Molto interessante, nello spazio Podium della Fondazione Prada (Largo Isarco 2), e al piano superiore, la grande mostra fotografica Typologien: Photography in 20th-century Germany”, curata dalla storica dell’arte Susanne Pfeffer, direttrice del Museum für Moderne Kunst MMK di Francoforte. Sono esposte oltre 600 opere di venticinque autori e autrici, realizzate dal 1906 fino all’inizio del XXI secolo. Il fil rouge della mostra – che presenta sezioni molto diverse, sia per soggetti che per tecniche – è senz’altro la volontà di ognuno degli artisti di rappresentare la realtà in modo classificatorio, in una sorta di ordine tassonomico rigoroso per l’immagine ma non rigido nella sostanza, e neppure gerarchico. Si consente anzi un confronto che porta l’osservatore a cogliere sia l’unicità del soggetto fotografato che il suo valore universale.

Ed ecco che si passa dall’arte botanica delle splendide felci di Karl Blossfeldt (1865 – 1932), attraverso le foglie, i fiori, i veri “ritratti vegetali” di Lotte Jacobi (1896 – 1990) e Thomas Struth (1954), raffinatissimi, alle curiose e quasi surreali fermate d’autobus in Armenia (Ursula Schulz -Dornburg, 1938), fino alle architetture delle torri d’acqua e degli altiforni ripresi dai coniugi Becher, Bernd (1931- 2007) e Hilla (1934 – 2015), noti fotografi concettuali. Struth riprende anche i visitatori del Louvre (Museum Photographs, 1989-92) e i passanti in movimento (Persone per strada, 1974-78).

Hans Peter Feldmann (1941 – 2023) ha raccolto invece novanta ritratti (Die Toten 1967-1993), utilizzando riproduzioni sgranate di foto pubblicate su quotidiani e riviste in quegli anni: vi sono tra i morti, senza distinzione, sia appartenenti a movimenti politici dissidenti e a gruppi terroristici, che vittime innocenti colpite casualmente durante gli scontri, nonché rappresentanti delle istituzioni e dell’industria assassinati, e pure agenti e soldati uccisi durante interventi di repressione. Emergono i ritratti di Giangiacomo Feltrinelli (peccato l’errore di ortografia, Felltrinelli), ucciso da un ordigno a Segrate nel 1972, e di Jonathan Netanyahu, fratello dell’attuale Primo ministro israeliano Benjamin, ferito mortalmente durante l’attacco a Entebbe, in Uganda, nel 1976.

Un’altra serie degna di attenzione è quella di Heinrich Riebesehl (1938 – 2010): si tratta di scatti effettuati nel 1969 a persone all’interno di un ascensore, nell’edificio sede dell’Hannoversche Presse, un giornale di Hannover. Ha saputo cogliere con delicatezza espressioni, comportamenti e sguardi, in uno spazio anonimo e confinato.

Al primo piano, si prosegue con i bellissimi ritratti fotografici di August Sander (1876 – 1964) e di Christian Borchert (1942 – 2000); ancora Struth con gigantografie di famiglie (splendida l’immagine della famiglia del notaio Consolandi di Milano, del 1996). Isa Genzken (1948) fotografa con sensibilità e abilità l’orecchio femminile, diversamente ornato; Ursula Böhmer (1965) riprende in vari Paesi europei campioni di razza bovina, nella stessa posa frontale davanti all’obbiettivo, ma in ambienti peculiari.

Gerhard Richter (1932), pittore e fotografo novantatreenne, di Dresda, ha raccolto dal 1961 documenti dell’Olocausto, esposti in mostra, prove spaventose degli orrori nazisti nei campi di concentramento. La sua raccolta, Atlas, vuole invitare i visitatori a una profonda riflessione sulla responsabilità collettiva e storica da cui nessuno può sottrarsi, essendo ognuno di noi testimone del suo tempo.
Fino al 14 luglio 2025, da non perdere.