IL GIOVANE MATTEO BOCCHETTA AL PIANOVARA

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Protagonista del terzo concerto del Pianovara Festival, presso il Conservatorio Cantelli di Novara, oggi, Lunedì 8 Settembre, è stato il pianista Matteo Bocchetta: studi musicali e laurea al Cantelli, attualmente studia nella classe del Maestro M. Coppola. Dalle note di presentazione della brochure del Festival si ricava l’immagine di un giovane molto attento alla formazione, con numerose esperienze di masterclass, qualche concorso vinto e qualche concerto. Noi l’avevamo già ascoltato a Novara in formazione cameristica (trio) lo scorso anno, e ricordavamo il suono pulito e leggero della sua tastiera. In questo concerto solistico Bocchetta presentava al pubblico un programma impaginato su tre autori: F. Liszt, con un pezzo dagli Années de Pélerinage, che ha sostituito con un cambiamento improvviso il  brano annunciato in programma e che né noi, né i nostri vicini di posto, abbiamo saputo identificare con precisione. A questo seguivano, sempre di Liszt, la Ballata n.2 in si minore,  K. Szimanowsky (Mètopes) e infine quel Nikolaj G. Kapustin, compositore russo-sovietico novecentesco (1937-2020), ingiustamente misconosciuto fuori dalla Russia, anche se attualmente sta affiorando un certo interesse verso la sua musica (all’estero è soprattutto Yuja Wang a proporlo in concerto). Di Kapustin Bocchetta ha scelto per questo recital una composizione del 1984, ‘Variazioni’ op.41. Bocchetta ha dimostrato in questo recital di essere capace di brillante virtuosismo, che si sfoga negli arpeggi di cui abbonda il primo pezzo di Liszt  e trova un perfetto connubio col piano espressivo nella Ballata, nel suo quasi inebriante abbandono alle parti più ardue del pezzo, dove i frequenti passaggi in ottave ribattute o spezzate, gli squilli e trilli e quant’altro del Liszt più enfatico, sono eseguiti dal solista con una scioltezza ammirevole, che carica di vigore diremmo tempestoso quei passaggi: che in effetti per Liszt dovevano rappresentare  proprio una tempesta di mare, che affoga Leandro, mentre tenta, secondo il noto mito greco, di raggiungere a nuoto l’amata Ero. Ma chiaramente Bocchetta individua il tema principale di questo ricco brano nel dolcissimo, lirico ‘tema di Ero’, che viene fatto emergere con un lavoro esemplare sulle dinamiche, caricandolo di valori poetici intensissimi. Non c’è che dire: una esecuzione efficace e decisamente riuscita.  Con le “Métopes” di Szymanovsky (1914) siamo di fronte ad uno dei capolavori del pianismo novecentesco. Come noto, le metope sono i fregi figurativi a bassorilievo che ornavano i templi greci di stile dorico. Dunque non lasciamo il mondo dell’Ellade evocato dalla ballata lisztiana, ma le “Métopes” del grande compositore ucraino-polacco sono tre pezzi che ci trasportano nel mondo epico dell’Odissea, come sospesa in una rarefatta atmosfera di sogno. Neoclassicismo con cinque anni di anticipo su quello che ne fu il manifesto, il “Pulcinella” di Stravinsky? Per nulla. Anzi. Il periodo del primo conflitto mondiale fu quello che vide, nell’evoluzione stilistica di Szymanowsky, la netta presa di distanza dai suoi autori prediletti sino ad allora, Chopin e Rachmaninov e l’accostarsi alla scuola francese di Debussy, con una scrittura di affascinante atmosfera, che Bocchetta rievoca con una interpretazione esemplare, che potremmo definire onirica, quasi ipnotica, in particolare nella prima delle tre Mètopes, “L’ile de Syrenes”.

Il tocco del pianista qui si fa finissimo, creando un’atmosfera timbrica vicina all’estasi. Il timbro risalta, con una tecnica già rodata da Debussy, facendo risuonare l’accordo nella sua iridescenza timbrica, come bloccato, e alonandolo con tremoli e altri effetti coloristici. Davvero bravo Bocchetta nella raffinata interpretazione di questi momenti, cui vanno aggiunti episodi di una cantabilità intensa e ipnotizzante, che dà voce al canto delle sirene e al fluire dell’acqua, che il solista rievoca con arpeggi, tremoli e altri effetti, sempre gestiti con misura e sapienza. Nelle due mètopes successive, “Calypso” e Nausicaa” abbiamo rilevato passaggi ove il tocco del pianista si faceva un po’  troppo pesante, non lasciando spazio a quel fine lavoro di cesello sugli intrecci timbrici e le risonanze estatiche che erano affiorate nel primo pezzo della trilogia.   Tutt’altro il mondo musicale delle variazioni di Kapustin, in cui il suo stile ineguagliabile, con massicce immissioni di musica Jazz, da diversi autori e stagioni di questa musica, da Count Basie a Errol Garner, risuona ottimamente interpretato da un Bocchetta che sfodera un tocco di grande vigore e virtuosismo negli episodi più agogicamente e armonicamente impegnativi, ma sa esprimere anche il lirismo di una variazione più melodizzante. Un altro ottimo concerto questo di oggi e un bravo, naturalmente, a Matteo Bocchetta, ma anche ai docenti che sfornano allievi di questo livello. Gli applausi del pubblico hanno avuto come premio un fuori programma, il secondo tempo della Sonata in mi minore op.7 di Grieg, prevista nella versione originaria del programma al primo posto. Buona l’esecuzione, espressivamente virata con efficacia sulla ‘malinconia nordica’ che ispira tutto il resto della Sonata e in generale i momenti di maggior suggestione dell’opera del grande norvegese.

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