IL PIANISTA GIUSEPPE ALBANESE INAUGURA A NOVARA IL FESTIVAL CANTELLI N.45

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Ieri sera, 9 novembre, nell’Auditorium del Conservatorio di Novara si è alzato il sipario sulla quarantacinquesima edizione del Festival Cantelli, ormai storica e gloriosa manifestazione musicale della città piemontese.

A inaugurare la stagione è stato chiamato uno dei più affermati e conosciuti pianisti italiani della ‘generazione dei quarantenni’, Giuseppe Albanese, il cui valore venne consacrato anche a livello internazionale nel 2003 dal primo premio al Vendome Prize, considerato da non pochi critici come il più prestigioso concorso pianistico oggi al mondo, addirittura superiore al mitico Van Cliburn. Cogli anni Albanese si è creato un repertorio assai vasto, dal quale ha tratto i pezzi del programma del concerto novarese. Un programma diviso nettamente in due parti: la prima dedicata a uno dei padri del pianismo romantico primo ottocentesco, ancora con sfavillanti venature biedermaier, Carl Maria von Weber; la seconda alla musica ‘a tema spagnolo’, sia di autori iberici attivi tra tardo ‘800 e primissimo ‘900, quali Enrique Granados e Isaac Albéniz, sia di un compositore polacco loro contemporaneo, ai suoi tempi coronato da una fama che oggi si è forse un po’ appannata, Maurice (o Moritz) Moszkowski (!854-1925). Le due composizioni di Weber scelte dal Maestro calabrese, il celeberrimo Invito alla danza in Re bem. maggiore op.65, nella riscrittura di Carl Tausig, l’allievo prediletto di Liszt, che v’immette una buona dose di ulteriore virtuosismo, e la Sonata in Do maggiore n.1 op.24, hanno offerto ad Albanese un ampio spazio per sfoggiare, a chi ancora non lo conoscesse, i pregi del suo pianismo. Il suo è un Weber esuberante, con momenti di pirotecnico virtuosismo, ma sempre controllato da un senso rigoroso della misura e da un fraseggio elegante, capace, con grande efficacia espressiva, di un’energia travolgente nei passaggi di bravura, come di una raffinatezza squisita nelle melodie. Ne sono un esempio, della Sonata, il primo tempo, che ha più della Fantasia politematica tanto in voga nel successivo sviluppo dell’età romantica,  con la sua varietà di motivi, passaggi e momenti agogici, ma anche il bellissimo Adagio, suonato con intensa  forza espressiva e una grande cura dei dettagli dinamici, mentre l’elegante fluidità del fraseggio, sostenuto da una  sobria pedalizzazione, faceva del perpetuum mobile del Finale Rondò un incantevole  volo in un mondo sonoro scintillante e mutevole, dai colori limpidi, grazie ad un suono di grande pulizia.
Questa stessa fluidità mirabile del fraseggio consente anche ad Albanese un’interpretazione eccellente dell’Invito alla danza”, creando continuità fra i diversi temi di Valzer, dando vita ad una caleidoscopica forma unitaria pluritematica, cogliendo dunque quella che gli storici della musica riconoscono oggi come la novità più importante di questa composizione di Weber; supponiamo che Albanese, valente interprete lisztiano, abbia tenuto presente l’esempio di ciò che trent’anni dopo Weber, Liszt avrebbe fatto coi Valzer di Schubert. La seconda parte del concerto, quella ‘spagnola’ è stata introdotta dalle Goyescas di Granados, di cui sono stati eseguiti due pezzi, il primo, Los Requiebros (Complimenti galanti) e il quarto, Quejas o la Maja y el Ruisenor (lamenti o la ragazza e l’usignolo). Se in Los Requiebros, pezzo brillante, Albanese ha convinto con un’esecuzione nitida e scintillante, di raffinata eleganza, in La Maja y el Ruisenor ha dato espressione di grande intensità al cantabile mesto del pezzo, di sapore operistico, con una sensibilità sempre adeguata alle sfumature dinamiche del bellissimo brano, tra i più celebri dei sei che compongono le Goyescas. L’espressività della frase, che è una delle virtù del pianismo di Albanese, ha qui toccato uno dei vertici della serata.Anche di  Albeniz l’impaginato della serata ha proposto due pezzi: il più celebre di “Iberia”, Triana (il quartiere tzigano della Siviglia dell’epoca) e un brano, pensato da Albeniz in un primo tempo per Iberia, ma poi rimastone fuori, e incompiuto per la morte dell’autore, come pezzo a sé, Navarra, eseguito da Albanese nella versione con il completamento diDe Severac. Del celebre, quanto difficile Triana, Albanese offre una lettura solida e nitida, illuminando l’ampio spettro sonoro e la struttura polifonica del pezzo con una interpretazione che, grazie a quel suono pulito che è così caratteristico di questo pianista, lascia trasparire con nettezza il disegno delle varie figurazioni che s’intrecciano nella partitura. In questo l’interpretazione di Albanese si distingue da altre, che, con un uso più massiccio del pedale di risonanza, tendono a sfumare il disegno, a favore di un effetto più ‘impressionistico’ del suono. Albanese gioca le sue carte su altri piani, con un superbo gioco delle dinamiche e una fine calibratura degli accordi, di cui sottolinea il valore coloristico. Con l’interessante scelta della successione dei due pezzi di Granados e dei due di Albeniz, rispettivamente un Allegro, un Adagio, uno Scherzo e un Allegro, Albanese ottiene di costruire una Sonata, in cui peraltro è evidente la differenza tra la scrittura pianistica di Granados e di Albeniz, con una molto maggiore densità armonica dei brani di quest’ultimo. Il pezzo conclusivo del concerto, il Capriccio spagnolo op.37 (1885 ca.) di M. Moszkowski, a suo tempo popolarissimo, sembra più uno Studio sulle note ribattute, appoggiato su una vaga trama di danze spagnoleggianti: anche in questo caso un pezzo di alto virtuosismo, un succedersi funambolico di passaggi di agilità che Albanese esegue con imperturbabile sicurezza e sempre fresca energia di suono.  Gli applausi di un pubblico entusiasta hanno sollecitato un bis dal solista, che ha saputo conquistarsi la simpatia dei numerosi presenti con argute e curiose presentazioni dei pezzi eseguiti: un divertissement  su un tema di Harry Potter, dilatato con un profluvio di abbellimenti e passaggi di bravura.  Si è così concluso il primo concerto di una stagione che promette altre imperdibili esperienze musicali.