto scenico complessivo. A decretare il pieno successo di questo Don Giovanni, facendone uno degli spettacoli memorabili del Teatro Coccia di questi anni, è ovviamente l’ottima prestazione dei cantanti, under 35 di già grande maturità vocale e attoriale, sfruttata al meglio dal direttore statunitense Arthur Fagen, venuto per l’occasione da Atlanta a dirigere un’orchestra anch’essa di giovani di gran livello, l’Ensemble Time Machine, nata nel 2019 e in residence presso il Teatro Pergolesi di Jesi. Una direzione di ottimo spessore, quella di Fagen, che ha guidato la Time Machine con raffinatezza e sapienza a sottolineare i valori dinamici e timbrici più suggestivi della partitura, con scelte agogiche ottimamente calibrate sul ritmo narrativo dell’opera. Impeccabile il rapporto coi cantanti, messi a loro agio da un volume del suono orchestrale e da uno stacco dei tempi che ha permesso loro di mettere in evidenza il meglio dei rispettivi strumenti vocali. Ottimo il livello generale del cast canoro, buona parte del quale debuttava la parte. Un bravo Don Giovanni è stato il baritono Christian Federici, dotato di voce di bel timbro caldo, capace di non perdere mai spessore, grazie ad un fraseggio fluido e a una dizione limpida e puntuale.  Ottima anche la sua presenza scenica, con la quale ha espresso al meglio la spavalderia e il cinismo sadico che sono propri del protagonista.  Il basso Stefano Marchisio ha interpretato un buon Leporello, cantando con voce agile e duttile e con più che valide capacità attoriali e tenuta del palcoscenico. E’ stato peraltro un Leporello che, nonostante il suo abbigliamento che lo avvicinava a Charlot, ha visto la sua abituale dimensione di buffo piuttosto ridimensionata da questa regia, integrandosi di più con la componente tragica dell’opera Questo Don Giovanni ci ha regalato uno dei migliori don Ottavio da noi ascoltati negli ultimi anni, Valerio Borgioni: voce tenorile dal timbro caldo e vellutato, decisa proiezione nel volume, di intensa espressività, grazie a mezze voci e filati davvero belli all’ascolto, ma anche di crescendo omogenei e ricchi di pathos: eccellente la sua aria “Dalla sua pace” (primo atto). Il basso Gianluca Failla è un Masetto dal bel fraseggio e di dizione persino elegante, con bel timbro. Se la cava bene anche sul versante interpretativo, facendo da spalla ideale, per vivacità e freschezza, a Zerlina. Il Commendatore è interpretato, in questa edizione del Don Giovanni, dal basso Luca Dall’Amico. Dall’Amico dispone di uno strumento vocale perfettamente adatto al ruolo, dal possente volume e dalla cupa profondità di timbro. La sua voce sa assumere davvero un non so che d’inquietante e infernale, contribuendo non poco alla piena riuscita dello spettacolo. Per quanto riguarda le parti femminili, la donna Anna del soprano kazako, ma naturalizzato italiano, Maria Mudryak, ne è stata ottima interprete, con la sua voce di luminosa trasparenza, ben tornita calibratura vocale in tutti i registri, con un bell’acuto solido, raggiunto senza difficoltà, e una tensione espressiva virata sul drammatico, che quasi permea il suo fraseggio e raggiunge punte da attrice consumata nei recitativi. Il soprano belga Luise Guenter, che interpreta la parte di donna Elvira, un po’ penalizzata dalle scelte registiche, come si è visto, sul piano vocale ha saputo esprimere comunque in modo adeguato l’intima frustrazione e sofferenza del personaggio, con una voce che affronta le agilità con buona sicurezza, con una calibratura dei registri vocali, senz’altro già apprezzabile, ma che abbisogna di maturare ulteriormente. Infine, Eleonora Boaretto, soprano di casa al Coccia di Novara, è stata una Zerlina dall’espressività di canto e di recitazione più drammatica del consueto.
La sua voce, capace di piacevole varietà timbrica, oltre che tecnicamente ben controllata, ha assunto un afflato emotivo che ha fatto uscire anche lei dall’abituale parte di ‘buffo al femminile’ che la contraddistingue in genere nelle rappresentazioni del Don Giovanni. Un’altra scelta registica di Fourny, pensiamo, del tutto coerente del resto con l’atmosfera cupa che pervade il ‘suo’ Don Giovanni. Impeccabile il coro Ventidio Basso di Ascoli Piceno diretto da Mario Veleno. Successo completo alla fine, con lunghi ed entusiastici applausi del pubblico da tutto esaurito, per uno spettacolo d’opera tra i migliori visti al Coccia, davvero da ricordare. (Foto dall’Ufficio Stampa del Teatro Coccia)