Giulia Ventura, novarese di nascita, diplomata al Conservatorio Cantelli di Novara con il Maestro M. Coppola, è attualmente docente di pianoforte principale al Conservatorio G. Pergolesi di Fermo, pur continuando a frequentare il Cantelli come allieva della classe di Musica da camera (piuttosto curioso, in verità, questo doppio ruolo di docente e studente) e vanta un ormai lungo elenco di concerti in tutta Italia e all’estero. Il suo recital di oggi, 12 settembre, era impaginato su tre autori: Szymanowsky, Scrjabin, Liszt.Un programma che oseremmo definire ‘aristocratico, per la rarità la brevità artisticamente cesellata dei pezzi, salvo il primo, il famoso “La vallée d’Obermann” dal primo volume degli Années de pèlerinage lisztiani, il pezzo con cui è iniziato il recital. Ottima padronanza tecnica e un tocco elegante e di sensibilità raffinata sono le virtù che l’ascoltatore coglie nelle interpretazioni della Ventura. Nell”Obermann” l’inizio, chiave di lettura di tutto il pezzo, viene interpretato dalla Ventura senza esasperarne l’elemento di sofferenza e di ‘male di vivere’, che affiora in molte esecuzioni storiche ( su tutte Lazar Berman), ma è evocato con misura e punto di partenza di un viaggio di incessante trasformazione spirituale, dalla disperazione, alla lotta, alla speranza, come dice bene Rattalino, sino a sfociare nella conclusione contrastante tra il trionfante arpeggio che apre alla luce radiosa di un riscatto spirituale e la conclusione che riprende l’incipit doloroso-esistenziale. Ma nell’interpretazione della Ventura non hai l’urlo di Berman, il tutto di questo infuocato materiale musicale è come sottoposto ad un vigile controllo, attraverso una timbrica, una gestione delle dinamiche, un uso del pedale di risonanza, che non danno mai l’impressione di esasperare i toni. Dunque cos’è questo Obermann della giovane Ventura? Più che una discesa agli inferi, una sorta di avventura nel mistero affascinante della vita, e ci è piaciuta, come intepretazione per noi, almeno, abbastanza inedita. I successivi Nove preludi op.1 di K. Szymanowsky, composti tra 1899 e 1906, sono l’opera di uno Szymanowsky ancora visibilmente sotto l’influenza di Skrjabin e soprattutto di Chopin. Non particolarmente difficili, vi prevale un’agogica lenta, quasi dimessa, talora increspata da momenti più mossi. Evidente l’accentuata tensione sentimentale, tardoromantica, che li pervade (il ‘Lento-Mesto’, che si ripete ben due volte) e che per la verità sarà sempre presente nella musica di Szymanowsky. L’interpretazione della Ventura dà il giusto rilievo a tale componente sentimentale, ma, ancora una volta, controllandola con gusto, con un tocco preciso ed essenziale, con un gioco efficace delle dinamiche, offrendo una buona interpretazione di questa opera prima del compositore polacco, nella quale la bravura tecnica si unisce ad una apprezzabile finezza espressiva. Con i Preludi 1 in Sol maggiore e 2 in la minore op.13 di Skrjabin ci troviamo di fronte ad un mondo musicale diverso da quello dei Preludi di Szymanovsky. Di scrittura più complessa, qui la frase melodica stenta ad apparire, è come frammentaria, contratta in una misura breve. La Ventura coglie bene questa particolarità del mondo musicale di Skrjabin: nel primo preludio, accentuando espressivamente gli accordi nella zona grave della tastiera, che dominano il pezzo, nel secondo dando vita con un suono chiaro e un fraseggio fluente al rapido ritmo di questo preludio. Liszt, che aveva aperto il programma, lo chiude con la trascrizione per pianoforte di due parti del Requiem di Mozart, il “Confutatis Maledictis” e il “Lacrymosa”. L’esecuzione della Ventura ci pare decisamente riuscita, tanto nei passaggi più virtuosistici del brano, in particolare nel primo pezzo, con i suoi rombanti accordi che esprimono l’ira divina e il terrore dei dannati, quanto nel lamento del Lacrymosa, suonato con un tocco delicato, capace di dare voce ad un ‘atmosfera d’intensa malinconia. Non era facile ricostruire sulla tastiera il difficile equilibrio tra il mondo musicale di Mozart e quello di Liszt, ma diremmo che la talentuosa pianista vi sia riuscita con ottimi risultati.
Ancora una volta, un ‘prodotto’ della scuola di Coppola dimostra il valore proprio e di chi l’ha formata. Al termine del concerto, accolto da applausi vivaci e da apprezzamenti per Giulia Ventura, è stato concesso come fuoriprogramma il terzo dei Preludi op.13 di Skrjabin, finemente cesellato nei brevissimi arabeschi di cui è intessuto. Avevamo ascoltato per la prima volta in concerto Giulia Ventura due anni fa a Vercelli. Ci ha impressionato vivamente il progresso deciso in tutto il complesso della tecnica musicale, giunto a un grado di notevole maturità. Ma è vero che nel campo dell’arte per il progresso non c’è mai fine.