UN PRELUDIO AL PROSSIMO XXVIII VIOTTIFESTIVAL DI VERCELLI

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Ascoltare la musica di Vivaldi, Tartini, Viotti, Paganini risuonare in uno spazio, la chiesa di S. Cristoforo a Vercelli, che avvolge lo spettatore coi colori e le immagini magiche di Gaudenzio Ferrari, nell’abbagliante bellezza della ‘Madonna degli aranci’: è questa un’emozione estetica che abbiamo potuto godere più volte nel corso del tempo, grazie all’orchestra Camerata Ducale, diretta dal Maestro (direttore e violino solista) Guido Rimonda. Ieri sera, Sabato 13 Settembre, la Camerata Ducale, in formazione per soli archi (più…una campanella), col continuo affidato al contrabbasso, guidata dal suo fondatore e direttore, ha eseguito nella Chiesa di s. Cristoforo un concerto che voleva essere una sorta di preludio al prossimo XXVIII Viotti Festival, ormai non lontano dall’inizio, quasi una chiamata a raccolta dei suoi fedeli ascoltatori, tanti, prima che la festa musicale cominci. Tutto settecentesco, del ‘700 italiano, il programma: Vivaldi, Tartini, Viotti su tutti con ben tre pezzi suoi, per concludere ormai oltre i confini del secolo con Paganini (ma anche Viotti è già a cavallo dei due secoli). È la musica della Camerata Ducale, per cui la Camerata Ducale è nata: ottima orchestra da camera sempre, nella musica settecentesca eccelle, con il suo suono così elegante, così luminosamente classico, così capace di quella vena di tenero sentimentalismo tipica dei tempi lenti settecenteschi. Insomma la Camerata Ducale ieri giocava due volte in casa: è di casa a Vercelli ed è musicalmente di casa nel ‘700-primo ‘800. Il programma era aperto con un pezzo di musica sacra di Vivaldi: il Concerto per la Solennità della S. Lingua di s.Antonio in Padua RV 212, composto dal prete rosso nel 1712, ovviamente nei tre tempi all’epoca canonici. G. Rimonda, nel doppio ruolo di Direttore e di solista al violino, ha dato di questo raro pezzo vivaldiano una interpretazione che univa brillantezza ed eleganza, con un misurato patetismo, specie nel tempo intermedio e una patina di appena percepibile solennità.

Di alto virtuosismo la parte per violino, che Rimonda ha eseguito con la consueta sicurezza e il perfetto dominio tecnico del suo straordinario strumento, il celebre Stradivari ‘Noir’. Presente sin dalle prime battute, tale virtuosismo si faceva acrobatico nelle cadenze dei due tempi estremi, con la prima con frequenti doppie corde, la seconda in un arduo arrampicarsi fino alle zone più acute dello strumento, in quello che è il momento culminante del Concerto. Ammirevole, in tutto questo, la pulizia e perfezione di suono del Maestro Rimonda: anche nei passaggi più rapidi e complessi, nessun colpo d’arco, anche il più acrobatico, che tradisca approssimazione o fatica. Se il Concerto di Vivaldi non era tra i suoi più noti, al contrario celeberrima era la successiva Sonata per violino in sol minore di G. Tartini, nota universalmente come “Il trillo del diavolo” (1749 ca.), in tre tempi, nella revisione di Riccardo Zandonai. L’interpretazione di Rimonda, col suo suono limpido, valorizza al meglio quella cantabilità tipica di Tartini, in particolare nell’Andante iniziale, in cui il melodismo barocco, per pathos e dolcezza, sollecita l’arco di Rimonda ad esiti di straordinaria intensità, sfruttando anche i passaggi in doppie corde, senza mai scadere nel melenso, e nell’Andante del terzo tempo, dove il suono cantabile barocco acquista, nell’interpretazione di Rimonda, una delicatezza capace di coinvolgere emotivamente l’ascoltatore, che segue ammirato le arcate e la diteggiatura nelle parti più tecnicamente difficili della partitura, a cominciare, ovviamente dal mitico ‘Trillo del diavolo”. Con G.B. Viotti siamo di fronte ad un compositore complesso, autore di straordinarie innovazioni nella tecnica violinistica, non solo sul piano esecutivo, artistico, ma anche su quello materiale: basti pensare che l’arco moderno fu sostanzialmente inventato da lui. La riscoperta di questo autore che si forma nel pieno del’700 di Tartini, ma si affaccia già ad una sensibilità che ha molto del Romanticismo, è tra i meriti più grandi di G. Rimonda. Tra le opere del violinista vercellese cadute nel più completo oblio e riportate in auge da Rimonda, tanto da farne un proprio ‘pezzo di baule’, è la composizione per violino e orchestra “Meditazione in preghiera” del 1793. La dolcezza della lunga melodia che apre il brano è ormai lontana dalla sensiblerie settecentesca e si apre ad un nuovo, vasto orizzonte che precorre la sehnsucht romantica. Rimonda la suona con una linea espressiva che sembra scavare nel continuum di un canto misterioso che conduce all’infinito, con un vibrato appena increspato e dinamiche efficacissime. L’abbiamo ascoltata spesso, ma non smetteremmo mai di farlo! Un altro pezzo di Viotti, reso noto per la prima volta dal Maestro Rimonda nel 2013 è il “Tema e variazioni”, per violino e orchestra. La data, che compare sul manoscritto, 1781, è decisiva per attribuire a Viotti il tema che dal 1792 sarebbe divenuto noto come la Marsigliese, che la tradizione ha attribuito a Rouget de Lisle, come inno, da lui composto nel 1792, delle Armate francesi del Reno e dal 1795 inno ufficiale della prima Repubblica Francese. Dunque il tema dell’Inno francese sarebbe stato creato da Viotti e scopiazzato da Rouget.. Inutile anche solo accennare alle discussioni e alle polemiche che hanno accompagnato questa scoperta di Rimonda, ma le perizie calligrafiche, sulla carta e sull’inchiostro sinora eseguite, parrebbero confermare la paternità viottiana del tema della Marsigliese. Comunque sia, si tratta, musicalmente, di un’opera decisamente minore, d’impianto ancora nettamente settecentesco nella struttura delle variazioni, peraltro gradevole, suonata con la consueta eleganza, e con vigore marziale quando occorre, dal solista e dall’orchestra. I “Souvenirs pour violon “ sono, come ha spiegato il Maestro Rimonda, la raccolta delle cadenze dei trentadue concerti composti da Viotti per violino e orchestra e utilizzabili, nelle sue intenzioni, anche isolatamente, come ‘Capricci’. Rimonda ne ha proposto uno, di alto virtuosismo, in cui la solennità del tema viene continuamente ripresa e variata grazie ad abbellimenti ed eleganti rielaborazioni che le arcate di Rimonda realizzano con bell’effetto. Dopo la trilogia viottiana questo viaggio attraverso la musica violinistica italiana tra ‘700 e primo’800 non poteva che concludersi con Paganini, che ammirò Viotti e ne fu certamente influenzato, ma finendo, con la sua immensa popolarità, proprio con l’oscurare e condannare ad un quasi-oblio per molto tempo la musica del grande vercellese. E si conclude con un altro pezzo di fama universale, uno dei più celebri di Paganini, “La campanella” , vale a dire il terzo e ultimo movimento, Rondo’, del Concerto per violino e orchestra in si minore, n.2 op.7. Guido Rimonda lo suona con l’abituale brio e forza comunicativa, superando con compassata disinvoltura le difficoltà della trascendentale tecnica virtuosistica paganiniana (su tutto: i pizzicati per la mano sinistra, novità inaudita per i tempi, e gli armonici con cui il violino esegue il suono della campanella, poi riprodotto in orchestra battendo il batacchio di una campanella sulla sua parte esterna, ottenendone un delizioso suono argentino, più intenso  del triangolo che si suole usare.) Gli applausi torrenziali del pubblico stipato in s. Cristoforo suggellavano il successo di questo bel concerto, chiuso da un fuoriprogramma, che riportava al Vivaldi con il concerto era cominciato: il Largo dell’Inverno, intitolato “la pioggia”, suonato da Rimonda con una splendida linea espressiva improntata a noia e tristezza, mentre i pizzicati degli archi facevano onomatopeicamente sentire il cadere monotono della pioggia. Un bel concerto, ben suonato dal solista e dall’orchestra, ieri sera in formazione ultragiovanile, che rende impaziente la nostra attesa dell’inizio del nuovo ViottiFestival.  ( Foto dall’ufficio Stampa di Vercelli)

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